Israele, vedere la tragedia di Gaza alla fermata dell'autobus

In Israele un gruppo di attivisti, Standing Together, diffonde manifesti sulle violenze dell'esercito nella Striscia per rovesciare la propaganda del governo
Manifesti sulla guerra a Gaza alla fermata del bus di Tel Aviv in Israele
Manifesti sulla guerra a Gaza alla fermata del bus di Tel Aviv, in IsraeleFoto: Standing Together

L’attacco del 7 ottobre 2023 ha traumatizzato profondamente la società di Israele, che si è chiusa a riccio e si è spostata sempre più a destra. Media e società si sono stretti attorno al governo e il dissenso è diventato sempre più complicato. Soprattutto perché l'intero ecosistema mediatico si è allineato con la narrazione del primo ministro Netanyahu, occultando la grave crisi umanitaria a Gaza e il crescente isolamento di Israele nell'opinione pubblica mondiale.

Stanco del conformismo di tv e giornali, e dell'accecamento guerresco dei suoi compatrioti, un movimento di solidarietà ha deciso di lanciare una campagna per aprire gli occhi degli israeliani. Lo sta facendo tramite l'affissione di decine di poster nelle principali fermate degli autobus di Tel Aviv e dintorni, ovvero dell'area metropolitana più popolata e globalizzata di Israele. Con questi manifesti ha lanciato il messaggio: “O fermiamo questa guerra o sarà questa guerra a fermare noi”.

Standing Together è una organizzazione dal basso composta da israeliani e palestinesi, che dopo l'eccidio di Hamas e l'inizio della rappresaglia israeliana a Gaza hanno provato a costruire ponti tra le due comunità e soprattutto a fiaccare il consenso per la guerra. È stata la prima ong israeliana a scendere in campo per protestare contro i gruppi di estrema destra che bloccano gli aiuti, mentre le forze di sicurezza restano a guardare. Un convoglio è partito mesi fa da Tel Aviv con cibo destinato ai palestinesi e un messaggio in ebraico: "Affamarli non è umano".

Suf Patishi, uno dei fondatori di Standing Together, dopo una lunga pausa presa per lavorare come avvocato penalista, dopo il 7 ottobre ha deciso di rientrare nel movimento e tornare a far parte della leadership. “Non potevo restare a guardare senza fare nulla di fronte a questa guerra e a queste atrocità", spiega. "È molto chiaro per noi che i media in Israele non mostrano le atrocità che stanno accadendo a Gaza. Il pubblico israeliano ha una percezione molto limitata dei crimini di guerra che avvengono in loro nome”.

Manifesti per sensibilizzare la popolazione sul conflitto a Gaza: sono apparsi alle fermate del bus di Tel Aviv (foto: Standing Together)

Guerrilla-attivismo per svegliare le coscienze

Da due settimane, per sfidare la passività degli israeliani verso la sofferenza palestinese, Standing Together sta affiggendo dei manifesti che raffigurano scene che il pubblico israeliano non vede, o non vuole vedere, abitualmente. Ad esempio, bambini di Gaza affamati, file di bare di soldati israeliani uccisi a Gaza e uno striscione dedicato a tre ostaggi israeliani uccisi per errore dall’Idf (Israeli defence force, l'esercito dello Stato ebraico). Il gruppo ha scelto le fermate degli autobus perché sono spazi pubblici. Voleva qualcosa che obbligasse le persone a guardare.

E a riflettere, forse, su eventi come lo sfogo dell’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon, che ha definito l’attuale operazione militare nel nord di Gaza una pulizia etnica. Quello che, però, è anche il punto di vista di numerosi giornalisti e studiosi internazionali, i media israeliani l’hanno trasformato in uno scandalo.

Sappiamo che i media, o hanno paura di mostrare la realtà, o semplicemente non se ne occupano, concentrandosi solo sulla sofferenza degli israeliani. Ma anche quando si concentrano su quella sofferenza, non mostrano quanto questa guerra stia aggravando tutto, quanto siamo colpiti dal modo in cui il nostro governo agisce e come non solo stiamo causando orribili dolori e sofferenze a Gaza, ma stiamo danneggiando la nostra stessa causa”, dice Patishi.

Pur andando contro la narrazione dominante in Israele durante la campagna a Gaza, Standing Together ha visto una crescita importante dei suoi membri. Tra i nuovi iscritti c'è Manar Qeadan, di origene palestinese: “La mia più grande motivazione sono i problemi della mia famiglia: mio padre non ha diritti né cittadinanza israeliana da quasi 30 anni", racconta a Wired.

Nonostante il vincitore politico dei fatti più recenti continui ad apparire il premier di estrema destra israeliano, Benjamin Netanyahu, che ha fortemente voluto l'escalation regionale con attacchi massicci sul Libano alle infrastrutture di Hezbollah e, di conseguenza, può aver contribuito anche al crollo repentino del regime siriano di Bashar al-Assad, Qeadan sente che la presa del primo ministro sulla società israeliana non è, però, così salda: “Yair Lapid, il principale partito dell’opposizione alla Knesset [il parlamento monocamerale di Israele, ndr], ha detto pochi giorni fa che i media, così come il governo, sono responsabili di nascondere le cose terribili che sono accadute e stanno accadendo durante la guerra”, dice. "Queste dichiarazioni da parte dei leader centristi sono molto importanti, perché tutte queste persone devono essere convinte che la guerra non è vantaggiosa nemmeno per loro".

Un ecosistema mediatico ultranazionalista

Fin dai primi giorni di guerra i media israeliani hanno adottato toni militaristi e ultranazionalisti che ricordano quelli statunitensi dopo l'11 settembre 2001. La maggior parte dei reporter ha cominciato a pubblicare contenuti che sono andati ben oltre il sollevamento del morale del pubblico ma sono sfociati nel vendicativo, nel trucido, nel sadico. Canali televisivi privati come Channel 12, uno dei più visti in Israele, o Channel 13 hanno dato giustificazione a qualsiasi azione dell'Idf e non di rado hanno contribuito alla disinformazione, raffigurando l'intera popolazione di Gaza come terrorista.

C’è un’eccezione significativa: Haaretz, lo storico quotidiano della sinistra israeliana e il più antico del paese. È stato l’unico grande giornale israeliano a documentare gli effetti devastanti della guerra, le sofferenze dei civili e le mattanze commesse dall’esercito israeliano, che hanno contribuito a far emettere un mandato di cattura per Netanyahu dalla Corte Penale Internazionale. Il 24 novembre scorso, come ritorsione, il governo ha annunciato l’eliminazione totale della pubblicità pubblica sul giornale e la cancellazione degli abbonamenti a Haaretz per i dipendenti statali. In Israele la diffusione del foglio progressista è da molto tempo marginale, mentre paradossalmente l’edizione in inglese letta all'estero sembra assumere un peso sempre maggiore.

Con quei manifesti Standing Together sta cercando di dire alla gente che sia la popolazione di Gaza sia quella di Israele stanno soffrendo, anche se in modo non equo. Lo fa senza infrangere alcuna legge, ma con regolare autorizzazione dell'azienda dei trasporti pubblici di Tel Aviv. Standing Together parla un linguaggio moderato, senza mai fare menzione della resistenza violenta come possibile motore politico, e per questo si è preso pure qualche critica dai gruppi più radicali del boicottaggio anti-israeliano.

Una società radicalizzata

Nonostante ciò, i ragazzi dell'organizzazione si sporcano le mani proteggendo anche i civili palestinesi indifesi nella Città Vecchia di Gerusalemme, minacciati da migliaia di coloni violenti durante la cosiddetta Marcia delle bandiere (nota come la "marcia della morte agli arabi"). E Standing Together parla apertamente di occupazione riguardo ai Territori palestinesi, e ha promosso il cessate il fuoco sin da poche settimane dopo l'inizio della guerra: sembra poco, ma è qualcosa che la maggior parte delle organizzazioni di sinistra israeliane, anche moderate, non ha mai preso in considerazione.

L'atto forse più radicale di Standing Together è quello di riconoscere che la responsabilità della situazione non è solo dei media: raccontare dei civili uccisi nelle operazioni dell'IDF è percepito come un atto di tradimento da gran parte della società israeliana, ci spiegano gli attivisti dietro le quinte. È una deriva nazionalista che non deriva dalle pressioni governative, ma dalla radicalizzazione di una larga parte del pubblico. Così i media stessi si autocensurano, venendo meno alla loro funzione primaria. Così la maggior parte degli israeliani continua a concentrarsi sul 7 ottobre, rimanendo intrappolata nella propria narrativa. A senso unico.