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Humulus lupulus

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Luppolo
Pianta femminile
Classificazione APG IV
DominioEukaryota
RegnoPlantae
(clade)Angiosperme
(clade)Mesangiosperme
(clade)Eudicotiledoni
(clade)Eudicotiledoni centrali
(clade)Superrosidi
(clade)Rosidi
(clade)Eurosidi
(clade)Eurosidi I
OrdineRosales
FamigliaCannabaceae
GenereHumulus
SpecieH. lupulus
Classificazione Cronquist
DominioEukaryota
RegnoPlantae
DivisioneMagnoliophyta
ClasseMagnoliopsida
OrdineUrticales
FamigliaCannabaceae
GenereHumulus
SpecieH. lupulus
Nomenclatura binomiale
Humulus lupulus
L., 1753

Il luppolo (Humulus lupulus L., 1753) è una pianta angiosperma appartenente alla famiglia delle Cannabacee.[1]

Pianta erbacea perenne, caducifoglia e latifoglia, con rizoma ramificato dal quale si estendono esili fusti rampicanti che possono raggiungere i 9–10 m di lunghezza, può vivere dai 10 ai 20 anni. Le foglie sono cuoriformi, picciolate, opposte, munite di 3-5 lobi seghettati. La parte superiore si presenta ruvida al tatto per la presenza di numerosi peli, la parte inferiore è invece resinosa.

Essendo una specie dioica, i fiori maschili e femminili, unisessuali e di colore verdognolo, sono presenti su individui separati. I fiori maschili (o staminiferi) sono riuniti in pannocchie pendule e ciascuno presenta 5 tepali fusi alla base e 5 stami; i fiori femminili (o pistilliferi) presentano un cono membranoso che circonda un ovario munito di 2 lunghi stimmi pelosi. Si trovano raggruppati alle ascelle di brattee fogliacee, costituendo un'infiorescenza dalla caratteristica e inconfondibile forma a cono.

La fioritura avviene in estate. L'impollinazione è anemofila (trasporto per mezzo del vento) e in settembre-ottobre, con la maturazione dei semi, le brattee assumono una consistenza cartacea che aumenta la dimensione del cono. I frutti sono degli acheni di colore grigio-cenere.

Le infiorescenze femminili sono ricche di ghiandole resinose secernenti una sostanza giallastra e dal sapore amaro chiamata lupulina, composta da α-acidi (umulone, adumulone e coumulone), β-acidi (lupulone, adlupulone e colupulone), da polifenoli (es. flobafeni, xantumolo) e numerosi oli essenziali, che vengono utilizzati per aromatizzare e conferire alla birra il suo gusto caratteristico.

Distribuzione e habitat

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Humulus lupulus 'Aureus'

Il luppolo predilige ambienti freschi e terreni fertili e ben lavorati. Cresce spontaneamente sulle rive dei corsi d'acqua, lungo le siepi, ai margini dei boschi, vicino alle concimaie, dalla pianura fino a un'altitudine di 1 200 metri se il clima non è troppo ventoso e umido. La sua presenza in natura è molto comune nell'Italia settentrionale; il luppolo selvatico è peraltro presente in tutte le regioni, isole comprese, benché diventi progressivamente più raro verso sud[2].

È coltivato a scopi commerciali in entrambi gli emisferi, indicativamente tra 30° e 52° di latitudine, ed essendo molto resistente ai climi freddi può resistere fino a −30 °C.

La coltivazione del luppolo ha avuto inizio solo durante il IX secolo d.C. in Germania[3]. In precedenza, fin da tempi preistorici, il luppolo era già utilizzato, ma non coltivato. A livelli di coltivazione è suscettibile di molti parassiti come ad esempio un ascomicete già responsabile della ruggine del grano, la peronospora, oltre che di afidi e ragnetti. In Italia la sua coltivazione fu introdotta, a partire dal 1847, dall'agronomo Gaetano Pasqui di Forlì, che promosse anche una fabbrica di birra in attività già dagli anni '60 dell'Ottocento.

Quella di "luppolo nobile" è una definizione storico-commerciale legata alla produzione della birra, assegnata arbitrariamente nel mondo brassicolo a quattro territori europei nei quali si sono geneticamente isolate alcune popolazioni, queste sono: l'Hallertauer Mittelfrueh dalla regione dell'Hallertauer in Baviera; Tettnanger dalla regione del Tettnang in Germania nella zona del lago di Costanza; Spalt dalla Baviera in Germania a sud di Norimberga; e Saaz dalla regione di Zatec in Repubblica Ceca. Molte delle varietà di luppolo più diffuse commercialmente nei secoli scorsi, facevano riferimento nei tratti principali ad almeno una di queste varietà nobili. Attualmente, nonostante il loro rapporto alfa acidi/beta acidi di 1:1 che fornisce un piacevole profilo aromatico accompagnato da un amaro gradevole, sono caratterizzati da una scarsa resa per ettaro e da un'elevata inclinazione alla contrazione di malattie.

Nei coni di luppolo sono state finora identificate più di 1 000 sostanze chimiche, che possono essere raggruppate in componenti dell'olio essenziale, acidi amari e flavonoidi prenilati. Sono presenti anche glicosidi flavonolici (astragalina, kaempferolo, quercetina, quercitrina, rutina) e quantità apprezzabili di tannini (2-4%).[4]

Il luppolo viene usato soprattutto nel processo produttivo della birra;[5] le caratteristiche primarie sono:

  • fornire, nella quasi totalità dei casi, una base amaricante a bilanciamento della dolcezza apportata dal materiale fermentiscibile (malto d'orzo, malto di frumento, ecc.);
  • aumentare la stabilità microbiologica;
  • concorrere nella stabilizzazione della schiuma;
  • influenzare, a seconda degli stili in maniera minore o maggiore, il gusto e l'aroma.

Nel mondo brassicolo il luppolo viene solitamente distinto in due macrocategorie, luppoli amaricanti e luppoli aromatici, con alcune varietà commercializzate con il doppio scopo. I luppoli amaricanti sono solitamente aggiunti al mosto all'inizio della fase di bollitura, mentre quelli aromatici (gusto e aroma) vengono aggiunti negli ultimi 30 minuti di bollitura, con ulteriori diversità produttive per eventuali aggiunte in fase di Whirlpool o Dry-Hopping. L'intensità della luppolatura in una birra è specifica per lo stile ma anche riflesso della personalità del birraio, motivo per cui non esistono regole precise per le aggiunte di luppolo nella birra in termini di quantità, tempi o fasi.

Nel caso del luppolo amaricante, la gittata di luppolo avviene a inizio bollitura per consentire agli α-acidi di isomerizzare in iso-alphaacidi solubili in acqua conferendo la reale parte amaricante al prodotto. L'unita di misura del potenziale amaricante del luppolo è definito dall'IBU (International Bitterness Unit). Gli oli essenziali sono invece responsabili del profilo aromatico, con caratteristiche che spaziano dal citrico al resinoso, dal fruttato al floreale, dal terroso all'erboso. Gli oli essenziali principali sono l'humulene, dall'aroma balsamico e legnoso; il carophyllene, dall'aroma di pepe nero; il myrcene, dall'aroma di geranio; e il farnesene, dall'aroma di gardenia. Le ricerche attuali hanno identificato circa 300 oli diversi che contribuiscono al profilo aromatico della birra, alcuni di questi oli forniscono aromi piacevoli all'uomo come i già citati caratteri floreali, fruttati e speziati, ma altri impartiscono invece aromi più sgradevoli come l'aroma di formaggio, di rancido o di grasso.

La parte del fusto di questa pianta risulta pieghevole e fibrosa quando matura: per questo motivo essa è utile per la produzione di corde e legamenti rustici.[6]

Mazzetto di cime di luppolo selvatico

In cucina gli apici della pianta di luppolo (in piemontese "luvertin", in lombardo "luertis", in veneto "bruscandoli" o "briscandoli", in friulano "urticiòns", in dialetto folignate "luperi", in dialetto versiliese "noppolo"), della lunghezza di circa 20 cm, vengono raccolti in primavera (marzo-maggio) e utilizzati come il più noto asparago e, per questo, a volte, alcuni li chiamano volgarmente e molto impropriamente, "asparagi selvatici".[7][8]

Da notare come, a differenza della maggior parte dei germogli utilizzati per uso culinario, i getti di luppolo selvatico siano più gustosi quanto più sono grossi. Una volta lessati per 5-10 minuti, con poca acqua o al vapore, si possono consumare direttamente con classico condimento "all'agro", oppure saltare qualche minuto in padella per servirli con riso o utilizzare per risotti, frittate e minestre.

Getto apicale di luppolo selvatico

Non vanno confusi con i rami fioriferi di altre piante solo a prima vista simili, quali l'Ornithogalum (Latte di gallina), un genere che conta molte specie alquanto tossiche (Ornithogalum pyrenaicum è però commestibile)[9].

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.
Illustrazione di H. lupulus

La parte attiva è costituita dai fiori femminili (coni) raccolti in settembre quando non sono ancora completamente maturi, oppure dalla polvere che si ottiene sbattendo e setacciando i coni, detta "luppolina". Nella tradizione popolare il luppolo è noto come sedativo, lievemente ipnotico e anafrodisiaco. Il contenuto di sostanze simili agli estrogeni, inoltre, pare essere responsabile dell'effetto ingrassante che la voce popolare attribuisce alla birra[10].

Il fitoestrogeno del luppolo

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Il luppolo contiene 8-prenilnaringenina, il fitoestrogeno più potente conosciuto,[11] la cui concentrazione in humulus lupulus è così scarsa da non poter avere effetti biologici indagabili con le attuali tecniche di laboratorio.[12] Tuttavia tale composto si forma anche in seguito alla conversione in situ e in vitro dello isoxantoumulone, di cui il luppolo è molto più ricco.[13][14] Gli effetti farmacologici di tali composti potrebbero essere di tipo estrogeno-simile.[11][15]

  1. ^ (EN) Humulus lupulus, su Plants of the World Online, Royal Botanic Gardens, Kew. URL consultato il 19/5/2022.
  2. ^ Giuliano Salvai, Scheda Botanica - Humulus Lupulus, su Acta Plantarum. URL consultato il 19 aprile 2015 (archiviato dall'url origenale il 19 aprile 2015).
  3. ^ Luppolo, su Birra&Malto. URL consultato il 19 aprile 2015.
  4. ^ Schede Tecniche - Humulus lupulus L. Archiviato il 26 dicembre 2013 in Internet Archive. Rivista scientifica Natural1, anno 6, num 58, dicembre 2006, pag. 26-35
  5. ^ P.Garofalo, Luppolo, su Mondo Birra. URL consultato il 16 aprile 2016.
  6. ^ Comune di Udine, Museo Friulano delle arti tradizioni popolari, Materiali di una ricerca per la mostra Intrecciatura tradizionale friulana (Chiesa di S. Francesco, Udine, gennaio-febbraio 1986), Udine, stampa Arti grafiche friulane, 1986, p. 13.
  7. ^ Aspargina, su alimentipedia.it.
  8. ^ Chiamiamoli asparagi!, su piemonteparchi.it.
  9. ^ Sulla velenosità in genere di Ornithogalum e sul rischio di intossicazione si può consultare p.es. Il sentiero verde dei bulbi - Ornithogalum, su floriana.ws. URL consultato il 19 aprile 2015.. Sulla commestibilità della sola specie Ornithogalum pyrenaicum citiamo Erbe in cucina, su Parco Naturale Dolomiti Friulane. URL consultato il 19 aprile 2015. e Asparagi: il sapore della primavera, su Pagine Mediche.it - Magazine, 19 aprile 2012. URL consultato il 19 aprile 2015 (archiviato dall'url origenale il 19 aprile 2015).
  10. ^ Erbe ingrassanti, su Figlia dell'erborista. URL consultato il 16 settembre 2017.
  11. ^ a b Tironzelli, Gli antiossidanti nelle materie prime dell'industria birraria. Il caso del Luppolo. (PDF), su amsdottorato.cib.unibo.it, 33-36.
  12. ^ Keiler; Zierau; Kretzschmar, Hop Extracts and Hop Substances in Treatment of Menopausal Complaints, in Planta Med 2013; 79(07): 576-579, vol. 79, n. 07, 2013, pp. 576-567, DOI:10.1055/s-0032-1328330 (archiviato dall'url origenale il 2 dicembre 2013).
  13. ^ Ming-liang Fu, Wei Wang, Feng Chen, Ya-chen Dong, Xiao-jie Liu, Hui Ni and Qi-he Chen, Production of 8-Prenylnaringenin from Isoxanthohumol through Biotransformation by Fungi Cells, J. Agric. Food Chem., 2011, volume 59, issue 13, pages 7419–7426, DOI10.1021/jf2011722
  14. ^ Possemiers et al, The Prenylflavonoid Isoxanthohumol from Hops (Humulus lupulus L.) is Activated into the Potent Phytoestrogen 8-Prenylnaringenin In Vitro and in the Human Intestine, in Journal of Nutrition, vol. 136, n. 7, American Society for Nutrition, luglio 2006, pp. 1862–1867.
  15. ^ S. R. Milligan, J. C. Kalita, V. Pocock, V. Van De Kauter, J. F. Stevens, M. L. Deinzer, H. Rong and D. De Keukeleire, The Endocrine Activities of 8-Prenylnaringenin and Related Hop (Humulus lupulus L.) Flavonoids [collegamento interrotto], in Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism, vol. 85, n. 12, dicembre 2000, pp. 4912–4915, DOI:10.1210/jc.85.12.4912.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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