Art. 1 c. 15*
di
Gianluca La Marca
All’articolo 116, primo comma, del codice civile, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «nonché un
documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano».
L’art. 1 c. 15 l.15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”, ha modificato,
integrandolo, l’art. 116 c.c. in materia di matrimonio contratto in Italia dallo straniero.
Precisamente, alla fine del primo comma del suddetto articolo sono state aggiunte le seguenti parole: “nonché
un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”.
Secondo l’attuale formulazione dell’art. 116 c. 1 c.c., così, “lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello
Stato deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese,
dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio, nonché un documento attestante la
regolarità del soggiorno nel territorio italiano”.
La novella si applica ai procedimenti matrimoniali istaurati dopo la sua entra in vigore (8 agosto 2009) e, per il
principio del tempus regit actum, anche a quelli ancora pendenti alla stessa data: l’ufficiale dello stato civile, quindi,
potrà e dovrà pretendere l’esibizione di “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”
ancorché si tratti di un matrimonio le cui pubblicazioni siano state curate prima dell’8 agosto 2009.
Fino all’entrata in vigore della novella, l’ordinamento non vietava allo straniero irregolare di contrarre
matrimonio nel territorio dello Stato1.
Anzi, era addirittura prevista la possibilità per lo straniero extracomunitario di regolarizzare il proprio
soggiorno attraverso il matrimonio con un cittadino italiano, ovvero di “rafforzare” la regolarità della propria
permanenza attraverso la celebrazione del matrimonio in Italia.
In particolare, a norma dell’art. 19 c. 2 lett. c) d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (come modificato dall’art. 1 c. 22
lett. p) l. 94/2009), non è passibile di espulsione lo straniero convivente con il coniuge di nazionalità italiana 2.
L’operatività di tale divieto di espulsione consente allo straniero di ottenere un permesso di soggiorno per
motivi familiari, secondo quanto disposto dall’art. 28 lett. b) d.p.r. 31 agosto 1999, n. 394 (recante il regolamento
attuativo del testo unico sull’immigrazione).
Così regolarizzato il proprio soggiorno nel territorio 3, lo straniero che conviva con il coniuge italiano (cfr. art.
30 c. 1-bis d.lgs. 286/1998) può successivamente ottenere un ulteriore e diverso permesso di soggiorno per motivi
familiari, purché – ai sensi dell’art. 30 c. 1 lett. b) d.lgs. 286/1998 – sia trascorso almeno un anno dall’avvenuta
regolarizzazione e che il matrimonio sia stato celebrato, per l’appunto, nel territorio dello Stato 4.
*
Scritto pubblicato in TOVANI - TRINCI (a cura di), Il pacchetto sicurezza, Dike Giuridica Editrice, 2010, p. 99 e ss.
1
L’art. 2 c. 1 d.lgs. 286/1998 dispone che “allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti
fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai princìpi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti”, tra i quali rientra certamente il diritto a sposarsi e a costituire una famiglia. La tutela incondizionata dei
diritti fondamentali dello straniero si evince, poi, anche da disposizioni più particolari dello stesso d.lgs. 286/1998, come, tra tutte, l’art. 2 c. 5
relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, e l’art. 35 c. 3 in materia di prestazioni sanitarie indifferibili e urgenti.
In giurisprudenza cfr. Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 2005, n. 1690, in MGCIV 2005, p. 1; Corte cost., sent., 17 luglio 2001, n. 252, in GCIV 2001,
I, p. 2018; si veda anche Trib. Padova, sent., 19 ottobre 2007, M. c. B., in RCDL 2008, p. 718; Trib. Milano, sent., 13 aprile 2007, B. c. A.A., in
RCDL 2007, p. 815, con riguardo al diritto dello straniero irregolare alla retribuzione ex art. 36 Cost. e al diritto, all’occorrenza, di adire l’autorità
giudiziaria ex art. 24 Cost. Laddove si tratti di diritti fondamentali dell’uomo, inoltre, non opera nemmeno la condizione di reciprocità di cui
all’art. 16 disp. prel. c.c. Cfr. Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2008, n. 26063, in RC 2008, p. 963; Trib. Bergamo, sent., 14 marzo 2008, I. c. Soc. Z.,
in DR 2009, p. 73; Trib. Catania, sent., 13 giugno 2005, in FI 2005, I, c. 2573; si veda anche Cass. civ., sez. I, 8 marzo 1999, n. 1951, in R INT
DPP, 2000, p. 130 secondo cui l’art. 16 disp. prel. c.c. non si applica ai diritti attinenti ai rapporti di famiglia.
2
La giurisprudenza si è espressa più volte circa la legittimità costituzionale della norma che limita la causa ostativa dell’espulsione ai soli rapporti
familiari instaurati con cittadini italiani. Cfr. Corte cost., ord., 31 ottobre 2007, n. 361, in GC 2007, p. 5; Corte cost., ord., 14 aprile 2006, n. 158,
in FA-CS 2006, c. 1117; Corte cost., ord., 6 luglio 2001, n. 232, in GC 2001, p. 4. Il matrimonio, poi, opera essenzialmente come presupposto del
divieto di espulsione, cosicché l’art. 19 c. 2 lett. c) d.lgs. 286/1998 non può applicarsi qualora il matrimonio sia contratto dopo l’emissione del
relativo provvedimento. Così Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2006, n. 16208, in MGCIV 2006, p. 9; Cass. civ., sez. I, 11 luglio 2006, n. 15753,
entrambe in MGCIV 2006, 9; Cass. civ., sez. I, 27 agosto 2003 n. 12540, in MGCIV 2003, pp. 7-8. Il successivo matrimonio, quindi, non
determina l’automatica caducazione del decreto di espulsione, consentendo soltanto di neutralizzarne temporaneamente l’esecuzione. Cfr. TAR
Marche, sez. I, 27 gennaio 2006, n. 10, in FA-TAR 2006, c. 111.
3
La giurisprudenza amministrativa, infatti, ritiene che l’istituto del divieto di espulsione di cui all’art. 19 d.lgs. 286/1998 non conferisca di per sé
alcun titolo per soggiornare legittimamente in Italia. Cfr. TAR Lazio, sez. I, 12 gennaio 2006, n. 280, in FA-TAR 2006, c. 128; TAR Lazio sez. I, 1
febbraio 2006, n. 742, in FA-TAR 2006, c. 555, con riferimento specifico all’ipotesi di divieto per motivi persecutori.
4
Per gli effetti di cui all’art. 19 c. 2 lett. c) d.lgs. 286/1998, invece, è sufficiente che il matrimonio sia stato contratto con un cittadino italiano,
dunque anche fuori del territorio dello Stato. Così Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2001, n. 5537, in GCIV 2001, I, p. 2379.
Tale permesso, rispetto a quello dell’art. 28 lett. b) d.p.r. 394/1999, garantisce una maggiore stabilità del
soggiorno regolare dello straniero, specie per la possibilità di beneficiare del trattamento di favore di cui al comma 5
dello stesso art. 30 d.lgs. 286/19985.
Alle medesime condizioni, per di più, lo straniero extracomunitario può ottenere il permesso di cui all’art. 30 c.
1 lett. b) d.lgs. 286/1998 anche se ha contratto matrimonio in Italia con un cittadino di un altro Stato membro
dell’Unione Europea o con uno straniero già regolarmente soggiornante nel territorio.
La piena regolarizzazione dello straniero extracomunitario, poi, sarebbe ancora più facile se, in ipotesi,
risultasse applicabile la disciplina di maggior favore prevista per il cittadino comunitario: l’art. 23 d.lgs. 6 febbraio
2007, n. 30, infatti, prevede che “le disposizioni del presente decreto legislativo, se più favorevoli, si applicano ai
familiari di cittadini italiani non aventi la cittadinanza italiana”6.
Dunque, il coniuge straniero di cittadino italiano (cfr. art. 1 lett. b) n. 1 d.lgs. 30/2007), qualunque sia la sua
nazionalità, può beneficiare dello stesso trattamento riservato al cittadino comunitario, che in specie potrebbe
risultare più favorevole per il sol fatto che il coniuge extracomunitario sarebbe sollevato dall’onere di richiedere il
permesso di soggiorno di cui all’art. 28 lett. b) d.p.r. 394/1999 e/o l’omonimo permesso di soggiorno di cui all’art. 30
c. 1 lett. b) d.lgs. 286/1998 (cfr. artt. 6, 7 e 14 d.lgs. 30/2007)7.
Inoltre, ai sensi dell’art. 5 l. 5 febbraio 1992, n. 91 (modificato in peius dall’art. 1 c. 11 l. 94/2009), il
matrimonio permette al coniuge straniero di cittadino italiano di acquistare a sua volta la cittadinanza italiana, anche
con il semplice decorso di un certo lasso di tempo dopo la celebrazione del matrimonio stesso 8.
In ogni caso, tutti gli istituti finalizzati alla regolarizzazione dello straniero sposatosi in Italia e/o con un
cittadino italiano non impediscono l’espulsione di questi, ovvero il diniego del titolo di soggiorno, qualora vi siano
motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato ai sensi dell’art. 13 c. 1 d.lgs. 286/1998 9 (cfr. incipit dell’art. 19
c. 2 d.lgs. 286/1998; nonché art. 5 c. 5-bis d.lgs. 286/1998, modificato dall’art. 1 c. 22 lett. d) l. 94/2009) e dell’art.
20 d.lgs. 30/2007 per quanto riguarda lo straniero comunitario; così come l’acquisto della cittadinanza italiana può
essere negato in presenza di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica (art. 6 c. 1 lett. c) l. 91/1992).
5
Secondo TAR Veneto, sez. III, 21 gennaio 2008, n. 140, in FA-TAR 2008, c. 55, benché anche il permesso ex art. 28 lett. b) d.p.r. 394/1999
venga parimenti qualificato come permesso di soggiorno per motivi familiari, la rubrica dell’articolo chiarisce che esso appartiene alla speciale
categoria dei permessi temporanei concessi agli stranieri “per i quali sono vietati l’espulsione o il respingimento”. Pertanto, le significative
differenze che si rilevano tra il permesso ex art. 30 d.lgs. 286/1998 e il permesso ex art. 28 lett. b) d.p.r. n. 394/1999, impediscono l’estensione alla
fattispecie di cui all’art. 19 c. 2 lett. c) d.lgs. 286/1998, nel caso di cessazione della convivenza, della norma di favore di cui all’art. 30 c. 5 d.lgs.
286/1998.
6
Una previsione analoga, invero, era già contenuta nell’art. 28 c. 2 d.lgs. 286/1998, a tenore del quale “ai familiari stranieri di cittadini italiani o
di uno Stato membro dell’Unione Europea continuano ad applicarsi le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre
1965, n. 1656 [n materia, per l’appunto, di circolazione e soggiorno in Italia dei cittadini comunitari], fatte salve quelle più favorevoli del presente
testo unico o del regolamento di attuazione”. Sulle vicende interpretative che hanno interessato la previsione in argomento si rinvia a PERIN, La
disciplina applicabile ai coniugi stranieri di cittadini italiani: chiarimenti giurisprudenziali e nuovi interrogativi, in DIC 4/2007, pp. 72 ss. Infine,
è opinione di LANG, Le modifiche al decreto legislativo n. 30 del 2007 sui cittadini comunitari, in DIC 3-4/2008, p. 123 che la previsione opposta,
ossia l’applicabilità delle disposizioni più favorevoli del d.lgs. 286/1998 ai cittadini comunitari (es.: il divieto di espulsione di cui all’art. 19 c. 2
lett. c) d.lgs. 286/1998), sia stata eliminata dal secondo comma dell’art. 37 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla l. 6
agosto 2008, n. 133, che ha modificato l’art. 1 c. 2 d.lgs. 286/1998 proprio nella parte relativa.
7
Secondo la giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Reggio Emilia, ord., 12 luglio 2007, in DIC 2007, p. 146; Trib. Torino, decr., 11 luglio 2007, in
DIC 2007, p. 143; TAR Piemonte, 16 maggio 2007, n. 2676, in DIC 2007, p. 156; Trib. Padova, sez. Cittadella, ord., 18 marzo 2005, in DIC 2007,
p. 154) e in conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle comunità europee (CGCE, sent., 13 febbraio 1985, C-267/83, in GCIV
1986, I, p. 2318), il requisito della convivenza non sarebbe richiesto dalla normativa vigente per il cittadino comunitario; sicché anche in questo si
riscontrerebbe una disciplina più favorevole rispetto a quella dell’art. 28 lett. b) d.p.r. 394/1999 e dell’art. 30 c. 1 lett. b) d.lgs. 286/1998. Si ritiene,
però, più condivisibile la diversa opinione espressa dalla Corte di Cassazione, secondo cui la necessità del requisito della convivenza non
contrasterebbe “con il principio di diritto comunitario che vieta ad uno Stato membro di negare il permesso di soggiorno e di adottare misure di
espulsione nei confronti del cittadino di un Paese terzo che possa fornire la prova della sua identità e del suo matrimonio con un cittadino di uno
Stato membro, per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel suo territorio, essendo tale principio volto ad assicurare la tutela della vita
familiare dei cittadini degli Stati membri, la quale postula proprio quella convivenza che il legislatore interno ha legittimamente eretto a
parametro di meritevolezza della tutela accordata”. Cfr. Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2006, n. 23598, in FI 2007, c. 1500.
8
Cfr., da ultimo, TAR Lombardia, sez. III, 19 settembre 2008, n. 4085, in FA-TAR 2008, c. 2355, secondo cui l’acquisto della cittadinanza da
parte del coniuge di cittadino italiano comporta l’espletamento da parte della PA di attività vincolata, sebbene tale attività non consista
nell’accertamento del mero dato formale della celebrazione del matrimonio, ma anche della conseguente instaurazione di un vero e proprio
rapporto coniugale, tale da dimostrare l’integrazione dello straniero nel tessuto sociale e civile nazionale. Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre
2007, n. 6526, in VN 2007, p. 1134.
9
Cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 3 Marzo 2007, n. 1024, in www.iureproprio.it in data 30 luglio 2009, che ritiene legittima, al fine di tutelare
l’ordine pubblico e sicurezza dello Stato, l’espulsione della cittadina extracomunitaria regolare che svolga sul territorio attività illecita.
Il nuovo art. 116 c. 1 c.c.10, invece, stabilisce che lo straniero intenzionato a sposarsi in Italia deve presentare
all’ufficiale dello stato civile, oltre al nulla osta rilasciato dall’autorità competente del proprio Paese, anche “ un
documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”11.
Invero, tale documento non sembra coincidere con il titolo autorizzativo del soggiorno nel territorio: esso,
piuttosto, consiste nel documento idoneo a dimostrare il diritto dello straniero a soggiornare regolarmente in Italia.
Con riguardo allo straniero extracomunitario, i due tipi documentali si sovrappongono funzionalmente: egli
dovrà quindi esibire il titolo di soggiorno in suo possesso tra quelli disciplinati dalla normativa di settore.
In proposito, l’art. 5 c. 8-bis d.lgs. 286/1998 ne contiene un elenco esemplificativo: a) il visto di ingresso o di
reingresso (art. 4 d.lgs. 286/1998); b) il permesso di soggiorno (art. 5 d.lgs. 286/1998); c) il contratto di soggiorno
(art. 5-bis d.lgs. 286/1998); d) il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, ex artt. 9 e 9-bis d.lgs.
286/1998, che ha sostituito la carta di soggiorno ai sensi dell’art. 1 lett. a) d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 312.
Si aggiungano, poi: e) la carta di soggiorno per il familiare extracomunitario di un cittadino comunitario (art.
10 d.lgs. 30/2007); f) nonché, in caso di soggiorno non superiore a tre mesi, il documento di viaggio munito
dell’impronta del timbro “Schengen” apposto dall’autorità di frontiera, ovvero la copia della dichiarazione di
presenza resa al questore territorialmente competente (art. 1 c. 2 l. 28 maggio 2007, n. 68).
Si ritiene sufficiente, allo scopo, anche la ricevuta rilasciata dalla Questura nelle more del procedimento di
rilascio del titolo autorizzativo (cfr. art. 9 c. 7 d.p.r. 394/1999), compresa la medesima ricevuta rilasciata dall’ufficio
postale13.
Con riguardo allo straniero comunitario, invece, è noto come questi non abbia bisogno di alcun titolo
autorizzativo per soggiornare in Italia, in virtù del principio di libera circolazione dei cittadini comunitari nell’ambito
degli Stati membri.
Pertanto, il documento in grado di attestare la regolarità del suo soggiorno in Italia è costituito: a) dal
documento di identità, rilasciato dall’autorità competente dello Stato membro di appartenenza, che sia valido anche
per l’espatrio (art. 6 d.lgs. 30/2007); b) ovvero, in caso di soggiorno per un periodo superiore a tre mesi,
dall’attestazione di iscrizione anagrafica ai sensi della l. 24 dicembre 1954, n. 1228 e del d.p.r. 30 maggio 1989, n.
223 (art. 9 c. 1 e 2 d.lgs. 30/2007).
Qualora lo straniero comunitario fosse titolare del diritto di soggiorno permanente a norma dell’art. 14 d.lgs.
30/2007, egli potrà presentare anche il relativo attestato (cfr. art. 16 d.lgs. 30/2007).
Ad ogni modo, la condizione di soggiornante regolare in cui deve trovarsi necessariamente lo straniero per
poter contrarre matrimonio in Italia non esclude che, mercé lo stesso matrimonio, egli possa beneficiare della
disciplina di favore prevista dall’ordinamento.
Infatti, rimane pur sempre operativo il divieto di espulsione di cui all’art. 19 c. 2 lett. c) d.lgs. 286/1998, così
come è ancora possibile richiedere il permesso di soggiorno per motivi familiari (ex art. 28 lett. b) d.p.r. 394/1999
ovvero ex art. 30 c. 1 lett. b) d.lgs. 286/1998) ovvero beneficiare del trattamento riservato al cittadino comunitario se
più favorevole nel caso concreto (ex art. 23 d.lgs. 30/2007)14; sebbene tali istituti siano ormai marginati alle sole
ipotesi di irregolarità sopravvenuta del coniuge straniero (es.: nelle more tra la scadenza e la richiesta di rinnovo del
titolo di soggiorno origenario).
Secondo l’opinione dominante formatasi prima della novella, la violazione dell’art. 116 c. 1 c.c. – ossia la
mancata presentazione del nulla osta alla celebrazione del matrimonio dello straniero in Italia – non determina
l’invalidità del vincolo matrimoniale, ma soltanto un illecito amministrativo punibile a norma dell’art. 138 c.c. 15: non
10
Taluni autori hanno affermato che l’art. 116 c.c. debba ritenersi tacitamente abrogato per via dell’art. 2 c. 5 d.lgs. 286/1998, a tenore del quale
“allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino […] nei rapporti con la pubblica amministrazione”. Così CERASE, …la
condizione dello straniero regolarmente soggiornante, in CALLAIOLI–CERASE, Il Testo Unico delle disposizioni sull’immigrazione e delle norme
sulla condizione dello straniero: una legge organica per la programmazione dei flussi, il contrasto alla criminalità e la lotta alla discriminazione ,
in LP 1999, p. 266. Tuttavia, il dato stesso della modifica dell’art. 116 c.c. è sufficiente a dimostrare il contrario.
11
Non essendo previsto diversamente, l’art. 116 c.c. non si applica al matrimonio concordatario. Così Cass. civ., 29 ottobre 1971, n. 3041, in R
INT DPP 1972, p. 294; Cass. civ., sez. un., 12 marzo 1970, n. 635, in GI 1970, I, 1, p. 1019. Cfr. anche Cass. civ., sez. I, 6 marzo 1979, n. 1403, in
MGCIV 1979, p. 3. Con riguardo al matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato, invece, l’applicabilità dell’art. 116 c.c.
discenderebbe dal rinvio generale contenuto nell’art. 83 c.c., fatte salve le normative speciali concernenti tale matrimonio.
12
Cfr., in termini, DEGL’INNOCENTI, Contraffazione ed alterazione di documenti di ingresso e soggiorno, in DEGL’INNOCENTI (a cura di), Stranieri
irregolari e diritto penale, Milano, 2008, pp. 3 ss.
13
Dello stesso avviso è la circolare del Ministero dell’interno – Dipartimento per gli Affari interni e territoriali, 7 agosto 2009, n. 19, alla quale si
rinvia per un elenco più dettagliato dei documenti idonei ad attestare la regolare permanenza dello straniero nubendo in Italia.
14
Si pensi, per esempio, al coniuge extracomunitario di cittadino italiano che risulta passibile di allontanamento ai sensi dell’art. 21 d.lgs. 30/2007
perché non dispone più di risorse economiche sufficienti a soggiornare in Italia (art. 7 c. 1 lett. b) d.lgs. 30/2007): in questo caso, il divieto di
espulsione di cui all’art. 19 c. 2 lett. c) d.lgs. 286/1998 potrebbe costituire una disposizione più favorevole, e quindi applicabile in vece della
disciplina comunitaria, qualora per lo straniero interessato risultasse più agevole dimostrare l’effettiva convivenza con il proprio coniuge italiano
piuttosto che reperire nuove e sufficienti fonti di guadagno per evitare l’allontanamento dal territorio. E ciò a maggior ragione se si concludesse
per la necessità del requisito della convivenza anche nell’ambito della disciplina comunitaria.
si rinvengono, al riguardo, sufficienti ragioni per discostarsi dalla medesima conclusione qualora lo straniero non
presentasse il documento attestante la regolarità del proprio soggiorno nel territorio.
Più dubbia, invece, è l’ipotesi in cui la mancata presentazione di tale documento, ovvero la presentazione di un
documento falsamente attestante il suo regolare soggiorno nel territorio, abbia fatto seguito all’effettiva condizione di
clandestinità in cui lo straniero si trovava.
In primis, conta sottolineare come il legislatore abbia introdotto, di fatto, il divieto di contrarre matrimonio in
Italia da parte dello straniero clandestino. Sussistendo l’obbligo di esibire un documento attestante il soggiorno
regolare nel territorio, si capisce come lo straniero che intenda sposarsi in Italia debba soggiornarvi regolarmente, nel
rispetto di quanto prescritto dalla legge italiana. Cosicché, in caso contrario, l’ufficiale dello stato civile potrà
legittimamente rifiutare le pubblicazioni (ex art. 98 c.c.)16 e, in caso di irregolarità sopravvenuta, anche la
celebrazione del matrimonio (ex art. 112 c.c.)17.
Nondimeno, benché vada riconosciuta la natura di norma di applicazione necessaria del novello divieto (ex art.
17 l. 31 maggio 1995, n. 218), alla stregua di quanto previsto espressamente per gli artt. 85, 86, 87 nn. 1, 2 e 4, 88 e
89 c.c. (art. 116 c. 2 c.c.), ovvero pur anche se si affermasse che lo stesso divieto risponda a prerogative di tutela
dell’ordine pubblico interno tale da escludere, a norma dell’art. 16 l. 218/1995, l’applicabilità della legge straniera in
vece della legge italiana, la nullità del matrimonio contratto in Italia da uno straniero irregolare rimane ancora
indimostrata.
Infatti, a differenza di quanto previsto in materia contrattuale/patrimoniale (cfr. art. 1418 c. 1 c.c.), le ipotesi di
invalidità del matrimonio devono ritenersi tassative, non rinvenendosi nell’ordinamento un analogo principio
secondo cui, in mancanza di una previsione espressa, l’atto matrimoniale è invalido qualora sia compiuto in
violazione di una norma imperativa o risulti, comunque, contrario all’ordine pubblico 18.
Peraltro, si noti che tra le cause di nullità del matrimonio (artt. 117 ss. c.c.) risulta già esclusa la violazione
dell’art. 89 c.c. (cfr. art. 140 c.c.) 19, ossia di una norma altrettanto di applicazione necessaria al matrimonio dello
straniero in Italia (art. 116 c. 2 c.c.).
Per tutti questi motivi si ritiene che il matrimonio contratto in condizioni di clandestinità dello straniero sia
pienamente valido ed efficace, sebbene debba dirsi “irregolare” a causa della inevitabile violazione dell’art. 116 c. 1
c.c.20. Con l’interessante conseguenza che, in tale ipotesi, gli istituti finalizzati alla regolarizzazione dello straniero
sposatosi in Italia e/o con un cittadino italiano recuperano l’origenaria pienezza del loro ambito operativo.
Ma la intesa conservazione del matrimonio celebrato contra art. 116 c. 1 c.c., oltre a confermare il favor
matrimonii che permea l’intera disciplina, contribuisce solo a smorzare, forse, i dubbi di legittimità costituzionale
che avvolgono la novella in commento.
Il matrimonio, inteso come diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, è considerato un diritto fondamentale
dell’uomo, tanto nell’ordinamento italiano (cfr. artt. 2 e 29 Cost.) quanto in sede internazionale 21.
15
Così SANTOSUOSSO, sub art. 116, in Commentario del codice civile, Torino, 1981, p. 285. Vedi anche ROMA, sub art. 116, in CIAN-TRABUCCHI (a
cura di), Codice civile, Padova, 2007, p. 213 e i riferimenti ivi citati.
16
Cfr. Trib. Treviso, 15 aprile 1997, in RFI, voce Matrimonio, 1997, c. 97; Trib. Pisa, 31 maggio 1996, in RFI, voce Matrimonio, 1997, c. 96;
Trib. Roma, 28 giugno 1980, G., in FI 1981, I, c. 869.
17
Laddove sopraggiungano alla pubblicazione, tra le cause ammesse dalla legge di cui discorre l’art. 112 c.c. rientrano le stesse per le quali
l’ufficiale dello stato civile può rifiutare le pubblicazioni ai sensi dell’art. 98 c.c. Si veda FINOCCHIARO, Del matrimonio, II, in SCIALOJA–BRANCA (a
cura di), Commentario al codice civile, Bologna-Roma, 1993, p. 94.
18
Invero, la giurisprudenza (Cass. civ., 20 ottobre 1959, n. 2987, in FI 1959, I, c. 1826; Trib. Modena, 23 gennaio 1987, in FI 1988, I, c. 966;
Trib. Milano, 24 ottobre 1974, in FPAD 1975, I, c. 31) e la dottrina oggi prevalente ( VITALI, L’invalidità del matrimonio civile. Nullità e
annullabilità, in BONILINI–CATTANEO (a cura di), Il diritto di famiglia, I, Torino, 2007, pp. 391 ss.; FERRANDO, Il matrimonio, in CICU–MESSINEO (a cura
di), Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 2002, pp. 552 e 553) ritengono che anche in materia matrimoniale la sanzione della nullità
vada comminata a seguito della violazione di una norma imperativa. A ben vedere, però, i casi da questi trattati (celebrazione per procura
formalmente invalida; matrimonio ioci causa; simulazione assoluta di matrimonio) non fanno riferimento alla violazione di norme imperative,
bensì alla mancanza di un elemento essenziale del matrimonio-atto (rispettivamente, la forma e il consenso). In questi casi, allora, si può meglio
ragionare in termini di applicazione analogica del combinato disposto degli artt. 1325 e 1418 c. 2 c.c., e non dell’art. 1418 c. 1 c.c.; e quindi non di
nullità virtuali del matrimonio, ma di nullità testuali generiche del negozio matrimoniale (art. 1418 c. 2 c.c.).
19
FERRANDO, Il matrimonio, cit., p. 553.
20
Leggi, in argomento, FRANCESCHELLI, Invalidità del matrimonio, matrimonio valido, matrimonio irregolare, in RESCIGNO (a cura di), Trattato di
diritto privato, vol. II, Torino, 1982, pp. 641 ss.
21
Cfr. art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (C.E.D.U.), a cui fa un richiamo generale l’art. 6, par. 2,
Trattato UE; nonché art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (c.d. Carta di Nizza). Tali fonti, però, rimandano alle singole
leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. È incondizionato, invece, il riconoscimento contenuto nell’art. 23, par. 2, del Patto internazionale
sui diritti civili e politici e, ancora prima, nell’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, al cui par. 1 si precisa che “uomini e
donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione […]”.
“La libertà di sposarsi (o di non sposarsi) e di scegliere il coniuge autonomamente – ha ricordato di recente il
Tribunale di Venezia – riguarda la sfera dell’autonomia e dell’individualità ed è quindi una scelta sulla quale lo
Stato non può interferire, a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili”22.
L’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato rappresentano interessi meritevoli di tutela che, di certo, possono
essere perseguiti anche mediante il controllo dei flussi immigratori nel territorio 23.
Tuttavia, il giudizio di prevalenza di un interesse contro un altro non può giovarsi dell’aforisma machiavelliano
secondo cui “il fine giustifica i mezzi”, ma deve ispirarsi, piuttosto, alla regola del “minimo mezzo” in cui si esprime
il principio di ragionevolezza dell’intervento normativo (art. 3 Cost.) 24.
Ora, la ratio della novella sembra essere quella di impedire l’utilizzo fraudolento dell’istituto matrimoniale,
affinché non venga utilizzato come facile espediente per ottenere un titolo di lecito soggiorno in Italia senza che,
successivamente, alla formale celebrazione del matrimonio faccia seguito un effettivo rapporto familiare tra i
coniugi.
Se l’obiettivo perseguito dal legislatore, però, è stato quello di impedire matrimoni di comodo, celebrati al solo
fine di regolarizzare lo status di soggiornante del coniuge straniero, il risultato conseguito appare decisamente
sovrabbondante; il mezzo sembra aver superato il fine e, quindi, non essere quello “minimo” che possa giustificare la
limitazione della libertà fondamentale di sposarsi e di costituire una famiglia.
Intanto perché il divieto di contrarre matrimonio in Italia in stato di clandestinità opera anche laddove lo
straniero irregolare intenda convolare a nozze con un altro straniero irregolarmente soggiornante in Italia, nella cui
ipotesi non vi sarebbe alcun pericolo di strumentalizzazione dell’istituto matrimoniale.
Ma soprattutto, il legislatore ha di fatto introdotto una sorta di presunzione assoluta di utilizzo fraudolento del
matrimonio da parte dello straniero clandestino, come se l’unica ragione per contrarre matrimonio in Italia fosse
quella di regolarizzarvi la permanenza.
A parte il fatto che, almeno con riguardo al divieto di espulsione di cui all’art. 19 c. 2 lett. c) d.lgs. 286/1998,
l’utilizzo fraudolento del matrimonio potrebbe effettuarsi semplicemente sposandosi all’estero 25, un meccanismo
presuntivo siffatto non è accettabile se ne deriva la compressione di un diritto fondamentale della persona, soprattutto
qualora vi siano strumenti alternativi che siano in grado di garantire il medesimo scopo, e ancor di più quando tali
meccanismi siano già operativi nel sistema.
Si allude alle misure della esclusione e della decadenza dai benefici di regolarizzazione del coniuge straniero
qualora venga accertato che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza, proprio come è già previsto d all’art.
19 c. 2 lett. c) d.lgs. 286/1998 o dall’art. 30 c. 1-bis d.lgs. 286/199826.
Con ciò si intende avvalorare la legittimità di quelle previsioni normative che, per l’appunto, subordinano la
regolarità del coniuge straniero all’effettiva convivenza tra i due coniugi.
L’effettività del rapporto familiare tra i coniugi – che riempie di contenuto il matrimonio e che, più in generale,
si esprime nel concetto di “convivenza” – è il valore primario sotteso alla formale celebrazione del matrimonio; che
come tale, quindi, merita di essere salvaguardata anche a discapito del diritto di unirsi nel vincolo di coniugio.
L’oggetto della tutela, in altri termini, non sarebbe tanto il matrimonio-atto, quanto il bene inscindibile della
vita coniugale, unitariamente considerata sia nel presupposto del matrimonio che nello svolgimento della
convivenza; la sintesi tra il matrimonio-atto e il matrimonio-rapporto a tutela della quale è possibile stabilire limiti al
diritto di unirsi in matrimonio (cfr. art. 29 c. 2 Cost.) purché rispondano a ragionevolezza (art. 3 Cost.) 27.
Nel caso di specie, dunque, si ritiene che tale bilanciamento di interessi uguali e contrapposti (tra la libertà di
matrimonio e la libertà di circolazione delle persone) sia conforme al parametro di ragionevolezza di cui all’art. 3
Cost., nonché rispettoso del diritto comunitario in materia28.
22
Trib. Venezia, sent., 3 aprile 2009, in GM 2009, p. 1839, sulla nota rimessione alla Consulta della questione di legittimità costituzionale
concernente il diritto al matrimonio tra omosessuali.
23
Anche le fonti internazionali ne danno atto: cfr. art. 2 parr. 3 e 4 del Protocollo addizionale n. 4 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
art. 12 par. 3 del Patto internazionale sui diritti civili e politici; lo stesso Trattato CE, all’art. 39 par. 3.
24
Per tutte, Corte cost., sent., 26 maggio 2006, n. 206, in GC 2006, p. 3.
25
Cfr. Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2001, cit. Di talché, la novella in esame non solo risulta eccessiva per un verso, ma si mostra insufficiente per
l’altro verso.
26
Al di là dei dubbi suscitati dalle specifiche norme, lo stesso BONETTI, Diritto all’unità familiare e tutela dei minori. Profili generali e
costituzionali, in NASCIMBENE (a cura di), Diritto degli stranieri, Padova, 2004, pp. 883 e 884, già auspicava una riforma analoga della disciplina
della celebrazione del matrimonio dello straniero in Italia.
27
Cfr. anche l’art. 123 c.c., in materia di matrimonio simulato.
28
Così Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2006, cit. Non è dello stesso avviso PERIN, La disciplina, cit., p. 80, nota 28, che condivide il ragionamento
sviluppato dal Trib. Reggio Emilia, ord., 12 luglio 2007, cit. secondo cui ravvisare nella convivenza tra i coniugi un presupposto per la
regolarizzazione del soggiorno nel territorio significherebbe legittimare “un “principio di dipendenza” dei diritti fondamentali di una persona
dalle scelte di un terzo, di problematica compatibilità con il principio di autonomia e di dignità della persona”. Non si può ignorare, tuttavia, che
il diritto al matrimonio – da cui discende il diritto a soggiornare in Italia se l’altro coniuge è regolarmente soggiornante, a vario titolo, nel territorio
– riguarda sì la sfera dell’autonomia e dell’individualità della persona, ma che si esprime necessariamente in una scelta condivisa con il proprio
partner. Se allora si ammette la legittimità del presupposto maritale (cfr., in termini, anche la recentissima Cass. civ., sez. I, 6 luglio 2009, n.
Certamente le difficoltà di un’attività accertativa come quella auspicata – e che, come si è detto, era già prevista
dall’ordinamento – sono di gran lunga maggiori rispetto a quelle, pressoché nulle, di un meccanismo presuntivo iuris
et de iure.
Ma è altrettanto certo che il legislatore non può imputare all’esercizio di una libertà fondamentale come quella
matrimoniale lo sconto di un sistema di accertamento e repressione amministrativa inefficiente. Pena la cassazione
della norma per violazione dell’art. 3 Cost.
Tale violazione, poi, determinerebbe a sua volta la violazione dell’art. 2 Cost. (“ La Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua
personalità […]”) e dell’art. 29 Cost. (“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale
fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti
stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.”), in pregiudizio, peraltro, anche del cittadino italiano che
intenda sposarsi in Italia con uno straniero irregolare; nonché, nel caso di specie, anche dell’art. 10 c. 2 Cost. (“La
condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.”)29.
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15835, in www.iureproprio.it in data 30 luglio 2009, che ripropone la tesi sviluppata dai Giudici di Palazzo della Consulta già nell’ordinanza 20
luglio 2000, n. 313, in GC 2000, p. 2367), non può non ammettersi la legittimità del presupposto della convivenza.
29
Come accennato, riconoscere la validità del matrimonio celebrato in violazione dell’art. 116 c. 1 c.c. può servire, da un lato, a limitare gli effetti
nocivi della novella; benché, dall’altro lato, tali effetti risultino addirittura amplificati da altre disposizioni della l. 94/2009: per esempio l’art. 1 c.
22 lett. g) l. 94/2009, che al secondo comma dell’art. 6 d.lgs. 286/1998 ha eliminato i provvedimenti inerenti agli atti dello stato civile tra quelli
per il cui ottenimento lo straniero è esonerato dall’esibizione del titolo di soggiorno; ovvero, più in generale, l’art. 1 c. 22 lett. b) l. 94/2009, che ha
inserito il comma 2-ter all’art. 5 d.lgs. 286/1998 ai sensi del quale “la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al
versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80 e un massimo di 200 euro con decreto del Ministro dell’economia e delle
finanze, di concerto con il Ministro dell’interno […]”; nonché l’art. 1 c. 25 l. 94/2009, per cui il nuovo art. 4-bis d.lgs. 286/1998 prevede
un’ulteriore condizione per il rilascio del permesso di soggiorno consistente nella stipula del c.d. “Accordo di integrazione” (“[…] La stipula
dell’Accordo di integrazione rappresenta condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno [...]”).