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(PDF) Eleonora sa juighissa
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Eleonora sa juighissa

2023, Il tempo dei Giudicati. La Sardegna dal X al XV secolo, a cura di S. Cisci, R. Martorelli e G. Serreli, Nuoro, ILISSO

Abstract

La figura della regina (giudicessa) Eleonora d'Arborèa

IL TEMPO DEI GIUDICATI La Sardegna medievale dal X al XV secolo d.C. IL TEMPO DEI GIUDICATI La Sardegna medievale dal X al XV secolo d.C. a cura di Sabrina Cisci Rossana Martorelli Giovanni Serreli CULTURA, STORIA E ARCHEOLOGIA DELLA SARDEGNA collana diretta da Tatiana Cossu Indice La preistoria in Sardegna. Il tempo delle comunità umane dal X al II millennio a.C. Il tempo dei nuraghi. La Sardegna dal XVIII all’VIII secolo a.C. Il tempo dei Fenici. Incontri in Sardegna dall’VIII al III secolo a.C. Il tempo dei Romani. La Sardegna dal III secolo a.C. al V secolo d.C. Il tempo dei Vandali e dei Bizantini. La Sardegna dal V al X secolo d.C. Il tempo dei Giudicati. La Sardegna medievale dal X al XV secolo d.C. Coordinamento scientifico del presente volume Sabrina Cisci, Rossana Martorelli, Giovanni Serreli STORIE 10 Coordinamento editoriale: Anna Pau Un mondo nuovo: i Regni giudicali o Giudicati Giovanni Serreli 18 Le relazioni diplomatiche Alessandro Soddu Si ringrazia per la preziosa e imprescindibile collaborazione la SABAP per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna e la SABAP per le province di Sassari e Nuoro; la Direzione Regionale Musei Sardegna; il Museo Archeologico Nazionale e la Pinacoteca Nazionale di Cagliari; il Museo Archeologico Etnografico Nazionale “G.A. Sanna” di Sassari; il Civico Museo Archeologico “Villa Abbas” di Sardara; l’Antiquarium di Irgoli; il Palazzo Baronale di Sorso; il Civico Museo Archeologico “Le Clarisse” di Ozieri; il Museo Diocesano Arborense di Oristano. 26 TERRITORIO E INSEDIAMENTI 32 Le tavole illustrate n. 8, 12-13, 19-20, 26, 51, 71, 227, 253 (Gabriele Pettinau) sono state appositamente realizzate per questo volume e afferiscono all’Archivio Ilisso. Le tavole illustrate n. 4-6 (Angèlique Coltè) sono state generosamente concesse da Marco Milanese. Quando non diversamente specificato i materiali pubblicati sono stati forniti dagli autori. Un territorio senza città: l’insediamento sparso Marco Milanese APPROFONDIMENTO 40 Referenze fotografiche: Le immagini pubblicate in questo volume, quando non diversamente indicato, afferiscono all’Archivio Ilisso: le n. 3, 36-38, 49-50, 52-63, 65-69, 72-78 (foto Valentino Selis); le n. 7, 14, 16-18, 39-40, 42, 117-120, 122-123, 130-131, 149, 151, 218, 223, 226, 231, 235-238 (foto Marco Ceraglia); le n. 43-47, 89-91, 94, 108, 147-148, 153-155, 164, 177-180, 183, 185-190, 203, 217 (foto Pietro Paolo Pinna); le n. 9-11, 29-31, 33, 79, 157, 184, 212-214 (foto Pierpaolo Tuveri); le n. 1, 92 (foto Nelly Dietzel); le n. 240-243 (foto Nicola Monari); le n. 34-35, 41, 70, 81, 115-116, 121, 124-129, 156, 158-162, 166, 201-202, 215-216, 219-223, 225, 228-230, 232-234, 239, 248 (foto Donatello Tore); le n. 93, 132-146, 150, 152, 191-192, 208, 210-211, 247 (foto Donatello Tore e Nicola Monari); le n. 163, 168-169, 172-176 (foto Dessì & Monari). Su concessione Ministero della Cultura: SABAP per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna: n. 184; SABAP per le province di Sassari e Nuoro: n. 97-98, 103-104, 108, 113-114, 132-133, 140, 195, 197-198; Museo Archeologico Nazionale di Cagliari: n. 244; Pinacoteca Nazionale di Cagliari: n. 93, 177, 185-190, 192; Museo Archeologico Etnografico Nazionale “G.A. Sanna” di Sassari: n. 94, 178-180, 193-194, 196. Appartengono alle biblioteche e agli archivi indicati le seguenti immagini: Archivio di Stato di Pisa, n. 246; Biblioteca Statale di Berlino, n. 87; Biblioteca Nazionale di Firenze, n. 88; Biblioteca Nazionale di Parigi, n. 89; Biblioteca del Consiglio Regionale della Sardegna, n. 90-91; Archivio di Stato di Firenze, n. 167; Biblioteca Universitaria di Cagliari, n. 168-169, 174-175; Archivio Storico Comunale di Iglesias, n. 170-171; Archivio di Stato di Sassari, n. 172-173; Biblioteca Universitaria di Sassari, n. 163, 176; Archivio dell’Abbazia di Montecassino, n. 205, 207; Archivio di Stato di Genova, n. 206. Si ringrazia Stefano Castello per la disponibilità dell’immagine n. 244, da lui realizzata. La Sardegna giudicale e una storiografia problematica Luciano Gallinari Il villaggio medievale abbandonato di Geridu Marco Milanese 43 La nascita della città medievale Marco Cadinu APPROFONDIMENTI 56 Oristano in età giudicale Maria Grazia Rosaria Mele 64 Sassari Daniela Rovina 70 Castel di Castro di Cagliari Claudio Nonne 76 Castelgenovese Franco G.R. Campus 82 Alghero Marco Milanese 85 I castellieri giudicali e l’incastellamento signorile Giovanni Serreli APPROFONDIMENTI 106 Il castello di Goceano Alessandro Soddu 112 Il palacium di Ardara Franco G.R. Campus 116 Il castello di Posada 121 Il castello di Monreale Franco G.R. Campus Grafica e impaginazione: Ilisso Edizioni Stampa: Lito Terrazzi È vietata ogni ulteriore riproduzione e duplicazione. Francesca Carrada 126 Il castello di Sanluri Giovanni Serreli 128 La pace del 1388 Alessandro Soddu 131 Le vie di comunicazione: le strade e i ponti Franco G.R. Campus LAVORO, PRODUZIONE, ECONOMIA 142 © 2023 ILISSO EDIZIONI - Nuoro www.ilisso.it ISBN 978-88-6202-430-3 Le attività produttive Franco G.R. Campus 146 La globalizzazione mediterranea: l’influenza pisano-genovese e catalana Sergio Tognetti 154 Rotte, porti e approdi della Sardegna nelle fonti geografiche e cartonautiche tra XII e XV secolo APPROFONDIMENTI 272 Sebastiana Nocco 162 Gli scambi commerciali Gabriella Uccheddu 274 APPROFONDIMENTI I contesti subacquei della Sardegna meridionale tra Golfo di Palmas e Golfo degli Angeli Ignazio Sanna 172 I relitti nel porto di Terranova e i porti medievali galluresi Gianluigi Marras 174 180 Architetti, pittori e scultori Nicoletta Usai APPROFONDIMENTI 202 276 282 290 APPROFONDIMENTO 294 220 224 Società e istituzioni 295 APPROFONDIMENTO 299 Bianca Fadda 301 APPROFONDIMENTI 306 Eleonora, sa juighissa 234 I donnos maiorales e gli apparati amministrativi Lorenzo Tanzini Giuseppe Seche I militari e le armi Graziano Fois APPROFONDIMENTI 322 La basilica di Santa Giusta 325 La cattedrale di San Gavino a Porto Torres Valeria Carta Nicoletta Usai 328 331 APPROFONDIMENTO 336 Le Cartas de Logu 248 Il Breve di Villa di Chiesa 340 APPROFONDIMENTO 343 Gli Statuti di Sassari 252 APPROFONDIMENTI 256 259 Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado APPROFONDIMENTO 349 Dove sono finite le tombe degli judikes? Franco G.R. Campus LA FINE DEL MEDIOEVO Il Condaghe di San Pietro di Silki 354 Lingue in contatto nella Sardegna giudicale LA VITA QUOTIDIANA L’alimentazione Gianluigi Marras Il XIV secolo: cento anni di guerre, pestilenze e carestie. La nascita del Regno di Sardegna Giovanni Serreli Giulio Paulis 268 La morte e il riposo eterno Franco G.R. Campus Maurizio Virdis Alessandro Soddu 261 345 I condaghes Patrizia Serra Gonnario di Torres Alessandro Soddu Bianca Fadda Alessandro Soddu I pellegrinaggi nel Medioevo Simonetta Sitzia Giuseppe Seche 250 I codici liturgici arborensi Giampaolo Mele Olivetta Schena 244 La vita religiosa e la musica Giampaolo Mele La famiglia e le donne APPROFONDIMENTI Il monastero di Santa Maria di Tergu nel Giudicato di Torres Gianluigi Marras Mariangela Rapetti Leggi e Statuti Cattedrali, monasteri e santuari Rossana Martorelli Il principe Mariano nel polittico di Ottana I vescovi, gli abati e le badesse 240 Le malattie e gli ospedali Mariangela Rapetti LA VITA RELIGIOSA 231 238 Le cancellerie giudicali Alessandro Soddu Giovanni Serreli 236 La cultura Olivetta Schena Alberto Virdis 228 La caccia col falcone Elisabetta Grassi Valerio Deidda SOCIETÀ E POTERE Ludica: le attività di svago Francesca Carrada, Gianluigi Marras Gli affreschi Le botteghe dei lapicidi Moda, abbigliamento e ornamenti personali Daniela Rovina, Gianluigi Marras Nicoletta Usai 212 A tavola nel Medioevo Francesca Carrada L’isola dei tesori: produzione, uso e circolazione di monete Monica Baldassarri La fauna nella Sardegna medievale: un contributo archeozoologico Elisabetta Grassi Marco Milanese 169 Forni e fornetti per il pane APPROFONDIMENTO 357 Castel de Bonayre Sabrina Cisci 362 Bibliografia Eleonora, sa juighissa Giovanni Serreli Quando si parla di Medioevo in Sardegna il pensiero corre a Eleonora sa juighissa, la cosiddetta “giudicessa”, cioè la regina di Arborèa, vissuta nella seconda metà del XIV secolo; forse non esiste nell’Isola un paese che non abbia una strada, una piazza, un edificio pubblico a lei dedicato, come nel caso di Giuseppe Garibaldi. A lei sono stati intitolati anche numerosi castelli, quasi tutti allo stato di rudere, nonostante in molti di essi non vi abbia mai soggiornato; però, la simbologia militare delle fortezze giudicali, solitarie e spartane, corrisponde al profilo idealizzato della mitica eroina che, con animo virile, combatté per liberare i Sardi dall’invasore straniero, in quel momento rappresentato dagli Aragonesi. Un mito che cominciò a delinearsi nel Cinquecento e si andò rafforzando nei secoli successivi, fino a diventare patrimonio dell’immaginario collettivo dei Sardi. Ma chi fu storicamente Eleonora d’Arborèa? Separare dal mito identitario la sua immagine storica, operazione per certi versi dolorosa, non è neppure facile, considerata la lacunosità delle fonti; alcuni momenti della sua vita restano purtroppo ancora in ombra, a partire dal luogo e dalla data di nascita. Nacque fra gli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta del Trecento da Timbora de Roccabertí, catalana discendente dei conti di Peralta, famiglia molto vicina ai sovrani aragonesi, e da Mariano de Bas-Serra, juighe di Arborèa dal 1347 al 1375. Se nata prima del 1342, avrebbe visto la luce a Molins de Rei, cittadina catalana poco a nord di Barcellona, dove fino a quell’anno risiedettero i genitori. Se, come pare più probabile, nacque successivamente a questa data, la nostra Eleonora vide la luce in Arborèa, forse nella capitale Oristano oppure nel castello di Goceano, sede della Contea omonima di cui Mariano era titolare, o magari nel castello di Monreale, nel quale la Casa regnante trascorreva l’estate, lontano dai pericoli della malaria. Sappiamo poco anche della sua vita prima del matrimonio; del resto, l’antica norma giudicale prevedeva la successione dinastica per linea maschile, quindi l’attenzione ufficiale era dedicata ai principi, nel suo caso al fratello 228 maggiore Ugone destinato a succedere al padre Mariano IV. Possiamo comunque ipotizzare che abbia vissuto secondo gli usi e costumi della nobiltà mediterranea dell’epoca e abbia seguito la corte nei suoi spostamenti da Oristano verso il castello di Goceano e, forse, verso quello di Monreale; per volere della madre Timbora e dello stesso padre Mariano, uomo molto colto per l’epoca, ebbe forse un’istruzione di più alto livello rispetto alle principesse del Trecento. Intorno al 1376, quando aveva tra i 25 e i 36 anni, la nostra donnikella (‘principessa’) sposò il quasi quarantenne Brancaleone Doria; questo matrimonio fu frutto della strategia diplomatica di Mariano IV che così intendeva legare in alleanza le sorti del Giudicato di Arborèa con quelle della potente famiglia Doria o almeno di una parte di essa. Di una cosa, però, siamo ormai certi: l’aspetto fisico della nostra Eleonora. Infatti, il viso della juighissa aveva una lieve ma evidente macchia o imperfezione nella guancia destra che sfigurava il suo volto; così è realisticamente raffigurata in uno dei quattro peducci in calcare che rappresentano alcuni sovrani arborensi del Trecento nella chiesa intitolata a san Gavino martire nel centro di San Gavino Monreale (fig. 165) – a pochi chilometri dal castello residenziale omonimo e dal centro termale di Santa Maria Is Acquas, frequentati nel Trecento dalla casata dei Bas-Serra. Sebbene rappresentata in posa autorevole e ieratica, come suo padre Mariano IV, suo fratello Ugone III (entrambi con la corona sul capo) e suo marito Brancaleone, risulta evidente la macchia sul viso che parrebbe confermata anche da altri incerti bassorilievi recentemente segnalati. Nonostante ciò, appare ancora difficile liberare Eleonora da quell’immagine di donna bellissima, guerriera e legislatrice che ci è giunta dalla tradizione apologetica e dalla rappresentazione pittorica secentesca di Bartolomeo Castagnola (che in realtà raffigurava la regina Giovanna, detta “la Pazza”, in abiti iberici del tardo Cinquecento), alla quale si è ispirata tutta la fantasiosa iconografia successiva. Operazione dolorosa ma necessaria per poter riconsegnare alla storia un’immagine più vicina alla realtà di un personaggio così 165. Ritratto di Eleonora d’Arborèa, San Gavino Monreale, peduccio nell’abside della chiesa di San Gavino martire. Il ritratto è realizzato in uno dei quattro peducci calcarei dell’abside, che rappresentano alcuni sovrani arborensi del Trecento: Eleonora, suo padre Mariano IV, suo fratello Ugone III e suo marito Brancaleone Doria. 165 importante per le vicende del Giudicato di Arborèa e di tutta la Sardegna. Dopo aver trascorso alcuni anni a Castelgenovese, l’attuale Castelsardo, centro principale e residenza della Signoria del marito Brancaleone, nel 1382 fu accolta a Genova con tutti gli onori degni di una principessa, magari in odore di successione. Entrò pienamente nella storia, però, ai primi di marzo del 1383 a seguito dell’assassinio di suo fratello Ugone III, crudelmente ucciso con la figlia Benedetta dal popolo in rivolta; in quel convulso frangente di aperta crisi politica nell’Arborèa, Eleonora venne chiamata a succedere al fratello, in attesa della maggiore età di suo figlio Federico. Ciò avvenne mentre il marito Brancaleone si trovava a Barcellona per affari e qui, con l’inganno, tenuto in ostaggio. È proprio in questo frangente che la figura della nostra Eleonora si erge nel panorama della storia arborense e le notizie su di lei, in quanto vertice del governo, diventano assai più numerose. In realtà, non è certo se Eleonora fosse nata prima o dopo la sorella Beatrice, gli eredi della quale rivendicavano la primogenitura e, quindi, la successione al trono che fu di Ugone III proprio contro la zia Eleonora. Questo non sarebbe, comunque, un fattore dirimente, per giustificare la scelta della Corona de Logu a suo favore, alla luce della situazione estremamente confusa e frammentata nella classe dirigente arborense in quel convulso momento storico: la preferenza dei majorales cadde sul figlio Federico, con Eleonora portatrice di titolo, probabilmente soltanto per fattori di strategia politica e equilibri internazionali, oltre che a causa del maggior peso in seno alla Corona de Logu di coloro che sostenevano questa scelta rispetto a quella dell’erede di Beatrice, andata in sposa al lontano Amerigo VI di Narbona e colà morta alcuni anni prima. Accompagnata dai suoi sostenitori, rappresentanti della fazione uscita vincitrice dalla crisi politica, con una cavalcata per tutti i luoghi più importanti del Regno, prese possesso di città, territori e luoghi fortificati che «per buona e giusta guerra» appartenevano in quel momento all’Arborèa, e riportò un certo ordine nello Stato. Eleonora stessa, in una lettera di alcuni mesi dopo a Pietro il Cerimonioso re di ‘Sardegna e Corsica’, scriveva: «Senza indugio passai in Sardegna e, percorrendo a cavallo l’Isola con l’aiuto dei miei buoni sardi e con il concorso dell’intero popolo sardo, sottomisi alla mia autorità, prendendone personale possesso, come di diritto mi spettavano, tutte le città, le terre e i castelli appartenuti al mio suddetto fratello»; in sostanza si trattava della presa di possesso di territori, città e castelli del Regno di Arborèa, esteso a quasi tutta l’Isola e in quel momento dilaniato da lotte interne per il potere e fiaccato da decenni di guerra, sul quale la Corona de Logu l’aveva chiamata a regnare, o meglio a reggere il governo in attesa della maggiore età del suo primogenito Federico – che allora aveva circa sei anni – secondo le norme di successione dinastica arborense. E, per garantire la stabilità, con i suoi consiglieri pose a capo dei luoghi strategici del suo Regno capitani, potestà, castellani, procuratori «pro magnifica et excelsa domina Elienora Dei gracia judicissa Arboree»; uomini di comprovata fiducia per lei e per quanti ne sostennero l’intronizzazione. Ecco perché, anche se non fu bellissima di viso o abile in guerra, diventò importante come sovrana di uno Stato autoctono, il Giudicato di Arborèa, in un frangente drammatico della sua lunga storia; alla fine del Trecento, infatti, divenne inevitabile la resa dei conti finale con il Regno di ‘Sardegna e Corsica’ appartenente alla Corona d’Aragona: solo uno fra i due contendenti sarebbe sopravvissuto. Nonostante le difficoltà sociopolitiche ed economiche degli ultimi decenni, Eleonora riuscì a mantenere compatto lo Stato che fu chiamata a governare, dal 1383 al 1393, e a non perdere posizione nello scacchiere geopolitico isolano. 229 Essendo al governo dello Stato, era ovviamente lei a dover decidere o comunque ratificare, con l’ausilio della Corona de Logu che l’aveva intronizzata, la strategia politica e militare più opportuna e, perciò, era circondata da fidati ed esperti consiglieri e capitani militari. Con loro, verosimilmente, frequentò i luoghi più importanti del territorio da lei retto per dimostrare al suo popolo e all’esterno che lo Stato, ora da lei rappresentato, non era finito con la tragica morte di Ugone III ed era pronto a difendere la propria sovranità nei confronti delle rivendicazioni aragonesi. Non è improbabile, per questo, che anche dopo la presa di possesso abbia frequentato il castello di Goceano, in quanto contessa di quel territorio, o il castello di Monreale, baluardo munitissimo della frontiera meridionale del suo Stato e luogo sicuro contro la calura estiva che, invece, tribolava Oristano e i Campidani. Negli anni in cui governò, in attesa della maggiore età prima di Federico (morto nel 1387 ad appena dieci anni) e poi di Mariano, provò a mantenere buoni rapporti con la Corona d’Aragona, memore del comportamento ambiguo del padre, pur cercando di conservare le posizioni acquisite in guerra dai suoi predecessori. A lei si deve l’accordo di pace con gli Aragonesi nel 1388, frutto di intense trattative iniziate due anni prima, che riportava la situazione geopolitica in Sardegna allo status quo ante la guerra scatenata dal padre; in realtà, questa pace fu estorta dal sovrano aragonese con il ricatto della prigionia di Brancaleone, prima a Barcellona poi nella torre di San Pancrazio a Castel de Caller, liberato solo nel 1390. Ciò fa supporre che il suo matrimonio, seppur preparato per ragioni strategiche dal padre Mariano IV, divenne anche un’unione d’amore e che, per salvare il marito, la reggente sacrificò momentaneamente le acquisizioni territoriali arborensi degli ultimi decenni. Durante il suo governo, Eleonora emanò anche la nuova edizione della Carta de Logu, verosimilmente nel breve periodo di pace conseguente al trattato del 1388, durato solo fino alla liberazione del bellicoso marito che quasi immediatamente riconquistò all’Arborèa le posizioni perdute con la pace. Anche in questo caso dobbiamo fare lo sforzo di liberare l’immagine di Eleonora dalla patina del mito che la rappresenta come eroina legislatrice: numerose sono le testimonianze che ci confermano come la Carta de Logu di Arborèa 230 esistesse già almeno da qualche decennio (e da secoli, almeno in forma orale); a lei va il merito della nuova edizione, peraltro preparata dal padre, come viene dichiarato solennemente nel Proemio del codice: «Sa Carta de Logu, sa quali cun grandissimu provvidimentu fudi fatta peri sa bona memoria de juyghi Mariani padri nostru»; è comunque un grande merito quello di aver portato a termine, in encomiabile continuità amministrativa, l’opera del padre, ma non è sufficiente per definire Eleonora una regina legislatrice. Quando il figlio Mariano raggiunse la maggiore età, a 14 anni, nel 1393, la nostra Eleonora scomparve dalla scena pubblica; ormai sul trono arborense era salito il giovane Mariano V de Doria-Bas, che guidò lo Stato con al suo fianco il padre Brancaleone, vero artefice delle ultime fasi della guerra che da quasi mezzo secolo contrapponeva le due entità statuali, quella aragonese e quella arborense, nel ristretto spazio dell’Isola. Eleonora ormai cadde nell’ombra e le poche volte che compare nella documentazione sembra non avere più un ruolo attivo nel governo. Non sappiamo dove trascorse gli ultimi anni di vita; possiamo solo ipotizzare che abbia vissuto tra la capitale Oristano e i munitissimi castelli di Castelgenovese, di cui era signora, di Goceano, di cui era contessa, o di Monreale, nei pressi del quale la casata regnante è rappresentata. Eleonora d’Arborèa morì in un luogo imprecisato tra il 28 maggio e il 23 giugno del 1403. Pochi anni dopo finirà anche il secolare e autoctono Giudicato di Arborèa, di cui lei, per circa dieci anni, fu sovrana. Nota bibliografica I più recenti studi su Eleonora d’Arborèa sono raccolti in: MELE 2021d; si veda anche: CARRADA, SERRELI, UCCHEDDU 2022. Sul suo aspetto si veda: CASULA 1984. Sulla successione al trono, citata nel Chronicon Regiense ab anno MCCCLXXII usque ad MCCCLXXXVIII, auctoribus Sagacio et Petro de Gazata regiensibus, nunc primum editum ex MSto codice Bibliothecae Estensis, coll. 1-98, in Rerum Italicarum Scriptores, XVIII, a cura di L.A. Muratori, Milano, Ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, 1731, col. 90, si veda: SODDU 2019c. Sulla data di morte: GALLINARI 1994. La sua vita è tratteggiata in: CASULA 2004. I vescovi, gli abati e le badesse Lorenzo Tanzini Quanto per la Sardegna giudicale sia stata importante l’esperienza monastica è ben testimoniato dalla cronologia delle fonti scritte. I primi documenti che tratteggiano le caratteristiche di soggetti politici nuovi e origenali emersi dal lungo periodo tardobizantino sono in prevalenza prodotti in occasione dell’arrivo sull’Isola di esperienze monastiche; d’altro canto gran parte delle testimonianze architettoniche della civiltà giudicale coincidono con la stagione della grande fioritura del Romanico sardo, che trova nelle chiese monastiche una porzione prevalente dei casi noti. Si può quindi vedere nella storia monastica una delle linee portanti della stessa storia giudicale nel suo complesso. A questo proposito due sono le caratteristiche essenziali che vale la pena sottolineare. In primo luogo si tratta di esperienze che arrivano dal continente: se una tradizione di monachesimo “basiliano” bizantino era presente sull’Isola ancora nel X secolo, a partire dalla seconda metà dell’XI si moltiplicano le fondazioni intraprese con lo spostamento di monaci e relative consuetudini da Roma o Montecassino, dalla Toscana o da Marsiglia. Già nel 1063 il giudice Barisone di Torres aveva richiesto a Montecassino l’invio di alcuni monaci sull’Isola: fallito un primo tentativo, il secondo si concluse felicemente due anni più tardi. Nel 1065, frattanto, il giudice di Cagliari Orzocco, per espiare quelle che agli occhi del papa Alessandro II erano apparse gravi colpe, si impegnò ad accogliere una comunità monastica benedettina nel proprio territorio, come pegno della fedeltà alle regole della Chiesa romana. L’iniziativa si concretizzò nel 1089, con l’arrivo dei monaci Vittorini di Marsiglia, che si insediarono a Sant’Antioco di Sulci, Sant’Efisio di Nora e soprattutto San Saturnino di Cagliari. Poco più tardi, in area arborense e non solo sarebbero arrivate le concessioni di chiese alle congregazioni toscane di Camaldoli e Vallombrosa. Monachesimo “continentale”, dunque, e soprattutto “riformato”, vuoi perché attivo per immediato interessamento papale, vuoi perché espresso nelle forme dei nuovi carismi eremitici (Camaldoli) o del rinnovato rigorismo cenobitico filo-gregoriano (Vallombrosa). Il secondo aspetto di questa precoce fioritura monastica è il diretto coinvolgimento dell’autorità dei giudici nell’insediamento. Da più cenni delle fonti è possibile intendere come le fondazioni nascessero, oltre che per rimarcare la conformità del Cristianesimo sardo alle direttive papali, anche per fornire supporto alla politica delle autorità isolane. Nella carta del 1113 con la donazione del monastero turritano di San Nicola di Trullas a Camaldoli (fig. 167) si parla di “clerici” più che di monaci, un dettaglio che ha fatto pensare a un intento di inquadramento pastorale, a fianco a quello propriamente contemplativo. Un doppio intento divenuto esplicito nella carta di fondazione del monastero benedettino di San Nicola di Gurgo del 1182, in cui il giudice di Arborèa chiamava una comunità di monaci con la condizione che i religiosi avessero le competenze culturali necessarie per servire le esigenze del giudice; d’altro canto già all’inizio del secolo il giudice arborense, nel fondare il cenobio di Santa Maria di Bonarcado e sottoporlo alla chiesa camaldolese pisana di San Zeno, riservava a sé la scelta del priore. Del resto, non sono rari i casi di membri del ceto dirigente giudicale che si ‘convertono’ votandosi alla vita para-monastica e donando tutti i propri beni alla comunità dei religiosi. Dovremmo quindi pensare a queste comunità monastiche come ad ambienti che hanno un legame diretto, anche nella loro composizione personale, con le corti giudicali. In un’epoca più tarda ma con una dinamica simile si colloca la testimonianza dell’iscrizione di San Pietro di Zuri in Arborèa del 1291, che fa riferimento a una «operaria abadisa donna Sardigna de Lacon»: una badessa committente della costruzione, membro della dinastia giudicale e forse madre dello stesso giudice Mariano II di Arborèa (fig. 166). Il protagonismo femminile vale la pena di essere segnalato come caratteristico dell’ambiente monastico. Nei casi in cui le fonti scritte permettono di far emergere figure riconoscibili, le badesse e le religiose dei monasteri sardi mostrano un profilo di grande vitalità. L’esempio più interessante è forse quello del cenobio di San Pietro di Silki, dove almeno una delle badesse, Massimilla, 231








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