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2023, Il tempo dei Giudicati. La Sardegna dal X al XV secolo, a cura di S. Cisci, R. Martorelli e G. Serreli, Nuoro, ILISSO
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La figura della regina (giudicessa) Eleonora d'Arborèa
2017
In realtà, non vi è alcun evento specifico che possa giustificare tale suddivisione, a parte un numero che forse, all'epoca, creò suggestione: l'Anno Mille. Forse, ho inteso chiarire; perché, nel Mille e dintorni, ben poca gente sapeva far di computo, molti non conoscevano neppure la loro data di nascita e quindi la propria età. La cultura, intesa almeno come saper leggere e scrivere, era appannaggio di pochi, e quei pochi erano in maggior parte clerici: dal papa in giù, sino a gran parte dei monaci. Quel numero "Mille" spaventava comunque i più ignoranti, tra di loro; e molti adombravano una sorta di Giorno del Giudizio, al finire del secolo, predicando punizioni catastrofiche per chi non si pentiva dei propri peccati. In quel X secolo che terminava nel fatidico Mille, ben poco era cambiato, rispetto al secolo precedente; e ben poco cambiò in quello successivo, l'XI. Fu il XII secolo, invece, a segnare una svolta: nuovi assetti politici in Europa diedero maggior potere e libertà d'azione a grandi famiglie infeudate, e la cultura irruppe nel mondo laico. La visione androcratica della società ebbe un brusco scossone, perché cambiò nettamente la visione dell'universo femminile. Figura di spicco, in quel secolo, fu Eleonora d'Aquitania: duchessa, regina di Francia e poi d'Inghilterra, seppur politicamente molto attiva seppe tener corte da grande mecenate, ed a lei e ai suoi cantori dell' "amor cortese" si deve la nuova visione della donna, che influenzò nettamente la letteratura dei secoli successivi. Eleonora di Aquitania, alla quale viene dedicato questo studio, fu regina di Francia e di Inghilterra ed è una delle figure femminili più suggestive del Medioevo. Nata nel 1122, fu allevata nella raffinata corte di Aquitania dove studiò e imparò anche a cavalcare e a cacciare. Alla morte del padre Guglielmo X, duca di Aquitania, di Guascogna e conte di Poitiers, ne ereditò i domini e nel 1137 sposò Luigi divenuto di lì a poco il settimo re di Francia di questo nome. Vivace e spregiudicata, Eleonora non incontrò grandi favori alla corte di Francia, ma esercitò un forte ascendente su Luigi VII, convincendolo anche nel 1147 a partire per la seconda crociata, alla quale prese parte insieme a lui. I rapporti fra i due non erano tuttavia facili e nel 1152 il matrimonio venne annullato con l'assenso del papa. Sei settimane dopo Eleonora sposò il duca di Normandia Enrico Plantageneto, che due anni più tardi venne proclamato re di Inghilterra. Anche questo matrimonio non fu facile, a causa soprattutto dell'infedeltà del re, ed Eleonora alcuni anni dopo rientrò in Francia tenendo corte a Poitiers, divenuta per suo impulso un ritrovo di artisti e di trovatori. Le sue peripezie non erano tuttavia finite e, nel 1173, quando tre figli di Enrico II gli si ribellarono, si associò alla rivolta. Il vecchio re riuscì ad avere la meglio ed Eleonora venne arrestata e inviata ad Enrico II che la imprigionò prima in Francia poi in Inghilterra per una quindicina di anni. Venne liberata nel 1189 dopo la morte del re e restò in Inghilterra come reggente del figlio Riccardo Cuor di Leone anche quando questi nel 1189 partì per la terza crociata. Nel 1193, quando era prigioniero dell'imperatore Enrico VI, lo riscattò e l'anno successivo si adoperò per la riconciliazione fra lui e il fratello Giovanni Senza Terra. Restò ancora sulla scena politica per qualche tempo finché, ormai ottantaduenne, si ritirò definitivamente nell'abbazia di Fontevrault dove morì nel 1204. Da Luigi VII ebbe due figlie e da Enrico otto figli, cinque maschi e tre femmine. Soltanto due però le sopravvissero. Parte prima Eleonora d'Aquitania: amori, politica e guerre della regina dei trovatori Il cantar de l'amor cortese. Non sap chantar qui so non di ni vers trobar qui motz no fa, ni conois de rima co•s va si razo non enten en si. Mas lo mieus chans comens'aissi: com plus l'auziretz, mais valra. (Non sa cantare chi non produce melodia né compone versi chi non sa usare parole né sa come procede una rima se non ne intende in sé la ragione. Ma il mio canto comincia così: tanto più l'ascolterete, tanto più varrà.). E' la voce di Jaufré Rudel, in lingua occitana del XII secolo, o lingua d'Oc, o provenzale antico. Jaufré Rudel è il più noto degli antichi trovatori, i cantori dell'amor cortese; di lui ben poco si sa, ma lo ha consegnato alla Storia la sua appartenenza alla corte di Eleonora d'Aquitania, la regina dei trovatori. Soltanto sei (oppure otto, secondo alcuni) le liriche di Jaufré giunte sino a noi: cantano di un amore idealizzato, irraggiungibile, per una donna (forse) mai conosciuta. Taluni posteri commentatori hanno voluto individuarla in Melisenda, figlia di Baldovino II re di Gerusalemme, all'epoca della seconda crociata, la cui bellezza Jaufré avrebbe sentito decantare da alcuni pellegrini tornati da Antiochia; tanto desunto dal fatto che l'unica certezza storica su di lui (si ritiene vissuto dal 1125 al 1148) è che abbia partecipato alla seconda crociata come componente della corte di Eleonora d'Aquitania, all'epoca regina di Francia e consorte di Luigi VII, e quindi morto alla fine di essa appunto nel 1148. Ma è abbastanza suggestiva, e forse credibile, l'ipotesi che l'irraggiungibile amata di Jaufré sia stata proprio la sua regina Eleonora, Alienor secondo i contemporanei, al cui effettivo e terreno amore egli, semplice trovatore di corte, non poteva aspirare. Si dice… ad opera di taluni maldicenti commentatori, che hanno voluto vedere in Eleonora anche una donna dagli amori facili, visto che persino si separò da Luigi VII, ottenendo l'annullamento del matrimonio per consanguineità, per poi sposare Enrico II Plantageneto di Inghilterra, e divenire ancor più famosa per essere stata la madre di Riccardo Cuor di Leone e di Giovanni Senzaterra, oltre a numerosi altri figli e figlie. Eleonora d'Aquitania, donna colta e raffinata, amante dell'amore, della letteratura e delle arti, ma anche intelligente mestatrice politica, e astutamente in bilico tra l'ossequio ai dettami del clero imperante di allora e il suo orgoglio di regina; donna che non intende piegarsi a imposizioni che ritiene ingiuste, né di governanti, né del clero. Certo, non è stata Eleonora la prima donna ad imporsi nelle pagine della Storia, condizionandone gli eventi; basti ricordare figure dell'antico Egitto, come Nefertiti o Cleopatra, oppure dell'antica Roma, come Agrippina o Messalina, o anche imperatrici bizantine, come Teodora o Irene. Ma si tratta di donne che amarono il potere per se stesse; e si possono ricordare anche figure di sante, una per tutte santa Caterina da Siena, che intervennero nella storia della religione cristiana. Ma c'è una grande differenza, tra tali donne ed Eleonora: grazie alla sua corte occitana, il fiorire della cultura letteraria dell'amor cortese cambiò l'immagine della donna, rivalutando la sua posizione rispetto a quella maschile; e lo si deve ad Eleonora d'Aquitania, se il suo incoraggiare e proteggere la nuova arte letteraria disegnò una figura di donna che sarebbe poi stata cantata anche nei secoli successivi. E' più che ragionevole supporre che tale figura, incarnata in Eleonora dai suoi troubadors, sia servita da modello a Chrétien de Troyes (1135-1190), il più noto autore di "romanzi cortesi", nati sull'onda culturale ed emotiva della poesia cortese. Nei romanzi del cosiddetto ciclo bretone, ambientati in terre ed epoche non facilmente definibili, compare la figura della regina Ginevra, che diventa immagine quasi divinizzata della donna, acquisendo fortemente una figura del mito. E il mito accompagna, in sottofondo, Eleonora d'Aquitania, in ciò che di lei si è detto in positivo dai suoi cantori e in negativo dai suoi detrattori, e che, come la Ginevra immaginaria dei romanzi, scatenerà passioni, presunte o reali. Straordinaria è la sua vita, dalla fanciulla cresciuta tra poetici cantori dell'amor cortese e vicende guerresche alla corte di suo nonno Guglielmo IX e di suo padre, Guglielmo X, sino alla forte e volitiva regina d'Inghilterra. E' la fanciulla che a soli quindici anni diverrà regina di Francia, e che, ancora immersa nei sogni che avevano circondato la sua adolescenza, non mancherà di commettere errori insieme al suo giovane e pressoché coetaneo marito, Luigi VII; ma che rimarrà sempre fiera e indipendente, nella sua lunga vita di ottantadue anni, molti per quell'epoca, sino agli ultimi giorni in cui, ancora indomita, si batterà per la sorte dei suoi figli. Alienor Eccomi: sono Eleonora d'Aquitania. Eleonora: con questo nome sono passata alla Storia, ma in realtà, alla mia nascita, sono stata chiamata Alienor, quasi come mia madre, il cui nome era Aénor de Chatellerault; chi ha scritto di me, nei secoli seguenti, in lingua d'oil, ha trasformato il mio nome occitano in Eléanor. Ma, in lingua d'oc, la lingua della mia terra, Alienor significa "l'altra Aénor", per distinguermi da mia madre. Mio padre era Guglielmo X, duca di Aquitania e di Guascogna, ed anche ottavo conte di Poitiers; duchessa di Aquitania, insieme agli altri titoli e proprietà, lo sono diventata alla sua morte, perché ero la primogenita, ed anche perché il mio unico fratello maschio, Guglielmo di nome anche lui, era morto prima di mio padre; mi rimase solo una sorella, Petronilla, che però mi causò un bel po' di guai, quando ero diventata di regina di Francia, per essersi incapricciata di Rodolfo di Vermandois. Mio padre, a sua volta, aveva ereditato titoli e terre da suo padre, Guglielmo IX. Un grand'uomo, mio nonno; mi ha trasmesso il suo amore per l'arte e la cultura, ed anche, ma sì, il suo caratteraccio, sempre in bilico tra insofferenza verso le ingerenze della Chiesa ed il rispetto delle regole sociali del tempo. Sì, perché sono stata una ribelle, in un'epoca in cui la donna doveva apparire come minimo sottomessa alla volontà maschile e soprattutto criticata dai clerici, che non perdevano occasione per denigrare l'immagine della donna come fonte di tentazione, di peccato, e...
Poetessa, scienziata, intellettuale, giornalista. Nata "marchesa" muore da rivoluzionaria sul patibolo di piazza del Mercato a Napoli, vittima della vendetta di Maria Carolina e di Ferdinando di Borbone. È il 20 agosto del 1799, le armate del Cardinale Ruffo hanno riconquistato la città e la breve e sventurata esperienza repubblicana è ormai terminata. Dinanzi alla folla festante di lazzari e ai corpi esamini degli altri condannati, privata della possibilità di essere ghigliottinata in quanto nobile, prima di essere impiccata pronuncia la frase «forsan et haec olim meminisse juvabit» (forse un giorno gioverà ricordare tutto questo). Nasce a Roma il 13 gennaio 1752 da Don Clemente Henriquez de Fonseca Pimentel Chavez de Beja che dal Portogallo raggiunge la città eterna per prendere in moglie Cateria Lopez de Leon la cui famiglia, aristocratica, è origenaria di Lisbona. Ha 8 anni quando a causa delle frizioni tra Portogallo e Stato della Chiesa, le famiglie Lopez e Fonseca, sotto consiglio del console portoghese Sà Pereira, si trasferiscono a Napoli. Avviata dallo zio Antonio allo studio dei classici latini e greci e delle lingue moderne inglese, francese, portoghese ha come maestri De Filippis, Caravelli, Falaguerra e Spallanzani che le garantiscono un'educazione grazie alla quale è accolta, giovanissima, nei migliori salotti napoletani. Presso quello di Vargas Maciucca ha modo di declamare quei versi che le consentono di entrare, a soli sedici anni con il nome di Epolnifenora Alcesamante, all'accademia dei Filaleti. Nel 1768 scrive il poema epico encomiastico Il tempio della gloria e viene ammessa nell'Arcadia napoletana di Jerocades dove entra con lo pseudonimo di Altidora Esperetusa. Di questa "fanciulla prodigio" sono molti a raccontare: l'abate Ciaccheri la menziona in una lettera all'amico Domenico Saccenti al quale racconta di una «giovane gentil donna portoghese che sa varie lingue, […] e fa buone cose, riguardo la poesia sia latina che italiana»; il leccese Baldassare Papadia nelle Egloghe pastorali immagina Eleonora come l'"Inclita Pastorella, alma Altidora"; il duca di Belforte le dedica un sonetto «Eleonora, che, nel verde aprile/degli anni vostri, pel sentier non trito/di Minerva muovete il passo ardito […]». Attestati di stima giungono nel 1789 dall'abate Filippo de Martino che include la sua biografia fra quella degli illustri napoletani del XVIII secolo («altera que Sappho, nec te, Fonseca, silebo,/ quam decimam dixit Graecia Pieridum,/[…]») e dal Gorani che scrive di lei a Charles Bonnet a proposito di una scoperta scientifica di cui è venuto a conoscenza tramite una «dama letterata, conosciuta per le toccanti poesie […] grande amica di tutti gli illustri […], e soprattutto dell'abate Fortis». Infervorata della poesia del Metastasio Eleonora ha con il poeta, ormai settantaquattrenne, uno scambio epistolare fra il 1770 al 1776, di cui restano dodici lettere conservate nella di lui corrispondenza. Lo stesso Voltaire, anche lui corrispondente con Eleonora, le dedicherà alcuni versi databili intorno al 1775 («Beau rossignol de la belle Italie/[…]/ Auprès de vous à Naples il va se rendre/ S'il peut vous voir, s'il peut vous entendre/ Il réprendra tout ce qu'il a perdu»). Nel 1771 muore donna Caterina Lopez e il vuoto lasciato da questa scomparsa risuona ancora nel sonetto che due anni dopo scrive per Caterina Dolfin rimasta orfana del padre e alla quale, per via di questa mesta sorellanza, si sente vicina («Vago Usignol,[…]/ Quanto simili, oh Dio, ne' tristi eventi[…]/Che mentre il Padre tuo piangendo vai,[…]/ Io per la Madre mia spargo i lamenti/[…]»). A 21 anni la sua mano è offerta al cugino Michele che, partito per Malta all'incirca tre anni dopo, sembra dimenticarsi della sua promessa sposa, la cui stizza è tutta in una lettera a lui indirizzata, datata 19 ottobre 1776, in cui si apprezza una sferzante vis polemica «[…] siamo tutti, molto formalizzati del vostro continuo silenzio,[…]. Voi dunque, per mostrarvi affezionato a Malta, avete fatto la guerra a Monsignor della Casa? […] È mio grande amico, se non lo è vostro […].
Parlare di ciò che Eloisa fu prima del suo maestro significa percorrere due sentieri paralleli e profondamente intrecciati: uno principale, quasi una strada maestra, e l'altro secondario a fargli da confluenza. Li distinguiamo avvalendoci delle sfumature del "prima"; nel primo caso, la via maggiore, l'accezione è esistenziale: cosa è Eloisa prima ancora di essere la moglie tragica d'uno dei più celebri filosofi del Medioevo? Cosa fu, come dato primigenio ed incancellabile? Un essere umano e, specificamente, una donna. Riguardo alla via minore, il senso del "prima" è puramente temporale: quali notizie abbiamo relativamente ad Eloisa, alla sua vita, quando questa ancora non era precipitata in quella di Abelardo? Chi erano i suoi familiari, quali le sue origeni? Rispondere con precisione a tali interrogativi è un compito al di là delle mie capacità e delle mie intenzioni in questo breve studio: gli ambiti d'indagine in esame sono troppo vasti o troppo specifici. Tuttavia, qualche accenno generale, benché sommario, diviene essenziale per comprendere le passioni, il pensiero e le parole di Eloisa nella loro pienezza: col trascorrere del tempo, sulla vera Eloisa si sono calcificate maschere di altre epoche, si sono depositati di volta in volta i biasimi e le aspettative dei posteri, fino a rendercela completamente altra da se stessa. Il professor Guy Lobrichon ricostruisce minuziosamente l'evoluzione rocambolesca della figura di Eloisa, il suo passaggio graduale da persona a personaggio. Nel suo libro "Eloisa. Abelardo, l'amore, il sapere" 1 mostra come già a partire dal XIII secolo Eloisa fosse "...riassunta in due tratti elementari: la relazione amorosa con lo sposo -cosa c'è di più naturale? -, ma anche, il che lo è meno, la diatriba anti-matrimoniale cui si lancia, nel più celebre dei romanzi medievali francesi, il Romanzo della rosa, pubblicato poco dopo il 1270-75 da Jean de Meun..." 2 Ma è il XVII secolo che attribuisce definitivamente Eloisa agli archetipi di bambina tentatrice, una sorta di lolita ante litteram, redentasi tardivamente nella solitudine del convento. Proseguendo coi tempi Eloisa è stata di volta in volta è stata la religiosa fervente , sul finire del settecento, la dama disperata ed abbandonata, in pieno Romanticismo. 3 " Noi siamo ancora eredi di tale costruzione, ed Eloisa continua a non avere il suo vero posto. Il pellegrinaggio attraverso le successive immagini di Eloisa permette tuttavia […] di denunciare e di screditare alcune di queste immagini, inventate per rispondere a necessità troppo storiche e per soddisfare con poco il gusto dei lettori. Lo storico non può farvi affidamento" 4 1 Il libro a cui mi riferisco è "Eloisa -Abelardo, l'amore, il sapere" edito da Donzelli Editore, Roma 2005.
Gilbert Clavel, Fortunato Depero, Italo Tavolato, qualche anno di un sodalizio che ha prefigurato una svolta nelle avanguardie europee; la residenza di Clavel fu luogo d'incontro e di scontro dal 1917 al 1922 di una folta pattuglia di artisti e letterati europei tra i quali Cocteau, Picasso, Marinetti e gli animatori dei Balletti russi.
Osti" toi dokev ei toŸ n priŸ n lewŸ n i[ dmenai ouj dev n, toŸ n d∆ au\ nuñ mouñon poikiv la dhv ne∆ e[ cein, keiño" g∆ a[ frwn ej stiv , nov ou beblammev no" ej sqlou.
2017
Eleonora Duse relives here her loves, from her parents to Martino Cafiero, from Arrigo Boito to Gabriele d'Annunzio. Moreover, thanks to a special liking for letters she reads or recites, she reviews the different times of her career, from the thwarted beginnings to the triumphs and the fatigue of a stressful tournée and her uncertain health. This monologue is divided into seven stations, almost a secular way of the cross, where the contradictory personality of the actress emerges, torn between disgust and deep desire towards the stage. Sommario 1 Promozioni.-2 Modelli.-3 Boito.-4 Il vate.-5 Distrazioni.-6 Scocciatori.-7 Congedo. 1 Promozioni Sulla scena nuda, solo un lenzuolo, verso il proscenio, dei cuscini, un tavolino basso (che fungerà anche da sedia) coperto da fogli. Qualche volumetto a terra, d'intorno. Qua e là, si notano abiti e accessori di scena, gettati in disordine. Esultante, Eleonora in sottoveste nera brandisce nelle mani di volta in volta messaggi da inviar...
ELENA NELLA NOTTE DELLA PRESA DI TROIA: DALL'ILIUPERSIS ALL'ENEIDE Tra i numerosi episodi che segnarono la presa di Troia da parte degli Achei l'incontro di Elena e Menelao dopo dieci anni di guerra costituiva un episodio tradizionale, con il quale ogni poeta che avesse narrato questi fatti doveva misurarsi. Conosciamo da varie testimonianze lo svolgimento generale degli eventi, ma non disponiamo di una versione poetica risalente a età arcaica. Per avere un'idea, anche solo approssimativa, delle versioni più antiche, sarà necessario da un lato integrare i pochi dati pervenutici con quelli ricavabili dalle rappresentazioni figurate, abbastanza numerose per l'età arcaica e classica, dall'altro esaminare la testimonianza di autori più recenti -come Virgilio, Quinto Smirneo e Trifiodoro -che queste composizioni ripresero più o meno liberamente. Le considerazioni che seguono, beninteso, non intendono riproporre vecchi problemi e metodi adoperati in passato da una Quellenforschung dagli esiti inevitabilmente dubbi (soprattutto in una materia come quella del mito greco), ma riesaminare i frammenti e le testimonianze in rapporto a quanto sappiamo dall'insieme dei dati giunti fino a noi sui medesimi eventi.
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