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LMCA Alessandria Il vescovo contrastato tra Alessandria e Acqui

Il testo qui presentato è quello che viene letto ed interpretato durante la prima parte delle trasmissioni radiofoniche de La mia cara Alessandria (trasmissione settimanale di e con Piercarlo Fabbio), in onda su Radio BBSI-Alessandria. Progressivamente le diverse puntate verranno rese disponibili su Academia. Buona lettura Piercarlo Fabbio

Abstract de La mia cara Alessandria 658 BBSI 26 gennaio 2025 Titolo: Il vescovo contrastato tra Alessandria e Acqui Il testo qui presentato è quello che viene letto ed interpretato durante la prima parte delle trasmissioni radiofoniche de La mia cara Alessandria (trasmissione settimanale di e con Piercarlo Fabbio), in onda su Radio BBSI-Alessandria. Progressivamente le diverse puntate verranno rese disponibili su Academia. Buona lettura Piercarlo Fabbio Tema 1. Ben ritrovati… domenica 26 gennaio 2025. LMCA. La mia cara Alessandria. Un cordiale saluto da Piercarlo Fabbio. Puntata numero 658 – Anno quindicesimo Tema 2. In una puntata del novembre scorso vi avevo raccontato la nascita della Diocesi di Alessandria, avvenuta nel 1175 e dovuta ad un riconoscimento di Papa Alessandro III, nonché al ruolo indiscutibile dell’arcivescovo di Milano Galdino della Sala. Tanto per riassumere qualche passaggio, vi ricordo che “Alessandria era una città libera, nata (…) da una violazione del diritto feudale da parte di un gruppo di Milites che si erano impossessati di una terra compresa tra la confluenza dell’Orba nella Bormida e delimitata dal Tanaro per fondarvi la loro città. Entro le mura quella comunità era libera, ma fuori di esse? Gli alessandrini ritenevano quindi che la loro città dovesse avere quella dignità che si credeva dover spettare ad una città perfetta, doveva avere l'indipendenza religiosa dalle altre città: una diocesi, un vescovo, un capitolo, una cattedra.” (da LMCA 649) Non solo il Papa instaurava la Diocesi, ma “faceva di più: indicava il primo vescovo, Arduino, nobile per costumi e nascita e colto, poi, con un ulteriore documento, affidava al capitolo della Cattedrale il potere di nomina dei nuovi vescovi. Infine, imponeva agli abitanti degli otto luoghi fondativi di Alessandria, cioè Quargnento, Solero, Bergoglio, Oviglio, Foro, Rovereto, Marengo e Gamondio di prendere residenza in Alessandria e ai chierici e ai laici di tali località di obbedire al vescovo di Alessandria. Agli otto luoghi fondativi il Pontefice aggiungeva le Pievi di Masio, Ponto, Cassine e Retorto, così circoscrivendo la modesta dimensione della nuova diocesi.” (da LMCA 649) Tema 3. Tutto risolto? Da lì si sarebbe continuato senza scossoni fino ai giorni nostri? Nulla di tutto questo. Proprio dal 1175, dunque, riprendo il mio racconto per affrontare fatti che non sempre hanno un’interpretazione univoca e condivisa da parte degli storici. Ma andiamo per ordine…. Intanto Arduino non era mai giunto in Alessandria, anche se le ragioni vere non si conoscono, e la curia papale aveva nominato un nuovo Vescovo: Ottone. Era stata una procedura urgente e sostitutiva da parte del Pontefice, che infatti aveva già sancito il potere di nomina del vescovo alessandrino al Capitolo della Cattedrale. E questo potere sarebbe rimasto in capo ai canonici. Devo aggiungere che i luoghi di cui prima facevo menzione, vengono largamente ampliati dalla visione del Chenna, illustre storico della chiesa alessandrina, che citando due documenti di oltre 100 anni dopo il 1175, aggiunge altri paesi: Bergamasco, Carentino, Felizzano, Fubine, Borgoratto, Casalcermelli, Casalbagliani, Cascinagrossa, Cantalupo, Castelceriolo, Casteldelferro, Castelspina, Lobbi, San Giuliano, Lu. Territori che precedentemente appartenevano alle diocesi di Acqui e di Tortona. Ora, parlare di Diocesi nel dodicesimo secolo, significa anche parlare di potere temporale del Vescovo. L’estensione territoriale, in termini di diritto feudale, non era di certo secondaria, anzi. Il Vescovo, con la diocesi, tendeva ad acquisire una vera e propria signoria, e il suo prestigio, prima ancora che dalla sua azione pastorale, derivava proprio dalle terre su cui esercitava la propria missione. Se ne deduce che il Vescovo di Acqui, a cui venivano sottratti parecchi spazi, se si considera che lo stesso Rovereto era precedentemente incardinato nella sua diocesi, non poteva essere soddisfatto dalla decisione di Alessandro III. Tema 4. Ora la nascente diocesi di Alessandria si era fatta un altro nemico nel Vescovo di Pavia, perché, almeno così dice lo Schiavina, il più antico dei nostri annalisti, pur senza citare documenti, era successo un fatto assai particolare. Do voce a Guglielmo Schiavina: “Scrivono alcuni, avere il pontefice conferito al vescovo eletto [di Alessandria] il privilegio della croce e del pallio, spogliando di quella dignità Pietro quinto, vescovo di Pavia, in castigo d'aver parteggiato lungamente per l'imperatore e per l’eresiarca Ottaviano: richiamando per soprappiù l'imperatore stesso in Italia, a detrimento di tutta la cristianità. Se ciò sia o non sia, non oserei decidere.” (Schiavina, Annali, anno 1175) Posso comprendere come avere dei nemici per una città nata illegalmente fosse normale – e in quel periodo Alessandria era largamente impegnata in lotte e conflitti -, ma, se il Vescovo di Pavia e i pavesi già erano iscritti nelle schiere avversarie, il Vescovo di Acqui, dopo quelle decisioni, passava decisamente al campo avverso. Tema 5. Le tensioni fra i vescovi non dovevano certo piacere alla gerarchia, cosicché l’arcivescovo di Milano, Algisio da Pirovano, per evitare che tali conflitti favorissero il Barbarossa, aveva deciso di intervenire direttamente sul Pontefice. L’arcivescovo meneghino aveva ordito un sistema per acquietare gli acquesi e aveva trovato d’accordo Alessandro III che aveva acconsentito che il vescovo di Acqui traslasse il vescovado alla sede di Alessandria. Il Papa pensava così di rafforzare ancora una volta il ruolo di Alessandria a cui teneva in particolar modo. Da parte sua, Algisio era convinto, dovendo lui stesso portare a compimento l’ordine del Papa, che Uberto II, vescovo di Acqui, raddoppiando il suo incarico e le terre a sua disposizione, si potesse dichiarare soddisfatto e terminasse la lotta contro gli alessandrini. Aveva anche dato la notizia in pompa magna, annunciando con una lettera il suo obiettivo e il suo incarico. Ce ne parla il Ghilini, fissando gli avvenimenti all’anno 1180. Gli do voce: “Algìsio Pirovano, arcivescovo di Milano, a cui Alessandro III aveva l'anno avanti ordinato che attendesse al negozio della traslazione del vescovado della città d'Acqui in Alessandria, con gran fervore vi attese, e operò in maniera, che Ardoino cardinale e [il] vescovo d'Acqui venne alla residenza del vescovado di Alessandria, conforme all'ordine del papa, con condizione però, che non gli si levassero le ragioni e l'autorità che aveva sopra la Chiesa d' Acqui e sua diocesi; di più il suddetto arcivescovo diede agli Alessandrini l'assoluzione dal giuramento che essi diedero ad Ottone loro eletto, e comandò loro che, per l'avvenire, non a questo, ma sibbene al predetto cardinale Ardoino, loro vescovo, giurassero la fedeltà e obbedienza, onorandolo come proprio e particolare pastore” (Ghilini, annali, 1180) Ora anche il Ghilini fa un po’ di confusione, peraltro copiando lo Schiavina, visto che, anziché indicare Uberto II come vescovo di Acqui, lo cita come Ardoino e lo fa diventare anche cardinale. Cosa non vera, visto che Ardoino era il suddiacono nominato vescovo di Alessandria dal pontefice. Ma questa è una storia che sconta molti errori, anche perché i documenti giunti a noi sono pochi e non spiegano proprio tutti i vari passaggi. Tema 6. Anche questa soluzione, però, aveva una grave falla di cui l’arcivescovo Algisio non si era troppo curato nello sforzo di fare cessare in fretta l’ostilità degli acquesi con gli alessandrini. Nella città fra i due fiumi, infatti, lo ricordo, era stato nominato vescovo Ottone, che aveva protestato vibratamente nei confronti del delegato di Algisio, cioè l’arciprete di Monza che era stato inviato in città per definire in pratica le questioni. Anzi, Ottone gli aveva dichiarato che solo la forza avrebbe potuto smuoverlo dalla Cattedra alessandrina. Il povero arciprete, dunque ritornava a Milano senza aver concluso l’incarico. La questione ripassava ad Algisio. Tema 7. Come al solito l’intricata vicenda aveva trovato una soluzione bilanciata. L’arcivescovo aveva chiamato a sé il vescovo di Acqui e alcuni ecclesiastici alessandrini. Aveva letto loro il decreto di traslazione e sciolto Ottone da ogni vincolo, oltreché i religiosi alessandrini dal loro vincolo di obbedienza. Poi Ottone era stato premiato con l’episcopato nella diocesi di Bobbio e successivamente dall’arcivescovado di Genova, come ci racconta il Chenna. Peccato però che nell’accordo non si fossero tenute in gran conto le esigenze degli acquesi che perdevano d’un colpo il loro vescovado in favore di una città che non poteva certo vantare la storia di una urbs romana, quale Acqui risultava. Le loro proteste si erano trasformate in suppliche al vescovo Uberto II, che non aveva abbandonato la sede acquese, non recandosi in Alessandria a prendere il posto deciso dal pontefice. La città nuova rimaneva quindi senza Vescovo. Peraltro, nel 1181 moriva Alessandro III e un anno dopo, nel marzo 1182 scompariva anche l’arcivescovo di Milano. I protagonisti della vicenda se ne erano andati. Come uscire dall’impasse? Tema 8. Finora non vi ho parlato degli alessandrini, che non si erano granché mossi nel sostenere le loro stesse ragioni, visto che in quegli anni erano particolarmente impegnati nello stringere nuove alleanze con i paesi vicini e così accrescere il loro potere nel territorio. È proprio il Chenna a certificarci come la questione del Vescovado fosse rimasta come sospesa: Sentiamolo: “Involti pertanto gli Alessandrini in tante , e sì svariate pubbliche facende , troppo è facile, che da esse distratti abbiano trascurata l'esecuzione della ordinata traslazione del vescovo d'Acqui nella loro città, e lasciato quindi il popolo Acquese nella libertà di ritenersi, come piacevagli, il proprio vescovo ; il quale perciò non venne mai certo , come scrive il Ghilini aggiungendo anche questo agli altri sbagli , alla residenza del vescovato d'Alessandria (Chenna, del Vescovado, pag. 54)” Tanto per capire quali faccende impegnassero in quel periodo gli Alessandrini, basti pescare in documenti antichi, come quello, ad esempio, dell’alleanza con Orba del 1192, quando Alessandria aveva già condotto le complesse trattative per la pace con Federico Barbarossa ed aveva cambiato nome in Cesarea. Oppure, andando al 7 marzo 1181, ribadito nel 1192, quando i consoli di Alessandria avevano firmato con quelli di Genova la cosiddetta Concordia tra genovesi e alessandrini: un vero e proprio accordo di mutua assistenza anche e soprattutto in caso di conflitto. Francesco Cognasso così sintetizza l’accordo: “L'impegno era per 29 anni. Genova assumeva l'impegno di difendere gli alessandrini e tutti quelli del loro territorio, difesa delle persone e delle cose. Così nel caso in cui Alessandria si trovasse di dover difendere i suoi possessi o riconquistarli o di respingere aggressioni, Genova avrebbe dato un soccorso sino a 200 arcieri e tre mastri di legno ed un artefice e 10 balestrieri, a spese del comune di Genova stesso.” Tema 9. Poco sopra vi ho detto che la faccenda era rimasta sospesa. Come sarebbe finita? Intanto occorreva attendere che altri protagonisti si affacciassero sulla scena della storia, come ad esempio Papa Innocenzo III, ma anche già conosciuti attori del territorio, che finora erano rimasti ai margini: come l’immancabile Marchese del Monferrato. Ma mi occorre ancora un po’ di tempo per narrarvi anche questo. Alla prossima.








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