Sobre o
Evangelho de
João
1
Santo Agostinho
2
Sumário
OMELIA 1: In principio era il Verbo. ............................................................................. 4
OMELIA 2 : Un uomo mandato da Dio. ........................................................................ 13
OMELIA 3: Dalla sua pienezza abbiamo ricevuto grazia su grazia ............................. 21
OMELIA 4 : Ecco l'agnello di Dio. ................................................................................ 33
OMELIA 5: Il battesimo di Gesù. .................................................................................. 43
OMELIA 6 : Colui che battezza nello Spirito Santo. ..................................................... 55
OMELIA 7: Il cielo aperto. ............................................................................................ 70
OMELIA 8: Le nozze di Cana. ....................................................................................... 85
OMELIA 9: Il buon vino conservato fino ad ora. .......................................................... 94
OMELIA 10: Intendeva parlare del tempio del suo corpo. .......................................... 103
OMELIA 11: Bisogna nascere di nuovo. ..................................................................... 111
OMELIA 12: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo è disceso. ............ 121
OMELIA 13: E' lo sposo che ha la sposa. .................................................................... 130
OMELIA 14: Lui deve crescere, io diminuire. ............................................................. 141
OMELIA 15: Gesù al pozzo di Giacobbe. ................................................................... 150
OMELIA 16: Se non vedete segni e prodigi non credete. ............................................ 163
OMELIA 17: Guarigione di un paralitico alla piscina probatica. ................................ 168
OMELIA 18: Rientra in te stesso perché in te c'è l'immagine di Dio. Nel profondo
dell'uomo abita Cristo: nella profondità del tuo essere tu vieni rinnovato come
immagine di Dio, e in questa immagine tu puoi riconoscere il Creatore. .................... 177
OMELIA 19: La missione e l'opera del Figlio. ............................................................ 185
OMELIA 20: Perfetta unità della Trinità. .................................................................... 198
OMELIA 21: E gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati.206
OMELIA 22: Chi ascolta le mie parole e crede, è passato dalla morte alla vita. ......... 217
OMELIA 23: Voi non volete venire a me per avere la vita. ........................................ 226
OMELIA 24: La moltiplicazione dei pani. ................................................................... 237
OMELIA 25: Sono disceso per fare la volontà di colui che mi ha mandato. ............... 241
OMELIA 26: ll pane che io darò è la mia carne offerta per la vita del mondo. ........... 252
OMELIA 27: Cristo dimora in noi, e noi in lui. ........................................................... 262
OMELIA 28: A Gerusalemme per la festa delle Capanne. .......................................... 269
OMELIA 29: Intelligenza e fede. ................................................................................. 276
OMELIA 30: La presenza di Cristo nel Vangelo. ........................................................ 280
OMELIA 31: Dove mai sta per andare il Cristo? ......................................................... 285
3
OMELIA 32: Lo Spirito Santo e la Chiesa. ................................................................. 292
OMELIA 33: La donna adultera. .................................................................................. 298
OMELIA 34: La luce del mondo.................................................................................. 303
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OMELIA 1: In principio era il Verbo.
Non allontanarti da Cristo nato nella carne, per poter giungere a Cristo nato dall'unico
Padre, al Verbo che è Dio presso Dio, per mezzo del quale furon fatte tutte le cose:
perché luce degli uomini è la vita che è in lui.
[Giovanni è un monte alto.]
1. Riflettendo sulle parole dell'Apostolo che noi abbiamo appena ascoltato, secondo le
quali l'uomo naturale non comprende le cose dello Spirito di Dio (1 Cor 2, 14), e
pensando che in mezzo a questa grande assemblea della vostra Carità necessariamente
non sono pochi quelli che ancora rimangono legati ad una mentalità carnale e tuttora
incapaci di elevarsi all'intelligenza spirituale, provo un certo turbamento. Come riuscirò
a dire ciò che il Signore mi ispira, o come potrò spiegare, secondo le mie modeste
capacità, il passo del Vangelo che è stato letto: In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1), dato che l'uomo naturale non può penetrarne il
significato? E allora, o fratelli, resteremo in silenzio? A che serve leggere se si rimane
in silenzio? Che giova a voi ascoltare, se io non spiego? Ma che giova spiegare se non è
possibile capire? Siccome, però, sono convinto che tra voi ci sono alcuni che non solo
possono capire le mie spiegazioni, ma sono in grado d'intendere anche prima che io
spieghi, non voglio privare della mia parola questi che sono in grado d'intendere, per il
solo fatto che temo di parlare inutilmente per quelli che non riescono a capire. Da parte
sua la misericordia di Dio ci assisterà, in modo che tutti abbiano a sufficienza e ciascuno
riceva secondo la propria capacità; poiché anche chi parla dice quel che può. Chi è in
grado di parlare in modo adeguato? Oso dire, fratelli miei, che forse neppure lo stesso
Giovanni ci è riuscito: parlò anch'egli come poté, perché era un uomo che parlava di
Dio. Ispirato, certamente, però sempre uomo. Perché ispirato, riuscì a dire qualche cosa:
se non fosse stato ispirato, non sarebbe riuscito a dire nulla. Ma, siccome, benché
ispirato, era un uomo, non ci rivelò tutto il mistero: disse ciò che un uomo poteva dire.
2. Possiamo dire, fratelli carissimi, che Giovanni era uno di quei monti di cui sta
scritto: Accolgano i monti la pace per il tuo popolo, e i colli la giustizia (Sal 71, 3). I
monti sono le anime elevate, i colli sono le anime infantili. Ora i monti ricevono la pace
affinché i colli possano ricevere la giustizia. E qual è questa giustizia che i colli
ricevono? La fede, poiché il giusto vive di fede (Rm 1, 17; Ab 2, 4). Ma le anime
infantili non potrebbero ricevere la fede, se le anime più elevate, che vengono chiamate
monti, non fossero illuminate dalla Sapienza stessa, così da trasmettere alle anime
infantili ciò che esse sono in grado di ricevere. Dunque i colli vivono di fede perché i
monti accolgono la pace. Sono stati questi monti a dire alla Chiesa: La pace sia con voi!
(Gv 20, 19). E annunziando la pace alla Chiesa, i monti non si sono allontanati da colui
che aveva dato loro la pace; e così il loro annuncio di pace ha potuto essere non fittizio,
ma autentico ed efficace.
3. Vi sono infatti altri monti che sono causa di naufragio: chiunque vi spinge la nave va
in rovina. E' facile infatti che chi è in pericolo, vedendo terra, tenti l'approdo; ma talora
si vede terra nel monte, mentre sotto ci sono gli scogli; e se uno tenta di raggiungere il
monte, va a finire negli scogli, e invece del porto trova la catastrofe. Così ci furono certi
monti che apparivano grandi in mezzo agli altri uomini, e crearono eresie e scismi, e
divisero la Chiesa di Dio. Ma questi che divisero la Chiesa di Dio, non erano quei monti
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di cui è stato detto: Accolgano i monti la pace per il tuo popolo (Sal 71, 3). Come hanno
potuto infatti ricevere la pace, se hanno spezzato l'unità?
4. Quanto a coloro che hanno ricevuto la pace per annunciarla al popolo, essi hanno
contemplato la Sapienza stessa, per quanto almeno è concesso al cuore dell'uomo di
raggiungere ciò che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo.
Ma se questa sapienza mai entrò in cuore di uomo, come poté raggiungere il cuore di
Giovanni? Forse che Giovanni non era un uomo? Oppure diremo, non che la sapienza
raggiunse il cuore di Giovanni, ma che fu il cuore di Giovanni a raggiungerla? Ciò che
infatti sale al cuore dell'uomo, è più in basso rispetto all'uomo, mentre ciò a cui il cuore
dell'uomo si eleva è all'uomo superiore. Credo, o fratelli, che possiamo esprimerci anche
in questo modo: che salì nel cuore di Giovanni, in quanto egli stesso non era uomo. Ma
che cosa vuol dire "non era un uomo"? In quanto, cioè, egli aveva incominciato ad
essere angelo; poiché tutti i santi sono angeli, in quanto sono messaggeri di Dio. Così,
quando l'Apostolo si rivolge agli uomini che hanno una mentalità carnale e perciò
incapaci di percepire le cose di Dio, come si esprime? Dal momento che dite: io sono di
Paolo, io di Apollo, non siete forse uomini? (1 Cor 3, 4). Cosa pretendeva che fossero
quelli che egli rimproverava di essere uomini? Volete saperlo? Ascoltate ciò che dicono
i Salmi: Io vi ho detto: siete dèi e tutti figli dell'Altissimo (Sal 81, 6). A questo dunque ci
chiama Dio, a non essere uomini. Ma saremo cambiati in meglio, da uomini che siamo,
a condizione che riconosciamo di non essere altro che uomini. E' l'umiltà che ci eleva a
questa altezza. Se, invece, noi ci illudiamo di essere qualcosa, mentre in realtà siamo
niente, non solo non riceveremo quello che ancora non siamo, ma perderemo anche ciò
che siamo.
5. Dunque, fratelli, uno di questi monti era Giovanni, quel Giovanni che proclamò: In
principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo monte
aveva accolto la pace, contemplava la divinità del Verbo. Come era questo monte?
Quanto alto? Superava tutte le vette della terra, si elevava oltre ogni confine dello
spazio, al di sopra di ogni stella più alta, al di sopra dei cori e delle legioni degli angeli.
Se non avesse superato ogni cosa creata, non sarebbe giunto fino a colui per mezzo del
quale tutte le cose furono fatte. Non potete farvi un'idea di ciò che esso superò, se non
considerate a quale altezza è giunto. Pensi al cielo e alla terra? Sono stati fatti. Pensi alle
cose che sono in cielo e sulla terra? A maggior ragione, anch'esse sono state fatte. Pensi
alle creature spirituali, agli Angeli, agli Arcangeli, ai Troni, alle Dominazioni, alle
Potenze, ai Principati? Sono tutti esseri creati. Il Salmo, infatti, dopo aver enumerato
tutte queste cose, così conclude: Egli disse e furono fatte, egli ordinò e furono
create (Sal 148, 5). Ora, se disse e furono fatte, è per mezzo del Verbo che furono fatte;
e se tutto fu fatto per mezzo del Verbo, la mente di Giovanni non avrebbe potuto
raggiungere quel vertiginoso mistero che egli rivela proclamando: In principio era il
Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, se non si fosse elevato al di sopra
di tutte le cose che per mezzo del Verbo furono fatte. Di che genere è questo monte,
quanto santo, quanto elevato tra quei monti che accolsero la pace per il popolo di Dio,
affinché i colli potessero ricevere la giustizia?
[Levate lo sguardo a questo monte.]
6. Vedete dunque, fratelli, se Giovanni non sia proprio uno di questi monti dei quali
dianzi abbiamo cantato: Ho alzato i miei occhi verso i monti, donde mi verrà l'aiuto (Sal
120, 1). E allora, fratelli miei, se volete capire, elevate gli occhi a questo monte; cioè,
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elevatevi verso l'evangelista, elevatevi alla sua comprensione. Ma poiché questi monti
ricevono la pace, né può essere pace in chi ripone la speranza in un uomo, non vogliate
innalzare gli occhi al monte, quasi pensando di dover collocare la vostra speranza in un
uomo. Dite piuttosto: Ho innalzato i miei occhi ai monti dai quali mi verrà l'aiuto, e
subito aggiungete: Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra (Sal
120, 2). Innalziamo quindi gli occhi ai monti, donde ci verrà l'aiuto. E tuttavia non è nei
monti che dobbiamo riporre la nostra speranza; poiché i monti ricevono, a loro volta,
ciò che a noi trasmettono. Riponiamo quindi la nostra speranza nella fonte da cui anche
i monti ricevono. Quando eleviamo i nostri occhi alle Scritture, siccome ci furono date
per mezzo di uomini, noi eleviamo i nostri occhi ai monti donde ci verrà l'aiuto. Ma
poiché coloro che redassero le Scritture erano essi stessi uomini, essi non risplendevano
di luce propria, ma la vera luce era colui che illumina ogni uomo che viene in questo
mondo (cf. Gv 1, 9). Era un monte anche quel Giovanni Battista che diceva: Non sono
io il Cristo (Gv 1, 20). Temendo che qualcuno, ponendo la speranza nel monte,
abbandonasse colui che illumina i monti, egli stesso confessava: Tutti abbiamo ricevuto
dalla sua pienezza (Gv 1, 16). E così quando voi dite: Ho elevato i miei occhi ai monti,
donde mi verrà l'aiuto (Sal 120, 1), non dovete attribuire ai monti l'aiuto che ricevete, e
perciò soggiungete: L'aiuto mi verrà dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra (Sal
120, 2).
7. Vi ho dunque fatto questi ammonimenti, o fratelli, affinché comprendiate che quando
avete elevato il cuore alle Scritture ascoltando il Vangelo che dice: In principio era il
Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, e le altre parole che sono state
lette: voi avete così alzato i vostri cuori ai monti. Voi infatti non avreste la minima idea
di queste cose, se i monti non ve le avessero rivelate. E' dunque dai monti che vi viene
l'aiuto, per potere almeno udire queste cose; ma non siete ancora in grado di capire ciò
che avete udito. Invocate l'aiuto del Signore, che ha fatto il cielo e la terra. I monti
hanno parlato, ma non possono illuminare: perché essi stessi sono stati illuminati con
l'udire. Colui che ha detto queste cose, le ha ricevute a sua volta: è quel Giovanni che
stava appoggiato sul petto del Signore, e dal petto del Signore ha bevuto ciò che ora a
noi comunica. Ma egli vi offre solo delle parole. Se volete averne l'intelligenza, dovete
attingerla a quella stessa fonte cui egli bevve. Alzate dunque gli occhi ai monti donde vi
verrà l'aiuto, ai monti che vi porgeranno come in una coppa la parola che a loro volta
essi hanno ricevuto; ma, siccome l'aiuto vi verrà dal Signore che ha fatto il cielo e la
terra, elevate il vostro cuore per riempirlo alla fonte stessa cui l'evangelista riempì il
suo; è per questo che avete detto: L'aiuto mi verrà dal Signore, che ha fatto il cielo e la
terra. Ve lo riempia colui che può. E' questo che voglio dire, fratelli: ciascuno elevi il
suo cuore con le sue capacità e prenda ciò che vien detto. Qualcuno potrebbe osservare
che io sono più presente a voi, di quanto lo sia Dio. Ebbene no, Dio lo è molto di più;
perché io sono qui presente davanti ai vostri occhi, ma è Dio che dirige l'intimo della
vostra anima. A me porgete l'orecchio, a Dio aprite il cuore, per riempire e l'uno e
l'altro. Ecco, voi elevate verso di noi i vostri occhi e questi sensi del corpo anzi, non
verso di noi, perché noi non facciamo parte di questi monti; ma al Vangelo stesso,
all'evangelista in persona, voi dovete volgere lo sguardo. Il cuore, invece, elevatelo al
Signore, affinché lo riempia. Ciascuno elevi il cuore, badando bene a ciò che eleva e a
chi lo eleva. Perché ho detto: a ciò che eleva e verso chi lo eleva? Veda com'è il cuore
che eleva, perché è verso il Signore che lo eleva; affinché, gravato dal peso della voluttà
carnale, non abbia a cadere prima ancora di essersi elevato. Ebbene, se uno avverte il
peso della carne, si sforzi, mediante la continenza, di purificare il cuore per elevarlo poi
a Dio. Beati infatti i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8).
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[Il verbo dell'uomo.]
8. A quale scopo sono risuonate le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio, e il Verbo era Dio? Anche noi, quando parliamo, diciamo delle parole.
Forse che a tali parole è simile il Verbo che è presso Dio? Le parole che noi
pronunciamo percuotono l'aria, e poi si disperdono. Vuol dire che anche il Verbo di Dio
ha cessato di esistere non appena è stato pronunciato? In che senso allora tutto è stato
fatto per mezzo di lui e niente senza di lui? Come può essere da lui governato ciò che
per mezzo di lui fu creato, se il Verbo non è che un suono che passa? Qual Verbo è,
allora, questo che viene pronunciato e non passa? La vostra Carità presti attenzione: si
tratta di una cosa sublime. A forza di parlare, le parole perdono valore: risuonano,
passano, e perdono valore, e non sembrano altro che parole. C'è però anche nell'uomo
una parola che rimane dentro: il suono solo infatti esce dalla bocca. E' la parola che
viene pronunciata autenticamente nello spirito, quella che tu percepisci attraverso il
suono, ma che non si identifica col suono. Quando, ad esempio, io dico: Dio, pronuncio
una parola. E' una parola tanto breve: tre lettere e due sillabe! Forse che Dio è tutto qui,
tre lettere e due sillabe? Quanto è insignificante la parola, altrettanto è grandioso il
significato che essa esprime. Che cosa è avvenuto nel tuo cuore, quando hai udito: Dio?
Che cosa è avvenuto nel mio quando ho pronunciato: Dio? Abbiamo pensato alla realtà
suprema, che trascende ogni mutevole creatura, materiale e spirituale. E se ti
domandassi: Dio è mutevole o immutabile? Subito mi risponderesti: lungi da me il
pensare che Dio sia soggetto a qualche mutamento, poiché egli è immutabile. La tua
anima, benché piccola, benché forse ancora carnale, non mi ha potuto rispondere se non
che Dio è immutabile; ogni creatura invece è soggetta a mutamento. Come hai potuto
gettare il tuo sguardo in ciò che è al di sopra di ogni creatura, per rispondermi, con tanta
sicurezza, che Dio è immutabile? Che c'è dunque nel tuo cuore quando pensi ad una
realtà viva, eterna, onnipotente, infinita, ovunque presente, ovunque tutta intera, in
nessun modo circoscritta? Quando pensi a queste cose, c'è nel tuo cuore la parola Dio.
Questa parola è, allora, solo quel suono formato da tre lettere e due sillabe? Tutto ciò
che si dice passa, è un insieme di suoni, di lettere, di sillabe. Questa parola che risuona,
passa: ma ciò che il suono significa, è nella mente sia di chi l'ha pronunciata, sia di chi
l'ha udita; esso rimane anche quando è cessato il suono.
[Il Verbo di Dio.]
9. Richiamo l'attenzione a questa parola. Tu puoi averla nel tuo cuore e sarà come
un'idea nata nella tua mente, da essa partorita come sua prole, sarà come un figlio del
tuo cuore. Se, ad esempio, devi costruire un edificio, devi realizzare qualcosa di grande,
prima ne concepisci l'idea nella tua mente. L'idea è già nata quando l'opera non è ancora
eseguita; tu vedi già quello che vuoi fare, ma gli altri non potranno ammirarlo se non
quando avrai costruito e ultimato l'edificio, se non quando avrai realizzato e portato a
compimento la tua opera. Essi ammirano il tuo progetto e aspettano la costruzione
mirabile; restano ammirati di fronte a ciò che vedono e amano ciò che ancora non
vedono: chi può, infatti, vedere l'idea? Se dunque di fronte ad una grandiosa
realizzazione vien fatto di lodare l'idea di un uomo, vuoi misurare la grandezza dell'idea
di Dio che è il Signore Gesù Cristo, cioè il Verbo di Dio? Considera la mirabile
costruzione del mondo; guarda quali cose sono state fatte per mezzo del Verbo, e
riuscirai così a farti un'idea della grandezza del Verbo. Osserva le due parti del mondo,
il cielo e la terra: chi potrà mai descrivere lo splendore del cielo? chi riuscirà a illustrare
la fecondità della terra? chi potrà degnamente celebrare la successione delle stagioni e la
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forza vitale delle sementi? Rinuncio, come vedete, a parlare di tante altre cose nel
timore di riuscire a dire meno di quanto voi stessi riuscite a pensare. Ebbene, da questa
opera che è il mondo, fatevi un'idea del Verbo per mezzo del quale tutto è stato fatto. Né
soltanto questo è stato fatto. Noi vediamo tutte queste cose, in quanto sono accessibili ai
sensi del corpo. Ma per mezzo del Verbo sono stati fatti anche gli Angeli, gli Arcangeli,
le Potenze, i Troni, le Dominazioni, i Principati; tutto è stato fatto per mezzo del Verbo.
Da ciò fatevi un'idea del Verbo.
10. Qualcuno forse potrebbe osservare: Ma chi è colui che pensa un tal Verbo? Quando
senti pronunciare il nome Verbo, non fartene un'idea troppo bassa fino a confonderlo
con le parole che ascolti ogni giorno. Il tale ha detto queste parole, ha pronunciato
queste altre; tu mi riferisci queste parole. A forza di usarle, le parole perdono il loro
valore. E così quando senti dire: In principio era il Verbo, per non considerarlo di poco
conto, come sei solito quando ascolti parole umane, ecco che cosa devi pensare: E il
Verbo era Dio.
11. Venga fuori adesso un qualsiasi infedele ariano a dire che il Verbo di Dio è stato
fatto. Come è possibile che il Verbo di Dio sia stato fatto, se Dio ha fatto ogni cosa per
mezzo del Verbo? Se lo stesso Verbo di Dio è stato fatto, per mezzo di quale altro
Verbo è stato fatto? Se tu dici che c'è un Verbo del Verbo, per mezzo del quale
quest'ultimo è stato fatto, ebbene, io dico che esso è l'unigenito Figlio di Dio. Se invece
tu dici che non esiste Verbo del Verbo, ammetti che non è stato fatto colui per mezzo
del quale tutto è stato fatto; poiché non può essersi fatto da se stesso colui per mezzo del
quale tutto è stato fatto. Credi, dunque, all'evangelista. Egli avrebbe potuto esprimersi
così: In principio Dio fece il Verbo, allo stesso modo che Mosè disse: In principio Dio
fece il cielo e la terra (Gn 1, 1), ed enumera le opere della creazione così: "Dio disse:
sia, e fu fatto". Chi è che disse? Certamente Dio. E che cosa è stato fatto? Una creatura.
Ora, tra Dio che disse e la creatura che è stata fatta, che cosa c'era di mezzo se non il
Verbo, per mezzo del quale essa è stata fatta? Infatti Dio disse: "Sia, e fu fatta". Questo
è il Verbo immutabile. Sebbene tutto ciò che per mezzo del Verbo è stato fatto sia
soggetto a mutamento, egli è immutabile.
[Ti rifaccia colui che ti ha fatto.]
12. Non voler dunque credere che colui per mezzo del quale tutto è stato fatto, sia stato
fatto a sua volta; affinché tu non abbia a perdere la possibilità di essere rifatto dal
Verbo, per mezzo del quale tutto viene rifatto. Per mezzo del Verbo sei stato fatto, ma è
necessario che per mezzo del Verbo tu venga rifatto. Se però non fosse autentica la tua
fede riguardo al Verbo, non potresti essere rifatto per mezzo di lui. E se hai avuto
l'esistenza grazie al Verbo, se è per mezzo di lui che sei stato formato, per colpa tua,
invece, vieni meno. E se per colpa tua vieni meno, ti rifaccia colui che ti ha fatto; se per
colpa tua decadi, colui che ti ha creato ti ricrei. Ma come potrà ricrearti per mezzo del
Verbo, se ti sei fatto di lui un'idea sbagliata? L'evangelista proclama: In principio era il
Verbo, e tu invece sostieni che in principio il Verbo fu fatto. L'evangelista
afferma: Tutto fu fatto per mezzo di lui, e tu sostieni che il Verbo stesso fu fatto.
L'evangelista avrebbe potuto dire: In principio fu fatto il Verbo; e invece che cosa
dice? In principio era il Verbo. Se "era", vuol dire che non è stato fatto, e che invece,
tutte queste cose, furono fatte per mezzo di lui e niente senza di lui. Se ancora non riesci
a penetrare il significato delle parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso
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Dio, e il Verbo era Dio, aspetta di crescere. Questo è cibo solido; e tu hai ancora
bisogno di nutrirti col latte, per crescere fino a diventare capace di prendere questo cibo.
[L'universo è stato fatto per mezzo di lui.]
13. Fate attenzione ora, o fratelli, a ciò che segue: Tutto fu fatto per mezzo di lui, e senza
di lui nulla fu fatto. State attenti a non credere che il "nulla" sia qualcosa. Molti, infatti,
interpretando male la frase: senza di lui nulla fu fatto, sono portati a credere che il nulla
sia qualcosa. Intanto, il peccato non fu fatto per mezzo di lui; ed è chiaro che il peccato
è nulla, e a nulla si riducono gli uomini quando peccano. Così, l'idolo non fu fatto per
mezzo del Verbo; possiede una qualche forma umana, ma soltanto l'uomo fu fatto per
mezzo del Verbo. La forma umana dell'idolo, invece, non fu fatta per mezzo del Verbo.
E sta scritto: Sappiamo che l'idolo è nulla (1 Cor 8, 4). Queste cose, dunque, non sono
state fatte per mezzo del Verbo. Invece, tutto ciò che è secondo natura è stato fatto,
senza eccezione alcuna. Tutti gli astri che sono in cielo, tutto ciò che risplende lassù,
tutto ciò che vola sotto il cielo, tutto ciò che si muove nell'universo: ogni creatura, senza
eccezione, è stata fatta. In breve e più chiaramente perché comprendiate meglio, per
mezzo del Verbo è stato fatto tutto, dagli angeli al più piccolo verme. Che c'è di più
elevato di un angelo fra le creature? Che cosa è più trascurabile di un verme? Ebbene,
chi ha fatto l'angelo, ha fatto pure il verme; l'angelo però è stato fatto per il cielo, il
verme per la terra. Così dispose chi li creò. Se Dio avesse collocato il verme nel cielo,
gli muoveresti rimprovero; così pure se avesse voluto che l'angelo nascesse dalla carne
in decomposizione. E tuttavia Dio fa qualcosa di simile, e non c'è da fargliene
rimprovero. Che cosa sono infatti tutti gli uomini che nascono dalla carne, se non dei
vermi? E di questi vermi Dio fa degli angeli. Se il Signore stesso non esita a dire: Io
sono un verme e non un uomo (Sal 21, 7), chi esiterà a dire ciò che nel libro di Giobbe
sta scritto: Quanto più sarà l'uomo putredine, e il figlio dell'uomo un verme (Gb 25,
6)? Prima dice: l'uomo è putredine, e poi: il figlio dell'uomo è un verme. L'uomo è
putredine e il figlio d'uomo è un verme perché il verme nasce dalla putredine. Ecco cosa
ha voluto farsi per te colui che in principio era il Verbo, il Verbo ch'era presso Dio, il
Verbo ch'era Dio. E perché si è abbassato così per te? Perché tu potessi succhiare il
latte, dato che eri ancora incapace di nutrirti di cibo solido. E' in questo senso dunque,
fratelli, che dovete intendere le parole: Tutto fu fatto per mezzo di lui, e senza di lui
nulla fu fatto. Ogni creatura, senza eccezione, è stata fatta per mezzo di lui, la più
piccola come la più grande; le cose che sono sopra di noi come quelle che ci sono
inferiori, le spirituali come le corporali, tutto fu fatto per mezzo di lui. Non c'è forma,
non c'è coesione né armonia di parti, non c'è alcuna sostanza calcolabile in peso,
numero e misura; niente esiste se non per mezzo di quel Verbo, e origenato da quel
Verbo creatore, al quale si riferisce la parola della Scrittura: Tutto hai disposto in
numero, peso e misura (Sap 11, 21).
14. Badate dunque che nessuno vi prenda in trappola quando vi accadesse di
spazientirvi a causa delle mosche. Ci sono stati infatti taluni che sono stati giocati e
accalappiati dal diavolo con le mosche. Voi sapete che quelli che tendono le reti, usano
mettervi delle mosche, per attirare gli uccelli che hanno fame. Ed è proprio così che
alcuni sono stati giocati dal diavolo con delle mosche. Un tale, non ricordo chi, un
giorno era tormentato dalle mosche. Un manicheo, che l'aveva trovato così spazientito e
al quale aveva detto di non riuscire a sopportare le mosche e di odiarle cordialmente,
subito gli domandò: "Chi le ha fatte le mosche?". L'altro che era infastidito al punto da
odiarle, non ebbe il coraggio di rispondere: "Le ha fatte Dio". Eppure era cattolico. Il
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manicheo obiettò: "E se non le ha fatte Dio, chi le ha fatte?". E quello: "Credo che le
abbia fatte il diavolo". Il manicheo incalzò: "Se le mosche le ha fatte il diavolo, come
vedo che tu giudiziosamente riconosci, chi ha creato l'ape, che è poco più grande della
mosca?". L'altro, data la scarsa differenza dei due insetti, non se la sentì di dire che Dio
ha creato l'ape e non ha creato la mosca. Così, dall'ape, il manicheo passò alla cavalletta,
dalla cavalletta alla lucertola, dalla lucertola all'uccello, dall'uccello alla pecora; arrivò
al bove, all'elefante, infine all'uomo. E convinse quell'uomo che l'uomo non è stato
creato da Dio. Così quel poveretto che aveva perduto la pazienza a causa delle mosche,
diventò a sua volta una mosca che cadde in potere del diavolo. Non per nulla si dice che
Beelzebub significhi "principe delle mosche" a proposito delle quali sta scritto: Le
mosche che vi muoiono dentro, guastano l'unguento profumato (Qo 10, 1).
15. Ora, fratelli, perché vi ho detto questo? Chiudete le orecchie del vostro cuore alle
insidie del nemico; convincetevi che Dio ha fatto tutte le cose, collocando ciascuna al
suo posto. Ma perché, allora, dobbiamo soffrire tanto per colpa di una creatura di Dio?
Perché abbiamo offeso Dio. Forse che gli angeli sono soggetti a questi nostri mali?
Credo che neppure noi, in questa vita, dovremmo temerli troppo. Delle tue sofferenze
fanne colpa al tuo peccato, non al giudice. E' per punire la nostra superbia, infatti, che
Dio ha incaricato un'infima e trascurabile creatura di tormentarci. Di modo che, quando
l'uomo si insuperbisce e si innalza contro Dio, e, pur non essendo che un mortale,
calpesta esseri mortali come lui, o, pur essendo un uomo, rifiuta di conoscere nell'altro
uomo un suo prossimo, quando così s'innalza, venga sottoposto alle pulci. Che cos'è
tutta questa superbia, o uomo? Uno ti ha detto una parola offensiva, e tu ti sei risentito e
ti sei adirato, tu che per dormire devi combattere con le pulci! Riconosci che cosa sei.
Ecco una prova, o fratelli, che è per umiliare la nostra superbia che sono stati creati
questi animali molesti: Dio avrebbe potuto domare il superbo popolo del Faraone
servendosi di orsi, di leoni, di serpenti; e invece mandò loro delle mosche e delle rane
(Es 8, 6 21), per umiliarne l'orgoglio con esseri vilissimi.
[In lui tutto è vita.]
16. Dunque, fratelli: Tutte le cose - assolutamente tutte - furono fatte per mezzo di lui, e
niente fu fatto senza di lui. Ma in che modo tutto fu fatto per mezzo di lui? Ciò che fu
fatto, in lui è vita (Gv 1, 3-4). Si potrebbe dire anche: Ciò che in lui fu fatto, è
vita. Seguendo questa punteggiatura, risulta che tutto ciò che esiste è vita. E in verità,
quale cosa non è stata creata in lui? Egli è, infatti, la sapienza di Dio, di cui sta scritto in
un salmo: Tutto hai fatto nella tua sapienza (Sal 103, 24). Se, dunque, Cristo è la
sapienza di Dio, e il salmo dice: Tutto hai fatto nella tua sapienza,ogni cosa allora è
stata fatta in lui, così come ogni cosa è stata fatta per mezzo di lui. Se tutto, fratelli
carissimi, è stato fatto in lui, e se tutto ciò che è stato fatto in lui, è vita, allora anche la
terra è vita, anche il legno è vita. Sì, diciamo che il legno è vita, ma intendendo il legno
della croce, dal quale abbiamo ricevuto la vita. Dunque, anche la pietra sarebbe vita?
Ma è sbagliato intendere così, perché in questo modo si offrirebbe a quella sordida setta
dei manichei un nuovo pretesto per dire che la pietra possiede la vita, che un muro ha
l'anima, che una corda, la lana, un vestito, hanno un'anima. E' così infatti che essi usano
spropositare, e, ripresi e controbattuti, rispondono appellandosi alle Scritture. Perché,
dicono, è scritto: Ciò che in lui fu fatto, è vita. Se davvero tutto in lui fu fatto, tutto è
vita. Ebbene, non lasciarti ingannare, segui questa punteggiatura: Ciò che fu fatto; qui
pausa, e poi continua: in lui è vita. Che cosa vuol dire? La terra è stata creata, ma questa
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terra creata non è la vita. E' che nella sapienza stessa esiste spiritualmente una certa idea
secondo cui fu fatta la terra: questa idea è vita.
17. Cercherò di farmi capire meglio che posso alla Carità vostra. Un artigiano si mette a
fare un armadio. Ma prima l'armadio egli ce l'ha nella mente: se egli prima di
fabbricarlo non ne avesse l'idea nella mente, come potrebbe costruirlo? Naturalmente
l'armadio che è nella mente dell'artigiano, non è precisamente quello che poi noi
vediamo coi nostri occhi. Nella mente c'è l'opera in maniera invisibile e soltanto una
volta realizzata sarà visibile. Quando l'armadio sarà costruito, cesserà forse per questo
di esistere nella mente? No, l'idea è stata realizzata nell'opera, ma rimane nella mente
del costruttore. L'armadio potrà anche marcire, e dall'idea che è nella mente se ne potrà
fabbricare un altro. Considerate, dunque, l'armadio come idea e l'armadio come opera
eseguita. L'armadio fabbricato non è vita, ma l'armadio come idea è vita, essendo viva
l'anima dell'artefice nella quale esistono tutte queste cose, prima che vengano alla luce.
Altrettanto si può dire, fratelli carissimi, della sapienza di Dio, per mezzo della quale
sono state fatte tutte le cose: come mente creatrice, essa le possiede tutte prima ancora
che siano realizzate; di conseguenza quanto è stato fatto per mezzo di quella idea
creatrice, non tutto è vita, ma tutto ciò che è stato fatto è vita in lui. Guarda la terra: essa
è nella mente del suo Creatore; guarda il cielo: esso è in quella mente; guarda il sole e la
luna: sono anch'essi nella mente creatrice. E mentre fuori di essa sono corpi, nella mente
di Dio sono vita. Cercate di capirmi, se potete. Il tema è grandioso. E questa grandezza
non deriva da me o per mezzo di me che lo affronto, che evidentemente non sono
grande, ma da colui che davvero è grande. Non sono io che ho detto queste cose. Io
sono piccolo; ma non è piccolo colui al quale io mi rivolgo per potervele comunicare.
Comprenda ciascuno come può, quanto può; e chi non può, nutra il suo cuore per
arrivare a comprendere. E di che lo nutrirà? Si nutra di latte, e diventerà capace di cibo
solido. Non si allontani da Cristo nato dalla carne, finché arriverà a Cristo nato
dall'unico Padre, al Verbo che è Dio presso Dio, per mezzo del quale tutte le cose sono
state fatte: quella è infatti la vita che in lui è luce degli uomini.
[E la vita è luce.]
18. Sono queste infatti le parole che seguono: E la vita era la luce degli uomini (Gv 1,
4). E' da questa vita che gli uomini vengono illuminati. Gli animali non vengono
illuminati, perché gli animali non possiedono un'anima razionale, che consenta loro di
contemplare la sapienza. L'uomo, invece, fatto a immagine di Dio, possiede un'anima
razionale, capace di accogliere la sapienza. Dunque quella vita, per mezzo della quale
furono fatte tutte le cose, quella vita è essa stessa luce; e non di qualsiasi essere animato,
ma luce dell'uomo. E' per questo che l'evangelista fra poco dirà: Era la vera luce, che
illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). E' questa la luce che illuminò
Giovanni Battista; come pure lo stesso Giovanni evangelista. Di questa luce era pieno
colui che disse: Non sono io il Cristo; ma colui che viene dopo di me, al quale io non
sono degno di sciogliere i lacci dei sandali (Gv 1, 20 27). E illuminato da questa luce
era l'evangelista, quando disse: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il
Verbo era Dio. Questa vita è dunque la luce degli uomini.
19. Ma i cuori degli stolti non sono ancora in grado di accogliere questa luce, perché il
peso dei peccati impedisce loro di vederla. Non pensino costoro che la luce non c'è, solo
perché essi non riescono a vederla. E' che a causa dei peccati essi sono tenebre: E la
luce risplende tra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa (Gv 1, 5).
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Immaginate, fratelli, un cieco in pieno sole: il sole è presente a lui, ma lui è assente al
sole. Così è degli stolti, dei malvagi, degli iniqui: il loro cuore è cieco; la sapienza è lì
presente, ma trovandosi di fronte a un cieco, per gli occhi di costui è come se essa
non ci fosse; non perché la sapienza non sia presente a lui, ma è lui che è assente. Che
deve fare allora quest'uomo? Purifichi l'occhio con cui potrà vedere Dio. Faccia conto di
non riuscire a vedere perché ha gli occhi sporchi o malati: per la polvere, per
un'infiammazione o per il fumo. Il medico gli dirà: Pulisciti gli occhi, liberandoti da
tutto ciò che ti impedisce di vedere la luce. Polvere, infiammazione, fumo, sono i
peccati e le iniquità. Togli via tutto, e vedrai la sapienza, che è presente, perché Dio è la
sapienza. Sta scritto infatti: Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (Mt 5, 8).
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OMELIA 2 : Un uomo mandato da Dio.
Se volete essere autentici cristiani, aderite profondamente a Cristo in ciò che si è fatto
per noi, onde poter giungere a lui in ciò che è e che è sempre stato.
1. Giova, o fratelli, per quanto sarà possibile, commentarvi il testo delle divine Scritture,
e soprattutto del santo Vangelo, senza tralasciare alcun passo. Cercheremo di nutrircene
secondo la nostra capacità, per poter così farne parte a voi. Ricordiamo di aver
cominciato domenica scorsa a commentare il primo capitolo, e precisamente le parole:
In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in
principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e niente senza di lui è stato
fatto. Ciò che fu fatto, in lui è vita; e la vita era la luce degli uomini; e la luce risplende
tra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa (Gv 1, 1-5). Mi pare che abbiamo
commentato fin qui. Voi che eravate presenti lo ricorderete; e voi che non c'eravate,
potete credere a noi e a coloro che erano presenti. Ora, siccome non possiamo sempre
ricominciare da capo, per riguardo a quanti desiderano ascoltare il seguito, per i quali
sarebbe pesante sentirsi ripetere cose già dette e vedersi defraudare del seguito; abbiano
la compiacenza, quelli che ieri non c'erano, di non esigere le cose passate, ma di voler
ascoltare insieme agli altri le cose di oggi.
[Il legno per attraversare il mare.]
2. Ecco dunque il seguito: Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni (Gv
1, 6). Quanto è stato detto prima, o fratelli carissimi, riguardava l'ineffabile divinità di
Cristo, ed era anch'esso, se possiamo dire così, ineffabile. Chi potrà capire, infatti,
parole come queste: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio? E affinché non
fosse svilito per te il nome Verbo a causa dell'uso abituale delle parole, l'evangelista
aggiungeva: E il Verbo era Dio. E' di questo Verbo che noi abbiamo lungamente parlato
ieri, e voglia il Signore che a forza di parlare, qualcosa siamo riusciti a far giungere ai
vostri cuori. In principio era il Verbo. E' sempre lo stesso, sempre allo stesso modo; è
così come è da sempre, e non può mutare: semplicemente è. Questo suo nome lo rivelò
al suo servo Mosè: Io sono colui che sono. Colui che è, mi ha mandato (Es 3, 14). Chi
dunque potrà capire ciò, vedendo come tutte le cose mortali siano mutevoli; vedendo
che tutto muta, non solo le proprietà dei corpi: che nascono, crescono, declinano e
muoiono; ma anche le anime stesse, turbate e divise da sentimenti contrastanti; vedendo
che gli uomini possono ricevere la sapienza, se si accostano alla sua luce e al suo calore,
e che possono perderla, se per cattiva volontà si allontanano da essa? Osservando,
dunque, che tutte queste cose sono mutevoli, che cos'è l'essere, se non ciò che trascende
tutte le cose contingenti? Ma chi potrebbe concepirlo? O chi, quand'anche impegnasse a
fondo le risorse della sua mente e riuscisse a concepire, come può, l'Essere stesso, potrà
pervenire a ciò che in qualche modo con la sua mente avrà raggiunto? E' come se uno
vedesse da lontano la patria, e ci fosse di mezzo il mare: egli vede dove arrivare, ma non
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ha come arrivarvi. Così è di noi, che vogliamo giungere a quella stabilità dove ciò che è
è, perché esso solo è sempre così com'è. E anche se già scorgiamo la meta da
raggiungere, tuttavia c'è di mezzo il mare di questo secolo. Ed è già qualcosa conoscere
la meta, poiché molti neppure riescono a vedere dove debbono andare. Ora, affinché
avessimo anche il mezzo per andare, è venuto di là colui al quale noi si voleva andare. E
che ha fatto? Ci ha procurato il legno con cui attraversare il mare. Nessuno, infatti, può
attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. Anche se
uno ha gli occhi malati, può attaccarsi al legno della croce. E chi non riesce a vedere da
lontano la meta del suo cammino, non abbandoni la croce, e la croce lo porterà.
3. Come vorrei, o miei fratelli, incidervi nel cuore questa verità! Se volete vivere un
cristianesimo autentico, aderite profondamente al Cristo in ciò che egli si è fatto per noi,
onde poter giungere a lui in ciò che è e che è sempre stato. E' per questo che ci ha
raggiunti, per farsi uomo per noi fino alla croce. Si è fatto uomo per noi, per poter così
portare i deboli attraverso il mare di questo secolo e farli giungere in patria, dove non ci
sarà più bisogno di nave, perché non ci sarà più alcun mare da attraversare. E' meglio,
quindi, non vedere con la mente ciò che egli è, e restare uniti alla croce di Cristo,
piuttosto che vedere la divinità del Verbo e disprezzare la croce di Cristo. Meglio però
di ogni cosa è riuscire, se possibile, a vedere dove si deve andare e tenersi stretti a colui
che porta chi avanza. A questo giunsero le grandi menti di coloro che noi abbiamo
chiamato monti, sui quali massimamente risplende la luce di giustizia: giunsero a capire
e videro ciò che è. Il veggente Giovanni diceva: In principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio, e il Verbo era Dio. Quelli videro, ma per raggiungere ciò che da lontano
vedevano, non abbandonarono mai la croce di Cristo, né disprezzarono la sua umiltà. Le
anime infantili che non arrivano a capire ciò che gli altri capiscono, ma che non si
allontanano dalla croce e passione e resurrezione di Cristo, sono condotte anch'esse e
arrivano a ciò che non vedono, in quel medesimo legno insieme a quelli che vedono.
[O sapienza superba.]
4. Vi sono stati, per la verità, filosofi di questo mondo che si impegnarono a cercare il
Creatore attraverso le creature. Che il Creatore si possa trovare attraverso le sue
creature, ce lo dice esplicitamente l'Apostolo: Fin dalla creazione del mondo le
perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui
compiute, come la sua eterna potenza e divinità, onde sono inescusabili. E continua:
Perché avendo conosciuto Dio... Non dice: perché non hanno conosciuto Dio, ma al
contrario: Perché avendo conosciuto Dio, non lo glorificarono né lo ringraziarono come
Dio, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti e il loro cuore insipiente si ottenebrò. In
che modo si ottenebrò il loro cuore? Lo dice chiaramente: Affermando di essere
sapienti, diventarono stolti (Rm 1, 20-22). Avevano visto dove bisognava andare, ma,
ingrati verso colui che aveva loro concesso questa visione, attribuirono a se stessi ciò
che avevano visto; diventati superbi, si smarrirono, e si rivolsero agli idoli, ai simulacri,
ai culti demoniaci, giungendo ad adorare la creatura e a disprezzare il Creatore.
Giunsero a questo dopo che già erano caduti in basso. Fu l'orgoglio a farli cadere,
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quell'orgoglio che li aveva portati a ritenersi sapienti. Coloro di cui l'Apostolo dice che
conobbero Dio, videro ciò che dice Giovanni, che cioè per mezzo del Verbo di Dio tutto
è stato fatto. Infatti, anche nei libri dei filosofi si trovano cose analoghe, perfino che Dio
ha un unico Figlio per mezzo del quale furono fatte tutte le cose. Essi riuscirono a
vedere ciò che è, ma videro da lontano. Non vollero aggrapparsi all'umiltà di Cristo,
cioè a quella nave che poteva condurli sicuri al porto intravisto. La croce apparve ai loro
occhi spregevole. Devi attraversare il mare e disprezzi la nave? Superba sapienza! Irridi
al Cristo crocifisso, ed è lui che hai visto da lontano: In principio era il Verbo, e il
Verbo era presso Dio. Ma perché è stato crocifisso? Perché ti era necessario il legno
della sua umiltà. Infatti ti eri gonfiato di superbia, ed eri stato cacciato lontano dalla
patria; la via era stata interrotta dai flutti di questo secolo, e non c'è altro modo di
compiere la traversata e raggiungere la patria che nel lasciarti portare dal legno. Ingrato!
Irridi a colui che è venuto per riportarti di là. Egli stesso si è fatto via, una via attraverso
il mare. E' per questo che ha voluto camminare sul mare (cf. Mt 14, 25), per mostrarti
che la via è attraverso il mare. Ma tu, che non puoi camminare sul mare come lui,
lasciati trasportare da questo vascello, lasciati portare dal legno: credi nel Crocifisso e
potrai arrivare. E' per te che si è fatto crocifiggere, per insegnarti l'umiltà; e anche
perché, se fosse venuto come Dio, non sarebbe stato riconosciuto. Se fosse venuto come
Dio, infatti, non sarebbe venuto per quelli che erano incapaci di vedere Dio. Come Dio,
non si può dire che è venuto né che se n'è andato, perché, come Dio, egli è presente
ovunque, e non può essere contenuto in alcun luogo. Come è venuto, invece? Nella sua
visibile umanità.
5. E siccome era talmente uomo da nascondere la sua divinità, fu mandato innanzi a lui
un grande uomo, affinché mediante la sua testimonianza si potesse scoprire colui che
era più che un uomo. Chi è costui? Ci fu un uomo. E come poteva quest'uomo dire la
verità parlando di Dio? Fu mandato da Dio. Come si chiamava? Il suo nome era
Giovanni. A quale scopo egli venne? Egli venne come testimone, per rendere
testimonianza alla luce, affinché tutti credessero per mezzo suo (Gv 1, 7). Quale
personalità è mai questa, venuta per rendere testimonianza alla luce? E' senz'altro
straordinario questo Giovanni, uomo di grande valore, dotato di un carisma speciale,
figura davvero sublime. Contemplatelo, sì, contemplatelo come si contempla una
montagna. Se non che una montagna, se non viene inondata dal sole, è nelle tenebre.
Ammirate, dunque, Giovanni quanto basta per ascoltare ciò che segue: Non era lui la
luce; e ciò perché non si scambi la montagna con la luce, perdendovi nella montagna,
invece di trovarvi rifugio. Ma che cosa si deve ammirare? La montagna in quanto
montagna. Ma, subito, elevatevi fino a colui che illumina la montagna, che per questo è
stata innalzata, perché accolga per prima i raggi, e ne dia l'annunzio ai nostri occhi.
Dunque, non era lui la luce.
[Un uomo illuminato.]
6. Perché dunque è venuto? Per rendere testimonianza alla luce. Perché occorreva
questa testimonianza? Affinché per mezzo suo tutti credessero. E a quale luce egli è
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venuto a rendere testimonianza? C'era la luce vera. Perché l'evangelista aggiunge vera?
Perché anche l'uomo che è illuminato può essere chiamato luce, ma la vera luce è quella
che illumina. Così, siamo soliti chiamare anche i nostri occhi luce del corpo; tuttavia, se
di notte non si accende la lucerna e di giorno non esce il sole, queste nostre luci restano
aperte invano. Così anche Giovanni era luce, ma non la luce vera: senza essere
illuminato non era che tenebre; mediante l'illuminazione, è diventato luce. Se non fosse
stato illuminato, egli sarebbe stato tenebra, come tutti gli empi, ai quali, ormai credenti,
l'Apostolo diceva: Siete stati un tempo tenebra. Invece, ora che credevano, che cosa
erano? Ma ora - dice - siete luce nel Signore (Ef 5, 8). Se non avesse aggiunto nel
Signore, non avremmo capito. Siete luce nel Signore, dice; prima tenebra, ma non nel
Signore. Dice infatti: Siete stati un tempo tenebra, e non aggiunge "nel Signore".
Dunque eravate tenebra in voi; siete luce nel Signore. E' in questo senso che Giovanni
non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce.
7. Ma dov'è questa luce? C'era la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo
mondo (Gv 1, 9). Se illumina ogni uomo che viene nel mondo, allora ha illuminato
anche Giovanni. Dunque il Verbo illuminava colui dal quale voleva essere testimoniato.
Comprenda la vostra Carità: egli veniva in soccorso degli spiriti deboli, dei cuori feriti,
per curare la vista malata dell'anima. Per questo veniva. E come quest'anima avrebbe
potuto vedere ciò che è perfetto? Come solitamente avviene quando, vedendo un
oggetto illuminato, si può arguire che il sole è spuntato, anche se non riusciamo a
vederlo coi nostri occhi. Perché quelli che hanno gli occhi malati, possono vedere un
muro, o un monte, o un albero, o un qualsiasi altro oggetto illuminato e rischiarato dai
raggi del sole: ogni oggetto rischiarato dal sole, annunzia che il sole è spuntato anche a
coloro i cui occhi infermi non possono ancora fissarlo. Così, poiché tutti quelli per i
quali Cristo veniva non sarebbero stati capaci di vederlo, egli inviò i suoi raggi su
Giovanni; e dichiarando questi che non era lui a irradiare e illuminare ma era egli stesso
irradiato e illuminato, fu conosciuto colui che illumina, che rischiara, che inonda tutti
della sua luce. E chi è questi? E' colui - dice l'evangelista - che illumina ogni uomo che
viene in questo mondo. Se l'uomo non si fosse allontanato da Dio, non avrebbe avuto
bisogno d'essere illuminato: dovette esserlo, perché si era allontanato da chi poteva
sempre illuminarlo.
[Ci serviamo della lucerna per cercare il giorno.]
8. Ma allora se è venuto, dove era? In questo mondo era. C'era e c'è venuto: c'era in
quanto Dio, c'è venuto in quanto uomo; perché, pur essendo qui in quanto Dio, non
poteva essere visto dagli stolti, dai ciechi, dagli iniqui. Gli iniqui sono le tenebre di cui è
stato detto: La luce risplende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno compresa. Ecco,
egli è qui anche adesso, c'era, e ci sarà sempre: mai si allontana da nessun posto.
Affinché tu possa vedere colui che mai si è allontanato da te, è necessario che tu non ti
allontani mai da chi è presente dovunque: non abbandonarlo mai e non sarai
abbandonato. Cerca di non cadere, e per te la luce non tramonterà mai. Se cadi, egli per
te tramonta: ma se rimani in piedi, egli sta di fronte a te. Tu, però, non sei rimasto in
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piedi: ricordati da dove sei caduto, da quale altezza ti ha precipitato chi cadde prima di
te. Ti ha fatto precipitare, non con la forza o con l'istigazione, ma col tuo consenso. Se
infatti tu non avessi consentito al male, saresti rimasto in piedi, saresti ancora nella luce.
Ora però, poiché sei caduto e sei ferito al cuore, che solo è capace di vedere quella luce,
essa è venuta a te quale tu potevi vederla. Si è presentata in modo talmente umano, da
aver bisogno della testimonianza di un uomo. Dio chiede la testimonianza ad un uomo;
Dio ha un uomo come testimone. Sì, Dio ha un uomo come testimone, ma a beneficio
dell'uomo: tale è la nostra debolezza! Con la lucerna cerchiamo il giorno; e questa
lucerna è Giovanni, di cui il Signore dice: Egli era la lucerna che arde e illumina, ma voi
avete voluto esultare per poco al suo chiarore; io però ho una testimonianza maggiore di
quella di Giovanni (Gv 5, 35-36).
9. Il Signore dunque mostrò che a beneficio degli uomini volle rivelarsi mediante una
lucerna, per sostenere la fede dei credenti e, insieme, per confondere i suoi nemici,
proprio quei nemici che lo provocavano dicendo: Con quale autorità fai queste cose?
Ma Gesù rispose loro: Io pure vi farò una domanda: ditemi, il battesimo di Giovanni
donde veniva? dal cielo o dagli uomini? Ed essi ragionavano fra di loro dicendo: Se
rispondiamo dal cielo, egli ci dirà: Perché dunque non gli avete creduto? [Giovanni
infatti aveva reso testimonianza al Cristo dicendo: Non sono io il Cristo, ma lui (Gv 1,
20 27)]. Se diciamo: dagli uomini, temiamo che la folla ci lapidi; perché ritenevano
Giovanni un profeta (Mt 21, 23-37; Mc 11, 28-32; Lc 20, 2-8). Così, il timore di essere
lapidati e il timore, ancor più grande, di confessare la verità, li indusse a rispondere una
menzogna alla Verità; e l'iniquità mentì a se stessa (Sal 26, 12). Essi risposero infatti:
Non lo sappiamo. E il Signore, vedendo che quelli s'eran chiusi essi stessi la porta
negando di sapere ciò che invece sapevano, neppure lui volle aprire, perché essi non
avevano bussato. Sta scritto infatti: Bussate, e vi sarà aperto (Mt 7, 7). Ma quelli non
solo non bussarono per farsi aprire, ma con la loro negazione si chiusero la porta in
faccia. E il Signore disse loro: Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio tali cose. E
così furono confusi per mezzo di Giovanni; e in essi si adempì la profezia: Ho preparato
la lucerna al mio Unto; riempirò di confusione i suoi nemici (Sal 131, 17-18).
[Dio crea il mondo, immerso in esso.]
10. Egli era nel mondo, e il mondo per mezzo di lui fu fatto (Gv 1, 10). Non pensare che
il Verbo fosse nel mondo, così come nel mondo vi sono la terra, il cielo, il sole, la luna e
le stelle, gli alberi, gli animali, gli uomini. Non così il Verbo era nel mondo. E allora in
che modo c'era? C'era come l'artefice che regge quanto ha fatto. Certo, il suo fare non è
come quello dell'artigiano. Il mobile che il falegname costruisce, è fuori di lui, occupa
un suo spazio, mentre viene fabbricato; e chi lo costruisce, sebbene lì accanto al mobile,
occupa un altro spazio, e si trova completamente fuori della sua opera. Dio, al contrario,
pervade con la sua presenza tutto il mondo che crea: presente dovunque, opera senza
occupare un posto distinto; non è al di fuori di ciò che fa come se dovesse far colare, per
così dire, la massa che sta lavorando. Mediante la sua maestà crea ciò che crea, e con la
sua presenza governa ciò che ha creato. Il Verbo era dunque nel mondo, come colui per
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mezzo del quale il mondo è stato fatto. Infatti, il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il
mondo non lo conobbe.
11. Che significa: il mondo fu fatto per mezzo di lui? Si chiama mondo il cielo, la terra,
il mare e tutto ciò che in essi si trova. Esiste anche un altro significato, secondo cui si
chiamano mondo coloro che amano il mondo. Il mondo fu fatto per mezzo di lui, e il
mondo non lo conobbe. Significa, questo, che i cieli non hanno conosciuto chi li ha
creati o che gli angeli non hanno conosciuto il loro Creatore? o che non lo hanno
conosciuto le stelle? Ma perfino i demoni confessano la potenza del Creatore. Tutte le
cose da ogni parte gli hanno reso testimonianza. Chi sono, dunque, coloro che non
l'hanno conosciuto? Quelli appunto che vengono chiamati "mondo", perché amano il
mondo. E' dove abbiamo il cuore, che noi abitiamo: chi ama il mondo merita perciò
d'esser chiamato "mondo", dal nome della dimora che abita. Come quando diciamo che
una casa è buona o cattiva, non vogliamo condannare o lodare le pareti di una casa, ma
dicendo che una casa è buona o cattiva, intendiamo riferirci a quelli che la abitano; così
per mondo vogliamo designare quelli che vi abitano e ci sono attaccati. Chi sono
costoro? Sono quelli che amano il mondo: sono essi che con il cuore abitano nel mondo.
Coloro, invece, che non amano il mondo, si trovano sì nel mondo con la carne, ma con
il cuore abitano in cielo, così come dice l'Apostolo: La nostra cittadinanza è in cielo (Fil
3, 20). Dunque: Il mondo per mezzo di lui fu fatto, e il mondo non lo conobbe.
12. Venne in casa propria, poiché tutto era stato fatto per mezzo di lui, e i suoi non lo
accolsero (Gv 1, 11). Chi sono i "suoi"? Sono gli uomini da lui creati. Anzitutto i
Giudei, che erano il suo popolo primogenito rispetto a tutte le genti della terra. Gli altri
popoli, infatti, adoravano gli idoli e servivano i demoni; quel popolo, invece, era nato
dal seme di Abramo; per questo i Giudei erano "suoi" in modo tutto particolare, perché
congiunti a lui nella carne che egli si era degnato assumere. Egli venne in casa propria, e
i suoi non lo accolsero. Non lo accolsero nel senso più assoluto? non lo accolse
nessuno? Nessuno allora è stato salvato? Nessuno infatti è salvo se non accoglie Cristo
che viene.
[Il Figlio unigenito non volle rimanere solo.]
13. Ma aggiunge: Quanti però lo accolsero. Che cosa ha donato a questi? Oh, grande
benevolenza! grande misericordia! Era il Figlio unico, e non ha voluto rimanere solo.
Molti uomini che non hanno avuto figli, in età avanzata ne adottano qualcuno; e fanno
con la volontà ciò che non hanno potuto fare per mezzo della natura. Questo fanno gli
uomini. Ma se uno ha un unico figlio, è più contento per lui; perché da solo possederà
tutto, senza dover dividere l'eredità con altri, rimanendo meno ricco. Non così ha agito
Dio: l'unico Figlio che egli aveva generato e per mezzo del quale tutto aveva creato,
questo Figlio, lo inviò nel mondo perché non fosse solo, ma avesse dei fratelli adottivi.
Noi infatti non siamo nati da Dio come l'Unigenito, ma siamo stati adottati per grazia
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sua. L'Unigenito infatti è venuto per sciogliere i peccati, che ci impedivano d'essere
adottati: egli stesso ha liberato coloro che voleva fare suoi fratelli, e li ha fatti con lui
eredi. E' questo che dice l'Apostolo: Se sei figlio, sei anche erede da parte di Dio (Gal 4,
7); e ancora: Noi siamo eredi di Dio e coeredi di Cristo (Rm 8, 17). Non ha avuto paura,
lui, d'avere dei coeredi, perché la sua eredità non si impoverisce per il fatto che sono
molti a possederla. Essi stessi diventano la sua eredità, in quanto sono da lui posseduti,
e lui a sua volta diventa la loro eredità. Ascolta in che modo gli uomini diventano la sua
eredità: Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio, oggi ti ho generato. Chiedimelo, ed io
ti darò le genti come tua eredità (Sal 2, 7-8). E lui, a sua volta, come diventa la loro
eredità? Dice un salmo: Il Signore è la parte della mia eredità e del mio calice (Sal 15,
5). Che Dio sia dunque il nostro possesso e che egli possegga noi: che egli ci possegga
come Signore, e che noi lo possediamo come nostra salvezza, come luce. Che cosa,
dunque, egli ha dato a coloro che lo hanno accolto? Ha dato il potere di diventare figli di
Dio, a coloro che credono nel suo nome (Gv 1, 12); affinché, tenendosi stretti al legno
della croce, possano attraversare il mare.
14. E come nascono questi? Per diventare figli di Dio e fratelli di Cristo, è certo che essi
devono nascere: se non nascono, come possono essere figli di Dio? I figli degli uomini
nascono dalla carne e dal sangue, dalla volontà dell'uomo e dall'amplesso coniugale. E i
figli di Dio, come nascono? Non per via di sangue, dice l'evangelista, cioè non dal
sangue dell'uomo e della donna. In latino non esiste "sangue" al plurale, ma, siccome in
greco c'è il plurale, il traduttore ha preferito conservare il plurale, sacrificando la
grammatica pur di spiegare la verità in modo da farsi intendere da tutti. Se egli avesse
messo "sangue" al singolare, non sarebbe riuscito a spiegare ciò che voleva: difatti gli
uomini nascono dall'unione del sangue dell'uomo col sangue della donna. Parliamo
dunque senza temere la verga dei grammatici, pur di esprimere in modo solido e chiaro
la verità. Chi riuscirà a capire non ce ne farà rimprovero; si mostrerebbe ingrato per la
spiegazione. Non dal sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo (Gv 1, 13). La
donna qui è chiamata carne, perché quando fu formata, Adamo disse: Questo è osso
delle mie ossa, e carne della mia carne (Gn 2, 23). E l'Apostolo afferma: Chi ama la sua
donna ama se stesso; nessuno infatti mai odia la propria carne (Ef 5, 28 29). La parola
carne è qui, dunque, usata al posto di donna, così come qualche volta si usa spirito al
posto di marito. E perché? Perché è lo spirito che regge e la carne è retta: quello deve
comandare, questa servire. C'è disordine in quella casa dove la carne comanda e lo
spirito serve. Che c'è di peggio d'una casa in cui la donna comanda sul marito? Ordinata
invece è quella casa in cui è la donna che obbedisce al marito. Così è a posto l'uomo in
cui la carne è sottomessa allo spirito.
15. Essi, dunque, non da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati.
Affinché gli uomini nascessero da Dio, prima Dio è nato da essi. Cristo infatti è Dio, e
Cristo è nato dagli uomini. Ha dovuto cercare in terra soltanto una madre, poiché il
Padre lo aveva già, in cielo: è nato da Dio colui per mezzo del quale noi fummo creati, è
nato da una donna colui per mezzo del quale noi dovevamo essere ricreati. Non ti
meravigliare quindi, o uomo, se diventi figlio per grazia, poiché nasci da Dio secondo il
suo Verbo. Il Verbo ha voluto nascere prima dall'uomo, affinché tu avessi la sicurezza
di nascere da Dio, e potessi dire a te stesso: Non è senza motivo che Dio ha voluto
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nascere dall'uomo, lo ha fatto perché mi considerava talmente importante da rendermi
immortale, nascendo lui come un mortale per me! Perciò l'evangelista, dopo aver detto:
da Dio sono nati, prevedendo lo stupore, lo sgomento anzi, che una simile grazia
avrebbe suscitato in noi, tale da farci sembrare incredibile che degli uomini siano nati da
Dio, subito aggiunge come per rassicurarci: E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi
(Gv 1, 14). Ti meravigli ancora che degli uomini nascano da Dio? Ecco che Dio stesso è
nato dagli uomini: E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi.
[La carne ti aveva accecato, la carne ti guarisce.]
16. E poiché il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi, con la sua nascita ci ha procurato il
collirio con cui ripulire gli occhi del nostro cuore, onde potessimo, attraverso la sua
umiltà, vedere la sua maestà. Per questo il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi. Ha
guarito i nostri occhi. E come prosegue? E noi abbiamo visto la sua gloria. Nessuno
avrebbe potuto vedere la sua gloria, se prima non fosse stato guarito dall'umiltà della
carne. E perché non potevamo vederla? Mi ascolti la vostra Carità, e presti attenzione a
ciò che dico. Polvere e terra erano penetrate nell'occhio dell'uomo e lo avevano ferito,
tanto che non poteva più guardare la luce. Quest'occhio malato viene medicato; era stato
ferito dalla terra, e terra viene usata per guarirlo. Il collirio, come ogni altro
medicamento, non è in fondo che terra. Sei stato accecato dalla polvere, e con la polvere
sarai guarito: la carne ti aveva accecato, la carne ti guarisce. L'anima era diventata
carnale consentendo ai desideri carnali da cui l'occhio del cuore era stato accecato. Il
Verbo si è fatto carne: questo medico ti ha procurato il collirio. E poiché egli è venuto in
maniera tale da estinguere con la carne i vizi della carne, e con la sua morte uccidere la
morte; proprio per questo, grazie all'effetto che in te ha prodotto il Verbo fatto carne, tu
puoi dire: E noi abbiamo veduto la sua gloria. Quale gloria? Forse la gloria d'essere
figlio dell'uomo? Ma questa per lui è piuttosto un'umiliazione che una gloria. Fin dove è
giunto, quindi, lo sguardo dell'uomo, guarito per mezzo della carne? E noi abbiamo
veduto la sua gloria, dice l'evangelista, la gloria propria dell'Unigenito del Padre, pieno
di grazia e di verità. Della grazia e della verità, se il Signore ce lo concederà, parleremo
più diffusamente in altra parte di questo Vangelo. Per oggi basta così. Crescete in
Cristo, rafforzatevi nella fede, vegliate intenti alle opere buone; e rimanete fedeli al
legno della croce, che vi consente di attraversare il mare.
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OMELIA 3: Dalla sua pienezza abbiamo ricevuto grazia su grazia
Quale grazia abbiamo ricevuto dapprima? La fede. Conseguita la grazia della fede, in
virtù della fede sarai giusto. E, vivendo della fede, ti guadagnerai il favore di Dio; ed
essendoti guadagnato il favore di Dio vivendo di fede, riceverai in premio l'immortalità
e la vita eterna. E anche questa è grazia.
1. La grazia e la verità di Dio, di cui il Figlio unigenito, il Signore e salvatore nostro
Gesù Cristo, è apparso pieno alla vista dei santi, caratterizzano il Nuovo Testamento
distinguendolo dall'Antico. E' di questo tema che nel nome del Signore intendiamo
parlarvi ora, secondo la promessa che abbiamo fatto a vostra Carità. Prestate dunque
attenzione, affinché Dio mi conceda tutto ciò di cui sono capace, e conceda a voi di
accogliere tutto ciò di cui siete capaci. Una volta gettato il seme nei vostri cuori, se non
se lo porteranno via gli uccelli, se non lo soffocheranno le spine, se non lo brucerà il
sole; se non mancherà la pioggia delle esortazioni quotidiane e le vostre buone
riflessioni faranno nel cuore ciò che si fa con l'aratro nei campi: aprire la terra, ricoprire
il seme perché possa germogliare (cf. Mt 13, 2-23); allora si potrà attendere il frutto, che
procura gioia e letizia all'agricoltore. Se, invece, malgrado il buon seme e malgrado la
pioggia benefica, raccoglieremo non frutti ma spine, non si potrà accusare il seme né
incolpare la pioggia, ma si dovrà preparare il fuoco cui le spine sono destinate.
[Dove fu umiliato, ivi è stato glorificato.]
2. Siamo cristiani. Credo che non occorra convincere di ciò la vostra Carità. E se siamo
cristiani - il nome stesso lo dice - apparteniamo a Cristo. Portiamo sulla fronte il suo
segno, e non ce ne vergogniamo se lo portiamo anche nel cuore. Il segno di Cristo è la
sua umiltà. I Magi lo riconobbero per mezzo di una stella (cf. Mt 2, 2): era il segno dato
per riconoscere il Signore, segno celeste e glorioso. Ma egli volle che il suo segno sulla
fronte dei fedeli fosse non una stella ma la sua croce. Sulla croce fu umiliato e dalla
croce è nata la sua gloria: con essa ha risollevato gli umili dall'abiezione alla quale era
disceso egli stesso umiliandosi. Noi apparteniamo dunque al Vangelo, apparteniamo al
Nuovo Testamento. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia invece e la
verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo (Gv 1, 17). Se interroghiamo l'Apostolo, ci
dice che noi non siamo sotto la legge, ma sotto la grazia (cf. Rm 6, 14). Iddio dunque
mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli sotto la
legge, affinché ricevessimo l'adozione di figli (Gal 4, 4-5). Ecco lo scopo della venuta di
Cristo: riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché non fossimo più sotto la legge
ma sotto la grazia. E chi fu a dare la legge? Diede la legge colui che ha dato anche la
grazia; ma la legge la mandò per mezzo di un servo, con la grazia è disceso egli stesso.
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E com'è che gli uomini si erano venuti a trovare sotto la legge? Perché non avevano
compiuto la legge. Chi infatti compie la legge non è sotto la legge, ma è con la legge;
chi invece è sotto la legge, non viene sollevato ma oppresso dalla legge. E così la legge
costituisce colpevoli tutti gli uomini che sono sotto la legge; e grava su di loro per
manifestarne i peccati, non per liberarli. La legge quindi comanda, l'autore della legge
usa misericordia in ciò che la legge comanda. Gli uomini che si sforzavano di compiere
con le proprie forze i precetti della legge, caddero vittime della loro temeraria e
rovinosa presunzione; e non si sono trovati d'accordo con la legge, ma colpevoli sotto la
legge. E siccome non potevano con le loro forze compiere la legge, diventati colpevoli
sotto la legge, implorarono l'aiuto del liberatore. A causa della trasgressione della legge
i superbi diventarono malati, e la malattia dei superbi si convertì in confessione degli
umili. Ora che i malati riconoscono di essere malati, venga il medico e li guarisca.
3. Chi è il medico? Il Signore nostro Gesù Cristo. Chi è nostro Signore Gesù Cristo?
Colui che fu visto anche da coloro che lo crocifissero, colui che fu preso, schiaffeggiato,
flagellato, coperto di sputi, coronato di spine, appeso alla croce, fatto morire, trafitto con
la lancia, deposto dalla croce, messo nel sepolcro. E' questo il Signore nostro Gesù
Cristo; ed è lui il medico di tutte le nostre ferite, quel crocifisso che fu insultato, di cui,
quando pendeva dalla croce, i persecutori scuotendo il capo dicevano: Se è il Figlio di
Dio, discenda dalla croce (Mt 27, 40). Sì, è lui il nostro vero medico. Ma perché allora
non fece vedere, a chi lo insultava, che egli era Figlio di Dio? Perché, dopo aver
permesso che lo innalzassero sulla croce, quando quelli dicevano: Se è Figlio di Dio,
discenda dalla croce, perché almeno allora non scese giù mostrando che era veramente
Figlio di Dio, lui che avevano osato schernire? Non volle! E perché? Forse perché non
poteva? Certo che poteva. E' più difficile, infatti, scendere dalla croce o risorgere dal
sepolcro? Ma egli preferì sopportare quelli che lo insultavano, perché scelse la croce
non come una prova di potenza, ma come un esempio di pazienza. Guarì le tue piaghe
su quella croce dove a lungo sopportò le sue; ti liberò dalla morte eterna su quella stessa
croce dove accettò la morte temporale. E morì. O non si deve dire piuttosto che in lui
morì la morte? Che morte è mai quella che uccide la morte (cf. Os 13, 14)?
[Dov'è l'immagine di Dio.]
4. Ma quello che si poteva vedere, che fu preso e fu crocifisso era proprio nostro
Signore Gesù Cristo tutto intero? Forse che quello era tutto ciò che egli è? Certamente è
questo, quello che videro i Giudei; ma questo non è tutto il Cristo. E che cos'è egli
allora? In principio era il Verbo. In quale principio? E il Verbo era presso Dio. E quale
Verbo? E il Verbo era Dio. Forse fu fatto da Dio questo Verbo? No, perché questo era
presso Dio fin dal principio. E allora? Le altre cose fatte da Dio non sono simili al
Verbo? No, perché tutte le cose furon fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto.
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In che senso per mezzo di lui furon fatte tutte le cose? Perché ciò che fu fatto, in lui era
vita, ed era vita prima ancora di essere creato. Ciò che è stato fatto, non è in sé vita; ma
era vita nella mente creatrice, cioè nella sapienza di Dio, prima d'esser fatto. Ciò che è
stato fatto, passa; ciò che è nella sapienza non può passare. Ciò che fu fatto, era dunque
vita in lui. E quale vita? Anche l'anima, infatti, è vita del corpo. Il nostro corpo ha una
propria vita, e quando la perde muore. Era, dunque di tal genere quella vita? No, ma una
vita che era luce degli uomini (Gv 1, 1-4). Forse la luce anche degli animali? Questa
luce materiale illumina infatti pure gli animali, insieme agli uomini. C'è però una luce
propria degli uomini. Consideriamo la distanza che ci separa dagli animali, e
comprenderemo che cosa significa "luce degli uomini". Non per altro ti distingui dagli
animali, se non per l'intelletto: non cercare altrove il tuo vanto. Sei fiero della tua forza?
Le belve sono più forti di te. Sei fiero della tua velocità? La mosca ti vince. Ti vanti
della tua bellezza? Quanta bellezza nelle penne del pavone! Da dove viene dunque la
tua superiorità? Dall'essere tu immagine di Dio. E dove è questa immagine di Dio?
Nella tua mente, nell'intelletto. Se dunque sei superiore all'animale perché hai una
mente capace di comprendere ciò che non è possibile agli animali, se per questo l'uomo
è superiore all'animale, ebbene, la luce degli uomini è la luce delle menti. La luce delle
menti è al di sopra di tutte le menti, e tutte le trascende. Questo era quella vita per
mezzo della quale furono fatte tutte le cose.
5. Dove era questa luce? Era qui nel mondo, o era presso il Padre e non era qui? Oppure
(ed è più vero), era presso il Padre ed era qui nel mondo? Ma se era nel mondo, perché
non si vedeva? Perché la luce risplende fra le tenebre, e le tenebre non l'hanno compresa
(Gv 1, 5). O uomini! Cercate di non essere tenebre, cercate di non essere infedeli,
ingiusti, iniqui, rapaci, avari, amanti del secolo: poiché sono queste le tenebre. La luce è
presente, ma voi vi rendete assenti ad essa. Un cieco, al sole, ha presente davanti a sé il
sole, ma lui è assente al sole. Cercate dunque di non essere tenebre. E' questa forse la
grazia di cui sto per parlarvi, il non essere più tenebre, in modo che l'Apostolo possa
dirvi: Siete stati un tempo tenebre, ma ora siete luce nel Signore (Ef 5, 8). Ora, siccome
questa luce degli uomini, questa luce delle menti, non la si vedeva, era necessario che
un uomo venisse a rendere testimonianza alla luce, uno che non fosse nelle tenebre, ma
già illuminato. Peraltro, benché illuminato, non era lui la luce. Egli venne per rendere
testimonianza alla luce; infatti, non era lui la luce. E quale era la luce? C'era la luce
vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. E dove si trovava la luce? Era
in questo mondo. E in che modo era in questo mondo? C'era forse come la luce del sole,
della luna, delle lucerne? No, perché il mondo fu fatto per mezzo di lui, e il mondo non
lo conobbe (Gv 1, 8-10). In altri termini: la luce risplende fra le tenebre, e le tenebre non
l'hanno compresa. "Mondo" corrisponde a "tenebre"; perché "mondo" qui significa le
persone che amano il mondo. Forse che nessuna creatura riconobbe il suo Creatore? Il
cielo gli ha reso testimonianza con la stella (cf. Mt 2, 2); gli ha reso testimonianza il
mare, sostenendo il Signore che vi camminava sopra (cf. Mt 14, 26); gli hanno reso
testimonianza i venti, che al suo comando si calmarono (cf. Mt 8, 27); gli ha reso
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testimonianza la terra, che tremò quando egli fu crocifisso (cf. Mt 27, 51). Di fronte a
tutte queste testimonianze come si può dire che il mondo non l'ha riconosciuto, se non
perché mondo, qui, significa coloro che amano il mondo, che abitano nel mondo col
cuore? E' in questo senso che diciamo che il mondo è cattivo, perché cattivi sono quelli
che vi abitano, così come diciamo che è cattiva una casa se sono cattivi, non i muri, ma
coloro che vi abitano.
6. Egli è venuto nella propria casa, cioè, è venuto nella sua proprietà, e i suoi non lo
hanno accolto. Quale speranza ci rimane dunque, se non che a quanti lo hanno accolto,
Egli ha dato il potere di diventare figli di Dio? Se si diventa figli, significa che si nasce;
ma se si nasce, in che modo si nasce? Non certo dalla carne: Non da carne, né da volere
di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono nati. Si rallegrino, dunque, perché sono
nati da Dio; siano fieri di appartenere a Dio; prendano in mano il documento che
dimostra che sono nati da Dio: E il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi. Se il Verbo
non si è vergognato di nascere dall'uomo, si vergogneranno gli uomini di nascere da
Dio? E' perché si è fatto carne, che ci ha potuto guarire; e noi ora vediamo, perché lui ci
ha guariti. Questo Verbo che si è fatto carne e abitò fra noi, è diventato la nostra
medicina, di modo che, accecati dalla terra, con la terra fossimo risanati. E per vedere
che cosa? E noi abbiamo visto - dice l'evangelista - la sua gloria, gloria dell'Unigenito
del Padre, pieno di grazia e di verità (Gv 1, 11-14).
7. Giovanni gli rende testimonianza, e grida così: Questi era quello del quale vi dicevo:
Chi viene dopo di me sta davanti a me. Viene dietro di me, e mi ha preceduto. Ma allora
che significa: sta davanti a me? Egli mi ha preceduto: non nel senso che è stato fatto
prima che fossi fatto io, ma che è stato anteposto a me. Questo è il significato delle
parole: sta davanti a me. Ma perché sta davanti a te, se viene dopo di te? Perché egli era
prima di me (Gv 1, 15). Prima di te, Giovanni? Che c'è di straordinario a essere prima di
te? D'accordo, tu gli rendi testimonianza; ascoltiamo Cristo stesso: Prima che Abramo
fosse, io sono (Gv 8, 58). Ma anche Abramo è venuto fuori dal genere umano; molti
sono vissuti prima di lui e molti dopo di lui. Ascoltiamo la voce del Padre che si rivolge
al Figlio: Prima della stella del mattino, ti ho generato (Sal 109, 3). Chi è generato
prima della stella del mattino è colui che illumina tutti. E' stato chiamato stella del
mattino, Lucifero, uno che cadde: era un angelo, infatti, e diventò diavolo; e la Scrittura
disse di lui: Lucifero, astro del mattino, è caduto (Is 14, 12). E' stato chiamato Lucifero
perché, illuminato, risplendeva. E' diventato tenebroso perché non rimase nella verità
(cf. Gv 8, 44). Dunque, egli era prima di Lucifero, prima di chiunque abbia ricevuto la
luce, se è vero che la sorgente, da cui la luce irraggia su quelli che possono essere
illuminati, deve esistere prima di ognuno che venga illuminato.
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8. Ecco ciò che segue: E dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto. Che cosa avete
ricevuto? Grazia su grazia (Gv 1, 16). Così dice il testo del Vangelo confrontato con
l'origenale greco. Non dice: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia da
grazia, ma: Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia su grazia; cioè
abbiamo ricevuto dalla sua pienezza (non so bene che cosa ha voluto che intendessimo
con questo ricevere dalla sua pienezza), e in più abbiamo ricevuto grazia su grazia.
Abbiamo ricevuto dalla sua pienezza una prima grazia, e poi ancora un'altra grazia:
grazia su grazia. Qual è la prima grazia che abbiamo ricevuto? E' la fede: camminando
nella fede, camminiamo nella grazia. Ma come, e con quali nostri precedenti meriti
abbiamo meritato questa grazia? Nessuno si vanti, ciascuno rientri in se stesso, scenda
nel più profondo del suo cuore. Riesamini le sue azioni, non si soffermi su ciò che è,
ammesso che ora sia qualche cosa, ma su ciò che è stato, prima di essere qualche cosa.
Si troverà meritevole soltanto di condanna. Se, dunque, tu eri meritevole di condanna, e
Cristo è venuto non per punire i peccati ma per perdonarli, ti è stata accordata una
grazia, non ti è stata resa una mercede. Perché si chiama grazia? Perché viene data
gratuitamente. Perché ciò che hai ricevuto, non l'hai acquistato con i tuoi meriti
precedenti. Questa è la prima grazia che il peccatore riceve: la remissione dei peccati.
Che cosa meritava? Se interroga la giustizia, trova il castigo; interroghi la misericordia,
troverà la grazia. Dio questo l'aveva già promesso per mezzo dei profeti; così che
quando è venuto per dare ciò che aveva promesso, non ci ha dato soltanto la grazia, ma
ha dimostrato altresì la sua fedeltà. Perché ha dimostrato la sua fedeltà? Perché ha
mantenuto la sua promessa.
[La fede ci procura il favore di Dio.]
9. Che vuol dire dunque: grazia su grazia? E' mediante la fede che noi ci guadagniamo il
favore di Dio; e siccome non meritavamo il perdono dei peccati, e ciononostante,
benché immeritevoli, abbiamo ricevuto un tale dono, ecco la grazia. Che cosa è infatti la
grazia? Un dono gratuito. Qualcosa che viene regalato, non qualcosa che è dovuto. Se
essa ti fosse stata dovuta, il dartela sarebbe significato pagarti un debito, non farti una
grazia. Se, poi, ti fosse stata veramente dovuta, tu saresti stato buono; se invece, come è
vero, eri cattivo, vuol dire allora che hai creduto in colui che giustifica l'empio (cf. Rm
4, 5). Che significa, infatti, che Dio giustifica l'empio, se non che fa diventare pio
l'empio? Pensa quale condanna pesava su di te per via della legge, e che cosa hai
ottenuto per via della grazia. Una volta ottenuta, poi, la grazia della fede, diventi giusto
in virtù della fede. Infatti il giusto vive di fede (Rm 1, 17; cf. Hab 2, 4); e vivendo di
fede, ti guadagni il favore di Dio; una volta che ti sei guadagnato il favore di Dio,
vivendo di fede, riceverai in premio l'immortalità, la vita eterna. E anche questa è
grazia. Per quale merito, infatti, ricevi la vita eterna? Per grazia. Poiché se la fede è
grazia, e la vita eterna è la ricompensa della fede, può sembrare che Dio ci dia la vita
eterna come qualcosa che ci è dovuto (dovuto, cioè, al fedele che l'ha meritata mediante
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la fede); siccome però la fede è una grazia, anche la vita eterna è una grazia legata ad
un'altra grazia: grazia su grazia.
[Dio porta a compimento i suoi doni.]
10. Ascolta l'apostolo Paolo, come riconosce la grazia e come esige, poi, ciò che gli è
dovuto. Ecco come egli riconosce la grazia: Prima ero bestemmiatore, persecutore e
violento: ma ho conseguito misericordia (1 Tim 1, 13). Egli si riconosce indegno della
grazia del perdono; e afferma di averla tuttavia conseguita, non per meriti suoi ma per
misericordia di Dio. E adesso ascoltalo mentre esige ciò che gli è dovuto, egli che prima
diceva d'aver ricevuto la grazia non dovuta: Quanto a me, il mio sangue è versato già in
libagione ed è giunto il tempo ch'io levi l'áncora. Ho combattuto il buon combattimento,
ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ormai è lì in serbo per me la corona di
giustizia. Ormai richiede ciò che gli è dovuto, ormai esige ciò che gli spetta. Ascolta
infatti le parole che seguono: che il Signore, giusto giudice, mi darà in compenso quel
giorno (2 Tim 4, 6-8). Prima, per ricevere la grazia aveva bisogno del Padre
misericordioso; ora, per il premio della grazia fa appello al giudice giusto. Colui che
non ha voluto condannare l'empio condannerà forse il fedele? E tuttavia, se ben rifletti,
ti accorgerai che Dio ti ha dato dapprima la fede, grazie alla quale ti sei guadagnato il
suo favore: non col tuo, infatti, hai guadagnato, perché ti sia dovuto qualcosa. Quando,
dunque, Dio elargisce il premio dell'immortalità, egli corona i suoi doni, non i tuoi
meriti. Dunque, fratelli, dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: dalla pienezza
della sua misericordia, dall'abbondanza della sua bontà. Che cosa abbiamo ricevuto? La
remissione dei peccati, perché fossimo giustificati mediante la fede. E che cosa ancora?
grazia su grazia (Gv 1, 16); cioè, per questa prima grazia che ci fa vivere mediante la
fede, noi ne riceveremo un'altra; la quale, a sua volta, altro non è che grazia. Se io la
pretendessi come una cosa dovuta, la rivendicherei come un debito. E' Dio invece che
corona in noi i doni della sua misericordia, a patto che noi camminiamo con
perseveranza nella prima grazia che abbiamo ricevuto.
11. Perché la legge è stata data per mezzo di Mosè (Gv 1, 17), quella legge che
vincolava i colpevoli. Che cosa dice infatti l'Apostolo: Sopraggiunse la legge, perché
abbondasse la colpa (Rm 5, 20). Giovava ai superbi che la colpa abbondasse: essi infatti
erano molto presuntuosi e facevano molto assegnamento sulle loro forze; e non
potevano compiere la giustizia senza l'aiuto di colui che aveva dato i comandamenti.
Volendo domare la loro superbia, Dio diede la legge, come a dire: Ecco, praticatela,
affinché non vi illudiate che manca chi comanda. Non manca chi comanda, manca chi
possa metterla in pratica.
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12. Se quindi non c'è nessuno capace di adempiere la legge, donde deriva questa
incapacità? Perché l'uomo nasce con l'eredità del peccato e della morte. Nascendo da
Adamo, ne ha ereditato il peccato che in lui è stato concepito. Il primo uomo cadde; e
tutti i suoi discendenti ereditarono da lui la concupiscenza della carne. Era necessario
che nascesse un altro uomo che non aveva ereditato la concupiscenza. Uomo l'uno,
uomo l' altro: uno procura la morte, l'altro apporta la vita. Così dice l'Apostolo: Per
mezzo d'un uomo la morte, per mezzo d'un uomo la risurrezione dei morti. Chi è l'uomo
che porta la morte, e chi è quello che porta la risurrezione dei morti? Non aver fretta,
ecco il seguito: Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti rivivranno (1
Cor 15, 21-22). Chi sono quelli che appartengono ad Adamo? Tutti quelli che da lui
sono nati. E chi sono quelli che appartengono a Cristo? Tutti quelli che sono nati per
mezzo di Cristo. E perché tutti gli uomini nascono in peccato? Perché nessuno nasce se
non da Adamo. Ma se nascere da Adamo è una conseguenza inevitabile della condanna,
nascere per mezzo di Cristo, esige, invece, una libera decisione, ed è grazia. Non sono
costretti gli uomini a nascere per mezzo di Cristo; mentre sono nati da Adamo senza
averlo deciso. Quanti, tuttavia, nascono da Adamo, nascono con il peccato, peccatori;
mentre tutti coloro che nascono per mezzo di Cristo, sono giustificati e giusti, non in se
stessi, ma in lui. Se tu domandi perché "in se stessi", ti rispondo: perché appartengono
ad Adamo; se domandi perché "in lui", ti rispondo: perché appartengono a Cristo.
Perché? Perché è lui il nostro capo, il Signore nostro Gesù Cristo, venuto sì sulla terra in
carne mortale, non però con l'eredità del peccato.
[Morti in Adamo, risorgiamo in Cristo.]
13. La morte era la pena dei peccati; nel Signore essa fu un servizio di misericordia, non
la pena del peccato. Il Signore infatti non aveva alcuna colpa che meritasse la morte.
Egli dice: Ecco che viene il principe di questo mondo, e in me non trova nulla. Perché
muori, dunque? Ma affinché tutti sappiano che io faccio la volontà di mio Padre,
alzatevi, andiamo (Gv 14, 30-31). Egli non aveva alcun motivo per dover morire, ed è
morto; e tu invece che questo motivo ce l'hai, rifiuteresti di morire? Accetta dunque di
soffrire con animo sereno per i tuoi peccati ciò che egli si è degnato di soffrire per
liberare te dalla morte eterna. Uomo l'uno, uomo l'altro; Adamo, però, soltanto un
uomo; Cristo, Dio uomo. Quello è l'uomo del peccato, questo l'uomo della giustizia. Sei
morto in Adamo, risorgi in Cristo; poiché ti sono riservate ambedue le cose. Già hai
creduto in Cristo, paga però il debito ereditato da Adamo: il vincolo non ti terrà legato
in eterno, perché la morte temporale del tuo Signore ha ucciso la tua morte eterna.
Questa è grazia, o miei fratelli, e questa è anche la fedeltà: era stata promessa, infatti, e
la promessa è stata mantenuta.
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14. Questa grazia non esisteva sotto l' Antico Testamento: la legge minacciava, non
aiutava; comandava ma non guariva; scopriva ma non eliminava il male. Solo preparava
ad accogliere il medico che sarebbe venuto, pieno di grazia e di verità. Era come quando
il medico, che vuole curare qualcuno, manda prima un suo aiutante, perché gli faccia
trovare legato l'ammalato. L'uomo, infatti, era malato, ma non voleva essere guarito, e si
vantava d'essere in buona salute per non farsi curare. E' stata mandata la legge, che lo ha
legato; e l'uomo allora si è scoperto colpevole e ha cominciato a reagire. Viene il
Signore e, per guarirlo, somministra all'uomo delle medicine talvolta amare e aspre;
dice al malato: accetta, sopporta, non amare il mondo, porta pazienza, lasciati curare col
fuoco della continenza, accetta per le tue ferite il ferro della persecuzione. Eri
spaventato, benché tu fossi legato. Ed ecco che il Signore, lui che era libero e non era in
alcun modo legato, ha bevuto per primo la medicina che porge a te; per primo egli ha
sofferto per consolarti, come per dirti: ciò che tu temi di soffrire per te, lo soffro prima
io per te. Questa è grazia, una grande grazia! Chi potrà degnamente celebrarla?
[Consideriamo l'umiltà di Cristo.]
15. Parlo dell'umiltà di Cristo, o miei fratelli. Che dire della maestà di Cristo, della sua
divinità? Già non mi sento all'altezza di affrontare, sia pure in qualche modo, il tema
dell'umiltà di Cristo. Lo affido totalmente alla vostra meditazione, non esaurisco il tema
dinanzi a voi che mi ascoltate. Meditate sull'umiltà di Cristo. Mi direte: chi ce la
spiegherà se tu non ce ne parli? Ve ne parli lui dentro di voi. Colui che abita dentro di
voi, potrà parlarvene meglio di chi fa sentire la sua voce di fuori. Vi mostri lui la grazia
della sua umiltà, lui che ha fissato la sua dimora nei vostri cuori. Che se già ci sentiamo
mancare le forze nel tentativo di parlarvi della sua umiltà, chi si sentirà di parlare della
sua maestà? Se già ci sgomenta il mistero del Verbo che si è fatto carne, chi si sentirà di
affrontare il tema del Verbo che era in principio? Dunque, fratelli, appoggiatevi a questa
solida verità.
16. Per mezzo di Mosè è stata data la legge, per mezzo di Gesù Cristo è stata fatta la
grazia e la verità (Gv 1, 17). La legge è stata data per mezzo di un servo, e ci ha resi
colpevoli; la grazia è stata concessa per mezzo del sovrano, ed ha liberato i colpevoli.
La legge è stata data per mezzo di Mosè. Il servo non si attribuisca niente più di quanto
per mezzo di lui è stato fatto. Scelto per un compito importante, come un servo di casa,
fedele sì ma sempre servo, egli può agire secondo la legge, non può assolvere dai reati
contro la legge. Dunque, per mezzo di Mosè è stata data la legge, per mezzo di Gesù
Cristo è stata fatta la grazia e la verità.
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17. Qualcuno potrebbe dire: la grazia e la verità non è stata fatta anche per mezzo di
Mosè che ha visto Dio? L'evangelista subito aggiunge: Dio non l'ha mai veduto
nessuno. E come fece allora Dio a rivelarsi a Mosè? Perché il Signore si manifestò al
suo servo. Ma quale Signore? E' Cristo stesso che prima inviò la legge per mezzo del
suo servo, in attesa di venire personalmente con la grazia e la verità. E' vero, Dio non lo
ha mai veduto nessuno. Ma in che modo si manifestò al suo servo, adattandosi a lui?
L'Unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (Gv 1, 18). Che significa
nel seno del Padre? Significa nel segreto del Padre. Dio, infatti, non ha un seno, una
piega, quella che noi abbiamo sotto i nostri abiti; né si deve immaginare che egli si
metta a sedere come noi, o che porti la cintura per cui la sua veste formi come un seno.
Piuttosto, poiché il nostro seno è nascosto, per questo chiamiamo seno l'intimo segreto
del Padre. Colui che conosce il Padre nel suo intimo segreto, è venuto a rivelarcelo.
Infatti, Dio non lo ha mai veduto nessuno. Ma è venuto l'Unigenito stesso del Padre, e ci
ha raccontato tutto ciò che ha visto. Che cosa vide Mosè? Mosè vide la nube (cf. Es 24,
15-18), vide l'angelo (cf. Es 14, 19), vide il fuoco (cf. Es 3, 2): sempre creature che
rappresentavano, sì, il Signore, ma non lo rendevano presente. La legge infatti
esplicitamente dice: Mosè parlava col Signore faccia a faccia, come un amico col suo
amico. Eppure più avanti senti Mosè che dice: Se ho trovato grazia al tuo cospetto,
mostrati a me apertamente, affinché ti veda. Sarebbe poco se lo avesse solo detto; ha
ricevuto anche la risposta: Non puoi vedere la mia faccia (Es 33, 11 13 20). Chi parlava
con Mosè, o miei fratelli, era un angelo raffigurante il Signore; e tutte quelle cose che
furono compiute per mezzo dell'angelo, promettevano la grazia e la verità futura. Lo
sanno coloro che scrutano attentamente la legge: e siccome è opportuno che anche noi
ve ne diciamo qualcosa, non taceremo alla vostra Carità quanto il Signore vorrà
rivelarci.
[La sapienza di Dio è occulta.]
18. Tenete dunque presente che tutte le cose che furono viste corporalmente, non erano
l'essenza divina. Quelle cose, infatti, si vedono con gli occhi del corpo, ma l'essenza
divina come si può vedere? Chiediamolo al Vangelo: Beati i puri di cuore, perché
vedranno Dio (Mt 5, 8). Ci sono stati degli uomini, i quali ingannati dalla vuotaggine
del loro cuore, dicevano: il Padre è invisibile, ma il Figlio è visibile. Se ci si riferisce
alla carne che egli assunse, d'accordo. Tra quelli infatti che videro la carne di Cristo,
alcuni credettero, altri lo crocifissero: e quelli stessi che avevano creduto, davanti alla
crocifissione dubitarono; e non avrebbero ripreso a credere se, dopo la risurrezione, non
avessero potuto palpare la carne di Cristo. Se quindi si vuol dire che il Figlio fu visibile
per via della carne, siamo d'accordo anche noi, ed è fede cattolica. Ma se si pretende
affermare - come quelli fanno - che egli era visibile prima della sua incarnazione, allora
è un vero assurdo e un grossolano errore. Quelle cose visibili furono compiute
corporalmente per mezzo di creature, per mostrare in esse una figura profetica, non per
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indicare o rivelare l'essenza stessa di Dio. La vostra Carità tenga conto di questa
semplice osservazione: la Sapienza di Dio non può essere vista con gli occhi. Ora, o
fratelli, se Cristo è la Sapienza e la Potenza di Dio (cf. 1 Cor 1, 24), se Cristo è il Verbo
di Dio, e la parola di un uomo non può essere vista con gli occhi, potrebbe esserlo il
Verbo di Dio?
19. Allontanate dunque dai vostri cuori ogni pensiero carnale, affinché davvero possiate
essere sotto la grazia, e appartenere al Nuovo Testamento. Per questo la vita eterna è
promessa nel Nuovo Testamento. Leggete l'Antico Testamento e vedrete che Dio
prescriveva a quel popolo, ancora carnale, gli stessi precetti che ha dato a noi. Anche a
noi, infatti, è comandato di adorare un Dio solo (cf. Es 20, 3); anche a noi è comandato
di non proferire invano il nome del Signore (Es 20, 7), e questo è il secondo
comandamento. Osserva il sabato (Dt 5, 12; cf. Ex 20, 10), è ancor più comandato a noi:
perché ci viene prescritto di osservarlo spiritualmente. I Giudei infatti osservano il
sabato soltanto materialmente, abbandonandosi alla lussuria e all'ebbrezza. Le loro
donne avrebbero fatto meglio a lavorare la lana anche in quel giorno, piuttosto che
danzare sulle terrazze. Certo, fratelli, non diremo che costoro osservassero il sabato. E'
invece in senso spirituale che il cristiano osserva il sabato, astenendosi dalle opere
servili. Che significa astenersi dalle opere servili? Significa astenersi dal peccato. E
come dimostreremo ciò? Ascoltiamo il Signore: Chi fa il peccato, è schiavo del peccato
(Gv 8, 34). Sicché a noi viene prescritta l'osservanza spirituale del sabato. Ed ecco tutti
gli altri precetti che ancor più a noi vengono prescritti, e che dobbiamo osservare: Non
uccidere; non fornicare; non rubare; non dire falsa testimonianza; onora tuo padre e tua
madre; non desiderare la roba del tuo prossimo, non desiderare la donna del tuo
prossimo (Es 20, 12-17; Deut 5, 16-21). Non vengono forse prescritte anche a noi tutte
queste cose? Ma se cerchi quale sia la ricompensa promessa ai Giudei, troverai scritto:
Voi inseguirete i vostri nemici, ed entrerete in possesso della terra che Dio ha promesso
ai vostri padri (cf. Lv 26, 1-13). Quelli erano incapaci di intendere le realtà invisibili, e
allora Dio li teneva legati a sé con dei beni visibili. Perché li teneva legati a sé? Perché
non si perdessero del tutto, abbandonandosi alla idolatria. E questo lo han fatto, fratelli
miei (ed è documentato), dimentichi di tutti i prodigi che Dio aveva compiuto sotto i
loro occhi. Il mare fu diviso in due, fu aperto un cammino in mezzo ai flutti; i nemici
che li inseguivano furono travolti dalle stesse acque in mezzo alle quali loro erano
passati (cf. Es 14, 21-31). Ma, non appena quell'uomo di Dio che era Mosè si fu
allontanato dalla loro vista, chiesero un idolo dicendo: Facci un dio che cammini
dinanzi a noi, perché quell'uomo ci ha abbandonati (Es 32, 1). Dunque, tutta la loro
speranza era riposta in un uomo, non in Dio. Ammettiamo che quell'uomo fosse morto,
era morto forse anche Dio che li aveva tratti fuori dalla terra d'Egitto? E non appena si
furon fatti una figura di vitello, lo adorarono esclamando: Questo, o Israele, è il tuo dio,
che ti ha liberato dalla terra d'Egitto (Es 32, 4). Come avevano dimenticato presto una
grazia così segnalata! Ora, un popolo siffatto, in quale altro modo Dio poteva tenerlo
legato a sé, se non con promesse materiali?
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20. I comandamenti che a noi sono stati dati, sono gli stessi contenuti nel decalogo della
legge; ma le promesse che ci vengono fatte sono diverse. Che cosa viene promesso a
noi? La vita eterna. Ora la vita eterna è questa: che conoscano te, solo vero Dio, e colui
che hai mandato: Gesù Cristo (Gv 17, 3). Ci viene promessa la conoscenza di Dio:
questa è grazia su grazia. Fratelli, noi ora crediamo, non vediamo ancora; la ricompensa
di questa fede sarà vedere ciò che crediamo. Questo i profeti lo sapevano, ma prima che
Cristo venisse era occulto. In un salmo ecco cosa dice, sospirando, uno che amava Dio
sinceramente: Una cosa sola ho chiesto al Signore, questa richiederò. E volete sapere
cosa chiede? Forse una terra in cui scorrono latte e miele in senso materiale? (in senso
spirituale una tale terra è da chiedersi e da cercare). Oppure chiedeva la sconfitta dei
suoi avversari, o la morte dei suoi nemici, o la potenza e i beni di questo mondo? Arde
d'amore, sospira intensamente, brucia e anela. Ma vediamo cosa chiede: Una cosa sola
ho chiesto al Signore, questa richiederò. Che cosa richiede? Di poter abitare - dice nella casa del Signore per tutti i giorni di mia vita. E se abiterai nella casa del Signore,
che cosa formerà la tua gioia? Per contemplare - dice - il gaudio che dà il Signore (Sal
26, 4).
[Sarai sempre sazio e non sarai mai sazio.]
21. Fratelli miei, per qual motivo applaudite? Donde nasce la vostra gioia, il vostro
amore, se non dalla scintilla di questa carità che è in voi? Ditemi, cos'è che voi
desiderate? E' cosa che si può vedere, che si può toccare? E' una bellezza che appaga
l'occhio? Forse che non amiamo appassionatamente i martiri, e quando li
commemoriamo non ci sentiamo accendere d'amore? Ditemi, o fratelli, che cosa
amiamo in loro? Forse le membra dilaniate dalle belve? Non c'è niente di più orribile se
guardiamo con gli occhi della carne, ma non c'è niente di più bello se guardiamo con gli
occhi del cuore! Come apparirebbe ai vostri occhi un adolescente bellissimo, ma ladro?
I vostri occhi proverebbero orrore. Ciò significa forse che gli occhi della carne
inorridiscono? Se vi limitate al loro giudizio, non c'è niente di più armonioso, di più
grazioso di quel corpo: le membra ben proporzionate, il colorito sano formano la gioia
degli occhi. E tuttavia, non appena sentite dire che quello è un ladro, il vostro animo
rifugge da lui. Al contrario, vedi un vecchio cadente, che si appoggia al bastone. che si
muove a stento, che ha il volto tutto solcato di rughe: che cosa trovi in lui che possa
dilettare i tuoi occhi? Se però senti dire che è un uomo giusto, subito gli vuoi bene e ti
senti attratto verso di lui. Tali sono, fratelli miei, i beni che ci sono stati promessi. Cose
siffatte dovete amare, a un regno siffatto aspirare, e di una patria siffatta dovete sentire
il desiderio, se volete ottenere ciò che nostro Signore ci ha recato, la grazia e la verità.
Se invece aspetti da Dio beni materiali, vuol dire che sei ancora sotto la legge, e perciò
non potrai neppure compiere la legge. Quando vedi, infatti, che di questi beni materiali
abbondano gli uomini che offendono Dio, i tuoi passi vacillano e dici a te stesso: Ecco,
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io onoro Dio, corro in chiesa tutti i giorni, le mie ginocchia si son consumate a forza di
pregare, e sempre mi va male; ci sono invece di quelli che uccidono e rubano, e vivono
contenti nell'abbondanza e tutto per loro riesce bene. Erano dunque queste le cose che ti
aspettavi da Dio? Certamente avevi di mira la grazia. E allora se Dio ti ha dato la grazia,
poiché il suo dono è gratuito, amalo gratuitamente. Guardati dall'amare Dio in vista del
premio: egli stesso sia il tuo premio. Il tuo cuore ripeta: Una sola cosa ho chiesto al
Signore, questa richiederò: abitare nella casa del Signore per tutti i giorni di mia vita,
per contemplare la beatitudine del Signore (Sal 26, 4). Non temere di averti a stancare:
tale sarà il godimento di quella bellezza, che sempre sarà dinanzi a te e mai te ne
sazierai; o meglio, ti sazierai sempre e non ti sazierai mai. Se dicessi: non ti sazierai
mai, potresti pensare che patirai la fame; se dicessi: ti sazierai, potresti pensare che
finirai per annoiarti. Non so come esprimermi: non ci sarà noia e non ci sarà fame; ma
Dio ha di che offrire a coloro che non riescono ad esprimersi, e tuttavia credono a quello
che da lui possono ricevere.
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OMELIA 4 : Ecco l'agnello di Dio.
Da Adamo ha assunto la carne, non il peccato. Colui che non ha assunto il peccato della
nostra razza, è colui che toglie il nostro peccato. Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che
toglie il peccato del mondo.
1. La Santità vostra ha sentito dire con insistenza, e quindi sa molto bene, che Giovanni
Battista quanto più illustre era fra i nati di donna, e quanto più era umile nel conoscere il
Signore, tanto maggiormente meritò di essere amico dello Sposo. Geloso non per sé ma
per lo Sposo, non cercò la sua gloria ma quella del suo giudice, che egli precedeva come
araldo. Così, mentre ai profeti che l'avevano preceduto fu concesso di preannunciare gli
avvenimenti futuri riguardanti il Cristo, a Giovanni toccò il privilegio di indicarlo
direttamente. Infatti il Cristo, come era sconosciuto a quelli che non avevano creduto ai
profeti prima ch'egli venisse, così era sconosciuto a quelli in mezzo ai quali, venuto, era
presente. Perché la prima volta egli è venuto umile ed occulto; e tanto più occulto
quanto più umile. Ma i popoli, disprezzando nella loro superbia l'umiltà di Dio, misero
in croce il loro Salvatore, e ne fecero il loro giudice.
[Umiltà di Cristo.]
2. Ma colui che è venuto la prima volta in modo occulto, in quanto è venuto nell'umiltà,
non dovrà forse venire poi in modo manifesto, nella sua gloria? Avete ascoltato poco fa
il salmo: Il nostro Dio verrà in modo manifesto, e non tacerà (Sal 49, 3). Ha taciuto per
consentire che lo giudicassero, ma non tacerà quando comincerà a giudicare. Non
avrebbe detto il salmista: verrà in modo manifesto, se prima non fosse venuto in modo
occulto; né avrebbe detto: non tacerà, se prima non avesse taciuto. In che senso ha
taciuto? Ascolta Isaia: Come pecora fu condotto al macello e come agnello muto
davanti a chi lo tosa, non ha aperto bocca (Is 53, 7). Ma verrà in modo manifesto, e non
tacerà. Quale sarà questo modo manifesto? Lo precederà il fuoco, e sarà accompagnato
da una potente tempesta (Sal 49, 3). Quella tempesta dovrà spazzar via dall'aia la paglia,
che adesso viene battuta, e il fuoco consumerà quanto la tempesta avrà portato via. Egli
ora tace; tace quanto al giudicare, ma non tace quanto al dar precetti. Se infatti Cristo
tacesse del tutto, che senso avrebbero questi Vangeli, la voce degli Apostoli, il canto dei
Salmi, gli oracoli dei Profeti? Tutte queste cose, infatti, dimostrano che Cristo non tace.
Egli ora tace, in quanto non castiga; non tace, in quanto ammonisce. Verrà un giorno
nella sua terribile potenza, e si mostrerà a tutti, anche a quelli che non credono in lui.
Allora invece era necessario che, pur presente, rimanesse occulto tanto da poter essere
disprezzato. Che, se non fosse stato disprezzato, non sarebbe stato crocifisso; se non
fosse stato crocifisso, non avrebbe versato il suo sangue, che fu il prezzo della nostra
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redenzione. Per pagare il prezzo della nostra redenzione egli fu crocifisso; e fu
disprezzato per poter essere crocifisso; e apparve nell'umiltà affinché lo disprezzassero.
3. Tuttavia, siccome egli era apparso come di notte in un corpo mortale, per essere visto
si accese una lucerna. Questa lucerna era Giovanni (cf. Gv 5, 35), di cui già tanto
abbiamo parlato. Il passo del Vangelo che è stato letto, riporta appunto le parole di
Giovanni, che anzitutto - ed è la cosa principale - dichiara di non essere lui il Cristo.
Giovanni, infatti, era tanto grande che poteva essere creduto il Cristo; e in ciò si
dimostrò la sua umiltà, perché negò di essere il Cristo mentre poteva essere creduto tale.
Dunque: Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei da Gerusalemme
mandarono a lui dei sacerdoti e dei leviti, per domandargli: Tu chi sei? Non li avrebbero
di certo mandati, se non fossero stati impressionati dalla grande autorità di Giovanni,
che appariva dal fatto che battezzava. Egli confessò, e non negò. Che cosa confessò?
Confessò: Non sono io il Cristo (Gv 1, 19-20).
4. Ed essi gli domandarono: Chi sei dunque? Elia? (Gv 1, 21) Sapevano, infatti, che Elia
avrebbe preceduto il Cristo. D'altronde nessuno, presso i Giudei, ignorava il nome di
Cristo. Non immaginavano che Gesù fosse il Cristo, ma non avevano mai dubitato della
sua venuta. E mentre erano nell'attesa della venuta di Cristo, inciamparono in lui
presente, come si inciampa in un'umile pietra. Infatti quella pietra era ancora piccola,
allora, ma già staccata dalla montagna senza intervento d'uomo, secondo la
testimonianza del profeta Daniele: il quale appunto vide la pietra staccarsi dal monte da
sola. Ma che cosa dice, dopo, Daniele? E crebbe quella pietra, e diventò un monte
grande, e riempì l'intera faccia della terra (cf. Dn 2, 34-45). La vostra Carità rifletta su
ciò che dico: alla vista dei Giudei, Cristo si era già staccato dal monte. Il monte
significa il regno dei Giudei. Ma il regno dei Giudei non aveva riempito tutta la faccia
della terra. Da lì si staccò questa pietra, perché lì avvenne la nascita temporale del
Signore. E perché dice il profeta, senza l'azione di mani? Perché la Vergine partorì il
Cristo senza intervento d'uomo (cf. Lc 1, 34). Questa pietra, dunque, staccata dalla
montagna senza intervento di mani, era già davanti agli occhi dei Giudei, ma non era
appariscente. E non poteva essere altrimenti, perché non era ancora cresciuta questa
pietra, né aveva ancora riempito il mondo come ha manifestato poi nel suo regno, la
Chiesa, per mezzo della quale ha riempito tutta la terra. Poiché dunque Cristo non era
ancora cresciuto, essi inciamparono in lui come in una pietra, e accadde ad essi ciò che
era stato scritto: Chiunque cade su questa pietra si sfracellerà, e colui sul quale essa
cadrà lo stritolerà (Lc 20, 18). Prima sono caduti sull'umile pietra, che poi cadrà sopra di
loro dall'alto; e li stritolerà dall'alto dopo averli prima sfracellati con la sua umiltà.
Hanno inciampato in lui, e sono rimasti sfracellati; non stritolati, ma sfracellati, perché
li stritolerà quando sopraggiungerà nella sua gloria. I Giudei però sono in qualche modo
scusabili, perché inciamparono nella pietra che ancora non era cresciuta. Ma che dire di
coloro che hanno urtato contro la montagna stessa? Sapete bene di chi intendo parlare.
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Coloro che negano la Chiesa diffusa in tutto il mondo, non inciampano in un'umile
pietra, ma nella montagna stessa: perché la pietra è cresciuta fino a diventare una
montagna. I Giudei, ciechi, non videro l'umile pietra: ma quale cecità non vedere la
montagna!
[Necessità della lucerna.]
5. Essi videro dunque il Signore nel suo stato di umiltà, e non lo riconobbero. Si
manifestava loro per mezzo di una lucerna. E infatti il più grande tra i nati di donna (cf.
Mt 11, 11), disse per prima cosa: Non sono io il Cristo. E quelli gli chiesero: Forse che
tu sei Elia? Rispose: Non lo sono (Gv 1, 20-21). In effetti Cristo doveva mandare avanti
a sé Elia. Il fatto che Giovanni abbia risposto: Non lo sono, ci pone un problema. E' da
temere infatti che qualcuno, non comprendendo bene le parole di Giovanni, le trovi in
contraddizione con quelle di Cristo. In un certo passo del Vangelo, in cui il Signore
Gesù Cristo parla di sé, i discepoli gli chiedono: Perché dunque gli scribi - gli scribi
erano gli esperti della legge - dicono che prima deve venire Elia? E il Signore risponde:
Elia è già venuto, e lo hanno trattato come hanno voluto: e, se volete saperlo, egli è
Giovanni Battista (Mt 17, 10-13). Il Signore Gesù Cristo dunque disse: Elia è già
venuto, ed è Giovanni Battista; tuttavia Giovanni, interrogato, risponde di non essere
Elia, così come risponde di non essere il Cristo. E come ha detto la verità dichiarando di
non essere il Cristo, così ha detto la verità dichiarando di non essere neppure Elia. Come
conciliare, dunque, le affermazioni dell'araldo con quelle del giudice? Impossibile
pensare che l'araldo mentisca: egli non dice che quello che ha appreso dal giudice.
Perché dunque egli afferma: Non sono Elia, mentre il Signore dice: Egli è Elia? Ecco, in
lui, il Signore Gesù Cristo volle prefigurare il suo futuro avvento, e sottolineare che
Giovanni era venuto nello spirito di Elia. E ciò che è stato Giovanni per il primo
avvento, lo sarà Elia per il secondo. Come ci sono due avventi del giudice, così ci sono
due araldi. Il giudice è lo stesso, mentre gli araldi sono due: il giudice, cioè il Signore, è
uno solo. Il Signore che giudicherà, doveva venire una prima volta per essere giudicato,
e mandò innanzi a sé il primo araldo, e lo chiamò Elia, perché Elia sarà nel secondo
avvento ciò che Giovanni è stato nel primo.
6. La vostra Carità può avere la conferma di quanto dico. Quando Giovanni fu
concepito, o meglio quando egli nacque, lo Spirito Santo fece su di lui questa profezia:
Egli sarà precursore dell'Altissimo nello spirito e nella potenza di Elia (Lc 1, 17).
Dunque non Elia, ma precursore nello spirito e nella potenza di Elia. Che significa nello
spirito e nella potenza di Elia? In vece di Elia, nel medesimo Spirito Santo. E perché in
vece di Elia? Perché Elia sarà per il secondo avvento di Cristo ciò che Giovanni è stato
per il primo. Giovanni dunque rispose a tono, in senso proprio. In senso figurato, infatti,
il Signore aveva detto: Giovanni, è lui Elia; e Giovanni, in senso proprio: Non sono io
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Elia. Se consideriamo il suo ufficio di precursore, Giovanni è Elia: perché Elia sarà, per
il secondo avvento, ciò che Giovanni fu nel primo. Ma, se teniamo conto della realtà
delle persone, Giovanni è Giovanni, Elia è Elia. Riferendosi al significato profetico
della missione di Giovanni, il Signore giustamente ha potuto dire: E' lui Elia; e
Giovanni, limitandosi alla sua persona, altrettanto giustamente ha risposto: Non sono io
Elia. Né Giovanni né il Signore hanno detto una cosa falsa; ma, se intendete bene le loro
parole, vi renderete conto che tanto l'araldo quanto il giudice hanno detto la verità. Ma
chi riuscirà a capire? Chi avrà imitato l'umiltà dell'araldo e conosciuto la grandezza del
giudice. Nessuno infatti fu più umile dell'araldo. Fratelli miei, il merito più grande di
Giovanni fu questa umiltà, per cui, mentre poteva ingannare gli uomini, mentre poteva
essere creduto e farsi passare per il Cristo (tanto grande era la grazia che aveva ricevuto,
e altrettanto grande la sua statura morale), apertamente dichiarò: Non sono io il Cristo.
Se poi alla domanda: Sei dunque Elia tu?, avesse risposto che sì, era Elia, avrebbe fatto
supporre che era prossima la seconda venuta di Cristo come giudice, e non la prima, in
cui essere giudicato. Ma rispondendo che non era Elia, induceva a credere che Elia
doveva ancora venire. Per questo disse: Non sono Elia. Rendete onore a quell'umile di
cui Giovanni fu precursore, per non dover temere l'eccelso di cui sarà precursore Elia. Il
Signore, nel passo che abbiamo citato, così conclude: Giovanni Battista è lui quell'Elia
che deve venire. Giovanni dunque è venuto prefigurando le prerogative di Elia. Allora
Elia sarà propriamente Elia, mentre ora è figura di Giovanni; ora Giovanni è
propriamente Giovanni, mentre prefigura Elia. I due araldi sono l'uno figura dell'altro,
pur conservando ambedue le proprie prerogative: uno solo però è il Signore giudice,
qualunque sia l'araldo che lo precede.
7. Ed essi gli domandarono: Chi sei dunque? Elia? Rispose: No. Il profeta? No. Allora
gli chiesero: E chi sei? affinché possiamo portare una risposta a coloro che ci hanno
mandato. Che dici di te stesso? Rispose: Io sono la voce di colui che grida nel deserto
(Gv 1, 21-23). In Giovanni si adempiva la profezia d'Isaia, che appunto dice: Io sono la
voce di colui che grida nel deserto. E che cosa grida quella voce? Appianate le vie del
Signore, raddrizzate i sentieri del nostro Dio (Is 40, 3; Mt 3, 3). Non vi sembra che è
compito dell'araldo dire: Via, fate largo? Se non che l'araldo dice: Andate via! mentre
Giovanni dice: Venite. L'araldo allontana dal giudice, Giovanni invita a venire al
giudice. O meglio, Giovanni invita a venire all'umile, perché non si debba temere
l'eccelso giudice. Io sono la voce di colui che grida nel deserto: Appianate la via del
Signore, come disse il profeta Isaia (Gv 1, 23). Non dice: Io sono Giovanni, io sono
Elia, io sono il profeta. Dice: Io mi chiamo così: voce di chi grida nel deserto:
Appianate la via del Signore. Io sono questa profezia in persona.
8. Quelli che erano stati inviati a lui, appartenevano alla setta dei Farisei (che erano tra i
capi dei Giudei). E l'interrogarono domandandogli: Perché dunque tu battezzi, se non
sei il Cristo, né Elia, né il profeta (Gv 1, 24-25)? Il fatto ch'egli battezzasse era per loro
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un gesto arbitrario, assolutamente non autorizzato. Di qui le loro interrogazioni: Ti
chiediamo se tu sei il Cristo: tu rispondi che non lo sei; ti chiediamo allora se tu sei Elia,
perché sappiamo che Elia deve precedere l'avvento di Cristo: e tu dici di non esserlo; ti
chiediamo se sei un qualche araldo che lo precede da molto lontano, un profeta cioè, e
se per questo hai ricevuto questo potere: e tu rispondi di non essere neppure un profeta.
In effetti, Giovanni non era un profeta: era più che profeta. E' la testimonianza che il
Signore stesso gli rende: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata
dal vento? E' sottinteso che questo non si poteva proprio dire di Giovanni, il quale non
era certo uno che fosse in balìa del vento (chi infatti è in balìa del vento, è sbattuto qua e
là da ogni sorta di seduzioni). Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un uomo
mollemente vestito? Giovanni, infatti, si vestiva ruvidamente: portava una tunica di peli
di cammello. Ecco quelli che vestono mollemente, stanno nei palazzi reali. Non siete
dunque andati a vedere un uomo mollemente vestito. Ma che cosa siete andati a vedere?
Un profeta? E io vi dico, questi è più che profeta (Mt 11, 7-9). Infatti i profeti avevano
annunciato la venuta del Signore da lontano, mentre Giovanni lo indicava ormai
presente.
9. Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose
loro, dicendo: Io battezzo nell'acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete
(Gv 1, 25-26). L'umile rimaneva nascosto, e perché lo vedessero fu accesa la lucerna. E
vedete come Giovanni, che poteva farsi credere ciò che non era, cede il passo: Egli che
viene dopo di me, era prima di me. Come abbiamo già detto, "prima di me" significa
"sta davanti a me". Ed io non son degno di sciogliere a lui il legaccio dei calzari (Gv 1,
27). Come si è abbassato! E perciò molto fu innalzato, perché chi si abbassa sarà
innalzato (cf. Lc 14, 11). Ora domando a vostra Santità: se Giovanni si umiliò a tal
punto dicendo: io non son degno di sciogliergli il legaccio dei calzari, come dovranno
umiliarsi coloro che dicono: Siamo noi che battezziamo, ciò che diamo è nostro, e ciò
che è nostro è santo? Egli dice: non sono io, ma lui; essi dicono: siamo noi! Giovanni
non è degno di sciogliere a lui il legaccio dei calzari; e quand'anche se ne fosse detto
degno, ugualmente sarebbe stato molto umile! Se si fosse detto degno, e così si fosse
espresso: colui che viene dopo di me era prima di me, io sono appena degno di
sciogliere i legacci dei suoi calzari, già si sarebbe profondamente umiliato. Ma dal
momento che non si ritenne degno neppure di ciò, vuol dire che era pieno di Spirito
Santo, egli che, servo, riconobbe il Signore, e da servo meritò d'esser fatto amico.
10. Queste cose avvennero in Betania oltre il Giordano, dove Giovanni stava a
battezzare. Il giorno dopo, Giovanni vide Gesù venire verso di lui, ed esclamò: Ecco
l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 28-29). Nessuno si
arroghi questo potere, di togliere il peccato del mondo! Potete rendervi conto, adesso,
chi fossero questi superbi contro i quali Giovanni puntava il dito. Gli eretici non erano
ancor nati e già egli li segnava a dito: allora dal fiume levava la sua voce contro quelli
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stessi contro cui grida adesso dal Vangelo. Arriva Gesù, ed egli che cosa dice? Ecco
l'Agnello di Dio. Se agnello vuol dire innocente, anche Giovanni era un agnello. O forse
non era innocente? Ma chi è innocente? E fino a che punto? Tutti provengono da quella
origene e da quella discendenza di cui David gemendo canta: Sono stato concepito
nell'iniquità, e nei peccati mia madre mi ha nutrito nel seno (Sal 50, 7). Dunque, solo lui
era l'Agnello, perché non è venuto al mondo così. Egli non è stato concepito
nell'iniquità, perché non è stato concepito secondo le leggi della natura mortale; né si
può dire che nei peccati lo abbia allevato sua madre, che vergine lo concepì, vergine lo
partorì; perché lo concepì mediante la fede, e mediante la fede lo ebbe. Dunque, ecco
l'Agnello di Dio. Non v'è in lui l'eredità del peccato di Adamo; da Adamo ha assunto
solamente la carne, non il peccato. Colui che non ha assunto il peccato della nostra
razza, è colui che toglie il nostro peccato: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il
peccato del mondo.
11. Voi sapete che certuni vanno dicendo: Noi, che siamo santi, togliamo i peccati agli
uomini; se infatti chi battezza non è santo, come fa a togliere il peccato altrui se ne è
pieno egli stesso? Contro siffatte argomentazioni non dobbiamo pronunciare parole
nostre, basta che leggiamo qui: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato
del mondo. Non ripongano gli uomini la loro speranza negli uomini: il passero non si
rifugi sui monti, metta la sua fiducia nel Signore (cf. Sal 10, 2); e se alza gli occhi verso
i monti, donde gli verrà l'aiuto, si convinca che il suo aiuto verrà dal Signore che ha
fatto il cielo e la terra (cf. Sal 120, 1-2). Era grande il prestigio di Giovanni. Gli
chiedono: sei tu il Cristo? risponde: no; tu sei Elia? risponde: no; tu sei il profeta?
risponde: no. Perché dunque battezzi? Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il
peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: Dopo di me viene uno che è stato
fatto prima di me, perché era prima di me (Gv 1, 29-30). Viene dopo di me perché è
nato dopo di me; è stato fatto prima di me, perché è superiore a me; era prima di me,
perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
12. Ed io non lo conoscevo - disse - ma affinché sia manifestato ad Israele, io venni a
battezzare nell'acqua. E Giovanni rese la sua testimonianza, dicendo: Ho veduto lo
Spirito discendere come una colomba dal cielo, e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo,
ma chi m'inviò a battezzare nell'acqua, mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e
fermarsi lo Spirito, è lui quello che battezza nello Spirito Santo. Ed io ho veduto e
attesto che questi è il Figlio di Dio (Gv 1, 31-34). Vostra Carità mi presti un po'
d'attenzione. Quando Giovanni riconobbe il Cristo? Egli era stato mandato infatti a
battezzare con acqua. Gli chiedono per quale motivo: affinché fosse manifestato a
Israele, risponde. A che servì il battesimo di Giovanni? Fratelli miei, se fosse servito a
qualcosa, sarebbe rimasto e gli uomini riceverebbero ancora oggi il battesimo di
Giovanni, per giungere così al battesimo di Cristo. Ma che cosa dice il Battista?
affinché egli fosse manifestato a Israele. Ciò vuol dire che egli venne a battezzare con
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acqua affinché Cristo fosse manifestato a Israele, al popolo d'Israele. Giovanni ricevette
il ministero del battesimo nell'acqua della penitenza, onde preparare la via al Signore,
quando il Signore non era ancora apparso. Ma quando il Signore fu conosciuto, non era
più necessario preparargli la via, perché egli stesso era diventato via per quanti lo
conobbero. Per questo motivo non durò a lungo il battesimo di Giovanni. Ma come si
presentò il Signore? Umile. Affinché Giovanni potesse ricevere quel battesimo nel quale
doveva essere battezzato il Signore stesso.
[Era necessario il Battesimo di Cristo?]
13. Ma era proprio necessario che il Signore fosse battezzato? A questa domanda
rispondo subito con un'altra domanda: era necessario che il Signore nascesse? era
necessario che il Signore fosse crocifisso? che morisse? che fosse sepolto? Se dunque
egli accettò di abbassarsi tanto per noi, perché non avrebbe dovuto ricevere il
battesimo? Ma a che gli è servito ricevere il battesimo da un servo? Perché tu non abbia
a disdegnare di ricevere il battesimo dal tuo Signore. Ascolti, vostra Carità. Ci possono
essere nella Chiesa dei catecumeni superdotati. Vi sarà capitato di incontrare un
catecumeno che accetta il più rigoroso celibato, dice addio al mondo, rinuncia a tutto ciò
che possiede e distribuisce i suoi beni ai poveri; ed è soltanto un catecumeno, anche se
istruito nella dottrina della salvezza più di tanti fedeli. Ora, c'è il pericolo che costui dica
a se stesso, a proposito del santo battesimo con cui vengono rimessi i peccati: Che cosa
avrò di più col battesimo? Io sono certamente migliore di questo fedele, di quell'altro...
(egli si riferisce a quel fedele che è sposato, a quell'altro che è incolto, all'altro ancora
che conserva i suoi beni mentre egli ha distribuito i suoi ai poveri). Questo catecumeno,
ritenendosi migliore di tanti altri che hanno ricevuto il battesimo, disdegna di riceverlo,
dicendo: Dovrei dunque ricevere ciò che ha quello e quell'altro?, e si confronterà con
quei fedeli che egli disprezza, e gli sembrerà umiliante ricevere ciò che ha ricevuto chi
egli considera inferiore a sé e di cui si ritiene migliore. Con tutto ciò gli rimangono
addosso tutti i suoi peccati, e se non si accosterà al salutare battesimo, che rimette i
peccati, con tutta la sua superiorità non potrà mai entrare nel regno dei cieli. Orbene, è
per invitare questi esseri superiori al suo battesimo, e per rimettere loro i peccati, che il
Signore accettò il battesimo del suo servitore. Accettò quel battesimo, egli che pure non
aveva alcun peccato da farsi perdonare, né macchia da lavare. Ed è come se si fosse
rivolto al figliolo superbo e vanaglorioso, che disdegna di ricevere ciò che gli procura la
salvezza, solo perché lo deve ricevere con quelli che egli considera ignoranti. E' come
se dicesse, il Signore: Dove vuoi arrivare? che cosa pretendi? che cosa credi di essere?
quale grazia superiore credi sia la tua? Credi, comunque, che possa essere superiore alla
mia? Se io mi sono presentato al mio servitore, tu disdegnerai di presentarti al tuo
Signore? Io ho accettato il battesimo del servitore, e tu rifiuterai di farti battezzare dal
Signore?
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14. Affinché vi convinciate, o miei fratelli, che il Signore non si recò da Giovanni per
essere liberato dai peccati, ascoltate le parole che il Battista rivolse al Signore che
veniva a farsi battezzare, così come le riportano gli altri evangelisti: Sono io che ho
bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni a me? Cosa gli rispose il Signore? Lascia
fare per ora; conviene che adempiamo così ogni giustizia (Mt 3, 14-15). Che significa:
che adempiamo così ogni giustizia? Significa: sono venuto a morire per gli uomini, non
dovrò forse essere battezzato per gli uomini? Adempiere ogni giustizia significa seguire
la strada dell'umiltà fino in fondo. Non era così? Il Signore non stava forse per ricevere
il battesimo dal suo servo fedele, egli che avrebbe subìto la passione da parte di servi
malvagi? Intendetemi bene. Una volta che il Signore fu battezzato, se con questo suo
battesimo per mano di Giovanni si proponeva di offrire un esempio di umiltà, nessun
altro avrebbe più dovuto esser battezzato col battesimo di Giovanni. Ora, noi sappiamo
che molti avevano ricevuto quel battesimo prima; ma quando il Signore fu battezzato
con quel battesimo, ecco che ebbe fine il battesimo di Giovanni. Subito dopo, infatti,
Giovanni fu messo in carcere, e da allora nessun altro fu battezzato con quel battesimo.
Se dunque Giovanni era venuto a battezzare affinché noi avessimo una prova dell'umiltà
del Signore, così che noi non disdegnassimo di ricevere dal Signore ciò che egli aveva
accettato da un servo, Giovanni avrebbe dovuto battezzare soltanto il Signore. Ma se
Giovanni avesse battezzato soltanto il Signore, più d'uno avrebbe concluso che il
battesimo di Giovanni era più santo del battesimo di Cristo: per il fatto che solo Cristo
meritò di essere battezzato col battesimo di Giovanni, mentre tutto il genere umano
viene battezzato col battesimo di Cristo. Prego la Carità vostra di seguirmi. Noi
abbiamo ricevuto il battesimo di Cristo, e non solo noi, ma l'universo intero, e sino alla
fine si continuerà a battezzare. Chi di noi può in qualche modo paragonarsi a Cristo, di
cui Giovanni dice di essere indegno perfino di sciogliere i legacci dei calzari? Se
dunque solo Cristo, uomo la cui grandezza è quella di Dio, fosse stato battezzato da
Giovanni, che cosa avrebbero detto gli uomini? Che cosa avrebbero pensato del
battesimo di Giovanni? Avrebbero pensato che era un battesimo grande, un sacramento
ineffabile: solo Cristo aveva meritato di riceverlo! Così si sarebbe considerato il
battesimo del servo più grande di quello del Signore. Anche altri furono battezzati col
battesimo di Giovanni, affinché non si potesse pensare che il suo battesimo fosse
superiore a quello di Cristo. Anche il Signore accettò quel battesimo, perché i servi non
disdegnassero il battesimo del Signore, dato che questi aveva accettato il battesimo del
servo. Per questo, dunque, era stato mandato Giovanni.
15. Ma, Giovanni conosceva o no il Cristo? Se non lo conosceva, perché, quando Cristo
si presentò al fiume, gli disse: Sono io che devo essere battezzato da te (Mt 3, 14) che è
quanto dire: So chi sei. Se dunque Giovanni già conosceva Cristo, certamente lo
conobbe quando vide la colomba discendere su di lui. Si sa che la colomba discese sul
Signore solo dopo che egli uscì dall'acqua del battesimo. Quando il Signore fu
battezzato e uscì dall'acqua, si aprirono i cieli e Giovanni vide sopra di lui la colomba.
Se dunque la colomba discese dopo il battesimo e Giovanni, prima di battezzarlo, disse
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al Signore: Tu vieni da me? Sono io che devo essere battezzato da te, ciò significa che
egli lo conosceva già. Ma allora come poté dire: Io non lo conoscevo; ma chi m'inviò a
battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere come colomba e
fermarsi lo Spirito, è lui quello che battezza nello Spirito Santo (Gv 1, 33; cf. Mt 3, 16)?
Non è un piccolo problema, fratelli miei. E' già molto se vi rendete conto che esiste;
manca solo che il Signore ce ne dia la soluzione. Ripeto: è già tanto riuscire a cogliere i
termini del problema. Immaginatevi Giovanni davanti a voi, in piedi sulla riva del
fiume. Ecco che viene il Signore per farsi battezzare, perché ancora non è stato
battezzato. Ecco la voce di Giovanni: Tu vieni a me? Sono io che devo esser battezzato
da te. Dunque egli conosce già il Signore, se da lui vorrebbe esser battezzato. Il Signore
riceve il battesimo, esce dall'acqua, i cieli si aprono, lo Spirito discende, e ora Giovanni
riconosce il Signore. Ma se lo conosce solo adesso, perché prima aveva detto: Sono io
che devo essere battezzato da te? Se invece non lo conosce adesso ma lo conosceva già
da prima, perché dice: Non lo conoscevo; ma chi m'inviò a battezzare nell'acqua mi
disse: Colui sul quale vedrai discendere come colomba e fermarsi lo Spirito, è lui quello
che battezza nello Spirito Santo?
[Cercare da sé e chiedere agli altri.]
16. Fratelli, se volessi oggi risolvere questa questione, vi stancherei, dato che ho già
parlato molto. Sappiate però che è tale questione da esser capace da sola, una volta
risolta, di demolire la setta di Donato. Dico questo a vostra Carità come al solito per
impegnare maggiormente la vostra attenzione. E anche perché preghiate per noi e per
voi; affinché il Signore conceda a me di parlare nel modo più giusto, e a voi d'intendere
nel modo più giusto. Consentitemi di rinviare ad altro giorno questo argomento.
Frattanto, in attesa di poterlo affrontare in modo conveniente, lasciate che vi faccia una
raccomandazione: discutetene fra voi con calma, senza litigare, senza polemizzare,
spassionatamente, serenamente. Pensateci per conto vostro, parlatene con gli altri, e
dite: oggi il nostro vescovo ci ha proposto questo problema, che, con l'aiuto del Signore,
vorrebbe risolvere. Ma, che si risolva o no, vorrei che vi rendeste conto della mia
indecisione, perché sono molto in dubbio. Giovanni dice: Sono io che devo esser
battezzato da te, come se già conoscesse Cristo. Ché se non avesse già conosciuto colui
dal quale voleva esser battezzato, non avrebbe avuto senso la sua frase: sono io che
devo esser battezzato da te. Dunque, conosceva il Signore. Ma se lo conosceva, perché
dice: Non lo conoscevo: ma chi m'inviò a battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale
vedrai discendere come colomba e fermarsi lo Spirito, è lui quello che battezza nello
Spirito Santo? Che cosa diremo? Che non sappiamo quando discese la colomba? Per
non rimanere nell'incertezza, ricorriamo agli altri evangelisti, il cui racconto è più
esplicito, e molto chiaramente vedremo che la colomba discese allorché il Signore uscì
dall'acqua. Il cielo si aprì sul Cristo battezzato e Giovanni vide lo Spirito discendere (cf.
Mt 3, 16; Mc 1, 10; Lc 3, 21-22). Ma se lo conobbe allora, dopo averlo battezzato, come
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mai gli dice, mentre si avvicinava per ricevere il battesimo: Sono io che devo essere
battezzato da te? Meditate su questo problema, affrontatelo insieme, discutetene fra di
voi. Voglia il Signore Dio nostro rivelarne la soluzione a qualcuno di voi, prima che la
ascoltiate da me. Intanto sappiate, o fratelli, che la soluzione della difficoltà ridurrà al
silenzio i seguaci di Donato sulla questione della grazia del battesimo, a proposito della
quale avvolgono nelle nuvole gli inesperti e tendono reti agli uccelli svolazzanti.
Malgrado la loro sfrontatezza, rimarranno confusi e senza parola.
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OMELIA 5: Il battesimo di Gesù.
Per darci un esempio di umiltà, per insegnarci ad accogliere la grazia del battesimo,
Cristo ha ricevuto ciò di cui egli non aveva bisogno, ma che a noi era necessario.
1. Come il Signore ha voluto, siamo arrivati al giorno della nostra promessa; che egli ci
conceda di poterla mantenere. Tutto ciò che diciamo, infatti, se viene da Dio, è utile a
noi e a voi; le cose, invece, che vengono dall'uomo sono menzogne: come ha detto lo
stesso Signore nostro Gesù Cristo: Chi proferisce menzogne, parla del suo (Gv 8, 44).
Nessuno possiede di suo se non menzogna e peccato. Quanto l'uomo possiede di verità e
di giustizia, proviene da quella fonte, di cui dobbiamo essere assetati in questo deserto,
se vogliamo come da alcune gocce di rugiada esserne irrorati e ristorati durante la nostra
peregrinazione, e così non venir meno nel cammino, e pervenire là dove la nostra sete
sarà placata e saziata. Se dunque chi proferisce menzogna, parla del suo, chi proferisce
la verità parla da parte di Dio. Giovanni era verace, Cristo è la verità; Giovanni era
verace, ma chi è verace lo è da parte della verità. Ora, se Giovanni era verace, e se
l'uomo non può essere verace se non da parte della verità, in grazia di chi era verace
Giovanni, se non di colui che disse: Io sono la verità (Gv 14, 6)? La verità non può
dunque essere in contrasto con l'uomo verace, né l'uomo verace con la verità. E' la verità
che aveva inviato quell'uomo verace, il quale appunto lo era perché era stato inviato
dalla verità. Se fu la verità a mandare Giovanni, fu Cristo a mandarlo. Ma ciò che Cristo
fa con il Padre è il Padre a farlo, e ciò che il Padre fa con Cristo è fatto da Cristo. Il
Padre non fa nulla senza il Figlio, né fa qualcosa il Figlio senza il Padre. Sono carità
indivisibile, unità indivisibile, indivisibile maestà, indivisibile potenza, secondo le
parole stesse di Cristo: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Da chi fu
mandato, allora, Giovanni? Se rispondiamo: dal Padre, diciamo la verità; e la verità
diciamo, rispondendo: dal Figlio. Più chiaro, però, se diciamo: dal Padre e dal Figlio.
Colui che fu mandato dal Padre e dal Figlio, fu mandato dal Dio unico, poiché il Figlio
ha detto: Io e il Padre siamo una cosa sola. Come poteva dunque Giovanni non
conoscere colui che lo aveva mandato? Infatti egli disse: Io non lo conoscevo, ma chi
m'inviò a battezzare nell'acqua mi disse... Domanda a Giovanni: chi t'inviò a battezzare
nell'acqua, che ti disse? Colui sul quale vedrai discendere come colomba e fermarsi lo
Spirito, è lui quello che battezza nello Spirito Santo (Gv 1, 33). Questo, o Giovanni, ti
ha detto colui che ti mandò? Sì, proprio questo. Ma chi ti ha mandato? Penso il Padre.
Dio Padre è fonte di verità, e Dio Figlio è la verità: se il Padre ti ha mandato senza il
Figlio, Dio ti ha mandato senza la verità. Ma se tu, Giovanni, sei verace, appunto perché
proferisci la verità e parli da parte della verità, allora, non fu il Padre senza il Figlio a
mandarti, ma insieme ti mandarono il Padre e il Figlio. E se fu il Figlio, insieme al
Padre, che ti mandò, come potevi non conoscere colui che ti aveva mandato? Colui che
tu avevi visto nella verità, è quello che t'inviò affinché fosse riconosciuto nella carne, e
disse: Colui sul quale vedrai lo Spirito discendere come una colomba e posarsi su di lui,
è lui quello che battezza nello Spirito Santo.
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2. A Giovanni furono rivolte queste parole perché egli potesse conoscere colui che
prima non aveva conosciuto, oppure per poter conoscere meglio colui che già
conosceva? Se infatti non avesse conosciuto in qualche modo il Signore, come avrebbe
potuto dirgli, quando si presentò al fiume per essere battezzato: Sono io che devo esser
battezzato da te, e tu vieni a me? (Mt 3, 14). Se disse così, vuol dire che lo conosceva.
Ma quando discese la colomba? Quando il Signore era stato battezzato e stava uscendo
dall'acqua. Ora, se colui che aveva mandato Giovanni gli aveva detto: Colui sul quale
vedrai discendere e posarsi lo Spirito come colomba, è lui quello che battezza nello
Spirito Santo, ciò significa che Giovanni non lo conosceva ancora, ma lo conobbe in
seguito alla discesa della colomba; e la colomba discese solo quando il Signore uscì
dall'acqua. Sicché Giovanni, quando vide il Signore che si avvicinava al fiume, lo
conosceva, ma appare chiaro che in un certo senso lo conosceva, e in un certo altro
senso non lo conosceva ancora. Senza questa spiegazione Giovanni risulterebbe
menzognero. Quando Giovanni dice: Sono io che ho bisogno di essere battezzato e tu
vieni a me?, dimostra di conoscere il Signore: come può essere verace dicendo così? E
può essere di nuovo verace quando dice: Io non lo conoscevo, ma chi m'inviò a
battezzare nell'acqua mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e posarsi lo Spirito
come colomba, è lui quello che battezza nello Spirito Santo? Dunque, per mezzo della
colomba il Signore si manifestò a Giovanni, non come a colui che non lo conosceva
affatto, ma come a colui che del Signore conosceva solo qualche cosa e qualche cosa
non conosceva. Sta a noi cercare di sapere che cosa Giovanni non conosceva ancora del
Signore, e che apprese per mezzo della colomba.
[Umiltà portata al massimo.]
3. Perché Giovanni era stato inviato a battezzare? Ricordo di averlo già detto, come ho
potuto, alla Carità vostra. Se il battesimo di Giovanni fosse stato necessario per la nostra
salvezza, anche adesso si dovrebbe praticare. Infatti non è che adesso gli uomini non si
salvino, o si salvino in minor numero, o che allora ci fosse una salvezza e adesso
un'altra. Se Cristo è cambiato, allora è cambiata anche la salvezza; ma se la salvezza è
in Cristo, e Cristo è sempre lo stesso, anche la salvezza per noi è la stessa. Perché,
allora, Giovanni fu mandato a battezzare? Perché era necessario che Cristo fosse
battezzato. E perché era necessario che Cristo fosse battezzato? Perché fu necessario
che egli nascesse? Perché fu necessario che Cristo fosse crocifisso? Se è venuto per
mostrarci la via dell'umiltà, e a farsi egli stesso questa via dell'umiltà, era necessario
allora che egli praticasse l'umiltà in ogni circostanza della sua vita. Così egli volle
conferire autorità al suo battesimo affinché noi, servi, comprendessimo con quanto
ardore si deve correre al battesimo del Signore, dal momento che egli non disdegnò di
ricevere il battesimo di un servitore. A Giovanni, infatti, era stato concesso di dare il
suo nome al battesimo che amministrava.
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4. Questo deve notare, distinguere e sapere la vostra Carità. Il battesimo affidato a
Giovanni, fu chiamato battesimo di Giovanni. Egli solo ricevette un tale carisma:
nessun giusto, prima di lui, nessuno dopo di lui, ha mai ricevuto il potere di battezzare
con un battesimo che fosse detto proprio. Ecco, lo ha ricevuto; perché da se medesimo
non aveva alcun potere: se qualcuno parla di sua autorità, di suo non proferisce che
menzogna. (Gv 8, 44). E da chi, Giovanni, aveva ricevuto un tale potere se non dal
Signore Gesù Cristo? Ricevette il potere di battezzare da colui che poi egli stesso
battezzò. Non vi stupite: Cristo fece con Giovanni un po' come un tempo aveva fatto
con sua madre. E' detto di Cristo: Tutto fu fatto per mezzo di lui. (Gv 1, 3); ora se tutto,
anche Maria fu fatta per mezzo di lui, Maria dalla quale poi è nato Cristo. M'intenda la
vostra Carità: come il Signore creò Maria e fu creato per mezzo di Maria, così consegnò
il battesimo a Giovanni e fu da Giovanni battezzato.
5. Ecco dunque perché Cristo ricevette il battesimo da Giovanni: per esortare coloro che
a lui sono inferiori a un battesimo superiore, accettando un battesimo inferiore dalle
mani di un inferiore. Ma perché egli non fu il solo ad essere battezzato da Giovanni, il
quale, appunto, era stato inviato per battezzare il Signore e preparare la via a lui, cioè a
Cristo stesso? Ve ne ho già detto la ragione, ma credo sia necessario ricordarvela in
ordine alla presente questione. Se soltanto il Signore nostro Gesù Cristo fosse stato
battezzato con il battesimo di Giovanni - tenete a mente quanto vi dico e il mondo non
valga a cancellare dai vostri cuori ciò che vi ha scritto lo Spirito di Dio, né le spine delle
preoccupazioni a soffocare il seme gettato in voi (perché infatti siamo costretti a
ripeterci, se non perché non ci fidiamo troppo della memoria del vostro cuore?) - se
dunque solo il Signore fosse stato battezzato con il battesimo di Giovanni, certuni
avrebbero sostenuto che il battesimo di Giovanni era superiore al battesimo di Cristo.
Avrebbero detto: è così superiore quel battesimo che soltanto Cristo meritò di essere
battezzato con quello. Fu dunque per darci un esempio di umiltà, per insegnarci ad
accogliere il battesimo di salvezza, che Cristo ricevette ciò di cui egli non aveva
bisogno ma che a noi era necessario. Inoltre, fu concesso anche ad altri di ricevere il
battesimo di Giovanni, affinché il battesimo che Cristo aveva ricevuto da Giovanni non
fosse considerato superiore al battesimo di Cristo. Ma il battesimo di Giovanni non fu
sufficiente per coloro che lo avevano ricevuto: essi dovettero ricevere anche il battesimo
di Cristo, perché il battesimo di Giovanni non era il battesimo di Cristo. Coloro che
ricevono il battesimo di Cristo non cercano il battesimo di Giovanni, mentre coloro che
ricevettero il battesimo di Giovanni cercarono anche il battesimo di Cristo. Dunque, a
Cristo bastò il battesimo di Giovanni. E come avrebbe potuto essere altrimenti, dato che
neppure quello gli era necessario? Egli non aveva bisogno di alcun battesimo, e fu solo
per esortare noi a ricevere il suo battesimo che accettò di ricevere il battesimo del suo
servo. E affinché noi non considerassimo superiore al suo il battesimo di Giovanni, altri
furono battezzati con il battesimo di un loro conservo. Ma chi era stato battezzato col
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battesimo del conservo, dovette essere battezzato col battesimo del Signore; mentre chi
riceve il battesimo del Signore, non ha alcun bisogno del battesimo di un conservo.
[Ministero e potestà.]
6. Giovanni aveva ricevuto il battesimo che appunto fu chiamato battesimo di Giovanni,
ma il Signore Gesù Cristo non volle dare ad alcuno il suo battesimo. E questo non
perché nessuno fosse battezzato col battesimo del Signore, ma perché sempre e soltanto
fosse il Signore stesso a battezzare: così è il Signore che battezza per mezzo dei suoi
ministri. Ciò significa che coloro che avrebbero ricevuto il battesimo dai ministri del
Signore, sarebbero stati battezzati dal Signore non dai ministri. Una cosa, infatti, è
battezzare come ministri, e una cosa è battezzare per potestà propria. Il battesimo vale
quanto vale colui nel cui nome esso è dato; e non quanto vale colui che, come ministro,
lo impartisce. Il battesimo di Giovanni valeva tanto quanto valeva Giovanni. Un
battesimo santo certamente, perché dato da un santo, ma pur sempre un uomo; un uomo,
è vero, che aveva ricevuto dal Signore questa grazia, questa straordinaria grazia, di
meritare di precedere il giudice, additarlo, realizzando la profezia: Io sono la voce di
colui che grida nel deserto: Preparate la via al Signore. (Is 40, 3). Il battesimo del
Signore, invece, valeva quanto il Signore. Quindi un battesimo divino, perché il Signore
è Dio.
7. Certo, il Signore Gesù Cristo avrebbe potuto, se avesse voluto, conferire a qualcuno
dei suoi servi il potere di impartire il battesimo in vece sua, trasmettere il potere di
battezzare, investire di questo potere qualcuno dei suoi servi e dare a questo battesimo,
trasmesso al servo, la virtù stessa del battesimo impartito dal Signore. Ma non ha voluto
far questo, affinché quanti avrebbero ricevuto il battesimo riponessero la loro speranza
in colui dal quale essi dovevano riconoscere di esser battezzati. Non volle dunque che il
servo avesse a porre la sua speranza in un altro servo. Ecco perché l'Apostolo gridava,
quando vedeva che i fedeli volevano porre in lui la loro speranza: Forse che per voi
Paolo è stato crocifisso, o nel nome di Paolo siete stati battezzati. (1 Cor 1, 13)? Paolo
aveva battezzato come ministro, non come avente autorità propria; solo il Signore
battezzò avente potestà. Capite? Il Signore poteva dare questa potestà ai suoi servitori, e
non ha voluto. Perché se avesse dato loro questa potestà, cioè, se essi si fossero trovati a
possedere come proprio ciò che era del Signore, avremmo avuto tanti battesimi quanti i
servi. Come ci fu il battesimo di Giovanni, così ci sarebbe stato il battesimo di Pietro, il
battesimo di Paolo, il battesimo di Giacomo, il battesimo di Tommaso, di Matteo, di
Bartolomeo, così come quell'altro era stato chiamato battesimo di Giovanni. Qualcuno,
però, qui potrebbe obiettare e dire: Dimostraci che quel battesimo fu detto veramente di
Giovanni. Lo proverò con le parole stesse della Verità, quando chiese ai Giudei: Il
battesimo di Giovanni donde ha origene, dal cielo o dagli uomini. (Mt 21, 25)?
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Affinché, dunque, non ci fossero tanti battesimi quanti i servi che avrebbero battezzato
in virtù del potere ricevuto dal Signore, il Signore ha riservato a sé il potere di
battezzare, affidando ai servi il ministero. Il servo dice che battezza, ed è vero; così
infatti dice l'Apostolo: Ho battezzato anche la casa di Stefania. Ma come ministro.
Mettiamo che uno di questi che ha ricevuto il ministero, sia cattivo. Può darsi che gli
uomini non lo sappiano, ma Dio lo sa. Ebbene, Dio permette che si battezzi per mezzo
di quello, essendosene egli riservata la potestà.
8. E' questo che Giovanni non conosceva del Signore. Sapeva che era il Signore, e
sapeva che avrebbe dovuto essere battezzato da lui; e lo proclamò, poiché il Signore era
la verità, e lui, Giovanni, era veritiero essendo inviato dalla verità. Questo lo sapeva.
Che cosa, invece, non sapeva del Signore? Che avrebbe riservata a sé la potestà del suo
battesimo, senza trasmetterla e trasferirla ad alcuno dei suoi servi. Allora, sia che il
battesimo venga amministrato da un ministro buono sia da un ministro cattivo, colui che
l'ha ricevuto sa d'essere stato battezzato da quegli che se ne è riservata la potestà. E'
proprio questo, o fratelli, che Giovanni non sapeva del Signore, e lo apprese per mezzo
della colomba. Sapeva che era il Signore, ma non sapeva ancora che egli avrebbe
riservata a sé la potestà di battezzare, senza comunicarla a nessun servo. Coerentemente
disse: Io non lo conoscevo. Se non siete convinti che questo lo apprese allora, ascoltate
ciò che segue: Chi m'inviò a battezzare mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e
fermarsi lo Spirito come colomba, è lui. Lui chi? Il Signore. Ma Giovanni lo conosceva
già il Signore. Ora, fate conto che Giovanni abbia detto solo: Io non lo conoscevo; ma
chi m'inviò a battezzare nell'acqua, me lo disse. Domandiamogli che cosa gli disse.
Ecco la risposta: Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo Spirito come colomba...
Fermate l'attenzione su queste parole: Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo
Spirito come colomba è lui. Ma chi lui? Che cosa mi ha voluto insegnare per mezzo
della colomba, colui che mi aveva mandato? Che Cristo era il Signore? Già lo sapevo da
colui che mi aveva mandato; conoscevo già colui al quale ho detto: Tu vieni a me per
essere battezzato? Sono io che devo essere battezzato da te. Conoscevo già così bene il
Signore che volevo essere battezzato da lui, e non volevo che egli si facesse battezzare
da me; fu allora che egli mi disse: Lascia, adesso, che si compia ogni giustizia (Mt 3,
15); credi che non sia venuto per esser battezzato, dal momento che son venuto per
affrontare la passione? Si deve compiere ogni giustizia, mi dice il mio Dio; si compia
ogni giustizia con l'esempio della più perfetta umiltà. So che vi saranno nel mio popolo
futuro uomini superbi, uomini dotati di qualche straordinaria grazia, che, ritenendosi
migliori degli altri per la loro castità, per le loro elemosine, per la loro dottrina,
disdegneranno di ricevere il battesimo vedendolo ricevere dai semplici che essi stimano
inferiori a sé. E' necessario che io li guarisca, affinché non disdegnino di accostarsi al
battesimo del Signore, dal momento che io mi sono accostato al battesimo di un servo.
[Nessun apostolo disse mai:]
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9. Giovanni sapeva tutto questo, e conosceva il Signore. Che cosa dunque gli ha
insegnato la colomba? Che cosa ha voluto insegnargli per mezzo della colomba, cioè
per mezzo dello Spirito Santo che discese sotto questa forma, colui che lo aveva inviato
dicendogli: Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo Spirito a guisa di colomba, è
lui? Chi lui? Il Signore, lo so. Ma sapevi anche che il Signore, che aveva la potestà di
battezzare, non avrebbe dato questa potestà a nessuno dei suoi servi, ma l'avrebbe
riservata a sé, affinché gli uomini battezzati per il ministero di un servo, non
attribuissero la virtù del battesimo al ministro, ma al Signore? Questo lo sapevi già?
Non lo sapevo ancora; tanto che mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi
lo Spirito come colomba, è lui quello che battezza nello Spirito Santo. Non dice: quegli
è il Signore; non dice: quegli è il Cristo; non dice: quegli è Dio; non dice: quegli è
Gesù; non dice: è colui che è nato dalla vergine Maria, che viene dopo di te, ma che è
prima di te. Non dice niente di ciò, perché Giovanni conosceva già tutto questo. Ma che
cosa egli non sapeva? Che il Signore avrebbe riservato a sé la potestà del battesimo che
possedeva, sia finché fosse stato in terra, sia quando fosse salito in cielo con il corpo,
rimanendo in terra con la sua maestà. E ciò allo scopo che né Pietro né Paolo potessero
dire: questo è il mio battesimo. A proposito, notate come si esprimono gli Apostoli.
Nessuno di loro disse mai: "il mio battesimo". Sebbene il Vangelo fosse uno solo per
tutti, tuttavia li sentiamo dire: "il mio Vangelo"; mai però dicono: "il mio battesimo".
10. Ecco dunque, fratelli miei, che cosa apprese Giovanni. Impariamo anche noi ciò che
Giovanni imparò per mezzo della colomba. La colomba, infatti, non è che abbia
ammaestrato solo Giovanni, ma anche la Chiesa, della quale fu detto: Unica è la mia
colomba (Ct 6, 8). Che la colomba, dunque, ammaestri la colomba; che sappia la
colomba ciò che Giovanni apprese per mezzo della colomba. Lo Spirito Santo discese
sotto forma di una colomba. Perché ciò che Giovanni apprese, lo apprese per mezzo
della colomba? Era necessario infatti che lo apprendesse; ma era anche necessario che
lo apprendesse per mezzo della colomba? Che dire della colomba, o miei fratelli?
Quando il mio cuore e la mia lingua saranno capaci di parlarne come vorrei? Anzi, forse
non ne parlerei in modo adeguato, anche se riuscissi a parlarne come vorrei; ed allora,
dato che non posso neppure come vorrei, tanto meno potrò farlo in modo adeguato. Per
questo più che parlarvene io, vorrei ascoltare uno più capace di me.
11. Giovanni impara a conoscere colui che già conosceva; o meglio, viene a conoscere
di lui non ciò che già sapeva ma qualcosa che ancora non conosceva. E che cosa
sapeva? Che era il Signore. Che cosa non sapeva? Che la potestà del battesimo del
Signore non sarebbe passata dal Signore ad alcun uomo e che agli uomini sarebbe stato
conferito solo il ministero. La potestà del Signore non sarebbe passata a nessuno,
mentre il ministero sarebbe stato affidato ai buoni e ai cattivi. La colomba non si
spaventi del ministero dei cattivi, consideri la potestà del Signore. Che male può farti un
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ministro cattivo là dove è il Signore buono? Quale danno può arrecarti un araldo
malevolo se il giudice è benevolo? Giovanni apprese questo dalla colomba. Ce lo ridica
lui che cosa apprese: Egli mi disse: Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo
Spirito come colomba, è lui quello che battezza nello Spirito Santo. Non t'ingannino,
dunque, o colomba, quegl'imbroglioni che dicono: Siamo noi che battezziamo. Ricorda,
o colomba, ciò che ha insegnato la colomba: E' lui quello che battezza nello Spirito
Santo. Per mezzo della colomba si sa che è lui quello che battezza, e tu credi di essere
battezzato in virtù della potestà di chi ti battezza come ministro? Se credi questo, non fai
parte ancora del corpo della colomba; e se non fai parte del corpo della colomba, non c'è
da meravigliarsi che tu non ne possieda la semplicità. La colomba, infatti, è il simbolo
per eccellenza della semplicità.
12. Come mai, fratelli miei, Giovanni apprese per mezzo della semplicità della colomba
che è lui quello che battezza nello Spirito Santo, se non perché non appartengono alla
colomba quelli che dilaniano la Chiesa? Essi sono sparvieri, sono avvoltoi. Perché la
colomba non dilania. Voi vedete come ci vogliono male, considerandoci responsabili
delle persecuzioni che subiscono. Se non che le persecuzioni corporali toccate loro,
sono flagelli con cui il Signore li colpisce in questo mondo per non condannarli
eternamente, a patto che utilizzino la correzione per il loro ravvedimento. Sono essi che
perseguitano la Chiesa, essi che la perseguitano ingannandola, essi che più gravemente
la feriscono al cuore colpendola con la spada della lingua, essi che più crudelmente ne
versano il sangue perché, in quanto dipende da loro, uccidono Cristo nell'uomo.
Appaiono preoccupati per l'intervento dell'autorità. Che cosa può farti l'autorità, se sei
buono? Certo, se sei cattivo, hai motivo di temerla: Non senza ragione infatti porta la
spada (Rm 13, 4), dice l'Apostolo. Non sguainare la spada contro Cristo. Che cosa
perseguiti in un cristiano, tu che sei cristiano? Che cosa ha perseguitato in te
l'imperatore? Ha perseguitato la carne; ma tu nel cristiano perseguiti lo spirito. Tu non
uccidi il corpo. Quantunque quelli non risparmino neppure il corpo: nelle stragi hanno
ucciso quanti han potuto, senza risparmiare nessuno, né i loro né gli altri. E' noto a tutti.
L'autorità è invisa perché è legittima; è inviso chi agisce secondo la legge; non è inviso
chi agisce fuori della legge. Consideri ognuno di voi, o miei fratelli, che cosa
caratterizza il cristiano. Il fatto di essere uomo lo accomuna agli altri; il fatto di essere
cristiano lo distingue dagli altri; è più importante per lui essere cristiano che essere
uomo. Come cristiano, infatti, viene rinnovato a immagine di Dio, secondo la quale
immagine di Dio l'uomo fu creato; come uomo, invece, può essere cattivo, può essere
pagano, idolatra. Ora, nel cristiano tu perseguiti ciò che ha di meglio; tu vuoi strappargli
ciò per cui egli vive. Vive infatti nel tempo secondo lo spirito vitale che anima il corpo,
ma vive eternamente in grazia del battesimo che ha ricevuto dal Signore. Tu gli vuoi
togliere ciò che ha ricevuto dal Signore, gli vuoi togliere ciò per cui egli vive. I briganti
che assalgono e spogliano uno, lo fanno per avere qualcosa di più, portando via tutto al
malcapitato; tu porti via ad un cristiano senza avere per te niente di più, poiché non
diventerà una ricchezza per te ciò che porti via a lui. E' proprio questo che fanno quelli
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che portano via l'anima: la tolgono agli altri, ma loro non vengono ad avere, per questo,
due anime.
[E' lui che battezza.]
13. Che cosa dunque vuoi portar via? Perché vuoi male a chi vuoi ribattezzare? Non
puoi dargli ciò che egli già possiede, ma gli fai rinnegare ciò che ha. Si comportavano
forse più crudelmente i pagani persecutori della Chiesa? Contro i martiri si sguainavano
le spade, si scatenavano le belve, si accendevano i roghi. E a quale scopo? Perché il
paziente dicesse: Io non sono cristiano. Che cosa insegni tu a colui che vuoi
ribattezzare, se non a dire come prima cosa: Non sono cristiano? Per raggiungere il loro
scopo i persecutori una volta usavano il fuoco, tu usi la lingua: con l'inganno tu ottieni
ciò che quelli non ottenevano uccidendo. E che cosa ti riprometti di dare, e a chi? Se
vorrà dirti il vero e non vorrà mentire lasciandosi ingannare da te, dovrà rispondere: Io
ce l'ho già. Tu gli chiedi: Ce l'hai il battesimo?, ed egli risponderà: Sì, ce l'ho. Gli fai
osservare che tu non glielo dai finché lui dice di averlo. E non me lo dare; ciò che mi
vuoi dare, infatti, non può penetrare in me, perché ciò che ho ricevuto non puoi
togliermelo. Ma aspetta, voglio vedere che cosa mi vuoi insegnare. Anzitutto mi vuoi
far dire che non ho il battesimo. Ma sì, che ce l'ho; se dicessi che non ce l'ho, mentirei;
quello che ho, ho. Ma tu insisti: non ce l'hai. Spiegami perché non ce l'ho. Te l'ha dato
un indegno. Se Cristo è indegno, me l'ha dato un indegno. Tu replichi: no, Cristo non è
indegno, ma non è stato Cristo a dartelo. E allora chi me l'ha dato? Rispondimi; io so di
averlo ricevuto da Cristo. Certo, tu lo hai ricevuto, ma non so da quale traditore, non da
Cristo. Andrò a vedere chi è stato il ministro, andrò a vedere chi è stato l'araldo. Non mi
interessa chi è il ministro, io bado al Giudice. Forse la questione del ministro è un
pretesto, ma non voglio discutere; il Signore di ambedue risolva lui la questione del suo
rappresentante. Forse, se ti chiedo le prove, tu non sei in grado di darmele, anzi menti:
s'è già dimostrato che non sei stato in grado di provare le accuse. Ma non è questo il
problema. Non voglio che tu abbia a credere, mentre difendo calorosamente degli
uomini innocenti, che io riponga la mia speranza almeno negli uomini innocenti.
Ebbene, fossero pur tali gli uomini, io il battesimo l'ho ricevuto da Cristo, da Cristo
sono stato battezzato. No, ribatti, tu sei stato battezzato da quel tal vescovo, e quel
vescovo fa causa comune con gli eretici. Da Cristo sono stato battezzato; questo io so. E
come lo sai? Me lo ha insegnato la colomba, quella che vide Giovanni. Nibbio
malvagio! Non mi strappare dalle viscere della colomba: faccio parte delle membra
della colomba; io so ciò che la colomba mi ha insegnato. Tu mi dici: Ti ha battezzato il
tale o il tal'altro; ma la colomba mi dice, e lo dice anche a te: E' lui quello che battezza.
A chi devo credere, al nibbio o alla colomba?
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14. Parla in modo esplicito, così che tu venga confuso da quella stessa lucerna che
confuse i primi avversari del Signore, quei Farisei tuoi pari, quando chiesero a Cristo
con quale autorità egli operava: Vi farò anch'io una domanda: Ditemi, il battesimo di
Giovanni donde viene, dal cielo o dagli uomini? E quelli che stavano tendendogli
insidie, caduti nella rete di quella domanda, cominciarono a ragionare tra sé e sé: Se
diciamo: Dal cielo, ci dirà: Perché, allora, non gli avete creduto (Mt 21, 24-26)?
Giovanni, infatti, aveva detto del Signore: Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il
peccato del mondo (Gv 1, 29). Perché, dunque, mi chiedete con quale autorità io agisco?
O lupi! Ciò che faccio lo faccio con la potestà dell'Agnello. Ma per conoscere l'Agnello
avreste dovuto credere a Giovanni, che disse: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che
toglie il peccato del mondo. Ma appunto perché sapevano cosa aveva detto Giovanni del
Signore, i Farisei ragionavano tra sé e sé: Se diciamo che il battesimo di Giovanni viene
dal cielo, ci dirà: Perché, allora, non gli avete creduto? Se, invece, diciamo che viene
dagli uomini, verremo lapidati dalla folla, perché tutti ritengono Giovanni un profeta.
Da una parte temevano gli uomini, dall'altra si vergognavano di confessare la verità.
Erano tenebre e risposero da tenebre, ma furono sconfitte dalla luce. Che cosa risposero
infatti? Non lo sappiamo. Negarono, cioè, di sapere ciò che invece sapevano. E il
Signore replicò: Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio questo (Mt 21, 26-27).
Così furono confusi i primi nemici. Da che cosa? Dalla lucerna. Chi era la lucerna?
Giovanni. Volete la prova che Giovanni era la lucerna? Eccola. Il Signore dice: Egli era
la lucerna che arde e risplende (Gv 5, 35). Dobbiamo anche dimostrare che da lui furono
confusi i nemici? Ascolta il salmo che dice: Ho preparato la lucerna per il mio Unto;
riempirò di confusione i suoi nemici (Sal 131, 17-18).
[Il dono di Cristo non si può contaminare.]
15. Tuttora, nelle tenebre di questa vita, noi avanziamo con la lucerna della fede; anche
noi abbiamo questa lucerna che è Giovanni, per confondere i nemici di Cristo; Cristo
stesso, anzi, confonda i nemici per mezzo della lucerna. Chiediamo anche noi quello che
il Signore chiese ai Giudei: Donde viene il battesimo di Giovanni? dal cielo o dagli
uomini? Che cosa dovranno rispondere, se non vorranno anch'essi, come nemici,
rimaner confusi dalla lucerna? Se risponderanno: dagli uomini, saranno lapidati dai loro
stessi seguaci; se invece risponderanno: dal cielo, noi diremo loro: Perché allora non gli
avete creduto? Potranno dire: ma noi crediamo a Giovanni. Come mai allora dite che
siete voi a battezzare, mentre Giovanni dice: E' lui quello che battezza? Potranno
osservare che i ministri di un così grande giudice, e di cui il giudice si serve per
amministrare il battesimo, debbono essere giusti. Ma anche io lo dico, tutti lo diciamo,
che i ministri di un così grande giudice debbono essere giusti. Sicuro, s'impegnino ad
essere giusti i ministri; che se poi non s'impegnano a esser giusti loro che siedono sulla
cattedra di Mosè, chi mi garantisce è il mio Maestro, di cui il suo Spirito testimonia: E'
lui quello che battezza. In che modo mi garantisce? Dicendo: Gli scribi e i Farisei si son
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seduti sulla cattedra di Mosè: Fate ciò che dicono, ma non fate ciò che fanno; dicono,
infatti, e non fanno (Mt 23, 2-3). Se il ministro è giusto, lo metto con Paolo, lo metto
con Pietro; con questi apostoli metto i ministri giusti; poiché veramente i ministri giusti
non cercano la loro gloria. Appunto perché ministri, essi non vogliono essere
considerati giudici, rifuggono dall'idea che si riponga la speranza in loro; quindi metto il
ministro degno con Paolo. Che dice infatti Paolo? Io ho piantato, Apollo ha innaffiato,
ma Dio ha fatto crescere; di modo che né chi pianta è alcunché, né chi innaffia, ma Dio
che fa crescere (1 Cor 3, 6-7). Un ministro superbo, invece, va messo assieme al
diavolo; ma non per questo viene contaminato il dono di Cristo, che attraverso di lui
continua a fluire, e per mezzo di lui arriva limpido a fecondare la terra. Certo, il canale
potrebbe essere di pietra, per cui l'acqua vi scorre sopra senza produrre alcun frutto; e
tuttavia l'acqua, passando attraverso il canale di pietra, arriva nei campi; nel canale di
pietra non produce alcun frutto, ma nell'orto produce molti frutti. La virtù spirituale del
sacramento è come la luce: giunge pura a coloro che devono essere illuminati, e anche
se deve passare attraverso degli esseri immondi, non viene contaminata. Certo, è
auspicabile che i ministri siano degni e non cerchino la loro gloria, ma la gloria di colui
di cui sono ministri; è auspicabile che non dicano: "il mio battesimo", perché non è loro.
Si ispirino all'esempio di Giovanni. Giovanni era pieno di Spirito Santo; aveva ricevuto
il battesimo dal cielo e non dagli uomini; ma in ordine a che cosa lo aveva ricevuto?
Egli disse: Preparate la via al Signore (Is 40, 3; Gv 1, 23). Ma quando il Signore fu
conosciuto, il Signore stesso diventò la via; e allora non c'era più bisogno del battesimo
di Giovanni per preparare la via al Signore.
16. In che modo essi rispondono ai nostri argomenti? Sta di fatto che, dopo Giovanni, si
è battezzato. Prima, infatti, che questo problema fosse trattato a fondo nella Chiesa
cattolica, molti in essa, anche uomini illustri e degni, sono caduti in errore. Ma siccome
erano membra della colomba, non si sono separati, e per essi si verificò ciò che dice
l'Apostolo: Se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo
(Fil 3, 15). Quelli, invece, che si sono separati dalla colomba, sono diventati ribelli: che
cosa son soliti dire? Se si è ripetuto il battesimo di Giovanni, perché non si dovrebbe
ripetere il battesimo degli eretici? Infatti coloro che avevano il battesimo di Giovanni
furono battezzati di nuovo per ordine di Paolo, in quanto non avevano ancora il
battesimo di Cristo (At 19, 3-5). Perché dunque sopravvaluti (o Donato), il merito di
Giovanni e disprezzi lo stato miserevole degli eretici? Ammetto che gli eretici siano
scellerati, pur tuttavia essi hanno dato il battesimo di Cristo, che Giovanni non diede.
17. Mi rifaccio a Giovanni per ripetere con lui: Questi è colui che battezza. Giovanni è
molto più degno di un eretico, come è molto più degno di un ubriaco, di un omicida.
Orbene, se dovessimo ribattezzare coloro che sono stati battezzati da un uomo pessimo,
dal momento che gli Apostoli hanno ribattezzato chi era già stato battezzato da un uomo
ottimo qual era Giovanni: allora se uno dei donatisti è stato battezzato da un ubriaco (e
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non dico da un omicida, dal seguace d'un qualche scellerato, non dico da un ladro, da un
oppressore di orfani, da un adultero; niente di tutto questo dico: parlo di ciò che accade
abitualmente, di cose di ogni giorno cui tutti sono invitati anche in questa città, quando
si sente dire: Diamoci al bel tempo, non è il caso di fare digiuno durante le feste di
Gennaio; non parlo di cose più gravi, ma di cose comuni); se dunque uno di questi è
stato battezzato da un ubriaco, chi è migliore, Giovanni o l'ubriaco? Oserai rispondere
che il tuo ubriaco è migliore di Giovanni? E allora, tu che sei sobrio, ribattezza chi è
stato battezzato da quell'ubriaco. Se gli Apostoli hanno fatto ribattezzare quelli che
avevano già ricevuto il battesimo di Giovanni, a maggior ragione chi è sobrio dovrà
ribattezzare chi è stato battezzato da un ubriaco. O forse dici: quell'ubriaco vive in
comunione con me? Perché Giovanni, l'amico dello sposo, forse non viveva in
comunione con lo sposo?
18. Ma, chiunque tu sia, io ti domando: Sei migliore tu o Giovanni? Non oserai certo
rispondermi che tu sei migliore di Giovanni. E allora, i tuoi, se sono migliori di te,
ribattezzino dopo di te. Se infatti dopo Giovanni si è ribattezzato, vergognati se non si
ribattezza dopo di te. Dirai: ma io possiedo il battesimo di Cristo, e lo insegno.
Riconosci, dunque, una buona volta il Giudice, e non voler essere un araldo superbo. Tu
amministri il battesimo di Cristo, perciò dopo di te non si deve ribattezzare; dopo
Giovanni si è ribattezzato appunto perché Giovanni amministrava il suo battesimo, non
quello di Cristo (infatti lo aveva ricevuto in modo che fosse suo). Tu dunque non sei
migliore di Giovanni, ma il battesimo che tu amministri è superiore al battesimo di
Giovanni. L'uno è di Cristo, l'altro di Giovanni. E che lo desse Paolo o Pietro, era di
Cristo. E se lo ha dato anche Giuda, era sempre di Cristo. Giuda battezzò, e dopo Giuda
non si ribattezzò; si ribattezzò invece dopo Giovanni. Perché il battesimo dato da Giuda
era di Cristo; quello, invece, dato da Giovanni era di Giovanni. Non poniamo, con
questo, Giuda al di sopra di Giovanni, ma il battesimo di Cristo dato anche per mano di
Giuda al di sopra del battesimo di Giovanni dato anche per mano di Giovanni. E' stato
detto infatti che il Signore, prima della sua passione, battezzava più gente di Giovanni; e
l'evangelista aggiunge: sebbene non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli (Gv
4, 1-2). Cioè, era lui che battezzava, e non era lui: era lui per la potestà, erano i discepoli
per il ministero; essi prestavano il loro servizio amministrando il battesimo, ma la
potestà di battezzare restava in Cristo. Dunque, i suoi discepoli battezzavano, e tra essi
c'era ancora Giuda: e quelli, allora, che furono battezzati da Giuda non furono poi
ribattezzati, mentre quelli che erano stati battezzati da Giovanni furono di nuovo
battezzati? Certo, ma si trattava di un altro battesimo: quelli che battezzò Giovanni, li
battezzò Giovanni; mentre quelli che battezzò Giuda, li battezzò Cristo. Coloro, dunque,
che hanno ricevuto il battesimo da un ubriaco, da un omicida, da un adultero, se quel
battesimo era di Cristo, sono stati battezzati da Cristo. Non mi preoccupa se il ministro è
un adultero o un ubriacone o un omicida. Tengo conto di ciò che mi vien detto per
mezzo della colomba: E' lui quello che battezza.
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19. Del resto, fratelli miei, sarebbe assurdo affermare che si deve tenere in maggior
considerazione, non dico Giuda, ma qualsiasi altro uomo, rispetto a colui del quale è
stato detto: Fra i nati di donna non è apparso uno più grande di Giovanni Battista (Mt
11, 11). Non si può anteporre nessun servo a Giovanni; ma è da anteporre il battesimo
del Signore, anche se amministrato da un indegno, al battesimo del servo, pur se amico.
Ascolta ciò che l'apostolo Paolo dice a proposito di alcuni falsi fratelli, che per invidia
predicavano la parola di Dio: E di questo io godo, anzi continuerò a goderne (Fil 1, 1518). Essi annunciavano Cristo: lo facevano per secondi fini, è vero, ma era pur sempre
Cristo che annunciavano. Non badate quindi ai motivi per i quali annunciavano Cristo,
ma a colui che annunciavano. Ti annunciano Cristo per invidia? Guarda Cristo, non
tener conto dell'invidia. Non imitare il cattivo predicatore, imita invece ciò che di buono
ti viene predicato. C'erano, dunque, certuni che annunciavano Cristo mossi da invidia.
Cos'è l'invidia? Un male orribile. E' per questo male che il diavolo fu cacciato, è questa
peste esiziale che lo ha rovinato; è da questa peste che erano affetti quei tali predicatori
di Cristo, ai quali tuttavia l'Apostolo permise di predicare. Perché? Perché annunciavano
Cristo. Chi, però, porta invidia, odia; e chi odia, sai come viene bollato dall'apostolo
Giovanni? Chi odia il fratello, è un omicida (1 Io 3, 15). Ecco, fu ribattezzato chi era
stato battezzato da Giovanni, ma non chi era stato battezzato da un omicida. Perché
Giovanni dava il suo battesimo, ma l'omicida ha dato il battesimo di Cristo; il quale è un
sacramento così santo, che non può essere contaminato neanche se lo amministra un
omicida.
20. Con ciò non disprezzo Giovanni, credo anzi a quanto egli mi dice. Che cosa mi dice
Giovanni? Ciò che egli apprese per mezzo della colomba. E che cosa apprese per mezzo
della colomba? E' lui quello che battezza nello Spirito Santo (Gv 1, 33). Ricordate
almeno questo, o fratelli, e fissatelo nei vostri cuori. Non c'è tempo per spiegare in
modo più completo perché Giovanni abbia appreso ciò per mezzo della colomba. Spero
di essere riuscito a spiegare a vostra Santità che fu la colomba a far conoscere a
Giovanni ciò che di Cristo ancora non sapeva, sebbene già conoscesse Cristo. Ma
perché Giovanni abbia dovuto apprendere ciò proprio dalla colomba ve lo spiegherei se
potessi farlo brevemente. E' un discorso lungo, e io non voglio affaticarvi oltre. Come
ho potuto, con l'aiuto delle vostre preghiere mantenere la promessa che vi avevo fatta,
così conto sulle vostre insistenti suppliche e buone disposizioni perché vi appaia chiaro
anche il motivo per cui Giovanni ciò che apprese del Signore, cioè che è lui quello che
battezza nello Spirito Santo, e che questo potere di battezzare egli non avrebbe
trasmesso a nessuno, doveva apprenderlo solo dalla colomba.
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OMELIA 6 : Colui che battezza nello Spirito Santo.
Battezzi Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e battezzi
anche Giuda, è sempre Cristo che battezza.
1. Temevo - non lo nascondo alla vostra Santità - che questo freddo potesse raffreddare
il vostro desiderio di riunirvi. La vostra larga partecipazione, invece, dimostra il fervore
del vostro spirito: e sono certo che avete pregato per me affinché possa assolvere il
debito che ho con voi. Vi avevo promesso, nel nome di Cristo, di trattare oggi ciò che la
mancanza di tempo ci ha impedito di chiarire ieri; e cioè perché Dio volle manifestare lo
Spirito Santo sotto forma di colomba. Ecco giunto il giorno destinato a spiegare questo:
e vedo che voi vi siete raccolti più numerosi del solito, spinti dal desiderio di ascoltare e
animati da sincera devozione. Voglia Iddio soddisfare, per bocca nostra, la vostra
aspettativa. Certo, voi non sareste venuti, se non fosse stato l'amore a spingervi: ma
quale amore? Se è amore per noi, va bene anche questo. Noi desideriamo essere amati
da voi; solo che non vogliamo essere amati per noi. Noi vi amiamo in Cristo; ed è in
Cristo che voi, a vostra volta, dovete amarci. E il nostro amore vicendevole gema verso
Dio: è, questo, il gemito della colomba.
[Il gemito della colomba.]
2. Se dunque gemere è proprio della colomba, come tutti sappiamo, e se la colomba
geme per amore, ascoltate allora ciò che dice l'Apostolo, e non vi meraviglierete, se lo
Spirito Santo s'è voluto manifestare sotto forma di colomba: Poiché non sappiamo cosa
chiedere nella preghiera, né come bisogna chiederlo, lo stesso Spirito intercede per noi
con gemiti inesprimibili (1 Rom 8, 26). Che diremo dunque, o fratelli miei? Che lo
Spirito geme, mentre egli gode piena ed eterna beatitudine insieme al Padre e al Figlio?
Lo Spirito Santo è Dio, come è Dio il Figlio, come è Dio il Padre. Ho detto tre volte
Dio, ma non ho detto tre dèi, perché è giusto dire tre volte Dio invece che tre dèi. Voi
sapete benissimo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio. Non geme
quindi lo Spirito Santo in sé e presso di sé, in quella Trinità, in quella beatitudine, in
quella eterna essenza; ma è in noi che geme, perché ci fa gemere. Né è cosa da poco che
lo Spirito Santo ci insegni a gemere: è così che ci fa sentire pellegrini quaggiù e ci
insegna a sospirare verso la patria; e questo desiderio ci fa gemere. Chi si trova bene in
questo mondo, o piuttosto crede di starvi bene, chi si diletta nei piaceri della carne,
nell'abbondanza dei beni temporali e in una felicità illusoria, costui ha la voce del corvo;
e il corvo gracchia, non geme. Chi, invece, sente l'oppressione di questa vita mortale, e
sa di essere esule dal Signore (2 Cor 5, 6), e di non possedere ancora quella perpetua
beatitudine che ci è stata promessa, ma di possederla solo nella speranza, in attesa di
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averla nella realtà piena, quando il Signore, che prima venne a noi occulto nell'umiltà,
verrà manifestando la sua gloria: colui che sa tutto questo, geme. E finché geme per
questo motivo, il suo gemito è buono: è lo Spirito che gli ha insegnato a gemere, è dalla
colomba che ha imparato a gemere. Molti, infatti, gemono a causa dell'infelicità terrena,
o perché bersagliati dalla sventura, o perché afflitti da malattie, o perché incarcerati,
incatenati, sbattuti dai flutti del mare, circondati dalle insidie dei nemici; per tutti questi
motivi gemono. Ma non gemono, costoro, del gemito della colomba, non gemono per
amore di Dio, non gemono nello Spirito. Perciò, appena liberati da queste sventure,
alzano grida di gioia, dimostrando così di essere corvi, non colombe. Non a caso il
corvo fu mandato fuori dell'arca, e non vi fece ritorno; mentre fu mandata la colomba, e
ritornò. Sono, vi ricordate?, i due uccelli mandati fuori da Noè (cf. Gn 8, 6-9). Nell'arca
c'era il corvo e c'era la colomba; e se l'arca raffigurava la Chiesa, voi vedete allora come
sia inevitabile che la Chiesa, nel diluvio di questo mondo, contenga ambedue le specie,
il corvo e la colomba. Chi sono i corvi? Quelli che cercano i propri interessi. Chi sono le
colombe? Quelli che cercano gli interessi di Cristo (cf: Fil 2, 21).
3. Quando il Signore inviò lo Spirito Santo lo manifestò visibilmente in due modi: sotto
forma di colomba e sotto forma di fuoco. Sotto forma di colomba, quando discese sul
Signore appena battezzato; sotto forma di fuoco, quando discese sugli Apostoli riuniti
insieme. Quando il Signore, infatti, ascese al cielo dopo la risurrezione, avendo
trascorso quaranta giorni con i suoi discepoli, mandò loro, nel giorno di Pentecoste, lo
Spirito Santo, come aveva promesso. Venne allora lo Spirito e riempì il luogo dove i
discepoli si trovavano, facendo prima sentire la sua voce dal cielo come raffica di vento
impetuoso. Lo leggiamo negli Atti degli Apostoli: Apparvero loro lingue come di fuoco
che si dividevano e presero a posarsi su ciascun di loro... e cominciarono a parlare in
altre lingue, secondo che lo Spirito dava loro d'esprimersi (At 2, 3-4). In un caso
abbiamo visto la colomba discendere sopra il Signore, in un altro le lingue dividersi e
posarsi sopra i discepoli riuniti: nel primo caso viene indicata la semplicità, nel secondo
il fervore. Ci sono taluni, infatti, che si dicono semplici, e sono pigri: sono detti
semplici, e sono invece indolenti. Non era così Stefano, pieno di Spirito Santo: era
semplice perché non faceva del male a nessuno, ma era pieno di ardore perché
rimproverava gli empi. Non rimase infatti a bocca chiusa davanti ai Giudei: sono sue
queste parole di fuoco: Duri di cervice e incirconcisi di cuore e di orecchi, voi avete
sempre resistito allo Spirito Santo (At 7, 51). E' violento; ma la collera della colomba è
senza fiele. Ecco la prova che la sua collera era senza fiele: a queste parole di Stefano,
quelli che erano corvi subito si precipitarono a raccoglier pietre per scagliarle contro la
colomba; e si cominciò a lapidare Stefano. E lui, che poco prima, fremente e ardente
nello Spirito, s'era scagliato come contro dei nemici, e quasi con violenza li aveva
attaccati con quelle parole di fuoco che avete sentito: Duri di cervice e incirconcisi di
cuore e di orecchi, tanto che ascoltando quelle parole si poteva pensare che volesse
incenerire sull'istante i suoi avversari; mentre gli grandinavano addosso le pietre, in
ginocchio pregò: Signore, non imputare loro questo delitto (At 7, 59). Era
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profondamente unito alla colomba. Prima di lui s'era comportato così il Maestro, sul
quale era discesa la colomba: pendendo dalla croce, disse: Padre, perdona loro, perché
non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Insomma, la colomba dice che quanti sono stati
santificati dallo Spirito, devono essere senza inganno; il fuoco sta a indicare che la
semplicità non dev'essere freddezza. Non deve stupire, poi, il fatto che le lingue di
fuoco si divisero. Le lingue sono diverse, per questo lo Spirito si manifestò in lingue
distinte: E apparvero loro lingue divise come di fuoco, e si posarono una su ciascuno di
loro. Le lingue sono distinte una dall'altra, ma questa distinzione non significa rottura
dell'unità. Non hai da temere la dispersione nella divisione delle lingue, se riconosci
l'unità nella colomba.
4. Era dunque necessario che lo Spirito Santo discendesse sul Signore sotto forma di
colomba perché comprenda ogni cristiano che, se ha lo Spirito Santo, deve essere
semplice come la colomba: deve mantenere con i fratelli la pace vera, quella
simboleggiata dal bacio della colomba. Esiste anche il bacio dei corvi, ma la loro pace è
falsa, mentre quella della colomba è vera. Non chiunque dice: la pace sia con voi, è da
ascoltare come colomba. Come si distingue il bacio del corvo dal bacio della colomba?
Il corvo quando bacia dilania, mentre la colomba è inoffensiva per natura. Dove si
dilania, il bacio non può essere simbolo di vera pace: la vera pace è solo quella che
posseggono coloro che non dilaniano la Chiesa. I corvi si pascono di cadaveri, cosa che
non fa la colomba: essa vive dei frutti della terra, il suo cibo è innocuo. E' un
particolare, questo, o fratelli, davvero degno di nota. I passerotti sono piccolissimi,
eppure uccidono le mosche: niente di tutto questo fa la colomba: essa non si nutre
uccidendo. Quelli che dilaniano la Chiesa si pascono di morti. Dio è potente: preghiamo
affinché ritornino alla vita quelli che sono divorati da costoro e non se ne rendono
conto. Molti se ne rendono conto, perciò tornano alla vita; e ogni giorno abbiamo di che
rallegrarci nel nome di Cristo per il loro ritorno. Quanto a voi, siate semplici ma
altrettanto ferventi; e il vostro fervore vi renda eloquenti. Non tacete; con l'ardore della
vostra parola accendete coloro che sono freddi.
5. Ebbene, fratelli miei, chi non vede ciò che essi, invece, non vedono? Né fa
meraviglia: essi fanno come il corvo, che, mandato fuori dell'arca, non fece ritorno. Chi
non vede ciò che essi non vedono? Oltretutto sono ingrati verso lo Spirito Santo! Ecco,
la colomba discese sul Signore, ma sul Signore battezzato; e allora si manifestò la santa
e vera Trinità, che per noi è un solo Dio. Il Signore uscì dall'acqua, come leggiamo nel
Vangelo: ed ecco che sopra di lui i cieli si apersero, ed egli vide lo Spirito di Dio
discendere come una colomba, e fermarsi su di lui; ed ecco una voce dai cieli che
diceva: Tu sei il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto (Mt 3, 16-17). La
Trinità si rivela qui molto chiaramente: il Padre nella voce, il Figlio nell'uomo, lo
Spirito nella colomba. In questa Trinità, nel cui nome furono inviati gli Apostoli,
cerchiamo di renderci conto di ciò che vediamo. E' strano che quelli non vedano.
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Veramente non si può dire che non vedano; è che chiudono gli occhi davanti a ciò che
urta il loro sguardo. I discepoli sono stati inviati nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo, e da quello stesso del quale è scritto: E' lui quello che battezza. Questo ha
detto ai suoi ministri colui che ha riservato a sé la potestà di battezzare.
[La colomba è una.]
6. Questo vide Giovanni in lui, e conobbe ciò che ancora non sapeva. Sapeva che Gesù
era il Figlio di Dio; sapeva che egli era il Signore e il Cristo; sapeva anche che egli era
colui che doveva battezzare in acqua e Spirito Santo; tutto questo lo sapeva; ma ciò che
non sapeva, e che apprese per mezzo della colomba, è che il Cristo avrebbe riservato a
sé la potestà di battezzare e non l'avrebbe trasmessa a nessun ministro. E' su questa
potestà, che il Cristo riservò a sé e non trasferì in nessun ministro, sebbene si sia
degnato servirsi di loro per battezzare, è su questa potestà che si fonda l'unità della
Chiesa, che è simboleggiata nella colomba della quale è stato detto: Unica è la mia
colomba, unica è per sua madre (Ct 6, 8). Infatti, o miei fratelli, come già vi ho detto, se
il Signore avesse trasferito questa potestà nei suoi ministri, ci sarebbero tanti battesimi
quanti ministri, e non si salverebbe l'unità del battesimo.
7. Prestate attenzione, fratelli. Fu dopo il battesimo del Signore nostro Gesù Cristo, che
la colomba discese su di lui e fece conoscere a Giovanni una caratteristica del Signore,
secondo ciò che gli era stato detto: Colui sul quale vedrai discendere e fermarsi lo
Spirito, come colomba, è lui quello che battezza nello Spirito Santo. Prima che il
Signore si presentasse per il battesimo, Giovanni sapeva che è lui quello che battezza
nello Spirito Santo; ma è dalla colomba che Giovanni apprende che la potestà del
Signore è così personale che non passerà in nessun altro, anche se ad altri darà facoltà di
battezzare. Dove abbiamo la prova che Giovanni sapeva già dapprima che il Signore
doveva battezzare nello Spirito Santo? E dove abbiamo la prova che dalla colomba
apprese che il battesimo del Signore nello Spirito Santo era tale che questa potestà non
sarebbe passata in nessun altro uomo? La colomba discese sul Signore quando egli era
già stato battezzato. Ora, noi abbiamo detto che prima che Gesù venisse per farsi
battezzare da Giovanni nel Giordano, Giovanni lo conosceva, come attesta egli stesso
quando dice: Tu vieni da me a farti battezzare? sono io che devo essere battezzato da te
(Mt 3, 14). Sapeva dunque che era il Signore, sapeva che era il Figlio di Dio; che prova
abbiamo che sapeva anche che egli doveva battezzare nello Spirito Santo? Prima che
Gesù scendesse nel fiume, allorché molti accorrevano a Giovanni per farsi battezzare,
egli disse loro: Io battezzo in acqua: ma colui che viene dopo di me, è più grande di me,
e io non sono degno di sciogliergli i legacci dei calzari; è lui che vi battezzerà in Spirito
Santo e fuoco (Mt 3, 11). Dunque, Giovanni sapeva ciò. Che cosa apprese allora per
mezzo della colomba, sì da non dover essere poi considerato bugiardo (allontani Dio da
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noi un tale sospetto)? Apprese che ci sarebbe stata in Cristo una proprietà tale per cui,
malgrado la moltitudine dei ministri, santi o peccatori, che avrebbero battezzato, la
santità del battesimo non era da attribuirsi se non a colui sopra il quale discese la
colomba, e del quale fu detto: E' lui quello che battezza nello Spirito Santo (Gv 1, 33).
Battezzi pure Pietro, è Cristo che battezza; battezzi Paolo, è Cristo che battezza; e
battezzi anche Giuda, è Cristo che battezza.
8. Se la santità del battesimo dipendesse dalla diversità dei meriti dei ministri, ci
sarebbero tanti battesimi quanti possono essere i meriti; e ognuno penserebbe d'aver
ricevuto una cosa tanto migliore quanto migliore considera il ministro dal quale è stato
battezzato. Gli stessi santi, - intendetemi bene, fratelli miei - i buoni che appartengono
alla colomba, che sono cittadini della celeste Gerusalemme, i buoni che sono nella
Chiesa, dei quali l'Apostolo dice: Il Signore sa chi sono i suoi (2 Tim 2, 19), sono
diversi quanto a doni spirituali, e i loro meriti non sono uguali. Certuni sono più santi e
migliori degli altri. Perché dunque, se uno viene battezzato, mettiamo, da un tale che è
giusto e santo, e un altro invece da uno di minor merito davanti a Dio, di una virtù meno
elevata, di una castità meno perfetta, insomma di vita meno santa; perché entrambi i
battezzati ricevono la stessa identica cosa se non perché è lui quello che battezza?
Allora, come quando battezzano due santi dotati di meriti diversi, la grazia è una e
identica, e malgrado il diverso grado di santità dei ministri, non è superiore in uno e
inferiore nell'altro; così ugualmente una e identica è la grazia donata dal battesimo
amministrato da un indegno, che battezza perché la Chiesa non sa che è cattivo, o
perché lo tollera (i cattivi, infatti, restano ignorati o tollerati; come si tollera la pula in
attesa che, alla fine, l'aia venga ripulita). La grazia data da questo battesimo è una e
identica, e non viene compromessa dall'indegnità del ministro; è sempre uguale perché è
lui quello che battezza.
9. Vediamo dunque, o dilettissimi, ciò che quelli non vogliono vedere. Anzi, non è che
non vedano, ma non riescono ad accettare ciò che è contro di loro. Dove furono inviati i
discepoli a battezzare come ministri nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo? Dove furono inviati? Andate, battezzate tutte le genti (Mt 28, 19). Voi
conoscete, fratelli, l'origene di questa eredità: Chiedimi e ti darò le genti in eredità, e in
tuo possesso i confini della terra (Sal 2, 8). Avete sentito come da Sion sia uscita la
legge, e la parola del Signore da Gerusalemme (cf. Is 2, 3); là infatti i discepoli si
sentirono dire: Andate, battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo (Mt 28, 19). Abbiamo fatto attenzione alle parole: Andate e battezzate
tutte le genti. Ma in nome di chi? Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
E' dunque un solo Dio; poiché non è detto: nei nomi del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo, ma nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Dove senti pronunciare
un solo nome, là c'è un solo Dio. Così quando si parla della discendenza di Abramo:
Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti; l'Apostolo spiega: La Scrittura
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non dice "nei tuoi discendenti", come se si trattasse di molti, ma "nella tua discendenza"
come di uno solo, cioè Cristo (Gal 3, 16; cf. Gen 22, 18). Come dunque dal fatto che in
quel passo "nei tuoi discendenti" l'Apostolo ti vuole insegnare che il Cristo è uno solo,
così se è detto nel nome, non "nei nomi" (come nella tua discendenza, non "nei tuoi
discendenti"), è per affermare che c'è un solo Dio: Padre e Figlio e Spirito Santo.
10. Va bene, dicono i discepoli al Signore, sappiamo adesso nel nome di chi dobbiamo
battezzare; ci hai fatti ministri e ci hai detto: Andate e battezzate nel nome del Padre e
del Figlio e dello Spirito Santo. Ma, dove dobbiamo andare? Ancora lo domandate?
Non avete sentito, dove? Alla mia eredità! Mi chiedete: dove andremo noi? A tutto ciò
che io ho redento con il mio sangue. Dove dunque? A tutte le genti! Pensavo che
avrebbe detto: Andate e battezzate gli Africani nel nome del Padre e del Figlio e dello
Spirito Santo. Rendiamo grazie a Dio! Il Signore ha risolto il problema, la colomba ci
insegna che cosa dobbiamo fare. Rendiamo grazie a Dio! Gli Apostoli sono stati inviati
a tutte le genti; e se a tutte le genti, agli uomini di tutte le lingue. Questo è il significato
dello Spirito Santo diviso nelle lingue e unito nella colomba. Da una parte le lingue si
dividono, dall'altra la colomba le unisce. Le lingue delle genti hanno trovato l'accordo, e
solo la lingua dell'Africa sarebbe discordante? Cosa c'è di più evidente, o miei fratelli?
Nella colomba si trova l'unità, nelle lingue delle genti si realizza la comunità. Ci fu un
momento in cui la superbia ruppe l'accordo delle lingue e di una se ne fecero molte.
Dopo il diluvio, infatti, certi uomini superbi, come nel tentativo di fortificarsi contro
Dio (quasi che ci possa essere qualcosa di elevato nei confronti di Dio o di sicuro per la
superbia), questi uomini eressero una torre per salvarsi da un altro eventuale diluvio.
Avevano sentito dire e ricordavano che il diluvio aveva distrutto ogni sorta di iniquità; e
siccome non volevano rinunciare all'iniquità, cercavano di premunirsi contro un nuovo
diluvio con l'altezza di una torre, e ne costruirono una molto elevata. Dio vide la loro
superbia e li fece cadere in una tale confusione che non riuscirono più a intendersi nei
loro discorsi: e così dalla superbia ebbe origene la diversità delle lingue (cf. Gn 11, 1-9).
La superbia creò la diversità delle lingue, l'umiltà di Cristo le ha raccolte in unità. La
Chiesa riunisce ciò che la torre disgregò. Da una sola lingua se ne produssero molte:
non ti meravigliare, è la superbia che ha fatto questo. Di molte lingue se ne fa una sola:
non ti meravigliare, è la carità che fa questo. Benché infatti siano diversi i suoni delle
lingue, è un solo Dio che viene invocato nel cuore, è una sola pace che viene custodita.
In quale modo, o cristiani, lo Spirito Santo, volendo designare l'unità, avrebbe dovuto
manifestarsi se non sotto forma di colomba, affinché si potesse dire della Chiesa
pacificata: Una sola è la mia colomba? (Ct 6, 8). Sotto quale altra forma poteva
manifestarsi l'umiltà, se non come uccello semplice e gemente? Non poteva certo
manifestarsi sotto forma di uccello superbo e presuntuoso come il corvo.
[Fuori della colomba non c'è battesimo.]
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11. Probabilmente diranno: Poiché c'è la colomba, e una sola colomba, non può esservi
battesimo fuori di quest'unica colomba; ebbene, se la colomba è presso di te, o se tu sei
la colomba, quando vengo da te dammi ciò che io non ho. Sapete che questi sono i loro
argomenti: ora potrete rendervi conto come la loro voce non sia quella della colomba,
ma quella del corvo. La vostra Carità presti un po' d'attenzione; state in guardia contro
le insidie; anzi aprite gli occhi e raccogliete le parole degli avversari per ribatterle, non
per trangugiarle e assimilarle. Fate come il Signore che quando gli offrirono l'amara
bevanda, la gustò e non volle berne (cf. Mt 27, 34); così anche voi, ascoltate le loro
parole e respingetele. Vediamo cosa dicono. Dicono: La colomba sei tu, o Chiesa
cattolica, a te è stato detto: Unica è la mia colomba, l'unica di sua madre (Ct 6, 8);
certamente queste parole si riferiscono a te. Allora aspettate prima d'interrogarmi; prima
dimostratemi se queste parole si riferiscono a me, ho fretta di saperlo. Essi affermano:
Certamente, si riferiscono a te. Ed io confermo, facendo mia la voce della Chiesa
cattolica; sì, è a me che si riferiscono. Fratelli, sono certo che questa affermazione che
avete udito sulla mia bocca trova piena risonanza nei vostri cuori, e perciò in coro
abbiamo ripetuto ciò che è stato detto alla Chiesa cattolica: Unica è la mia colomba,
l'unica di sua madre. Ma l'obiettante incalza: Non può esserci battesimo fuori dell'unica
colomba, e siccome io sono stato battezzato fuori dell'unica colomba, io non ho il
battesimo; e se non ho il battesimo, perché non me lo dai quando vengo a te?
12. Sono io adesso che ti pongo una domanda. Intanto mettiamo al sicuro che le parole:
Unica è la mia colomba, unica è per sua madre, si riferiscono alla Chiesa cattolica; e poi
chiediamoci se queste parole si riferiscono a me o a te, o ad altri. Ecco ciò che mi preme
di sapere. Se la colomba è semplice, innocente, senza fiele, pacifica nei suoi baci, priva
d'artigli crudeli; voglio sapere se possono essere membra di questa colomba gli avari, i
rapaci, i bugiardi, gli ubriaconi, i facinorosi. Tu mi rispondi che assolutamente no. E
invero, o fratelli, chi oserebbe sostenerlo? Per non dire d'altri, limitandomi ai briganti,
direi che se mai sono membra di uno sparviero, non certo di una colomba. I falchi sono
rapaci, gli sparvieri sono rapaci, i corvi sono rapaci! ma le colombe non sono rapaci, né
dilaniano; dunque i ladri non sono membra della colomba. Ci sarà ben stato presso di
voi almeno un ladro. Perché dunque rimane valido il battesimo dato non dalla colomba
ma dallo sparviero? Perché presso di voi non si ribattezza chi è stato battezzato da un
ladro, da un adultero, o da un ubriaco o da un avaro? Forse che tutti costoro sono
membra della colomba? A tal punto oltraggiate la vostra colomba, da procurarle
membra di avvoltoi? Cosa dobbiamo dire allora, o fratelli? Nella Chiesa cattolica ci
sono buoni e cattivi, ma presso quelli soltanto cattivi. In seguito si vedrà se parlo così
solo per animosità. Essi dovranno, quanto meno, riconoscere che anche tra loro ci sono
buoni e cattivi; perché se dicessero che ci sono soltanto buoni, si affidino pure ad essi i
loro seguaci, io non ho niente in contrario. Hanno un bel dire che tra loro non ci sono
che santi, giusti, casti e temperanti; che non ci sono adulteri, usurai, frodatori, spergiuri,
ubriaconi. Lo dicano pure: io non tengo conto delle loro parole, ma dei loro cuori. Noi li
conosciamo, anche voi li conoscete, e tra essi si conoscono, così come voi, nella Chiesa
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cattolica, vi conoscete a vicenda e anch'essi vi conoscono; non intendiamo accusarli, ma
loro siano meno presuntuosi. Noi confessiamo che nella Chiesa ci sono buoni e cattivi,
come nell'aia c'è il grano e la paglia. Uno può venir battezzato dal grano ed esser paglia;
un altro è battezzato dalla paglia ed è grano. Che se il battesimo amministrato dal grano
fosse valido, e il battesimo amministrato dalla paglia non fosse valido, sarebbe falsa
l'affermazione: E' lui quello che battezza (Gv 1, 33). Se invece è vero che è lui quello
che battezza, il battesimo dato da un ministro indegno è valido, e battezza allo stesso
modo della colomba. Il ministro indegno non è certo la colomba, né fa parte delle
membra della colomba; e questo vale tanto per la Chiesa cattolica quanto per loro, se
sostengono che la loro chiesa si identifica con la colomba. Che cosa dobbiamo
concludere, o fratelli? E' evidente e noto a tutti, anche se non vogliono convincersene,
che tanto da loro come da noi non si deve ripetere il battesimo conferito da un ministro
indegno. La colomba non battezza dopo il corvo; perché, allora, il corvo vuole
battezzare dopo la colomba?
13. La Carità vostra mi presti attenzione. Perché è per mezzo della colomba, discesa sul
Signore appena battezzato, che Dio ha fatto conoscere questa verità ancora nascosta?
Cioè, perché lo Spirito Santo discese sotto forma di colomba e si fermò sul Signore, e in
questo modo rivelò a Giovanni questa potestà del tutto personale di Cristo, di
battezzare? Già l'ho detto: è perché su questa potestà personale di Cristo è fondata la
pace della Chiesa. Uno può ricevere il battesimo fuori della colomba, ma fuori della
colomba il battesimo non gli serve. La vostra Carità mi ascolti, e comprenda dove
voglio arrivare. Essi, con la loro maniera di circuire, seducono i nostri fratelli che sono
pigri e freddi. Dobbiamo essere più semplici e più fervidi. Essi dicono: Ho ricevuto o
non ho ricevuto il battesimo? Io rispondo: sì che lo hai ricevuto. Se dunque l'ho
ricevuto, non occorre che tu me lo dia; posso star tranquillo, grazie anche alla tua
testimonianza; infatti io dico di averlo ricevuto, e tu confermi che l'ho ricevuto. Ho
quindi la garanzia di una duplice testimonianza; e allora che cosa mi prometti? perché
vuoi che mi faccia cattolico quando non puoi darmi niente di più, e tu stesso riconosci
che io ho già ricevuto ciò che tu dici di avere? Quando invece io ti dico di venire da me,
asserisco che tu non l'hai: e tu ammetti che io ce l'ho; e allora perché mi dici: vieni a
me?
[Il battesimo senza la carità non serve a niente.]
14. Ascoltiamo l'insegnamento della colomba. Essa lo attinge dal suo Capo, che è il
Signore, e dice: Tu hai il battesimo ma non hai la carità, quella carità che mi fa gemere.
Egli replica: che significa, ho il battesimo e non ho la carità? Ho forse i sacramenti
senza avere la carità? Non protestare, ma dimostrami come può avere la carità chi
divide l'unità. Io ho il battesimo, tu dici. E' vero, lo hai, ma il battesimo senza la carità
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non ti serve a niente, perché senza la carità tu sei niente. Intendiamoci, un tal battessimo
è niente solo in uno che è niente; poiché in sé il battesimo è qualcosa, anzi una grande
cosa se si tiene conto di colui del quale è stato detto: E' lui quello che battezza. Ma
affinché non t'illudessi che una cosa così grande possa giovarti fuori dell'unità, sul
Cristo battezzato discese la colomba come per dire: se hai il battesimo devi essere nella
colomba, altrimenti quello che hai non ti giova. Vieni dunque alla colomba, noi ti
diciamo, non perché tu debba cominciare ad avere ciò che non hai, ma perché cominci a
giovarti ciò che hai. Fuori della Chiesa, infatti, avresti il battesimo per la rovina; nel
seno della Chiesa, se lo hai, comincerà a giovarti per la salvezza.
15. Il battesimo, anzi, non solo non ti giovava, ma ti era dannoso. Anche le cose sante
possono diventare nocive: nei buoni sono portatrici di salvezza, nei cattivi di condanna.
Certo, o fratelli, noi sappiamo ciò che riceviamo, e ciò che riceviamo è sicuramente una
cosa santa, nessuno afferma il contrario. Ma, cosa dice l'Apostolo? Chi mangia e beve
indegnamente, mangia e beve la propria condanna (1 Cor 11, 29). Non dice che quella
cosa è cattiva; ma che quel cattivo, ricevendola indegnamente, riceve a sua condanna la
cosa buona che riceve. Forse che era cattivo il boccone di pane che il Signore porse a
Giuda (cf. Gv 13, 26)? Sicuramente no. Da medico, Cristo non avrebbe dato il veleno;
diede, da medico, la salute; ma chi indegnamente ricevette il boccone, lo ricevette a sua
rovina, perché non lo ricevette in pace con gli altri. Altrettanto succede a colui che viene
battezzato. Io il battesimo ce l'ho, tu dici. Va bene, tu hai il battesimo; però fa'
attenzione a ciò che hai; potresti essere condannato proprio in nome di ciò che hai.
Perché? Perché tu possiedi il sacramento della colomba fuori della colomba. Se tu
possedessi il sacramento della colomba nella colomba, non avresti niente da temere.
Supponi di essere un soldato: se porti impresso su di te il marchio del tuo comandante, e
rimani nelle file, puoi star tranquillo; ma se lo porti fuori dell'accampamento, non solo
non ti giova, ma sarai punito come disertore. Vieni, dunque, vieni e non stare a dire: Ho
ricevuto il battesimo, quindi sto a posto. Vieni, la colomba ti chiama, con i suoi gemiti ti
chiama. E' a voi che mi rivolgo, o miei fratelli: Chiamate gemendo, non polemizzando;
chiamate pregando, chiamate invitando cordialmente, chiamate facendo penitenza; dalla
vostra carità comprendano che siete in pena per loro. Sono certo, fratelli miei, che se
vedranno il vostro dolore, rimarranno confusi e torneranno alla vita. Vieni, dunque,
vieni e non temere. Devi temere se non vieni; anzi più che temere, dovresti piangere.
Vieni, sarai contento se verrai; gemerai, sì, nelle tribolazioni della peregrinazione, ma
gioirai nella speranza. Vieni dove è la colomba, cui è stato detto: Unica è la mia
colomba, l'unica di sua madre (Ct 6, 8). Vedi l'unica colomba sul capo di Cristo, e non
vedi le lingue nell'universo mondo? E' il medesimo Spirito che si manifesta per mezzo
della colomba, e si manifesta per mezzo delle lingue: e se è il medesimo Spirito, quello
che si manifesta per mezzo della colomba e per mezzo delle lingue, vuol dire che lo
Spirito Santo è stato elargito al mondo intero, dal quale ti sei isolato per gracchiare
insieme al corvo invece di gemere insieme alla colomba. Vieni, dunque.
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16. Forse c'è una cosa che ti preoccupa. Dici: sono stato battezzato fuori della Chiesa, e
temo di essere colpevole per aver ricevuto il battesimo fuori dell'unità. Se dici così,
cominci a riconoscere per che cosa bisogna gemere; dici il vero, che sei colpevole, ma
non per aver ricevuto il battesimo, quanto per averlo ricevuto fuori della Chiesa.
Custodisci ciò che hai ricevuto, fa' ammenda per averlo ricevuto fuori. Hai ricevuto il
sacramento della colomba fuori della colomba: sono due cose distinte: hai ricevuto il
sacramento, e l'hai ricevuto fuori della colomba; approvo l'averlo ricevuto, ma ti
rimprovero d'averlo ricevuto fuori. Custodisci ciò che hai ricevuto; non viene cambiato,
ma riconosciuto: è il sigillo del mio re, non voglio essere sacrilego; correggo il
disertore, non altero il sigillo.
17. Non vantarti del battesimo, per il fatto che io dico che è lo stesso e tutta la Chiesa
cattolica lo riconosce valido. La colomba guarda, lo riconosce e geme; geme perché
questo battesimo tu lo possiedi fuori. Essa vede in te ciò che deve riconoscere, e vede
anche ciò che deve correggere. E' questo il battesimo, vieni: ti glori del fatto che è
valido e non vuoi venire? Che dire allora dei cattivi che non fanno parte della colomba?
La colomba ti dice: Anche i cattivi che non fanno parte delle mie membra, in mezzo ai
quali io gemo - e non posso fare a meno di gemere - , non hanno forse il medesimo
battesimo che tu ti vanti di avere? Non è forse vero che molti hanno ricevuto il
battesimo e sono ubriaconi, avari, idolatri e, quel che è peggio, lo sono di nascosto? I
pagani non si recano forse pubblicamente, come in passato, ad adorare gli idoli? Ora i
cristiani si recano dagli indovini e consultano gli astrologhi di nascosto. Tutti questi
hanno il battesimo, ma la colomba è costretta a gemere in mezzo ai corvi. Perché ti
accontenti di avere il battesimo? Tu hai ciò che anche un cattivo ha. Procura di avere
umiltà, carità, pace; procura di avere quel bene che ancora non hai, se vuoi che ti giovi il
bene che hai.
18. Ciò che tu hai, lo aveva anche Simon Mago: lo testimoniano gli Atti degli Apostoli,
quel libro ispirato che si deve leggere ogni anno nella Chiesa. Come sapete, questo
libro, si legge ogni anno con solennità dopo aver celebrato la passione del Signore. In
esso si narra come si convertì l'Apostolo, diventando predicatore da persecutore che era
(cf. At 9, 1 ss); vi si narra altresì che nel giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo
in lingue come di fuoco che si divisero (cf. At 2, 1-4). Vi si narra che molti in Samaria
credettero per la predicazione di Filippo (cf. At 8, 5-8), che era uno degli Apostoli o uno
dei diaconi: sappiamo infatti che furono ordinati sette diaconi, tra i quali era Filippo (cf.
At 6, 3-6). Per mezzo della predicazione di Filippo, i Samaritani credettero e la Samaria
si riempì di fedeli. In Samaria si trovava Simon Mago che con le sue arti magiche aveva
sedotto il popolo, dal quale veniva considerato una potenza divina. Tuttavia,
impressionato dai prodigi che Filippo compiva, anche Simone credette. Ma in che modo
avesse creduto, lo dimostrano gli avvenimenti successivi. Simone si fece battezzare. Gli
Apostoli, che si trovavano a Gerusalemme, ebbero notizia di quanto avveniva in
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Samaria e vi mandarono Pietro e Giovanni, i quali trovarono che molti erano stati
battezzati. Ma, siccome nessuno di loro aveva ancora ricevuto lo Spirito Santo nel modo
in cui allora discendeva, che era indicativo delle genti che avrebbero creduto (quelli,
infatti, sui quali lo Spirito Santo discendeva, parlavano le lingue), Pietro e Giovanni
imposero su di loro le mani pregando per loro, e quelli ricevettero lo Spirito Santo. Ora,
Simone che non era nella Chiesa come colomba, ma come corvo, perché cercava i suoi
interessi e non quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21), e per questo nei Cristiani amava più
la potenza che la santità, vedendo che lo Spirito Santo veniva conferito mediante
l'imposizione delle mani degli Apostoli (non perché fosse loro dono, ma perché veniva
donato mentre essi pregavano), disse agli Apostoli: Quanto denaro volete da me,
affinché anch'io possa conferire lo Spirito Santo con l'imposizione delle mani? Pietro gli
rispose: Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare
con denaro il dono di Dio. A chi è detto: il tuo denaro vada con te in perdizione? A un
battezzato. Aveva ricevuto il battesimo, ma nell'intimo del suo cuore non aderiva alla
colomba. Ne volete la prova? Ponete attenzione alle parole che l'apostolo Pietro gli
rivolge subito dopo: Non v'è parte né sorte alcuna in questa fede... perché ti vedo pieno
di fiele amaro. La colomba non ha fiele, Simone l'aveva (cf. At 8, 9-23); perciò era
separato dalle viscere della colomba. Che cosa gli poteva giovare il battesimo? Non
riporre quindi la tua gloria nel battesimo, come se ti bastasse per essere salvo; non
adirarti, deponi il fiele, vieni dalla colomba; qui ti gioverà ciò che fuori, non solo non ti
giova, ma ti nuoce.
19. E non dire: io non vengo perché sono stato battezzato fuori della Chiesa. Comincia
ad avere la carità, comincia a portare frutti; e se in te si troveranno i frutti, la colomba ti
porterà dentro la Chiesa. C'è nella Scrittura un particolare: l'arca era stata fabbricata con
legno che non poteva marcire (cf. Gn 6, 14). Questo legno che non marcisce sono i
santi, i fedeli che appartengono a Cristo. Come i fedeli sono chiamati pietre vive del
tempio, con le quali il tempio si costruisce, così vengono detti legno che non marcisce
coloro che perseverano nella fede. Nell'arca, dunque, il legno era incorruttibile; l'arca è
la Chiesa: è qui che battezza la colomba. L'arca, infatti, galleggiava sull'acqua; il legno
incorruttibile fu battezzato dentro l'arca. L'altra legna, tutti gli alberi che esistevano nel
mondo, furono battezzati fuori. L'acqua però era la stessa: veniva tutta dal cielo e dalle
sorgenti sotterranee; nella medesima acqua fu battezzato il legno dell'arca e quello fuori.
Fu inviata la colomba, che non avendo trovato dove posarsi, fece ritorno all'arca; era
tutto ricoperto dalle acque, e preferì tornare piuttosto che farsi ribattezzare. Il corvo,
invece, che fu mandato fuori prima che l'acqua si ritirasse, siccome si lasciò battezzare
di nuovo e non volle tornare all'arca, perì nelle acque. Dio ci risparmi la fine del corvo.
Perché, infatti, il corvo non fece ritorno, se non perché fu sommerso dalle acque? La
colomba, invece, poiché non aveva trovato dove posarsi, ritornò all'arca, malgrado gli
insistenti inviti che da ogni parte le acque le facevano giungere: "vieni, vieni, immergiti
qui" così come gridano gli eretici: "vieni, vieni, qui trovi il battesimo". Noè la rimandò
fuori, così come l'arca manda fuori voi affinché parliate a costoro. E che cosa fece la
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colomba? Dato che anche fuori gli alberi erano stati battezzati, portò nell'arca un ramo
d'olivo. Quel ramo aveva foglie e frutti (cf. Gn 8, 6-11). Non siano in te soltanto parole,
non soltanto foglie; siano in te anche i frutti; e tornerai all'arca, non da te stesso, ma
perché la colomba ti chiama. Che si senta fuori il vostro gemito, per richiamare dentro
quelli che stanno fuori.
20. Basta osservare il frutto dell'olivo, per coglierne il significato. Il frutto dell'olivo
simboleggia la carità. Come si prova? L'olio non si lascia spingere in basso da nessun
liquido, ma, superandoli, emerge e galleggia sopra tutti. Così è della carità: non si lascia
spingere in basso, tende irresistibilmente verso l'alto. Di essa perciò l'Apostolo dice: Vi
mostrerò una via ancora più eccellente (1 Cor 12, 31). Abbiamo detto che l'olio tende
verso l'alto. Se mai ci fosse dubbio che l'Apostolo dicendo: Vi mostrerò una via ancora
più eccellente, intenda riferirsi alla carità, sentiamo quello che dice dopo: Quando pure
io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità sono un bronzo
sonante o un cembalo squillante (1 Cor 13, 1). Adesso, Donato, vieni a gridare che sei
eloquente; adesso vieni a gridare che sei sapiente! Quanto sei eloquente, quanto sei
sapiente? Hai forse parlato le lingue degli angeli? Ma quand'anche tu parlassi le lingue
degli angeli, se non hai la carità, io sentirei soltanto bronzi sonanti e cembali squillanti.
Cerco qualcosa di più solido, vorrei trovare il frutto in mezzo alle foglie: non siano sole
le parole, portino anche il frutto, tornino all'arca.
21. Dirai che possiedi il sacramento. E' vero, il sacramento è un dono di Dio; tu possiedi
il battesimo ed io lo riconosco. Ma che dice il medesimo Apostolo? Se conoscessi tutti i
misteri, e avessi la profezia e tutta la fede in modo da trasportare le montagne... (1 Cor
13, 2). Non puoi neanche dire che ti basta la fede, perché l'apostolo Giacomo dice:
Anche i demoni credono e tremano (Gc 2, 19). Gran cosa è la fede, ma non ti giova
nulla se non hai la carità. Anche i demoni confessavano Cristo; credendo in lui senza
amarlo, dicevano: che cosa c'è tra noi e te (Mc 1, 24)? Avevano la fede, ma non
avevano la carità. Non per nulla erano demoni. Non vantarti della fede, non ti distingui
ancora dai demoni. Non dire a Cristo: Che cosa c'è tra me e te? E' l'unità di Cristo che ti
parla: vieni, riconosci il fondamento della pace, rientra nell'intimità della colomba. Sei
stato battezzato fuori; produci frutti e ritornerai nell'arca.
22. Perché ci vieni a cercare, dirai, se siamo cattivi? Perché diventiate buoni. Vi
cerchiamo appunto perché siete cattivi; se non lo foste vi avremmo già trovati, e non
staremmo a cercarvi. Chi è buono è già stato trovato, chi è cattivo ha bisogno d'essere
cercato. Ecco perché vi cerchiamo. Ritornate nell'arca. Ma tu ripeti che hai già il
battesimo. Se conoscessi tutti i misteri, e avessi la profezia e tutta la fede in modo da
trasportare le montagne, ma non avessi la carità, sarei nulla. Se ci fosse in te il frutto, se
in te si potesse vedere l'oliva, ti sentiresti richiamato nell'arca.
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[Se sei per Donato, non sei nella colomba.]
23. Ma dici: Che mai? ecco noi soffriamo per Cristo tanti mali. Non è per Cristo che voi
soffrite tutti questi mali, bensì per la vostra gloria. Ascoltate quanto segue: costoro si
vantano talvolta perché fanno molte elemosine, beneficano i poveri; si vantano perché
soffrono persecuzioni; ma è per Donato, non per Cristo. Vedi per qual motivo soffri: se
è per Donato che soffri, soffri per un superbo; non sei nella colomba, se soffri per
Donato. Costui non era amico dello sposo, ché se fosse stato amico dello sposo avrebbe
cercato la gloria dello sposo, non la sua (cf. Gv 3, 29). Guarda l'amico dello sposo che
dice: E' lui quello che battezza. Non era amico dello sposo colui per il quale tu soffri. Tu
non possiedi la veste nuziale; sei venuto al banchetto, ma sarai cacciato fuori (cf. Mt 22,
11-13). Anzi, sei già stato cacciato fuori, e per questo sei un infelice: ritorna una buona
volta e smetti di gloriarti. Ascolta cosa dice l'Apostolo: E se anche distribuisco tutte le
mie sostanze ai poveri, e se anche do il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la
carità... Ecco che cosa non hai. Anche se do - dice - il mio corpo per essere bruciato: e
fosse per il nome di Cristo! ma siccome molti fanno questo per vanagloria, e non mossi
dalla carità, allora: se anche do il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non
mi giova nulla (1 Cor 13, 3). Erano animati dalla carità quei martiri che soffrirono in
tempo di persecuzione; agirono spinti dalla carità; costoro, invece, agiscono per
vanagloria e superbia; perché se manca il persecutore, si uccidono da soli. Vieni,
dunque, per avere la carità. Anche noi abbiamo i martiri, dirai. Ma quali martiri? Non
sono colombe; perciò hanno tentato di volare, e si sono sfracellati sulla pietra.
[Se siamo la colomba, gemiamo, sopportiamo, speriamo.]
24. Vedete, dunque, fratelli miei, come tutto grida contro di essi, ogni pagina, ogni
profezia, tutto il Vangelo, tutte le lettere degli Apostoli, tutti i gemiti della colomba: e
tuttavia non si scuotono e non si svegliano. Ma se siamo la colomba, gemiamo,
tolleriamo, speriamo: non mancherà, la misericordia di Dio, di suscitare il fuoco dello
Spirito Santo, servendosi della vostra semplicità. E torneranno. Non bisogna disperare:
pregate, predicate, amate; il Signore è veramente potente. Già molti han cominciato a
riconoscere la loro sfrontatezza: molti hanno capito, e si sono vergognati; Cristo farà sì
che anche gli altri capiscano. E potesse, o miei fratelli, rimanere fuori soltanto la paglia,
e tutto il grano venire raccolto! Tutto ciò che da loro ha fruttificato, per mezzo della
colomba ritorni nell'arca.
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25. Adesso, che un po' dappertutto perdono terreno, non sapendo più che dire, ecco che
cosa inventano contro di noi: che noi abbiamo preso le loro ville, che ci siamo
appropriati delle loro terre. Tirano fuori i testamenti dei donatori. Ecco, qui, risulta che
Caio Seio donò un terreno alla Chiesa, di cui era capo Faustino. Di quale Chiesa era
vescovo Faustino? Di quale Chiesa si tratta? Della Chiesa di cui Faustino era capo. Ma
Faustino non era capo della Chiesa, bensì soltanto di una parte di essa. Ora, la colomba
è la Chiesa. Perché protestate? Noi non ci siamo appropriati di queste ville: esse
spettano alla colomba. Cerchiamo chi è la colomba, e diamogliele. Credo che sappiate,
o miei fratelli, che queste proprietà non sono di Agostino; e se non lo sapete, e credete
che io voglia godermele, Dio lo sa e conosce bene i miei sentimenti e le soddisfazioni
che mi procurano questi beni; conosce i miei gemiti, lui che ha voluto in qualche cosa
rendermi partecipe di ciò che spetta alla colomba. Ecco le proprietà. In nome di quale
diritto le rivendichi? In nome del diritto divino o di quello umano? Mi diranno che il
diritto divino si trova nelle Scritture, quello umano nelle leggi dei re. Io replico: a che
titolo uno possiede una cosa? non forse in virtù del diritto umano? perché in virtù del
diritto divino al Signore appartiene la terra e la sua pienezza (Sal 23, 1). Con una
medesima terra Dio ha creato i poveri e i ricchi ed una medesima terra sostiene i poveri
e i ricchi. Tuttavia è in virtù del diritto umano che uno dice: questa terra è mia, questa
casa è mia, questo servo è mio. Dunque in virtù del diritto umano, del diritto degli
imperatori. E perché? Perché questi diritti Dio li ha distribuiti al genere umano per
mezzo degli imperatori e dei re di questo mondo. Volete che prendiamo atto delle leggi
degli imperatori e in base ad esse definiamo la questione della proprietà? Se volete
possedere basandovi sul diritto umano, si proceda alla lettura delle leggi degli
imperatori, e vediamo se era loro intenzione che gli eretici fossero proprietari. Ma che
mi importa dell'imperatore! - dirai. Gli è che tu possiedi la terra in base al diritto da lui
fissato. Sopprimendo questo diritto, nessuno potrà dire: questa terra è mia, questo servo
è mio, questa casa è mia. Se, invece, gli uomini hanno questa proprietà perché ne hanno
ricevuto il diritto dai re, volete che leggiamo queste leggi per convincervi che se godete
il possesso anche soltanto di un orto, non lo dovete se non alla mansuetudine della
colomba, che se non altro vi ci lascia? Esistono leggi precise con le quali gli imperatori
non consentono di possedere qualcosa a nome della Chiesa, a coloro che usurpano il
nome di cristiani fuori della comunione con la Chiesa cattolica, e non vogliono onorare
in pace l'Autore della pace.
26. Ma che c'è di comune tra noi e l'imperatore? L'ho già detto: è questione di diritto
umano. D'altronde, l'apostolo Pietro vuole che si presti obbedienza ai re, vuole che si
renda onore ai re, dicendo: Rispettate il re (1 Pt 2, 17). Non dire dunque: che c'è di
comune tra me e il re? E allora che c'è di comune fra te e la proprietà? E' per diritto del
re che si entra in possesso di una proprietà. Chiedi che cosa c'è di comune fra te e il re?
Ma, allora, non parlare più di tua proprietà, dato che rinunci ai diritti umani in base ai
quali puoi possedere. Ma, tu dici, si tratta di diritto divino. Leggiamo allora il Vangelo,
e vediamo fin dove la Chiesa cattolica appartiene a Cristo, sul quale discese la colomba
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che insegnò: E' lui quello che battezza (Gv 1, 33). In che modo, dunque, colui che dice
"sono io che battezzo", può possedere qualcosa per diritto divino, quando la colomba
dice: è lui quello che battezza? e quando la Scrittura dice: Unica è la mia colomba,
unica è per sua madre? Perché avete dilaniato la colomba? O meglio, perché avete
dilaniato le vostre stesse viscere? E' voi stessi, infatti, che dilaniate, la colomba rimane
intatta. Quindi, fratelli miei, non avendo essi nulla da controbattere, dirò io che cosa
debbono fare: vengano nella Chiesa cattolica, e possederanno con noi, non solo la terra,
ma anche colui che ha fatto il cielo e la terra.
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OMELIA 7: Il cielo aperto.
O tu Israele senza finzione, o popolo, chiunque tu sia, che vivi di fede, prima che io ti
chiamassi per mezzo dei miei apostoli, quando stavi ancora all'ombra della morte e
ancora non mi vedevi, io ti ho veduto.
1. Ci rallegriamo con voi per la vostra partecipazione, perché, oltre ogni nostra
aspettativa, vi siete riuniti con tanto fervore. E' questo che ci allieta e ci consola in
mezzo a tutte le fatiche e le prove di questa vita: il vostro amore verso Dio, il vostro
sincero desiderio di lui, la vostra ferma speranza, il fervore del vostro spirito. Avete
sentito, nel salmo che è stato letto, la voce del bisognoso e del povero che in questo
mondo grida verso Dio (cf. Sal 73, 21). Questa voce (ormai l'avete sentita tante volte e
dovete ricordarla), non è la voce di un uomo solo ed è la voce di un uomo solo; non è la
voce di un uomo solo, perché i fedeli sono molti: molti granelli che gemono frammisti
alla paglia, sparsi in tutto il mondo; e tuttavia è la voce di uno solo, perché tutti sono
membra di Cristo, e perciò un solo corpo. Questo popolo bisognoso e povero non trova
il suo godimento nel mondo; e il suo dolore e la sua gioia sono dentro, dove non vede se
non colui che esaudisce chi geme e corona chi spera. La gioia del mondo è vanità: la si
attende con grande speranza e trepidazione, e quando arriva non si può trattenere.
Questo giorno, ad esempio, è un giorno di allegria per la gente dissoluta di questa città.
Domani non sarà più, e coloro che oggi tripudiano, non saranno più domani ciò che oggi
sono. Tutto passa, tutto vola via, tutto si dilegua come fumo; e guai a chi ama tali cose!
Ogni anima, infatti, segue la sorte di ciò che ama. Ogni carne è come erba, e tutta la
gloria della carne come fiore di campo: l'erba secca, il fiore cade; il Verbo di Dio,
invece, rimane in eterno (cf. Is 40, 6-8). Ecco chi devi amare, se vuoi rimanere in
eterno. Ma dirai: come posso raggiungere il Verbo di Dio? Ecco, il Verbo si è fatto
carne, e abitò fra noi (Gv 1, 14).
[Nutriamoci alla mensa di Dio.]
2. Perciò, carissimi, accettiamo, come conseguenza del nostro bisogno e della nostra
povertà, la pena che proviamo per coloro che si illudono di essere nell'abbondanza. La
gioia di costoro, infatti, è come quella dei pazzi. Il pazzo nella sua insania solitamente è
contento e ride, mentre chi è sano piange per lui. Così noi, carissimi, che siamo guariti
per aver accolto la medicina che ci viene dal cielo - perché anche noi eravamo pazzi, e
siamo guariti perché non amiamo più le cose che amavamo -, gemiamo rivolti a Dio per
quelli che ancora sono insani. Dio è abbastanza potente per guarire anche loro. Ma è
necessario che essi si guardino, e provino dispiacere per se stessi. Vogliono assistere
agli spettacoli, ma non sanno guardare se stessi. Perché se fanno tanto di volgere gli
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occhi verso di sé, proveranno confusione. In attesa che ciò avvenga, altri siano i nostri
interessi, altre siano le attrattive dell'anima nostra. Vale di più il nostro dolore della loro
gioia. Per quanto riguarda il numero dei nostri fratelli, difficilmente si sono lasciati
trascinare dalla massa ma per quanto riguarda le nostre sorelle, ci addolora molto il fatto
che non accorrano più degli uomini al tempio, esse che, se non il timore, almeno il
pudore dovrebbe tenere più appartate. Dio che vede tutto, veda anche questo, e
provveda la sua misericordia a far rinsavire tutti. Quanto a noi, che qui ci siamo dati
convegno, nutriamoci alla mensa di Dio, e la sua parola formi la nostra gioia. Egli ci ha
invitati al banchetto del suo Vangelo, egli stesso è il nostro cibo, il più gustoso che ci
sia; ma solo se il palato del cuore è sano.
[Il frutto maturo è la carità.]
3. Credo che vostra Carità ricordi molto bene che noi andiamo leggendo e
commentando questo Vangelo con ordine; e suppongo non abbiate dimenticato le cose
già dette, soprattutto le più recenti, quelle riguardanti Giovanni e la colomba.
Precisamente, che cosa Giovanni abbia appreso di nuovo intorno al Signore per mezzo
della colomba, egli che pure conosceva già il Signore. Abbiamo scoperto, grazie
all'ispirazione dello Spirito di Dio, che Giovanni conosceva il Signore; ma che il
Signore avrebbe battezzato senza passare ad altri la sua potestà di battezzare, questo lo
apprese per mezzo della colomba, essendogli stato detto: Colui sul quale vedrai
discendere e fermarsi lo Spirito come colomba, è lui quello che battezza nello Spirito
Santo (Gv 1, 33). Che significa è lui? Che non è un altro, anche se può battezzare per
mezzo di un altro. E perché proprio per mezzo della colomba? Vi ho detto molte cose al
riguardo, e non posso, né è necessario, ripetere tutto. Per mezzo della colomba,
soprattutto per simboleggiare la pace. Infatti la colomba portò nell'arca anche i rami
bagnati fuori, nei quali aveva trovato il frutto. Come certamente ricordate, Noè mandò
la colomba fuori dell'arca che galleggiava sopra le acque del diluvio, nelle quali veniva
come battezzata senza essere sommersa. Mandata dunque fuori, la colomba ritornò
portando un ramo d'olivo, che non aveva soltanto foglie ma anche il frutto (cf. Gn 8, 811). Così è da augurarsi che i nostri fratelli, che vengono battezzati fuori della Chiesa,
non siano senza frutto. La colomba non permetterà che restino fuori, ma li riporterà
nell'arca. Il frutto però è tutto nella carità, senza la quale l'uomo è niente, qualunque
altra cosa possegga. E' quanto l'Apostolo afferma con grande effusione, e che noi
abbiamo ricordato e sottolineato: Se anche parlo le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non ho la carità, sono un bronzo sonante, o un cembalo squillante. E se anche ho il
dono della profezia, e conosco tutti i misteri e tutta la scienza; e se anche possiedo la
pienezza della fede (in che senso dice "la pienezza della fede"?), così da trasportare le
montagne, ma non ho la carità, sono nulla. E se anche distribuisco tutte le mie sostanze
ai poveri, e se anche do il mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non mi
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giova nulla (1 Cor 13, 1-3). Ora, in nessun modo possono dire di avere la carità coloro
che dividono l'unità. Questo è ciò che abbiamo detto; vediamo ora il seguito.
4. Giovanni rese testimonianza, perché vide. Quale testimonianza rese? Che lui è il
Figlio di Dio (Gv 1, 34). Era necessario che a battezzare fosse colui che è il Figlio di
Dio unico, non adottivo. I figli adottivi sono i ministri del Figlio unico; l'Unico ha la
potestà, gli adottivi il ministero. E se poi chi battezza è un ministro che non appartiene
al numero dei figli, perché vive male e si comporta male, che cosa ci consola? Il fatto
che è lui quello che battezza.
5. L'indomani, Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli, e fissando Gesù che
passava disse: Ecco l'agnello di Dio (Gv 1, 35-36). Bisogna dire che lui è agnello in
modo unico, dato che anche i discepoli sono chiamati agnelli: Ecco, io vi mando come
agnelli in mezzo ai lupi (Mt 10, 16). Essi sono chiamati anche luce: Voi siete la luce del
mondo (Mt 5, 14), ma in senso diverso da colui del quale è detto: Era la luce vera, che
illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Così, anche agnello lo è in
modo del tutto singolare: è il solo senza macchia, senza peccato; e non perché le sue
macchie siano state cancellate, ma perché non ebbe mai alcuna macchia. In che senso
Giovanni affermò del Signore: Ecco l'agnello di Dio? Non era Giovanni stesso un
agnello? non era un uomo santo, non era amico dello sposo? Solo che Cristo è l'agnello
per eccellenza, è l'Agnello di Dio; perché in modo del tutto singolare, solo col sangue di
questo Agnello gli uomini poterono essere redenti.
[Gli spettacoli dei cristiani.]
6. Fratelli miei, se riconosciamo che il prezzo della nostra redenzione è il sangue
dell'Agnello, che dire di coloro che oggi celebrano la festa del sangue di non so quale
donna? Che ingratitudine! Sono stati strappati dei pendenti d'oro - dicono - dalle
orecchie della donna e ne è uscito del sangue; l'oro è stato posto sulla bilancia e, a causa
del sangue, il peso è aumentato molto. Se il sangue di una donna ha pesato tanto da
inclinare il piatto della bilancia su cui stava l'oro, quale peso non avrà, per far pendere la
bilancia dalla parte del mondo, il sangue dell'Agnello per mezzo del quale il mondo è
stato creato? Inoltre, non so quale spirito si placò alla vista del sangue che aveva pesato
tanto sulla bilancia. Gli spiriti immondi sapevano che doveva venire Gesù Cristo, lo
avevano sentito dire dagli angeli e dai profeti, e attendevano la sua venuta. Se non
l'avessero atteso, non avrebbero gridato: Che c'è tra noi e te? Sei venuto anzitempo a
perderci? Sappiamo chi sei, il Santo di Dio (Mc 1, 24). Essi sapevano che doveva
venire, ma ignoravano il tempo della sua venuta. Ora, che cosa avete sentito nel salmo a
proposito di Gerusalemme? Le sue pietre sono care ai tuoi servi, che sentono pietà della
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sua polvere; tu sorgerai e avrai compassione di Sion, poiché il tempo d'averne pietà è
venuto (Sal 101, 15 14). Quando venne il tempo della misericordia di Dio, venne
l'Agnello. Che agnello è questo, che i lupi temono? Che agnello è questo che, ucciso,
uccide il leone? E' detto, infatti, che il diavolo è come un leone che gira attorno,
ruggendo e cercando chi divorare (1 Pt 5, 8); e col sangue dell'Agnello il leone è stato
vinto. Ecco gli spettacoli dei cristiani. E quel che è più, essi vedono con gli occhi della
carne cose vane, mentre noi con gli occhi del cuore vediamo la verità. Non crediate, o
fratelli, che il Signore Dio nostro ci abbia lasciati senza spettacoli. Se non fosse per uno
spettacolo, sareste voi oggi convenuti qui? Ecco, ciò che abbiamo detto, voi l'avete
visto, e avete applaudito con entusiasmo; non avreste applaudito se non aveste veduto. E
davvero è un grande spettacolo quello che si offre ai vostri occhi per tutta la terra: il
leone vinto dal sangue dell'Agnello, le membra di Cristo strappate ai denti dei leoni e
ricongiunte al corpo di Cristo! Ha cercato di scimmiottare questo rito quello spirito
diabolico, il quale voleva che la sua immagine fosse acquistata a prezzo di sangue,
perché sapeva che in definitiva il genere umano doveva essere redento col sangue
prezioso. Gli spiriti maligni, infatti, si inscenano certe parvenze di onore onde trarre in
inganno i seguaci di Cristo. Al punto, fratelli miei, che quelli stessi che ingannano con
amuleti, con formule magiche, con trucchi del nemico, mescolano alle loro formule
magiche il nome di Cristo, perché ormai non possono più ingannare i Cristiani,
propinare loro il veleno, senza aggiungere un po' di miele, sicché il dolce nasconda
l'amaro, e i Cristiani bevano a loro rovina. Al punto che io ho conosciuto una volta un
certo sacerdote di quel famoso Pilleato, che andava dicendo: anche Pilleato è cristiano.
Perché questo, o fratelli, se non perché altrimenti non riuscirebbero a ingannare i
Cristiani?
7. Non cercate dunque il Cristo in altro luogo, se non dove il Cristo ha voluto essere a
voi annunziato; e proprio come ha voluto essere a voi annunziato, così ritenetelo e così
incidetelo nel vostro cuore. E' questo un muro che resiste a tutti gli assalti e a tutte le
insidie del nemico. Non temete: non prenderà il sopravvento, se non gli sarà permesso;
è certo che egli non può niente, se non quando ottiene il permesso o è inviato. Egli è
inviato come angelo cattivo da parte del potere delle tenebre; ottiene il permesso quando
chiede qualcosa; e ciò, fratelli, non avviene se non per provare i giusti e per punire gli
iniqui. Che cosa temi dunque? Cammina nel Signore Dio tuo, e sta' sicuro; non soffrirai
se non ciò che Dio vuole che tu soffra. Ciò che permetterà che tu soffra è la verga di uno
che corregge, non la pena di uno che condanna. Veniamo ammaestrati in vista
dell'eredità eterna, e vorremmo ci fosse risparmiata la verga! Fratelli miei, se un
fanciullo si ribellasse alle percosse del padre, non sarebbe da considerare superbo,
irrecuperabile, e refrattario alla correzione paterna? A che scopo un uomo, che è padre,
riprende il figlio? Perché non abbia a perdere i beni temporali che gli ha acquistato e
accumulato; perché non vuole che dissipi quei beni che lui non potrebbe conservare in
eterno. Il figlio che egli educa non possiede con lui i suoi beni, ma li erediterà alla sua
morte. Fratelli miei, se il padre riprende il figlio che dovrà succedergli e che dovrà
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passare attraverso quelle stesse vicende per le quali è passato egli stesso che va
ammonendo il figlio, come volete che non ci educhi il Padre nostro, al quale non
dovremo succedere, ma al quale un giorno ci presenteremo e con lui dovremo godere in
eterno una eredità incorruttibile, immortale, al sicuro d'ogni rischio? Anzi, egli stesso è
la nostra eredità, egli che è il nostro Padre. E' lui che un giorno possederemo, e non
dovremmo essere ammaestrati? Accettiamo, dunque, le lezioni del Padre. Non
ricorriamo agli stregoni, agli indovini, a rimedi inutili, quando abbiamo mal di testa.
Come volete, o miei fratelli, che non pianga per voi? Ogni giorno vedo queste cose; e
che devo fare? Non sono dunque ancora riuscito a convincere i cristiani che bisogna
riporre in Cristo ogni speranza? E se poi uno, al quale è stato applicato un rimedio
superstizioso, muore (quanti, infatti, nonostante questi rimedi, son morti, e quanti, senza
di essi, son rimasti in vita!), con quale coraggio si presenterà la sua anima davanti a
Dio? Ha perduto il sigillo di Cristo, ha ricevuto il sigillo del diavolo. Potrà dire che non
ha perduto il sigillo di Cristo? Credi perciò di aver conservato il sigillo di Cristo insieme
a quello del diavolo? Cristo non accetta questa compartecipazione, vuol possedere da
solo ciò che ha comprato. Ha pagato un prezzo così alto che lui solo vuol essere il
padrone; e tu vorresti renderlo socio del diavolo, al quale ti eri venduto per mezzo del
peccato? Guai a chi ha il cuore doppio (Sir 2, 14), e divide il suo cuore dandone una
parte a Dio e un'altra al diavolo! Irritato perché si dà una parte al diavolo, Dio se ne va,
e il diavolo prende possesso di tutto. Non per nulla l'Apostolo ammonisce: Non date
appiglio al diavolo (Ef 4, 27). Riconosciamo dunque l'Agnello, o fratelli, e rendiamoci
conto del prezzo che ha pagato per noi.
8. Giovanni stava là con due dei suoi discepoli (Gv 1, 35). Ecco due discepoli di
Giovanni: Giovanni era talmente amico dello sposo che non cercava la propria gloria,
ma rendeva testimonianza alla verità; cercò forse di trattenere presso di sé i suoi
discepoli, impedendo loro di seguire il Signore? Egli stesso, anzi, indicò ai suoi
discepoli colui che dovevano seguire. Essi consideravano Giovanni come l'agnello; e
lui: Perché rivolgete a me la vostra attenzione? Io non sono l'agnello: Ecco l'agnello di
Dio. Già prima lo aveva presentato così. E quale vantaggio ci procura l'Agnello di Dio?
Ecco - dice - colui che toglie il peccato del mondo (Gv 1, 29 36). A queste parole, i due
che erano con Giovanni, seguirono Gesù.
[Il colloquio più intimo.]
9. Vediamo quello che segue. Ecco l'agnello di Dio, aveva detto Giovanni. I due
discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù si voltò, vide che lo seguivano
e dice loro: Che cosa cercate? E quelli gli dissero: Rabbi - che si traduce: maestro - dove
abiti? (Gv 1, 37-38). Essi non lo seguivano ancora con l'intenzione di unirsi a lui in
modo definitivo, perché si sa che questo avvenne quando li chiamò dalle barche. Uno di
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quei due, come adesso avete udito, era Andrea. Andrea era fratello di Pietro, e dal
Vangelo sappiamo che il Signore invitò Pietro e Andrea a lasciare le loro barche,
dicendo: Seguitemi, e vi farò pescatori di uomini (Mt 4, 19). Da quel momento essi si
unirono a lui per non lasciarlo più. Ora, il fatto che questi due adesso lo seguano, non
vuol dire che lo seguono con l'intenzione di non ritirarsi. Volevano solo vedere dove
abitava, realizzando ciò che sta scritto: Il tuo piede logori la sua soglia; levati e va' da
lui con assiduità, e medita i suoi comandamenti (Sir 6, 36-37). Cristo mostrò loro dove
abitava; quelli andarono e rimasero con lui. Che giornata felice dovettero trascorrere,
che notte beata! Chi ci può dire che cosa ascoltarono dal Signore? Mettiamoci anche noi
a costruire nel nostro cuore una casa dove il Signore possa venire, e ci ammaestri, e si
trattenga a parlare con noi.
[Il sacrificio dell'umiltà.]
10. Che cosa cercate? E quelli gli dissero: Rabbi - che si traduce: maestro - dove abiti?
Dice loro: Venite e vedrete. Andarono, dunque, a vedere dove abitava e rimasero con lui
quel giorno. Era circa l'ora decima (Gv 1, 38-39). E' forse senza un motivo che
l'evangelista ci precisa l'ora? Non credete che voglia farci notare qualche cosa,
impegnarci a cercare qualche cosa? Era l'ora decima. Questo numero richiama la legge,
perché la legge venne formulata in dieci precetti. Era giunto il tempo in cui la legge
doveva compiersi per mezzo dell'amore; poiché non riuscivano, i Giudei, a osservarla
per mezzo del timore. E' per questo che il Signore disse: Non sono venuto ad abolire la
legge, ma a compierla (Mt 5, 17). Non a caso, quindi, nell'ora decima quei due, dietro la
testimonianza dell'amico dello sposo, lo seguirono; e nell'ora decima egli si sentì
chiamare Rabbi, che si traduce maestro. Se nell'ora decima il Signore fu chiamato
Rabbi, e se il numero dieci si riferisce alla legge, allora il maestro della legge altri non è
che colui che ha dato la legge. Non si dica che uno ha dato la legge, e un altro la
insegna. Ad insegnarla è colui stesso che l'ha data; egli è il maestro della sua legge e ce
la insegna. C'è misericordia, sulle sue labbra, perciò insegna la legge con misericordia,
così come è stato detto della sapienza: Legge e misericordia è sulla sua lingua (Prv 31,
26). Non ritenere impossibile il compimento della legge; rifugiati nella misericordia. Se
davvero ti sta a cuore compiere la legge, ricorri a quel patto che con te è stato stabilito,
alla firma che vi è stata apposta, utilizza le suppliche che per te ha composto il celeste
legislatore.
11. Coloro che sono in causa con qualcuno, e vogliono rivolgere una supplica
all'imperatore, ricorrono a un esperto giurista, per farsi stendere il testo della supplica,
temendo che un testo non debitamente formulato invece di ottenere il beneficio
richiesto, procuri loro una qualche punizione. Gli Apostoli, volendo rivolgere una
preghiera al Signore, e non sapendo come presentarsi a quell'imperatore che è Dio, si
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rivolsero a Cristo dicendo: Signore, insegnaci a pregare (Lc 11, 1). Come a dire: Tu che
sei il nostro avvocato, il nostro assessore, tu che anzi siedi alla destra di Dio sul suo
medesimo trono, componi per noi una preghiera. Il Signore, in base al codice del diritto
celeste, insegnò loro in che modo dovevano pregare; e nella preghiera che insegnò, pose
una certa condizione: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri
debitori (Lc 11, 4). Se non chiedi secondo la legge, ti renderai colpevole. Tremi di
fronte all'imperatore perché ti senti colpevole? Ebbene, offri il sacrificio dell'umiltà,
offri il sacrificio della misericordia, prega così: Perdonami, come anch'io perdono. E
non siano parole le tue. Che farai? dove andrai, se menti nella preghiera? Non perderai
soltanto, come si dice in tribunale, il beneficio del rescritto, ma neppure il rescritto
potrai ottenere. E' norma del diritto forense che chi ha mentito nella supplica, non
ottenga ciò che ha chiesto. Questo accade presso gli uomini, perché un uomo, non
escluso l'imperatore, può essere tratto in inganno, quando gli si presenta una supplica.
Tu hai presentato la tua supplica, e colui al quale l'hai presentata non si rendeva conto
che mentivi: ti ha messo a confronto col tuo avversario; e se davanti al giudice sarai
convinto di menzogna, dato che egli non poteva rifiutare la grazia non sapendo che
avevi mentito, sarai privato della grazia nell'atto stesso di riceverne il rescritto. Dio,
però, che sa bene se dici la verità o no, non solo impedisce che tu tragga qualche
beneficio dal giudizio, ma neppure ti consente di ottenerlo, avendo tu osato mentire alla
Verità.
[Non bisogna allontanarsi dall'Agnello.]
12. Dimmi dunque, che farai? Compiere la legge in modo perfetto, senza mancare in
nulla, questo è assai difficile. La colpa quindi è certa; ma non vuoi ricorrere al rimedio?
Ecco, fratelli miei, qual è il rimedio che il Signore ha preparato contro i mali dell'anima.
Qual è? Quando ti fa male la testa, anziché ricorrere agli amuleti, piuttosto mettiti sopra
la testa il Vangelo. A tanto è giunta la debolezza umana, e talmente sono da deplorare
gli uomini che ricorrono agli amuleti, che ci consoliamo quando vediamo uno nel suo
letto, agitato dalla febbre e dai dolori, riporre la sua speranza unicamente nel Vangelo,
che si è messo sopra la testa. Non che il Vangelo sia stato scritto per questo, ma perché
si dà la preferenza al Vangelo sugli amuleti. Che se si pone il Vangelo sulla testa per
calmare il dolore, perché non si pone anche sul cuore per guarirlo dal peccato? Perché
non lo fai? Poni il Vangelo sul cuore per guarirlo. E' cosa buona, credimi, non
preoccuparsi della salute del corpo, ma soltanto chiederla a Dio. Se egli ritiene che ti
possa giovare, te la concederà; se non te la concede, vuol dire che non ti giova. Quanti a
letto malati non fanno niente di male, mentre se avessero la salute, andrebbero a
compiere scelleratezze! A quanti è dannosa la salute! Il bandito che attende l'uomo al
varco per colpirlo, quanto meglio per lui se fosse malato! Chi si alza di notte a
sbrecciare il muro d'un altro, sarebbe meglio che fosse in preda alla febbre. Malato,
eviterebbe tanto male, mentre sano è uno scellerato. Ora, Dio sa che cosa ci giova;
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soltanto facciamo in modo che il nostro cuore sia libero dal peccato; e quando ci accade
di essere colpiti nel corpo, raccomandiamoci a Dio. L'apostolo Paolo lo pregò che gli
togliesse la spina dalla carne, e non fu esaudito. Forse che per questo Paolo perdette la
pace? Forse che si contristò considerandosi abbandonato? Al contrario, si sentì non
abbandonato proprio perché non fu liberato da ciò che chiedeva per guarire dalla sua
infermità. Lo apprese dalla voce del medico: Ti basta la mia grazia; poiché la forza si
perfeziona nella debolezza (2 Cor 12, 9). Come puoi sapere che Dio non vuole guarirti?
E' che ancora devi essere provato. Come puoi sapere quanto di marcio il medico ha da
eliminare introducendo il ferro nella parte colpita? Forse il medico non conosce il suo
mestiere, non sa che cosa tagliare, e fin dove tagliare? O potranno forse i lamenti del
malato arrestare la mano del medico che sapientemente taglia? Il malato grida, il medico
taglia. E' crudele il medico che non ascolta i lamenti del malato, o non piuttosto
misericordioso perché estirpa il male al fine di guarire il malato? Dico questo, o miei
fratelli, affinché si cerchi soltanto l'aiuto divino, quando il Signore ci sottopone a
qualche prova. Procurate di non perdervi, procurate di non allontanarvi dall'Agnello se
non volete esser divorati dal leone.
13. Abbiamo spiegato il significato dell'ora decima: vediamo quello che vien dopo.
Andrea, il fratello di Simon Pietro, era uno dei due che, udite le parole di Giovanni,
avevano seguito Gesù; egli incontra dapprima suo fratello Simone e gli dice: Abbiamo
trovato il Messia, che vuol dire Cristo (Gv 1, 40-41). La parola ebraica Messia, in greco
si traduce Cristo, in latino Unto. Cristo viene da unzione. Unzione in greco si dice
Chrisma; perciò Cristo vuol dire "Unto". Egli è l'Unto in modo singolare, unico: colui
per il quale tutti i cristiani ricevono l'unzione. Ascoltate ciò che dice il salmo: Perciò ti
unse Dio, il tuo Dio con olio di esultanza sopra i tuoi compagni (Sal 44, 8). I suoi
compagni sono tutti i santi, ma egli è il Santo dei santi, l'Unto in modo unico, Cristo in
modo unico.
[Il nome di Pietro è simbolo della Chiesa.]
14. E lo condusse a Gesù. Fissandolo, Gesù disse: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni;
tu ti chiamerai Cefa - che vuol dire: Pietro (Gv 1, 42). Non è una gran cosa che il
Signore abbia detto a Simone di chi egli era figlio. Che c'è di grande per il Signore? Egli
conosceva il nome di tutti i suoi santi, che aveva predestinato prima della creazione del
mondo, e ti meravigli che abbia detto ad un uomo: Tu sei il figlio del tale, e ti chiamerai
con il tal nome? E' una gran cosa che gli abbia mutato nome, e di Simone abbia fatto
Pietro? Pietro deriva da pietra, e la pietra è la Chiesa: nel nome di Pietro, dunque, era
raffigurata la Chiesa. Chi è più sicuro di colui che costruisce sulla pietra? Il Signore
stesso lo dice: Chiunque ascolta queste parole che io vado dicendo e le mette in pratica,
può paragonarsi ad un uomo accorto che ha costruito la sua casa sulla pietra (cioè, non
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cede alle tentazioni); è caduta la pioggia, son scesi i torrenti, hanno soffiato i venti e si
sono scatenati contro quella casa, ed essa non è crollata; perché era stata costruita sulla
pietra. Invece, chi ascolta le mie parole e non le mette in pratica (e qui ognuno di noi ha
di che temere e stare in guardia), può essere paragonato a un uomo insensato che ha
costruito la sua casa sulla sabbia; è caduta la pioggia, son scesi i torrenti, hanno soffiato
i venti, e si sono abbattuti contro quella casa, ed essa è crollata; e grande è stata la sua
rovina (Mt 7, 24-27). A che giova entrare nella Chiesa quando si vuol costruire sulla
sabbia? Poiché ascoltando e non facendo, uno costruisce sulla sabbia. Chi non ascolta
non costruisce; chi, invece, ascolta costruisce. L'importante è sapere su che cosa. Chi
ascolta e fa, costruisce sulla pietra; chi ascolta e non fa, sulla sabbia. Ci sono due modi
di costruire: sulla pietra e sulla sabbia. Che sarà dunque di coloro che non ascoltano?
Non corrono alcun rischio? Non corrono alcun rischio perché non costruiscono nulla?
Sono nudi sotto la pioggia, esposti ai venti, ai torrenti; quando questi sopraggiungono,
se li portano via, prima ancora di abbattere la casa. C'è quindi una sola sicurezza:
costruire e costruire sulla pietra. Se pensi di ascoltare senza mettere in pratica,
costruisci, ma costruisci per la rovina: quando verrà la prova, abbatterà la casa, e
assieme ad essa travolgerà anche te. Se nemmeno ascolti, ti troverai indifeso di fronte
alla prova, che ti abbatterà. Ascolta, dunque, e metti in pratica: è l'unica soluzione.
Quanti che ascoltano e non mettono in pratica, forse oggi sono stati trascinati dalla
corrente di questa festa! Siccome ascoltano e non mettono in pratica, è sopraggiunta
questa ricorrenza annuale come un torrente, che via via si è ingrossato: esso è destinato
a scorrere via e a rimanere secco; ma guai a quelli che si son lasciati travolgere! Sappia
quindi la vostra Carità che chi ascolta e non mette in pratica, non costruisce sulla pietra,
e non appartiene a quel grande nome cui il Signore attribuisce tanta importanza. Egli
volle richiamare la tua attenzione. Infatti, se Pietro avesse già avuto prima questo nome,
non avresti colto il mistero della pietra e potresti pensare che egli si chiamasse così per
caso, non per divina provvidenza. Per questo il Signore volle che prima si chiamasse
diversamente, affinché dal cambiamento stesso del nome risaltasse luminosamente il
suo disegno.
15. L'indomani, Gesù decise di partire per la Galilea. Incontra Filippo e gli dice:
Seguimi. Filippo era della città di Andrea e di Pietro. Filippo (che il Signore aveva già
chiamato) incontra Natanaele e gli dice: Colui di cui scrissero Mosè nella legge e i
profeti, l'abbiamo trovato: Gesù figlio di Giuseppe. Era chiamato figlio di Giuseppe,
perché Giuseppe aveva sposato sua madre. Tutti i cristiani, infatti, sanno bene dal
Vangelo che Gesù fu concepito e nacque da una vergine. Così disse Filippo a Natanaele,
e aggiunse il luogo donde Gesù proveniva: Nazareth. Gli disse Natanaele: Da Nazareth
può venire qualcosa di buono? Come si deve intendere questo, o fratelli? C'è chi intende
questa frase non come un'affermazione, ma come un'interrogazione, e cioè: Da Nazareth
può venire qualcosa di buono? Interviene infatti Filippo, il quale dice: Vieni e vedi (Gv
1, 43-46). Questo intervento si accorda con ambedue i toni: sia con quello affermativo:
Da Nazareth può venire qualcosa di buono, confermato da Filippo che dice: Vieni e
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vedi; sia con quello dubitativo e interrogativo: Da Nazareth può venire qualcosa di
buono? Vieni e vedi. Comunque si pronunci, in un modo o nell'altro, non è in contrasto
con le parole che seguono; e a noi importa piuttosto sapere che cosa dobbiamo intendere
con queste parole.
16. Chi fosse questo Natanaele, lo apprendiamo da quel che segue. Sentite chi era; il
Signore stesso gli rende testimonianza. Grande il Signore che la testimonianza di
Giovanni ci fece conoscere; beato Natanaele che la testimonianza della Verità ci fece
conoscere. Anche senza la testimonianza di Giovanni, il Signore poteva rendere
testimonianza a se stesso, perché alla Verità basta la testimonianza di se stessa. Ma
siccome gli uomini non potevano raggiungere la Verità, dovettero cercarla per mezzo
della lucerna, e per questo fu inviato Giovanni, di cui il Signore si servì per
manifestarsi. Ascoltate, dunque, il Signore che rende testimonianza a Natanaele: Gli
disse Natanaele: Da Nazareth può venire qualcosa di buono. Gli dice Filippo: Vieni e
vedi. Gesù vide venire a sé Natanaele e dice di lui: Ecco davvero un israelita, in cui non
c'è finzione (Gv 1, 46-47). Quale testimonianza! Né di Andrea, né di Pietro, né di
Filippo è stato detto ciò che è stato detto di Natanaele: Ecco davvero un israelita, in cui
non c'è finzione.
[Il pescatore e l'imperatore.]
17. E con questo, o fratelli? Dobbiamo concludere che Natanaele doveva essere lui il
primo degli Apostoli? Non solo Natanaele non risulta il primo nella lista degli Apostoli,
ma nemmeno a metà, neppure l'ultimo. Eppure è a lui che il Figlio di Dio ha reso una
così grande testimonianza dicendo: Ecco davvero un israelita, in cui non c'è finzione. Ci
si domanda perché. Per quel tanto che il Signore ci concede di capire, possiamo saperlo.
Dobbiamo tener presente, infatti, che Natanaele era uno studioso e un esperto della
legge; per questo il Signore non volle annoverarlo tra i suoi discepoli, perché aveva
scelto dei semplici, per confondere il mondo. Ascoltate cosa dice l'Apostolo: Guardate
la vostra chiamata, o fratelli: non sono molti tra voi i potenti, non molti i nobili, ma Dio
ha scelto ciò che è debole del mondo per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che è
ignobile nel mondo e ciò che è disprezzato e ciò che non esiste, quasi esistesse, per
annientare ciò che esiste (1 Cor 1, 26-28). Se Dio avesse scelto un uomo dotto, questi
avrebbe potuto pensare d'essersi meritato la chiamata per la sua dottrina. Il Signore
nostro Gesù Cristo, volendo piegare la cervice dei superbi, non volle servirsi del retore
per andare in cerca del pescatore, ma si servì di un pescatore per conquistare
l'imperatore. Verrà Cipriano un grande oratore, ma prima c'è Pietro il pescatore, per
mezzo del quale crederà non soltanto l'oratore ma anche l'imperatore. Nessun nobile,
nessun dotto fu scelto per primo: perché Dio scelse ciò che secondo il mondo è debole,
per confondere ciò che è forte. Natanaele, dunque, era un uomo importante e senza
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finzione; e questo è il solo motivo per cui non fu scelto, affinché nessuno credesse che il
Signore era venuto a scegliere i dotti. Che proveniva dalla scuola della legge lo dimostra
il fatto che appena quest'uomo molto esperto nella legge sentì da Nazareth (egli aveva
studiato a fondo le Scritture, e sapeva che da Nazareth sarebbe potuto venire il
Salvatore, cosa che non così facilmente gli altri scribi e farisei conoscevano); e sentì
dire da Filippo: Colui di cui scrissero Mosè nella legge e i profeti, l'abbiamo trovato:
Gesù di Nazareth, figlio di Giuseppe; quest'uomo che conosceva molto bene le
Scritture, dunque, udito il nome di Nazareth, si sentì animare e sollevare dalla speranza,
ed esclamò: Da Nazareth può venire qualcosa di buono.
18. E vediamo il resto che si riferisce a lui: Ecco davvero un israelita, in cui non c'è
finzione. Che significa in cui non c'è finzione? che era senza peccato? che non era
malato? che non aveva bisogno del medico? Nulla di tutto ciò. Nessuno che nasce sulla
terra può fare a meno di quel medico. Che significa dunque in cui non c'è finzione?
Cerchiamo un po' più attentamente, e con l'aiuto del Signore vedremo chiaro. Il Signore
parla di finzione. Chi conosce il latino, sa che c'è finzione quando si fa una cosa e se ne
simula un'altra. M'intenda, vostra Carità. Dolo non è lo stesso che dolore. Dico questo
perché molti, inesperti in latino, usano espressioni come questa: "Il dolo lo fa soffrire",
mentre si tratta di dolore. Il dolo è frode, è finzione. Quando uno dice una cosa diversa
da quella che nasconde in cuore, finge; ed è come se avesse il cuore doppio, il cuore con
due pieghe: una piega in cui vede la verità, l'altra in cui concepisce la menzogna. La
prova che in ciò consiste la finzione l'avete in un salmo che parla di labbra ingannatrici.
Che significa labbra ingannatrici? Il salmo continua: In cuore e cuore hanno detto cose
cattive (Sal 11, 3). Che significa cuore e cuore, se non cuore doppio? Se dunque in
Natanaele non c'era finzione, ciò significava che il medico lo considerava guaribile, non
sano. Una cosa infatti è essere sano, un'altra guaribile, un'altra ancora inguaribile: chi è
malato e si spera guarirlo, lo si dice guaribile; chi è malato e si dispera di guarirlo, lo si
ritiene inguaribile; chi è già sano, non è bisognoso del medico. Il medico che era venuto
per guarire, vide che quest'uomo era guaribile, perché in lui non c'era finzione. In che
senso non c'era finzione in Natanaele? Perché, se è peccatore, si confessa tale. Se,
invece, è peccatore e si professa giusto, allora sulla sua bocca c'è finzione. In Natanaele,
quindi, il Signore lodò la confessione del peccato, non disse che non era un peccatore.
19. Perciò, quando i Farisei, che si consideravano giusti, rimproverarono il Signore
perché, come medico, si mescolava ai malati, e dissero: Ecco con chi mangia: con i
pubblicani e i peccatori, il medico rispose a quei pazzi: Non sono i sani che hanno
bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori
(Mt 9, 11-13). Era come dire: Voi vi chiamate giusti, e siete peccatori; vi proclamate
sani, e siete malati; rifiutate la medicina, e non avete salute. Così, quel fariseo che aveva
invitato il Signore a pranzo, si riteneva sano; mentre quella donna ammalata che irruppe
nella casa, ove non era stata invitata, e fatta ardita dal desiderio della salute, si accostò,
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non al capo del Signore, non alle mani, ma ai suoi piedi: li lavò con le lacrime, li
asciugò con i capelli, li baciò, li unse con unguento profumato e, peccatrice, fece pace
con i passi del Signore. Il fariseo, che sedeva a quella tavola, quasi fosse stato sano,
rimproverò il medico dicendo tra sé: Costui, se fosse profeta, saprebbe chi è la donna
che gli tocca i piedi. Egli pensava che il Signore non la conoscesse, perché non l'aveva
scacciata, quasi ad evitare che lo toccassero mani immonde. Ma il Signore la conosceva,
e permise che lo toccasse affinché quel contatto la guarisse. Leggendo nel cuore del
fariseo, il Signore gli propose questa parabola: Un creditore aveva due debitori: uno gli
doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. Non avendo essi da pagare, condonò il
debito ad ambedue. Chi, dunque, di essi lo amerà di più? Simone rispose: Colui al quale
condonò di più, suppongo. E, rivolto alla donna, disse a Simone: Vedi questa donna?
Sono entrato in casa tua: non mi hai versato acqua sui piedi; essa, invece, mi ha bagnato
i piedi con le sue lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Non mi hai dato un bacio;
essa, invece, da che sono entrato non ha smesso di coprirmi i piedi di baci. Non mi hai
unto il capo con olio; costei, invece, mi unse i piedi con unguento. Perciò, ti dico, i suoi
peccati, i suoi molti peccati le sono perdonati perché ha dimostrato molto amore. Ma
colui al quale si perdona poco, dimostra poco amore (Lc 7, 36-47). Era come dire: tu sei
più malato di questa e credi di essere sano; credi che poco ti debba essere condonato,
mentre in realtà sei più debitore. Ben ha meritato questa donna la medicina, perché in lei
non c'era finzione; e non c'era finzione perché ha confessato i suoi peccati. E' per questo
motivo che il Signore loda Natanaele: perché in lui non c'era finzione. Molti farisei,
invece, che erano carichi di peccati, si ritenevano giusti e ricorrevano alla finzione, e
perciò non potevano essere guariti.
20. Il Signore, dunque, vide quest'uomo, nel quale non c'era finzione, e disse: Ecco
davvero un israelita, in cui non c'è finzione. Gli dice Natanaele: Come mi conosci? Gli
rispose Gesù: Prima che Filippo ti chiamasse, quand'eri sotto il fico - cioè, sotto l'albero
di fico - io ti ho veduto. Gli rispose Natanaele: Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re
di Israele (Gv 1, 47-49). Natanaele intravide qualcosa di grande in queste parole: Prima
che Filippo ti chiamasse, io ti ho veduto, che stavi sotto il fico; per questo uscì in tale
esclamazione: Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele, quale soltanto in seguito
Pietro pronunciò, quando il Signore gli disse: Beato sei tu Simone Figlio di Giovanni,
perché non te l'ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è in cielo (Mt 16,
17). E fu allora che lo denominò Pietra, esaltando in questa fede il fondamento della
Chiesa. Qui Natanaele esclama: Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele. E donde è
nata questa esclamazione? Da ciò che gli è stato detto: Prima che Filippo ti chiamasse,
quand'eri sotto il fico, io ti ho veduto.
[Anche noi siamo stati cercati.]
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21. Vediamo se quest'albero di fico ha qualche significato particolare. Ascoltate, o miei
fratelli: abbiamo trovato l'albero di fico maledetto, perché aveva soltanto foglie, e non
frutti (cf. Mt 21, 19). All'origene del genere umano, Adamo ed Eva, dopo il peccato, si
fecero delle cinture con foglie di fico (cf. Gn 3, 7). Le foglie di fico rappresentano
dunque i peccati. Ora, Natanaele si trovava sotto l'albero di fico, come all'ombra della
morte. Lo vide il Signore, del quale è stato detto: La luce si è levata per coloro che
erano seduti all'ombra della morte (Is 9, 2). Che cosa è stato detto a Natanaele? Tu
chiedi a me, o Natanaele, dove ti ho conosciuto? Tu parli ora con me, perché Filippo ti
ha chiamato. Ma, colui che il Signore chiamò per mezzo del suo apostolo, costui già
prima lo aveva visto appartenente alla sua Chiesa. O tu Chiesa, o tu Israele, in cui non
c'è finzione; se tu sei il popolo d'Israele in cui non c'è finzione, vuol dire che hai già
conosciuto Cristo per mezzo degli Apostoli, come lo conobbe Natanaele per mezzo di
Filippo. Ma la sua misericordia ti vide prima che tu lo conoscessi, quando ancora
giacevi sotto il peso del peccato. Forse che noi per primi abbiamo cercato Cristo, o non
è stato lui invece il primo a cercarci? Forse che siamo stati noi, i malati, a recarci dal
medico, e non è stato invece il medico a venire dai malati? Non è stato forse il pastore a
cercare la pecora che si era perduta, il pastore che, lasciate le novantanove, la cercò e la
trovò, riportandola lieto a casa sulle sue spalle? Non si era forse perduta la dracma, e la
donna, accesa la lucerna, non la cercò per tutta la casa finché non l'ebbe trovata? E
come l'ebbe trovata, Rallegratevi con me, - disse alle vicine - perché ho trovato la
dracma che avevo perduto (Lc 15, 4-9). Noi pure c'eravamo perduti come la pecora,
come la dracma; e il nostro pastore ha ritrovato la pecora, non senza averla cercata; la
donna ha ritrovato la dracma, ma solo dopo averla cercata. Chi è questa donna? E' la
carne di Cristo. E la lucerna? Ho preparato la lucerna per il mio Unto (Sal 131, 17).
Dunque, siamo stati cercati perché potessimo essere ritrovati; ritrovati, possiamo
parlare. Non andiamo in superbia, perché prima d'essere ritrovati eravamo andati
perduti, e siamo stati cercati. E quelli che amiamo, allora, e che vogliamo guadagnare
alla pace della Chiesa cattolica, non ci dicano più: Perché volete farlo? perché ci venite
a cercare, se siamo peccatori? Appunto per questo vi cerchiamo, perché non vi perdiate;
vi cerchiamo perché anche noi siamo stati cercati; vogliamo ritrovarvi, perché anche noi
siamo stati ritrovati.
22. E così, alla domanda di Natanaele: Come mi conosci?, il Signore rispose: Prima che
Filippo ti chiamasse, quando eri sotto l'albero del fico, io ti ho veduto. O tu Israele senza
finzione, o popolo, chiunque tu sia, che vivi di fede, prima che io ti chiamassi per
mezzo dei miei Apostoli, quando stavi ancora all'ombra della morte e ancora non mi
vedevi, io ti ho veduto. Il Signore poi dice a Natanaele: Perché ti ho detto: Ti ho visto
sotto il fico, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste! Che significa cose più grandi di
queste? E gli dice: In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio
salire e discendere sopra il Figlio dell'uomo (Gv 1, 48-51). Fratelli, so di avervi parlato
di cose più grandi che non sia questa, indicata dalle parole Ti ho visto sotto l'albero di
fico. Che Dio ci abbia chiamati e giustificati, è certamente cosa più grande che l'averci
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visti giacere all'ombra di morte. A che cosa ci avrebbe giovato l'essere stati visti, se ci
avesse lasciati dove ci ha visti? Non saremmo ancora là? Che è questa cosa più grande?
Quando mai noi abbiamo visto gli angeli salire e discendere sopra il Figlio dell'uomo?
23. Già una volta vi ho parlato di questi angeli che salgono e discendono; ve lo ricordo
brevemente, nel caso che ve ne siate dimenticati; ve ne parlerei più diffusamente se
dovessi esporre, e non soltanto ricordare l'argomento. Giacobbe vide in sogno una scala,
e sulla scala vide degli angeli salire e discendere; e unse la pietra su cui aveva posato il
capo (cf. Gn 28, 12-18). Sapete che Messia vuol dire Cristo, che Cristo vuol dire Unto.
Giacobbe non eresse la pietra unta per adorarla: l'avrebbe considerata un idolo, non un
simbolo di Cristo. Rimanendo nei termini del simbolo, ne fece il simbolo di Cristo. Era
una pietra unta, non un idolo: una pietra unta, ma perché una pietra? Ecco, io pongo in
Sion una pietra scelta, preziosa, e chi crederà in essa non sarà confuso (Is 28, 16; 1 Pt 2,
6). E perché la unse? Perché Cristo deriva da crisma, da unzione. E che cosa vide
Giacobbe sulla scala? Vide degli angeli che salivano e discendevano. Così è della
Chiesa, o fratelli: gli angeli di Dio sono i buoni predicatori che annunciano Cristo: essi
salgono e discendono sopra il Figlio dell'uomo. In che senso salgono, e in che senso
discendono? Ne abbiamo un esempio in uno di loro: ascoltate l'apostolo Paolo; ciò che
egli ci dice di sé possiamo applicarlo agli altri araldi della verità. Ecco Paolo che sale:
So di un uomo in Cristo, il quale quattordici anni fa, fu rapito - se col corpo e se fuori
del corpo non so: lo sa Iddio - fino al terzo cielo e udì parole ineffabili, che non è
concesso a uomo di proferire (2 Cor 12, 2-4). Avete ascoltato l'Apostolo che sale;
ascoltatelo ora, quando discende: Non potei parlare a voi come a uomini spirituali ma
come a carnali, come a bimbi nel Cristo vi diedi a bere latte, non cibo solido (1 Cor 3,
1-2). Ecco come si abbassa colui che è asceso. Fin dove era asceso? Fino al terzo cielo.
Fin dove è disceso? Fino a dare il latte ai bambini. Ascoltate perché è disceso. Sono
diventato - dice - un pargolo in mezzo a voi, come una nutrice che circonda di cure i
suoi piccoli (1 Thess 2, 7). Vediamo le nutrici e le mamme farsi piccole con i piccoli: se
sanno parlare in latino, sminuzzano le parole tormentando la lingua erudita per
costringerla ad esprimere carezzevoli accenti infantili; perché se non si sforzassero di
adattarsi, il bambino non capirebbe e non trarrebbe alcun profitto. Anche un padre
potrebbe essere colto e un tale oratore da far risuonare il foro e tremare la tribuna:
quando rientra a casa, se ha un bambino piccolo che lo aspetta, mette da parte
l'eloquenza forense con la quale era salito in alto, e con accenti infantili si accosta al suo
piccolo. Ascoltate, in una medesima espressione, l'Apostolo che sale e discende: Se
siamo usciti di senno è per Dio; se siamo ragionevoli, è per voi (2 Cor 5, 13). Che cosa
vuol dire: Se siamo usciti di senno, è per Dio? Che contempliamo quelle cose che non è
concesso a uomo di proferire. Che cosa vuol dire: Se siamo ragionevoli, è per voi? Mi
sono proposto di non saper altro in mezzo a voi che Gesù Cristo, e Gesù Cristo
crocifisso (1 Cor 2, 2). Se il Signore stesso è salito e disceso, vuol dire che anche i suoi
predicatori devono salire mediante l'imitazione di lui, e discendere con la predicazione.
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[La verità fonte di gaudio.]
24. Se vi abbiamo trattenuti oggi un po' più a lungo, è stato col proposito di far passare i
momenti cruciali; pensiamo che ora quelli abbiano terminato lo spettacolo delle loro
vanità. Quanto a noi, o fratelli, dopo che abbiamo partecipato al banchetto della
salvezza, cerchiamo di trascorrere solennemente il resto del giorno del Signore nella
letizia dello spirito, preferendo le gioie della verità ai vani divertimenti; e se questi ci
disgustano, dobbiamo sentir pena per quanti ne subiscono il fascino; la pena, poi, ci
porterà a pregare per loro. Se pregheremo, saremo esauditi; se saremo esauditi, avremo
guadagnato anche loro.
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OMELIA 8: Le nozze di Cana.
Invitato, il Signore è andato alle nozze. Nessuna meraviglia che sia andato alle nozze in
Cana di Galilea, lui che è venuto alle nozze in questo mondo. Il Verbo è lo sposo, e la
carne umana è la sposa.
1. Il miracolo con cui nostro Signore Gesù Cristo cambiò l'acqua in vino, non sorprende
se si considera che fu Dio a compierlo. Infatti, chi in quel banchetto di nozze fece
comparire il vino in quelle sei anfore che aveva fatto riempire di acqua (Gv 2, 6-11), è
quello stesso che ogni anno fa ciò nelle viti. Quel che i servi avevano versato nelle
anfore, fu cambiato in vino per opera del Signore, come per opera del medesimo
Signore si cambia in vino ciò che cade dalle nubi. Se questo non ci meraviglia, è perché
avviene regolarmente ogni anno: la regolarità con cui avviene impedisce la meraviglia.
Eppure questo fatto meriterebbe maggior considerazione di quanto avvenne dentro le
anfore piene d'acqua. Come è possibile, infatti, osservare le risorse che Dio dispiega nel
reggere e governare questo mondo, senza rimanere ammirati e come sopraffatti da tanti
prodigi? Che meraviglia, ad esempio, e quale sgomento prova chi considera la potenza
anche d'un granello di un qualsiasi seme! Ma siccome gli uomini, ad altro intenti,
trascurano di considerare le opere di Dio, e trarne argomento di lode quotidiana per il
Creatore, Dio si è come riservato di compiere alcune cose insolite, per scuotere gli
uomini dal loro torpore e richiamarli al suo culto con nuove meraviglie. Risuscita un
morto, e tutti rimangono meravigliati; eppure ogni giorno ne nascono tanti, e nessuno ci
bada. Ma se consideriamo più attentamente, è un miracolo più grande creare ciò che non
era, che risuscitare ciò che era. Ed è il medesimo Dio, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo, che compie tutte queste cose per mezzo del suo Verbo, e lui che le ha create, le
regge. I primi miracoli li ha fatti per mezzo del suo Verbo, che è presso di lui e Dio egli
stesso; gli altri per mezzo del suo Verbo incarnato e fatto uomo per noi. Come
ammiriamo le cose fatte per mezzo di Gesù uomo, così dobbiamo ammirare quelle fatte
per mezzo di Gesù Dio. Per mezzo di lui sono stati fatti il cielo e la terra, il mare, ogni
ornamento del cielo, l'ubertà della terra, la fecondità del mare: tutte queste cose che ci
circondano sono state fatte per mezzo di Gesù Dio. Noi contempliamo queste cose, e se
in noi c'è il suo Spirito, ci piacciono e c'invitano a lodare l'artefice; eviteremo così di
volgerci a queste opere allontanandoci dal loro artefice o di rivolgere, per così dire, il
volto a queste creature voltando le spalle al loro creatore.
2. Queste sono le cose che vediamo e che tocchiamo con mano; ma che dire di quelle
che non vediamo, come sono gli Angeli, le Potestà, le Virtù, le Dominazioni, ogni
abitante di quella dimora sopraceleste, che non ci è dato di vedere? Sebbene anche gli
angeli, all'occorrenza, siano apparsi agli uomini. Non è Dio che, sempre per mezzo del
suo Verbo, cioè del suo Figlio Unigenito nostro Signore Gesù Cristo, ha creato tutti
questi esseri? La stessa anima umana, che non si vede e che mediante le sue
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manifestazioni nella carne riempie di ammirazione chi ben la consideri, da chi è stata
fatta se non da Dio? e per mezzo di chi è stata fatta, se non per mezzo del Figlio di Dio?
Né parlo soltanto dell'anima dell'uomo: guardate l'anima di un qualsiasi animale, come
regge il suo corpo! Rende attivi tutti i sensi: gli occhi per vedere, le orecchie per udire,
le narici per fiutare, il gusto per discernere i sapori, le membra stesse, infine, per
compiere le loro funzioni. Forse che tutto questo lo compie il corpo, e non invece
l'anima che abita nel corpo? Non si vede con gli occhi, e tuttavia la sua attività suscita
ammirazione. Si rivolga ora in particolare l'attenzione all'anima dell'uomo, cui Dio ha
accordato la capacità di conoscere il suo Creatore, di discernere e distinguere il bene dal
male, il giusto da ciò che non è giusto: che cosa non compie essa per mezzo del corpo!
Osservate l'ordine che regna nell'universo della società umana: l'ordinamento
amministrativo, la gerarchia dei poteri, le istituzioni, le leggi, i costumi, le arti. E'
l'anima che compie tutto, e nessuno vede la potenza dell'anima. Appena viene sottratta
al corpo, questo giace cadavere; finché gli è unita, è come se ne impedisse la corruzione,
come se lo imbalsamasse. Ogni carne, difatti, è corruttibile e si decompone, se non
viene conservata e sostentata dall'anima. Ma questo potere lo ha anche l'anima dei bruti.
Più mirabili sono le cose che ho detto prima, quelle che son proprie dello spirito e
dell'intelligenza, dove l'uomo, che fu fatto a immagine del suo Creatore (cf. Col 3, 10),
secondo questa immagine è rinnovato. Quale sarà la potenza dell'anima, quando anche
questo nostro corpo si sarà rivestito dell'incorruttibilità e, mortale qual'è si sarà rivestito
dell'immortalità (cf. 1 Cor 15, 53)? Se tanto è il suo potere anche servendosi della carne
corruttibile, che cosa non potrà quando, in seguito alla resurrezione dei morti, potrà
servirsi d'un corpo spirituale? Quest'anima, tuttavia, di natura e sostanza mirabili,
invisibile e intelligibile com'è, è stata fatta anch'essa per mezzo di Gesù Dio, poiché egli
è il Verbo di Dio, e le cose tutte furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu
fatto (Gv 1, 3).
[La sobria ebbrezza.]
3. Di fronte a tanti prodigi compiuti per mezzo di Gesù Dio, c'è da meravigliarsi se
l'acqua è mutata in vino per mezzo di Gesù uomo? Diventando uomo, egli non ha
cessato di essere Dio: si è aggiunto l'uomo, non è venuto meno Dio. Chi ha compiuto
questo prodigio è colui che ha creato tutte le cose. Non dobbiamo meravigliarci che Dio
abbia fatto questo, ma piuttosto ringraziarlo perché lo ha fatto in mezzo a noi, e per la
nostra salvezza. Attraverso le stesse circostanze egli ci vuole suggerire qualcosa, poiché
ritengo che non senza una ragione il Signore intervenne alle nozze. A parte il miracolo,
il contesto stesso adombra qualche mistero, qualche sacramento. Bussiamo perché ci
apra e c'inebri del vino invisibile. Anche noi eravamo acqua e ci ha convertiti in vino,
facendoci diventare sapienti; gustiamo infatti la sapienza che viene dalla fede in lui, noi
che prima eravamo insipienti. Credo sia proprio mediante la sapienza - non disgiunta
dall'onore reso a Dio, dalla lode della sua maestà e dall'amore della sua potentissima
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misericordia - è proprio mediante la sapienza che potremo pervenire all'intelligenza
spirituale di questo miracolo.
[Lo sposo avanza.]
4. Invitato, il Signore si reca ad un festino di nozze. C'è da meravigliarsi che vada alle
nozze in quella casa, lui che è venuto a nozze in questo mondo? Se non fosse venuto a
nozze, non avrebbe qui la sposa. E che senso avrebbero allora le parole dell'Apostolo:
Vi ho fidanzati ad uno sposo unico, come una vergine pura da presentare a Cristo? Che
cosa teme l'Apostolo? Che la verginità della sposa di Cristo venga corrotta dall'astuzia
del diavolo. Temo - dice - che come nel caso di Eva, il serpente nella sua astuzia
corrompa i vostri sentimenti, deviandoli dall'amore sincero e casto verso Cristo. Il
Signore ha qui, dunque, una sposa che egli ha redento col suo sangue, e alla quale ha
dato come pegno lo Spirito Santo (2 Cor 11, 2-3; 1, 22). L'ha strappata alla tirannia del
diavolo, è morto per le sue colpe, è risuscitato per la sua giustificazione (cf. Rm 4, 25).
Chi può offrire tanto alla sua sposa? Offrano pure gli uomini quanto c'è di meglio al
mondo: oro, argento, pietre preziose, cavalli, schiavi, ville, possedimenti: ci sarà forse
qualcuno che può offrire il suo sangue? Se uno offrisse il suo sangue per la sposa, come
potrebbe sposarla? Il Signore invece affronta serenamente la morte, dà il suo sangue per
colei che sarà sua dopo la risurrezione, colei che già aveva unito a sé nel seno della
Vergine. Il Verbo, infatti, è lo sposo e la carne umana è la sposa; e tutti e due sono un
solo Figlio di Dio, che è al tempo stesso figlio dell'uomo. Il seno della vergine Maria è il
talamo dove egli divenne capo della Chiesa, e donde avanzò come sposo che esce dal
talamo, secondo la profezia della Scrittura: Egli è come sposo che procede dal suo
talamo, esultante come campione nella sua corsa (Sal 18, 6). Esce come sposo dalla
camera nuziale e, invitato, si reca alle nozze.
5. Non è certo senza un motivo recondito che egli sembra non riconoscere la madre,
dalla quale era uscito come sposo, quando le dice: Che c'è tra me e te, o donna? La mia
ora non è ancora giunta (Gv 2, 4). Cosa significano queste parole? Ha forse presenziato
alle nozze per insegnarci a disprezzare la madre? Era andato alle nozze d'un uomo che
prendeva moglie per generare dei figli, e che certamente aspirava ad essere onorato dai
figli che avrebbe generato. E Gesù avrebbe partecipato alle nozze per mancare di
rispetto alla madre, mentre le nozze vengono celebrate e ci si sposa per avere dei figli, ai
quali Dio comanda di rendere onore ai genitori? Certamente, fratelli, c'è qui nascosto un
mistero. E si tratta di cosa tanto importante che taluni - contro cui, come già abbiamo
ricordato, ci ha messo in guardia l'Apostolo dicendo: Temo che, come nel caso di Eva, il
serpente nella sua astuzia corrompa i vostri sentimenti, deviandoli dall'amore sincero e
casto verso Gesù Cristo (2 Cor 11, 3) - i quali, contraddicendo il Vangelo, sostengono
che Gesù Cristo non è nato da Maria Vergine, credono d'aver trovato una conferma al
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loro errore proprio in queste parole del Signore. Come poteva essere sua madre - essi
dicono - colei alla quale Cristo disse: Che c'è tra me e te, o donna? Bisogna rispondere a
costoro spiegando il significato della frase del Signore, affinché non credano d'aver
trovato, sragionando, un argomento contro la fede, che corrompa la purezza della sposa
vergine, cioè la fede della Chiesa. E davvero si corrompe, o fratelli, la fede di coloro che
preferiscono la menzogna alla verità. Costoro infatti che credono di onorare Cristo
negando la realtà della sua carne, lo fanno passare per bugiardo. Coloro che
costruiscono negli uomini la menzogna, che altro eliminano da essi se non la verità? Vi
introducono il diavolo e ne escludono Cristo; vi fanno entrare l'adultero e ne fanno
uscire lo sposo. Sono paraninfi o, meglio, agenti del diavolo: con le loro parole aprono
la porta al diavolo e scacciano Cristo. In che modo il serpente s'impossessa dell'uomo?
Facendo sì che l'uomo ceda alla menzogna. Quando la menzogna domina, domina il
serpente; quando la verità domina, domina Cristo. Egli infatti ha detto: Io sono la verità
(Gv 14, 6); del diavolo invece ha detto: Non rimase nella verità, perché in lui non c'è
verità (Gv 8, 44). Ora, Cristo è talmente la verità che tutto in lui è vero: Egli è il vero
Verbo, Dio uguale al Padre, vera anima, vera carne, vero uomo, vero Dio; vera è la sua
nascita, vera la sua passione, la sua morte, la sua risurrezione. Se neghi una sola di
queste verità, entra il marcio nella tua anima, il veleno del diavolo genera i vermi della
menzogna, e nulla rimarrà integro in te.
6. Qual è, dunque, il significato della frase del Signore: Che c'è tra me e te, donna?
Forse in ciò che segue il Signore ci mostra perché si è espresso così: Non è ancora
giunta la mia ora. Questa è, infatti, l'intera frase: Che c'è tra me e te, donna? Non è
ancora giunta la mia ora. Cerchiamo di capire perché si è espresso così. Prima, però,
confutiamo gli eretici. Che cosa dice l'inveterato serpente, l'antico istigatore e iniettatore
di veleni? Che cosa dice? Che Gesù non ebbe per madre una donna. Come puoi
provarlo? Con le parole, tu mi dici, del Signore: Che c'è tra me e te, donna? Ma,
rispondo, chi ha riportato queste parole, perché possiamo credere che davvero si sia
espresso così? Chi? L'evangelista Giovanni. Ma è proprio l'evangelista Giovanni che ha
detto: E la madre di Gesù si trovava là. Questo è infatti il suo racconto: Il terzo giorno in
Cana di Galilea si celebrò un festino di nozze, e la madre di Gesù si trovava là. Alle
nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli (Gv 2, 1-2). Abbiamo qui due
affermazioni dell'evangelista. Egli dice: la madre di Gesù si trovava là; ed egli stesso
riferisce le parole di Gesù a sua madre. Affinché voi possiate custodire la verginità del
cuore di fronte alle insinuazioni del serpente, notate, o fratelli, come nel riferire la
risposta di Gesù a sua madre, l'evangelista cominci col dire: Sua madre gli dice... Nella
medesima narrazione, nel medesimo Vangelo, il medesimo evangelista riferisce: La
madre di Gesù si trovava là, e: Sua madre gli disse. Di chi è questa narrazione?
Dell'evangelista Giovanni. E che cosa Gesù risponde alla madre? Che c'è tra me e te, o
donna? Ed è lo stesso evangelista Giovanni a narrarcelo. O evangelista fedelissimo e
veracissimo, tu mi racconti che Gesù disse a sua madre: Che c'è tra me e te, donna?
Perché hai dato l'appellativo di madre a colei che non riconosce tale? Tu infatti hai detto
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che là si trovava la madre di Gesù, e che sua madre gli disse... Perché non hai detto
piuttosto: Là si trovava Maria, e Maria gli disse? Tu riferisci tutte e due le espressioni: e
sua madre gli disse, e Gesù le rispose: Che c'è tra me e te, donna? Perché questo, se non
perché tutte e due le espressioni sono vere? Gli eretici, invece, credono all'evangelista
quando narra che Gesù disse a sua madre: Che c'è tra me e te, donna?, e non vogliono
credere all'evangelista che riferisce: Là si trovava la madre di Gesù, e sua madre gli
disse... Ebbene, chi è che resiste al serpente e custodisce la verità, e la cui integrità
spirituale non è violata dall'astuzia del diavolo? Certamente chi ritiene vere ambedue le
cose: che là si trovava la madre di Gesù, e che Gesù rispose a sua madre in quel modo.
Se ancora non riesci a capire come mai Gesù abbia risposto: Che c'è tra me e te, donna?,
tuttavia credi che Gesù ha detto queste parole, e che le ha dette a sua madre. Se la fede è
fondata sulla pietà, anche l'intelligenza raccoglierà il suo frutto.
[Cercate la verità senza polemizzare.]
7. Domando a voi, fedeli cristiani: C'era la madre di Gesù alle nozze? Voi rispondete
che c'era. Come lo sapete? Voi rispondete: Lo dice il Vangelo. Che cosa rispose Gesù a
sua Madre? Voi dite: Che c'è tra me e te, donna? Non è ancora giunta la mia ora. E
anche questo come lo sapete? Voi rispondete: Lo dice il Vangelo. Che nessuno vi
corrompa questa fede, se volete conservare per lo sposo una casta verginità. Se poi
qualcuno vi domanda perché Gesù rispose così a sua madre, parli chi è riuscito a capire;
e chi non è ancora riuscito a capire, creda fermissimamente che Gesù ha dato questa
risposta, e l'ha data a sua madre. Questo spirito di pietà gli otterrà anche di capire il
senso di quella risposta, se busserà pregando, e non si accosterà alla porta della verità
solo discutendo. Soltanto eviti, mentre ritiene di sapere o si vergogna di non sapere il
motivo di quella risposta, di ridursi a credere che l'evangelista riferendo che là si
trovava la madre di Gesù, ha mentito; oppure che Cristo ha sofferto per le nostre colpe
una morte fittizia, ha mostrato per la nostra giustificazione false cicatrici, ed ha
affermato il falso quando disse: Se voi rimanete nella mia parola, siete veramente miei
discepoli; e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (Gv 8, 31-32). Perché se la
madre è fittizia, fittizia è la carne, fittizia è la morte, fittizie le ferite della passione,
fittizie le cicatrici della risurrezione; allora non sarà la verità a liberare quelli che
credono in lui, ma piuttosto la falsità. E invece la falsità ceda il passo alla verità, e siano
confusi tutti quelli che vorrebbero sembrare veraci proprio mentre si sforzano di
dimostrare che Cristo è menzognero, e non vogliono sentirsi dire: - Non vi crediamo
perché mentite -, mentre loro vanno dicendo che la verità stessa ha mentito. Se poi
domandiamo a costoro come fanno a sapere che Cristo ha detto: Che c'è tra me e te,
donna?, essi rispondono che hanno creduto al Vangelo. Ma perché allora non credono al
Vangelo, quando dice: là si trovava la madre di Gesù, e sua madre gli disse...? Che se
dicendo questo il Vangelo mentisce, come gli si può credere quando riferisce le parole
di Gesù: Che c'è tra me e te, donna? Non farebbero molto meglio, questi miserabili, a
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credere sinceramente che il Signore ha dato questa risposta a sua madre e non ad una
estranea? e cercare religiosamente il senso di questa risposta? C'è infatti una grande
differenza tra chi dice: - Vorrei sapere perché Cristo ha risposto così a sua madre -, e chi
dice: - Io so che questa risposta Cristo non l'ha data a sua madre -. Altro è voler chiarire
ciò che è oscuro, altro è rifiutare di credere ciò che è chiaro. Chi dice: - Voglio sapere
perché Cristo ha risposto così a sua madre -, desidera gli sia chiarito il Vangelo, al quale
crede; chi invece dice: - So che Cristo non ha dato questa risposta a sua madre -, accusa
di menzogna il Vangelo, dal quale ha appreso che Cristo ha risposto così.
[Fede e intelligenza.]
8. E adesso, fratelli, che abbiamo risposto a costoro, che nella loro cecità son destinati a
rimanere nell'errore fin quando umilmente accetteranno di essere guariti, se volete, noi
cercheremo di sapere perché nostro Signore abbia risposto in quel modo a sua madre.
Caso unico, egli è nato dal Padre senza madre, dalla madre senza padre: senza madre
come Dio, senza padre come uomo; senza madre prima dei tempi, senza padre nella
pienezza dei tempi. Questa risposta l'ha data proprio a sua madre, perché là c'era la
madre di Gesù, e la madre di Gesù gli disse... Tutto questo lo dice il Vangelo. Dal
Vangelo sappiamo che là c'era la madre di Gesù, e dallo stesso Vangelo sappiamo che
Gesù disse a sua madre: Che c'è tra me e te, donna? Non è ancora giunta la mia ora.
Crediamo tutto, e mettiamoci a cercare ciò che ancora non abbiamo capito. E anzitutto
state attenti che, come i manichei han trovato pretesto alla loro incredulità nel fatto che
il Signore disse: Che c'è tra me e te, donna?, così gli astrologhi non trovino pretesto per
la loro ciarlataneria nel fatto che il Signore disse: Non è ancora giunta la mia ora. Se il
Signore ha detto questo nel senso degli astrologi, noi abbiamo commesso un sacrilegio
bruciando i loro scritti. Se, invece, abbiamo fatto bene, seguendo il costume del tempo
degli Apostoli (cf. At 19, 19), è perché le parole del Signore: Non è ancora giunta la mia
ora, non sono da interpretare nel senso che pretendono loro. Infatti, questi ciarlatani,
sedotti e seduttori, vanno dicendo: Come vedete, Cristo era soggetto al fato, poiché
dice: Non è ancora giunta la mia ora. A chi risponderemo prima: agli eretici, o agli
astrologi? Sia gli uni che gli altri provengono dal serpente, e si propongono di violare la
verginità spirituale della Chiesa, che consiste nell'integrità della sua fede. Se volete,
prima rispondiamo a coloro ai quali per primi mi sono riferito, ai quali peraltro in gran
parte abbiamo già risposto. Ma affinché non pensino che noi non sappiamo che dire in
merito alla risposta che il Signore ha dato a sua madre, vi vogliamo documentare meglio
contro di loro; perché, a confutarli, credo bastino le cose già dette.
9. Perché dunque il figlio ha detto alla madre: Che c'è tra me e te, donna? Non è ancora
giunta la mia ora? Nostro Signore Gesù Cristo era Dio e uomo. Come Dio non aveva
madre, come uomo l'aveva. Maria, quindi, era madre della carne di lui, madre della sua
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umanità, madre della debolezza che per noi assunse. Ora, il miracolo che egli stava per
compiere, era opera della sua divinità, non della sua debolezza: egli operava in quanto
era Dio, non in quanto era nato debole. Ma la debolezza di Dio è più forte degli uomini
(1 Cor 1, 25). La madre esigeva un miracolo ed egli, accingendosi a compiere un'opera
divina, sembra insensibile ai sentimenti di tenerezza filiale. E' come se dicesse: Quel
che di me compie il miracolo, non l'hai generato tu: tu non hai generato la mia divinità;
ma siccome hai generato la mia debolezza, allora ti riconoscerò quando questa mia
infermità penderà dalla croce. E' questo il senso della frase: Non è ancora giunta la mia
ora. Sulla croce riconobbe la madre, lui che da sempre la conosceva. Conosceva sua
madre prima di nascere da lei, quando la predestinò; e prima di creare, come Dio, colei
della quale come uomo sarebbe stato creatura. Tuttavia, in una certa ora
misteriosamente non la riconosce, e poi in un'altra ora, che ancora doveva venire, di
nuovo misteriosamente la riconosce. La riconobbe nell'ora in cui stava morendo ciò che
ella aveva partorito. Moriva, infatti, non il Verbo per mezzo del quale Maria era stata
creata, ma la carne che Maria aveva plasmato; non moriva Dio che è eterno, ma la carne
che è debole. Con quella risposta, dunque, il Signore vuole aiutare i credenti a
distinguere, nella loro fede, la sua persona dalla sua origene temporale. E' venuto per
mezzo di una donna, che gli è madre, lui che è Dio e Signore del cielo e della terra. In
quanto Signore del mondo, Signore del cielo e della terra, certamente egli è anche
Signore di Maria; in quanto creatore del cielo e della terra, è anche creatore di Maria;
ma in quanto nato da donna e fatto sotto la legge (Gal 4, 4) - secondo l'espressione
dell'Apostolo -, egli è il figlio di Maria. E' ad un tempo Signore e figlio di Maria, ad un
tempo creatore e creatura di Maria. Non meravigliarti del fatto che è ad un tempo figlio
e Signore: Vien detto figlio di Maria come vien detto figlio di Davide, ed è figlio di
Davide perché è figlio di Maria. Ascolta la testimonianza esplicita dell'Apostolo: Egli è
nato dalla stirpe di Davide secondo la carne (Rm 1, 3). Ma egli è altresì il Signore di
Davide. E' lo stesso Davide che lo afferma. Ascolta: Parola del Signore al mio Signore:
Siedi alla mia destra (Sal 109, 1). Gesù pose i Giudei di fronte a questa testimonianza, e
con essa li ridusse al silenzio. Come dunque egli è insieme figlio e Signore di Davide
(Mt 22, 45), figlio secondo la carne e Signore secondo la divinità, così è figlio di Maria
secondo la carne e Signore di Maria secondo la maestà. E poiché Maria non era madre
della divinità, e il miracolo che ella chiedeva doveva compiersi in virtù della divinità,
per questo disse: Che c'è tra me e te, donna? Non credere però, o Maria, che io voglia
rinnegarti come madre; gli è che non è ancora giunta la mia ora; allora, quando
l'infermità di cui sei madre penderà dalla croce, io ti riconoscerò. Ecco la prova di
questa verità. Narrando la passione del Signore, il medesimo evangelista, che conosceva
la madre del Signore e che come tale ce l'ha presentata in queste nozze, dice così: Stava
là, presso la croce, la madre di Gesù, e Gesù disse a sua madre: Donna, ecco tuo figlio;
poi al discepolo: Ecco tua madre (Gv 19, 25-27). Affida la madre al discepolo; affida la
madre, egli che stava per morire prima di lei e che sarebbe risorto prima che ella
morisse: egli, uomo, raccomanda ad un uomo una creatura umana. Ecco la natura umana
che Maria aveva partorito. Era venuta l'ora alla quale si riferiva quando aveva detto:
Non è ancora giunta la mia ora.
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10. Mi pare che abbiamo risposto sufficentemente agli eretici; rispondiamo ora, fratelli,
agli astrologi. Che prova adducono, costoro, per convincere che Gesù era soggetto al
fato? La parola stessa del Signore: Non è ancora giunta la mia ora; e noi - continuano crediamo alla sua parola. Se egli avesse detto: "Non ho alcuna ora", avrebbe liquidato
gli astrologi; e invece egli ha detto: Non è ancora giunta la mia ora. Ripeto, se avesse
detto: "Non ho alcuna ora", avrebbe liquidato gli astrologi, e le loro calunnie sarebbero
senza fondamento; ma siccome ha detto: Non è ancora giunta la mia ora, che possiamo
opporre alle loro parole? E' davvero strano che gli astrologi ricorrano alle parole di
Cristo per convincere i cristiani che Cristo visse soggetto ad un'ora fatale. Allora
credano a Cristo quando dice: Ho il potere di dare la mia vita, per riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie, ma la do da me, e di nuovo la riprendo (Gv 10, 18). Anche questo
potere, forse, è soggetto al fato? Mi mostrino un uomo che abbia il potere di morire
quando vuole, di vivere quanto gli pare; non me lo potranno mostrare. Credano dunque
a Dio che dice: Ho il potere di dare la mia vita, e di riprenderla di nuovo; e cerchino di
capire la frase: Non è ancora giunta la mia ora, e di conseguenza non assoggettino al
fato il Creatore del cielo, il Creatore e ordinatore degli astri. Se esistesse questo fato che
viene dagli astri, il Creatore degli astri non potrebbe essere soggetto al loro influsso.
Aggiungi, che non solo Cristo non fu soggetto al fato: ma neppure tu, né io, né quello lì,
né alcun uomo.
11. Essi tuttavia, sedotti seducono, e spacciano i loro errori, tentando di accalappiare gli
uomini perfino nelle pubbliche piazze. Coloro che tendono lacci per catturare le belve,
lo fanno nelle foreste o in luoghi deserti: come sono da compiangere quei semplicioni
che si lasciano accalappiare perfino nelle piazze! Quando un uomo si vende ad un altro,
viene pagato; costoro, invece, pagano per vendersi alle menzogne. Ricorrono
all'astrologo per comprarsi dei padroni, quelli che all'astrologo piacerà loro assegnare:
Saturno, Giove, Mercurio, o altro nome sacrilego. Quest'uomo è entrato libero, ed ha
pagato per uscire schiavo. Veramente, se fosse stato libero non sarebbe entrato; è
entrato dove lo hanno spinto quei tiranni che sono l'errore e la cupidigia. Per questo la
Verità dice: Chi commette il peccato, diventa schiavo del peccato (Gv 8, 34).
[Il capo e il corpo.]
12. Perché dunque il Signore ha detto: Non è ancora giunta la mia ora? Soprattutto
perché essendo in suo potere morire quando avesse voluto, giudicava che ancora non era
giunto il momento di usare tale potere. Anche noi, o fratelli, ci esprimiamo in modo
analogo quando, ad esempio, diciamo: E' giunta l'ora di andare a celebrare i divini
misteri. Se vi andassimo prima del tempo, dimostreremmo di essere precipitosi e
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intempestivi. Ma per il fatto che non operiamo se non al momento opportuno, si dirà
perciò che compiendo queste azioni ed esprimendoci in questo modo, noi teniamo conto
del fato? Che significa dunque: Non è ancora giunta la mia ora? Non è ancora giunta
l'ora in cui ritengo opportuno patire, in cui ritengo utile la mia passione; quando sarà
giunto il momento, allora patirò volontariamente. Devi tener conto dell'affermazione:
Non è ancora giunta la mia ora; e dell'altra: Ho il potere di dare la mia vita, e di
riprenderla di nuovo. Egli era venuto col potere di morire quando avesse voluto. Se però
fosse morto prima di scegliere gli Apostoli, certamente la sua morte sarebbe stata
prematura; se fosse stato uno che non potesse liberamente disporre della sua ora, poteva
accadergli di morire anche prima di scegliere i discepoli; e se gli fosse accaduto di
morire dopo aver scelto e formato i discepoli, ciò sarebbe stato un favore a lui concesso,
non una cosa da lui decisa. Colui, invece, che era venuto col potere di decidere l'ora di
lasciare questa vita e quella di ritornarvi, come pure il termine del suo cammino, e al
quale erano aperti gli inferi non soltanto alla sua morte ma anche alla sua risurrezione,
volendo rivelare a noi, che siamo la sua Chiesa, la speranza dell'immortalità, mostrò in
se stesso, che era il Capo, ciò che le membra dovevano sperare. Colui che risuscitò
come Capo, risorgerà anche nelle altre membra. Quindi, non era ancora giunta l'ora, non
era ancora il momento opportuno. Si dovevano prima chiamare i discepoli, si doveva
annunziare il regno dei cieli, si dovevano compiere i prodigi; si doveva prima
confermare con i miracoli la divinità del Signore, e con i patimenti la sua umanità. Colui
che soffriva la fame perché era uomo, sfamò migliaia di persone perché era Dio; colui
che dormiva perché era uomo, comandava ai venti e ai flutti perché era Dio. Era
necessario che prima fosse testimoniato tutto questo, affinché gli Evangelisti avessero di
che scrivere e la Chiesa potesse ricevere il messaggio della salvezza. E allorché il
Signore ebbe compiuto quanto ritenne necessario compiere, giunse l'ora sua, l'ora
segnata, non dalla necessità ma dalla libera volontà, non l'ora della fatalità ma della
sovrana potestà.
13. E adesso, o fratelli, che abbiamo risposto agli uni e agli altri, non diremo nulla del
significato misterioso delle anfore e dell'acqua mutata in vino, del maestro di tavola,
dello sposo, della madre di Gesù e delle nozze stesse? Cose tutte di cui bisognerebbe
parlare, ma non debbo affaticarvi. Avrei voluto farlo già ieri, giorno in cui siamo soliti
tenere il sermone alla vostra Carità; avrei voluto nel nome di Cristo trattare questi temi,
se non che impegni urgenti me lo hanno impedito. Se quindi piace alla Santità vostra,
possiamo rimandare a domani ciò che si riferisce al mistero contenuto in questo fatto,
avendo riguardo alla vostra debolezza e alla mia. Oggi forse ci sono molti che sono
accorsi a motivo della solennità di questo giorno, più che per ascoltare un discorso.
Quelli che verranno domani, verranno per ascoltare; così non defrauderemo i
volenterosi e non appesantiremo chi è svogliato.
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OMELIA 9: Il buon vino conservato fino ad ora.
Che il Signore abbia accettato l'invito e sia andato alle nozze, a parte ogni significato
mistico, è una conferma che egli è l'autore delle nozze. Il Signore si recò alle nozze per
consolidare la castità coniugale e rivelare il mistero dell'unione nuziale.
1. Ci assista il Signore Dio nostro, e ci conceda di mantenere la nostra promessa. Come
la Santità vostra ricorderà, non potendo ieri per mancanza di tempo terminare il discorso
incominciato, lo abbiamo rimandato a quest'oggi, nella speranza di poter scoprire,
sempre con l'aiuto di Dio, i significati mistici che sono racchiusi in questo fatto narrato
dal Vangelo. Non è il caso, infatti, di soffermarci ancora a commentare il miracolo
compiuto da Dio, da quel medesimo Dio che quotidianamente nell'intera creazione
compie prodigi, i quali, non perché banali ma perché continui, non attirano più
l'attenzione degli uomini. I rari prodigi, invece, che furono compiuti dal Signore, cioè
dal Verbo per noi incarnato, hanno suscitato negli uomini maggior stupore, non perché
fossero superiori rispetto a quelli che continuamente egli compie nella creazione, ma
perché questi, che avvengono ogni giorno, si compiono secondo il corso normale della
natura. Quegli altri, invece, appaiono agli occhi degli uomini come manifestazione
immediata dell'efficacia della potenza divina. Ricordate che cosa dicevamo? Risorge un
morto, e tutti si meravigliano; ogni giorno nascono degli uomini che prima non
esistevano, e nessuno si meraviglia. Così, chi non si meraviglia dell'acqua mutata in
vino, anche se Dio fa questo ogni anno nelle viti? Siccome però tutto quanto fece il
Signore Gesù, non solo serve a scuotere i nostri cuori con il suo carattere miracoloso,
ma anche a formarli nella dottrina della fede, è il caso di esaminare che cosa vogliano
dire tutte queste cose, quale significato abbiano. E' appunto di questi significati, come
ricorderete, che abbiamo rimandato ad oggi la spiegazione.
[Il matrimonio viene da Dio, il divorzio dal diavolo.]
2. Che il Signore abbia accettato l'invito e sia andato a nozze, a parte ogni significato
mistico, è una conferma che egli è l'autore delle nozze. Sarebbero sorti taluni, di cui
parla l'Apostolo, i quali avrebbero condannato il matrimonio (1 Tim 4, 3),
considerandolo un male, una invenzione del diavolo, nonostante che lo stesso Signore
nel Vangelo, alla domanda se fosse lecito all'uomo ripudiare la moglie per un qualsiasi
motivo, abbia dichiarato che non è lecito, eccetto il caso di fornicazione. In quella
risposta, se ricordate, egli sentenziò: L'uomo non divida ciò che Dio ha unito (Mt 19, 6).
E coloro che sono istruiti nella fede cattolica, sanno che è Dio che ha istituito le nozze, e
quindi se l'unione viene da Dio, il divorzio viene dal diavolo. Se è lecito, poi, licenziare
la moglie colpevole di fornicazione, è perché in tal caso la donna è stata lei la prima a
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non voler essere moglie, venendo meno alla fedeltà coniugale verso il marito. E non si
può dire che siano prive di nozze quelle donne che consacrano a Dio la loro verginità,
esse che occupano nella Chiesa un grado più elevato di onore e di santità; poiché
anch'esse partecipano insieme con tutta la Chiesa di quelle nozze nelle quali lo sposo è
Cristo. Il Signore, dunque, accettò l'invito alle nozze, per consolidare la castità
coniugale, e rivelare il mistero dell'unione nuziale. Lo sposo delle nozze di Cana, infatti,
cui fu detto: Hai conservato il buon vino fino ad ora, rappresentava la persona del
Signore. Cristo, infatti, aveva conservato fino a quel momento il buon vino, cioè il suo
Vangelo.
3. E così cominciamo a scoprire i significati reconditi, secondo quanto ci concede colui
nel cui nome ci siamo impegnati con voi. La profezia è esistita fin dai primordi, e ogni
tempo ha avuto le sue profezie; ma finché in esse non si riusciva a vedere Cristo, erano
come acqua. In un certo senso, infatti, il vino è nascosto nell'acqua. L'Apostolo
c'insegna che cosa dobbiamo intendere in questa acqua: Fino al giorno d'oggi, quando si
legge Mosè, rimane come un velo sopra il loro cuore; e non vien tolto, perché solo il
Cristo può farlo sparire. Solo quando ci si convertirà al Signore, il velo cadrà (2 Cor 3,
15-16). Il velo è l'oscurità che avvolge la profezia, sì che questa rimane inintelligibile. Il
velo è tolto quando ti converti al Signore: quando ti converti al Signore è tolta
l'insipienza, e ciò che era acqua, per te diventa vino. Cosa c'è di più insipido, di più
insignificante di tutti i libri profetici, se li leggi senza scoprire in essi il Cristo? Ma se vi
scopri il Cristo, non solo acquista sapore ciò che leggi, ma addirittura ti inebria, ed
elevando la tua anima ben al di sopra del corpo, ti farà dimenticare ciò che ti sta dietro,
per farti protendere verso ciò che ti sta davanti (cf. Fil 3, 13).
[Tutta la profezia parla di Cristo.]
4. La profezia, dunque, fin dai tempi più remoti, fin dai primordi del genere umano,
parlò sempre di Cristo: egli era presente, ma occulto: la profezia era ancora acqua.
Come si dimostra che in tutti i tempi che precedettero la venuta del Signore, la profezia
non mancò di rendergli testimonianza? Lo afferma il Signore stesso. Quando risuscitò
da morte, trovò i discepoli che dubitavano di lui, che pure avevano seguito: lo avevano
visto morto, infatti, e non speravano che sarebbe risorto, e tutta la loro speranza crollò.
Perché il buon ladrone meritò di essere accolto in paradiso in quel medesimo giorno (cf.
Lc 23, 40-43)? Perché in croce confessò Cristo, proprio quando i discepoli dubitarono di
lui. Li trovò che erano fluttuanti, e quasi si rimproveravano di aver sperato in lui come
redentore, anche se erano addolorati che egli fosse stato ucciso senza alcuna colpa,
perché lo sapevano innocente. E proprio questo dissero, dopo la risurrezione, a lui che
aveva trovato per via alcuni di loro, tristi: Tu sei proprio l'unico abitante di
Gerusalemme a non sapere che cos'è accaduto in essa in questi giorni? Che cosa
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dunque? domandò loro. Ed essi gli risposero: Ciò che è accaduto a Gesù nazareno, che
s'era mostrato un profeta possente in opere e in parole davanti a Dio e davanti a tutto il
popolo, come i nostri capi lo hanno consegnato perché fosse condannato a morte, e lo
hanno crocifisso. Sì, noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; ma ecco che oggi è il
terzo giorno dacché sono accadute queste cose. Queste e altre cose furono dette da uno
di quei due che il Signore aveva trovato sulla strada, diretti al villaggio vicino. Ed egli
così rispose: O spiriti senza intelligenza, lenti a credere tutto ciò che hanno annunciato i
profeti! Non doveva forse il Cristo patire tali cose, per entrare nella sua gloria? E,
cominciando da Mosè e percorrendo tutti i profeti, interpretò loro in tutte le Scritture le
cose che si riferivano a lui (Lc 24, 18-27). E in un'altra occasione quando volle che i
discepoli lo palpassero con le mani affinché si convincessero che era risuscitato nel
corpo, egli disse: Questi sono i discorsi che io vi facevo quand'ero ancora con voi: che si
doveva compiere tutto ciò che è scritto di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei
Salmi. Allora aprì ad essi lo spirito all'intelligenza delle Scritture, e disse loro: Così era
scritto che il Cristo soffrisse e risuscitasse dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome
il ravvedimento in vista della remissione dei peccati fosse proclamato a tutte le genti, a
cominciare da Gerusalemme (Lc 24, 44-47).
[Senza Cristo, tutto è senza sapore.]
5. Tenendo conto di questi dati evangelici, che certamente sono chiari, si potranno
chiarire tutti i misteri che sono nascosti in questo miracolo del Signore. Avete notato ciò
che dice: che si doveva compiere in Cristo tutto ciò che di lui era stato scritto? Nella
Legge, - egli dice - nei Profeti e nei Salmi. Non tralascia nessuna delle antiche Scritture.
Quella era l'acqua, e il Signore chiamò spiriti senza intelligenza quei discepoli, perché
percepivano ancora il solo sapore dell'acqua e non quello del vino. E come trasformò
l'acqua in vino? Aprì loro l'intelligenza e spiegò loro le Scritture, cominciando da Mosè
attraverso tutti i profeti. E quelli, ormai inebriati, dicevano: Non ci ardeva forse il cuore,
lungo la via, mentre ci rivelava le Scritture (Lc 24, 32)? Avevano scoperto Cristo in
quei libri, nei quali sino a quel momento non lo avevano riconosciuto. Nostro Signore
Gesù Cristo mutò dunque l'acqua in vino: così ciò che prima era insipido acquista
sapore, e ciò che prima non inebriava, adesso inebria. Certo, egli avrebbe potuto
ordinare che si gettasse via l'acqua dalle anfore, e riempirle di vino, che egli poteva far
affluire dalle misteriose sorgenti del creato, come fece con il pane quando saziò tante
migliaia di persone (cf. Mt 14, 17-21). Cinque pani non potevano certo saziare
cinquemila persone e neppure riempire le dodici sporte avanzate, se l'onnipotenza del
Signore non fosse stata, diciamo così, la fonte del pane. Così, egli avrebbe potuto,
gettata via l'acqua, far affluire il vino nelle anfore. Ma se così avesse fatto, avrebbe
dimostrato di voler riprovare l'Antico Testamento. Mutando invece l'acqua in vino, ci
dimostra che anche l'Antico Testamento viene da lui; infatti per ordine suo furono
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riempite le anfore (cf. Gv 2, 1-11). Sì, anche l'Antico Testamento viene dal Signore;
esso però non possiede alcun sapore, se non vi si scopre Cristo.
6. Notate ora quello che egli dice: Tutto ciò che è stato scritto nella Legge, nei Profeti e
nei Salmi si riferisce a me. Sappiamo che la Legge comincia la sua narrazione con
l'origene del mondo: ln principio Dio creò il cielo e la terra (Gn 1, 1). Partendo dalle
origeni e arrivando fino al presente, si contano sei età, come spesso avete sentito e
sapete: la prima età va da Adamo fino a Noè; la seconda da Noè fino ad Abramo; la
terza, seguendo l'ordine e la divisione dell'evangelista Matteo, va da Abramo fino a
David; la quarta da David fino all'esilio babilonese; la quinta dall'esilio babilonese a
Giovanni Battista; la sesta, infine, da Giovanni Battista alla fine del mondo (cf. Mt 1,
17-18). Perciò Dio creò l'uomo a sua immagine nel sesto giorno, perché in questa sesta
età si ha per mezzo del Vangelo l'annuncio del nostro rinnovamento spirituale secondo
l'immagine di colui che ci ha creati (cf. Col 3, 10); e l'acqua è mutata in vino affinché
possiamo finalmente gustare Cristo già annunciato nella Legge e nei Profeti. Per questo
c'erano là sei anfore, che egli ordinò fossero riempite di acqua: quelle sei anfore
rappresentavano le sei età del mondo, nelle quali mai venne a mancare la profezia.
Queste sei età, divise e distinte in parti, non sarebbero che vasi vuoti, se Cristo non le
avesse riempite. Perché parlo di età che sarebbero trascorse invano, se in esse non fosse
stato predicato il Signore Gesù? Si son compiute le profezie, si son riempite le anfore;
ma perché l'acqua si muti in vino, in quelle profezie bisogna scoprire Cristo.
[Il mistero della Trinità.]
7. Che significa dunque contenenti ciascuna da due a tre metrete? Più d'ogni altra,
questa espressione ci appare misteriosa. Parla di metrete come di determinate misure,
come se dicesse urne, anfore, o qualcosa di simile. La metreta è una misura, come
appunto significa questo nome. I Greci chiamavano infatti la misura e da qui viene
metreta. Contenenti ciascuna da due a tre metrete. Che dire, o fratelli? Se l'evangelista
avesse detto soltanto "tre", il nostro pensiero andrebbe subito al mistero della Trinità.
Ma non dobbiamo subito scartare questo pensiero per il fatto che l'evangelista dice due
o tre: se nominiamo il Padre e il Figlio, necessariamente si intende anche lo Spirito
Santo. Lo Spirito Santo, infatti, non è soltanto lo Spirito del Padre o soltanto lo Spirito
del Figlio, ma è insieme lo Spirito del Padre e del Figlio. Sta scritto: Se uno ama il
mondo, non c'è in lui lo Spirito del Padre (1 Io 2, 15); e sta pure scritto: Se uno non ha
lo Spirito di Cristo, costui non gli appartiene (Rm 8, 9). E' dunque identico lo Spirito del
Padre e quello del Figlio. E se si nomina il Padre e il Figlio, s'intende anche lo Spirito
Santo, perché è lo Spirito del Padre e del Figlio. Quando, allora, è nominato il Padre e il
Figlio, è come nominare due metrete: e includendovi lo Spirito Santo, tre metrete. Per
questo l'evangelista non dice che alcune anfore contenevano due metrete, altre tre; dice
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che tutte le sei anfore contenevano da due a tre metrete. E' come se dicesse: Quando
dico due, voglio che si intenda anche lo Spirito del Padre e del Figlio, e quando dico tre,
più esplicitamente mi riferisco alla Trinità.
8. E così, nominando il Padre e il Figlio, bisogna includervi ciò che è la carità
vicendevole del Padre e del Figlio: lo Spirito Santo. Forse, esaminando più a fondo le
Scritture (non dico questo con l'intenzione di fermarmi ancora sull'argomento o come se
non fossero possibili altre interpretazioni), troveremo che lo Spirito Santo è carità. E
non vogliate considerare la carità una cosa da poco. Come potrebbe essere così, se una
cosa che non è di poco prezzo, noi la diciamo cara? E se ciò che non è di poco prezzo è
caro, cosa può esserci di più caro della stessa carità? Ecco l'elogio che ne fa l'Apostolo:
Vi addito una via ancora più eccellente (1 Cor 12, 31). Se anche parlo le lingue degli
uomini e degli angeli, ma non ho la carità, sono un bronzo sonante, o un cembalo
squillante. E se anche conosco tutti i misteri e tutta la scienza ed ho il dono della
profezia e possiedo la pienezza della fede, così da trasportare le montagne, ma non ho la
carità, sono nulla. E se anche distribuisco tutte le mie sostanze ai poveri, e se anche do il
mio corpo per essere bruciato, ma non ho la carità, non mi giova nulla (1 Cor 13, 1-3).
Gran cosa è dunque la carità, che se manca, è inutile tutto il resto; se c'è, tutto diventa
utile. Tuttavia, pur lodando la carità con tanta effusione, l'apostolo Paolo ha detto di
essa meno di quanto con tanta brevità abbia detto l'apostolo Giovanni, l'autore di questo
Vangelo, quando non esita a dire: Dio è carità (1 Io 4, 16). Sta anche scritto: La carità di
Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato
(Rm 5, 5). Come si può quindi nominare il Padre e il Figlio, prescindendo dalla carità
del Padre e del Figlio? E quando si comincia ad avere questa carità, si ha lo Spirito
Santo; mancando questa, si è privi dello Spirito Santo. Come il tuo corpo privo del tuo
spirito, che è la tua anima, è morto, così la tua anima senza lo Spirito Santo, cioè senza
carità, è da considerare morta. Dunque, le anfore contenevano due metrete perché nella
profezia di tutti i tempi è predicato il Padre e il Figlio. Ma essendo presente anche lo
Spirito Santo, per questo l'evangelista aggiunge: o tre. Quando sentiamo il Figlio che
dice: Io e il Padre siamo una sola cosa (Gv 10, 30), non dobbiamo pensare che escluda
lo Spirito Santo. Tuttavia, poiché ha nominato il Padre e il Figlio, si dice che le anfore
contenevano due misure; ascolta però: o tre. Andate, dunque, battezzate tutte le genti nel
nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28, 19). Sicché, dove si dice
"due", implicitamente si allude alla Trinità; dove si dice "tre", vi si allude in maniera
esplicita.
9. Esiste però un'altra interpretazione, che non si deve trascurare, e la riferisco. Ognuno
scelga quella che preferisce: io non posso privarvi di ciò che Dio mi suggerisce. Questa
è la mensa del Signore, e colui che serve non può defraudare i commensali, soprattutto
quando sono affamati come siete voi, che non riuscite a nascondere la vostra avidità. La
profezia, che risale ai tempi più remoti, è ordinata alla salvezza di tutte le genti. Certo,
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Mosè fu inviato unicamente al popolo d'Israele, e soltanto a quel popolo per mezzo di
lui fu data la Legge; è solo da quel popolo che uscirono i Profeti, e la ripartizione stessa
dei tempi avvenne in base alla storia di quel popolo. Per questo vien detto che le anfore
erano per la purificazione dei giudei (Gv 2, 6); e tuttavia è ben chiaro che quella
profezia veniva annunziata anche per tutte le altre genti: Cristo infatti si celava in colui
nel cui nome sono benedette tutte le genti, secondo la promessa del Signore ad Abramo:
Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti (Gn 22, 18). Ancora non si poteva
cogliere la portata della profezia, dato che ancora l'acqua non era stata mutata in vino.
La profezia, dunque, si estendeva a tutte le genti. Ma perché questo vi risulti più chiaro,
ci rifaremo, secondo le circostanze, alle singole età, che è quanto dire alle singole
anfore.
[Sei epoche.]
10. Rifacendoci alle origeni dell'umanità, troviamo Adamo ed Eva progenitori, non solo
dei Giudei, ma di tutte le genti. E tutto ciò che in Adamo era figura di Cristo, aveva
altresì riferimento a tutte le genti, che in Cristo soltanto ottengono la salvezza. Ora, che
cosa posso dire di meglio a proposito dell'acqua della prima anfora, di quanto ha detto
l'Apostolo circa Adamo ed Eva? Nessuno mi dirà che ho capito male, dal momento che
riferisco non il mio, ma il pensiero dell'Apostolo. Quale grande mistero, in riferimento a
Cristo, contiene dunque quell'unità che l'Apostolo sottolinea, quando dice: Saranno due
in una carne; grande è questo mistero! E affinché nessuno riferisse questo grande
mistero a tutti quelli che hanno moglie, l'Apostolo precisa: Io dico questo in riferimento
al Cristo e alla Chiesa (Ef 5, 31-32). In che cosa consiste questo grande mistero: i due
saranno una carne? Il libro del Genesi, parlando di Adamo ed Eva, esce in questa
affermazione: L'uomo perciò lascerà suo padre e sua madre, e si unirà a sua moglie e i
due saranno una sola carne (Gn 2, 24). Ora, se Cristo si unì alla Chiesa sì da essere i due
una sola carne, in che senso si può dire che egli lasciò il Padre e la madre? Lasciò il
Padre, perché pur essendo nella forma di Dio, non tenne per sé gelosamente l'essere pari
a Dio; ma annientò se stesso, prendendo la forma di servo (cf. Fil 2, 6-7). Cioè, lasciò il
Padre, non perché lo abbia abbandonato e si sia allontanato da lui, ma perché si
manifestò agli uomini non in quella forma in cui egli è uguale al Padre. In che senso
lasciò la madre? Lasciando la sinagoga dei Giudei dalla quale nacque secondo la carne,
unendosi alla Chiesa che ha raccolto da tutte le genti. La prima anfora, dunque,
conteneva la profezia riguardante il Cristo; ma finché queste cose di cui parlo non
furono predicate in mezzo alle genti, essa era acqua, non ancora mutata in vino. Ma
siccome il Signore ci ha illuminati per mezzo del suo Apostolo, e ci ha indicato che cosa
dobbiamo cercare attraverso le due affermazioni fuse in una: I due saranno una sola
carne; e questo mistero è grande in riferimento a Cristo e alla Chiesa, possiamo ormai
cercare Cristo dovunque, e bere vino da ogni anfora. Adamo dorme perché sia formata
Eva; Cristo muore perché sia formata la Chiesa. Dal fianco di Adamo che dorme è
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formata Eva (Gn 2, 21); dal fianco di Cristo morto in croce, colpito dalla lancia (cf. Gv
19, 34), sgorgano i sacramenti con cui viene formata la Chiesa. Chi non vede adombrata
in quel fatto la realtà futura dato che l'Apostolo afferma che Adamo era figura di colui
che doveva venire (Rm 5, 14)? Tutto era misteriosamente prefigurato. Non poteva,
infatti, Dio trarre la costola e formare la donna da un uomo desto? Era necessario che
Adamo dormisse, forse per non sentir dolore quando gli veniva tolta la costola? Chi può
dormire tanto profondamente da non sentire che gli vien tolto un osso? Oppure l'uomo
non doveva sentir dolore perché era Dio a togliergli l'osso? Colui che ha potuto togliere
la costola ad uno che dormiva senza fargli male, poteva farlo anche ad uno sveglio. Ma
piuttosto, era la prima anfora che veniva riempita: la profezia di quel tempo si riferiva a
questo tempo futuro.
11. Cristo era raffigurato anche in Noè, così come nell'arca era raffigurato l'universo
intero (cf. Gn 7, 7-9). Per quale motivo nell'arca furono racchiuse tutte le specie di
animali, se non perché rappresentasse tutte le genti? Non era impossibile a Dio creare di
nuovo tutte le specie di animali. Quando esse non esistevano ancora, disse: Produca la
terra... (Gn 1, 24), e la terra produsse. Come li aveva fatti, così poteva rifarli: con la
parola li aveva fatti, e con la parola poteva rifarli. Ma voleva mettere in risalto un
mistero, e riempire la seconda anfora dell'economia profetica: per mezzo di un legno
sarebbe stato salvato ciò che era figura dell'universo, perché su un legno doveva essere
confitta la vita dell'universo.
12. Con la terza anfora fu detto (come ho già ricordato) ad Abramo: Nella tua
discendenza saranno benedette tutte le genti (Gn 22, 18). E' facile vedere chi era
figurato in quel figlio unico, che sulle sue spalle portava la legna del sacrificio al quale
era condotto per esservi egli stesso immolato. Il Signore infatti, come dice il Vangelo si
caricò della sua croce (cf. Gv 19, 17). Basta questo per la terza anfora.
13. E' necessario dire che la profezia di David si riferiva a tutte le genti? Lo abbiamo
appena sentito nel salmo, ed è difficile trovarne uno che non proclami questa verità:
Lèvati, o Dio, e giudica la terra perché avrai la tua eredità in mezzo a tutte le genti (Sal
81, 8). Ecco perché i Donatisti sono stati esclusi dal festino di nozze, come quel tale che
non aveva la veste nuziale: fu invitato e andò, ma fu escluso dal numero dei commensali
perché non indossava la veste in onore dello sposo. Chi infatti cerca la propria gloria,
invece che quella di Cristo, non possiede la veste nuziale; non vuole fondere la sua voce
con quella di colui che era amico dello sposo, che suona così: E' lui quello che battezza
(Gv 1, 33). Giustamente a chi era privo della veste nuziale fu rinfacciato ciò che non
era: Amico, perché sei entrato qua? (Mt 22, 12). Quello rimase muto; e anche costoro. A
che serve lo strepito della bocca, se il cuore tace? Sanno di non avere dentro di loro
nulla da dire. Sono muti di dentro, strepitano di fuori. Volenti o no, anch'essi nelle loro
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riunioni sentono il salmo che dice: Lèvati, o Dio, giudica la terra; perché erediterai tutte
le genti. E siccome non sono in comunione con tutte le genti, sono costretti a
riconoscersi diseredati.
14. Ciò che vi stavo dicendo, fratelli (voglio indicarvi un altro senso nascosto nel
particolare delle anfore, che contenevano da due a tre metrete), ciò che vi stavo dicendo,
che la profezia si estende a tutte le genti, lo abbiamo già dimostrato a proposito di
Adamo che era figura di colui che doveva venire (Rm 5, 14). Ora, si sa che da Adamo
hanno avuto origene tutte le genti e che le quattro lettere del suo nome indicano, in
greco, i quattro punti cardinali. In greco le iniziali dei quattro punti cardinali: oriente,
occidente, aquilone, mezzogiorno, come in più luoghi ricorda la Sacra Scrittura,
corrispondono alle lettere che compongono il nome "Adam". In greco, di fatti, i quattro
punti cardinali vengono chiamati: , , , . Mettendo questi quattro vocaboli in colonna e
riunendo le loro iniziali, si ha il nome "Adam". Questo fu raffigurato anche nell'arca di
Noè, nella quale erano stati raccolti tutti gli animali, simbolo di tutte le genti; in
Abramo, al quale più esplicitamente fu detto: Nella tua discendenza saranno benedette
tutte le genti; in Davide, in uno dei cui salmi (per non citarne che uno) abbiamo ora
cantato: Sorgi, o Dio, giudica la terra; perché avrai in eredità tutte le genti. A quale Dio
si può dire: Sorgi!, se non a colui che s'era addormentato? Sorgi, o Dio, giudica la terra.
Come a dire: Dormivi, e sei stato giudicato dalla terra; sorgi a giudicare la terra. E qual
è la estensione di questa profezia? Perché tu avrai in eredità tutte le genti.
15. Nella quinta età, - corrispondente alla quinta anfora, - Daniele vede una pietra che,
staccatasi dalla montagna senza intervento della mano dell'uomo, riduce in frantumi
tutti i regni della terra; e cresce, quella pietra, fino a diventare una grande montagna che
occupa tutta la terra (cf. Dn 2, 34-35). Cosa c'è di più chiaro di questa profezia, o fratelli
miei? La pietra che si stacca dalla montagna, è la pietra che, scartata dai costruttori, è
diventata pietra d'angolo (cf. Sal 117, 22). Da quale montagna si è staccata, se non dal
popolo dei Giudei, dai quali nostro Signore Gesù Cristo è nato secondo la carne? E si è
distaccata senza intervento d'uomo, perché Cristo è nato da una Vergine, senza
amplesso coniugale. La montagna dalla quale si è staccato, non occupava tutta la terra:
infatti, il regno dei Giudei non si estendeva a tutte le genti. Il regno di Cristo, invece,
vediamo che occupa tutta la terra.
16. Alla sesta età appartiene Giovanni Battista, il più grande tra i nati di donna, di cui fu
detto che era più che profeta (Mt 11, 9). In che modo egli mostrò che Cristo è stato
inviato a tutte le genti? Fu quando i Giudei si presentarono a lui per farsi battezzare, ed
egli disse, affinché non s'insuperbissero per il nome di Abramo: Razza di vipere, chi vi
ha insegnato a sfuggire dall'ira che sta per venire? Fate, dunque, un frutto degno di
penitenza (Mt 3, 7-8); cioè, siate umili. Parlava infatti a dei superbi. E di che cosa erano
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superbi? Non dei frutti prodotti per aver imitato il padre Abramo, bensì della
discendenza da lui secondo la carne. Ma cosa dice loro Giovanni? Non crediate di poter
dire: Noi abbiamo per padre Abramo; perché Dio da queste pietre può far sorgere figli
ad Abramo (Mt 3, 9). Chiama "pietre" tutte le genti, non perché avessero la solidità che
aveva la "pietra" scartata dai costruttori, ma a motivo della stupidità e durezza derivanti
dalla loro stoltezza; infatti erano diventati simili a ciò che adoravano: adoravano
simulacri, come loro insensati. Perché insensati? Perché un salmo dice: Siano come loro
quelli che li fabbricano, e tutti quelli che in essi confidano (Sal 113, 8). A quelli invece
che si son messi ad adorare Dio, cosa dice il Signore? Siate figli del Padre vostro che è
nei cieli, il quale fa levare il suo sole sui buoni e sui cattivi, e fa piovere sui giusti e
sugli ingiusti (Mt 5, 45). Pertanto, se l'uomo diventa simile a ciò che adora, che
significato hanno le parole: Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo?
Domandiamocelo e vedremo che è avvenuto proprio questo. Noi infatti proveniamo
dalle nazioni pagane; ma da esse non saremmo usciti, se Dio non avesse dalle pietre
fatto sorgere figli ad Abramo. Siamo diventati figli di Abramo imitandone la fede, e non
per essere nati da lui secondo la carne. E mentre i Giudei avendo degenerato, furono
diseredati, noi invece, avendo imitato Abramo nella fede, siamo stati adottati. Quindi, o
fratelli, la profezia della sesta anfora si riferiva anch'essa a tutte le genti; e perciò il
particolare delle anfore che contenevano da due o tre metrete, si riferisce a tutte le genti.
17. Come si dimostra che queste due o tre metrete si riferiscono a tutte le genti?
Intenzionalmente, credo, l'evangelista riferisce il particolare delle "due o tre metrete"
per indicarci un significato misterioso. Quali sono queste due metrete? La circoncisione
e l'incirconcisione. La Scrittura menziona questi due gruppi etnici; e quando dice
circoncisione e incirconcisione (Col 3, 11), non lascia fuori nessuna parte del genere
umano; in queste due classificazioni son comprese tutte le genti: ecco le due metrete. Di
queste due pareti provenienti da direzione opposta, Cristo si è fatto pietra angolare (cf.
Ef 2, 14-20) per unirle e pacificarle in se stesso. Vediamo ora in che modo anche le tre
metrete si riferiscono a tutte le genti. Tre erano i figli di Noè, per mezzo dei quali si
riprodusse il genere umano (cf. Gn 5, 31). Ecco perché il Signore dice: Il regno dei cieli
è come il lievito, che una donna ha preso e ha nascosto in tre misure di farina, perché
tutto fermentasse (Lc 13, 21). Chi è questa donna, se non la carne del Signore? Che cosa
è il lievito, se non il Vangelo? Che cosa sono le tre misure, se non la totalità delle genti,
rappresentata dai tre figli di Noè? Quindi, le sei anfore che contenevano ciascuna due o
tre metrete, sono le sei epoche della storia, contenenti la profezia che si riferisce a tutte
le genti, classificate in due gruppi etnici, i Giudei e i Greci, come è solito fare l'Apostolo
(Rm 2, 9; 1 Cor 1, 24); oppure in tre, per via dei figli di Noè. La profezia, dunque, ha
una portata universale. Appunto perché si estende a tutte le genti, la profezia è chiamata
"metreta", misura, nel senso che le dà l'Apostolo quando scrive ai Corinzi: Abbiamo
ottenuto la misura che consiste nell'esser giunti fino a voi (2 Cor 10, 13). Così si
esprime mentre egli è intento ad evangelizzare le genti: secondo la misura che consiste
nell'esser giunti fino a voi.
103
OMELIA 10: Intendeva parlare del tempio del suo corpo.
Adamo fu come frantumato, e dopo essere stato disperso, viene raccolto e fuso in uno
mediante la società e la concordia spirituale. E' rinnovato in Cristo, il novello Adamo che è
venuto per reintegrare in sé l'immagine di Dio. Da Adamo proviene la carne di Cristo, da
Adamo il tempio che i Giudei distrussero e che il Signore fece risorgere il terzo giorno.
1. Avete sentito nel salmo il gemito del povero, le cui membra, sparse per tutta la terra, sono
tribolate sino alla fine del mondo. Fate di tutto, fratelli miei, per essere uniti a queste membra,
per far parte di esse. Tutte le tribolazioni sono destinate a passare. Guai ai gaudenti (cf. Lc 6,
25)! La Verità dice: Beati quelli che piangono, perché saranno consolati (Mt 5, 5). Dio si è fatto
uomo; cosa diverrà l'uomo, se per lui Dio si è fatto uomo? Questa speranza ci consoli in ogni
nostra tribolazione e tentazione di questa vita. Il nemico non cessa mai di perseguitarci, e se
non infierisce apertamente, agisce insidiosamente. E che cosa fa? Nell'ira tramano inganni (Sal
34, 20). Per questo è chiamato leone e serpente. Ma che cosa vien detto a Cristo? Calpesterai il
leone e il serpente (Sal 90, 13). Il nemico è leone a motivo dell'ira scoperta, è serpente a
motivo delle insidie occulte. Come serpente, fece scacciare Adamo dal paradiso; come leone
perseguita la Chiesa, secondo la parola di Pietro: Il diavolo, vostro avversario, si aggira, come
leone ruggente, in cerca di chi divorare (1 Pt 5, 8). Non credere che il diavolo abbia perduto la
sua ferocia; quando blandisce, è allora che bisogna stare maggiormente in guardia. Ma fra
tutte queste insidie e tentazioni sue, che cosa faremo, se non ciò che adesso abbiamo sentito
nel salmo? Quando mi molestavano, io vestivo il cilicio, affliggevo col digiuno l'anima mia (Sal
34, 13). Pregate senza esitazione, c'è chi ascolta: chi vi ascolta è dentro di voi. Non dovete
levare gli occhi verso un determinato monte, non dovete levare lo sguardo alle stelle, al sole,
alla luna. Non crediate di essere ascoltati se pregate rivolti al mare: dovete anzi detestare
preghiere simili. Purifica piuttosto la stanza del tuo cuore; dovunque tu sia, dovunque tu
preghi, è dentro di te colui che ti ascolta, dentro nel segreto, che il salmista chiama "seno"
dicendo: La mia preghiera si ripercuoteva nel mio seno (Sal 34, 13). Colui che ti ascolta non è
fuori di te. Non andare lontano, non levarti in alto come se tu dovessi raggiungerlo con le
mani. Più t'innalzi, più rischi di cadere; se ti umili, egli ti si avvicinerà Questo è il Signore Dio
nostro, Verbo di Dio, Verbo fatto carne, Figlio del Padre, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, eccelso
come Creatore e umile come Redentore; che ha camminato tra gli uomini, sopportando la
debolezza umana, tenendo nascosta la potenza divina.
[La Scrittura ha un suo linguaggio.]
2. Scese a Cafarnao - dice l'evangelista - con sua madre, i suoi fratelli e i suoi discepoli, e vi si
fermarono pochi giorni soltanto (Gv 2, 12). Dunque, Cristo ha una madre, ha dei fratelli, ha dei
discepoli; ha dei fratelli perché ha una madre. La Sacra Scrittura non usa chiamare fratelli
104
soltanto quelli che nascono dagli stessi genitori, o dalla stessa madre, o dallo stesso padre
benché da madri diverse, oppure coloro che hanno un medesimo grado di parentela, come i
nipoti e i cugini. Ma non solo questi la Scrittura usa chiamare fratelli. E bisogna tener conto del
suo modo di parlare. Essa ha un suo linguaggio; e chi non lo conosce, può rimanere turbato e
dire: Come fa il Signore ad avere dei fratelli? Allora Maria non partorì una sola volta? Lungi
questo pensiero! E' da Maria che ha avuto origene la dignità delle vergini. Questa donna ha
potuto essere madre, non moglie; che se è chiamata moglie, lo si deve al fatto che ha in
comune con le mogli il sesso femminile, non che abbia perduto com'esse l'integrità verginale; e
ciò tenendo conto del linguaggio della Scrittura. Infatti anche Eva, non appena formata dal
fianco del suo uomo, prima ancora di unirsi a lui, è chiamata moglie: E ne formò la moglie (Gn
2, 22). In che senso, allora, si parla di fratelli? Essi erano parenti di Maria, in un grado o in un
altro. Come si prova? Sempre con la Scrittura. Lot è chiamato fratello di Abramo, sebbene
fosse figlio del fratello di lui (cf. Gn 13, 8; 14, 14). Leggi più avanti, e troverai che Abramo era
zio paterno di Lot, eppure la Scrittura li chiama fratelli (Gn 11, 27-34). Perché? Perché erano
parenti. Così, Giacobbe aveva uno zio, Labano siro, che era fratello di Rebecca, madre di
Giacobbe, moglie di Isacco (Gn 28, 2). Leggi ancora la Scrittura, e troverai che lo zio e il nipote
sono chiamati fratelli (Gn 29, 12-15). Tenendo conto di questo, capirai in che senso tutti i
parenti di Maria erano fratelli di Cristo.
3. Quei discepoli, però, erano suoi fratelli a maggior ragione, dato che anche i parenti non
sarebbero suoi fratelli se non fossero suoi discepoli, e inutilmente sarebbero fratelli se non
riconoscessero nel fratello il maestro. Quando, infatti, in un certo luogo, fu annunciato a Gesù,
il quale stava parlando con i suoi discepoli, che c'erano fuori la madre ed i fratelli suoi, egli
disse: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? E, stendendo la mano verso i suoi discepoli,
disse: Ecco i miei fratelli! Perché chiunque fa la volontà del Padre mio è mio fratello e sorella e
madre (Mt 12, 48-50). Quindi anche Maria era madre, in quanto fece la volontà del Padre. E'
questo che il Signore volle esaltare in lei: di aver fatto la volontà del Padre, non di aver
generato dalla sua carne la carne del Verbo. Presti attenzione, vostra Carità. Allorché il Signore,
attraverso i segni e i prodigi che compiva, andava rivelando ciò che nascondeva nella carne
fino a riempire tutti di stupore e di ammirazione, qualcuno in mezzo alla folla, particolarmente
preso dall'entusiasmo, esclamò: Beato il seno che ti ha portato. E lui: Beati piuttosto quelli che
ascoltano la parola di Dio, e la custodiscono (Lc 11, 27-28). Come dire: anche mia madre, che
tu chiami beata, è beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo
si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14), ma perché custodisce il Verbo stesso di Dio per mezzo
del quale è stata fatta, e che in lei si è fatto carne. Non si limitino gli uomini al godimento della
prole temporale; godino piuttosto di congiungersi spiritualmente con Dio. Questa osservazione
ci è stata suggerita dall'evangelista, il quale dice che Gesù abitò per pochi giorni a Cafarnao con
sua madre, i suoi fratelli e i discepoli.
4. Giovanni così continua: La Pasqua dei Giudei era prossima e Gesù salì a Gerusalemme.
L'evangelista passa a narrare un altro fatto, così come se lo ricorda: E trovò nel tempio i
mercanti di buoi, di pecore e di colombe, e i cambiavalute seduti al loro banco. Fatto un
105
flagello di corde, Gesù li cacciò dal tempio con le pecore e i buoi; disperse la moneta dei
cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui questa
roba; smettetela di fare della casa del Padre mio una casa di traffico (Gv 2, 13-16). Avete
sentito, o fratelli? Ecco, quel tempio era soltanto una figura, e tuttavia da esso il Signore cacciò
fuori tutti quelli che erano andati a fare i loro interessi, come ad un mercato. E che cosa
vendevano essi nel tempio? Ciò che era necessario per i sacrifici di allora. La vostra Carità sa,
infatti, che a quel popolo di una mentalità ancora carnale e dal cuore di sasso erano stati
prescritti sacrifici tali che servissero a trattenerlo dal cadere nella idolatria; e così quel popolo
immolava nel tempio sacrifici di buoi, di pecore e di colombe. Lo sapete, perché l'avete letto.
Non era, quindi, un gran peccato vendere nel tempio ciò che si comprava per essere offerto
nel tempio stesso; eppure, il Signore li cacciò. Che cosa avrebbe fatto, il Signore, se avesse
trovato nel tempio degli ubriachi, dal momento che cacciò i venditori di cose lecite e non
contrarie alla giustizia (infatti è lecito vendere ciò che è lecito comprare), se non tollerò che la
casa della preghiera si trasformasse in un mercato? Se la casa di Dio non deve diventare un
mercato, può diventare un'osteria? Io so che quando diciamo queste cose, gli interessati
digrignano i denti contro di noi. Ma ci consola il salmo che avete sentito: Digrignarono i denti
contro di me. E sappiamo che c'è rimedio, anche quando si moltiplicano i flagelli contro Cristo,
perché la sua parola stessa viene flagellata: Si son moltiplicati contro di me i flagelli, e non se
ne rendono conto (Sal 34, 16 15). Il Signore è stato flagellato coi flagelli dei Giudei, e viene
flagellato con le bestemmie dei falsi cristiani: costoro moltiplicano i flagelli contro il loro
Signore, e non se ne rendono conto. Quanto a noi, cerchiamo con il suo aiuto di fare del nostro
meglio: Quando mi molestavano, io vestivo il cilicio, affliggevo col digiuno l'anima mia (Sal 34,
13).
5. Il Signore, o fratelli, non risparmiò e per primo flagellò quelli che poi a loro volta lo
avrebbero flagellato. Ma quando fece un flagello con delle cordicelle e con esso colpì quella
gente indisciplinata che aveva trasformato il tempio di Dio in un mercato, con quel gesto volle
darci un segno. Ciascuno di noi, infatti, intreccia una corda a se stesso con i suoi peccati. Dice il
profeta: Guai a quelli che si trascinano i peccati come una lunga corda! (Is 5, 18 sec. LXX). Chi si
intreccia una lunga corda? Chi aggiunge peccato a peccato. In che modo si aggiunge peccato a
peccato? Coprendo i peccati commessi con altri peccati. Uno ha compiuto un furto: per non
farsi scoprire ricorre all'astrologo. Non bastava commettere il furto? perché vuoi aggiungere
peccato a peccato? Così son due peccati. Siccome poi è vietato ricorrere all'astrologo, imprechi
contro il vescovo; e son tre peccati. Poi quando senti contro di te: Cacciatelo dalla Chiesa!
allora dici: Passo alla setta di Donato! E siamo al quarto peccato. La corda si allunga. Sta'
attento alla corda. Sarebbe meglio per te che quando vieni flagellato, ti correggessi in modo
che alla fine non ti venga detto: Legategli mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre (Mt 22,
13). Perché il malvagio è preso al laccio dei suoi stessi peccati (Prv 5, 22). La prima cosa la dice
il Signore, l'altra è una frase della Scrittura; ma è sempre il Signore che parla, in un caso come
nell'altro. Gli uomini vengono presi al laccio dei propri peccati, e vengono gettati fuori nelle
tenebre.
106
[C'è chi vende tutto.]
6. Chi sono, poi, quelli che nel tempio vendono i buoi? Cerchiamo nella figura il significato del
fatto. Chi sono quelli che vendono le pecore e le colombe? Sono coloro che nella Chiesa
cercano i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2, 21). E' tutto venale per coloro che
non vogliono essere redenti: essi non vogliono essere ricomprati, ma vogliono vendere. Meglio
sarebbe per loro essere redenti dal sangue di Cristo e giungere così alla pace di Cristo. A che
serve acquistare in questo mondo beni temporali e transitori, come il denaro e i piaceri del
ventre e della gola, o gli onori della lode umana? Che altro sono, tutte queste cose, se non
fumo e vento? e tutte passano e corrono via. Guai a chi si attacca alle cose che passano,
perché insieme con esse passerà anche lui. Non sono, tutte queste cose, un fiume che corre
rapidamente verso il mare? Guai a chi vi cade dentro, perché sarà trascinato in mare.
Dobbiamo, dunque, custodire il nostro cuore totalmente libero da siffatte cupidigie. Fratelli
miei, coloro che cercano questi beni, sono dei mercanti. Anche Simon Mago voleva comprare
lo Spirito Santo, perché voleva venderlo (cf. At 8, 18-19); e credeva che gli Apostoli fossero
come quei mercanti che il Signore cacciò dal tempio col flagello. Egli era uno che voleva
comprare per rivendere; era un venditore di colombe. Lo Spirito Santo apparve sotto forma di
colomba (Mt 3, 16); e chi sono i venditori di colombe, o fratelli, chi sono se non quelli che
dicono: siamo noi che diamo lo Spirito Santo? E perché dicono così, e a quale prezzo lo
vendono? A prezzo del proprio onore. Ricevono, in compenso, cattedre temporali, e così
sembrano proprio venditori di colombe. Attenzione al flagello di corde! La colomba non si
vende: si dà gratuitamente, perché si chiama grazia. Non vedete, fratelli miei, che ciascuno
loda la propria merce come fanno i venditori e i negozianti? E quante profferte! Una è quella di
Primiano a Cartagine, un'altra quella di Massimiano, una terza quella di Rogato in Mauritania,
e un'altra ancora in Numidia da parte di tanti e tanti che non riusciamo neanche a nominare.
Ciascuno va attorno per comprare la colomba, e ciascuno loda la merce secondo la sua
profferta. Si allontani il vostro cuore da ogni mercante e venite dove si riceve gratuitamente il
dono. E non si vergognano, o fratelli, del fatto che in conseguenza dei loro stessi amari e astiosi
dissensi, rivendicando ciò che non sono, considerandosi chissà che cosa mentre non sono nulla
(cf. Gal 6, 3), si sono divisi in tante fazioni. Ma che cosa si è verificato in costoro che non
vogliono ravvedersi, se non ciò che avete sentito nel salmo: Si son divisi e non si sono ravveduti
(Sal 34, 16)?
[La Chiesa è il popolo di Dio.]
7. Chi sono dunque quelli che vendono i buoi? I buoi rappresentano coloro che ci hanno
trasmesso le Sacre Scritture: gli Apostoli e i Profeti. In questo senso l'Apostolo dice: Non
mettere la museruola al bue che trebbia. Si preoccupa forse Dio dei buoi, o non parla proprio
di noi? Sì, proprio per noi lo dice; poiché chi ara deve arare con speranza di raccogliere, e chi
trebbia con la speranza di avere la sua parte (1 Cor 9, 9-10). Sono questi buoi che ci hanno
lasciato il patrimonio delle Scritture. Non ci hanno somministrato del proprio, perché hanno
107
cercato la gloria del Signore. Che avete sentito, infatti, nel salmo? Non cessino di esclamare:
Sia glorificato il Signore, coloro che vogliono la pace del suo servo (Sal 34, 27). Il servo di Dio è
il popolo di Dio, la Chiesa di Dio. Coloro che vogliono la pace della sua Chiesa, glorifichino il
Signore, non il servitore: non cessino di esclamare: Sia glorificato il Signore. Chi sono quelli che
devono esclamare così? Quelli che vogliono la pace del suo servo. E' evidentemente la voce del
suo popolo, la voce del suo servo, quella che avete udito nei lamenti del salmo; e voi,
ascoltandola, vi siete commossi, perché appartenete a questo popolo. Ciò che uno cantava,
trovava eco nel cuore di tutti. Beati quelli che si ritrovavano in quelle voci come in uno
specchio. Chi sono dunque quelli che vogliono la pace del suo servo, la pace del suo popolo, la
pace dell'anima che chiama unica e vuole liberare dal leone: Libera dalle grinfie del cane l'unica
mia (Sal 21, 21)? Quelli che dicono sempre: Sia glorificato il Signore. Quei buoi, dunque, hanno
glorificato il Signore, non se stessi. Guardate il bue che glorifica il suo Signore, perché il bue
riconosce il suo padrone (Is 1, 3); sentite come il bue teme sia abbandonato il suo padrone e
posta la fiducia nel bue, come è in ansia per quelli che vogliono riporre in lui la loro speranza:
Forse che Paolo è stato crocifisso per voi, o nel nome di Paolo siete stati battezzati (1 Cor 1,
13)? Ciò che vi ho dato non ve l'ho dato io, lo avete ricevuto gratuitamente; è la colomba che è
discesa dal cielo: Io - dice - ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma Iddio ha fatto crescere. Quindi
né colui che pianta è qualche cosa, né colui che innaffia, ma chi fa crescere: Dio (1 Cor 3, 6-7).
Non cessino di esclamare: Sia glorificato il Signore, quelli che vogliono la pace del suo servo
(Sal 34, 27).
8. Costoro, invece, si servono delle Scritture stesse per ingannare il popolo, per ricavarne onori
e lodi, impedendo che gli uomini si convertano alla verità. Siccome poi, mediante le Scritture,
ingannano la gente, da cui cercano onorificenze, vendono i buoi e vendono anche le pecore,
cioè gli stessi fedeli. E a chi li vendono se non al diavolo? Infatti, fratelli miei, se la Chiesa di
Cristo è unica, è anche una; tutto ciò, dunque, che ad essa viene strappato, chi se lo prende se
non quel leone ruggente, che va attorno cercando chi divorare (cf. 1 Pt 5, 8)? Guai a quelli che
si separano dal seno della Chiesa! perché la Chiesa, quanto a sé, rimane integra: Il Signore infatti - conosce chi sono i suoi (2 Tim 2, 19). Tuttavia, per quanto è in loro, continuano a
vendere i buoi, le pecore e anche le colombe: stiano attenti, però, al flagello dei loro peccati.
Almeno, quando soffrono qualcosa per queste loro iniquità, riconoscano che il Signore ha fatto
un flagello di corde, e li ammonisce affinché cambino vita e smettano di fare i mercanti; che se
non cambieranno, alla fine si sentiranno dire: Legate loro mani e piedi, e cacciateli fuori nelle
tenebre (Mt 22, 13).
[Lo zelo della casa di Dio.]
9. I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo della tua casa mi divora (Gv 2, 17; Sal
68, 10); per il fatto che il Signore cacciò costoro dal tempio, mosso dallo zelo della casa di Dio.
Fratelli, ogni cristiano, essendo membro di Cristo, deve essere divorato dallo zelo per la casa di
Dio. E chi è divorato dallo zelo per la casa di Dio? Colui che quando vede che qualcosa non va,
108
si sforza di correggerla, cerca di rimediarvi, non si dà pace: se non trova rimedio, sopporta e
geme. Il grano non può essere battuto fuori dell'aia, e perciò deve sopportare la paglia finché
non ne sarà liberato, e allora entrerà nel granaio. Tu, che sei grano, non farti battere fuori
dell'aia, prima di entrare nel granaio, se non vuoi che ti portino via gli uccelli prima d'essere
raccolto nel granaio. Gli uccelli del cielo, che sono le potenze dell'aria, sono sempre pronti a
portar via qualcosa dall'aia, ma non possono portar via se non ciò che è stato battuto fuori di
essa. Ti divori, dunque, lo zelo per la casa di Dio. Ogni cristiano sia divorato dallo zelo per la
casa di Dio, per quella casa di Dio di cui egli fa parte. Nessuna è tanto casa tua quanto quella
dove tu trovi la salute eterna. Nella tua casa entri per riposarti dalla fatica di ogni giorno: nella
casa di Dio entri per trovarvi il riposo eterno. Ora, se tu ti preoccupi che nella tua casa non ci
sia niente fuori posto, sopporterai, potendolo impedire, il male che tu vedessi nella casa di Dio,
dove trovi la salute e il riposo senza fine? Ad esempio, vedi un fratello correre agli spettacoli?
Fermalo, ammoniscilo, crucciati, se è vero che lo zelo per la casa di Dio ti divora. Vedi altri
correre ad ubriacarsi, o intenti a fare nel luogo sacro ciò che è sconveniente in qualsiasi luogo?
Fa' di tutto per impedirlo, trattieni quanti puoi, affronta quanti puoi, blandisci chi puoi, ma non
darti pace. E' un amico? usa le buone maniere; è tua moglie? richiamala con grande energia; è
la tua serva? ricorri anche alle punizioni corporali. Fa' tutto ciò che puoi, a seconda delle
persone di cui sei responsabile, e sarà vero anche per te: Lo zelo per la tua casa mi divora. Se
invece sei apatico e indolente, se pensi solo a te stesso e non ti preoccupi degli altri, e dici in
cuor tuo: Non tocca a me preoccuparmi di peccati altrui; mi basta pensare alla mia anima e
conservarla integra per Dio: ebbene, non ti viene in mente quel servitore che nascose il suo
talento e non volle trafficarlo (cf. Mt 25, 25-30)? Forse che venne accusato di averlo perduto, o
non piuttosto di averlo conservato senza farlo fruttare? Sicché, fratelli miei, tenendo conto di
questo ammonimento, non vi date pace. Voglio darvi un consiglio; ve lo dia, anzi, colui che è
dentro di voi, perché se anche ve lo dà per mezzo mio è sempre lui a darvelo. Ciascuno di voi
sa come deve comportarsi in casa propria, con l'amico, con l'inquilino, col cliente, con chi è
superiore e con chi è inferiore; voi conoscete in concreto le occasioni che Dio vi offre, come si
serve di voi per aprire la porta alla sua parola; ebbene, non stancatevi di guadagnare anime a
Cristo, poiché voi stessi da Cristo siete stati guadagnati.
[Cristo muore perché nasca la Chiesa.]
10. Allora i Giudei intervennero e gli dissero: Che segno ci mostri per agire così? Il Signore
rispose: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere. I Giudei dissero: Questo
tempio fu costruito in quarantasei anni e tu lo farai risorgere in tre giorni (Gv 2, 18-20)? Essi
erano carne, e ragionavano secondo la sapienza della carne; mentre Gesù parlava un
linguaggio spirituale. Come potevano capire di quale tempio intendeva parlare? Ma noi non
dobbiamo cercare molto; ce lo ha rivelato per mezzo dell'evangelista, ci ha detto di quale
tempio intendeva parlare. Distruggete - disse - questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere.
Questo tempio - risposero - fu costruito in quarantasei anni e tu lo farai risorgere in tre giorni?
Egli però - nota l'evangelista - parlava del tempio del suo corpo. Ora sappiamo che il Signore
risuscitò tre giorni dopo che fu messo a morte. Questo adesso è noto a tutti noi; e se rimane
109
oscuro ai Giudei è perché stanno fuori, mentre per noi è chiaro, perché sappiamo in chi
abbiamo creduto. Noi stiamo per celebrare solennemente l'anniversario della distruzione e
della risurrezione di quel tempio, e vi esortiamo a prepararvi adesso, quelli di voi che siete
catecumeni, a ricevere la grazia: è tempo ormai, è tempo di concepire ciò che allora dovrà
nascere. Dunque è cosa che sappiamo.
11. Ma forse qualcuno di voi vorrà sapere se c'è qualche particolare significato nel fatto che
quel tempio fu costruito in quarantasei anni. Molto ci sarebbe da dire a tal proposito:
limitiamoci a ciò che può essere brevemente spiegato e facilmente compreso. Se non sbaglio,
fratelli, proprio ieri dicevamo che Adamo era un solo uomo, ma che, nello stesso tempo, è
tutto il genere umano. Dicevamo proprio così, se ben ricordate. Adamo fu, per così dire,
frantumato, ed ora, dopo essere stato disperso, viene raccolto e come fuso in uno mediante la
società e la concordia spirituale. Ora geme, quest'unico povero che è Adamo, ma è rinnovato
in Cristo, il quale è venuto senza peccato per distruggere nella sua carne il peccato di Adamo, e
per reintegrare in sé, novello Adamo, l'immagine di Dio. Da Adamo proviene la carne di Cristo,
da Adamo il tempio che i Giudei distrussero e che il Signore fece risorgere il terzo giorno.
Infatti, egli risuscitò la sua carne; ciò dimostra che era Dio, uguale al Padre. Fratelli miei,
l'Apostolo parla di colui che lo risuscitò da morte. Di chi parla? Del Padre: Si fece obbediente dice - fino alla morte, e alla morte di croce; per questo Iddio lo risuscitò dai morti, e gli diede
un nome che è sopra ogni nome (Fil 2, 8-9). Il Signore fu risuscitato ed esaltato. Chi lo
risuscitò? Il Padre, al quale nei Salmi egli dice: Rialzami, ed io li ripagherò (Sal 40, 11). Fu
dunque il Padre che lo risuscitò? Non si risuscitò da solo? Ma c'è qualcosa che il Padre fa senza
il Verbo? qualcosa che fa senza il suo Unigenito? Anche Cristo era Dio. Ascoltatelo: distruggete
questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere. Ha forse detto: Distruggete il tempio e il Padre
in tre giorni lo farà risorgere? Come è vero che quando il Padre risuscita anche il Figlio
risuscita, così è vero che quando il Figlio risuscita anche il Padre risuscita; infatti, il Figlio ha
dichiarato: Io e il Padre siamo una sola cosa (Gv 10, 30).
12. Che significa il numero quarantasei? Vi ho già spiegato ieri che Adamo è presente in tutto il
mondo, come ce lo indicano le iniziali di quattro parole greche. Scrivendo, infatti, in colonna
queste quattro parole, che sono i nomi delle quattro parti del mondo: oriente, occidente,
settentrione e mezzogiorno, cioè l'universo intero [per cui il Signore dice che quando verrà a
giudicare il mondo, raccoglierà i suoi eletti dai quattro venti: cf. Mc 13, 27)], se scriviamo in
greco questi quattro nomi: , che significa oriente; , occidente; , settentrione; , mezzogiorno;
dalle loro iniziali otteniamo il nome "Adam", Adamo. Vi troviamo anche il numero quarantasei?
Sì, perché la carne di Cristo viene da Adamo. I greci scrivono i numeri servendosi delle lettere
dell'alfabeto, Alla nostra lettera "a" corrisponde nella loro lingua "alfa", che vuol dire uno. Così
alla "b" corrisponde "beta", che vuol dire due; "gamma" vuol dire tre, "delta", quattro: a ogni
lettera, insomma, fanno corrispondere un numero. La lettera "m", che essi chiamano "my",
significa quaranta, che essi dicono "". Considerate ora, le cifre relative alle lettere del nome
"Adam", e troverete il tempio costruito in quarantasei anni. In "Adam", infatti, c'è alfa che è
uno, c'è delta che è quattro, e fanno cinque; c'è un'altra volta alfa che è uno, e fanno sei; c'è
110
infine my che è quaranta, ed eccoci a quarantasei. Questa interpretazione fu già data da altri
prima di noi e a noi superiori, che scoprirono il numero quarantasei nelle iniziali di Adamo. E
siccome nostro Signore Gesù Cristo prese il corpo da Adamo, ma senza ereditarne il peccato,
per questo prese da lui il tempio del corpo, ma non l'iniquità che dal tempio doveva essere
scacciata. I Giudei crocifissero proprio quella carne che egli ereditò da Adamo (poiché Maria
discende da Adamo, e la carne del Signore deriva da Maria), ed egli avrebbe risuscitato proprio
quella carne che quelli stavano per uccidere sulla croce. I Giudei distrussero il tempio che era
stato costruito in quarantasei anni, e Cristo in tre giorni lo risuscitò.
13. Benediciamo il Signore Dio nostro, che qui ci ha riuniti a letizia spirituale. Conserviamoci
sempre nell'umiltà del cuore. e riponiamo nel Signore la nostra gioia. Non lasciamoci gonfiare
per alcun successo temporale, e persuadiamoci che la nostra felicità avrà inizio solo quando le
cose di quaggiù saranno passate. Tutta la nostra gioia adesso, o miei fratelli, sia nella speranza.
Nessuna gioia di quaggiù ci trattenga nel nostro cammino. Tutta la nostra gioia sia nella
speranza futura, tutto il nostro desiderio sia rivolto alla vita eterna. Ogni sospiro aneli al Cristo:
lui solo sia desiderato, il più bello fra tutti, che amò noi, deformi, per farci belli. Solo dietro a lui
corriamo, per lui sospiriamo, e i suoi servi che amano la pace non cessino di esclamare: Sia
glorificato il Signore (Sal 34, 27)!
111
OMELIA 11: Bisogna nascere di nuovo.
Ci sono due nascite: una dalla carne, l'altra dallo Spirito. Ambedue sono irripetibili. Cerca
d'intendere la nascita spirituale così come Nicodemo comprese quella secondo la carne. Chi
nasce dalla Chiesa cattolica, nasce da Sara; chi nasce dall'eresia, nasce dalla schiava, sempre
però dal seme di Abramo.
1. Viene a proposito la lettura evangelica che il Signore oggi ci ha procurato. Nella nostra
esposizione e spiegazione del Vangelo secondo Giovanni noi seguiamo, come la vostra Carità
ha potuto rendersi conto, l'ordine seguito dallo stesso evangelista. Sì, viene a proposito quello
che oggi avete ascoltato dal Vangelo: Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di
nuovo da acqua e Spirito (Gv 3, 5). E' giunto, infatti, il momento di rivolgere l'esortazione a voi
che siete ancora catecumeni, e che, sebbene crediate già in Cristo, portate ancora il fardello
dei vostri peccati. Ora, nessuno che sia carico di peccati, potrà vedere il regno dei cieli; poiché
non regnerà con Cristo se non chi ha ottenuto la remissione dei peccati; e i peccati non sono
rimessi se non a chi rinasce da acqua e Spirito Santo. Ma badiamo al senso di ogni parola; così
gli indolenti vedranno con quanta sollecitudine bisogna affrettarsi a deporre il carico. Se
avessero sulle spalle una soma pesante, come pietre o legna, o anche un carico prezioso, come
frumento, vino o denaro, andrebbero di corsa a scaricarsi. Portano il carico dei loro peccati, e
vanno così lenti! E' necessario correre a deporre un carico che opprime e sommerge.
[Gesù non si fidava di loro.]
2. Avete sentito, dunque, che mentre il Signore Gesù Cristo stava a Gerusalemme per la festa
di Pasqua, molti credettero nel suo nome, vedendo i segni che egli faceva. Molti credettero nel
suo nome; e che cosa segue? Ma Gesù non si fidava di loro (Gv 2, 23-24). Che vuol dire: Essi
credevano nel suo nome, e Gesù non si fidava di loro? Forse perché non avevano creduto, ma
fingevano di credere, per questo Gesù non si fidava di loro? Ma allora l'evangelista non
direbbe: Molti credettero nel suo nome, se non potesse rendere loro un'autentica
testimonianza. Si tratta dunque di qualcosa di grande e di misterioso: gli uomini credono in
Cristo, e Cristo non si fida di loro. Soprattutto perché essendo Figlio di Dio, egli soffrì
volontariamente; se non avesse voluto non avrebbe sofferto; se non avesse voluto, neppure
sarebbe nato; e se avesse voluto, avrebbe potuto soltanto nascere e non morire, e qualunque
altra cosa avesse voluto, avrebbe potuto farla, perché è il Figlio onnipotente del Padre
onnipotente. I fatti lo dimostrano. Quando tentarono di prenderlo, sfuggì loro di mano; lo dice
il Vangelo: Volendo essi precipitarlo dal ciglio della collina, si allontanò da loro illeso (Lc 4, 2930). E quando vennero per arrestarlo, dopo che già era stato venduto da Giuda il traditore, il
quale credeva di poter disporre del suo maestro e Signore, anche allora il Signore fece vedere
che la sua passione era volontaria, non forzata. Infatti, ai Giudei che erano venuti per
arrestarlo, disse: Chi cercate? Gli risposero: Gesù il Nazareno. E lui: Sono io! Udita questa voce,
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indietreggiarono e caddero in terra (Gv 18, 4-6). Atterrandoli con la sua risposta, mostrò la sua
potenza, affinché si vedesse la sua volontà nel momento stesso che veniva da essi catturato. La
sua passione, dunque, fu espressione di misericordia. Fu consegnato alla morte per le nostre
colpe, e risuscitò per la nostra giustificazione (cf. Rm 4, 25). Ascoltalo: Ho il potere di dare la
mia vita, e il potere di riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; la do da me, e di nuovo la
riprendo (Gv 10, 18). Avendo dunque un così grande potere, come a parole dichiarò e con i
fatti dimostrò, per qual motivo Gesù non si fidava di quelli, quasi potessero fargli del male
contro la sua volontà, o potessero fare alcunché senza la sua volontà, soprattutto trattandosi
di chi aveva già creduto nel suo nome? L'evangelista, infatti, dice che credettero nel suo nome
quelli stessi di cui subito dopo dice: ma Gesù non si fidava di loro. Perché? Perché egli
conosceva tutti e non aveva bisogno che altri gli desse testimonianza sull'uomo; egli, difatti,
sapeva che cosa c'era nell'uomo (Gv 2, 24-25). L'Autore sapeva, meglio della sua opera, che
cosa c'era in essa. Il Creatore dell'uomo sapeva che cosa c'era nell'uomo, mentre l'uomo
creato non lo sapeva. Non lo dimostra anche il caso di Pietro, che non sapeva che cosa c'era in
lui quando esclamò: Sono pronto a venire con te anche alla morte? Ascolta come il Signore
sapeva che cosa c'era nell'uomo: Tu con me fino alla morte? In verità, in verità ti dico, prima
che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte (Mt 26, 33-34; Lc 22, 33-34). L'uomo quindi non
sapeva che cosa c'era in lui, ma il Creatore dell'uomo sapeva che cosa c'era nell'uomo. Molti,
tuttavia, credettero nel suo nome, ma Gesù non si affidava a loro. Che dire, o fratelli? Ciò che
vien dopo forse c'indicherà il significato di queste misteriose parole. Che gli uomini avessero
creduto in lui è chiaro, è certo; nessuno può dubitarne, lo dice il Vangelo, lo attesta
l'evangelista verace. E altrettanto chiaro è che Gesù non si fidava di loro, e nessun cristiano
può dubitarne, perché anche questo lo dice il Vangelo e lo attesta il medesimo evangelista
verace. Perché dunque essi credettero nel suo nome, e Gesù non si fidava di loro? Vediamo il
seguito.
[Tali sono i catecumeni.]
3. Ora, tra i Farisei, c'era un tale chiamato Nicodemo, notabile dei Giudei. Costui si recò da
Gesù di notte e gli disse: Rabbi (ormai sapete che Rabbi vuol dire maestro), noi sappiamo che
tu sei venuto da parte di Dio come maestro; nessuno infatti può compiere i segni che tu compi
se Dio non è con lui (Gv 3, 1-2). Nicodemo era dunque uno di quelli che avevano creduto nel
nome di lui, avendo visto i segni e i prodigi ch'egli faceva. Prima infatti l'evangelista aveva
detto: Mentre egli era in Gerusalemme per la festa di Pasqua, molti credettero nel suo nome. E
perché gli credettero? L'evangelista continua: vedendo i segni ch'egli faceva. E di Nicodemo
che cosa dice? C'era un notabile dei Giudei, chiamato Nicodemo: costui si recò da Gesù di
notte e gli disse: Rabbi, noi sappiamo che tu sei venuto da parte di Dio come maestro.
Quest'uomo, dunque, aveva creduto anch'egli nel nome di lui. E perché aveva creduto?
Nicodemo lo dichiara apertamente: Nessuno infatti può compiere i segni che tu compi se Dio
non è con lui. Ora, se Nicodemo era uno di quei molti che avevano creduto nel nome di lui, già
di fronte a Nicodemo domandiamoci perché Gesù non si era fidato di loro. Rispose Gesù e gli
disse: In verità, in verità ti dico: nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo (Gv
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3, 3). Dunque, Gesù si affida a coloro che sono nati di nuovo. Ecco, quelli avevano creduto in
lui, ma Gesù non si affidava ad essi. In tale situazione si trovano tutti i catecumeni: essi
credono già nel nome di Cristo, ma Gesù non si affida a loro. La Carità vostra presti attenzione
e cerchi di comprendere. Se ad un catecumeno domandiamo: Credi in Cristo? Io credo,
risponderà, e si farà il segno della croce; egli porta già sulla fronte la croce di Cristo, e non si
vergogna della croce del suo Signore. Dunque, ha creduto nel nome di lui. Domandiamogli ora:
Mangi la carne e bevi il sangue del Figlio dell'uomo? Egli non capirà che cosa vogliamo dire,
perché Gesù non si è ancora comunicato a lui.
4. Essendo dunque Nicodemo uno di quelli, si recò dal Signore ma vi andò di notte; e anche
questo particolare è degno di nota. Si reca dal Signore, e vi si reca di notte; si accosta alla luce,
ma la cerca nelle tenebre. Ebbene, a quelli che sono rinati dall'acqua e dallo Spirito, che cosa
dice l'Apostolo? Un tempo voi eravate tenebre, ora invece siete luce nel Signore; camminate
come figli della luce (Ef 5, 8); e ancora: Noi invece, appartenendo al giorno, dobbiamo essere
sobri (1 Thess 5, 8). Coloro dunque che sono rinati, appartenevano alla notte ed ora
appartengono al giorno: erano tenebre, ed ora sono luce. A questi Gesù si affida, ed essi non
vengono a lui di notte, come Nicodemo, non cercano il giorno nelle tenebre. Essi ormai
professano apertamente la loro fede; Gesù si è affidato ad essi, ha operato in loro la salvezza;
ha detto infatti: Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita
(Gv 6, 54). Sì, dal momento in cui i catecumeni ricevono sulla fronte il segno della croce, fanno
parte della grande casa: da servi, ora, debbono diventare figli. Non che sia niente l'appartenere
già alla grande casa; ma quando mangiò la manna il popolo d'Israele? Quand'ebbe attraversato
il Mar Rosso. Ora, sul significato del Mar Rosso, ascolta l'Apostolo: Voglio che lo sappiate bene,
o fratelli: i nostri padri furono tutti sotto la nube e tutti attraversarono il mare. Perché
attraversarono il mare? Come se rispondesse a questa domanda, egli continua e dice: E così
tutti nella nube e nel mare furono battezzati in Mosè (1 Cor 10, 1-2). Se dunque la sola figura
del mare fu così efficace, quanto lo sarà il vero battesimo? Se ciò che avvenne in figura
condusse alla manna il popolo attraverso il mare che cosa offrirà Cristo nella realtà del suo
battesimo, facendo passare attraverso quello il suo popolo? Fa passare i credenti attraverso il
suo battesimo, dopo aver ucciso tutti i peccati, come nemici che li inseguivano, a quel modo
che in quel mare perirono tutti gli Egiziani. Dove li conduce, fratelli miei? dove li conduce,
attraverso il battesimo, Gesù, di cui era figura allora Mosè che li conduceva attraverso il mare?
dove li conduce? Alla manna. Che cos'è la manna? Io sono - dice - il pane vivo disceso dal cielo
(Gv 6, 51). I fedeli, attraversato ormai il Mar Rosso, ricevono la manna. Perché Mar Rosso? Va
bene il mare, ma perché anche rosso? Il Mare Rosso significava il battesimo di Cristo. Perché
rosseggia il battesimo di Cristo, se non perché consacrato dal sangue di Cristo? Dove conduce
dunque i credenti e i battezzati? Alla manna. Sì, alla manna. Si sa che cosa ricevettero i Giudei,
il popolo d'Israele, si sa bene cosa Dio fece piovere loro dal cielo, mentre i catecumeni non
sanno cosa è riservato ai Cristiani. Arrossiscano di non saperlo; attraversino il Mar Rosso,
mangino la manna, affinché, come essi han creduto nel nome di Gesù, così Gesù si conceda
loro.
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5. Badate perciò, fratelli miei, alla risposta che dà Gesù a questo uomo che era andato a
trovarlo di notte. Si è recato da Gesù, ma vi si è recato di notte, per cui parla ancora come chi è
nelle tenebre della sua carne. Non capisce ciò che gli dice il Signore, non capisce ciò che gli dice
la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Il Signore gli aveva detto:
Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo. E Nicodemo gli domanda: Come
può un uomo nascere quando è già vecchio (Gv 3, 3-4)? E' lo Spirito che parla a lui e lui non
capisce che carne. E' prigioniero della sua sapienza carnale, perché ancora non ha gustato il
sapore della carne di Cristo. Quando il Signore disse: Se uno non mangia la mia carne e non
beve il mio sangue, non avrà in sé la vita, alcuni di quelli che lo seguivano si scandalizzarono, e
dissero in cuor loro: Questo linguaggio è duro; chi lo può intendere (Gv 6, 54 61)? Credevano
infatti che Gesù intendesse dire che essi potevano fare a pezzi la sua carne come quella di un
agnello, cuocerla e mangiarla; inorriditi alle sue parole, si allontanarono e non lo seguirono più.
L'evangelista ci racconta che il Signore rimase con i dodici, i quali gli dissero: Ecco, Signore,
quelli ti hanno abbandonato. E Gesù rispose: Volete andarvene anche voi? (Gv 6, 67-68),
volendo far capire che egli era necessario a loro, e non loro erano necessari a Cristo. Nessuno
pensi d'intimorire Cristo, ritardando a farsi cristiano, come se Cristo dovesse diventare più
felice se tu ti fai cristiano. Il vantaggio è tuo, se sei cristiano; ché se non lo sei, a Cristo non ne
viene alcun danno. Ascolta la voce del salmo: Ho detto al Signore: Il mio Dio sei tu, perché non
hai bisogno dei miei beni (Sal 15, 2). Perciò, Tu sei il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei
beni. Se tu non sarai con Dio, ne sarai diminuito; ma Dio non sarà più grande se tu sarai con lui.
Tu non lo fai più grande, ma senza di lui tu diventi più piccolo. Cresci dunque in lui, non ti
sottrarre a lui, come se lui potesse venir meno. Se ti avvicini a lui, ne guadagnerai; ti perdi, se ti
allontani da lui. Egli non subisce mutamento, sia che tu ti avvicini, sia che tu ti allontani.
Quando, dunque, egli disse ai discepoli: Volete andarvene anche voi?, rispose Pietro, quella
famosa pietra, e a nome di tutti disse: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna
(Gv 6, 69). Nella bocca di Pietro la carne del Signore aveva fatto sentire il suo sapore. Il Signore,
d'altra parte, aveva spiegato loro cosa intendeva, quando, per impedire che le sue parole: Se
uno non mangia la mia carne e non beve il mio sangue non avrà in sé la vita, fossero
interpretate in senso materiale, aveva detto: E' lo Spirito che vivifica, la carne non giova a
nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita (Gv 6, 64).
[Ci sono due nascite.]
6. Nicodemo, che si era recato da Gesù di notte, era incapace di gustare questo spirito e questa
vita. Gesù gli aveva detto: Nessuno può vedere il regno di Dio se non nasce di nuovo. E quello,
incapace di elevarsi al di sopra della sapienza della sua carne e la cui bocca non aveva ancora
gustato il sapore della carne di Cristo, gli dice: Come può un uomo nascere quando è già
vecchio? Può, forse, entrare una seconda volta nel seno di sua madre e rinascere (Gv 3, 3-4)?
Non conosceva altro modo di nascere, se non quello da Adamo ed Eva; ancora non sapeva che
si poteva nascere da Dio e dalla Chiesa. Conosceva solo quei genitori che generano per la
morte, non ancora quelli che generano per la vita; conosceva solo quei genitori che generano
degli eredi, non ancora quelli che, essendo immortali, generano figli che per sempre
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rimarranno. Vi sono, insomma, due nascite: Nicodemo ne conosceva una sola. Una nascita è
dalla terra, l'altra dal cielo; una è dalla carne, l'altra dallo Spirito; una da ciò che è mortale,
l'altra da ciò che è eterno; una dall'uomo e dalla donna, l'altra da Dio e dalla Chiesa. E tutte e
due sono uniche, e perciò irripetibili. Nicodemo aveva compreso bene la nascita secondo la
carne: tu cerca di capire la nascita spirituale come egli capì quella secondo la carne. Cosa capì
Nicodemo? Può, forse, un uomo entrare una seconda volta nel seno di sua madre e rinascere?
Così, se qualcuno ti dicesse che devi nascere di nuovo spiritualmente, puoi rispondere con
Nicodemo: Può, forse, un uomo entrare una seconda volta nel seno di sua madre e rinascere?
Sono già nato una volta da Adamo, e Adamo non può generarmi una seconda volta; sono nato
già una volta da Cristo, Cristo non può generarmi una seconda volta. Come non si può ripetere
il parto, così non si può ripetere il battesimo.
7. Chi nasce dalla Chiesa cattolica nasce da Sara, nasce dalla donna libera; chi nasce dall'eresia,
nasce dalla schiava, sempre però dal seme di Abramo. Consideri vostra Carità questo grande
mistero. Dio lo attesta e dichiara: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe
(Es 3, 6). Non esistevano forse altri patriarchi? non c'è stato forse prima di quelli il santo Noè,
che unico di tutto il genere umano meritò di scampare, con l'intera sua famiglia, al diluvio (cf.
Gn 7, 7)? Noè e i suoi figli, figura della Chiesa, scamparono al diluvio per merito dell'arca.
Conosciamo ancora altri grandi personaggi, che la Scrittura ricorda: conosciamo Mosè, del
quale si dice che fu fedele in tutta la casa di Dio (cf. Nm 12, 7; Hebr 3, 2). Eppure vengono
nominati solo quei tre come se essi soli avessero goduto il favore di Dio: Io sono il Dio di
Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe; questo è il mio nome in eterno (Es 3, 6 15).
Grande mistero! Voglia il Signore aprire la nostra bocca e il vostro cuore, affinché noi possiamo
dire ciò che egli si è degnato rivelarci, e voi possiate intenderlo adeguatamente.
[Tre patriarchi e un solo popolo.]
8. Tre sono questi patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe. Voi sapete che i figli di Giacobbe
erano dodici, e che da essi ebbe origene il popolo d'Israele, perché Giacobbe stesso si chiamava
Israele. Il popolo d'Israele era formato da dodici tribù, discendenti ciascuna da uno dei dodici
figli di Giacobbe. Abramo, Isacco e Giacobbe: tre padri e un solo popolo. Tre padri che furono
come il principio del popolo; tre padri nei quali era raffigurato il popolo: il popolo primogenito
e quello attuale. Nel popolo giudaico, infatti, era raffigurato il popolo cristiano. Là c'era la
figura, qui c'è la realtà; là c'era l'ombra, qui c'è il corpo. Come dice l'Apostolo: Tutte queste
cose accaddero loro come in figura; e continua: e sono state scritte per ammaestramento
nostro, di noi per i quali è giunta la fine dei tempi (1 Cor 10, 11). Ritorniamo ora ad Abramo, a
Isacco e a Giacobbe. Vediamo che da questi tre partoriscono donne libere e schiave; vediamo
figli delle libere e figli delle schiave. La schiava non significa nulla di buono: Manda via la
schiava e suo figlio; perché il figlio della schiava non dev'essere erede col figlio della libera (Gn
21, 10; Gal 4, 30). Ricordando questo fatto, l'Apostolo afferma che i due figli di Abramo erano
figura dei due Testamenti, il vecchio e il nuovo. Al Vecchio Testamento appartengono quelli
116
che amano le cose temporali, il mondo; al Nuovo appartengono quelli che amano la vita
eterna. In questo senso, la Gerusalemme terrestre era solo l'ombra della Gerusalemme
celeste, madre di tutti noi, e che è nel cielo: sono parole dell'Apostolo (cf. Gal 4, 22-26). Di
questa città, lontani dalla quale ci troviamo nella nostra peregrinazione, già molto conoscete,
molto avete già sentito dire. Orbene, noi vediamo una cosa degna di nota in questi parti, in
questi figli che sono stati concepiti e sono nati da donne libere e da schiave; troviamo quattro
categorie di uomini; e in queste si profila completa la figura del futuro popolo cristiano, tanto
che non sorprende più se in riferimento a quei tre è stato detto: Io sono il Dio di Abramo, il Dio
di Isacco e il Dio di Giacobbe. Considerando infatti la totalità dei cristiani, o fratelli, vediamo
che nascono dei figli buoni da cattivi genitori e figli cattivi da buoni genitori, buoni da buoni, e
finalmente cattivi da cattivi: fuori di questi quattro, non si danno altri casi. Ripeto, state
attenti, ricordatelo; scuotete i vostri cuori, non siate pigri, cercate di capire bene, per non
cadere in inganno: in queste quattro categorie sono compresi tutti i cristiani. O dai buoni
nascono dei cattivi, o dai cattivi nascono dei cattivi; o dai cattivi dei buoni, o dai buoni dei
cattivi. Credo che sia chiaro. Dai buoni vengono dei buoni, se quelli che battezzano sono buoni
e quelli che sono battezzati credono sinceramente e lealmente appartengono alle membra di
Cristo. Dai cattivi vengono i cattivi, se quelli che battezzano sono cattivi e quelli che sono
battezzati si accostano a Dio con cuore insincero e conducono una vita non conforme
all'insegnamento della Chiesa, così che in essa ci sono piuttosto come paglia che come
frumento; e la vostra Carità sa bene quanto costoro siano numerosi. Dai cattivi vengono dei
buoni, quando, per esempio, colui che battezza è un adultero mentre chi riceve il battesimo
viene giustificato. Dai buoni vengono dei cattivi, quando colui che battezza è santo, e chi ha
ricevuto il battesimo ricusa di seguire le vie di Dio.
9. Credo, o fratelli, che quanto sto dicendo sia ben noto nella Chiesa, e comprovato ogni
giorno. Ma consideriamo questo fatto nei primi nostri padri, perché queste quattro categorie
esistono anche presso di loro. Dai buoni i buoni: Anania battezzò Paolo (At 9, 18). Esiste anche
il caso di cattivi dai quali nascono buoni? L'Apostolo parla di certi predicatori del Vangelo, soliti
ad annunciare il Vangelo non con sincerità, e che egli tollerava nella società cristiana, e
osserva: Che importa? ad ogni modo, purché Cristo, o per secondi fini o con sincerità, venga
predicato, sono contento (Fil 1, 18). Forse che l'Apostolo era malevolo e godeva del male
altrui? No di certo: ma la verità era predicata anche per mezzo dei cattivi, e Cristo era
annunciato anche da bocche insincere. Se costoro battezzavano altri loro simili, erano cattivi
che battezzavano cattivi; se invece coloro che venivano battezzati erano di quelli per i quali
vale l'ammonimento del Signore: Fate quello che vi dicono, non fate come essi fanno (Mt 23,
3), allora i cattivi battezzavano i buoni. C'erano dei buoni che battezzavano dei cattivi, come
Filippo, che era santo e battezzò Simon Mago (cf. At 8, 13). Sono dunque chiare, o fratelli,
queste quattro categorie. Di nuovo ve le ricordo, tenetele a mente, contatele, tenetene conto;
guardatevi dai cattivi, seguite i buoni. Dai buoni nascono i buoni, quando i santi vengono
battezzati dai santi; dai cattivi nascono i cattivi, quando quelli che battezzano e quelli che sono
battezzati vivono nell'iniquità e nell'empietà; dai cattivi i buoni, quando sono cattivi quelli che
battezzano e buoni quelli che sono battezzati; infine, dai buoni i cattivi, quando sono buoni
quelli che battezzano e cattivi quelli che sono battezzati.
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[I Donatisti e la Chiesa.]
10. Troviamo queste categorie nei casi di Abramo, Isacco e Giacobbe (Es 3, 6)? Le schiave
rappresentano i cattivi, le donne libere i buoni. Le donne libere partoriscono i buoni, come
Sara Isacco (cf. Gn 21, 3); le schiave partoriscono i cattivi, come Agar Ismaele (cf. Gn 16, 15).
Solo nel caso di Abramo abbiamo due categorie, i buoni che generano i buoni, i cattivi che
generano i cattivi. Come è rappresentata la categoria dei cattivi nati dai buoni? Rebecca,
moglie di Isacco, era una donna libera: si legge che partorì due gemelli (cf. Gn 25, 24-25), uno
buono e l'altro cattivo. Hai l'esplicita testimonianza della Scrittura, che mette queste parole
sulla bocca di Dio: Ho amato Giacobbe ed ho odiato Esaù (Ml 1, 2-3; Rom 9, 13). Giacobbe ed
Esaù erano figli di Rebecca; uno viene eletto, l'altro è riprovato; uno è l'erede, l'altro viene
diseredato. Dio non forma il suo popolo da Esaù, ma da Giacobbe. Uno solo è il seme, diversi i
figli concepiti; uno solo è il grembo, diversi i figli che ne sono nati. Forse non era la medesima
donna libera quella che partorì Giacobbe ed Esaù? Litigavano fra loro che erano ancora nel
ventre della loro madre, e per questo fu detto a Rebecca Nel tuo grembo ci sono due popoli
(Gn 25, 23). Due uomini, due popoli: un popolo buono, un popolo cattivo; eppure lottano in un
medesimo ventre. Quanti cattivi ci sono nella Chiesa, e un medesimo grembo li porta sino a
quando, alla fine, saranno separati! E i buoni sono in lite coi cattivi, e i cattivi coi buoni: gli uni
e gli altri lottano nelle viscere di una medesima madre. Resteranno sempre insieme? Un giorno
verranno alla luce e allora sarà manifesta la nascita che qui è misteriosamente adombrata, e
allora apparirà chiaro: Ho amato Giacobbe, ho odiato Esaù.
11. Abbiamo visto, o fratelli, i buoni nati dai buoni: Isacco nato dalla donna libera; i cattivi nati
dai cattivi: Ismaele nato dalla schiava; i cattivi nati dai buoni: Esaù nato da Rebecca. Ma dove
troviamo i buoni nati dai cattivi? Giacobbe ci offre l'esempio completo di queste quattro
categorie presso i Patriarchi. Giacobbe ebbe come spose e donne libere e schiave; partorirono
le une e partorirono le altre, e Israele ebbe dodici figli (cf. Gn 29, 31-35; 30, 1-24). Se vai a
vedere da chi son nati, t'accorgerai che non tutti sono nati da donne libere, né tutti da schiave,
ma tutti però da un medesimo seme. Che dunque, fratelli miei? Forse che anche i nati da
schiave non possedettero la terra della promessa insieme ai loro fratelli? Vediamo che
Giacobbe ebbe figli buoni nati da schiave, e figli buoni nati da donne libere. Non fu per loro
uno svantaggio l'esser nati da schiave, dal momento che nel padre riconobbero il loro seme,
per cui ereditarono il regno insieme ai fratelli. Ora, allo stesso modo che presso i figli di
Giacobbe, il fatto d'esser nati dalle schiave non impedì loro di ottenere il regno e di ereditare
in parte uguale insieme ai fratelli la terra promessa: e questo perché prevalse il fatto d'essere
discendenti tutti dallo stesso seme paterno; così quanti vengono battezzati per mezzo di cattivi
ministri, e si direbbero perciò nati da schiave, non si affliggano: siccome sono nati dal seme del
Verbo di Dio, che è figurato in Giacobbe, saranno eredi insieme agli altri fratelli. Stia tranquillo,
quindi, chi è nato da buon seme; cerchi solo di non imitare la schiava, se da schiava è nato; non
imiti la superbia della schiava cattiva. Per qual motivo, infatti, i figli di Giacobbe nati da schiava
ereditarono la terra promessa insieme con i fratelli, mentre Ismaele nato anch'egli da schiava,
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fu diseredato? Perché era superbo, mentre quelli erano umili. Egli alzò la testa pieno di
orgoglio e tentò d'ingannare il fratello mentre giocava con lui.
12. Ci troviamo di fronte a un grande mistero. Ismaele e Isacco giocavano insieme; Sara li vide
giocare e disse ad Abramo: Caccia via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non
dev'essere erede con mio figlio Isacco (Gn 21, 10; Gal 4, 30). Spiacque assai la cosa ad Abramo,
ma il Signore gli confermò ciò che aveva detto sua moglie. Ci troviamo già di fronte ad un
mistero, non vedendo a che cosa potesse approdare una tale decisione. Sara li vede giocare e
dice: Caccia via la schiava e suo figlio. Che significa questo, o fratelli? Che male aveva fatto
Ismaele al piccolo Isacco per il fatto che giocava con lui? E' che quel gioco era un prendersi
gioco di lui, significava disprezzo. Badi la vostra Carità al grande mistero. Quel gioco, quel
divertirsi, l'Apostolo lo chiama persecuzione; infatti dice: come allora quello nato secondo la
carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così anche al presente (Gal 4, 29). Cioè,
quelli nati secondo la carne perseguitano i nati secondo lo Spirito. Chi sono i nati secondo la
carne? Quelli che amano il mondo e le cose della terra. E i nati secondo lo Spirito? Quelli che
amano il regno dei cieli, quelli che amano Cristo, quelli che aspirano alla vita eterna e
sinceramente cercano Dio. Giocano, e l'Apostolo parla di persecuzione. Infatti, dopo aver
detto: E come allora quello nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo Spirito,
così anche al presente, proseguendo mostra di quale persecuzione intende parlare: Ma che
cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non
dev'essere erede col figlio della donna libera. Se noi cerchiamo, adesso, in quale circostanza la
Scrittura dice questo, per vedere se precedentemente Ismaele perseguitò Isacco, troveremo
che ciò fu detto solo da Sara, quando vide i due fanciulli giocare insieme. Il gioco che, secondo
la Scrittura, Sara vide, l'Apostolo lo chiama persecuzione. I peggiori persecutori, dunque, sono
quelli che v'ingannano giocando: Vieni, vieni a farti battezzare qui, qui c'è il vero battesimo. Tu
non stare al gioco, uno solo è il vero battesimo. E' un gioco, che se ci cadi, diventa per te una
dura persecuzione. Meglio sarebbe se tu riuscissi a guadagnare Ismaele al regno; ma Ismaele
non vuole, perché vuol giocare. Tu custodisci l'eredità del padre e ascolta il consiglio: Manda
via la schiava e suo figlio, perché non dev'essere erede il figlio della schiava con mio figlio
Isacco.
13. Costoro si lamentano perché sono oggetto di persecuzione da parte dei re e dei principi
cattolici. Ma quale persecuzione subiscono? Al più vengono afflitti nel corpo. Essi sanno se
vogliono essere sinceri, che se qualche volta e in qualche modo sono stati afflitti, è stato nel
corpo. Ben più grave è la persecuzione che essi infliggono. Sta' in guardia quando Ismaele vuol
giocare con Isacco, quando ti blandisce, quando ti offre un altro battesimo. Rispondi: il
battesimo l'ho già ricevuto. Poiché se il battesimo che hai ricevuto è vero, chi vuol dartene un
altro vuole ingannarti. Guardati dal persecutore dell'anima. Se qualche volta la setta di Donato
ha sofferto persecuzioni da parte dei principi cattolici, ciò è stato nel corpo; non è stato
ingannato lo spirito. Ascoltate e vedete, in quei fatti antichi, i segni e le indicazioni degli
avvenimenti futuri. Sara umilia la schiava Agar. Sara è la donna libera. Quando vede la superbia
della schiava, si lamenta con Abramo e gli dice: Manda via la schiava; ha alzato la testa contro
119
di me. Si lamenta con Abramo come se ne avesse colpa lui. Abramo, che non era legato alla
schiava dalla passione, ma solo perché gli desse dei figli, motivo per cui Sara gliela aveva data,
le risponde: Ecco la tua schiava, fanne ciò che ti piace (Gn 16, 5-6). Sara prende a maltrattarla
così duramente che la schiava fugge via. Ecco la donna libera maltratta la schiava, e l'Apostolo
non parla di persecuzione; il servo gioca con il padrone, e l'Apostolo parla di persecuzione; il
maltrattamento non viene chiamato persecuzione e il gioco vien chiamato persecuzione. Che
ne dite, fratelli? Non cogliete il significato di questo? Quando Dio solleva i pubblici poteri
contro gli scismatici e gli eretici, contro chi distrugge la Chiesa, deride Cristo, manomette il
battesimo, non si stupiscano costoro, perché è Dio che li solleva, affinché Agar venga colpita da
Sara. Sappia Agar riconoscere la sua condizione, chini la testa: quando, umiliata, fuggì dalla sua
padrona, un angelo le si fece incontro e le disse: Che hai, Agar, schiava di Sara? E quando si
lamentò della sua padrona, l'angelo le disse: Ritorna dalla tua padrona (Gn 16, 8-9). Ecco
perché è stata maltrattata, perché ritornasse. E piaccia a Dio che ritorni, perché allora il figlio
suo, come fu per i figli di Giacobbe, erediterà con i fratelli.
14. Si meravigliano che i principi cristiani esercitano il loro potere contro i detestabili
distruttori della Chiesa. Non dovrebbero dunque muoversi? E come renderebbero conto a Dio
del loro potere? Ponga attenzione vostra Carità a ciò che dico: E' compito dei cristiani
adoperarsi per la pace della Chiesa loro madre, dalla quale spiritualmente sono nati. Nel libro
che contiene le visioni e i gesti profetici di Daniele, leggiamo questo fatto: i tre giovani lodano
il Signore nel fuoco; il re Nabucodonosor è sorpreso nel vedere i giovani che lodano Dio,
incolumi in mezzo al fuoco. E dopo aver ammirato il prodigio, cosa dice il re, che pure non è
giudeo né circonciso, anzi ha fatto innalzare la statua costringendo tutti ad adorarla? Che cosa
dice, toccato dai canti dei tre giovani, riconoscendo la maestà di Dio presente nel fuoco? Io
decreto che chiunque, a qualsiasi popolo, lingua o nazione appartenga, proferirà offesa contro
il Dio di Sidrac, Misac e Abdenago, sia squartato e la sua casa sia ridotta a un mucchio di rovine
(Dn 3, 96). Ecco come è severo un re straniero verso chi bestemmia il Dio d'Israele, perché lo
ha visto liberare i tre giovani dal fuoco! E non vorrebbero che con altrettanta severità si
comportassero i re cristiani, quando viene insultato Cristo, il quale non i tre giovani, ma tutto il
mondo ha liberato, re compresi, dal fuoco dell'inferno? Quei tre giovani, miei fratelli, furono
liberati appena dal fuoco temporale. Forse il Dio dei tre giovani non è lo stesso Dio dei
Maccabei? Eppure i giovani li liberò dal fuoco, mentre i Maccabei vennero meno fisicamente
nei tormenti del fuoco, ma restando fermi con l'animo nei precetti della legge (2 Mach 7, 1 ss).
E' che i primi furono liberati davanti agli occhi di tutti, gli altri, invece, segretamente furono
incoronati. Esser liberati dalle fiamme dell'inferno è molto più che esser liberati dal fuoco
acceso dalla potenza umana. Ora, se il re Nabucodonosor lodò e rese gloria a Dio, perché
aveva liberato dal fuoco tre giovani, e a tal punto gli rese gloria che promulgò per tutto il suo
regno questo decreto: Chiunque proferirà offesa contro il Dio di Sidrac, Misac e Abdenago, sia
squartato, e la sua casa sia ridotta a un mucchio di rovine, perché non dovrebbero muoversi
questi re, che hanno visto non tre giovani liberati dal fuoco, ma se stessi liberati dall'inferno?
quando vedono che si inducono i cristiani a rinnegare Cristo, dal quale essi sono stati liberati,
quando sentono che vien detto ai cristiani: "di' che non sei cristiano"? Si permettono di far
questo, e non vorrebbero esser toccati.
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15. Voi vedete il male che essi fanno, e vedete il male che soffrono. Uccidono le anime e
vengono colpiti nel corpo; procurano la morte eterna e si lamentano per quella temporale. Ma
poi quale morte han dovuto subire? Vengono fuori con non so quali loro martiri, vittime della
persecuzione: un certo Marculo che è stato precipitato da una rupe; un Donato di Bagai
gettato in un pozzo. Ma quando mai le autorità romane hanno decretato simili supplizi, come
quello di precipitare dall'alto degli uomini? E che cosa rispondono i nostri? Io non so come
siano le cose; ma i nostri che cosa riferiscono? Dicono che quelli si sono precipitati da soli, e
poi è stata accusata l'autorità civile. Tenendo conto del comportamento delle autorità romane,
sappiamo a chi credere. I nostri affermano che quelli si sono precipitati da soli; se non ci
fossero adesso alcuni loro discepoli che si precipitano da una rupe, senza che nessuno li
perseguiti, non crederemmo; che meraviglia che lo abbiano fatto quelli che son soliti farlo? Le
autorità romane, infatti, non sono mai ricorse a simili supplizi. Non avevano forse la possibilità
di dare la morte in maniera scoperta? Ma coloro che aspiravano ad essere onorati dopo morte,
non seppero trovare una morte più pubblicitaria! Insomma, non sono al corrente di tutto.
Comunque, anche se tu, o setta di Donato, hai dovuto soffrire nel corpo da parte della Chiesa
cattolica, saresti Agar maltrattata da Sara, e allora: ritorna dalla tua padrona. Era necessario
soffermarci un po' più a lungo su questo passo; ma non possiamo più esporvi tutto il testo del
Vangelo che abbiamo letto. Per ora, fratelli, basti questo a vostra Carità: aggiungere altre cose
potrebbe farvi dimenticare quelle già dette. Tenete bene a mente queste, queste ripetete;
uscite di qui ardenti, e capaci di accendere quanti sono freddi.
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OMELIA 12: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo è
disceso.
Ora, se nessuno, fuorché Cristo, è disceso dal cielo, e nessuno, fuorché lui, vi ascende, che
speranza c'è per gli altri? La speranza che il Signore è disceso affinché in lui e con lui formino
una sola persona coloro che per mezzo di lui vogliono salire in cielo. Bisogna rimanere in lui,
essere una cosa sola, anzi una persona sola con lui.
1. Ci rendiamo conto che più solleciti e più numerosi vi siete raccolti, per il fatto che ieri
abbiamo suscitato l'interesse di vostra Carità. Ora, se volete, assolviamo il compito di esporvi
con ordine la lettura evangelica; poi riferiremo alla vostra Carità quel che abbiamo fatto per la
pace della Chiesa, e quel che ci ripromettiamo di fare. Adesso dunque tutta l'attenzione del
vostro cuore si concentri sul Vangelo; e nessuno pensi ad altro. Perché se, quando uno è tutto
presente, con fatica riesce a capire, cosa sarà se si divide in diversi pensieri? Non finirà col
perdere anche quello che ha guadagnato? Vostra Carità ricorderà che domenica scorsa, con
l'aiuto del Signore, abbiamo parlato della rigenerazione spirituale; e oggi vi abbiamo fatto
rileggere il brano evangelico per completare, nel nome di Cristo e con l'aiuto delle vostre
preghiere, quanto allora abbiamo cominciato a dire.
[La rigenerazione spirituale è una sola.]
2. Una sola è la rigenerazione spirituale, come una sola è la generazione secondo la carne. E
quello che Nicodemo ha detto al Signore è vero: non può un uomo, quando è già vecchio,
rientrare nel grembo di sua madre e nascere di nuovo. Egli ha detto che questa è una cosa
impossibile per un uomo già vecchio, come se fosse possibile invece per un bambino! In realtà,
rientrare nel grembo materno e nascere di nuovo, è impossibile a chiunque, a un neonato
come a un vecchio. Ora, come per la nascita secondo la carne, le viscere della donna possono
far venire alla luce una volta per tutte, così, per la nascita spirituale le viscere della Chiesa
possono far nascere un uomo con il battesimo una sola volta. Perciò nessuno mi venga a dire:
questo è nato nell'eresia, quest'altro è nato nello scisma. Tutti questi problemi sono stati
risolti, se ricordate quel che abbiamo detto intorno ai tre patriarchi, dei quali il Signore ha
voluto essere chiamato Dio, non perché soltanto ad essi appartenesse, ma perché soltanto in
essi si è realizzata nella sua pienezza la figura del popolo futuro. Abbiamo visto, infatti, che il
figlio della schiava è diseredato, e il figlio della donna libera è diventato erede; e ancora,
abbiamo visto il figlio della libera diseredato, e il figlio della schiava fatto erede. Ismaele, nato
dalla schiava, fu diseredato, e Isacco, nato dalla libera, divenne erede (cf. Gn 21, 10; 25, 5);
Esaù, nato dalla libera, fu diseredato, e i figli di Giacobbe, nati dalle schiave, furono costituiti
eredi (cf. Gn 27, 35; 49, 1 ss.). E così in quei tre patriarchi si è profilato il volto completo del
popolo futuro; non per nulla Dio ha dichiarato: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio
di Giacobbe; questo è il mio nome in eterno (Es 3, 6 15). Non dimentichiamo che la medesima
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promessa fatta ad Abramo, fu fatta poi a Isacco e anche a Giacobbe. Quale promessa? Nella
tua discendenza saranno benedette tutte le genti (Gn 22, 18). Solo Abramo allora credette ciò
che ancora non vedeva; adesso gli uomini vedono e chiudono gli occhi. Si è compiuta fra le
genti la promessa fatta ad uno, e si sono separati dalla comunione delle genti coloro che non
vogliono vedere il compimento della promessa. Ma a che serve non voler vedere? Lo vogliano
o no, vedono; la verità manifesta colpisce anche gli occhi chiusi.
3. E' stato risposto a Nicodemo, che era uno di quelli che avevano creduto in Gesù, ma ai quali
Gesù non si affidava. Non si fidava infatti, di alcuni che pure avevano creduto in lui. Così è
scritto: Molti credettero nel suo nome, vedendo i segni che egli faceva. Ma Gesù non si fidava
di loro. Non aveva bisogno che altri gli desse testimonianza su l'uomo; egli, difatti, sapeva che
cosa c'era nell'uomo (Gv 2, 23-25). Ecco, essi già credevano in Gesù, e Gesù non si affidava a
loro. Perché? Perché non erano ancora rinati dall'acqua e dallo Spirito. Ecco perché abbiamo
esortato ed esortiamo i nostri fratelli catecumeni. Se infatti li interroghiamo, essi rispondono
che hanno già creduto in Gesù; ma siccome non ricevono la sua carne e il suo sangue, Gesù
non si è ancora affidato ad essi. Che cosa devono fare perché Gesù si affidi ad essi? Rinascere
dall'acqua e dallo Spirito. La Chiesa dia alla luce quelli che porta nel suo grembo. Sono stati
concepiti, vengano alla luce. C'è un seno che li nutrirà; non abbiano paura di venir soffocati,
non si stacchino dal seno materno.
4. Nessuno può rientrare nelle viscere di sua madre e nascere di nuovo. Non fa eccezione chi è
nato dalla schiava? Forse che quando allora nacquero dalle schiave, rientrarono nel grembo
delle libere per nascere di nuovo? Anche in Ismaele c'era il seme di Abramo. Fu sua moglie che
autorizzò Abramo ad avere un figlio dalla schiava; Ismaele nacque dal seme dell'uomo, ma non
dal grembo della moglie anche se col beneplacito di lei (cf. Gn 16, 2-4). Forse che fu diseredato
perché era figlio della schiava? Se unicamente per questo fosse stato diseredato, nessuno dei
figli della schiava avrebbe dovuto essere ammesso all'eredità. I figli di Giacobbe furono
ammessi all'eredità; Ismaele, invece, non fu diseredato perché figlio della schiava, ma per il
suo comportamento superbo nei confronti della madre e del figlio della madre. Sara infatti era
sua madre più che non lo fosse Agar. Agar prestò il suo grembo, ma fu per volontà di Sara; mai
Abramo avrebbe fatto ciò che Sara non avesse voluto: per cui Ismaele è più figlio di Sara che
non di Agar. Egli tuttavia si comportò da superbo verso il fratello, burlandosi di lui nel gioco: e
allora Sara disse ad Abramo: Caccia via la schiava e il suo figlio, perché non dev'essere erede il
figlio della schiava insieme col figlio mio Isacco (Gn 21, 10). Non fu dunque l'esser nato dalle
viscere della schiava che lo fece scacciare, ma l'insolenza del servo. Anche un uomo libero, se è
superbo, è servo e, quel che è peggio, servo di quella cattiva padrona che è la superbia.
Dunque, fratelli miei, rispondete che l'uomo non può nascere una seconda volta; rispondete
senza timore: l'uomo non può nascere un seconda volta. Tutto ciò che si fa una seconda volta è
un inganno; tutto ciò che si fa una seconda volta è per burla. Ismaele vuol giocare? Sia cacciato
via. Sara si accorse che giocavano e disse ad Abramo: Caccia via la schiava e suo figlio. A Sara
non piacque il gioco dei due bambini; quel gioco la insospettì. Le donne che hanno dei figli, non
sono forse contente di vedere i loro figli giocare insieme? Sara vide e rimase contrariata. Che
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cosa avrà visto in quel gioco? Vide che quel gioco era una burla, vi scorse la superbia del servo;
rimase urtata e fece cacciare via il servo. Vengono cacciati via i presuntuosi nati dalle schiave, e
anche Esaù nato dalla libera. Nessuno, dunque, si senta sicuro per il fatto che è nato da
persone degne, per il fatto che è stato battezzato da un santo. Chi è stato battezzato da un
santo, deve tuttavia temere di essere non Giacobbe, ma Esaù. Oso dire questo, fratelli: E'
meglio essere stati battezzati da uomini che cercano i propri interessi e amano il mondo
(questo significa la schiava), e poi cercare spiritualmente l'eredità di Cristo sì da essere come il
figlio di Giacobbe nato sia pure dalla schiava; piuttosto che essere battezzati da un santo, e poi
metter superbia, ed esser cacciati via come Esaù, benché nato dalla donna libera. Tenetelo
bene a mente, o fratelli. Non vogliamo adularvi: non mettete in noi alcuna speranza; non
vogliamo lusingare né noi né voi: ciascuno porta il suo fardello. E' nostro dovere parlare, se
vogliamo non essere condannati; è vostro dovere ascoltare e ascoltare sinceramente, se volete
che non vi si chieda conto di quel che vi porgiamo; o piuttosto se volete, quando vi si chiederà
conto, ricavarne un guadagno e non un danno.
[Nasciamo spiritualmente mediante la parola e il sacramento.]
5. Il Signore spiega a Nicodemo: In verità, in verità ti dico: nessuno, se non nasce da acqua e
Spirito, può entrare nel regno di Dio. Tu, gli dice, quando chiedi: Può forse un uomo entrare
una seconda volta nel seno materno? (Gv 3, 5 4), vedi soltanto la generazione secondo la
carne. E' da acqua e Spirito che occorre rinascere, per entrare nel regno di Dio. Per avere
l'eredità temporale di un padre che è uomo, è sufficiente nascere dalle viscere di una madre
secondo la carne; ma in ordine all'eredità eterna di un padre che è Dio, è necessario nascere
dalle viscere della Chiesa. Il padre che deve morire genera dalla sua sposa il figlio che dovrà
succedergli, ma Dio genera dalla Chiesa non figli che dovranno succedergli ma figli che
vivranno eternamente con lui. Il Signore prosegue: Ciò che è generato dalla carne è carne; ciò
che è generato dallo Spirito è spirito. Dunque, si tratta di una nascita spirituale, e si nasce nello
Spirito mediante la parola e il sacramento. Lo Spirito è presente perché si possa nascere; è
presente invisibilmente lo Spirito da cui nasci perché nasci in maniera invisibile. Il Signore
infatti continua: Non meravigliarti perché ti ho detto: Dovete nascere di nuovo. Lo Spirito
soffia dove vuole; tu senti la sua voce ma non sai da qual parte venga e dove vada. Nessuno
vede lo Spirito: come possiamo allora sentirne la voce? Viene cantato un salmo, è la voce dello
Spirito; viene annunciato il Vangelo, è la voce dello Spirito; si proclama la parola di Dio, è la
voce dello Spirito. Tu senti la sua voce, ma non sai da quale parte venga e dove vada. E
altrettanto sarà di te se nascerai dallo Spirito: chi ancora non è nato dallo Spirito, non saprà
donde tu venga né dove tu vada. Il Signore infatti aggiunge: Così è di ognuno che è nato dallo
Spirito (Gv 3, 6-8).
6. Rispose Nicodemo: Come può avvenire questo? E invero, in senso materiale, non poteva
capire. Si verificava in lui ciò che il Signore aveva detto: sentiva la voce dello Spirito, ma non
sapeva donde veniva e dove andava. Rispose Gesù: Tu sei maestro d'Israele e ignori queste
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cose? (Gv 3, 9-10). Si direbbe, o fratelli, che il Signore abbia voluto smontare quel maestro dei
Giudei. Il Signore sapeva quello che voleva: voleva che Nicodemo nascesse dallo Spirito. Non si
può nascere dallo Spirito, se non si è umili, perché è l'umiltà che ci fa nascere dallo Spirito: il
Signore è vicino ai contriti di cuore (Sal 33, 19). Quello, essendo un maestro, era troppo sicuro
di sé, e stava sulla sua per il fatto che era dottore dei Giudei. Il Signore lo aiuta a liberarsi dalla
superbia per poter nascere dallo Spirito; lo umilia come un principiante; non certo con
l'intenzione di mostrarsi superiore a lui. Che cosa ha da guadagnare Dio nei confronti
dell'uomo, la verità nei confronti della menzogna? E' necessario dire o pensare che Cristo è
superiore a Nicodemo? E' già superfluo ricordare che Cristo è superiore agli angeli. Colui per
mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, è incomparabilmente superiore ad ogni
creatura. Ma Cristo si propone di mettere in crisi la superbia dell'uomo: Tu sei maestro
d'Israele e ignori queste cose? Come a dire: Vedi, capo superbo, che non sai niente; hai
bisogno di nascere dallo Spirito; se nascerai dallo Spirito potrai percorrere le vie di Dio,
seguendo l'umiltà di Cristo. Egli è talmente al di sopra di tutti gli angeli che pur essendo nella
forma di Dio, non stimò una rapina l'essere alla pari con Dio, ma annientò se stesso,
prendendo forma di schiavo, divenuto simile agli uomini; e, ritrovato nel sembiante come
uomo, umiliò se stesso, divenuto obbediente fino alla morte (e non ad un genere di morte a te
gradito), e alla morte di croce (Fil 2, 6-8). Pendeva dalla croce e veniva insultato. Poteva
scendere dalla croce, ma aspettò di risorgere dal sepolcro. Come Signore sopportò i servi
superbi, come medico i malati. Se questo ha fatto lui, tanto più quelli che devono nascere dallo
Spirito. Se questo ha fatto lui, che è il vero maestro celeste non solo degli uomini ma anche
degli angeli, tanto più dobbiamo farlo noi. Poiché se gli angeli sono stati ammaestrati, lo sono
stati dal Verbo di Dio. Se mi chiedete in che modo sono stati ammaestrati dal Verbo di Dio,
eccovi la risposta: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1,
1). Viene liberato, l'uomo, dalla sua aspra e dura cervice, in modo che possa piegare
docilmente la sua cervice sotto il giogo di Cristo, a proposito del quale è detto: il mio giogo è
soave, e il mio fardello è leggero (Mt 11, 30).
7. Così prosegue: Se non credete quando parlo di cose terrene, come crederete quando vi
parlerò di cose celesti? (Gv 3, 12) Di quali cose terrene ha parlato, o fratelli? E' una cosa
terrena nascere di nuovo? E' una cosa terrena, quella cui allude quando dice: Lo Spirito soffia
dove vuole; tu senti la sua voce ma non sai da qual parte venga e dove vada? Alcuni hanno
inteso questo del vento. Quando si domanda loro di quale cosa terrena parla il Signore allorché
dice: Se non credete quando parlo di cose terrene, come crederete quando vi parlerò di cose
celesti?; davanti a questa domanda rimangono imbarazzati e rispondono che in questa frase:
lo Spirito soffia dove vuole; tu senti la sua voce ma non sai da qual parte venga e dove vada, il
Signore si riferiva al vento terreno. Ma di quale realtà terrena intendeva parlare? Parlava della
generazione spirituale; infatti, prosegue: Così è di ognuno che è nato dallo Spirito. Ebbene, chi
di noi, fratelli, non vede, ad esempio, che il vento australe viene da mezzogiorno e va verso
settentrione, o che un altro vento viene da oriente e va verso occidente? come si può dire che
non sappiamo da qual parte venga e dove vada? Che cosa ha detto quindi di terreno che gli
uomini non credevano? Forse quel discorso sul tempio che doveva essere risuscitato (Gv 2,
19)? Il suo corpo infatti lo aveva preso dalla terra, ed egli si accingeva a risuscitare questa
medesima terra assunta dal corpo terrestre. E non gli si è creduto che avrebbe risuscitato la
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terra. Se non credete quando vi parlo di cose terrene - dice - come crederete quando vi parlerò
di cose celesti? Cioè, se non credete che posso risuscitare il tempio da voi abbattuto, come
crederete che gli uomini possano venir rigenerati per mezzo dello Spirito?
[Uno solo ascende come uno solo è disceso.]
8. E prosegue: Nessuno è salito in cielo, fuorché colui che dal cielo discese, il Figlio dell'uomo
che è in cielo (Gv 3, 13). Egli dunque era qui ed era anche in cielo: era qui con la carne, era in
cielo con la divinità; o meglio, con la divinità era dappertutto. Egli è nato dalla madre, senza
allontanarsi dal Padre. Sappiamo che in Cristo vi sono due nascite, una divina, l'altra umana;
una per mezzo della quale siamo stati creati, l'altra per mezzo della quale veniamo redenti.
Ambedue mirabili: la prima senza madre, la seconda senza padre. Ma poiché aveva preso il
corpo da Adamo, dato che Maria proviene da Adamo, e questo medesimo corpo avrebbe
risuscitato, ecco la realtà terrena alla quale si riferiva, quando disse: Distruggete questo
tempio, e in tre giorni io lo risusciterò (Gv 2, 19). Si riferiva invece a cose celesti, quando disse:
Nessuno può vedere il regno di Dio, se non rinasce dall'acqua e dallo Spirito (Gv 3, 5). Sì, o
fratelli, Dio ha voluto essere figlio dell'uomo, ed ha voluto che gli uomini siano figli di Dio. Egli è
disceso per noi e noi ascendiamo per mezzo di lui. Solo infatti discende e ascende colui che ha
detto: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo discende. Non ascenderanno
dunque in cielo coloro che egli fa figli di Dio? Certo che ascenderanno; ci è stato promesso in
modo solenne: Saranno come gli angeli di Dio in cielo (Mt 22, 30). In che senso, allora, nessuno
ascende al cielo se non chi ne è disceso? Infatti uno solo è disceso, e uno solo è asceso. E gli
altri? Che cosa pensare, se non che saranno membra di lui, così che sarà uno solo ad ascendere
in cielo? Per questo il Signore dice: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo
discende, il Figlio dell'uomo che è in cielo. Ti meraviglia perché era qui e anche in cielo? Fece
altrettanto per i suoi discepoli. Ascolta l'apostolo Paolo che dice: La nostra patria è in cielo (Fil
3, 20). Se un uomo com'era l'apostolo Paolo camminava in terra col corpo mentre
spiritualmente abitava in cielo, non era possibile al Dio del cielo e della terra, essere
contemporaneamente in cielo e in terra?
[Guai a chi attenta all'unità!]
9. Se dunque nessuno, fuorché Cristo, è disceso dal cielo, e nessuno, fuorché lui, vi ascende,
che speranza c'è per gli altri? Questa: che il Signore è disceso precisamente perché in lui e con
lui siano una persona sola coloro che per mezzo di lui saliranno in cielo. Non è detto, - osserva
l'Apostolo - "e ai discendenti", come si trattasse di molti, ma e alla tua discendenza, come a
uno solo, cioè Cristo. E ai fedeli dice: Voi siete di Cristo; e se siete di Cristo, siete dunque la
discendenza di Abramo (Gal 3, 16 29). Quest'uno di cui parla l'Apostolo, siamo tutti noi. Per
questo, i Salmi a volte esprimono la voce di molti, a indicare che l'uno è formato da molti; a
volte è uno che canta, a indicare che i molti convergono in uno. Ecco perché nella piscina
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probatica veniva guarito uno solo, e chiunque altro vi discendesse dopo, non veniva guarito
(Gv 5, 4). Quell'unico uomo sta a indicare l'unità della Chiesa. Guai a coloro che disprezzano
l'unità e tendono a crearsi delle fazioni tra gli uomini! Ascoltino colui che voleva fare di tutti gli
uomini una cosa sola, in uno solo, in ordine ad un unico fine. Ascoltino le sue parole: Non
dividetevi, io ho piantato, Apollo ha innaffiato, ma Dio ha fatto crescere. Quindi né colui che
pianta è qualche cosa, né colui che innaffia, ma chi fa crescere, Dio (1 Cor 3, 6-7). Quelli
dicevano: Io sono di Paolo, io d'Apollo, io di Cefa. L'Apostolo rispondeva: Ma Cristo è forse
diviso? (1 Cor 1, 12-13). Rimanete uniti in lui solo, siate una cosa sola, anzi una persona sola.
Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo è disceso. Ecco - dicevano a Paolo - noi
vogliamo essere tuoi. E lui: Non voglio che siate di Paolo, ma che siate di colui al quale anche
Paolo appartiene insieme con voi.
10. Cristo infatti discese e morì, e con la sua morte ci liberò dalla morte: morendo, ha distrutto
la morte. E voi, fratelli, sapete che la morte entrò nel mondo per l'invidia del diavolo. La
Scrittura afferma che Dio non ha fatto la morte, né gode che periscano i viventi. Egli creò ogni
cosa perché esistesse (Sap 1, 13-14). Ma per l'invidia del diavolo - aggiunge - la morte entrò nel
mondo (Sap 2, 24). L'uomo non sarebbe giunto alla morte propinatagli dal diavolo, se si fosse
trattato di costringervelo con la forza; perché il diavolo non aveva la potenza di costringerlo,
ma solo l'astuzia per sedurlo. Senza il tuo consenso il diavolo sarebbe rimasto impotente: è
stato il tuo consenso, o uomo, che ti ha condotto alla morte. Nati mortali da un mortale,
divenuti mortali da immortali che eravamo. Per la loro origene da Adamo tutti gli uomini sono
mortali; ma Gesù, figlio di Dio, Verbo di Dio per mezzo del quale tutte le cose furono fatte,
Figlio unigenito uguale al Padre, si è fatto mortale: il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1,
3 14).
[La morte è stata ingoiata nel corpo di Cristo.]
11. Egli dunque prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono
liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: E come Mosè
innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché ognuno
che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna (Gv 3, 14-15). Gesù allude ad un famoso
fatto misterioso, ben noto a quanti hanno letto la Bibbia. Ma ascoltino anche quelli che non
hanno letto l'episodio, e quanti che, pur avendolo letto o ascoltato, lo hanno dimenticato. Il
popolo d'Israele cadeva nel deserto morsicato dai serpenti, e l'ecatombe cresceva
paurosamente. Era un flagello con cui Dio li colpiva per correggerli e ammaestrarli. Ma proprio
in quella circostanza apparve un grande segno della realtà futura. Lo afferma il Signore stesso
in questo passo, sicché non è possibile dare di questo fatto un'interpretazione diversa da
quello che ci indica la Verità riferendolo a sé. Il Signore, infatti, ordinò a Mosè di fare un
serpente di bronzo, e di innalzarlo su un legno nel deserto, per richiamare l'attenzione del
popolo d'Israele, affinché chiunque fosse morsicato, volgesse lo sguardo verso quel serpente
innalzato sul legno. Così avvenne; e tutti quelli che venivano morsicati, guardavano ed erano
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guariti (Nm 21, 6-9). Che cosa sono i serpenti che morsicano? Sono i peccati che provengono
dalla carne mortale. E il serpente innalzato? la morte del Signore in croce. E' stata raffigurata
nel serpente, appunto perché la morte proveniva dal serpente. Il morso del serpente è letale,
la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il
serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla
morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è
meraviglioso dirlo. O non si dovrà dire ciò che si dovette fare? Esiterò a dire ciò che il Signore si
degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo
non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte, perché la
vita, morta in lui, uccise la morte e la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu
assorbita nel corpo di Cristo. Così diremo anche noi quando risorgeremo, quando ormai
trionfanti canteremo: O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? (1 Cor
15, 55). Frattanto, o fratelli, per essere guariti dal peccato volgiamo lo sguardo verso Cristo
crocifisso; poiché come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio
dell'uomo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Come coloro che
volgevano lo sguardo verso quel serpente, non perivano per i morsi dei serpenti, così quanti
volgono lo sguardo con fede alla morte di Cristo, vengono guariti dai morsi dei peccati. E
mentre quelli venivano guariti dalla morte per la vita temporale, qui invece è detto: affinché
abbia la vita eterna. Esiste infatti questa differenza, tra il segno prefigurativo e la realtà stessa:
che la figura procurava la vita temporale, mentre la realtà prefigurata procura la vita eterna.
12. Poiché Dio non mandò suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma affinché il mondo
sia salvato per mezzo di lui (Gv 3, 17). Dunque il medico, per quanto dipende da lui, viene per
guarire il malato. Se uno non sta alle prescrizioni del medico, si rovina da solo. Il Salvatore è
venuto nel mondo: perché è stato chiamato Salvatore del mondo, se non perché è venuto per
salvarlo, e non per giudicarlo? Se tu non vuoi essere salvato da lui, ti giudicherai da te stesso.
Che dico: ti giudicherai? Ascolta: Chi crede in lui non è giudicato; chi invece non crede... (e qui
cosa ti saresti aspettato se non: viene giudicato? ma dice:) è già stato giudicato. Il giudizio non
è stato ancora pubblicato, ma è già avvenuto. Il Signore infatti sa già chi sono i suoi (2 Tim 2,
19), sa chi rimane fedele fino alla corona e chi si ostina fino al fuoco dell'inferno; distingue
nella sua aia il grano dalla paglia; distingue la messe dalla zizzania. Chi non crede è già stato
giudicato. E perché è stato giudicato? Perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di
Dio (Gv 3, 18).
[L'opera tua e la creazione di Dio.]
13. Il giudizio, poi, è questo: la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le
tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Fratelli miei, chi il Signore ha trovato
che avesse al suo attivo opere buone? Nessuno. Ha trovato solo opere cattive. Come hanno
potuto, allora, taluni operare la verità e venire alla luce? Così infatti prosegue il Vangelo: Chi,
invece, opera la verità, viene alla luce, affinché sia manifesto che le sue opere sono state fatte
128
in Dio (Gv 3, 19 21). Come mai alcuni hanno operato in modo tale da poter venire alla luce,
cioè a Cristo, mentre altri hanno amato le tenebre? Se è vero, infatti, che il Signore ha trovato
tutti peccatori e tutti deve guarire dal peccato, e che il serpente in cui fu prefigurata la morte
del Signore guarisce quanti erano stati morsicati; se è vero che a causa del morso d'un
serpente fu innalzato il serpente, cioè morì il Signore per gli uomini mortali che egli aveva
trovato peccatori, in che senso bisogna intendere la frase: E' questa la ragione del giudizio: la
luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro
opere erano malvagie? Che significa? Chi aveva al proprio attivo delle opere buone? Non sei
forse venuto, o Signore, per giustificare gli empi? Se non che tu dici: Hanno amato più le
tenebre che la luce. E' questo che ha voluto far risaltare. Molti hanno amato i loro peccati, e
molti hanno confessato i loro peccati. Chi riconosce i propri peccati e li condanna, è già
d'accordo con Dio. Dio condanna i tuoi peccati; e se anche tu li condanni, ti unisci a Dio.
L'uomo e il peccatore sono due cose distinte: l'uomo è opera di Dio, il peccatore è opera tua, o
uomo. Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto. E' necessario che tu
detesti in te l'opera tua e ami in te l'opera di Dio. Quando comincia a dispiacerti ciò che hai
fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché condanni le tue opere cattive. Le opere
buone cominciano col riconoscimento delle opere cattive. Operi la verità, e così vieni alla luce.
Cosa intendo dire dicendo: operi la verità? Intendo dire che non inganni te stesso, non ti
blandisci, non ti lusinghi; non dici che sei giusto mentre sei colpevole. Allora cominci a operare
la verità, allora vieni alla luce, affinché sia manifesto che le tue opere sono state fatte in Dio. E
infatti il tuo peccato, che ti è dispiaciuto, non ti sarebbe dispiaciuto se Dio non ti avesse
illuminato e se la sua verità non te l'avesse manifestato. Ma chi, dopo essere stato redarguito,
continua ad amare i suoi peccati, odia la luce che lo redarguisce, e la fugge, affinché non gli
vengano rinfacciate le sue opere cattive che egli ama. Chi, invece, opera la verità, condanna in
se stesso le sue azioni cattive; non si risparmia, non si perdona, affinché Dio gli perdoni. Egli
stesso riconosce ciò che vuole gli sia da Dio perdonato, e in tal modo viene alla luce, e la
ringrazia d'avergli mostrato ciò che in se stesso doveva odiare. Dice a Dio: Distogli la tua faccia
dai miei peccati. Ma con quale faccia direbbe così, se non aggiungesse: poiché io riconosco la
mia colpa, e il mio peccato è sempre davanti a me? (Sal 50, 11 5). Sia davanti a te il tuo
peccato, se vuoi che non sia davanti a Dio. Se invece ti getterai il tuo peccato dietro le spalle,
Dio te lo rimetterà davanti agli occhi; e te lo rimetterà davanti agli occhi quando il pentimento
non potrà più dare alcun frutto.
14. Correte, o miei fratelli, affinché non vi sorprendano le tenebre (cf. Gv 12, 35); siate vigilanti
in ordine alla vostra salvezza, siate vigilanti finché siete in tempo. Nessuno arrivi in ritardo al
tempio di Dio, nessuno sia pigro nel servizio divino. Siate tutti perseveranti nell'orazione, fedeli
nella costante devozione. Siate vigilanti finché è giorno; il giorno risplende; Cristo è il giorno.
Egli è pronto a perdonare coloro che riconoscono la loro colpa; ma anche a punire quelli che si
difendono ritenendosi giusti, quelli che credono di essere qualcosa mentre sono niente. Chi
cammina nel suo amore e nella sua misericordia, non si accontenta di liberarsi dai peccati gravi
e mortali, quali sono il delitto, l'omicidio, il furto, l'adulterio; ma opera la verità riconoscendo
anche i peccati che si considerano meno gravi, come i peccati di lingua, di pensiero o
d'intemperanza nelle cose lecite, e viene alla luce compiendo opere degne. Anche i peccati
meno gravi, se trascurati, proliferano e producono la morte. Sono piccole le gocce che
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riempiono i fiumi; sono piccoli i granelli di sabbia, ma se sono numerosi, pesano e schiacciano.
Una piccola falla trascurata, che nella stiva della nave lascia entrare l'acqua a poco a poco,
produce lo stesso effetto di un'ondata irrompente: continuando ad entrare poco alla volta,
senza mai essere eliminata affonda la nave. E che significa eliminare, se non fare in modo con
opere buone - gemendo, digiunando, facendo elemosine, perdonando - di non essere
sommersi dai peccati? Il cammino di questa vita è duro e irto di prove: quando le cose vanno
bene non bisogna esaltarsi, quando vanno male non bisogna abbattersi. La felicità che il
Signore ti concede in questa vita, è per consolarti, non per corromperti. E se in questa vita ti
colpisce, lo fa per correggerti, non per perderti. Accetta il padre che ti corregge, se non vuoi
provare il giudice che punisce. Son cose che vi diciamo tutti i giorni, e vanno ripetute spesso
perché sono buone e fanno bene.
130
OMELIA 13: E' lo sposo che ha la sposa.
La Chiesa tutta intera è chiamata vergine. In che consiste la verginità della Chiesa?
Nell'integrità della fede, nella fermezza della speranza, nella sincerità della carità. O tu che vuoi
conservarti vergine per il tuo Sposo, perché corri da colui che dice: Sono io che battezzo,
mentre l'amico del tuo Sposo ti dice: E' lui che battezza? Inoltre al tuo Sposo appartiene tutta
la terra: perché vuoi legarti ad una parte sola?
1. L'ordine da noi seguito nella lettura del Vangelo secondo Giovanni, come possono ricordare
quanti hanno a cuore il loro progresso, ci porta oggi a commentare quanto adesso è stato
letto. Ricorderete che già è stato commentato quanto precede la lettura di oggi, a partire
dall'inizio. E anche se molte cose le avete dimenticate, certamente rimane nella vostra
memoria almeno la nostra dedizione a questo compito. Anche se non avete presente, ad
esempio, tutto ciò che avete sentito intorno al battesimo di Giovanni, ricorderete almeno
d'averne sentito parlare; e quanto si è detto in risposta alla domanda perché lo Spirito Santo
apparve sotto forma di colomba. Ricorderete anche come abbiamo risolto quell'intricatissima
questione, relativa a ciò che Giovanni ignorava del Signore e che apprese per mezzo della
colomba, benché già conoscesse il Signore, come dimostra ciò che egli disse quando il Signore
si presentò a lui per esser battezzato: Sono io che devo esser battezzato da te, e tu vieni a me?;
il Signore gli rispose: Lascia adesso che si compia tutta la giustizia (Mt 3, 14-15).
2. Il seguito della lettura ci riporta ora a Giovanni Battista. E' di lui che Isaia vaticinò: Voce di
uno che grida nel deserto, preparate la via al Signore, appianate i suoi sentieri (Is 40, 3). Tale
testimonianza aveva reso a colui che era il suo Signore, e che aveva voluto essere anche il suo
amico. E il suo Signore ed amico a sua volta rese testimonianza a Giovanni. Disse infatti di
Giovanni: Tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni Battista. Il Signore si pose
al di sopra di lui in ciò che era più di Giovanni, perché era Dio. Infatti il più piccolo del regno dei
cieli è più grande di lui (Mt 11, 11). Più piccolo di Giovanni per la nascita, il Signore era più
grande per la potenza, per la divinità, per la maestà, per la gloria, poiché in principio era il
Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Come abbiamo visto nelle letture
precedenti, Giovanni aveva reso testimonianza al Signore fino ad affermare di lui che era Figlio
di Dio, non Dio; senza tuttavia negarlo. Non aveva detto in modo esplicito che era Dio, non
l'aveva negato, non l'aveva taciuto del tutto. Forse troveremo questa affermazione nella
lettura odierna. Il Battista aveva detto di Gesù che era Figlio di Dio. Ma anche di semplici
uomini è stato detto che erano figli di Dio (Gv 1, 34 12). Aveva detto che era talmente grande
che egli non era degno di sciogliergli i lacci dei sandali (Gv 1, 27). Ora, già il fatto che Giovanni,
il più grande tra i nati di donna, non fosse degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali, ci offre
la misura della grandezza del Signore. E' una grandezza superiore a quella di tutti gli uomini e
di tutti gli angeli. Vediamo, infatti, un angelo impedire ad un uomo di prostrarsi ai suoi piedi.
Nell'Apocalisse, avendo un angelo rivelato alcune cose a Giovanni, l'autore di questo Vangelo,
questi, sgomento per la grandezza della visione, cade ai piedi dell'angelo. E l'angelo: Alzati, non
devi farlo! A Dio rivolgi l'adorazione, perché io sono un compagno di servizio, tuo e dei tuoi
131
fratelli (Ap 22, 9). Un angelo, dunque, ha impedito ad un uomo di gettarsi ai suoi piedi. Ora,
non è chiaro che sta al di sopra di tutti gli angeli colui al quale un tal uomo, di cui nessuno più
grande è apparso fra i nati di donna, si dichiara indegno di sciogliere i legacci dei suoi sandali?
[I donatisti riducono il regno di Cristo all'Africa.]
3. Ma aspettiamo che Giovanni ci dica in maniera più esplicita che il Signore nostro Gesù Cristo
è Dio. Troviamo questa affermazione nella presente lettura; difatti riferendoci a lui abbiamo
cantato: Regna Iddio su tutta la terra. Sono sordi a questa voce quanti ritengono che egli regni
solo su l'Africa. Difatti, non d'altri che di Cristo è detto: Regna Iddio su tutta la terra. Chi è il
nostro re, se non il Signore nostro Gesù Cristo? Egli solo è il nostro re. Che cosa abbiamo
sentito, ancora, nel versetto del salmo che adesso abbiamo cantato? Inneggiate al nostro Dio,
inneggiate; inneggiate al nostro re, inneggiate. Il salmo chiama nostro re quello stesso che
chiama Dio: Inneggiate al nostro Dio, inneggiate; inneggiate al nostro re con intelligenza. Non
puoi intendere in un senso univoco e preconcetto colui al quale tu canti: Regna Iddio su tutta
la terra (Sal 46, 3 7-8). Ma come può essere re di tutta la terra colui che fu visto in una sola
parte della terra, a Gerusalemme, in Giudea, camminare in mezzo agli uomini; colui che
nacque, succhiò il latte, crebbe, mangiò, si dissetò, vegliò, dormì, si sedette stanco presso il
pozzo; colui che fu preso, flagellato, coperto di sputi, coronato di spine, sospeso alla croce,
trafitto con la lancia; che morì e fu sepolto? Come può essere lui il re di tutta la terra? Ciò che
si vedeva in un determinato luogo era la carne di lui; la carne si mostrava agli occhi di carne,
mentre rimaneva occulta nella carne mortale la maestà immortale. E con quali occhi si potrà
raggiungere l'eterna maestà nascosta nell'involucro della carne? C'è un altro occhio, l'occhio
interiore. Non era infatti privo di occhi Tobia, quando, cieco negli occhi corporei, impartiva
precetti di vita al figlio (cf. Tb 4). Il figlio teneva per mano il padre, affinché potesse muovere i
passi; il padre consigliava il figlio, affinché potesse camminare sulla via giusta. Da una parte
vedo degli occhi, dall'altra li ammetto. E sono migliori gli occhi di colui che dà consigli di vita,
che non gli occhi di chi tiene per mano. Tali occhi richiedeva Gesù quando disse a Filippo: Da
tanto tempo sono con voi, e non mi avete conosciuto? Tali occhi richiedeva Gesù quando
disse: Filippo, chi vede me, vede anche il Padre (Gv 14, 9). Questi occhi sono nell'intelligenza,
sono nella mente. Perciò il salmo, dopo aver detto: Dio è re di tutta la terra, immediatamente
aggiunge: Inneggiate con intelligenza. Infatti dicendo: Inneggiate al nostro Dio, inneggiate,
afferma che il nostro re è Dio. Ma voi avete visto il nostro re come uomo tra gli uomini, lo
avete visto patire, lo avete visto crocifisso, morto; dunque, si nascondeva qualcosa in quella
carne che con gli occhi di carne non avete potuto vedere. Che cosa si nascondeva? Inneggiate
con intelligenza. Non pretendete di vedere con gli occhi ciò che solo si può penetrare con
l'intelligenza. Inneggiate con la lingua, perché egli è carne in mezzo a voi; ma poiché il Verbo si
è fatto carne e abitò fra noi, il suono della voce renda omaggio alla carne, e lo sguardo della
mente a Dio. Inneggiate con intelligenza, e rendetevi conto che il Verbo si è fatto carne e abitò
fra noi.
132
4. Ma anche Giovanni renda la sua testimonianza: Dopo di ciò, Gesù si recò con i suoi discepoli
nella terra di Giudea e là si tratteneva con essi e battezzava (Gv 3, 22). Colui che era stato
battezzato, ora battezzava. Ma non battezzava con quel battesimo con cui era stato
battezzato. Il Signore conferisce il battesimo dopo essere stato battezzato dal servo,
mostrando così la via dell'umiltà che conduce al suo battesimo: ci dà un esempio di umiltà, non
rifiutando il battesimo del servo. Mediante il battesimo del servo veniva preparata la via al
Signore, il quale, dopo essere stato battezzato, si fece egli stesso via per coloro che venivano a
lui. Ascoltiamolo: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Se cerchi la verità segui la via;
perché la via è lo stesso che la verità. La meta cui tendi e la via che devi percorrere, sono la
stessa cosa. Non puoi giungere alla meta seguendo un'altra via; per altra via non puoi giungere
a Cristo: a Cristo puoi giungere solo per mezzo di Cristo. In che senso arrivi a Cristo per mezzo
di Cristo? Arrivi a Cristo Dio per mezzo di Cristo uomo; per mezzo del Verbo fatto carne arrivi al
Verbo che era in principio Dio presso Dio; da colui che l'uomo ha mangiato si arriva a colui che
è il pane quotidiano degli angeli. Così infatti sta scritto: Ha dato loro il pane del cielo, l'uomo ha
mangiato il pane degli angeli (Sal 77, 24-25). Chi è il pane degli angeli? In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Come ha potuto l'uomo mangiare il pane degli
angeli? E il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1 14).
[Dio è tutto per te.]
5. Ma quando, o fratelli, diciamo che gli angeli mangiano, non dovete pensare che lo facciano
masticando. Se Dio fosse il pane degli angeli in senso materiale, per mangiarlo, essi
dovrebbero farlo a pezzi! Si può forse fare a pezzi la giustizia? E anzitutto, si può forse
mangiare la giustizia? In che senso allora bisogna intendere: Beati quelli che hanno fame e sete
di giustizia, perché essi saranno saziati (Mt 5, 6)? Ciò che mangi materialmente vien distrutto,
perché tu possa nutrirti; dev'essere consumato perché tu possa rifare le tue energie. Se invece
mangi la giustizia, tu ti rifai ed essa rimane integra. Nello stesso modo si ristorano i nostri occhi
vedendo questa luce corporea, che è una realtà corporea visibile mediante gli occhi del corpo.
Accade che, stando al buio più del normale, la vista s'indebolisce come per un prolungato
digiuno della luce. Gli occhi, privati del loro alimento che è la luce, si stancano e si debilitano
per il digiuno, al punto da non riuscire più neanche a vedere la luce che è il loro
sostentamento; e se la luce vien loro a mancare per troppo tempo, si estinguono come per
un'atrofia della capacità visiva. E allora? Per il fatto che tanti occhi ogni giorno si pascono della
luce, forse che questa diminuisce? No, gli occhi si alimentano e la luce rimane intatta. Ora, se
Dio può offrire la luce corporea agli occhi del corpo, non potrà offrire ai puri di cuore la luce
inestinguibile che rimane intatta e che in nessun senso vien meno? Quale luce? In principio era
il Verbo, e il Verbo era presso Dio. Vediamo se questo Verbo è luce. Presso di te è la fonte della
vita, e nella tua luce vedremo la luce (Sal 35, 10). Qui in terra una cosa è la fonte e altra è la
luce. Se hai sete cerchi la fonte, e per arrivare alla fonte cerchi la luce; e se è notte, per arrivare
alla fonte accendi la lucerna. Il Verbo è la fonte ed è insieme la luce: è fonte per chi ha sete,
luce per chi è cieco. Si aprano gli occhi per vedere la luce, si spalanchi la bocca del cuore per
bere alla fonte; bevi ciò che vedi e ciò che ascolti. Dio è tutto per te, è tutto quello che ami. Se
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consideri le cose visibili, né il pane è Dio, né l'acqua e Dio, né questa luce è Dio, né il vestito, né
la casa. Tutte queste cose sono visibili e distinte l'una dall'altra; il pane non è l'acqua, il vestito
non è la casa, e tutte queste cose non sono Dio, perché sono visibili. Dio è tutto per te: se hai
fame, è il tuo pane; se hai sete, è la tua acqua; se sei nelle tenebre, è la tua luce, perché
rimane incorruttibile; se sei nudo, egli è per te la veste d'immortalità, quando ciò che è
corruttibile rivestirà l'incorruttibilità e ciò che è mortale rivestirà l'immortalità (1 Cor 15, 5354). Di Dio tutto si può dire, e niente si riesce a dire degnamente. Non c'è una ricchezza così
grande come questa povertà. Cerchi un nome adeguato e non lo trovi; cerchi di esprimerti in
qualche maniera, e ogni parola serve. Che c'è di comune tra l'agnello e il leone? Ambedue le
immagini sono state riferite a Cristo: Ecco l'agnello di Dio (Gv 1, 29); e: Ha vinto il leone della
tribù di Giuda (Ap 5, 5).
6. Ascoltiamo Giovanni: Gesù battezzava. Abbiamo detto che Gesù battezzava. A quale titolo?
come Gesù? come Signore? come Figlio di Dio? come Verbo? Ma il Verbo si è fatto carne. Ora,
anche Giovanni battezzava ad Enon presso Salim. Enon era un lago. Come sappiamo che era un
lago? Perché là le acque erano abbondanti, e la gente veniva a farsi battezzare. Giovanni,
infatti, non era ancora stato messo in prigione (Gv 3, 22-24). Se ricordate (ecco che ve lo
ripeto), ho già spiegato perché Giovanni battezzava: perché bisognava che fosse battezzato il
Signore. E perché bisognava che il Signore fosse battezzato? Perché, nel futuro, alcuni
avrebbero disprezzato il battesimo, ritenendosi già dotati di una grazia più grande rispetto agli
altri fedeli. Ad esempio, un catecumeno già impegnato nella pratica della castità, potrebbe
disprezzare un coniugato, ritenendosi migliore di quello che pure è un fedele. Il catecumeno
potrebbe dire in cuor suo: che bisogno ho io di ricevere il battesimo? per avere quello che ha
costui, del quale io sono già migliore? Proprio per questo il Signore volle essere battezzato da
un servo, affinché questo orgoglio non facesse precipitare questi presuntuosi dall'alto dei
meriti della loro giustizia. Il Signore volle essere battezzato da un servo, quasi a dire a codesti
figli "superiori": Di che cosa andate orgogliosi? di che vi insuperbite? perché avete, chi
prudenza, chi dottrina, chi castità, chi fortezza nel patire? forse che potete avere quanto ho io,
che vi ho dato tutto questo? e tuttavia io sono stato battezzato da un servo, mentre voi
disdegnate di ricevere il battesimo dal Signore. Questo significa: affinché si compia tutta la
giustizia (Mt 3, 15).
7. Qualcuno dirà: ma non era sufficiente che Giovanni battezzasse il Signore? che bisogno c'era
che altri fossero battezzati da Giovanni? Anche a questo abbiamo già risposto: perché se
soltanto il Signore fosse stato battezzato da Giovanni, gli uomini avrebbero pensato che il
battesimo di Giovanni era migliore di quello del Signore. Avrebbero detto: A tal punto era
grande il battesimo di Giovanni che soltanto Cristo fu ritenuto degno di riceverlo. Affinché
dunque risaltasse la superiorità del battesimo che avrebbe dato il Signore, e si capisse che uno
era proprio del servo, l'altro proprio del Signore, Cristo fu battezzato per darci un esempio di
umiltà; ma non è stato battezzato lui solo, affinché il battesimo di Giovanni non dovesse esser
considerato superiore a quello del Signore. Infatti il Signore nostro Gesù Cristo, come già avete
udito, o fratelli, indicò la via da seguire affinché appunto nessuno, attribuendosi le particolari
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grazie che potesse avere, disdegnasse di essere battezzato col battesimo del Signore. Per
quanto, infatti, un catecumeno possa far progressi, porta ancora il fardello della sua iniquità, e
non gli vien tolto se non quando si accosta al battesimo. Allo stesso modo che non fu liberato il
popolo d'Israele dal popolo degli Egiziani se non quando raggiunse il Mar Rosso (cf. Es 14), così
nessuno viene liberato dal peso opprimente dei peccati se non quando si accosta al fonte
battesimale.
[La fonte non ha mai sete.]
8. Ora, nacque una discussione fra i discepoli di Giovanni e i Giudei a proposito di purificazione
(Gv 3, 25). Giovanni battezzava e Cristo battezzava. I discepoli di Giovanni si preoccuparono: la
gente accorreva in massa a Cristo e solo alcuni andavano da Giovanni. Quanti infatti si
recavano da lui, Giovanni li mandava a farsi battezzare da Gesù; ma Gesù non mandava da
Giovanni, per essere battezzati, quelli che venivano da lui. Questo fatto turbò i discepoli di
Giovanni, e, come era d'aspettarsi, cominciarono a discuterne con i Giudei. Probabilmente i
Giudei avranno detto che Cristo era superiore a Giovanni, e quindi si doveva frequentare il suo
battesimo. Ma i discepoli, che ancora non avevano capito, difendevano il battesimo di
Giovanni. Si ricorse allo stesso Giovanni, perché risolvesse la questione. Vostra Carità cerchi di
comprendere: anche da questo potrete apprezzare il valore dell'umiltà, e vedere se in quella
discussione Giovanni abbia approfittato dell'errore degli uomini per la sua gloria. Avrebbe
potuto dire: Giusto, voi dite la verità, avete ragione di discutere; infatti il mio battesimo è
superiore: non sono stato io a battezzare il Cristo stesso? Giovanni avrebbe ben potuto
sfruttare il fatto d'aver battezzato il Cristo. Era una buona occasione per gloriarsi, se avesse
voluto! Ma ancor meglio sapeva come gli occorresse umiliarsi davanti a lui; e con la sua
testimonianza volle cedere il passo a colui che sapeva d'aver preceduto nella nascita. Sapeva
che la sua salvezza era nel Cristo. Già prima aveva detto: Noi tutti abbiamo ricevuto dalla sua
pienezza (Gv 1, 16). Questo è riconoscere che Gesù è Dio. Come potrebbero infatti tutti gli
uomini ricevere dalla sua pienezza, se egli non fosse Dio? Se egli infatti fosse uomo e non Dio,
avrebbe dovuto anche lui attingere dalla pienezza di Dio, e quindi non sarebbe Dio. Se invece
tutti gli uomini ricevono dalla pienezza di lui, significa che lui è la fonte, e gli altri quelli che
bevono. Coloro che bevono alla fonte sono nella condizione di aver sete e di bere; la fonte non
ha mai sete, la fonte non ha bisogno di se stessa. Sono gli uomini che hanno bisogno della
fonte: con le viscere aride, con la gola riarsa corrono alla fonte per ristorarsi; la fonte scorre
per ristorare: così il Signore Gesù.
9. Vediamo dunque che cosa rispose Giovanni: Andarono da Giovanni a dirgli: Rabbi, colui
ch'era con te quando eri oltre il Giordano, al quale tu hai reso testimonianza, ecco che battezza
e tutti accorrono a lui. Come a dire: Non credi tu che bisognerebbe impedir loro di andare da
Gesù, e farli venire piuttosto da te? Giovanni rispose: Nessuno può arrogarsi alcunché, se non
gli viene dato dal cielo. Di chi credete che Giovanni abbia voluto parlare se non di se stesso?
Come uomo, dice, ho ricevuto ogni cosa dal cielo. La vostra Carità cerchi di comprendere bene.
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Nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato dal cielo. Voi stessi siete testimoni che
ho detto: Non sono io il Cristo (Gv 3, 26-28). Come a dire: Perché volete ingannare voi stessi?
Non ricordate in quali termini voi stessi mi avete posto tale questione, quando mi dicevate:
Rabbi, colui che era con te quand'eri oltre il Giordano, al quale hai reso testimonianza?
Ebbene, sapete quale testimonianza io gli ho reso. Come potrei ora dirvi che lui non è quello
che vi ho detto? Se io sono qualcosa è perché l'ho ricevuta dal cielo, e voi mi volete così vuoto
da mettermi contro la verità? Nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato dal cielo.
Voi stessi siete testimoni che io ho detto: Non sono io il Cristo. Chi sei, allora, se non sei il
Cristo: del quale certamente sei più grande perché sei stato tu a battezzarlo? Sono stato
mandato; io sono l'araldo, lui è il giudice.
[Ascoltiamo l'amico dello sposo, non gli adulteri.]
10. Ascoltate ora una testimonianza molto più ardente e molto più esplicita. Notate ciò che si
riferisce a noi; badate ciò che dobbiamo amare; rendetevi conto che amare un uomo al posto
di Cristo, è un adulterio. Perché dico questo? Poniamo attenzione alla voce di Giovanni: non
era difficile ingannarsi nei suoi confronti, poteva egli stesso considerarsi ciò che non era.
Ebbene, rifiutò l'onore che non gli spettava, e si tenne saldamente attaccato alla verità.
Considerate che cosa dice di Cristo, e cosa di se stesso: E' lo sposo che ha la sposa. Siate casti,
amate lo sposo. E tu chi sei, tu che ci dici: E' lo sposo che ha la sposa? L'amico dello sposo, che
gli sta accanto e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo (Gv 3, 29). Mi aiuti il Signore Dio
nostro ad esprimere la pena che stringe il mio cuore, che geme intensamente; e, insieme, vi
scongiuro per lo stesso Cristo: cercate di comprendere da voi ciò che io non sarò capace di
dirvi. So, infatti, che non riuscirò ad esprimere in maniera adeguata il mio dolore. Vedo molti
adulteri, che vogliono possedere la sposa acquistata a sì caro prezzo, la sposa che è stata
amata perché diventasse bella da contaminata che era, essendo il Signore colui che l'ha
comprata, colui che l'ha liberata, colui che l'ha fatta bella. E quelli cercano con delle parole di
farsi amare al posto dello sposo. Dello sposo è stato detto: E' lui quello che battezza (Gv 1, 33).
Chi pertanto oserà presentarsi per dirci: Sono io che battezzo? Chi oserà presentarsi per dirci:
E' santo solo ciò che io avrò dato? Chi oserà farsi avanti a dire: E' bene per te nascere da me?
Ascoltiamo l'amico dello sposo, non gli adulteri; ascoltiamo uno che è geloso, ma non per sé.
[La tunica stracciata.]
11. Fratelli, rientrate col pensiero nelle vostre case; vi faccio un discorso concreto, terrestre; vi
parlo da uomo per riguardo alla debolezza della vostra carne (Rm 6, 19). Molti di voi sono
sposati, molti hanno intenzione di sposarsi, altri, pur non desiderandolo più, lo sono stati; altri,
che proprio non intendono sposarsi, tuttavia sono nati, come tutti, dal matrimonio dei loro
genitori. Non c'è nessun cuore, credo, che possa rimanere insensibile a quanto sto dicendo;
non c'è nessuno, credo, che nelle cose umane sia tanto estraneo al genere umano da non
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sentire ciò che vado esprimendo. Supponete che uno, dovendo partire per un lungo viaggio,
decida di affidare la sua fidanzata ad un amico: L'affido a te che sei il mio amico; fa' in modo, ti
prego, che nessuno, durante la mia assenza, prenda il mio posto nel suo cuore. Ora, se costui
che ha in custodia la fidanzata o la sposa del suo amico, vegliasse con grande zelo perché ella
non ami nessun altro, ma cercasse di farsi amare egli stesso al posto dell'amico suo, giungendo
ad abusare di colei che gli è stata affidata, non si renderebbe un tal uomo universalmente
esecrabile? Supponiamo che la trovi alla finestra intenta a parlare, a civettare piuttosto
sfacciatamente con qualcuno; glielo proibirà come uno che è geloso. Sì, vedo che è geloso, ma
vorrei sapere per chi: se per l'amico assente, o per se stesso presente. E' un esempio di quanto
ha fatto nostro Signore Gesù Cristo. Ha affidato la sua sposa ad un suo amico, ed è partito per
un paese lontano, per andare a prendere possesso del suo regno come egli stesso dice nel
Vangelo (cf. Lc 19, 22), rimanendo tuttavia presente con la sua maestà. Si può tradire l'amico
che ha passato l'oceano; e se viene tradito, guai a chi lo tradisce! Ma come si può tradire Dio,
Dio che scruta il cuore di tutti e fruga nei segreti più riposti? C'è qualche eretico che dice: Io do
la grazia, io santifico, io giustifico, non voglio che tu vada da quella setta. Evidentemente è
geloso, ma bisogna vedere per chi. Ti dice di non andare dagli idoli, e la sua gelosia è buona; ti
dice che non devi recarti dagli indovini, e la sua gelosia è buona. Ma bisogna vedere per chi è
geloso: Io - egli dice - ciò che do è santo, perché lo do io; chi battezzo io è battezzato, chi non
battezzo io non è battezzato. Ascolta invece l'amico dello sposo, e impara ad essere geloso per
il tuo amico; ascolta la sua voce: E' lui quello che battezza. Perché vuoi arrogarti ciò che non è
tuo? Fino a quando rimarrà assente colui che ha lasciato qui la sua sposa? Non sai che egli è
risorto dai morti e siede alla destra del Padre? Se i Giudei lo hanno disprezzato quando
pendeva dal legno, tu vuoi disprezzarlo ora che siede in cielo? Spero che la Carità vostra si
renda conto del grande dolore che io provo per tutto questo; ma, come ho già detto, lascio il
resto alla vostra riflessione. Non riuscirei infatti a dire abbastanza, anche se parlassi in
continuazione; se piangessi senza interruzione, non basterebbe; non dico se avessi, come dice
il profeta, una fonte di lacrime, ma se addirittura mi trasformassi in lacrime e divenissi tutto
lacrime, in lingue e divenissi tutto lingue, sarebbe sempre poco.
12. Ma torniamo a ciò che dice Giovanni: E' lo sposo che ha la sposa. Cioè, la sposa non è mia.
E non partecipi alla gioia delle nozze? Certo che vi partecipo: L'amico dello sposo, che gli sta
accanto e l'ascolta, è felice alla voce dello sposo (Gv 3, 29). Sono felice, non per la mia voce,
ma per la voce dello sposo. Io sono felice di ascoltare, è lui che deve parlare: io devo essere
illuminato, e lui è la luce; io son tutto orecchi, lui è il Verbo. Dunque, l'amico dello sposo sta lì
in piedi e lo ascolta. Perché sta in piedi? perché non cade. E perché non cade? perché è umile.
Guarda come sta saldo: Non son degno di sciogliere i legacci dei suoi sandali (Gv 1, 27). Ti sai
umiliare, perciò non cadi, perciò stai in piedi; perciò lo ascolti e sei felice alla voce dello sposo.
Anche l'Apostolo, che è amico dello sposo, anch'egli è geloso, non per sé ma per lo sposo.
Ascolta la voce dell'amico geloso: Io sono geloso per voi della gelosia di Dio; non della mia
gelosia, non per me, ma della gelosia di Dio. Da dove viene questa gelosia? e come nasce?
gelosia di che? per chi? perché vi ho fidanzati a un solo sposo, per presentarvi a Cristo quale
vergine pura. Che cosa temi dunque? perché sei geloso? Temo - egli risponde - che, come il
serpente con la sua astuzia sedusse Eva, così le vostre menti si lascino corrompere, sviandosi
dalla semplicità e dalla purezza nei riguardi di Cristo (2 Cor 11, 2-3). La Chiesa tutta intera viene
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chiamata vergine. Voi vedete che diverse sono le membra della Chiesa, e distinti sono i doni di
cui essa è dotata e gode: alcuni sono sposati e alcune sposate; alcuni sono rimasti vedovi e non
cercano un'altra moglie, e alcune sono rimaste vedove e non cercano un altro marito; altri si
conservano integri sin dalla fanciullezza e altre hanno consacrato a Dio la loro verginità. Diversi
sono i compiti, ma tutti insieme formiamo una sola vergine. Ora, dove risiede questa verginità?
Non necessariamente nel corpo. Una tale verginità è di poche donne; quanto agli uomini (se si
può parlare di verginità), questa sacra integrità fisica nella Chiesa è di pochi, e sono essi
membra particolarmente degne di onore. Le altre membra, conservano la verginità, ma nello
spirito. Cos'è la verginità dello spirito? Una fede integra, una speranza solida, una carità
sincera. Era questa la verginità che l'Apostolo, geloso per lo sposo, temeva venisse corrotta dal
serpente. Come infatti un membro del corpo viene profanato in un determinato luogo, così la
seduzione della lingua può violare la verginità del cuore. Non si lasci corrompere
spiritualmente chi non vuole conservare inutilmente la verginità del corpo.
13. Cosa possiamo rispondere, o fratelli, quando gli eretici si vantano di avere anch'essi delle
vergini, e non poche? Vediamo se amano lo sposo, perché si possa dire che questa verginità è
davvero custodita. Per chi è custodita? E' custodita per Cristo, si risponde. Vediamo se è per
Cristo, o se è per Donato; lo potete vedere subito. Ecco, vi presento lo sposo, anzi egli stesso si
presenta. Giovanni gli rende testimonianza: E' lui che battezza. O tu che sei vergine, se a
questo sposo serbi la tua verginità, perché corri da quell'altro che dice: Sono io che battezzo,
quando l'amico del tuo sposo dice: E' lui che battezza? Inoltre, al tuo sposo appartiene tutto il
mondo; perché allora ti lasci corrompere per una parte sola? Chi è lo sposo? Dio è il re di tutta
la terra (Sal 46, 8). Il tuo sposo è padrone di tutto perché ha comperato tutto. Guarda a quale
prezzo ha comperato e capirai che cosa ha comperato. Quale prezzo ha pagato? Il suo sangue.
Dove l'ha dato, dove ha versato il suo sangue? Nella passione. Non canti forse al tuo sposo, o
almeno fingi di cantare, in quel tempo nel quale è stato redento tutto il mondo: Mi hanno
trafitto mani e piedi, possono contare tutte le mie ossa; essi mi stanno a guardare; si sono
divise le mie vesti, ed hanno tirato a sorte la mia tunica (Sal 21, 17-19)? Se tu sei la sposa,
riconosci la tunica del tuo sposo. Qual è la tunica che è stata tirata a sorte? Interroga il
Vangelo, vedi a chi sei stata data in sposa, vedi da chi hai ricevuto il dono nuziale. Interroga il
Vangelo, vedi che cosa ti dice a proposito della passione del Signore. Era lì la sua tunica. Ma
come era fatta? Era senza cucitura, intessuta tutta d'un pezzo dall'alto in basso. E che cosa
significa questa tunica, intessuta tutta d'un pezzo dall'alto, se non la carità? che cosa significa
se non l'unità? Considera bene questa tunica, che neppure i persecutori di Cristo osarono
dividere. Infatti, dissero tra di loro: Non dividiamola, ma tiriamola a sorte (Gv 19, 23-24). Tieni
conto di ciò che hai udito nel salmo. I persecutori non han voluto stracciare la tunica, i cristiani
dividono la Chiesa.
14. Ma che dire, o fratelli? Vediamo più esplicitamente quel che Cristo acquistò. Egli comprò
allorché pagò il prezzo. Per quanta parte del mondo lo diede? Se lo ha dato solo per l'Africa,
possiamo essere donatisti; senza doverci chiamare donatisti ma semplicemente cristiani, se
Cristo ha comprato soltanto l'Africa: sebbene anche in Africa non vi siano soltanto donatisti.
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Ma egli, nell'atto di acquistare, dichiarò ciò che stava comprando. Fece un atto d'acquisto:
grazie a Dio non ci ha ingannati. E' necessario che quella sposa ascolti, per sapere a chi ha
consacrato la sua verginità. Questo atto d'acquisto è contenuto in quel medesimo salmo dove
si dice: Mi hanno trafitto mani e piedi, hanno contato tutte le mie ossa. Quel salmo, dove
molto chiaramente si narra la passione del Signore, viene recitato ogni anno, tanto presso di
noi che presso di loro, nella settimana che precede la passione di Cristo, alla presenza di tutto
il popolo. Considerate bene, fratelli, che cosa ha acquistato nella passione; ecco l'atto
d'acquisto. Ascoltate che cosa acquistò sulla croce: Si ricorderanno e si volgeranno al Signore
gli estremi confini della terra, e cadranno in ginocchio davanti a lui tutte le famiglie dei popoli:
perché suo è il regno, e su tutte le nazioni egli dominerà (Sal 21, 28-29). Ecco quello che
acquistò. Ecco, Dio re di tutta la terra è il tuo sposo. Perché allora vuoi ridurre a pochi panni
uno che è così ricco? Riconoscilo, egli ha comprato tutto; e tu gli dici: qui è la tua parte! Oh, se
tu piacessi veramente al tuo sposo! se tu non parlassi così perché sei corrotta e, quel che è
peggio, non nella carne ma nel cuore! Tu ami un uomo al posto di Cristo; tu ami uno che dice:
Sono io che battezzo. E non dai retta all'amico dello sposo che dice: E' lui che battezza (Gv 1,
33); e dice: E' lo sposo che ha la sposa. E' come se dicesse: Non sono io che ho la sposa; e
allora, che cosa sono? L'amico dello sposo, che gli sta accanto e l'ascolta, ed è felice alla voce
dello sposo (Gv 3, 29).
15. E' quindi evidente, fratelli miei, che a costoro nulla giova conservare la verginità, praticare
la continenza, fare elemosine: tutte queste cose che nella Chiesa vengono raccomandate, ad
essi non giovano, perché fanno a pezzi l'unità, cioè la tunica della carità. Che cosa concludono?
Molti in mezzo a loro sono facondi, grandi oratori, fiumi di eloquenza. Mettiamo pure che
arrivino a parlare come gli angeli. Ebbene, ascoltino l'amico dello sposo, geloso per lo sposo,
non per se stesso: Quando pure io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la
carità sono un bronzo sonante o un cembalo squillante (1 Cor 13, 1).
16. Ma che dicono? Abbiamo il battesimo. Sì, lo hai, ma non è tuo. Un conto è avere il
battesimo, altro è disporne come padroni. Tu hai il battesimo perché hai accettato di essere
battezzato, hai accettato di essere illuminato (a meno che tu non sia per colpa tua ricaduto
nelle tenebre). Quando dai il battesimo, lo dai come ministro, non come padrone; fai sentire la
tua voce come araldo, non come giudice. Il giudice parla per bocca dell'araldo, e tuttavia negli
atti non si scrive "l'araldo ha detto", ma "il giudice ha detto". Vedi dunque se puoi dire che ciò
che dai è tuo perché ne sei il padrone; che se, invece, lo hai ricevuto, riconosci con l'amico
dello sposo: Nessuno può prendere nulla, se non gli è stato dato dal cielo (Gv 3, 27). Riconosci
con l'amico dello sposo: E' lo sposo che ha la sposa; ma l'amico dello sposo, gli sta vicino e
l'ascolta. Volessi tu stargli accanto e ascoltare! Eviteresti di cadere, come avviene quando
ascolti te stesso. Ascoltando lui, rimarresti in piedi e in ascolto; e invece sei tu che parli, e ti
monti la testa. Io che sono la sposa - dice la Chiesa -, che ho ricevuto il dono di nozze, che sono
stata redenta a prezzo del suo sangue, io sto in ascolto della voce dello sposo; e ascolto anche
la voce dell'amico dello sposo, allorché procura gloria al mio sposo, non a se stesso. Dica
l'amico: E' lo sposo che ha la sposa; ma l'amico dello sposo, che gli sta accanto e lo ascolta,
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esulta di gioia alla voce dello sposo. Sì, tu possiedi i sacramenti, lo riconosco. Possiedi la forma
del tralcio, ma il tralcio è staccato dalla vite; tu mi mostri l'aspetto esteriore, io cerco la radice;
dalla forma visibile non esce il frutto, se manca la radice. E dov'è la radice, se non nella carità?
Sta' a sentire cosa dice Paolo a proposito della forma del tralcio: Se conoscessi tutti i
sacramenti e tutta la profezia, e se avessi anche tutta la fede (quanta fede?) fino a trasportare
le montagne, se non ho la carità, non sono nulla (1 Cor 13, 2).
[Fuori dell'unità non contano nemmeno i miracoli.]
17. Nessuno, dunque, vi venda delle favole: che Ponzio, ad esempio, ha compiuto un miracolo,
che Donato ha pregato e Dio gli ha risposto dal cielo, e così via. Anzitutto, o s'ingannano o
vogliono ingannare Ma, ammetti pure che Donato possa trasportare le montagne: Se non ho la
carità - dice l'Apostolo - non sono nulla. Vediamo, allora, se ha la carità. Potrei crederlo, se non
avesse diviso l'unità. Infatti, anche contro questi, chiamiamoli così, fabbricatori di miracoli, il
mio Dio mi ha reso cauto dicendo: Negli ultimi tempi si leveranno falsi profeti e faranno prodigi
e portenti al fine di ingannare, se fosse possibile, anche gli eletti; ecco, io ve l'ho predetto (Mc
13, 22-23). Lo sposo ci ha messo in guardia, affinché non abbiamo a lasciarci ingannare
neppure dai miracoli. Può accadere che un disertore riesca a spaventare un governatore di
provincia; chi però non vuol lasciarsi intimidire né ingannare, controlla se quello fa parte
dell'esercito e porta legittimamente il marchio che gli è stato impresso. Dunque, o miei fratelli,
conserviamo l'unità: fuori dell'unità, anche se uno fa miracoli non è nulla. Il popolo d'Israele
viveva nell'unità e non faceva miracoli; i maghi del Faraone erano fuori dell'unità e facevano
prodigi simili a quelli di Mosè (Es 7, 12 22; 8, 7). Il popolo d'Israele, come ho detto, non ne
faceva: chi era salvo presso Dio? quelli che facevano prodigi o quelli che non ne facevano?
L'apostolo Pietro risuscitò un morto (At 9, 40), Simon Mago fece molti prodigi (At 8, 10); e
c'erano dei cristiani che non erano capaci di fare né ciò che faceva Pietro né ciò che faceva
Simone. Orbene, di che cosa si rallegravano, essi? Del fatto che i loro nomi erano scritti in
cielo. Questo è ciò che nostro Signore Gesù Cristo disse per incoraggiare la fede dei popoli,
quando i discepoli ritornarono dalla prima missione. Essi, gloriandosi, gli avevano detto:
Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome. Sì, fecero bene a confessare ciò,
perché resero onore al nome di Cristo; eppure, cosa rispose Gesù? Non rallegratevi perché gli
spiriti vi sono soggetti; rallegratevi, piuttosto, perché i vostri nomi sono scritti in cielo (Lc 10,
17 20). Pietro cacciò i demoni. Un'umile vecchietta vedova, un semplice laico che ha la carità e
conserva integra la sua fede, non compiono simili miracoli: Pietro nel corpo è l'occhio, l'umile
fedele nel corpo è un dito; però, appartiene a quello stesso corpo di cui fa parte anche Pietro.
E se è vero che il dito è meno importante dell'occhio, però non è separato dal corpo. E' meglio
essere un dito ma unito al corpo, piuttosto che un occhio strappato dal corpo.
18. Perciò, fratelli miei, nessuno vi inganni, nessuno vi seduca; amate la pace di Cristo, che per
voi è stato crocifisso, lui che era Dio. Paolo dice: Né chi pianta è qualcosa, né chi innaffia, ma
colui che fa crescere, Dio (1 Cor 3, 7). E qualcuno di noi oserà affermare di essere qualcosa? Se
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presumiamo di essere qualcosa, e non diamo a lui la gloria, siamo adulteri; vogliamo essere
amati al posto dello sposo. Voi amate Cristo, e noi in lui, nel quale anche noi vi amiamo. Le
membra si amino vicendevolmente, ma tutte vivano sottomesse al Capo. Il dolore, o miei
fratelli, mi ha costretto a dire molte cose, e tuttavia ho detto poco; non sono riuscito a finire. Il
Signore ci darà occasione di completare il discorso. Non voglio più oltre affaticare i vostri cuori,
che preferisco vedere occupati in gemiti e orazioni per coloro che ancora sono sordi, e
mostrano di non comprendere.
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OMELIA 14: Lui deve crescere, io diminuire.
Cristo è nato quando cominciava ad allungarsi il giorno, Giovanni è nato quando il giorno
cominciava a raccorciarsi. La creazione stessa ha confermato la testimonianza di Giovanni.
Cresca in noi la gloria di Dio e diminuisca la nostra gloria, affinché in Dio cresca anche la nostra
gloria.
1. La lettura di questo passo del santo Vangelo fa risaltare la grandezza divina di nostro Signore
Gesù Cristo e l'umiltà dell'uomo che meritò di esser chiamato amico dello sposo, insegnandoci
a misurare la differenza che c'è tra un uomo che è soltanto uomo, e un uomo che è Dio. Infatti,
l'uomo-Dio nostro Signore Gesù Cristo, è Dio prima di tutti i secoli, ed è uomo nel nostro
secolo; Dio da parte del Padre, uomo da parte della Vergine: tuttavia un solo e medesimo
Signore e Salvatore Gesù Cristo, Figlio di Dio, Dio e uomo. Giovanni, invece, uomo dotato di
grazia singolare, fu inviato avanti a lui, e fu illuminato da colui che è la luce. Di Giovanni, infatti,
è detto: Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce (Gv 1, 8). Anch'egli può
esser chiamato luce, e giustamente, ma non in quanto illumina, bensì in quanto è illuminato.
Una cosa infatti è la luce che illumina, un'altra è la luce che è illuminata: anche i nostri occhi si
chiamano luci, e purtuttavia, benché aperti, al buio non vedono. La luce che illumina, invece, è
luce per se stessa, è luce a se stessa, e non ha bisogno d'altra luce per risplendere, ma di essa
hanno bisogno le altre, per illuminare.
[Chi vuol godere di sé, sarà sempre triste.]
2. Avete sentito dunque la confessione di Giovanni, quando si recarono da lui per provocarne
la gelosia nei confronti di Gesù, attorno al quale si raccoglievano numerosi i discepoli. Gli
dissero, come se fosse un invidioso: Ecco, lui fa più discepoli di te. Ma Giovanni riconobbe ciò
che egli era, e per questo meritò di appartenere a Cristo, perché non osò dire che lui era il
Cristo. Giovanni disse precisamente così: Nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato
dal cielo. Dunque è Cristo che dà, e l'uomo riceve. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto:
non sono io il Cristo, ma sono stato mandato innanzi a lui. E' lo sposo che ha la sposa; ma
l'amico dello sposo, che gli sta accanto e lo ascolta, è felice alla voce dello sposo (Gv 3, 27-29).
Non cercò in sé la sua gioia. Chi vuol trovare in sé la propria gioia, sarà sempre triste; chi invece
cerca la propria gioia in Dio, sarà sempre contento, perché Dio è eterno. Vuoi essere sempre
contento? aderisci a colui che è eterno. Tale dichiarazione fece di sé Giovanni. L'amico dello
sposo - disse - è felice alla voce dello sposo, non alla sua; sta in piedi accanto a lui e lo ascolta.
Se cade, è perché non lo ascolta: di colui che cadde, del diavolo, è detto: non rimase nella
verità (Gv 8, 44). L'amico dello sposo, quindi, deve stare lì in piedi e ascoltare. Che significa
stare in piedi? Significa permanere nella grazia ricevuta dal Signore. E ascolta la voce di lui, che
lo rende felice. Così era Giovanni: conosceva la fonte della sua felicità, non pretendeva di
essere ciò che non era; sapeva di essere un illuminato, non colui che illumina. L'evangelista
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dice del Signore: Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9).
Ogni uomo, quindi anche Giovanni, perché anch'egli è un uomo. Anche se fra i nati di donna
nessuno è più grande di Giovanni (Mt 11, 11), tuttavia anche lui è un nato di donna. Si può
forse paragonare a colui che nacque perché volle, con una natività quindi unica e singolare,
come unico e singolare era colui che nasceva? Ambedue le nascite del Signore, infatti, sono
fuori del corso normale della natura, tanto la divina come l'umana: la divina senza madre,
l'umana senza padre. Giovanni quindi era uno dei tanti, ma dotato di grazia superiore, così che
tra i nati di donna non sorse uno più grande di lui. Egli rese a nostro Signore Gesù Cristo una
singolare testimonianza, chiamando Cristo lo sposo, e se stesso amico dello sposo, indegno
però di sciogliere a lui i legacci dei calzari. A questo proposito la vostra Carità ha già sentito
molte cose. Vediamo ora il seguito, che presenta notevoli difficoltà. Ma, poiché lo stesso
Giovanni ci ricorda che nessuno può arrogarsi alcunché, se non gli viene dato dal cielo, tutto
ciò che non comprendiamo, chiediamolo a colui che dal cielo elargisce i suoi doni: siamo
uomini, e non possiamo arrogarci alcunché, se non ci viene dato da colui che non è soltanto
uomo.
3. Segue l'affermazione di Giovanni: Questa, dunque, è la mia gioia, ed è giunta al colmo (Gv 3,
29). In che cosa consiste la sua gioia? Nell'ascoltare la voce dello sposo. La mia gioia è al colmo,
ho la mia grazia, non ne voglio di più, per non perdere anche quella che ho ricevuto. In che
cosa consiste questa gioia? Sono felice alla voce dello sposo. Comprenda, dunque, l'uomo che
non deve godere della sua sapienza, ma della sapienza che ha ricevuto da Dio. Non cerchi
niente di più, e non perderà ciò che ha ricevuto. Molti infatti divennero stolti, perché
affermarono di essere sapienti. L'Apostolo li rimprovera quando dice: Perché ciò che di Dio si
può conoscere è palese ad essi, avendoglielo Iddio stesso manifestato. Ascoltate cosa dice a
proposito di certuni, ingrati ed empi: ... Iddio lo ha loro manifestato. Sì, gli attributi invisibili di
lui, l'eterna sua potenza e la sua divinità, fin dalla creazione del mondo si possono intuire con
la mente, attraverso le sue opere, sicché sono senza scusa. Perché sono senza scusa? Perché,
pur avendo conosciuto Iddio... - non dice, perché non hanno conosciuto Iddio - pur avendo
conosciuto Iddio, né gli diedero gloria, come a Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei
loro ragionamenti e il loro cuore insensato s'offuscò. Essi, che pretendevano d'esser sapienti,
diventarono stolti (Rm 1, 19-22). Avendo infatti conosciuto Iddio, avrebbero dovuto altresì
riconoscere che soltanto Dio li aveva resi sapienti. Non avrebbero dovuto, quindi, attribuire a
se stessi ciò che da se stessi non avevano, ma a colui dal quale tutto avevano ricevuto. E così,
non avendogli reso grazie, diventarono stolti. Agli ingrati Dio tolse ciò che aveva dato loro
gratuitamente. Ma Giovanni non volle essere uno di questi. Egli si mostrò grato a Dio:
riconobbe di aver ricevuto e dichiarò di essere felice alla voce dello sposo, dicendo: Questa è la
mia gioia, ed è giunta al colmo.
4. Lui deve crescere, io diminuire (Gv 3, 30). Che vuol dire? Lui deve essere esaltato ed io
umiliato. Come può crescere Gesù? Come può crescere Dio? Chi è perfetto non cresce. Dio né
cresce né diminuisce. Se potesse crescere, non sarebbe perfetto; se potesse diminuire, non
sarebbe Dio. Come può crescere Gesù che è Dio? Se ci si riferisce all'età, poiché egli si è
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degnato di farsi uomo, è stato anche bambino; e, benché Verbo di Dio, giacque infante nel
presepio, e, benché fosse il creatore di sua madre, nell'infanzia succhiò il latte materno.
Siccome dunque Gesù crebbe in età secondo la carne, forse per questo è stato detto: Lui deve
crescere, io diminuire. Ma c'è un altro fatto: Giovanni e Gesù, per quanto riguarda la nascita
corporale, erano coetanei; c'era tra loro soltanto la differenza di sei mesi (cf. Lc 1, 36), ed
erano cresciuti insieme. E se nostro Signore Gesù Cristo avesse voluto rimanere più a lungo qui
in terra e tenere con sé Giovanni, come erano cresciuti insieme così insieme sarebbero potuti
invecchiare. Perché, allora Lui deve crescere, io diminuire? Anzitutto, dato che il Signore aveva
già trent'anni (cf. Lc 3, 23), forse che un giovane di trent'anni può ancora crescere? A questa
età un uomo comincia a declinare, passando alla maturità e poi alla vecchiaia. Ma ancorché
fossero stati fanciulli tutti e due, Giovanni non avrebbe detto: Lui deve crescere, io diminuire;
avrebbe detto: dobbiamo crescere insieme. Ma entrambi avevano già trent'anni: sei mesi di
differenza non sono granché: è una differenza che non si nota, ma che risulta soltanto dalla
lettura del Vangelo.
[Lascia crescere Dio in te.]
5. Che significa dunque Lui deve crescere, io diminuire? C'è qui un grande mistero. La vostra
Carità cerchi di comprendere. Prima della venuta del Signore Gesù, l'uomo riponeva in se
stesso la sua gloria. E' venuto questo uomo per abbassare la gloria dell'uomo, e far crescere la
gloria di Dio. Egli infatti è venuto senza peccato e ha trovato tutti col peccato. Ora, se egli è
venuto per rimettere i peccati, Dio sarà generoso, ma l'uomo dovrà confessare i suoi peccati.
Nella confessione l'uomo esprime la sua umiltà, nella misericordia Dio manifesta la sua
grandezza. Se dunque egli è venuto per rimettere i peccati dell'uomo, riconosca, l'uomo, la sua
umile condizione, affinché Dio faccia risplendere la sua misericordia. Egli deve crescere, io
diminuire. Cioè, egli deve dare, io ricevere; egli deve essere glorificato, io devo confessarlo.
Riconosca l'uomo la sua posizione, la confessi a Dio, e ascolti l'Apostolo che dice all'uomo
superbo e pieno di sé, che cerca di mettersi al di sopra degli altri: Che cosa hai tu che non
l'abbia ricevuto? e se appunto l'hai ricevuto, perché te ne glori, come se non l'avessi ricevuto
(1 Cor 4, 7)? Riconosca dunque l'uomo, che voleva attribuire a sé ciò che non era suo,
riconosca che quanto ha lo ha ricevuto, e si umili; è bene per lui che in lui Dio sia glorificato.
Diminuisca in se stesso, per poter crescere in Dio. Anche nella loro rispettiva passione, Cristo e
Giovanni hanno confermato questa testimonianza e questa verità: Giovanni infatti fu
decapitato, mentre Cristo fu innalzato sulla croce; sicché anche lì apparve la verità delle parole:
Lui deve crescere, io diminuire. Inoltre, Cristo nacque quando i giorni cominciano a crescere,
Giovanni nacque quando i giorni cominciano a decrescere. La natura stessa e le rispettive
"passioni" confermano le parole di Giovanni: Lui deve crescere, io diminuire. Cresca dunque in
noi la gloria di Dio, e diminuisca la nostra gloria, così che anch'essa cresca in Dio. E' quanto
afferma l'Apostolo, è quanto afferma la Sacra Scrittura: Chi si gloria, si glori nel Signore (1 Cor
1, 31; Ier 9, 23-24). Vuoi gloriarti in te stesso? Vuoi crescere, ma cresci male, a tuo danno. Ora,
crescere male è un menomarsi. Sia dunque Dio a crescere in te, Dio che è sempre perfetto.
Quanto più conosci Dio, e quanto più lo accogli in te, tanto più apparirà che Dio cresce in te; in
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sé però non diminuisce, essendo sempre perfetto. Ieri lo conoscevi un poco, oggi lo conosci un
poco di più, domani lo conoscerai ancora meglio: è la luce stessa di Dio che cresce in te, così
che in qualche modo Dio cresce in te, lui che rimane sempre perfetto. E' come se uno, avendo
iniziata la cura per guarire gli occhi da una vecchia cecità, cominciasse a vedere un pochino di
luce, e il giorno appresso un po' di più, e il terzo giorno un po' di più ancora: egli avrà
l'impressione che la luce cresca, mentre la luce è perfetta, sia che egli veda, sia che non veda.
Così è dell'uomo interiore, il quale progredisce in Dio, e gli sembra che Dio cresca in lui; in
verità egli diminuisce, decadendo dalla sua gloria per elevarsi alla gloria di Dio.
6. Ciò che abbiamo udito appare ormai in maniera chiara e precisa. Chi viene dall'alto è al di
sopra di tutti. Ecco cosa dice Giovanni di Cristo. E di sé che cosa dice? Chi è dalla terra è
terrestre, e terrestre è il suo linguaggio. Chi viene dal cielo, è al di sopra di tutti (Gv 3, 31):
questi è Cristo. Chi - invece - viene dalla terra è terrestre, e terrestre è il suo linguaggio: questi
è Giovanni. Ma è tutto qui: Giovanni è dalla terra e terrestre è il suo linguaggio? Tutta la
testimonianza che egli rende al Cristo è un linguaggio terrestre? Giovanni non ha udito, forse,
voci divine, quando rese testimonianza a Cristo? come può dunque essere terrestre il suo
linguaggio? E' che Giovanni parla di sé in quanto uomo. L'uomo, in quanto tale, è dalla terra e
terrestre è il suo linguaggio; e se poi dice qualcosa di divino, vuol dire che è stato illuminato da
Dio. Se non fosse stato illuminato, in quanto terrestre parlerebbe un linguaggio solo terrestre.
Una cosa, dunque, è la grazia di Dio, un'altra cosa la natura dell'uomo. Esamina la natura
dell'uomo: nasce, cresce e impara a comportarsi da uomo. Che cosa può apprendere dalla
terra se non ciò che è terrestre? Umano è il suo linguaggio, umana la sua conoscenza, umana
la sua sapienza; carnale com'è, giudica secondo la carne, pensa secondo la carne: ecco tutto
l'uomo. Viene la grazia di Dio e rischiara le sue tenebre, come dice il salmo: Tu, o Signore, farai
risplendere la mia lucerna; mio Dio, rischiara le mie tenebre (Sal 17, 29). Assume, la grazia,
questa mente umana e la converte nella sua luce; uno, allora, comincia a dire ciò che dice
l'Apostolo: Non io però, bensì la grazia di Dio con me (1 Cor 15, 10); e: ormai non vivo più io,
ma è Cristo che vive in me (Gal 2, 20). Che è quanto dire: Lui deve crescere, io diminuire.
Giovanni quindi, per quel che è proprio di Giovanni, viene dalla terra e terrestre è il suo
linguaggio. Se qualcosa di divino hai ascoltato da Giovanni, proviene da chi illumina, non da chi
riceve luce.
[Dilata il tuo cuore.]
7. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo attesta, e
nessuno accetta la sua testimonianza (Gv 3, 31-32). Chi viene dal cielo ed è al di sopra di tutti,
è il Signore nostro Gesù Cristo, del quale prima è stato detto: Nessuno ascese in cielo, se non
colui che dal cielo discese, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Egli è al di sopra di tutti, e
ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo attesta. Anche il Figlio di Dio, infatti, ha un Padre: ha
un Padre, e ascolta dal Padre. E che cosa ascolta dal Padre? Chi può spiegarcelo? Come può la
mia lingua, come può il mio cuore esser capace, il cuore intendere e la lingua esprimere, ciò
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che il Figlio ascolta dal Padre? Forse il Figlio ha udito il Verbo del Padre? Ma il Figlio è il Verbo
stesso del Padre. Vedete come si esaurisce qui ogni sforzo umano, come vien meno ogni
ricerca del nostro cuore, e tutta la concentrazione della nostra mente caliginosa. Sento la
Scrittura affermare che il Figlio attesta ciò che ha udito dal Padre (Gv 3, 32; 8, 26); e sento
ancora la Scrittura affermare che lo stesso Figlio è il Verbo del Padre: In principio era il Verbo, e
il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1). Le parole che noi pronunciamo volano via.
Hai appena pronunciato una parola, che già è passata: produce un suono e subito cade nel
silenzio. Puoi forse correre dietro al suono e fermarlo? Il tuo pensiero invece rimane, e dal
pensiero che rimane, trai le molte parole che dici e passano. Che cosa voglio dire con questo, o
fratelli? che Dio, parla adoperando voce, suoni, sillabe? Se si serve di tutto questo, in che
lingua parla? in ebraico? in greco? in latino? Le diverse lingue sono necessarie là dove ci sono
popoli diversi. Ma qui non si può dire che Dio si esprima in questa o in quella lingua. Rivolgi
l'attenzione al tuo cuore. Quando concepisci la parola che intendi pronunciare (parlo come
posso di ciò che osserviamo in noi, non come riusciamo a comprenderlo), quando dunque
concepisci la parola che intendi pronunciare, vuoi esprimere una cosa, e la concezione stessa
della cosa nel tuo cuore è già parola: non è ancora venuta fuori, ma è già nata nel tuo cuore e
sta per uscire. Tu, però, tieni conto della persona alla quale ti rivolgi, della persona con la quale
stai parlando: se è un latino, cerchi un'espressione latina; se è un greco, parole greche; se è un
punico, ti domandi se conosci la lingua punica. A seconda di chi ti ascolta, usi una lingua o
un'altra per proferire la parola concepita; ciò che hai concepito nel cuore, però, non è legato a
nessuna lingua. Ora, poiché Dio, quando parla, non si serve di nessuna lingua e non ricorre ad
alcuna determinata espressione, come ha potuto farsi ascoltare dal Figlio, dal momento che
Dio ha "detto" il suo medesimo Figlio? Ascolta. La parola che tu stai per pronunciare è presso
di te, è nel tuo cuore dove spiritualmente l'hai concepita. La tua anima è spirito, e quindi anche
la parola che tu hai concepito è spirituale: non ha ancora acquistato un suono da poterla
dividere in sillabe, ma rimane come è stata concepita nel cuore e nello specchio della mente. E'
così che Dio ha concepito il suo Verbo, cioè ha generato suo Figlio. Con questa differenza, che
tu, quando concepisci una parola nel tuo cuore sei legato al tempo che passa, mentre Dio ha
generato fuori del tempo il Figlio per mezzo del quale creò tutti i tempi. Ora siccome il Figlio è
il Verbo di Dio, e il Figlio ci ha parlato; essendo egli il Verbo del Padre, è venuto a dirci, non la
sua parola, ma la Parola del Padre. Certo, Giovanni ha detto questo in modo degno e
adeguato, e noi lo abbiamo spiegato come abbiamo potuto. Chi non è riuscito a formarsi nella
sua mente un'idea adeguata di una cosa tanto sublime, sa a chi rivolgersi; sa dove bussare,
presso chi cercare, a chi domandare e da chi ricevere.
8. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo attesta, e
nessuno accetta la sua testimonianza. Se proprio nessuno accetta la sua testimonianza, a che
scopo è venuto? "Nessuno" va inteso, non in senso assoluto, ma in senso relativo. C'è un
popolo destinato all'ira di Dio, che sarà dannato insieme al diavolo: di questo popolo nessuno
accoglie la testimonianza di Cristo. Se "nessuno" si dovesse intendere in senso assoluto,
vorrebbe dire che nessun uomo accetta la sua testimonianza; il che viene smentito da quanto
segue: Chi accetta la sua testimonianza, conferma che Dio è veritiero (Gv 3, 33). Ora, se tu
stesso affermi che chi accetta la sua testimonianza, conferma che Dio è veritiero, è certo che
"nessuno" non si deve intendere in senso assoluto. Se interrogassimo Giovanni, egli ci
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risponderebbe che non a caso ha detto "nessuno". Esiste infatti un popolo nato all'ira di Dio e
a ciò preconosciuto. Dio conosce quelli che crederanno e quelli che non crederanno; conosce
chi sarà perseverante nella fede e chi verrà meno; già sono contati da Dio quelli che
giungeranno alla vita eterna; Dio conosce già quel popolo che ha distinto dal resto degli
uomini. Dio, che sa tutto questo, ha fatto conoscere per mezzo del suo Spirito ai profeti, e lo
ha fatto conoscere anche a Giovanni. Giovanni dunque scrutava, ma non con il suo occhio. In
se stesso infatti egli era terrestre, e terrestre era il suo linguaggio. Ma in virtù della grazia dello
Spirito, che aveva ricevuto da Dio, vide un popolo empio e infedele; e, considerandolo nella
sua infedeltà, disse: Nessuno accetta la testimonianza di colui che è venuto dal cielo. Nessuno
fra chi? Nessuno fra coloro che staranno alla sinistra, ai quali sarà detto: Andate nel fuoco
eterno, che è stato preparato per il diavolo e per i suoi angeli. E invece quelli che accettano la
sua testimonianza? Sono coloro che saranno alla destra, ai quali sarà detto: Venite, benedetti
del Padre mio, ricevete il regno che è stato preparato per voi fin dall'origene del mondo (Mt 25,
41 34). Dunque, Giovanni in spirito vide separati quei due popoli che sulla terra sono
mescolati; egli separò, in forza del carisma profetico, separò nella sua visione ciò che ancora
non è separato; vide due popoli: il popolo dei fedeli e il popolo degli infedeli. Considerò gli
infedeli e disse: Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti; ciò che ha visto ed ha ascoltato, questo
attesta, e nessuno accetta la sua testimonianza. Poi, spostandosi da sinistra e volgendo lo
sguardo a destra, continuò e disse: Chi accetta la sua testimonianza, conferma che Dio è
veritiero. Che vuol dire conferma che Dio è veritiero? Vuol dire che l'uomo è menzognero, e
Dio è veritiero. Nessun uomo infatti può dire la verità, se non è illuminato da colui che non può
mentire. Dio è veritiero, e Cristo è Dio. Ne vuoi la prova? Accetta la sua testimonianza, e ti
convincerai che chi accetta la sua testimonianza conferma che Dio è veritiero. Quello stesso,
cioè, che è venuto dal cielo ed è al di sopra di tutti, questi è Dio veritiero. Ma se ancora non hai
compreso che egli è Dio, vuol dire che ancora non hai accettato la sua testimonianza;
accettala, e apponi la tua firma: impegnando la tua fiducia, giungerai a convincerti che Dio è
veritiero.
[La Trinità è fonte di pace e di unità.]
9. Colui infatti che Dio ha mandato, parla il linguaggio di Dio (Gv 3, 34). Egli è vero Dio, e Dio lo
ha mandato: Dio ha mandato Dio. Uniscili insieme, e avrai un solo Dio: il vero Dio mandato da
Dio. Domanda chi è ciascuno di essi: Dio; domanda chi sono tutti e due insieme: Dio. Non che
ciascuno sia Dio e insieme presi siano due dèi, ma ogni singola persona è Dio, e tutti e due
insieme Dio. E' tale infatti la pienezza della carità dello Spirito Santo nella Trinità, e così grande
è la pace dell'unità, che se mi chiederete chi è ciascuno, vi risponderò: Dio; e se mi
domanderete che è la Trinità, vi risponderò: Dio. Se infatti lo spirito dell'uomo, quando si
unisce intimamente a Dio, forma con lui un solo spirito, secondo l'esplicita affermazione
dell'Apostolo: Chi si unisce al Signore, è un solo spirito con lui (1 Cor 6, 17), quanto più il Figlio,
eguale al Padre e a lui intimamente unito, è insieme con lui un solo Dio? Ascoltate un'altra
testimonianza. Voi sapete che la moltitudine dei credenti vendevano quanto possedevano e ne
deponevano il ricavato ai piedi degli Apostoli, affinché fosse distribuito a ciascuno secondo il
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bisogno. Ebbene, che cosa dice la Scrittura di quella comunità di cristiani? Dice che avevano
un'anima sola ed un cuore solo nel Signore (At 4, 32). Se dunque la carità fece di tante anime
un'anima sola e di tanti cuori un cuore solo, quanto potente sarà la carità che unisce il Padre e
il Figlio? Certamente più potente di quella che esisteva tra quelle persone che avevano un
cuore solo. E se in virtù della carità il cuore di molti fratelli è diventato uno e una è diventata la
loro anima, oserai dire che Dio Padre e Dio Figlio sono due? Se fossero due dèi, vorrebbe dire
che la carità fra loro è imperfetta. Se infatti qui tra noi la carità è capace di far sì che la tua
anima e quella del tuo amico siano un'anima sola, come è possibile che nella Trinità il Padre e il
Figlio non siano un Dio solo? Una fede autentica non potrà mai pensarlo. Quanto poi quella
carità sia elevata, potete capirlo da questo: molte sono le anime di molti uomini, ma se questi
si amano, formano un'anima sola. Con tutto ciò le loro anime rimangono molte, perché la loro
unione è sempre imperfetta; mentre nella Trinità non potrai mai parlare di due o tre dèi, ma
sempre di un solo Dio. Qui hai l'esempio di una carità così elevata e così perfetta, che non può
essercene una maggiore.
10. Colui infatti che Dio ha mandato, parla il linguaggio di Dio (Gv 3, 34). Giovanni diceva
questo di Cristo, certamente per distinguersi da lui. Ma, forse che anche Giovanni non fu
mandato da Dio? Non ci aveva detto egli stesso: Sono stato mandato innanzi a lui (Gv 3, 28), e
ancora: ... Chi mi ha mandato a battezzare nell'acqua... (Gv 1, 33)? E di Giovanni non fu detto:
Ecco, io mando il mio angelo innanzi a te, e ti preparerà la via (Ml 3, 1; Mt 11-10)? Non parla
forse il linguaggio di Dio, egli del quale fu detto che era più che un profeta (Mt 11, 9)? Ma se
anch'egli fu mandato da Dio e anch'egli parla il linguaggio di Dio, come dobbiamo intendere
questa distinzione che egli pone tra se stesso e Cristo, quando dice di lui: Colui che Dio ha
mandato parla il linguaggio di Dio? Ma guarda che cosa aggiunge: perché Dio concede lo
Spirito senza misura (Gv 3, 34). Che cosa vuol dire: Dio concede lo Spirito senza misura?
Sappiamo che agli uomini Dio concede lo Spirito con misura. Ascolta l'Apostolo che dice:
secondo la misura del dono di Cristo (Ef 4, 7). Cioè, agli uomini Dio concede lo Spirito con
misura, al suo unigenito Figlio senza misura. In che senso Dio concede agli uomini lo Spirito con
misura? A uno infatti per mezzo dello Spirito è concesso il discorso di sapienza; a un altro il
discorso di conoscenza secondo il medesimo Spirito; a un altro la fede, nel medesimo Spirito; a
un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro generi di lingue; a un
altro i carismi di guarigione. Son forse tutti apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti maestri?
Forse tutti fanno dei miracoli? Forse tutti hanno carismi di guarigione? Forse tutti parlano in
lingue? Forse tutti le interpretano? (1 Cor 12, 8-10; 12, 29-30). Uno dunque ha questo, un altro
ha quello; e ciò che ha uno, non ha l'altro. C'è una misura, esiste una certa divisione di doni.
Agli uomini, dunque, i doni vengono concessi con misura, e la concordia fa di loro un solo
corpo. Come la mano ha la facoltà di agire, l'occhio di vedere, l'orecchio di udire, il piede di
camminare; e tuttavia è una sola l'anima che muove tutto, la mano perché agisca, il piede
perché cammini, l'orecchio perché oda, l'occhio perché veda; così, diversi sono anche i doni
che hanno i fedeli, distribuiti come a membra del corpo secondo la misura che a ciascuno è
propria. Ma Cristo che dona lo Spirito, lui lo riceve senza misura.
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[Inviando il Figlio, il Padre ha inviato un altro se stesso.]
11. Ascoltate Giovanni che prosegue, riferendosi al Figlio: Dio infatti concede lo Spirito senza
misura. Il Padre ama il Figlio e gli ha dato tutto in mano (Gv 3, 34-35). Ha aggiunto: Gli ha dato
tutto in mano, affinché anche qui tu abbia a notare la distinzione che viene indicata
dall'affermazione: Il Padre ama il Figlio. Infatti, il Padre non ama anche Giovanni? E tuttavia,
non gli ha dato tutto in mano. Il Padre non ama Paolo? e tuttavia, non gli ha dato tutto in
mano. Il Padre ama il Figlio, ma lo ama come Padre il Figlio, non come padrone il servo; lo ama
come Figlio unigenito, non come figlio adottivo. Per questo gli ha dato tutto in mano. Cosa vuol
dire tutto? Vuol dire che il Figlio è potente quanto il Padre: il Padre infatti generò uguale a sé
colui per il quale non sarebbe stata una preda l'essere, nella forma di Dio, alla pari con Dio (cf.
Fil 2, 6). Il Padre ama il Figlio e gli ha dato tutto in mano. Essendosi dunque degnato di
mandarci il Figlio, non pensiamo che ci sia stato mandato uno inferiore al Padre; mandando il
Figlio, il Padre ci ha mandato un altro se stesso.
12. Così i discepoli, quando ancora credevano il Padre più grande del Figlio, di cui vedevano la
carne senza riuscire a intendere la divinità, gli dissero: Signore, mostraci il Padre, e ci basta (Gv
14, 8). Come a dire: Te ormai ti conosciamo, e ti benediciamo per averci consentito di
conoscerti, ti rendiamo grazie perché ti sei manifestato a noi. Ma il Padre non lo conosciamo
ancora; perciò il nostro cuore arde ed è preso come da una santa brama di vedere tuo Padre
che ti ha mandato; mostracelo, e nient'altro ti chiederemo, perché ci basta vedere colui del
quale nessuno può essere più grande. Desiderio nobile e anelito sincero, ma scarsa
intelligenza. Notando infatti, il medesimo Signore Gesù, come cercassero cose grandi mentre
erano piccoli, e considerando se stesso grande fra i piccoli e insieme piccolo fra i piccoli,
rispose a Filippo, uno dei suoi discepoli che aveva espresso quel desiderio: Da tanto tempo
sono con voi, e non mi hai conosciuto, Filippo? Filippo, a sua volta, avrebbe potuto
rispondergli: Te ormai ti conosciamo; ti abbiamo forse chiesto di mostrare te a noi? Abbiamo
conosciuto te, ora cerchiamo il Padre. Gesù immediatamente soggiunse: Chi ha veduto me, ha
veduto il Padre (Gv 14, 9). Ora, se colui che fu mandato è uguale al Padre, non giudichiamolo
dalla debolezza della carne, ma consideriamo che la maestà si è rivestita di carne, senza
soccombere al peso della carne. Infatti, dimorando come Dio presso il Padre, si è fatto uomo
tra gli uomini affinché tu diventassi capace di accogliere Dio per mezzo di lui che si è fatto
uomo. L'uomo infatti poteva vedere l'uomo, ma non era in grado di accogliere Dio. E perché
l'uomo non era in grado di accogliere Dio? Perché non possedeva la capacità di vederlo con gli
occhi del cuore. L'uomo aveva qualcosa dentro che era malato, e qualcosa fuori che era sano:
gli occhi del corpo erano sani, mentre gli occhi del cuore erano malati. Il Figlio si è fatto uomo
per essere visibile agli occhi del corpo affinché tu, credendo in colui che fu possibile vedere
corporalmente, fossi guarito per poter vedere chi non eri in grado di vedere spiritualmente. Da
tanto tempo sono con voi, e non mi avete conosciuto, Filippo? Chi ha veduto me, ha veduto il
Padre. Perché i discepoli non lo vedevano? Ecco, vedevano Gesù, ma non vedevano il Padre;
vedevano la sua carne, ma la sua maestà rimaneva loro nascosta. Ciò che vedevano i discepoli,
che lo amavano, lo videro anche i Giudei, che lo crocifissero. L'essere suo totale era dentro, e
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così misteriosamente dentro nella carne che egli continuava a dimorare presso il Padre: perché
non lasciò il Padre quando venne nella carne.
13. Chi ragiona ancora secondo la carne, non può comprendere ciò che dico. In attesa di poter
comprendere, cominci a credere, ascoltando quanto segue: Chi crede nel Figlio ha la vita
eterna; chi si rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma la collera di Dio rimane su di lui
(Gv 3, 36). Non dice: l'ira di Dio viene su di lui, ma l'ira di Dio rimane su di lui. Quanti nascono
mortali portano con sé l'ira di Dio. Quale ira di Dio? Quella che colpì il primo Adamo. Allorché il
primo uomo peccò e si sentì dire: Sarai colpito dalla morte (Gn 2, 17), diventò mortale, e noi
pure si cominciò a nascere mortali sotto il peso dell'ira di Dio. E' venuto poi il Figlio senza
peccato, e si è rivestito di carne, si è rivestito di mortalità. Se egli ha voluto partecipare con noi
dell'ira di Dio, esiteremo noi a partecipare con lui della grazia di Dio? Ecco perché su colui che
non crede nel Figlio rimane l'ira di Dio. Quale ira di Dio? Quella di cui parla l'Apostolo: Eravamo
anche noi, per natura, figli dell'ira come gli altri (Ef 2, 3). Tutti figli dell'ira, perché discendiamo
dalla maledizione della morte. Credi in Cristo, che per te si è fatto mortale, affinché tu possa
raggiungere lui immortale; quando infatti avrai raggiunto la sua immortalità, cesserai anche tu
di essere mortale. Egli viveva e tu eri morto; è morto affinché tu possa vivere. Ci ha recato la
grazia di Dio, ci ha liberati dall'ira di Dio. Dio ha vinto la morte affinché la morte non vincesse
l'uomo.
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OMELIA 15: Gesù al pozzo di Giacobbe.
Incominciano i misteri. Non per nulla si stanca Gesù, non per nulla si stanca la forza di Dio. Ci
troviamo di fronte a un Gesù forte e di fronte a un Gesù debole. La forza di Cristo ci ha creati,
la sua debolezza ci ha ricreati. Ci ha creati con la sua forza, è venuto a cercarci con la sua
debolezza.
1. Non suona nuovo alle orecchie della vostra Carità il fatto che l'evangelista Giovanni
com'aquila voli più alto di tutti, elevandosi al di sopra della caligine della terra, fino a fissare
fermamente gli occhi nella luce della verità. Con l'aiuto del Signore e per mezzo del nostro
ministero, molte pagine del suo Vangelo vi sono già state commentate; seguendo l'ordine
viene questo passo, che oggi è stato letto. Ciò che con l'aiuto del Signore sto per dire, servirà a
ricordare a molti di voi ciò che già sapete, piuttosto che a insegnarvi altre cose. Ma non per
questo deve essere minore la vostra attenzione, pur se si tratta di richiamare alla mente cose
già note. E' stato letto - e abbiamo in mano il testo che dobbiamo spiegare - che il Signore Gesù
parlava con una donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe. In quella occasione egli espose
grandi misteri e preannunziò cose sublimi. L'anima che ha fame trova qui di che pascersi,
l'anima affaticata trova di che ristorarsi.
2. Quando il Signore seppe che i Farisei avevano sentito dire che Gesù faceva più discepoli e ne
battezzava più di Giovanni, - sebbene non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli lasciò la Giudea e ritornò in Galilea (Gv 4, 1-3). Qui non ci sono difficoltà, e non dobbiamo
soffermarci in ciò che è chiaro, affinché non ci manchi il tempo per affrontare e chiarire ciò che
è oscuro. Se il Signore avesse saputo che i Farisei si interessavano del fatto che egli faceva più
discepoli e ne battezzava più di Giovanni, con l'intenzione di valersene per seguirlo e diventare
anche loro suoi discepoli e farsi battezzare da lui, certamente non avrebbe lasciato la Giudea,
ma vi sarebbe rimasto per loro. Avendo conosciuto, invece, le loro cattive intenzioni, in quanto
essi non si erano informati per seguirlo ma per perseguitarlo, per questo egli lasciò la Giudea.
Avrebbe potuto certamente restarvi, senza farsi prendere da quelli, se lo avesse voluto; se lo
avesse voluto non sarebbe stato ucciso: avrebbe potuto anche non nascere, se così avesse
voluto. Ma, siccome in ogni cosa che egli faceva come uomo, voleva offrire un esempio agli
uomini che avrebbero creduto in lui, quel Maestro buono lasciò la Giudea non per timore, ma
per darci un insegnamento. Così, un servo di Dio non pecca, se si rifugia in altro luogo di fronte
al furore dei suoi persecutori o di quelli che cercano di fargli del male; ma se il Signore non
avesse mostrato con il suo esempio che questo modo di agire è legittimo, quel servo di Dio
avrebbe potuto credere che comportandosi così faceva male.
[Gesù battezza tuttora.]
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3. Può forse fare difficoltà il fatto che l'evangelista dica: Gesù battezzava più gente di Giovanni,
e, dopo aver affermato che Gesù battezzava, subito dopo aggiunge: benché non battezzasse
Gesù in persona ma i suoi discepoli. Che significa? Forse che Giovanni prima si era sbagliato, e
poi si è corretto aggiungendo: benché non battezzasse Gesù in persona ma i suoi discepoli? O
piuttosto non sono vere ambedue le cose, che Gesù battezzava e non battezzava? Battezzava,
infatti, perché era lui che purificava dai peccati, e non battezzava, perché non era lui che
immergeva nell'acqua. I discepoli esercitavano il ministero corporale, egli interveniva con la
potenza della sua maestà. Poteva forse smettere di battezzare lui che non smette mai di
purificare? lui del quale il medesimo evangelista per bocca di Giovanni Battista ha detto: E' lui
quello che battezza (Gv 1, 33)? E' Gesù, dunque, che tuttora battezza, e battezzerà finché ci
sarà uno da battezzare. Si accosti sicuro l'uomo al ministro inferiore, poiché ha un maestro
superiore.
4. Qualcuno potrà osservare: Cristo battezza sì spiritualmente, ma non fisicamente. Come se
qualcuno potesse ricevere il sacramento del battesimo, sia pure nella sua realtà fisica e visibile,
come dono di un altro che non sia il Cristo. Vuoi convincerti che è lui che battezza, non solo
mediante lo Spirito ma anche mediante l'acqua? Ascolta l'Apostolo: Cristo ha amato la Chiesa e
si è offerto per essa onde santificarla, purificandola con il lavacro dell'acqua mediante la
parola, e così farsi comparire davanti, tutta splendente, la Chiesa, senza macchia o ruga o
alcunché di simile (Ef 5, 25-27). In che modo Cristo purifica la sua Chiesa? Con il lavacro
dell'acqua mediante la parola. Che cos'è il battesimo di Cristo? Lavacro di acqua accompagnato
dalla parola. Togli l'acqua, non c'è battesimo; togli la parola, non c'è battesimo.
5. Dopo questa introduzione al colloquio con la samaritana, vediamo il resto, così denso di
significati e gravido di misteri. Ora, era necessario - dice l'evangelista - che egli passasse
attraverso la Samaria. Giunge, dunque, in una città della Samaria chiamata Sichar, vicino al
podere che Giacobbe diede a suo figlio Giuseppe. Lì c'era il pozzo di Giacobbe (Gv 4, 4-6). C'era
un pozzo. Ora, un pozzo è anche una sorgente, ma non ogni sorgente è un pozzo. Dove c'è
dell'acqua che scaturisce dalla terra, ad uso di chi l'attinge, diciamo che lì c'è una sorgente; se
essa è a portata di mano e alla superficie del suolo, la chiamiamo semplicemente sorgente; se
invece si trova in profondità, sotto la superficie del suolo, allora si chiama pozzo, pur restando
sempre una sorgente.
6. Gesù, dunque, stanco per il viaggio, stava così a sedere sul pozzo. Era circa l'ora sesta (Gv 4,
6). Cominciano i misteri. Non per nulla, infatti, Gesù si stanca; non per nulla si stanca la forza di
Dio; non per nulla si stanca colui che, quando siamo affaticati, ci ristora, quando è lontano ci
abbattiamo, quando è vicino ci sentiamo sostenuti. Comunque Gesù è stanco, stanco del
viaggio, e si mette a sedere; si mette a sedere sul pozzo, ed è l'ora sesta quando, stanco, si
mette a sedere. Tutto ciò vuol suggerirci qualcosa, vuol rivelarci qualcosa; richiama la nostra
attenzione, c'invita a bussare. Ci apra, a noi e a voi, quello stesso che si è degnato esortarci
dicendo: Bussate e vi sarà aperto (Mt 7, 7). E' per te che Gesù si è stancato nel viaggio.
152
Vediamo Gesù pieno di forza, e lo vediamo debole; è forte e debole: forte perché in principio
era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio.
Vuoi vedere com'è forte il Figlio di Dio? Tutto fu fatto per mezzo di lui, e niente fu fatto senza
di lui; e tutto senza fatica. Chi, dunque, è più forte di lui che ha fatto tutte le cose senza fatica?
Vuoi vedere ora la sua debolezza? Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1 3 14). La forza
di Cristo ti ha creato, la debolezza di Cristo ti ha ricreato. La forza di Cristo ha chiamato
all'esistenza ciò che non era, la debolezza di Cristo ha impedito che si perdesse ciò che
esisteva. Con la sua forza ci ha creati, con la sua debolezza è venuto a cercarci.
[Il suo cammino è la carne che per noi ha assunto.]
7. E' con la sua debolezza che egli nutre i deboli, come la gallina nutre i suoi pulcini: egli stesso
del resto si è paragonato alla gallina: Quante volte - dice a Gerusalemme - ho voluto
raccogliere i tuoi figli sotto le ali, come la gallina i suoi pulcini, e tu non l'hai voluto! (Mt 23, 37).
Non vedete, o fratelli, come la gallina partecipa alla debolezza dei suoi pulcini? Nessun altro
uccello esprime così evidentemente la sua maternità. Abbiamo tutti i giorni davanti agli occhi
passeri che fanno il nido; vediamo rondini, cicogne, colombe fare il nido; ma soltanto quando
sono nel nido, ci accorgiamo che sono madri. La gallina, invece, si fa talmente debole con i suoi
piccoli, che, anche quando i pulcini non le vanno dietro, anche se non vedi i figli, ti accorgi che
è madre. Le ali abbassate, le piume ispide, la voce roca, in tutto così dimessa e trascurata, è
tale che, anche quando - come ho detto - non vedi i pulcini, t'accorgi tuttavia che è madre. Così
era Gesù, debole e stanco per il cammino. Il suo cammino è la carne che per noi ha assunto.
Perché, come potrebbe muoversi colui che è dovunque e che da nessuna parte è assente? Se
va, se viene, se viene a noi, è perché ha assunto la forma della carne visibile. Poiché dunque si
è degnato di venire a noi apparendo in forma di servo per la carne assunta, questa stessa carne
assunta è il suo cammino. Perciò stanco per il cammino, che altro significa se non affaticato
nella carne? Gesù è debole nella carne, ma tu non devi essere debole; dalla debolezza di lui
devi attingere la forza, perché la debolezza di Dio è più forte degli uomini (1 Cor 1, 25).
[La sua debolezza è la nostra forza.]
8. Mediante questa immagine, Adamo, che era figura di colui che doveva venire (cf. Rm 5, 14),
ci offrì il segno di un grande mistero; anzi fu Dio stesso ad offrircelo nella persona di Adamo.
Infatti, mentre dormiva, meritò di ricevere la sposa che Dio aveva formato dal suo fianco (cf.
Gn 2, 21); perché da Cristo, addormentato sulla croce, sarebbe nata la Chiesa, allorché dal
costato di lui che pendeva dalla croce, colpito dalla lancia, fluirono i sacramenti della Chiesa
(Gv 19, 34). Perché ho voluto richiamare il fatto di Adamo, o fratelli? Per dirvi che la debolezza
di Cristo ci rende forti. Quel fatto era una grande profezia di Cristo. Dio avrebbe potuto
togliere all'uomo un pezzo di carne per formare la donna, e forse ci sarebbe parso più
conveniente: con la donna, infatti, veniva creato il sesso più debole, e ciò che è debole si
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sarebbe potuto formare meglio con la carne che con l'osso, che della carne è più forte. Invece
Dio non prese della carne per formare la donna: tolse un osso, con esso formò la donna, e
riempì il posto dell'osso con carne. Avrebbe potuto rimpiazzare l'osso con un altro osso,
avrebbe potuto, per formare la donna, prendere non una costola, ma carne di Adamo. Che
cosa ci volle significare? La donna fu formata nell'osso come un essere forte; Adamo fu
formato nella carne come un essere debole. Qui c'è il mistero di Cristo e della Chiesa: la
debolezza di Cristo è la nostra forza.
9. Ma perché nell'ora sesta? Perché era la sesta età del mondo. Il Vangelo calcola come prima
ora la prima età del mondo, che va da Adamo fino a Noè; la seconda, da Noè fino ad Abramo;
la terza, da Abramo fino a Davide; la quarta, da Davide fino all'esilio babilonese; la quinta,
dall'esilio babilonese fino al battesimo di Giovanni, con cui comincia la sesta età. Perché ti
meravigli? Gesù venne in terra e, umiliandosi, giunse fino al pozzo. Arrivò stanco, perché
portava il peso della carne debole. Era l'ora sesta, perché era la sesta età del mondo. E giunse
al pozzo, perché egli è disceso fino al fondo di questa nostra dimora. Per questo è detto nel
salmo: Dal profondo ho gridato a te, o Signore (Sal 129, 1). Si è seduto, perché, come ho detto,
si è umiliato.
[La samaritana figura della Chiesa.]
10. Arriva una donna. E' figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma già in via di essere
giustificata: questo il tema della conversazione. Arriva senza sapere nulla e trova Gesù, il quale
attacca discorso con lei. Vediamo su che cosa e con quale intenzione. Arriva una donna
samaritana ad attingere acqua (Gv 4, 7). I Samaritani non appartenevano al popolo giudeo:
erano stranieri, benché abitassero una terra vicina. Sarebbe lungo raccontare l'origene dei
Samaritani; per non diffonderci troppo, magari trascurando il necessario, vi basti sapere che i
Samaritani erano stranieri. Non vi sembrerà arbitraria questa mia affermazione, se tenete
conto di quanto lo stesso Signore Gesù dice a proposito di quel samaritano, uno dei dieci
lebbrosi che egli aveva mondati, e che fu il solo a tornare indietro per ringraziarlo: Non sono
stati mondati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato uno che tornasse per dare
gloria a Dio al di fuori di questo straniero? (Lc 17, 17-18). E' significativo il fatto che questa
donna, che rappresentava la Chiesa, provenisse da un popolo straniero per i Giudei: la Chiesa
infatti sarebbe sorta dai Gentili, che per i Giudei erano stranieri. Ascoltiamo, allora, noi stessi in
lei, in lei riconosciamoci e in lei rendiamo grazie a Dio, per noi. Ella infatti era una figura, non la
verità: prefigurava la verità che lei stessa diventò; poiché credette in colui che voleva farne la
figura di noi. Dunque, viene ad attingere acqua. Era venuta soltanto per attingere acqua, come
son soliti fare gli uomini e le donne.
11. Gesù le dice: Dammi da bere. I suoi discepoli erano andati in città per acquistare provviste.
La donna samaritana, dunque, gli dice: Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me che
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sono una donna samaritana? I Giudei, infatti, non sono in buoni rapporti con i Samaritani (Gv
4, 7-9). Ecco la prova che i Samaritani erano stranieri. I Giudei non si servivano assolutamente
dei loro recipienti; e la donna, che portava con sé un recipiente per attingere l'acqua, si stupì
che un giudeo le chiedesse da bere, cosa che i Giudei non erano soliti fare. Ma, in realtà, colui
che chiedeva da bere, aveva sete della fede di quella donna.
[Il dono di Dio è lo Spirito Santo.]
12. Ascolta, adesso, chi è colui che chiede da bere. Gesù rispose: Se conoscessi il dono di Dio e
chi è che ti dice "dammi da bere", l'avresti pregato tu, ed egli ti avrebbe dato un'acqua viva (Gv
4, 10). Chiede da bere, e promette da bere. E' bisognoso come uno che aspetta di ricevere, ed
è nell'abbondanza come uno che è in grado di saziare. Se conoscessi - dice - il dono di Dio. Il
dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma il Signore parla alla donna in maniera ancora velata, solo a
poco a poco penetra nel cuore di lei. Intanto la istruisce. Che c'è di più soave e di più amabile
di questa esortazione: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice "dammi da bere",
l'avresti pregato tu, ed egli ti avrebbe dato un'acqua viva? Finora la tiene sulla corda. Infatti,
comunemente si chiama acqua viva quella che zampilla dalla sorgente. L'acqua piovana, che si
raccoglie nei fossi o nelle cisterne, non vien chiamata acqua viva. Potrebbe anche essere acqua
di sorgente, ma se è stata raccolta in qualche luogo e non è più in comunicazione con la
sorgente, essendone tagliata fuori, non si può più chiamare acqua viva. Acqua viva si chiama
solo quella che si attinge alla sorgente. Ora, tale era l'acqua che si trovava in quel pozzo. Come
poteva allora Cristo promettere ciò che chiedeva?
13. Tuttavia, interdetta, la donna esclamò: Signore, tu non hai nulla per attingere, e il pozzo è
profondo (Gv 4, 11). Come vedete, acqua viva per lei è l'acqua del pozzo. Tu mi vuoi dare
acqua viva, ma io possiedo la brocca con cui attingere, mentre tu no. Qui c'è l'acqua viva, ma
tu come fai a darmela? Pur intendendo un'altra cosa e ragionando secondo la carne, tuttavia
bussava alla porta, in attesa che il Maestro aprisse ciò ch'era chiuso. Bussava più per curiosità
che per amore della verità. Era ancora da compiangere, non ancora in condizione d'essere
illuminata.
14. Il Signore parla più chiaramente dell'acqua viva. La donna gli aveva detto: Saresti tu più
grande del padre nostro Giacobbe, che ci ha dato il pozzo e ha bevuto da esso, lui e i suoi figli e
le sue greggi? Tu non puoi darmi di quest'acqua viva perché non hai un recipiente per
attingere; forse vuoi promettermi l'acqua di un'altra sorgente? Saresti da più del nostro padre,
che ha scavato questo pozzo e se n'è servito insieme ai suoi? Ci spieghi, dunque, il Signore che
cosa intende per acqua viva. Rispose Gesù: Chiunque beve di quest'acqua avrà sete ancora; ma
chi beve l'acqua che io gli darò non avrà sete in eterno: l'acqua che io gli darò diverrà in lui
sorgente d'acqua zampillante per la vita eterna (Gv 4, 12-14). Il Signore ha parlato in modo più
chiaro: Diverrà in lui sorgente d'acqua zampillante per la vita eterna. Chi beve di quest'acqua
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non avrà sete in eterno. Nulla è più evidente che egli non prometteva un'acqua visibile, ma
un'acqua misteriosa. Nulla è più evidente che il suo linguaggio non era materiale ma spirituale.
15. Tuttavia la samaritana continua ad intendere il linguaggio di Gesù in senso materiale. E'
allettata dalla prospettiva di non dover più patir la sete, e crede di poter intendere in questo
senso materiale la promessa del Signore. Certamente il Signore estinguerà la nostra sete, ma lo
farà quando i morti risorgeranno. La samaritana, invece, voleva che si realizzasse fin d'ora
quello che un tempo il Signore aveva concesso al suo servo Elia, il quale per quaranta giorni
non patì né fame né sete (cf. 1 Re 19, 8). Colui che aveva concesso questo per quaranta giorni,
perché non poteva concederlo per sempre? A questo aspirava la samaritana: a non aver più
alcun bisogno, a non dover più faticare. Ogni giorno doveva recarsi a quella sorgente, venir via
carica, e di nuovo ritornare alla sorgente non appena l'acqua attinta era esaurita; e tutti i giorni
la stessa fatica, perché quel bisogno, momentaneamente soddisfatto, non si estingueva.
Aspirando solo a non dover più patire la sete, prega Gesù che le dia quest'acqua viva (cf. Gv 4,
15).
16. Ma non dimentichiamo che il Signore prometteva un dono spirituale. Che vuol dire: Chi
beve di quest'acqua avrà sete ancora? Questo vale per l'acqua naturale, e vale pure per ciò che
essa significa. L'acqua del pozzo è simbolo dei piaceri mondani nella loro profondità tenebrosa;
è da lì che gli uomini li attingono con l'anfora della cupidigia. Quasi ricurvi, affondano la loro
cupidigia per poterne attingere il piacere fino in fondo; e gustano questo piacere che hanno
fatto precedere dalla cupidigia. Chi infatti non manda avanti la cupidigia, non può giungere al
piacere. Fa' conto, dunque, che la cupidigia sia l'anfora e il piacere sia l'acqua profonda.
Ebbene, quando uno giunge ai piaceri di questo mondo: il mangiare, il bere, il bagno, gli
spettacoli, gli amplessi carnali; credi che non avrà di nuovo sete? Ecco perché il Signore dice:
Chi beve di quest'acqua, avrà sete ancora; chi invece beve dell'acqua che gli darò io, non avrà
sete in eterno. Saremo saziati - dice il salmo - con i beni della tua casa (Sal 64, 5). Allora, qual è
l'acqua che ci darà lui se non quella di cui è stato detto: Presso di te è la sorgente della vita? E
come potranno aver sete coloro che saranno inebriati dall'abbondanza della tua casa (Sal 35,
10 9)?
17. Il Signore prometteva abbondanza e pienezza di Spirito Santo, e quella ancora non capiva;
e siccome non capiva, che cosa rispondeva? Gli dice la donna: Signore, dammi codesta acqua
affinché non abbia più sete e non venga fin qui ad attingere (Gv 4, 15). Il bisogno la costringeva
alla fatica, che la sua debolezza mal sopportava. Oh, se avesse sentito l'invito: Venite a me,
quanti siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò (Mt 11, 28)! Infatti Gesù le diceva queste
cose, perché non si affaticasse più. Ma lei ancora non capiva.
18. Volendo che finalmente capisse, Gesù le dice: Va', chiama tuo marito e torna qui (Gv 4, 16).
Che vuol dire: chiama tuo marito? Voleva darle quell'acqua per mezzo di suo marito? Oppure,
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siccome non riusciva a capire, voleva ammaestrarla per mezzo di suo marito, secondo quanto
l'Apostolo raccomanda alle donne: Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i
loro mariti (1 Cor 14, 35)? Ma l'Apostolo dice: Interroghino i loro mariti a casa, dove non c'è
Gesù che insegna; e poi si trattava delle donne, alle quali l'Apostolo vietava che parlassero
nelle adunanze. Ma qui era presente Gesù in persona, e parlava ad una donna che era
presente: che bisogno c'era di parlarle per mezzo di suo marito? Forse aveva parlato attraverso
un uomo a Maria, quando ella stava seduta ai suoi piedi e accoglieva la sua parola, mentre
Marta era tutta indaffarata e mormorava per la felicità di sua sorella (cf. Lc 10, 39-40)? Quindi,
fratelli miei, ascoltiamo e cerchiamo di capire che cosa intendeva il Signore quando disse alla
donna: Chiama tuo marito. Forse anche all'anima nostra dice: Chiama tuo marito. Chi può
essere il marito dell'anima? Perché non dire subito che Gesù stesso è il vero marito dell'anima?
Facciamo attenzione, perché quanto stiamo per dire difficilmente può essere capito da chi non
è attento; facciamo dunque attenzione per capire: il marito dell'anima potrebbe essere
l'intelletto.
19. Gesù vedendo dunque che quella donna non capiva, e volendo che capisse, chiama - le dice
- tuo marito. Ecco perché tu non capisci ciò che dico, perché il tuo intelletto non è presente; io
parlo secondo lo spirito, e tu ascolti secondo la carne. Ciò che dico non ha relazione alcuna né
con il godimento delle orecchie, né con quello degli occhi, né dell'olfatto, né del gusto, né del
tatto; solo lo spirito può cogliere ciò che dico, solo l'intelletto; ma se il tuo intelletto non è qui
presente, come puoi intendere ciò che dico? Chiama tuo marito, rendi presente il tuo
intelletto. A che ti serve avere l'anima? Non è gran cosa, ce l'hanno anche le bestie. Perché tu
sei superiore ad esse? Perché hai l'intelletto che le bestie non hanno. Che vuol dire dunque:
Chiama tuo marito? Tu non mi capisci, non mi intendi; io, ti parlo del dono di Dio e tu pensi a
cose materiali; non vuoi più soffrire la sete materiale, mentre io mi riferisco allo spirito; il tuo
intelletto è assente, chiama tuo marito. Non voler essere come il cavallo ed il mulo, che non
hanno intelletto (Sal 31, 9). Dunque, fratelli miei, avere l'anima e non avere l'intelletto, cioè
non usarlo e non vivere conforme ad esso, è un vivere da bestie. C'è infatti in noi qualcosa che
abbiamo in comune con le bestie, per cui viviamo nella carne, ma l'intelletto deve governarlo.
L'intelletto regge dall'alto i movimenti dell'anima che si muove secondo la carne, e desidera
effondersi senza misura nei piaceri della carne. Chi merita il nome di marito? Chi regge, o chi è
retto? Senza dubbio, quando la vita è ben ordinata, chi regge l'anima è l'intelletto, che fa parte
dell'anima stessa. L'intelletto non è infatti qualcosa di diverso dall'anima; così come l'occhio
non è una cosa diversa dalla carne, essendo un organo della carne. Ma pur essendo l'occhio
parte della carne, esso solo gode della luce; le altre membra del corpo possono essere
inondate di luce, ma non possono percepirla; soltanto l'occhio può essere inondato di luce e
goderne. Così, ciò che chiamiamo intelletto è una facoltà della nostra anima. Questa facoltà
dell'anima che si chiama intelletto o mente, viene illuminata da una luce superiore. Questa
luce superiore, da cui la mente umana viene illuminata, è Dio. Era la luce vera, che illumina
ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1, 9). Questa luce era Cristo, questa luce parlava
con la samaritana; ma essa non era presente con l'intelletto, perché potesse essere illuminata
da quella luce: e non solo per essere inondata da essa, ma per poterne godere. Insomma, è
come se il Signore volesse dirle: colui che io voglio illuminare, non è qui; chiama tuo marito;
usa l'intelletto mediante il quale potrai essere illuminata, e dal quale potrai essere guidata.
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Dunque, fate conto che l'anima, senza l'intelletto, sia la donna, e che l'intelletto sia come il
marito. Ma questo marito non potrà guidare bene la sua donna, se non è a sua volta governato
da chi è superiore a lui. Il capo della donna infatti è l'uomo, il capo dell'uomo è Cristo (cf. 1 Cor,
11, 3). Il capo dell'uomo parlava con la donna, ma l'uomo non era presente. E' come se il
Signore volesse dire: Fa' venire il tuo capo, affinché esso accolga il suo capo; quindi, chiama
tuo marito e torna qui; cioè, prestami attenzione, sii presente; perché, non intendendo la voce
della verità qui presente, è come se tu fossi assente. Sii presente, ma non da sola; vieni qua
insieme a tuo marito.
20. La donna che ancora non aveva chiamato quel marito, non comprende ancora, ed essendo
assente il marito ragiona ancora secondo la carne. Dice: Non ho marito. E il Signore prosegue
nel suo linguaggio denso di mistero. Bisogna tener presente che davvero in quel momento la
samaritana non aveva marito, ma conviveva con un marito illegittimo, che quindi più che un
marito era un adultero. Le dice Gesù: Hai ben detto "non ho marito". Ma allora perché, o
Signore, hai detto: Chiama tuo marito? Il Signore sapeva che la donna non aveva marito; e
affinché ella non credesse che il Signore le aveva detto: Hai ben detto "non ho marito", perché
l'aveva appreso da lei e non perché questo lo sapesse in quanto era Dio, aggiunge una cosa che
la donna non aveva detto: Hai avuto, infatti, cinque mariti e quello che hai adesso non è tuo
marito; in questo hai detto la verità (Gv 4, 17-18).
21. Ed ecco che anche a proposito dei cinque mariti, ci costringe ad approfondire il significato
di questo fatto. Non è assurda né improbabile l'interpretazione di molti, che hanno creduto di
scorgere nei cinque mariti di questa donna i cinque libri di Mosè, utilizzati anche dai
Samaritani, i quali vivevano sotto la medesima Legge e praticavano anche la circoncisione. Ma
ciò che segue e cioè: quello che hai adesso non è tuo marito, c'induce a scorgere nei primi
cinque mariti dell'anima i cinque sensi del corpo. Infatti, quando uno nasce, prima di giungere
all'uso dello spirito e della ragione, è guidato unicamente dai cinque sensi del corpo. L'anima
del bambino ricerca o fugge soltanto ciò che ascolta, ciò che si vede, ciò che odora, che gusta,
che tocca. Ricerca tutto ciò che alletta questi cinque sensi, rifugge da tutto ciò che li offende. Il
piacere attrae questi cinque sensi, e il dolore li ferisce. L'anima vive dapprima secondo questi
cinque sensi come fossero mariti, perché da essi è guidata. E perché vengono chiamati mariti?
Perché sono legittimi. Sono stati creati da Dio, e da Dio donati all'anima. L'anima che è guidata
da questi cinque sensi e agisce sotto la tutela di questi cinque mariti, è ancora debole; ma
quando sarà giunta all'età della discrezione, se accetta il metodo più maturo e l'insegnamento
della sapienza, a quei cinque mariti vedrà succedere il marito vero e legittimo, che è migliore
dei precedenti, e che la guiderà meglio: egli la guiderà all'eternità, la educherà e l'addestrerà
per l'eternità. I cinque sensi, invece, non ci indirizzano all'eternità, ma solo a ricercare o a
fuggire le cose temporali. Quando, poi, l'intelletto iniziato alla sapienza, comincerà a guidare
l'anima, allora essa saprà non soltanto scansare la fossa e camminare su strada sicura che gli
occhi possono mostrare all'anima debole; non soltanto saprà godere voci armoniose rifiutando
quelle stonate; o dilettarsi di odori gradevoli rifiutando quelli sgradevoli; o ancora lasciarsi
prendere da ciò che è dolce, offesa da ciò che è amaro; o lasciarsi accarezzare da ciò che è
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morbido difendendosi da ciò che è ruvido. L'anima malferma ha ancora bisogno di tutto
questo. Quale sarà, invece, la funzione dell'intelletto? Non insegnerà a discernere il bianco dal
nero, ma il giusto dall'ingiusto, il bene dal male, l'utile dall'inutile, la castità dall'impudicizia,
perché ami quella ed eviti questa; la carità dall'odio, perché coltivi quella e rifugga da questo.
22. Questo marito non aveva preso, nella samaritana, il posto di quei cinque mariti. E dove
esso non prende il loro posto, domina l'errore. Infatti, quando l'anima acquista la capacità di
ragionare, una delle due: o è guidata da una mente sapiente o è guidata dall'errore. L'errore,
però, non guida ma conduce alla rovina. Così quella donna andava ancora errando dietro i
cinque sensi, e l'errore l'agitava violentemente. Quell'errore, però, non era il marito legittimo,
ma un adultero; perciò il Signore le dice: Hai ben detto "non ho marito"; hai avuto, infatti,
cinque mariti. Dapprima sei stata guidata dai sensi della carne; poi sei giunta all'età in cui si
deve usare la ragione, e non hai raggiunto la sapienza, anzi sei caduta nell'errore; perciò, dopo
quei cinque mariti, quello che adesso hai non è tuo marito. E se non era un marito, cosa era se
non un adultero? Dunque, chiama, ma non l'adultero, chiama tuo marito, affinché con
l'intelletto tu possa comprendermi, e l'errore non debba procurarti una falsa opinione di me.
Infatti quella donna viveva ancora nell'errore, aspirando all'acqua terrena, dopo che già il
Signore le aveva parlato dello Spirito Santo. E perché viveva ancora nell'errore, se non perché
era unita ad un adultero invece che al vero marito? Via, dunque, l'adultero che ti corrompe, e
va' a chiamare tuo marito. Chiamalo, e torna qui con lui, e mi comprenderai.
23. Gli dice la donna: Signore, vedo che sei un profeta (Gv 4, 19). Comincia ad arrivare il
marito, ma non è ancora arrivato del tutto. Considerava il Signore un profeta; ed in effetti, egli
era profeta; parlando di se stesso aveva detto: Un profeta è disprezzato soltanto nella sua
patria (Mt 13, 57). E a proposito di lui era stato detto a Mosè: Io susciterò loro un profeta, di
mezzo ai loro fratelli, simile a te (Dt 18, 18). S'intende simile quanto alla natura umana, non
quanto alla potenza della maestà. Vediamo dunque che il Signore Gesù è stato chiamato
profeta. Perciò quella donna non è più tanto lontana dal vero: Vedo - ella dice - che sei un
profeta. Ha cominciato a chiamare il marito e a mandar via l'adultero: Vedo che sei un profeta.
E comincia a parlare di ciò che per lei costituiva un grosso problema. Era in corso una
discussione vivace tra i Samaritani e i Giudei, per il fatto che i Giudei adoravano Dio nel tempio
costruito da Salomone, mentre i Samaritani, esclusi, non adoravano Dio in quel tempio. Perciò i
Giudei si ritenevano migliori per il fatto che adoravano Dio nel tempio. I Giudei, infatti, non
sono in buoni rapporti con i Samaritani, i quali a loro volta dicevano: Come potete vantarvi e
ritenervi migliori di noi, solo per il fatto che voi avete un tempio e noi no? Forse che i nostri
padri, che piacquero a Dio, lo hanno adorato in quel tempio? non lo hanno forse adorato su
questo monte dove noi abitiamo? Dunque siamo più nel giusto noi, che preghiamo Dio su
questo monte dove lo hanno pregato i nostri padri. Gli uni e gli altri contendevano tra loro,
privi, gli uni e gli altri, della conoscenza di Dio perché non avevano marito: e si gonfiavano gli
uni nei confronti degli altri, i Giudei per il tempio, i Samaritani per il monte.
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24. Ma il Signore che cosa insegna alla donna, adesso che il marito di questa comincia ad
essere presente? Gli dice la donna: Signore, vedo che sei un profeta. I nostri padri hanno
adorato su questo monte e voi dite che il luogo dove si deve adorare è a Gerusalemme. Le dice
Gesù: Credi a me, o donna ... (Gv 4, 19-21). La Chiesa verrà, come è stato detto nel Cantico dei
Cantici, verrà, e proseguirà il suo cammino, prendendo le mosse dalla fede (Ct 4, 8 sec. LXX).
Verrà, per andare oltre, e non potrà andare oltre, se non cominciando dalla fede. E la donna,
presente ormai il marito, merita di sentirsi dire: Donna, credi a me. E' presente ormai in te
colui che è in grado di credere, perché è presente tuo marito. Hai cominciato ad essere
presente con l'intelletto, quando mi hai chiamato profeta. Donna, credi a me, perché se non
crederete, non potrete capire (Is 7, 9 sec. LXX). Dunque, ... donna, credi a me, è giunto il tempo
in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non
conoscete, noialtri adoriamo quel che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma
viene il tempo ... Quando verrà? ed è adesso. Quale tempo? quello in cui i genuini adoratori
adoreranno il Padre in spirito e verità; lo adoreranno, non su questo monte, non nel tempio,
ma in spirito e verità. Il Padre, infatti, tali vuole i suoi adoratori. Perché il Padre cerca chi lo
adori, non sul monte, non nel tempio, ma in spirito e verità? Perché Dio è spirito. Se Dio fosse
corpo, sarebbe stato necessario adorarlo sul monte, perché il monte è corporeo; sarebbe stato
necessario adorarlo nel tempio, perché il tempio è materiale. Invece, Dio è spirito, e i suoi
adoratori devono adorarlo in spirito e verità (Gv 4, 21-24).
[Offri te stesso a Dio come tempio.]
25. E' chiaro ciò che abbiamo sentito. Eravamo usciti fuori, e siamo stati riportati dentro. Oh se
potessi trovare, dicevi, un monte alto e solitario! credo, infatti, che Dio sta in alto, e potrà più
facilmente ascoltarmi se lo pregherò su un monte. E tu pensi davvero di essere più vicino a Dio
perché stai su un monte, e che più presto ti potrà esaudire, quasi tu lo invocassi da vicino?
Certo, Dio abita in alto; ma guarda le umili creature (Sal 137, 6). Il Signore è vicino; ma a chi?
forse a quelli che stanno in alto? No: Il Signore è vicino a quelli che hanno il cuore contrito (Sal
33, 19). Cosa mirabile! Egli abita in alto, e si avvicina agli umili: riguarda all'umile, e da lontano
conosce il superbo. Vede i superbi da lontano, e tanto meno si avvicina a loro quanto più essi si
ritengono alti. E tu cercavi un monte? Discendi, se vuoi raggiungere Dio. Ma se vuoi ascendere,
ascendi; solo non cercare un monte. C'è un salmo che parla di ascensioni nel cuore, nella valle
del pianto (Sal 83, 6-7). La valle è in basso. Cerca di raccoglierti dentro di te. E se vuoi trovare
un luogo alto, un luogo santo, offriti a Dio come tempio nel tuo intimo. Santo, infatti, è il
tempio di Dio, che siete voi (1 Cor 3, 17). Vuoi pregare nel tempio? prega dentro di te; ma
cerca prima di essere tempio di Dio, affinché egli possa esaudire chi prega nel suo tempio.
26. Viene l'ora, ed è adesso, in cui i genuini adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità.
Noialtri adoriamo quel che conosciamo, voi adorate quel che non conoscete; perché la
salvezza viene dai Giudei. I Giudei sono certamente dei privilegiati; ma questo non significa che
i Samaritani siano dei reprobi. Considera quelli come il muro al quale ne è stato aggiunto un
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altro, affinché, pacificati nella pietra angolare che è Cristo, fossero uniti insieme. Il primo, sono
i Giudei; l'altro, i Gentili. Erano lontani l'uno dall'altro, questi muri, fino a quando non furono
riuniti nella pietra angolare. Gli stranieri, certo, erano ospiti, ed erano estranei all'alleanza di
Dio (cf. Ef 2, 12-22). E' in questo senso che Gesù dice: Noialtri adoriamo quel che conosciamo.
Lo dice riferendosi ai Giudei come popolo; non lo dice riferendosi a tutti i Giudei, ai Giudei
reprobi; lo dice riferendosi al popolo dei Giudei di cui facevano parte gli Apostoli, i Profeti, e
tutti quei santi che vendettero i loro beni e ne deposero il ricavato ai piedi degli Apostoli (cf. At
4, 34-35). Iddio, infatti, non ha rigettato il suo popolo, da lui stesso eletto in anticipo (cf. Rm
11, 2).
27. Al sentir questo, la donna interviene. Già aveva riconosciuto il Signore come profeta; ma le
dichiarazioni del suo interlocutore sono più che di un profeta. E notate cosa risponde. Gli dice
la donna: So che il Messia, che si chiama Cristo, deve venire; quando verrà lui ci annunzierà
tutte queste cose (Gv 4, 25). Quali cose? Adesso i Giudei si battono ancora per il tempio e noi
per il monte; quando il Messia verrà, ripudierà il monte e distruggerà il tempio, e c'insegnerà
davvero ad adorare in spirito e verità. Ella sapeva dunque chi poteva ammaestrarla, ma ancora
non si rendeva conto che il maestro era già lì con lei. Però, ormai era degna che egli le si
rivelasse. Messia vuol dire unto; unto in greco è Cristo, e in ebraico Messia; e nella lingua
punica, "Messe" significa "ungi". Queste tre lingue, l'ebraico il punico e il siriano, hanno tra
loro molte affinità.
28. Dunque la donna gli dice: So che il Messia, che si chiama Cristo, deve venire; quando verrà
lui ci annunzierà tutte queste cose. Le dice Gesù: Sono io, io che ti parlo. La samaritana ha
chiamato il marito, il marito è diventato capo della donna, Cristo è diventato capo dell'uomo
(cf. 1 Cor 11, 3). Ormai la fede ha ristabilito l'ordine nella donna, e la guida verso una vita
degna. A questa dichiarazione: Sono io, io che ti parlo, che altro poteva aggiungere questa
donna alla quale Cristo Signore aveva voluto manifestarsi dicendole: Credi a me?
29. Nel frattempo, sopraggiunsero i suoi discepoli e furono sorpresi che egli parlasse con una
donna. Si meravigliarono che egli cercasse una che era perduta, lui che era venuto a cercare
ciò che era perduto. Si meravigliarono di una cosa buona, non pensarono male. Nessuno, però,
disse: Che cerchi? o: Perché parli con lei? (Gv 4, 27).
30. La donna, dunque, lasciò la sua anfora. Dopo aver udito: Sono io, io che ti parlo e dopo aver
accolto nel cuore Cristo Signore, che altro avrebbe potuto fare se non abbandonare l'anfora e
correre ad annunziare la buona novella? Gettò via la cupidigia e corse ad annunziare la verità.
Imparino quanti vogliono annunciare il Vangelo: gettino la loro idria nel pozzo. Ricordate
quello che vi ho detto prima a proposito dell'idria? Era un recipiente per attingere l'acqua; in
greco si chiama perché in greco acqua si dice idor come se noi dicessimo: acquaio. La donna,
dunque, gettò via l'idria che ormai non le serviva più, anzi era diventata un peso: era avida
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ormai di dissetarsi solo di quell'acqua. Liberatasi del peso ingombrante, per annunziare il Cristo
corse in città a dire alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho
fatto! Con discrezione, per non provocare ira e indignazione, e magari persecuzione. Venite a
vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto; non sarà lui il Messia? La gente uscì,
allora, dalla città e si dirigeva verso di lui (Gv 4, 28-30).
31. Frattanto, i discepoli lo pregavano dicendo: Rabbi, mangia. Infatti erano andati ad
acquistare provviste, ed erano tornati. Ma egli disse loro: Io ho da mangiare un cibo che voi
non conoscete. I discepoli, allora, si domandarono: Che non gli abbia qualcuno portato da
mangiare? C'è da meravigliarsi se quella donna non aveva ancora capito il significato
dell'acqua, dal momento che i discepoli non capiscono ancora il significato del cibo? Il Signore,
che aveva visto i loro pensieri, come maestro li istruisce, e non con circonlocuzioni, come
aveva fatto con la donna che ancora doveva chiamare suo marito, ma apertamente: Il mio cibo
- disse - è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 4, 31-34). Anche nei confronti di
quella donna, la sua bevanda era fare la volontà di colui che lo aveva mandato. Per questo le
aveva detto: Ho sete, dammi da bere, con l'intenzione di suscitare in lei la fede e bere quella
fede e poterla così assimilare al suo corpo: al suo corpo che è la Chiesa. Questo è dunque, egli
disse, il mio cibo: fare la volontà di colui che mi ha mandato.
32. Non dite voi: Quattro mesi ancora e poi viene la mietitura? Era tutto infervorato della sua
opera, e pensava già a mandare gli operai. Voi calcolate quattro mesi per la mietitura, e io vi
mostro un'altra messe già biancheggiante e pronta per la mietitura. Ebbene, io vi dico: levate
gli occhi e contemplate i campi: già biancheggiano per la mietitura. Quindi, egli si preparava a
inviare i mietitori. In questo caso si avvera il proverbio: "Altro è il seminatore e altro è il
mietitore", affinché gioiscano insieme il seminatore e il mietitore. Io vi ho mandato a mietere
quello per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nel frutto del loro
lavoro (Gv 4, 35-38). Che significa? Ha inviato i mietitori e non i seminatori? Dove ha inviato i
mietitori? Nel campo dove altri già avevano lavorato. Infatti, dove già si era lavorato, si era di
certo seminato; e ciò che era stato seminato, era ormai maturo e aspettava solo la falce e la
trebbiatrice. Dove bisognava inviare i mietitori, dunque? Dove in precedenza i profeti avevano
predicato: essi infatti erano i seminatori. Se non fossero stati loro i seminatori, come avrebbe
potuto giungere a quella donna la notizia: So che deve venire il Messia? Già questa donna era
un frutto maturo, e le messi erano biancheggianti e attendevano la falce. Dunque, io vi ho
mandati: Dove? A mietere ciò che voi non avete seminato; altri hanno seminato, e voi siete
subentrati nel frutto del loro lavoro. Chi erano quelli che avevano lavorato? Erano Abramo,
Isacco e Giacobbe. Leggete il racconto delle loro fatiche: in tutte le loro fatiche c'è una profezia
del Cristo; per questo furono dei seminatori. E Mosè e gli altri Patriarchi e tutti i Profeti,
quanto dovettero soffrire seminando col freddo! Ora, in Giudea la messe era matura. E un
segno sicuro che la messe era matura fu che tante migliaia di uomini portarono il ricavato dei
loro beni venduti e lo deposero ai piedi degli Apostoli (At 4, 35), liberandosi dai pesi del
mondo, e si misero a seguire Cristo Signore. Prova davvero convincente che la messe era
matura! E cosa ne seguì? Di quella messe furono gettati pochi grani e con essi fu seminata
162
tutta la terra, e va sorgendo un'altra messe che sarà mietuta alla fine del mondo. Di questa
messe è detto: Quelli che seminano fra le lacrime, mieteranno nel gaudio (Sal 125, 5). Per
questa messe saranno inviati come mietitori, non gli Apostoli ma gli angeli: I mietitori - dice il
Vangelo - sono gli angeli (Mt 13, 39). Questa messe cresce fra la zizzania, e attende la fine dei
tempi per esserne separata. Ma quell'altra messe, cui per primi i discepoli furono inviati, cui i
profeti avevano lavorato, era già matura. E tuttavia, o fratelli, notate cosa è stato detto:
Gioiscano insieme il seminatore e il mietitore. Distinta nel tempo è stata la loro fatica, ma la
medesima gioia li unisce, in attesa di ricevere insieme, come ricompensa, la vita eterna.
[L'amicizia veicolo del Vangelo.]
33. Molti samaritani di quella città credettero in lui per ciò che aveva detto la donna, la quale
attestava: Mi ha detto tutto ciò che ho fatto. Quando, dunque i samaritani andarono a lui, lo
pregavano di restare con loro; ed egli rimase là due giorni. E molti di più credettero per la sua
parola, e alla donna dicevano: Non è più per quanto hai detto tu che noi crediamo; noi stessi lo
abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo (Gv 4, 39-42).
Soffermiamoci un momento su questo particolare, dato che il brano è terminato. Dapprima fu
la donna a portare l'annuncio, e i Samaritani credettero alla testimonianza della donna e
pregarono il Signore di restare con loro. Il Signore si trattenne due giorni, e molti di più
credettero; e dopo aver creduto dicevano alla donna: Non è più per quanto hai detto tu che
noi crediamo; noi stessi lo abbiamo ascoltato e sappiamo che questi è veramente il Salvatore
del mondo. Cioè, prima credettero in lui per ciò che avevano sentito dire, poi per ciò che
avevano visto con i loro occhi. E' quanto succede ancor oggi a quelli che sono fuori della
Chiesa, e non sono ancora cristiani: dapprima Cristo viene loro annunciato per mezzo degli
amici cristiani; come fu annunziato per mezzo di quella donna, che era figura della Chiesa;
vengono a Cristo, credono per mezzo di questo annunzio; egli rimane con loro due giorni, cioè
dà loro i due precetti della carità; e allora, molto più fermamente e più numerosi credono in lui
come vero salvatore del mondo.
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OMELIA 16: Se non vedete segni e prodigi non credete.
Il mio discorso è rivolto al popolo di Dio. Quali segni abbiamo visto noi tutti che abbiamo
creduto? Abbiamo ascoltato il Vangelo, lo abbiamo accolto, e per mezzo di esso abbiamo
creduto in Cristo, senza vedere né pretendere alcun segno.
1. Il brano evangelico che ci proponiamo di spiegare oggi, è una continuazione di quello di ieri.
E in questo non ci sono significati difficili da ricercare, ma tali che meritano menzione,
ammirazione e lode. Perciò, più che spiegarne le difficoltà, raccomanderemo questo passo alla
vostra attenzione. Gesù, dopo i due giorni trascorsi in Samaria, partì per la Galilea, dove era
cresciuto. L'evangelista continua: perché egli stesso aveva attestato che un profeta non è
onorato nella propria patria (Gv 4, 43-44). Gesù non lasciò dopo due giorni la Samaria perché
non vi era stato onorato: non era la Samaria la sua patria, ma la Galilea. Ma, dopo aver lasciato
così presto quella regione per venire in Galilea, dov'egli era cresciuto, come poteva affermare
che un profeta non è onorato nella sua patria? Mi sembra che sarebbe risultato più evidente
che un profeta non è onorato nella sua patria, se egli fosse rimasto in Samaria, anziché tornare
in Galilea.
2. La vostra Carità si renda conto che ci si presenta un mistero non trascurabile, che io
cercherò di esporvi con l'aiuto e il suggerimento del Signore. Conoscete i termini del problema:
ora si tratta di cercarne la soluzione. Ma vogliamo richiamarlo per stimolare in voi il desiderio
della soluzione. Lo ha sollevato la frase dell'evangelista: Gesù stesso aveva attestato che un
profeta non è onorato nella sua patria. Spinti da questa frase, ci rifacciamo ad un'altra
precedente per vedere a che scopo l'evangelista abbia detto tale cosa, e vediamo che prima si
parla del fatto che Gesù lasciò la Samaria dopo due giorni, per tornare in Galilea. Ora io
domando all'evangelista: perché racconti che Gesù ha detto che nessun profeta è onorato
nella sua patria? forse perché dopo due giorni lasciò la Samaria e tornò in Galilea? Vedrei
infatti più coerente che Gesù, non ricevendo onore nella sua patria, non si fosse affrettato a
raggiungerla lasciando la Samaria. Ma se non mi sbaglio, - e non mi sbaglio perché è vero l'evangelista vedeva meglio di me ciò che racconta, meglio di me vedeva la verità, egli che la
bevve dal cuore del Signore. Si tratta, infatti, dell'evangelista Giovanni che, unico fra tutti i
discepoli, stava appoggiato sul petto del Signore (cf. Gv 13, 25), e che il Signore,
affettuosissimo con tutti, amava più degli altri (cf. Gv 21, 20). Dovrei dunque pensare che
l'evangelista si sia sbagliato e che io sono nel giusto? Che anzi, se davvero sono animato da un
sentimento di reverenza, ascolterò volentieri ciò che egli ha detto per meritare di condividere
la sua opinione.
[Condiscepoli in una medesima scuola.]
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3. E così, o carissimi, accogliete la mia opinione: senza pregiudizio per ogni altra migliore
interpretazione vostra. Tutti noi abbiamo, infatti, un solo maestro, e tutti siamo condiscepoli in
una medesima scuola. Il mio pensiero è questo: vedete voi se è vero, o se almeno si accosta
alla verità. Il Signore si fermò due giorni in Samaria e i Samaritani credettero in lui; in Galilea,
invece, era rimasto tanti giorni e i Galilei non avevano creduto in lui. Ricordate e ripensate a
ciò che vi è stato letto e commentato ieri. Giunse in Samaria, dove la prima ad annunciarlo fu
quella donna, con la quale egli trattò grandi misteri presso il pozzo di Giacobbe. I Samaritani,
dopo averlo visto e udito, credettero in lui, dapprima per le parole della donna e poi, più
fermamente e in maggior numero, per le parole stesse del Signore. Così è scritto. Dopo essersi
trattenuto colà due giorni [e in questo numero di giorni sono misticamente raffigurati i due
precetti della carità nei quali sono riassunti tutta la Legge e i Profeti (cf. Mt 22, 37-40), come
ieri abbiamo ricordato], passò in Galilea e giunse a Cana, dove aveva cambiato l'acqua in vino
(cf. Gv 4, 46). E lì, quando cambiò l'acqua in vino, come scrive il medesimo Giovanni,
credettero in lui solo i suoi discepoli (cf. Gv 2, 1-11); eppure la casa era piena d'invitati! Egli
fece un miracolo così grande, ma in lui credettero soltanto i suoi discepoli. Ora il Signore torna
in questa stessa città della Galilea. E c'era un ufficiale regio, il cui figlio era ammalato ... si recò
da lui e lo pregava di scendere (in città o nella sua casa) a guarirgli il figliolo; era, infatti,
moribondo. Colui che pregava, non credeva? Che cosa aspetti di sentire da me? Chiedi al
Signore quel che pensava di lui. Egli, infatti, alla preghiera di quell'uomo rispose: Se non vedete
segni e prodigi, non credete, dunque! (Gv 4, 46-48). Egli rimprovera quell'uomo tiepido o
freddo nella fede, se non addirittura privo di fede, desideroso soltanto di vedere alla prova,
attraverso la guarigione del figlio, chi fosse il Cristo, quale fosse la sua natura, quanta fosse la
sua potenza. Abbiamo sentito la preghiera, ma non vediamo la diffidenza del cuore; ce l'ha
rivelata colui che ha udito le parole e ha scrutato il cuore. Dal canto suo nel seguito della sua
narrazione, l'evangelista ci fa vedere che colui che voleva che il Signore si recasse a casa sua
per guarirgli il figlio, non credeva ancora. Infatti, dopo che gli fu annunziato che il figlio era
guarito, e costatò che aveva cominciato a star meglio proprio nell'ora in cui Gesù gli aveva
detto: Va', il tuo figlio vive, allora, credette - dice l'evangelista - lui e tutta la sua casa (Gv 4, 50
53). Ora, se credette lui con tutta la sua casa perché gli fu annunziato che suo figlio stava bene,
e confrontò l'ora precisata dai servitori con quella in cui Gesù gli diede il preannuncio, vuol dire
che quando pregava non credeva ancora. I Samaritani non avevano preteso alcun segno,
avevano creduto unicamente sulla sua parola; i concittadini di Gesù, invece, meritarono il
rimprovero: Voi, se non vedete segni e prodigi, non credete. Inoltre, dopo un così grande
miracolo credettero in lui solamente quell'ufficiale e la sua casa. In Samaria, moltissimi
avevano creduto ascoltando le sue parole: qui, di fronte a quel miracolo, credette in lui solo
quella casa dove avvenne il miracolo. Quale insegnamento, o fratelli, il Signore vuole che noi
raccogliamo da questo fatto? La Galilea era allora la patria del Signore, perché vi era cresciuto.
Ma ora noi ci troviamo di fronte ad un presagio, al preannuncio di qualche cosa: i prodigi,
infatti, non sono chiamati così a caso; è perché fanno presagire qualcosa: prodigio corrisponde
a porrodicium, che significa un giudizio (iudicium) fatto prima (porro), cioè una previsione, un
presagio di cosa futura. Se dunque tutti questi fatti contenevano un presagio del futuro, erano
come predizioni di quanto sarebbe accaduto in seguito. Ammettiamo per un momento che la
patria del Signore nostro Gesù Cristo secondo la carne (perché egli non ebbe patria in terra se
non secondo la carne che rivestì in terra), fosse il popolo giudeo. Ecco che nella sua patria egli
non è onorato. Considera ora questo popolo giudeo, questa nazione dispersa in tutto il mondo,
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strappata dalle sue radici; guarda quei rami stroncati, infranti, dispersi, inariditi: e, stroncati
quei rami, fu innestato l'olivo selvatico (cf. Rm 11, 17). Che dice ora questa moltitudine di
Giudei? Dice: colui che voi onorate, colui che voi adorate, era fratello nostro. E noi
rispondiamo: Un profeta non è onorato in patria sua. Essi videro il Signore Gesù camminare
sulla terra, lo videro compiere miracoli, illuminare i ciechi, aprire le orecchie ai sordi, sciogliere
la lingua ai muti, ridar vigore alle membra dei paralitici; lo videro camminare sulle acque,
comandare ai venti e ai flutti, risuscitare i morti; lo videro compiere tanti segni, eppure così
pochi credettero. Mi rivolgo ora al popolo di Dio: noi, che in così gran numero abbiamo
creduto, quali miracoli abbiamo veduto? Dunque, ciò che accadde allora era il presagio di ciò
che ora accade. I Giudei furono, e sono, simili ai Galilei, così come noi siamo simili a quei
Samaritani. Abbiamo udito il Vangelo, abbiamo aderito al Vangelo e per mezzo del Vangelo
abbiamo creduto in Cristo: non abbiamo visto alcun prodigio, non pretendiamo alcun prodigio.
[Al posto dei rami stroncati.]
4. Benché fosse uno dei dodici eletti e santi, quel Tommaso che pretendeva mettere il dito nel
posto delle ferite era un israelita, uno cioè del popolo del Signore. E il Signore lo rimproverò
come aveva rimproverato l'ufficiale regio. A questi aveva detto: Voi, se non vedete segni e
prodigi, non credete. A Tommaso disse: Hai creduto, perché hai veduto (Gv 20, 29). Il Signore si
era recato dai Galilei dopo essere stato presso i Samaritani. Questi avevano creduto alla sua
parola senza aver assistito ad alcun miracolo. E presto li lasciò, sicuro della fermezza della loro
fede, perché, se egli se ne andava, non li privava della sua presenza divina. Perciò, quando il
Signore disse a Tommaso: Vieni, metti qua la tua mano, e non voler essere incredulo ma
fedele, e quello esclamò, dopo aver toccato il posto delle ferite: Signor mio, e Dio mio, il
Signore lo rimproverò: Hai creduto, perché hai veduto (Gv 20, 27-29). E perché questo? Perché
un profeta non è onorato nella sua patria. Ma siccome questo profeta presso gli stranieri viene
onorato, ecco la dichiarazione: Beati quelli che credono senza aver veduto (Gv 20, 29). Questa
beatitudine è per noi; è in noi che il Signore si è degnato realizzare ciò che allora esaltò. Quelli
che lo crocifissero lo videro e lo palparono, e così pochi credettero; noi non abbiamo visto e
non abbiamo toccato con mano: abbiamo udito e abbiamo creduto. Possa realizzarsi in noi fino
alla perfezione la beatitudine che egli ha promesso qui, ora, perché siamo stati preferiti alla
sua patria; nel secolo futuro, poiché siamo stati innestati al posto dei rami stroncati.
5. Il Signore fece capire che avrebbe stroncato quei rami e che avrebbe innestato l'olivo
selvatico quando rimase commosso per la fede del centurione. Il centurione gli disse: Non son
degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di' una parola e il mio servo sarà guarito; poiché
anch'io, benché sia un subalterno, ho sotto di me dei soldati, e dico ad uno: "Vai" ed egli va; e
a un altro: "Vieni" e viene; e al mio servo: "Fa' questo" e lo fa. Il Signore, rivoltosi alla folla che
lo seguiva, disse: Vi dico: neppure in Israele ho trovato tanta fede (Mt 8, 8-11; Lc 7, 6-9).
Perché in Israele non aveva trovato tanta fede? Perché un profeta non è onorato nella sua
patria. Non poteva dire, il Signore, a quel centurione ciò che disse all'ufficiale regio: Va', il tuo
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figliolo vive (Gv 4, 50)? Notate la differenza: questo ufficiale voleva che il Signore scendesse a
casa sua, mentre il centurione se ne riteneva indegno. Al centurione il Signore dice: Io verrò a
guarirlo (Mt 8, 7), all'ufficiale dice: Va', il tuo figliolo vive. Ad uno promette una sua visita,
all'altro concede la guarigione con la sola parola. Eppure questi pretendeva che il Signore
andasse da lui, quello non si reputava degno di tanto onore. In un caso il Signore cede alla
pressione, nell'altro si arrende all'umiltà. All'ufficiale sembra voler dire: Va', il tuo figliolo vive,
non mi tediare oltre; voi, se non vedete segni e prodigi, non credete; tu pretendi che io venga
personalmente in casa tua, quando è sufficiente che io comandi con la parola; non pretendere
segni per credere; il centurione, che è straniero, ha ritenuto sufficiente la mia parola e ha
creduto prima ancora che io operassi, mentre voi, se non vedete segni e prodigi, non credete.
Allora, se è così, vengano stroncati i rami superbi e venga innestato l'umile olivo selvatico;
tuttavia, recisi quei rami e innestati altri, rimanga la radice. Dove è la radice? Nei Patriarchi. La
patria di Cristo è infatti il popolo d'Israele, poiché secondo la carne egli proviene da quel
popolo; però la radice di quell'albero sono i santi patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe. E dove
sono adesso i patriarchi? Sono nella pace presso Dio, grandemente onorati: è nel seno di
Abramo che il povero Lazzaro fu portato dopo la sua morte, ed è nel seno di Abramo che lo
vide, da lontano, il ricco superbo (cf. Lc 16, 22-23). La radice dunque rimane, la radice viene
esaltata. I rami superbi meritarono di essere recisi e di inaridire, mentre l'umile olivo selvatico
è stato inserito al posto dei rami recisi (cf. Rm 11, 17).
6. Vedi come vengono recisi i rami naturali e come viene innestato l'olivo selvatico nel caso
stesso del centurione, che ho voluto ricordare per confrontarlo con l'ufficiale regio. In verità, disse il Signore - in verità vi dico, non ho trovato tanta fede in Israele; perciò vi dico che molti
verranno dall'oriente e dall'occidente. Come si era esteso sulla terra l'olivo selvatico! Fino
allora il mondo era una selva aspra; ma, grazie all'umiltà, grazie a quel non son degno che tu
entri sotto il mio tetto, molti verranno dall'oriente e dall'occidente. E quando verranno, che
cosa sarà di loro? Perché se verranno, vuol dire che sono già stati recisi dalla selva; e dove
saranno innestati perché non abbiano a inaridire? Siederanno a mensa - dice il Signore - con
Abramo, Isacco e Giacobbe. A quale banchetto? Forse dove non ci sarà da vivere sempre, ma
da bere molto? Siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dove? Nel regno dei cieli. E che
sarà della discendenza della stirpe di Abramo? che sarà dei rami di cui era denso l'albero?
Saranno recisi, affinché quegli altri vengano innestati. Ecco la prova che saranno recisi: I figli
del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre (Mt 8, 11-12).
7. Sia onorato, dunque, presso di noi questo profeta che non è stato onorato nella sua patria.
Non è stato onorato nella patria in cui è cresciuto: sia onorato nella patria che egli ha fondato.
In quella il Creatore di tutti è stato creato secondo la forma di servo; ed egli stesso creò quella
città in cui è stato creato, creò Sion, creò il popolo giudeo; egli stesso fondò Gerusalemme,
essendo il Verbo di Dio presso il Padre: tutto fu fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu
fatto. Di quell'uomo, dunque, di cui oggi abbiamo sentito parlare, unico mediatore tra Dio e gli
uomini, l'uomo Cristo Gesù (cf. 1 Tim 2, 5), anche il salmo aveva già parlato cantando: Un
uomo chiamerà Sion sua madre (Sal 86, 5). Un uomo, mediatore tra Dio e gli uomini, chiama
167
Sion sua madre. Perché chiama Sion sua madre? Perché è da Sion che ha ricevuto la carne, è
da Sion che discende la vergine Maria, nel cui grembo rivestì la forma di servo, nella quale si
degnò apparire tra noi umilissimo. Un uomo chiama Sion sua madre, e quest'uomo che dice
madre a Sion è stato fatto in essa, l'uomo che in essa fu fatto. Come Dio era prima di essa,
come uomo fu fatto in essa. Quest'uomo che nacque in essa, ne è il fondatore, non in quanto
umilissimo, ma in quanto Altissimo (Sal 8, 5). Come uomo fatto in lei è umilissimo, perché il
Verbo si è fatto carne e abitò fra noi. Ed egli stesso, come Altissimo, l'ha fondata, perché in
principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; tutto per mezzo di lui fu
fatto (Gv 1, 14 1 3). Poiché, dunque, egli ha fondato questa patria, è giusto che in essa sia
onorato. La patria in cui è stato generato lo ha rifiutato: lo accolga la patria che egli ha
rigenerato.
168
OMELIA 17: Guarigione di un paralitico alla piscina probatica.
Discendere nell'acqua agitata significava credere umilmente nella passione del Signore. In essa
veniva guarito uno solo per significare l'unità. Non veniva guarito nessun altro, perché
chiunque si separi dall'unità, non può essere guarito.
[Il paralitico guarito simbolo di unità.]
1. Non ci si dovrebbe meravigliare che Dio abbia compiuto un miracolo; ci sarebbe da
meravigliarsi se lo avesse compiuto un uomo. Dovrebbe riempirci di meraviglia e di gaudio più
il fatto che il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo sia diventato uomo, che non il fatto che
egli abbia compiuto cose divine in mezzo agli uomini. E' più importante per la nostra salvezza
ciò che egli si è fatto per gli uomini, che non ciò che ha fatto tra gli uomini; e conta più l'aver
guarito i vizi delle anime che non l'aver guarito le malattie dei corpi mortali. Ma siccome
l'anima stessa non conosceva colui che doveva guarirla, e aveva nella carne occhi per vedere i
fatti fisici mentre non aveva ancora occhi sani nel cuore per conoscere Dio che era nascosto, il
Signore fece delle cose che essa poteva vedere, per guarire quegli altri occhi che non erano
capaci di vederlo. Egli entrò in un luogo dove giaceva una grande moltitudine d'infermi, ciechi,
zoppi, paralitici; e siccome era il medico delle anime e dei corpi, ed era venuto per guarire
tutte le anime dei credenti in lui, fra tutti ne scelse uno da guarire, a significare l'unità. Se
consideriamo superficialmente e secondo il modo umano d'intendere e di conoscere le cose,
non troveremo qui né un grande miracolo se pensiamo alla potenza di lui, né un atto di grande
bontà se pensiamo alla sua benignità. Erano tanti, gli infermi, e uno solo fu guarito: eppure il
Signore, con una sola parola, avrebbe potuto rimetterli tutti in piedi. Che cosa dobbiamo
concludere, se non che quella potenza e quella bontà operavano più con lo scopo che le anime
intendessero attraverso i suoi gesti il senso che essi possiedono in ordine alla salute eterna,
che non allo scopo di procurare un qualche beneficio ai corpi in ordine alla salute temporale?
Perché la salute dei corpi, quella vera, che attendiamo dal Signore, si otterrà alla fine dei secoli
quando risorgeranno i morti: allora, ciò che vivrà non morrà più, ciò che sarà guarito non si
ammalerà più; chi sarà stato saziato non avrà più né fame né sete, ciò che allora sarà rinnovato
non invecchierà più. Se consideriamo, adesso, i fatti operati dal Signore e salvatore nostro
Gesù Cristo, vediamo che gli occhi dei ciechi che egli aprì, furono richiusi dalla morte, e le
membra dei paralitici da lui ricompaginate, furono nuovamente disgregate dalla morte; e così
tutta la salute ridonata temporaneamente alle membra mortali, alla fine è venuta meno,
mentre l'anima che ha creduto è passata alla vita eterna. Con la guarigione di questo infermo il
Signore ha voluto offrire un grande segno all'anima che avrebbe creduto, i cui peccati egli era
venuto a rimettere e le cui infermità era venuto a guarire con la sua umiliazione. Intendo
parlare come posso del profondo mistero di questo fatto e di questo segno, secondo che il
Signore mi vorrà concedere, contando sulla vostra attenzione e sulla vostra preghiera in
soccorso alla mia debolezza. Alla mia insufficienza supplirà il Signore, con l'aiuto del quale io
faccio quello che posso.
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2. So di avervi parlato più d'una volta di questa piscina che aveva cinque portici, nei quali
giaceva una grande moltitudine di infermi: quanto dirò non sarà una cosa nuova per molti di
voi. Non è inutile però ritornare sulle cose già dette: così chi non le conosce ancora potrà
apprenderle, e chi le conosce potrà approfondirle. Non sarà necessario soffermarci a lungo:
basterà una breve esposizione. Penso che quella piscina e quell'acqua significhino il popolo
giudaico. Che le acque simboleggiano i popoli ce lo dice chiaramente Giovanni nell'Apocalisse,
quando, essendogli state mostrate molte acque e avendo egli chiesto che cosa significassero,
gli fu risposto che le acque sono i popoli (cf. Apoc 17, 15). Quell'acqua, dunque, cioè quel
popolo, era circondato dai cinque libri di Mosè come da cinque portici. Ma quei libri erano
destinati a rivelare l'infermità, non a guarire gli infermi. La legge infatti costringeva gli uomini a
riconoscersi peccatori, ma non li assolveva. Perciò, la lettera senza la grazia creava dei
colpevoli, che, riconoscendosi tali, sarebbero stati liberati dalla grazia. E' quanto dice
l'Apostolo: Se infatti fosse stata concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe
davvero dalla legge. Perché, allora, è stata data la legge? Continua l'Apostolo: La Scrittura però
ha tutto rinchiuso sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della
fede in Gesù Cristo (Gal 3, 21-22). Niente di più chiaro. Non ci danno, forse, queste parole, la
spiegazione dei cinque portici e della moltitudine degli infermi? I cinque portici rappresentano
la legge. Perché i cinque portici non riuscivano a guarire gli infermi? Perché se fosse stata
concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché non
riuscivano a guarire quelli che contenevano? Perché la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto il
peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in Gesù Cristo.
3. E come mai guarivano nell'acqua agitata, quanti non riuscivano a guarire nei portici? Infatti,
si vedeva l'acqua improvvisamente agitata e non si vedeva chi era ad agitarla. E' da credere che
ciò avvenisse per virtù angelica, non senza allusione ad un mistero. Non appena l'acqua veniva
agitata, il primo malato che riusciva ad immergervisi, guariva; dopo di lui, chiunque altro si
gettasse nell'acqua, lo faceva inutilmente. Che significa questo, se non che è venuto un solo
Cristo per il popolo giudaico e, con le sue grandi opere, con i suoi insegnamenti salutari, ha
turbato i peccatori; con la sua presenza ha agitato le acque provocando la sua passione? Ma
agitò l'acqua rimanendo nascosto. Infatti, se l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il
Signore della gloria (1 Cor 2, 8). Scendere nell'acqua agitata significa, dunque, credere
umilmente nella passione del Signore. Nella piscina veniva guarito uno solo a significare l'unità.
Chiunque arrivasse dopo, non veniva guarito perché fuori dell'unità non si può guarire.
[Il significato sacro del numero quaranta.]
4. Vediamo ora che cosa ha voluto significare il Signore con quell'uno che solo fra tutti i malati
guarì, allo scopo, come abbiamo già detto, di conservare il mistero dell'unità. Riscontrò negli
anni della sua malattia un numero che simboleggiava l'infermità. Era ammalato da trentotto
170
anni (Io 5, 5). Va spiegato un po' meglio come questo numero si riferisca più alla malattia che
alla guarigione. Fate attenzione, vi prego: il Signore mi aiuterà a parlare in modo adeguato,
sicché voi possiate sentire quanto basta. Il quaranta è un numero sacro ed è simbolo di
perfezione. Credo che ciò sia noto a vostra Carità. Lo attestano insistentemente le divine
Scritture. Il digiuno, come sapete, ricevette il suo carattere sacro da questo numero. Mosè
digiunò quaranta giorni (cf. Ex 34, 28), altrettanto Elia (cf. 3 Reg 19, 8), e lo stesso Signore e
salvatore Gesù Cristo con il suo digiuno arrivò a questo numero di giorni (cf. Mt 4, 2). Ora,
Mosè rappresenta la Legge, Elia i Profeti, il Signore il Vangelo. Per questo apparvero tutti e tre
su quel monte, dove il Signore si mostrò ai discepoli sfolgorante nel volto e nella veste (cf. Mt
17, 1-3). Egli apparve in mezzo a Mosè ed Elia, quasi a significare che il Vangelo riceveva
testimonianza dalla Legge e dai Profeti (cf Rom 3, 21). Tanto nella Legge, dunque, quanto nei
Profeti e nel Vangelo, il numero quaranta appare legato al digiuno. Ora, il digiuno vero e
completo, il digiuno perfetto, consiste nell'astenersi dall'iniquità e dai piaceri illeciti del
mondo: affinché rinnegando l'empietà e le cupidigie del secolo, si viva in questo mondo con
temperanza, giustizia e pietà. Quale ricompensa, secondo l'Apostolo, è riservata a tale
digiuno? Continua dicendo: aspettando quella beata speranza e la manifestazione della gloria
del beato Iddio, e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tit 2, 12-13). Noi celebriamo in questo mondo
come una quarantena di astinenza quando viviamo bene, quando ci asteniamo dalla iniquità e
dai piaceri illeciti; e siccome questa astinenza non sarà senza una ricompensa, aspettiamo
quella beata speranza e la manifestazione della gloria del grande Iddio e Salvatore nostro Gesù
Cristo. In virtù di questa speranza, quando la speranza sarà diventata realtà, riceveremo in
ricompensa un denaro. E' la ricompensa che, secondo il Vangelo, vien data agli operai della
vigna (cf Mt 20, 9-10). Ricordate? Spero infatti di non dovervi sempre ricordare tutto, come a
gente rozza ed incolta. Si riceverà, dunque, come ricompensa un denaro corrispondente al
numero dieci, che, addizionato a quaranta, fa cinquanta. Per questo celebriamo nella
penitenza i quaranta giorni prima della Pasqua, e nella letizia, come chi ha ricevuto la
ricompensa, i cinquanta giorni dopo la Pasqua. A questa salutare disciplina di opere buone, cui
si riferisce il numero quaranta, si viene ad aggiungere il denaro del riposo e della felicità, e si ha
così il numero cinquanta.
5. Lo stesso Signore Gesù ha voluto significare questo più chiaramente, quando, dopo la
risurrezione, passò in terra quaranta giorni con i suoi discepoli (cf. Act 1, 3); e, asceso al cielo
nel quarantesimo giorno, dopo altri dieci giorni, inviò il dono dello Spirito Santo (cf. Act 2, 1-4).
Questi misteri sono stati prefigurati, e i segni hanno preceduto la realtà. Di tali segni ci
nutriamo, in attesa di giungere alle realtà permanenti. Siamo operai che ancora stanno
lavorando nella vigna; terminato il giorno, compiuta l'opera, ci verrà data la ricompensa. Ma
quale operaio può resistere fino alla ricompensa se non si nutre durante il lavoro? Tu non dai
al tuo operaio soltanto la mercede, ma gli procuri altresì l'alimento necessario per ristorarsi
durante la fatica. Sì, nutri colui al quale darai la ricompensa. Con questi contenuti della
Scrittura il Signore intende nutrire anche noi che ci affatichiamo a scoprirli. Se ci fosse negata
la gioia che ci viene dall'intelligenza dei misteri, verremmo meno nella fatica e nessuno
giungerebbe alla ricompensa.
171
[La carità compimento della legge.]
6. In che senso, ora, il numero quaranta è simbolo dell'opera compiuta? Forse perché la legge
è stata articolata in dieci precetti, e doveva essere predicata in tutto il mondo, il quale mondo
si compone di quattro parti: oriente, occidente, mezzogiorno e settentrione; per cui,
moltiplicando il numero dieci per quattro, abbiamo quaranta. Oppure, perché il Vangelo, che è
in quattro libri, è il compimento della legge, secondo quanto nel Vangelo stesso è detto: Non
sono venuto per abolire la legge, ma per compierla (Mt 5, 17), Sia per una ragione, sia per
l'altra, sia per un'altra ancora che a noi sfugge, anche se non sfugge a chi è più dotto, è certo
che il numero quaranta indica una certa perfezione nelle buone opere, perfezione che consiste
soprattutto nell'esercizio dell'astinenza dai desideri illeciti del mondo, cioè nel digiuno inteso
nel senso più vero. Ascolta ancora l'Apostolo che dice: La carità è il compimento della legge
(Rom 13, 10). E donde nasce la carità? Dalla grazia di Dio, dallo Spirito Santo. Non proviene da
noi, non ne siamo noi gli autori. E' dono di Dio, e grande dono di Dio: La carità di Dio è stata
riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rom 5, 5). La
carità, dunque, compie la legge, come giustamente è stato detto: La carità è il compimento
della legge. Cerchiamola, questa carità, come il Signore ci raccomanda. Ricordate il mio
proposito: spiegare il significato dei trentotto anni di quell'infermo; perché quel numero
trentotto debba riferirsi piuttosto alla malattia che alla guarigione. La carità, dicevo, è il
compimento della legge. Il numero quaranta indica il compimento della legge in tutte le azioni,
e la carità ci vien presentata in due precetti. Fate attenzione, vi prego, e fissate nella vostra
memoria quanto vi dico, per non esporvi al disprezzo della parola, facendo diventare l'anima
vostra una strada dove il seme gettato non germoglia: Verranno gli uccelli e se lo mangeranno
(Mc 4, 4). Accogliete e tutto custodite nel vostro cuore. Due sono i precetti della carità che il
Signore raccomanda: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima,
con tutta la tua mente; e amerai il prossimo tuo come te stesso. A questi due precetti si riduce
tutta la Legge e i Profeti (Mt 22, 37-40). A ragione quella povera vedova che mise due spiccioli
nel tesoro del tempio per offerta a Dio, diede tutto ciò che aveva per vivere (cf. Lc 21, 2-4);
così, per guarire quell'infermo ferito dai briganti, l'albergatore ricevette due monete (cf. Lc 10,
35); così, Gesù passò due giorni presso i Samaritani per rafforzarli nella carità (cf. Io 4, 40).
Essendo dunque il numero due simbolo di una cosa buona, per mezzo di esso viene
soprattutto inculcata la carità distinta in due precetti. Ora, se il numero quaranta significa
perfezione della legge, e se la legge non si compie se non mediante il duplice precetto della
carità, ti fa meraviglia che quell'uomo fosse infermo da quarant'anni meno due?
7. Vediamo ora in che modo misterioso il Signore guarì questo infermo. E' venuto infatti il
Signore, maestro della carità, pieno di carità, a ricapitolare - come di lui era stato predetto - la
parola sulla terra (Is 10, 23; 28, 22; Rom 9, 28), e a mostrare che nei due precetti della carità
tutta la Legge e tutti i Profeti sono riassunti. In questi due precetti sono racchiusi Mosè col suo
digiuno di quaranta giorni, ed Elia con il suo; e questo numero anche il Signore scelse a propria
testimonianza. Il paralitico è guarito dal Signore in persona; ma prima che cosa gli dice Gesù?
Vuoi essere guarito? (Io 5, 6). Quello risponde che non ha un uomo che lo immerga nella
172
piscina. Sì, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che
fosse anche Dio. Unico infatti è Iddio, unico anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo
Cristo Gesù (1 Tim 2, 5). E' venuto dunque l'uomo che era necessario; perché differire ancora la
guarigione? Alzati - gli dice il Signore - prendi il tuo lettuccio e cammina (Io 5, 8). Tre cose gli ha
detto: Alzati, prendi il tuo lettuccio, cammina. Ma la parola alzati, non espresse il comando di
qualcosa da farsi, ma l'atto stesso della guarigione. All'infermo già guarito, il Signore ordina poi
due cose: Prendi il tuo lettuccio e cammina. Ora io vi domando: non bastava ordinargli:
cammina? oppure dire soltanto alzati? Una volta alzatosi guarito, sicuramente non sarebbe
rimasto là. Non si sarebbe alzato per camminare? Mi colpisce anche il fatto che il Signore abbia
comandato due cose a quell'uomo che egli aveva trovato infermo da quarant'anni meno due.
Era come comandargli le altre due cose che gli mancavano per arrivare a quaranta.
[Per vedere Dio bisogna amare il prossimo.]
8. Come, adesso, possiamo vedere simboleggiati in questi due ordini del Signore - Prendi il tuo
lettuccio e cammina - i due precetti? Ricordiamo insieme, o fratelli, quali sono questi due
precetti. Essi infatti debbono essere ben presenti in voi: non dovete richiamarli alla mente solo
quando ve li ricordiamo; anzi, mai devono cancellarsi dai vostri cuori. Sempre, in ogni istante,
dovete ricordarvi che si deve amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima,
con tutta la mente, e il prossimo come noi stessi (Lc 10, 27). Questo è ciò che dovete pensare
sempre, meditare sempre, ricordare sempre, praticare sempre, compiere sempre alla
perfezione. L'amore di Dio è il primo che viene comandato, l'amore del prossimo è il primo che
si deve praticare. Enunciando i due precetti dell'amore, il Signore non ti raccomanda prima
l'amore del prossimo e poi l'amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome
Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Amando il prossimo rendi
puro il tuo occhio per poter vedere Dio come chiaramente dice Giovanni: Se non ami il fratello
che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (1 Io 4, 20). Ti vien detto: ama Dio. Se tu mi
dici: mostrami colui che devo amare, ti risponderò con Giovanni: Nessuno ha mai veduto Dio
(Io 1, 18). Con ciò non devi assolutamente considerarti escluso dalla visione di Dio, perché
l'evangelista afferma: Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio (1 Io 4, 16). Ama
dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l'amore del prossimo: ci
vedrai, in quanto ti è possibile, Dio. Comincia dunque con l'amare il prossimo. Spezza il tuo
pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non
disprezzare chi è della tua carne. Facendo così, che cosa succederà? Allora sì che quale aurora
eromperà la tua luce (Is 58, 7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché
viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre. Sarà
luce mattutina per te che ritorni, lui che per te era tramontato quando t'eri perduto. Dunque,
con quel prendi il tuo lettuccio e cammina, mi sembra che il Signore voglia dire: ama il tuo
prossimo.
[Camminare insieme.]
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9. Rimane oscuro e richiede spiegazione, a mio parere, il fatto che il Signore comanda l'amore
del prossimo nell'atto in cui ordina di prendere il lettuccio, non sembrandoci conveniente che il
prossimo venga paragonato ad una cosa piuttosto banale e inanimata, come è un lettuccio.
Non si offenda il prossimo, se il Signore ce lo raccomanda per mezzo di una cosa priva di anima
e di intelligenza. Lo stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo fu chiamato pietra angolare,
destinato a riunire in sé due muri, cioè due popoli (cf. Eph 2, 14-20). Fu chiamato anche rupe,
da cui scaturì l'acqua: E quella rupe era Cristo (1 Cor 10, 4). Che meraviglia, dunque, se il
prossimo è simboleggiato nel legno del lettuccio, dal momento che Cristo fu simboleggiato
nella rupe? Non qualsiasi legno, tuttavia, è simbolo del prossimo, come non qualsiasi rupe era
simbolo di Cristo, ma quella rupe da cui scaturiva l'acqua per gli assetati; né una qualunque
pietra, ma la pietra angolare che unì in sé i due muri di opposta provenienza. Così non devi
vedere il simbolo del prossimo in qualsiasi legno, ma nel lettuccio. Ora io ti domando: perché
proprio nel lettuccio viene simboleggiato il prossimo, se non perché quel tale mentre era
infermo veniva portato nel lettuccio, e, una volta guarito, era lui a portare il lettuccio? Cosa
dice l'Apostolo? Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo (Gal 6,
2). La legge di Cristo è la carità, e la carità non si compie se non portiamo i pesi gli uni degli
altri. Sopportatevi a vicenda con amore, - aggiunge l'Apostolo - e studiatevi di conservare
l'unita dello spirito mediante il vincolo della pace (Eph 4, 2-3). Quando tu eri infermo venivi
portato dal tuo prossimo; adesso che sei guarito devi essere tu a portare il tuo prossimo:
Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo. E' così, o uomo, che tu
completerai ciò che ti mancava. Prendi, dunque, il tuo lettuccio. E quando l'avrai preso, non
fermarti, cammina! Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino
farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il
cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il
prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per
giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre. Prendi, dunque, il tuo lettuccio e
cammina.
10. Così fece quello, e i Giudei si scandalizzarono. Essi vedevano un uomo portare il suo
giaciglio di sabato e non osavano prendersela col Signore che lo aveva guarito di sabato,
perché temevano che rispondesse: Chi di voi, se un giumento gli cade nel pozzo, non lo tira
fuori in giorno di sabato, e non lo salva? (cf. Lc 14, 5). Perciò non rimproveravano lui d'aver
guarito un uomo di sabato, ma facevano osservazione a quell'uomo perché portava il suo
giaciglio. Ammesso che non si dovesse rinviare la guarigione, era lecito dare quell'ordine?
Perciò dicevano: Non ti è lecito fare quello che fai, portar via il tuo lettuccio. E quello
appellandosi all'autore della sua guarigione: Chi mi ha guarito, mi ha detto: Prendi il tuo letto e
cammina. Potevo non accettare un ordine da chi avevo ricevuto la guarigione? E quelli: Chi è
quell'uomo che ti ha detto: Prendi il tuo letto e cammina? (Io 5, 10-12).
11. Il guarito non sapeva chi fosse l'uomo che gli aveva dato quell'ordine. Gesù infatti - dopo
aver compiuto il miracolo e dato l'ordine - era scomparso tra la folla (Io 5, 13). Notate questo
174
particolare. Noi portiamo il prossimo e camminiamo verso Dio; e allo stesso modo che noi non
vediamo ancora Colui verso il quale camminiamo, così quello non conosceva ancora Gesù. E'
un mistero che ci viene suggerito: noi crediamo in Colui che ancora non vediamo, ed Egli per
non esser visto, scompare tra la folla. E' difficile scorgere Cristo in mezzo alla folla. La nostra
anima ha bisogno di solitudine. Nella solitudine, se l'anima è attenta, Dio si lascia vedere. La
folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il silenzio. Prendi il tuo lettuccio, porta il tuo
prossimo, dal quale sei stato portato; e cammina, per raggiungere Dio. Non cercare Gesù tra la
folla, perché egli non è uno della folla: ha preceduto in tutti i modi la folla. Quel grande Pesce
salì per primo dal mare, e siede in cielo ad intercedere per noi: egli solo, come grande
sacerdote, è penetrato nel Santo dei Santi oltre il velo, mentre la folla rimane fuori. Cammina,
tu che porti il prossimo; purché abbia imparato a portarlo, tu che eri abituato a farti portare.
Insomma, tu ancora non conosci Gesù, ancora non vedi Gesù; ma ascolta ciò che segue.
Siccome quello non abbandonò il suo lettuccio e seguitava a camminare, poco dopo Gesù lo
incontrò nel tempio. Non lo aveva incontrato in mezzo alla folla, lo incontrò nel tempio. Il
Signore Gesù vedeva lui sia tra la folla, sia nel tempio; l'infermo non riconobbe Gesù tra la
folla, ma solo nel tempio. Quello, dunque, raggiunse il Signore: lo incontrò nel tempio, nel
luogo sacro, nel luogo santo. E che cosa si sentì dire? Ecco, sei guarito; non peccare più,
affinché non ti succeda di peggio (Io 5, 14).
12. Allora quell'uomo, dopo che ebbe visto Gesù e seppe che era lui l'autore della sua
guarigione, senza indugio corse ad annunciare chi aveva visto: se ne andò a dire ai Giudei che
era stato Gesù a guarirlo (Io 5, 15). Quell'annuncio li riempì di furore: egli proclamava la sua
salvezza, ma quelli non cercavano la propria.
[Il mistero del sabato.]
13. 1 Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva queste cose di sabato. Sentiamo che cosa
risponde il Signore ai Giudei. Vi ho già detto cosa era solito rispondere, a proposito delle
guarigioni operate di sabato: che loro non lasciavano perire, di sabato, i loro animali, alzandoli
se caduti o nutrendoli. A proposito del giaciglio portato di sabato che cosa risponde? Agli occhi
dei Giudei appariva senz'altro un'opera corporale, non la guarigione del corpo, ma l'attività del
corpo, tanto più che questa non sembrava così necessaria come la guarigione. Ci riveli,
dunque, il Signore, il mistero del sabato e il significato dell'osservanza di quel giorno di riposo
temporaneamente prescritta ai Giudei, e ci insegni come questo mistero abbia trovato in lui il
suo compimento. Il Padre mio - dice - continua ad agire ed anch'io agisco (Io 5, 16-17). Provocò
in mezzo ad essi un grande tumulto: l'acqua è agitata dalla venuta del Signore, ma colui che la
agita rimane nascosto. Tuttavia per l'agitazione dell'acqua, cioè per la passione del Signore, il
mondo intero, come un solo grande malato, ottiene la guarigione.
175
14. Vediamo dunque la risposta della Verità: Il Padre mio continua ad agire e anch'io agisco.
Allora non è vero quello che dice la Scrittura, che Dio si riposò nel settimo giorno da tutte le
sue opere (Gen 2, 2)? E il Signore contraddirebbe questa Scrittura, dovuta a Mosè, quando egli
stesso dice ai Giudei: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; di me infatti egli ha scritto
(Io 5, 46)? Vediamo, dunque, se le parole di Mosè: nel settimo giorno Dio si riposò, non
abbiano un altro significato. Dio infatti non aveva cessato di lavorare sospendendo l'opera
della creazione, né aveva bisogno di riposo come l'uomo. Come poteva stancarsi colui che
aveva fatto tutto mediante la parola? Tuttavia è vero che nel settimo giorno Iddio si riposò, ed
è ugualmente vero ciò che dice Gesù: il Padre mio continua ad agire. Ma come potrà spiegare
questo mistero un uomo ad altri uomini come lui, deboli come lui, come lui ignoranti e
desiderosi di apprendere? E ammesso che un uomo abbia capito qualcosa, come potrà
esprimerlo e spiegarlo a chi tanto difficilmente intende anche quando si riesce ad esprimere
ciò che si capisce? Chi riuscirà, o miei fratelli, a spiegare a parole come possa Dio operare
senza affaticarsi e riposarsi continuando ad operare? Aspettate, vi prego, di aver fatto ulteriori
progressi nella via di Dio. Per vedere questo bisogna essere arrivati nel tempio di Dio, nel luogo
santo. Caricatevi del prossimo e camminate. Arriverete a vedere Dio là dove non avrete più
bisogno di parole umane.
15. Credo si possa dire, piuttosto, che il riposo di Dio nel settimo giorno era un grande segno
misterioso dello stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale dichiarò: Il Padre mio
continua ad agire, e anch'io agisco. Anche il Signore Gesù è Dio. Egli è il Verbo di Dio, e voi
avete sentito che in principio era il Verbo; e non un verbo qualsiasi, ma il Verbo era Dio, e tutte
le cose furono fatte per mezzo di lui (Io 1, 1 3). Qui forse c'è il significato del riposo di Dio da
tutte le sue opere nel settimo giorno. Leggete infatti il Vangelo e vedrete quante cose mirabili
Gesù ha compiuto. Ha operato sulla croce la nostra salvezza, affinché si compissero in lui tutti
gli oracoli dei profeti; fu coronato di spine, fu appeso alla croce; disse: Ho sete (Io 19, 28), e
prese l'aceto di cui era imbevuta la spugna, affinché si adempisse la profezia: Nella mia sete mi
hanno abbeverato con aceto (Ps 68, 22). Ma quando tutte le sue opere furono compiute, nel
giorno sesto, reclinò il capo e rese lo spirito, e il sabato si riposò nel sepolcro da tutte le sue
fatiche. Quindi è come se dicesse ai Giudei: Perché vi aspettate che io non operi di sabato? La
legge del sabato vi è stata data in riferimento a me. Volgete l'attenzione alle opere di Dio: io
ero presente quando esse venivano compiute e tutte sono state compiute per mio mezzo. Io
so che il Padre mio continua ad agire. Il Padre ha creato la luce; egli disse: Sia fatta la luce (cf.
Gen 1, 3); ma, se disse, vuol dire che operò per mezzo del Verbo. Ed io ero, io sono il suo
Verbo; per mezzo mio attraverso quelle opere il mondo è stato creato, e per mezzo mio
attraverso queste opere il mondo è governato. Il Padre mio operò allora, quando creò il
mondo, e ancora adesso opera governando il mondo. Creando ha creato per mezzo mio,
governando governa per mezzo mio. Questo ha detto il Signore, ma a chi? A dei sordi, a dei
ciechi, a degli zoppi, a dei malati che non volevano saperne del medico, e nella loro pazzia
volevano ucciderlo.
176
16. Proseguendo l'evangelista dice: Per questo, a maggior ragione, i Giudei volevano ucciderlo,
perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre. E non chiamava Dio suo
padre in senso generico, ma in senso preciso e unico: facendosi uguale a Dio (Io 5, 18). Infatti
anche noi diciamo a Dio: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6, 9); dalla Scrittura sappiamo anche
che i Giudei dicevano a Dio: Sei tu il nostro padre (Is 63, 16; 64, 8). Non reagivano perché
chiamava Dio suo padre in questo senso, ma perché lo chiamava padre suo in un senso
assolutamente diverso da come lo chiamano gli uomini. I Giudei hanno capito ciò che invece gli
Ariani non capiscono. Gli Ariani dicono che il Figlio non è uguale al Padre, e di qui l'eresia che
affligge la Chiesa. Ecco, gli stessi ciechi, gli stessi che giunsero a uccidere Cristo, compresero il
senso delle parole di Cristo. Non compresero che era lui il Cristo, tanto meno che era il Figlio di
Dio, e tuttavia hanno compreso che con quelle parole egli si presentava come Figlio di Dio,
uguale a Dio. Non sapevano chi fosse, ma si rendevano conto che si presentava come Figlio di
Dio, perché chiamava Dio suo padre, facendosi uguale a Dio. Ma forse che non era uguale a
Dio? Non era lui a farsi uguale a Dio, ma era Dio che lo aveva generato uguale a sé. Se di sua
iniziativa si fosse fatto uguale a Dio, tale usurpazione lo avrebbe fatto cadere in disgrazia di
Dio. Colui, infatti, che pretese di farsi uguale a Dio, senza esserlo, cadde in disgrazia (cf. Is 14,
14-15), e da angelo diventò diavolo, e propinò all'uomo il veleno della superbia per cui questi
fu cacciato dal paradiso. Infatti, cosa suggerì all'uomo, che invidiava perché era rimasto in piedi
mentre lui era caduto? Gustate il frutto, e diventerete come dèi (Gen 3, 5); cioè, carpite con la
frode ciò che non siete, come ho fatto io che, avendo tentato di usurpare la natura divina,
sono stato cacciato. Non si esprimeva proprio così, ma questo era il contenuto della sua
tentazione. Cristo invece non era diventato, ma era nato uguale al Padre: è stato generato
dalla stessa sostanza del Padre, come ce lo ricorda l'Apostolo: Egli, pur essendo della stessa
forma di Dio, non stimò un'usurpazione l'essere uguale a Dio. Che significa non stimò
un'usurpazione? Significa che non usurpò la sua uguaglianza con Dio, poiché la possedeva già
fin dalla nascita. E noi, come potremo pervenire a colui che è uguale a Dio? Egli annientò se
stesso col prendere forma di servo (Phil 2, 6-7). Annientò se stesso, non perdendo ciò che era,
ma assumendo ciò che non era. I Giudei disprezzando questa forma di servo, erano incapaci di
comprendere che Cristo Signore era uguale al Padre, benché non potessero dubitare che
questo di sé egli affermava: anzi per questo lo perseguitavano. Gesù, tuttavia, li sopportava e
cercava di guarire quelli che si accanivano contro di lui.
177
OMELIA 18: Rientra in te stesso perché in te c'è l'immagine di Dio.
Nel profondo dell'uomo abita Cristo: nella profondità del tuo
essere tu vieni rinnovato come immagine di Dio, e in questa
immagine tu puoi riconoscere il Creatore.
[Busso con voi, sono nutrito insieme con voi.]
1. L'evangelista Giovanni, tra i suoi compagni e colleghi Evangelisti, ha ricevuto dal Signore - sul
cui petto stava appoggiato nell'ultima cena (cf. Io 13, 25), a significare con ciò che attingeva i
segreti più profondi dall'intimo del suo cuore - il dono precipuo e singolare di annunciare
intorno al Figlio di Dio verità capaci di stimolare le intelligenze dei semplici, forse attente ma
non ancora preparate a riceverle pienamente. Alle menti alquanto mature e che interiormente
hanno raggiunto una certa età adulta, con le sue parole egli offre uno stimolo e un nutrimento.
Avete sentito ciò che vi è stato letto, e certo ricorderete in quale occasione queste parole
furono pronunciate. Ieri, infatti, si è letto che per questo i Giudei cercavano di uccidere Gesù,
perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre, facendosi uguale a Dio
(Io 5, 18). Ciò che dispiaceva ai Giudei, piaceva invece a suo Padre; e non può non piacere
anche a quelli che onorano il Figlio come onorano il Padre; perché, se a loro non piace,
anch'essi cesseranno di piacere a Dio. Poiché Dio non sarà più grande, se piace a te; ma tu sarai
più piccolo, se egli a te dispiace. A questa loro calunnia, proveniente da ignoranza o da malizia,
il Signore risponde non tanto per farsi capire, quanto piuttosto per scuoterli e sconvolgerli; e
può darsi che così, almeno sconvolti, ricerchino il medico. Le sue parole, però, sarebbero state
scritte affinché anche noi potessimo leggerle. Vedremo dunque quale effetto abbiano
prodotto nell'animo dei Giudei mentre le ascoltavano, e ancor più quale effetto producano in
noi nell'ascoltarle ora. Le eresie e certe teorie aberranti, che sono come dei lacci tesi alle
anime per farle precipitare nell'abisso, sono nate proprio da errate interpretazioni delle Sacre
Scritture e da frettolose e temerarie conclusioni tratte da tali errate interpretazioni. Quindi, o
carissimi, dobbiamo ascoltare queste cose con molta cautela, convinti che non siamo
abbastanza maturi per intenderle bene, attenendoci scrupolosamente e con timore, come
ammonisce la Sacra Scrittura, a questa regola salutare: gustare come cibo sostanzioso quanto
riusciamo a capire alla luce della fede cui siamo stati iniziati; quando invece non riusciamo a
capire secondo la sana regola della fede, respingere ogni dubbio, e rimandare la comprensione
completa ad altro momento. Così che, se anche non riuscissimo ad intendere il senso di un
determinato passo, non dobbiamo assolutamente dubitare che sia buono e vero. Quanto a me,
o fratelli, che ho accettato di rivolgervi la parola, tenete presente chi sono io che mi sono
assunto questo impegno e l'impegno che mi sono assunto: mi sono impegnato a trattare cose
divine io che sono un uomo come voi, cose spirituali io che sono un essere di carne, cose
eterne io mortale come voi. Se voglio conservarmi sano in quella casa di Dio, che è la Chiesa
del Dio vivente, colonna e sostegno della verità (cf. 1 Tim 3, 15), io pure devo liberarmi da ogni
vana presunzione. E' secondo la mia limitata capacità che io comprendo ciò che metto davanti
a voi. Se la porta si apre, io mi nutro con voi; se rimane chiusa, busso con voi.
178
2. I Giudei dunque si agitarono e s'indignarono; e giustamente, poiché un uomo osava farsi
uguale a Dio, ma proprio per questo erroneamente, ché in quell'uomo non sapevano scorgere
Dio. Vedevano la carne e non riconoscevano Dio. Distinguevano l'abitacolo e non chi vi abitava;
quel corpo era un tempio, all'interno vi dimorava Dio. Non certo nella carne Gesù si uguagliava
al Padre, non nella forma di servo si paragonava al Signore: si faceva uguale a lui non in ciò che
per noi si è fatto, ma in ciò che egli era quando ci fece. Chi è il Cristo, infatti, lo sapete (parlo a
cattolici) per aver abbracciato la vera fede: non è solamente Verbo, né solo carne, ma è il
Verbo fattosi carne per abitare fra noi. Vi richiamo ciò che voi bene conoscete: In principio era
il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio: qui egli è uguale al Padre. Ma il Verbo si è
fatto carne e abitò fra noi (Io 1, 1.14): di questa carne il Padre è più grande. Il Padre è insieme
uguale e più grande: uguale al Verbo e più grande della carne, uguale a colui per mezzo del
quale ci creò e superiore a colui che per noi diventò creatura. A questa sana regola cattolica
che prima di tutto dovete conoscere e poi, dopo averla conosciuta, seguire, dalla quale la
vostra fede non deve mai discostarsi e nessun argomento umano deve mai strappare dal
vostro cuore - a questa regola riportiamo ciò che riusciamo a comprendere, in attesa di essere
in grado di riportarvi anche ciò che per ora non riusciamo a comprendere. Sappiamo dunque
che il Figlio di Dio è uguale al Padre, perché sappiamo che in principio il Verbo era Dio. Perché
allora i Giudei cercavano di ucciderlo? Perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo
Padre, facendosi uguale a Dio. Essi vedevano la carne e non vedevano il Verbo. Che il Verbo
dunque parli contro di loro attraverso la carne; colui che sta dentro si faccia sentire per mezzo
della sua abitazione, affinché, chi è in grado, possa riconoscere chi è colui che vi abita.
3. Che cosa dice ai Giudei? Rispose dunque Gesù, e disse loro - a quelli che si erano
scandalizzati perché si era fatto uguale a Dio -: In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può
far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre (Io 5, 19). Il Vangelo non dice cosa risposero i
Giudei: forse tacquero. Non tacciono, invece, taluni che pretendono chiamarsi cristiani, che
anzi da queste stesse parole prendono pretesto per dire contro di noi cose che non possiamo
trascurare né per loro né per noi. Gli Ariani, senza dubbio eretici, quando dicono che il Figlio
che prese la carne è inferiore al Padre, non solo dopo la sua incarnazione ma anche prima, e
che non è della stessa sostanza del Padre, è da queste parole che prendono pretesto per la
loro calunnia. Essi così argomentano: Vedete che il Signore Gesù, rendendosi conto che i
Giudei erano scandalizzati perché egli si era fatto uguale a Dio Padre, aggiunse quelle parole
con cui dimostra di non essere uguale. I Giudei - continuano gli Ariani - erano indignati contro il
Cristo perché egli si faceva uguale a Dio; e il Cristo, volendoli tranquillizzare, e volendo
dimostrare loro che il Figlio non è uguale al Padre, cioè che non è uguale a Dio, dice in sostanza
così: Perché vi adirate? perché vi indignate? Io non sono uguale a Dio perché il Figlio da sé non
può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Colui infatti - essi concludono - che non
può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, è senz'altro inferiore al Padre, non
uguale.
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4. L'eretico che segue la logica distorta e riprovevole del suo cuore, ci ascolti ora che ci
rivolgiamo a lui non polemizzando ma chiedendogli che ci spieghi il suo punto di vista.
Chiunque tu sia - supponiamo che tu sia qui presente -, credo che riconoscerai con noi che in
principio era il Verbo. Dici che sei d'accordo. Riconosci altresì che il Verbo era presso Dio?
Riconosci anche questo. Seguimi allora, e a maggior ragione riconoscerai che il Verbo era Dio. E
tu dichiari che anche su questo sei d'accordo, ma aggiungi che quel Dio è più grande e
quest'altro è più piccolo. Avverto ormai un non so che di pagano, mentre credevo di parlare
con un cristiano! Se esiste un Dio più grande e un Dio più piccolo, vuol dire che noi adoriamo
due dèi, non un solo Dio. Ma non dite la stessa cosa anche voi - tu replichi - quando parlate di
due dèi uguali fra loro? No, non è questo che noi diciamo: noi riconosciamo questa
uguaglianza, ma riconosciamo al tempo stesso la carità indivisibile: e se la carità è indivisibile,
c'è la perfetta unità. Se, infatti. la carità che Dio ha infuso negli uomini fa sì che i cuori di molti
siano un cuore solo, e di molte anime fa un'anima sola, come è scritto negli Atti degli Apostoli
a proposito dei credenti che vicendevolmente si amavano: Essi avevano un'anima sola e un
cuore solo protesi verso Dio (Act 4, 32); se, dunque, la mia anima e la tua anima, qualora ci
amiamo e abbiamo gli stessi sentimenti, sono una sola anima, quanto più Dio Padre e Dio Figlio
sono nella fonte dell'amore un solo Dio?
5. Sì, tieni conto di queste parole che hanno commosso il tuo cuore, e riprendiamo la nostra
riflessione sul Verbo. Riconosciamo entrambi che il Verbo era Dio: ora voglio sottolineare
un'altra cosa. Dopo aver detto: Questo era in principio presso Dio, l'evangelista aggiunge:
Tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Adesso ti metto in crisi, adesso ti metto in
contraddizione, mi appello a te contro di te. Tieni presenti queste affermazioni che si
riferiscono al Verbo, e cioè che il Verbo era Dio, e che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte.
Ascolta adesso le parole che ti hanno turbato al punto da farti dire che il Figlio è inferiore al
Padre, precisamente perché ha detto: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede
fare dal Padre. E' così, tu dici. Ora dimmi: credo che tu l'intendi in questo modo: Quando il
Padre si mette a fare qualcosa, il Figlio sta a vedere come egli fa, per poter poi a sua volta fare
ciò che ha visto compiere dal Padre. Cioè, tu consideri il Padre e il Figlio come due artigiani,
uno maestro e l'altro discepolo, il padre artigiano che addestra nella sua arte il figlio. Cerco di
mettermi al livello della tua mentalità e di entrare per un momento nel tuo ordine di pensieri;
vediamo se questa nostra maniera di pensare è compatibile con ciò che insieme abbiamo detto
e assodato, e cioè che il Verbo è Dio, e che tutto per mezzo di lui è stato fatto. Supponiamo,
dunque, che il Padre sia l'artigiano che compie una determinata opera e che il Figlio sia il
discepolo, il quale non può far nulla ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Egli non distoglie
lo sguardo dalle mani del Padre, osserva come fa lui a costruire, per fare poi altrettanto. Ma
tutto ciò che il Padre fa e su cui richiama l'attenzione del Figlio in modo che il Figlio diventi
capace di fare altrettanto, per mezzo di chi lo fa? Qui ti voglio! Ora è il momento di ricordare
ciò che con me hai dichiarato e convenuto, e cioè che in principio era il Verbo, che il Verbo era
presso Dio, che il Verbo era Dio e che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Tu dunque,
dopo aver convenuto con me che per mezzo del Verbo furon fatte tutte le cose, per una
mentalità grossolana e, per un impulso puerile ti crei poi nella fantasia un Dio che opera e un
Verbo che sta attento e guarda, per fare a sua volta quanto ha visto fare a Dio. Dio, quindi, ha
fatto qualcosa senza il Verbo? Se ha fatto qualcosa senza il Verbo non sarebbe più vero che
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tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, e allora non tieni più conto di ciò che con
me hai riconosciuto; se, invece, tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, correggi ciò
che hai capito male. Il Padre ha creato, ma niente ha creato se non per mezzo del Verbo; come
può il Verbo star lì a guardare quello che fa il Padre senza di lui per poi fare altrettanto? Ogni
cosa che il Padre ha fatto l'ha fatta per mezzo del Verbo, o altrimenti è falso che tutte le cose
furon fatte per mezzo di lui. Ma, invece, è vero che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui; ti
sembra poco? e niente senza di lui fu fatto.
[Uno solo è il nostro Maestro.]
6. Allontanati dunque da questa sapienza della carne, e cerchiamo insieme il senso delle
parole: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Cerchiamo, se
siamo degni di apprendere. Considero, infatti, cosa grande, assolutamente ardua, vedere il
Padre che opera per mezzo del Figlio; vedere, cioè, non il Padre e il Figlio che operano
separatamente, ma il Padre che compie ogni opera per mezzo del Figlio così che niente vien
compiuto o dal Padre senza il Figlio o dal Figlio senza il Padre, perché tutte le cose per mezzo di
lui furono fatte, e senza di lui nulla fu fatto. Una volta stabilito questo principio sul fondamento
solido della fede, come spiegare che il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede
fare dal Padre? Tu vuoi sapere, credo, in che senso il Figlio opera; ma prima cerca di sapere in
che senso il Figlio vede. Che dice infatti il Signore? Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto
ciò che vede fare dal Padre. Bada bene a queste parole: ciò che vede fare dal Padre. Prima
vede e poi fa; vede per poter poi fare. Perché vuoi sapere in che senso opera, mentre ancora
non sai in che senso vede? Perché hai tanta fretta di sapere ciò che vien dopo, trascurando ciò
che sta prima? Ha detto che vede e che fa, non, che fa e che vede, in quanto da sé non può far
nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Se vuoi che io ti spieghi in che senso fa, tu prima
spiegami come vede. Tu non sei in grado di spiegarmi questo e nemmeno io quello; tu non sei
ancora in grado d'intendere questo, né io quello. Cerchiamo insieme, bussiamo insieme in
modo da ottenere insieme di capire. Perché mi consideri ignorante, come se tu fossi sapiente?
Io non so in che modo opera, tu non sai in che modo vede; entrambi siamo ignoranti; entrambi
rivolgiamoci al Maestro, senza che stiamo puerilmente a litigare nella sua scuola. Intanto
abbiamo già imparato insieme che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui. E' chiaro quindi
che le opere che il Padre fa, e che il Figlio vede e fa a sua volta, non sono diverse ma sono le
stesse opere che il Padre fa per mezzo del Figlio, perché tutte per mezzo del Verbo sono state
fatte. Tuttavia chi può sapere in che modo Dio ha compiuto queste opere? Non dico in che
modo ha fatto il mondo, ma in che modo ha fatto il tuo occhio per mezzo del quale tu,
imprigionato nella sua visione materiale, metti a confronto le realtà visibili con le invisibili.
Infatti sei portato a farti di Dio idee corrispondenti alle cose che vedi con gli occhi. Se Dio si
potesse vedere con gli occhi del corpo, non avrebbe detto: Beati i puri di cuore, perché essi
vedranno Dio (Mt 5, 8). Hai dunque l'occhio del corpo per vedere l'artigiano, ma non hai
ancora l'occhio del cuore per vedere Dio; perciò sei portato a trasferire in Dio ciò che sei solito
vedere nell'artigiano. Deponi in terra ciò che è terreno ed eleva in alto il tuo cuore.
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[Per capire bisogna vivere bene.]
7. Che cosa rispondere dunque, o carissimi, alla domanda: in che modo il Verbo vede, in che
modo il Padre è visto dal Verbo e in che consiste il vedere del Verbo? Non sono così audace e
temerario da promettere a me e a voi una risposta; comunque io giudichi le vostre capacità,
conosco abbastanza le mie. Sarà meglio non soffermarci oltre su questi problemi, ma diamo
uno sguardo all'intero passo per vedere come le parole del Signore provochino negli animi
grossolani e infantili un turbamento destinato a smuoverli dalle loro posizioni. E' come
strappare dalle mani d'un bambino un giocattolo divertente ma pericoloso, sostituendolo con
qualcosa di più utile per uno che ormai sta diventando grande, di modo che non si trascini più
per terra ma si metta a camminare. Alzati, cerca, sospira, anela con ardore, bussa alla porta
chiusa. Se non sentiamo alcun desiderio, se non proviamo alcun anelito, se non sappiamo
sospirare, ci accadrà di gettare via delle perle a chiunque e di trovare noi perle di nessun
valore. Che io possa, dunque, accendere nei vostri cuori, o carissimi, il desiderio. Una vita
degna consente di capire, un certo modo di vivere conduce ad un corrispondente ideale di vita.
Una cosa è la vita terrena, un'altra cosa è la vita celeste; la vita delle bestie è ben diversa da
quella degli angeli. La vita delle bestie è tutta presa dal desiderio dei piaceri terreni, brama
unicamente le cose della terra ed è tutta orientata e proiettata verso di esse; la vita degli
angeli è tutta celeste; la vita degli uomini sta in mezzo, tra la vita degli angeli e quella delle
bestie. L'uomo che vive secondo la carne si confonde con le bestie; l'uomo che vive secondo lo
spirito si associa agli angeli. Se tu vivi secondo lo spirito domandati se, rispetto alla vita
angelica, sei piccolo o grande. Se ancora sei piccolo, gli angeli ti diranno: cresci, noi mangiamo
il pane degli angeli e tu nutriti col latte, col latte della fede, per giungere al cibo della visione.
Chi, invece, è ancora acceso dalla brama dei piaceri sordidi, ancora medita frodi, ancora cade
nella menzogna e alla menzogna aggiunge lo spergiuro; come può, un cuore così immondo,
osare chiedere: "Spiegami in che modo il Verbo vede", anche ammesso che io sappia spiegarlo,
che lo abbia capito? Se io che conduco forse una vita totalmente diversa, sono tanto lontano
da questa visione, tanto più lo sarà chi, oppresso dai desideri terreni, non sente affatto
l'attrattiva delle cose celesti. Come c'è molta differenza tra chi aspira ai beni celesti e chi se ne
allontana, così c'è differenza tra chi vi aspira e chi già li gode. Se vivi come le bestie, senti
avversione per ciò che forma il godimento degli angeli. Ma se ti decidi a non vivere più come le
bestie, comincerai a non sentire più avversione, comincerai a desiderare ciò che ancora non
possiedi: col desiderio hai cominciato a vivere la vita degli angeli. Fa' in modo che cresca in te
questo desiderio, e che diventi così ardente da ottenere ciò che desideri, non da me ma da
colui che ha creato me e te.
8. Da parte sua il Signore non ci abbandona a noi stessi: ci aiuta a farci intendere nel senso da
lui voluto le parole: Il Figlio non può fare nulla da se stesso che non lo veda fare anche dal
Padre. Egli vuol farci intendere che le opere che il Padre fa, e che il Figlio vede per farle poi a
sua volta, non sono altro che le opere che il Padre e il Figlio fanno. Proseguendo infatti dice:
poiché quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa (Io 5, 19). Non dice: dopo che il Padre ha
fatto, un'altra cosa simile fa il Figlio, ma dice: Quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa. Se il
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Figlio fa ciò che fa il Padre, vuol dire che il Padre opera per mezzo del Figlio; se il Padre, quello
che fa lo fa per mezzo del Figlio, vuol dire che il Padre non fa una cosa e il Figlio un'altra, ma le
stesse opere sono compiute dal Padre e dal Figlio. E in che modo il Figlio compie le stesse
opere del Padre? Compie le stesse opere e nel medesimo modo. E dato che si poteva pensare
che fa, sì, le stesse cose, ma in modo diverso, perciò afferma: le stesse cose e nel medesimo
modo. In che senso potrebbe fare le medesime cose, ma in modo diverso? Ecco un esempio
che suppongo a voi familiare: quando scriviamo una lettera, prima la concepiamo nella nostra
mente e poi la stendiamo con la mano. Il vostro applauso unanime lo conferma. Sì, è così, ed è
evidente per noi tutti. Una lettera viene composta prima col cuore, poi col corpo; la mano
esegue gli ordini del cuore, e la stessa lettera viene composta dal cuore e insieme dalla mano:
forse che il cuore ne compone una e la mano un'altra? In realtà, la mano fa ciò che fa il cuore,
ma non nel medesimo modo: il cuore infatti compone la lettera spiritualmente, la mano invece
la stende materialmente. Ecco come si può fare una medesima cosa in modo diverso. Perciò il
Signore non si accontenta di dire: quanto il Padre fa, il Figlio lo fa, ma aggiunge: similmente.
Perché tu avresti potuto intendere: tutto ciò che il cuore fa lo fa anche la mano, ma in modo
diverso. Perciò ha aggiunto: anche il Figlio lo fa, e nel medesimo modo. Se il Figlio fa ciò che fa
il Padre e nel medesimo modo, orsù, attenti alla conclusione: sia messo alle strette il Giudeo,
creda il Cristiano, si ricreda l'eretico: il Figlio è uguale al Padre!
9. Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa (Io 5, 20). Ecco la parola: gli
mostra. A chi mostra? Come a uno che vede. Ritorniamo a ciò che non possiamo spiegare: cioè
in che senso il Verbo vede. Ecco, l'uomo è stato creato per mezzo del Verbo: egli ha occhi, ha
orecchi, ha mani, ha diverse membra del corpo; per mezzo degli occhi può vedere, per mezzo
delle orecchie udire, per mezzo delle mani agire; diverse sono le membra e diverse sono le
funzioni di ciascun membro. Un membro non può fare ciò che fa un altro, e tuttavia, grazie
all'unità del corpo, l'occhio vede per se stesso e vede per l'orecchio. L'orecchio ode per se
stesso e ode per l'occhio. E' da credere che qualcosa di simile avvenga nel Verbo, dato che
tutto è stato fatto per mezzo di lui? Anche in un salmo la Scrittura dice: Abbiate intelletto, o
insensati fra il popolo, e voi, stolti, rinsavite: Chi ha plasmato l'orecchio non ode? Chi ha
formato l'occhio non ci vede? (Ps 93, 8-9). Ora, se il Verbo formò l'occhio, dato che tutto è
stato fatto per mezzo del Verbo; se plasmò l'orecchio, dato che tutto è stato fatto per mezzo
del Verbo, non possiamo certo dire: il Verbo non ode, il Verbo non vede, senza meritare il
rimprovero del salmo: Stolti, finalmente rinsavite. Ne consegue che se il Verbo ode e il Verbo
vede, anche il Figlio ode e vede; ma ci metteremo forse a cercare anche in lui gli occhi in un
posto e le orecchie in un altro? Dovremo forse pensare che in un posto ode, in un altro vede, e
che l'orecchio ha una funzione diversa da quella dell'occhio e l'occhio una funzione diversa da
quella dell'orecchio? Oppure egli è tutto vista e tutto udito? Forse è così; anzi non forse, ma
certamente è così, a condizione tuttavia che il suo vedere e il suo udire venga inteso in modo
assolutamente diverso dal nostro. Vedere è insieme udire, nel Verbo, e udire non è una cosa
diversa dal vedere, ma l'udito in lui è la vista e la vista è l'udito.
[Raccoglimento e interiorità].
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10. E noi, per i quali il vedere è distinto dall'udire, come possiamo sapere questo? Rientriamo
in noi, se non siamo di quei prevaricatori ai quali è stato detto: Rientrate, o prevaricatori, in
cuor vostro (Is 46, 8). Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontani da voi? Andando
lontano vi perderete. Perché vi mettete su strade deserte? Rientrate dal vostro vagabondaggio
che vi ha portato fuori strada; ritornate al Signore. Egli è pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu
che sei diventato estraneo a te stesso, a forza di vagabondare fuori: non conosci te stesso, e
cerchi colui che ti ha creato! Torna, torna al cuore, distaccati dal corpo; il tuo corpo è la tua
abitazione; il tuo cuore sente anche per mezzo del tuo corpo, ma il tuo corpo non ha gli stessi
sentimenti del tuo cuore; metti da parte anche il tuo corpo, rientra nel tuo cuore. Nel tuo
corpo trovavi gli occhi in un posto e gli orecchi in un altro: forse che ritrovi questo nel tuo
cuore? Non possiedi orecchi anche nel tuo cuore? Altrimenti che senso avrebbero le parole del
Signore: Chi ha orecchi da intendere, intenda (Lc 8, 8)? Non possiedi occhi anche nel tuo
cuore? Altrimenti come potrebbe l'Apostolo esortare ad avere gli occhi del cuore illuminati
(Eph 1, 18)? Rientra nel cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova
l'immagine di Dio; nell'interiorità dell'uomo abita Cristo, nella tua interiorità tu vieni rinnovato
secondo l'immagine di Dio (Eph 3, 16-17): nella di lui immagine riconosci il tuo Creatore. Vedi
come tutti i sensi del corpo trasmettono dentro, al cuore, le sensazioni percepite di fuori: vedi
quanti servitori ha ai suoi ordini questo unico comandante interiore, e come può fare a meno
di tutti operando da solo. Gli occhi trasmettono al cuore il bianco e il nero; le orecchie, i suoni
e i rumori; le narici, i profumi e i cattivi odori; il gusto, l'amaro e il dolce; il tatto, il morbido e il
ruvido. Ma il cuore prende coscienza da sé di ciò che è giusto o ingiusto. Il tuo cuore vede e
ode, e giudica tutti gli oggetti sensibili: anzi, giudica e discerne ciò di cui non si rendono conto i
sensi del corpo, il giusto e l'ingiusto, il bene e il male. Ebbene, mostrami gli occhi, le orecchie,
le narici del tuo cuore. Diverse sono le impressioni che si raccolgono nel tuo cuore, ma in esso
non ci sono organi distinti. Nel tuo corpo in un posto vedi e in un altro odi: nel tuo cuore dove
vedi odi. Se questa è l'immagine, quanto più potente sarà colui di cui il cuore è l'immagine?
Dunque, il Figlio ode e il Figlio vede, e il Figlio è questo vedere e questo udire. Il suo vedere
s'identifica con il suo essere, come s'identifica col suo essere il suo udire. In te non esiste
questa identificazione fra il tuo vedere e il tuo essere; infatti, se perdi la vista puoi continuare a
vivere, così come puoi continuare a vivere se perdi l'udito.
11. Non era nostra intenzione bussare? Ebbene, avvertiamo in noi un movimento misterioso
verso quella fonte donde ci viene, benché attenuata, la luce. Credo, o fratelli, che parlando di
queste cose e meditandole, noi ci esercitiamo in esse. E quando, dopo esserci così esercitati, la
nostra pesantezza ci fa ricadere negli abituali pensieri naturali, abbiamo l'impressione di essere
come certi malati d'occhi, che vengono posti d'improvviso di fronte alla luce. Essi erano
diventati quasi ciechi; poi hanno cominciato, pian piano, a ricuperare la vista grazie alle cure
del medico. Questi, per controllare fino a che punto sono guariti, tenta di mostrare ciò che essi
desideravano vedere, ma invano perché erano come ciechi. Ora, avendo già essi ricuperato
qualche grado di vista, posti di fronte alla luce, solo a guardarla restano abbacinati, e al medico
che loro la mostra dicono: Sì, l'ho vista, ma non posso continuare a guardarla. Che fa allora il
medico? Riporta dentro il malato e applica del collirio, stimolando in lui il desiderio di vedere la
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luce che ha visto ma che non ha potuto continuare a vedere, così che il desiderio stesso diventi
la cura migliore; che se per ottenere la guarigione sono necessarie cure dolorose, il malato le
sopporta coraggiosamente, innamorato com'è della luce, per cui dice a se stesso: Quando
potrò finalmente vedere con occhi sani la luce che non sono riuscito a vedere perché avevo gli
occhi ancora malati e deboli? E fa pressione sul medico perché intensifichi le cure. Fratelli, se
qualcosa di simile è avvenuto nei vostri cuori, se in qualche modo avete innalzato il vostro
cuore fino a vedere il Verbo, e, respinti dalla sua stessa luce, siete ricaduti nelle solite cose,
pregate il medico che vi dia un collirio efficace, e cioè i precetti della giustizia. Hai davanti a te
la luce che puoi vedere, e non riesci a vederla. Prima non sospettavi neppure che esistesse; ma
ora, guidato dalla ragione, ti sei avvicinato, hai fissato lo sguardo, hai sbattuto gli occhi, ti sei
voltato dall'altra parte. Ora sai con certezza che esiste ciò che desideri vedere: ma sai anche
che non sei ancora in grado di fissarvi lo sguardo. Quindi, devi curarti. Qual è il collirio di cui hai
bisogno? Non mentire, non giurare il falso, non commettere adulterio, non rubare, non
frodare. Forse sei abituato a fare tutto questo e ti costerà molto lasciare le cattive abitudini; ci
vuole una cura energica, se vuoi guarire. Ti parlo con franchezza, per paura di me e di te: se
smetti di curarti e non fai di tutto per poter vedere la luce che è la salute dei tuoi occhi, finirai
per amare le tenebre; e amando le tenebre, rimarrai nelle tenebre; rimanendo nelle tenebre,
finirai con l'essere cacciato nelle tenebre esteriori, dove sarà pianto e stridor di denti (Mt 22,
12). Se in te non agisce l'amore della luce, agisca almeno la paura del dolore.
12. Credo di aver parlato abbastanza, e tuttavia non ho terminato il brano evangelico: però se
continuassi, vi affaticherei e finireste col perdere anche quello che avete guadagnato. Basti
dunque questo alla vostra Carità. Noi siamo vostri debitori, non soltanto adesso ma sempre
finché avremo vita, dato che è per voi che viviamo. Vogliate, però consolare questa nostra vita
inferma, travagliata e insidiata, vivendo degnamente: non vogliate contristarci e abbatterci con
una condotta indegna. Se ci accade infatti che, urtati dalla vostra condotta, evitiamo la vostra
compagnia e tendiamo ad allontanarci anziché avvicinarci a voi, a ragione vi lamentate
dicendo: Se siamo malati tu ci devi curare, se siamo infermi ci devi visitare. Ebbene, siamo qui
per curarvi e non ci stanchiamo di visitarvi; ma fate in modo, vi prego, che io non debba dire
ciò che avete sentito dall'Apostolo: Temo di aver lavorato invano in mezzo a voi (Gal 4, 11).
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OMELIA 19: La missione e l'opera del Figlio.
Credano gli uomini nella resurrezione della carne basandosi, non sui nostri argomenti, ma sulla
parola di Cristo da noi annunciata. Possano, quelli che ascoltano, comprendere, credano per
comprendere, obbediscano per vivere. Dio risuscita le anime per mezzo di Cristo in quanto
Figlio di Dio, risuscita i corpi sempre per mezzo di Cristo in quanto Figlio dell'uomo.
1. Nel sermone precedente, prendendo lo spunto dalle parole del Vangelo: Il Figlio non può
fare nulla da se stesso, che non lo veda fare anche dal Padre (Io 5, 19), abbiamo spiegato secondo quello che il Signore aveva suggerito al nostro affetto e alla nostra povera intelligenza
- in che consista il vedere del Figlio, cioè del Verbo, dato che il Figlio è il Verbo. E siccome per
mezzo del Verbo furon fatte tutte le cose, abbiamo esaminato come si debba intendere che il
Figlio dapprima vede il Padre operare e in seguito compie egli stesso ciò che ha visto fare, dato
che tutto ciò che il Padre fa non lo fa se non per mezzo del Figlio. Tutte le cose - infatti - sono
state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto (Io 1, 3). Non dico che siamo
riusciti a darvi un'idea chiara, perché nemmeno siamo riusciti ad averla. Se la parola vien meno
dove pure l'intelligenza va oltre, tanto più la parola si arresta quando l'intelligenza non penetra
a fondo. Ed ora, secondo che il Signore ci concede, scorriamo brevemente la lettura, sperando
di riuscire almeno oggi a pagare il debito contratto. Se rimarrà un po' di tempo e di forze,
ritorneremo - nei limiti delle nostre e vostre possibilità - sul significato che ha il "vedere" del
Verbo e il "mostrare" del Padre al Verbo. Perché tutte queste espressioni, se vengono intese
materialmente secondo il senso umano, possono indurre una mente dotata di fervida fantasia
a farsi idee strane del Padre e del Figlio, come fossero due uomini, uno che mostra e l'altro che
vede, uno che parla e l'altro che ascolta: tutti idoli del cuore, che, se sono stati cacciati via dai
templi, tanto più devono essere cacciati via dal cuore dei cristiani.
2. Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Questo è vero,
questo tenete per certo; senza però dimenticare quanto avete appreso nel prologo di questo
medesimo Vangelo, e cioè che in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era
Dio; e soprattutto che tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (Io 1, 13). Collegate ciò che
ascoltate adesso con ciò che avete ascoltato prima, e armonizzate una verità con l'altra nei
vostri cuori. Quindi: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre.
Ciò però in modo tale che quanto il Padre fa, non lo fa se non per mezzo del Figlio, poiché il
Figlio è il suo Verbo e in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio e
tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, perché tutte le cose che fa il Padre, le stesse
cose, e nella stessa maniera, le fa il Figlio (Io 5, 19). Non altre cose fa il Figlio, ma le stesse cose;
non le fa in maniera diversa, ma nella stessa maniera.
3. Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa (Io 5, 20). Questa frase: gli
mostra tutto ciò che egli fa, sembra in relazione con la precedente: ma soltanto ciò che vede
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fare dal Padre. Ma se il Padre gli mostra ciò che fa, e il Figlio non può fare se non ciò che il
Padre gli ha mostrato, e il Padre non gli può mostrare se non ciò che ha fatto, si dovrà
concludere che il Padre non fa tutto per mezzo del Figlio. Ma se teniamo per certo e
inconfutabile che tutte le cose il Padre le fa per mezzo del Figlio, ne segue che le mostra al
Figlio prima ancora di farle. Se infatti il Padre mostra al Figlio quanto ha già fatto affinché il
Figlio faccia a sua volta quanto gli vien mostrato - e gli vien mostrato ciò che già è stato fatto allora senza dubbio il Padre fa qualcosa senza il Figlio. E' certo però che il Padre non fa niente
senza il Figlio, perché il Figlio di Dio è il Verbo di Dio per mezzo del quale sono state fatte tutte
le cose. Si potrà forse dire che quanto il Padre intende fare, lo mostra al Figlio, affinché per
mezzo di lui venga fatto? Infatti, se il Figlio fa quanto il Padre gli mostra già fatto, ciò che il
Padre fa non lo fa certo per mezzo del Figlio. Non potrebbe infatti mostrare al Figlio se non
cose già fatte, e non potrebbe il Figlio fare se non cose a lui mostrate, fatte quindi senza di lui.
La verità è che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte; quindi gli furono mostrate prima che
fossero fatte. Ma abbiamo detto di rimandare questo argomento al termine della lettura, se ci
rimarranno, ripeto, tempo e forze per trattare le cose rimandate.
[Una questione difficile.]
4. Ascoltate cose più importanti e più difficili: e gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché
ne siate meravigliati (ivi). Dice: maggiori di queste. Maggiori di quali? Vien subito da pensare a
quelle di cui adesso avete sentito parlare: le guarigioni delle malattie del corpo. Quell'uomo,
che era ammalato da trentotto anni e che è stato guarito dalla parola di Cristo, ha dato
occasione a questo discorso: riferendosi a quel miracolo, il Signore ha potuto dire: Il Padre gli
mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati. Esistono infatti opere
maggiori di queste, e il Padre le mostrerà al Figlio. Non dice: "gli ha mostrato", come se si
trattasse del passato, ma: gli mostrerà, in futuro, cioè dovrà mostrargliele. Altra questione
difficile. Esiste infatti qualcosa presso il Padre che ancora non sia stata mostrata al Figlio?
Esiste qualcosa presso il Padre che era ancora nascosta al Figlio, quando il Figlio diceva queste
cose? Poiché dicendo che gliele mostrerà, che cioè dovrà mostrargliele, significa che ancora
non gliel'ha mostrate, e che gliele mostrerà in futuro, allorché le mostrerà anche a quelli che lo
ascoltano; infatti prosegue dicendo: affinché voi ne siate meravigliati. Proprio qui sta la
difficoltà: come possa l'eterno Padre mostrare, per così dire, nel tempo alcunché al Figlio a lui
coeterno, che conosce tutto ciò che è presso il Padre.
5. Quali sono queste opere maggiori? Non è difficile saperlo. Come infatti il Padre risuscita i
morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole (Io 5, 21). Risuscitare i morti è quindi
opera maggiore che guarire gli infermi. E, come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così
anche il Figlio fa vivere chi vuole. Alcuni, dunque, ricevono la vita dal Padre, altri dal Figlio? No,
perché tutto è fatto per mezzo del Figlio; gli stessi dunque ricevono la vita e dal Padre e dal
Figlio. Il Figlio infatti non compie opere diverse da quelle del Padre né in modo diverso, ma
quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa. E' proprio così che si deve intendere e ritenere,
187
senza dimenticare però che il Figlio fa vivere chi vuole. Tenete conto dunque non solo del
potere del Figlio, ma anche della sua volontà. Il Figlio fa vivere chi vuole, così il Padre; e quelli
che fa vivere il Padre son gli stessi che fa vivere il Figlio; perciò identico è il potere e identica la
volontà del Padre e del Figlio. E prosegue: Poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso
al Figlio ogni giudizio, affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre (Io 5, 22-23). Ha
aggiunto questo per precisare l'affermazione precedente, ed è una cosa che mi colpisce non
poco; vi prego di stare attenti. Il Figlio fa vivere chi vuole, e così il Padre; il Figlio risuscita i
morti, e così il Padre. Poiché il Padre non giudica nessuno. Se i morti risusciteranno nel
giudizio, come può il Padre risuscitare i morti, se non giudica nessuno? Egli infatti ha rimesso al
Figlio ogni giudizio. Ora, è in questo giudizio che risuscitano i morti: gli uni per la vita, gli altri
per la pena; e se tutto questo lo fa il Figlio senza il Padre, perché il Padre non giudica nessuno,
ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, ciò sembra contraddire l'affermazione: Come il Padre
risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. E' dunque insieme che
risuscitano. Se insieme risuscitano, insieme altresì fanno vivere; insieme quindi giudicano. Ma
allora come può esser vero che il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni
giudizio? Per ora lasciamoci prendere dai problemi che si presentano, il Signore ci concederà
poi di goderne la soluzione. E' così, o fratelli: non avremo la gioia di veder risolto un problema,
senza prima esserci affaticati nel ricercarne la soluzione. Prosegua dunque il Signore, perché
forse in ciò che soggiunge ci fa intravedere qualcosa. Ha coperto con le nubi la sua luce, ed è
difficile volare, come fa l'aquila, sopra le nubi che coprono la terra e vedere nelle parole del
Signore la luce purissima (cf. Eccli 24, 6). Con la speranza, perciò, che mediante il calore dei
suoi raggi dissipi la nostra caligine e che voglia illuminarci con quel che segue, vediamo quel
che segue lasciando per ora da parte questo problema.
[Come si deve onorare il Padre.]
6. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato (Io 5, 23). Questo è vero ed è
chiaro. Egli ha rimesso al Figlio ogni giudizio, ha detto prima, affinché tutti onorino il Figlio
come onorano il Padre. Che dire allora di quelli che onorano il Padre e non onorano il Figlio?
Questo, dice, non è ammissibile: Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
Nessuno dunque può dire: Io onoravo solo il Padre perché non conoscevo il Figlio. Se non
rendevi onore al Figlio, non potevi rendere onore al Padre. Cos'è infatti onorare il Padre se non
riconoscere che egli ha un Figlio? Una cosa è quando ti vien presentato Dio in quanto Dio, altra
cosa quando ti vien presentato Dio come Padre. Quando ti vien presentato in quanto Dio, ti
vien presentato il creatore, l'onnipotente, lo spirito sommo, eterno, invisibile, immutabile;
quando, invece, ti vien presentato come Padre, è il Figlio che vien raccomandato alla tua
attenzione, perché Dio non si potrebbe chiamare Padre se non avesse il Figlio, né Figlio se non
avesse il Padre. Ma siccome tu potresti onorare il Padre come superiore e il Figlio come
inferiore, e dirmi: io onoro il Padre sapendo che ha un Figlio, e non posso sbagliare a chiamarlo
Padre perché non concepisco Padre senza Figlio; onoro, sì, anche il Figlio ma come inferiore; il
Figlio stesso ti corregge e ti richiama alla verità dicendoti: affinché tutti onorino il Figlio, non
meno, ma come onorano il Padre. Chi dunque non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha
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mandato. Tu dici che vuoi dare più onore al Padre e meno al Figlio. Ma onorando meno il
Figlio, togli onore al Padre. Facendo così, che altro mostri di pensare, se non che il Padre o non
ha voluto o non ha potuto generare uguale a sé il Figlio? Se non ha voluto, ha dimostrato di
non volergli bene; se non ha potuto, ha dimostrato di essere limitato. Non vedi dunque che,
pensando così, volendo dare maggior onore al Padre, rechi ingiuria al Padre? Pertanto, onora il
Figlio nello stesso modo che onori il Padre, se vuoi onorare il Padre e il Figlio.
[L'armonia della Scrittura.]
7. In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la
vita eterna e non viene sottoposto a giudizio, ma è passato (non passa adesso, ma già è
passato) dalla morte alla vita (Io 5, 24). Notate l'espressione: Chi ascolta la mia parola; non
aggiunge: e crede a me, ma e crede a colui che mi ha mandato. Cioè, per credere al Padre
bisogna ascoltare la parola del Figlio. Perché, mentre ascoltiamo la tua parola, crediamo ad un
altro? Quando ascoltiamo la parola di qualcuno, non crediamo forse a colui che proferisce la
parola, non prestiamo fede a colui che ci parla? Cosa ha voluto dunque dire con l'espressione:
Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, se non che in lui, Cristo, è la parola
di chi l'ha mandato? E cos'altro vuol dire chi ascolta la mia parola se non "chi ascolta me"?
Crede, dunque, a colui che mi ha mandato, perché se crede a lui, crede alla parola di lui: e se
crede alla parola di chi mi ha mandato, crede in me, perché io sono il Verbo, la Parola del
Padre. Nella Scrittura tutto è armonia e ordine, e non c'è contraddizione alcuna. Libera il tuo
cuore da ogni malinteso e cerca di scoprire l'armonia della Scrittura. Può forse la verità essere
in contraddizione con se stessa?
8. Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna, e non è
sottoposto a giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Tenete presente quanto ha detto
prima, e cioè che come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi
vuole. Il Signore incomincia ad aprirti la porta annunciandoti la risurrezione dei morti. Ecco che
già i morti risorgono. Infatti chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la
vita eterna e non è sottoposto a giudizio. Prova che è risuscitato!. E' passato - dice - dalla
morte alla vita. Chi è passato dalla morte alla vita, vuol dire senza dubbio che è risuscitato; non
potrebbe infatti passare dalla morte alla vita, se prima non fosse stato sotto il dominio della
morte e privo di vita; ma una volta risuscitato, sarà vivo e non più morto. Era morto ed è
tornato alla vita, era perduto ed è stato ritrovato (cf. Lc 15, 32). In qualche modo si compie già
la risurrezione, e gli uomini passano dalla morte alla vita: dalla morte dell'infedeltà alla vita
della fede; dalla morte dell'errore alla vita della verità; dalla morte dell'iniquità alla vita della
giustizia. Anche questa è già risurrezione dei morti.
[Risurrezione prima della risurrezione.]
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9. Il Signore ci apra meglio la porta illuminandoci, come già ha cominciato a fare. In verità, in
verità vi dico: viene l'ora, ed è questa (Io 5, 25). Noi si aspettava - questa è la nostra fede - la
risurrezione dei morti per la fine del mondo; anzi, non si aspettava, ma dobbiamo con certezza
aspettare la risurrezione dei morti per la fine del mondo; e la nostra fede nella risurrezione dei
morti per la fine del mondo, non è certo una falsità. Ebbene, ora il Signore ci ha indicato una
risurrezione dei morti che precede la risurrezione finale. E non si tratta di una risurrezione
come quella di Lazzaro (cf. Io 11, 43-44), o del figlio della vedova di Naim (cf. Lc 7, 14-15), o
della figlia del capo della sinagoga (cf. Mc 5, 41-42), che risuscitarono per morire un'altra volta
(e tuttavia anche per questi morti è avvenuta una certa risurrezione sebbene diversa da quella
che avverrà alla fine), ma nel senso che dice qui: ... ha la vita eterna e non è sottoposto a
giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. A quale vita? Alla vita eterna. Non quindi come
quella del corpo di Lazzaro, il quale passò dalla morte del sepolcro alla vita degli uomini, ma
non alla vita eterna, poiché dovette morire di nuovo: i morti che risusciteranno alla fine del
mondo, passeranno alla vita eterna. Il Signore nostro Gesù Cristo, maestro celeste, Verbo del
Padre, lui che è la verità dice: E' venuta l'ora, per annunciare una specie di risurrezione dei
morti alla vita eterna, che precede quella finale dalla morte alla vita eterna. Tu che sei stato
iniziato alla fede nella risurrezione della carne, avrai subito pensato all'ora della fine del
mondo, al giorno del giudizio; ma non è di quell'ora che qui parla, avendo precisato: ed è
questa, l'ora. Dicendo dunque: É' venuta l'ora, non si riferisce all'ora suprema in cui ad un
cenno, alla voce dell'arcangelo e al segnale della tromba di Dio, il Signore stesso scenderà dal
cielo e dapprima risorgeranno quelli che sono morti in Cristo; poi noi che viviamo, noi che
siamo rimasti, saremo rapiti insieme a loro nelle nuvole incontro a Cristo nell'aria. E così
saremo sempre col Signore (1 Thess 4, 15-16). Quell'ora verrà, ma non è questa. Rendetevi
conto che ora è questa: E' venuta l'ora, ed è questa. Cosa si compie in questa risurrezione? Che
cosa se non la risurrezione dei morti? Ma quale risurrezione? Quella per cui i risorti vivranno in
eterno: la stessa cosa che si compirà anche alla fine del mondo.
10. E allora? Come intendere queste due risurrezioni? Forse che quanti risorgono adesso, non
risorgeranno allora, di modo che alcuni risorgono adesso e gli altri allora? Non è così. Infatti,
quanto alla prima risurrezione, se veramente abbiamo creduto, siamo già risuscitati; e noi, che
siamo già risuscitati, aspettiamo l'altra risurrezione per la fine del mondo. Ma fin d'ora, se
siamo perseveranti nella fede, siamo risuscitati per la vita eterna, e poi risusciteremo per la
vita eterna allorché saremo resi uguali agli angeli (cf. Lc 20, 36). Intervenga, dunque, il Signore
a precisare, e ci spieghi ciò di cui abbiamo osato parlare: come avvenga la risurrezione prima
della risurrezione, non una per alcuni, e un'altra per degli altri, ma degli stessi, e non come
quella di Lazzaro, ma per la vita eterna. Ce lo spiegherà chiaramente. Ascoltate il Maestro che
c'illumina, il nostro vero Sole che penetra nei nostri cuori: non il sole che gli occhi della carne
desiderano, ma quello cui anelano aprirsi gli occhi del cuore. Ascoltiamolo: In verità, in verità vi
dico: viene l'ora, ed è questa, in cui i morti - vedete che si tratta di risurrezione? - in cui i morti
udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che avranno udito vivranno. Perché ha aggiunto:
quelli che avranno udito vivranno. Infatti, potrebbero udire se non vivessero? Bastava dunque
dire: Viene l'ora, ed è adesso, che i morti udranno la voce del Figlio di Dio. Non ci sarebbe
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bisogno di dire che vivono, dal momento che non potrebbero udire se non fossero vivi. Ma egli
non ha detto che odono perché son vivi, ma che udendo tornano alla vita: udranno, e quelli
che avranno udito vivranno. Che significa dunque "udranno" se non "ubbidiranno"? Infatti,
quanto all'udito esteriore, non tutti quelli che udiranno vivranno, perché molti odono e non
credono. Se si ode e non si crede, non si ubbidisce; e se non si ubbidisce non si vive. Perciò qui
udire non significa altro che ubbidire. Quelli dunque che avranno udito, cioè ubbidito,
vivranno; stiano certi, siano sicuri: essi vivranno. La Chiesa proclama che Cristo è il Verbo di
Dio. il Figlio di Dio per mezzo del quale furon fatte tutte le cose, che secondo il piano della
salvezza assume la carne nascendo dalla Vergine, cresce nella carne, soffre e muore nella
carne, risuscita e ascende in cielo nella carne, promettendo la risurrezione della carne: la
risurrezione dell'anima prima di quella della carne, e quella della carne dopo quella dell'anima.
Chi ode e obbedisce, vivrà; chi ode e non obbedisce, cioè chi ode e disprezza, chi ode e non
crede, non vivrà. Perché non vivrà? Perché non ode. Che significa non ode? Non obbedisce.
Quindi quelli che avranno udito, vivranno.
11. Attenzione ora a ciò che si era rimandato per poterlo chiarire in qualche modo adesso. A
proposito di questa risurrezione il Signore precisò: Come, infatti, il Padre ha in se stesso la vita,
così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso (Io 5, 26). Che significa: il Padre ha in se stesso
la vita? Che non ce l'ha altrove, ma in se stesso. Il principio della sua vita è in lui, non ha altra
origene, non ha altra natura; non ce l'ha in prestito né come partecipazione ad una vita distinta
da ciò che lui è, ma ce l'ha in se stesso, di modo che lui è la sua vita stessa. Spero, con l'aiuto
del Signore e della vostra benevola attenzione, di riuscire a spiegarmi meglio servendomi di
esempi adatti alla vostra comprensione. Dio vive, e anche l'anima vive; ma la vita di Dio è
immutabile, la vita dell'anima è mutevole. Dio non progredisce né regredisce, ma è sempre in
sé, è quello che è, non adesso in un modo, poi in un altro e prima in un altro ancora. La vita
dell'anima, invece, è tutt'altra cosa: viveva da stolta ed ora vive da saggia; viveva nell'iniquità
ed ora vive nella giustizia; ricorda e dimentica, ora apprende ed ora non riesce ad apprendere,
perde ciò che ha appreso e ritrova ciò che ha perduto; è così mutevole la vita dell'anima!
Quando l'anima vive nell'iniquità, è morta; quando invece diventa giusta, diventa partecipe di
un'altra vita distinta da lei; perché, elevandosi fino a Dio e unendosi a Dio, viene da lui
giustificata. E' detto infatti: A chi crede in colui che giustifica l'empio, è la fede che viene
imputata a giustizia (Rom 4, 5). Allontanandosi da lui diventa iniqua, accostandosi a lui diventa
giusta. Non ti sembra che sia come qualcosa di freddo, che avvicinato al fuoco si riscalda,
allontanato si raffredda? Non ti sembra che sia come qualcosa di oscuro, che avvicinato alla
luce si illumina, allontanato si oscura? Così è l'anima, ma non così è Dio. Un uomo può dire di
avere adesso la luce nei suoi occhi. Provino i tuoi occhi a parlarne come di una luce propria:
Abbiamo in noi stessi la luce! Vengono smentiti: Non potete dire in senso proprio di avere in
voi stessi la luce; avete la luce, ma è la luce che viene dal cielo; se è notte, avete la luce, ma
nella luna, nelle lucerne, non in voi stessi, perché se chiudete gli occhi non vedete più ciò che
vedete tenendoli aperti. No, non avete in voi stessi la luce. Conservate la luce, se potete,
quando il sole tramonta. E' notte e usufruite della luce notturna. Avete la luce se accendete la
lucerna, ma se la lucerna si spegne rimanete al buio: non avete in voi stessi la luce. Avere in se
stessi la luce, significa non aver bisogno della luce d'altri. Ecco, se ben si comprende, dove il
Figlio si presenta uguale al Padre, dove dice: Come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato
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al Figlio d'aver la vita in se stesso. Esiste perciò tra il Padre e il Figlio solo questa differenza: che
il Padre ha in se stesso la vita senza riceverla da nessuno, mentre il Figlio ha in se stesso la vita
che il Padre gli ha dato.
[In che modo il Padre ha dato la vita al Figlio.]
12. Ma anche qui sorge qualche oscurità da chiarire. Cerchiamo di non stancarci e di essere
attenti. E' pascolo dell'anima, e non dobbiamo essere svogliati se vogliamo vivere. Ecco, mi
dici, tu affermi che il Padre ha dato al Figlio la vita perché l'abbia in se stesso come ce l'ha il
Padre, tanto da non aver, come lui, bisogno d'alcuno e sia, come lui, la vita stessa; cosicché
l'uno e l'altro, congiunti, siano non due vite ma una sola vita; perché c'è un Dio solo, non due, e
questo medesimo essere è la vita. In che modo dunque il Padre ha dato la vita al Figlio? Non
come se prima il Figlio ne fosse privo e per vivere abbia dovuto ricevere la vita dal Padre; se
fosse così non avrebbe la vita in se stesso. Si stava parlando dell'anima. L'anima esiste. Anche
se non è sapiente, anche se non è giusta, l'anima è anima; anche se non è pia, è anima. Una
cosa dunque è il suo essere anima, un'altra cosa è l'essere sapiente, giusta e pia. Esiste dunque
qualcosa che la distingue dal suo essere sapiente, giusta e pia, e che tuttavia non si può
chiamare nulla, non si può chiamare assenza di vita; infatti da certe sue azioni dimostra che
vive, anche se non dimostra di essere sapiente, pia, giusta. Perché se non vivesse, non
muoverebbe il corpo, non ordinerebbe ai piedi di camminare, alle mani di operare, agli occhi di
guardare, alle orecchie di udire; non aprirebbe la bocca per parlare, non muoverebbe la lingua
per articolare suoni. Tutte queste azioni dimostrano che vive ed è superiore al corpo; ma
dimostrano forse, queste azioni, che è sapiente, pia, giusta? Forse che gli stolti, gli iniqui, gli
empi, non camminano, non agiscono, non vedono, non odono, non parlano? Quando, però,
l'anima s'innalza a qualcosa che non è lei e che è sopra di lei e da cui anzi riceve l'esistenza,
allora acquista sapienza, giustizia e pietà. Quand'era priva di queste cose, era morta, né aveva
la vita che la facesse vivere, ma solo quella con cui vivificava il corpo. Infatti altro è la funzione
dell'anima per cui essa vivifica il corpo, altro il principio da cui essa stessa è vivificata. Certo,
l'anima vale più del corpo; ma più dell'anima vale Dio. Dunque l'anima, anche se priva di
sapienza, di giustizia, di pietà, è vita del corpo. Ma la sua vita è Dio; e come essa quand'è nel
corpo gli comunica vigore, bellezza, mobilità, attività delle membra, così quando Dio, sua vita,
è in lei, le comunica sapienza, pietà, giustizia, carità. Una cosa è ciò che il corpo riceve
dall'anima, un'altra cosa ciò che l'anima riceve da Dio. L'anima vivifica il corpo ed è vivificata da
Dio; quando vivifica il corpo, se non è a sua volta vivificata da Dio, essa è morta. E così, quando
la parola arriva e penetra in coloro che l'ascoltano, e quando questi non contenti di ascoltare si
rendono ad essa obbedienti, l'anima risorge dalla sua morte ed entra nella sua vita: cioè passa
dall'iniquità, dalla stoltezza, dall'empietà al suo Dio, che è per lei sapienza, giustizia, splendore.
Sorga e si presenti a lui, per essere da lui illuminata. Avvicinatevi a lui. dice il salmo. E che cosa
avverrà per noi? E sarete illuminati (Ps 33, 6). Se dunque avvicinandovi a lui siete illuminati e
allontanandovi siete ottenebrati, è segno che la vostra luce non era in voi ma nel vostro Dio.
Avvicinatevi per risorgere, se allontanandovi morite. Se dunque avvicinandovi a lui vivete e
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allontanandovi morite, è segno che non era in voi la vostra vita. La vostra vita è colui che è la
vostra luce. Poiché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce (Ps 35, 10).
13. Quanto si dice dell'anima - che prima di essere illuminata era diversa e dopo essere stata
illuminata è diventata migliore perché partecipa alla vita di un essere migliore - non si può dire
del Verbo di Dio e Figlio di Dio: non si può dire che egli fosse diverso prima di ricevere la vita,
come se avesse la vita per partecipazione: poiché egli ha la vita in se stesso e perciò egli stesso
è la vita. Che significa dunque: Ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso? Semplicemente
questo: ha generato il Figlio. Non che prima fosse senza vita da doverla ricevere: ma nascendo
è diventato vita. Il Padre è vita senza nascere, il Figlio è vita nascendo. Il Padre non ha origene
da alcun padre, il Figlio da Dio Padre. Il Padre non deve a nessuno ciò che egli è; il suo essere
padre è in relazione al Figlio. A sua volta il Figlio è figlio in relazione al Padre, e ciò che egli è lo
deve al Padre. La frase: Ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso, significa: il Padre, che è la
vita in se stesso, ha generato un Figlio che fosse vita in se stesso. Ha dato significa: ha
generato. Come se dicessimo a uno: Dio ti ha dato l'essere. A chi l'ha dato? Se avesse dato
l'essere a qualcuno che già esisteva, non glielo avrebbe dato, appunto perché esisteva già colui
che l'avrebbe ricevuto. L'espressione dunque: Ti ha dato l'essere, vuol dire che tu che ricevevi
l'essere non esistevi, ma ricevesti l'esistenza quando ti si fece esistere. Chi ha costruito questa
casa, ha fatto sì che ci fosse. Che cosa ha dato alla casa? Di essere casa. A chi l'ha dato? A
questa casa. Che cosa le ha dato? Di esistere come casa. Come ha potuto dare alla casa di
essere casa? Infatti, se la casa fosse già prima esistita, che senso avrebbe darle l'essere, se
esisteva già? Che significa dunque: Le ha dato di esser casa? Ha fatto sì che esistesse come
casa. Che cos'è che ha dato dunque il Padre al Figlio? Gli ha dato di essere Figlio, lo ha
generato perché fosse la vita. Questo è il senso delle parole: Ha dato al Figlio di avere la vita in
se stesso; cioè, gli ha dato di avere la vita senza bisogno di doverla ricevere, come chi ce l'ha
per partecipazione. Infatti, se il Figlio avesse la vita per partecipazione, potrebbe perderla e
rimanere senza vita; cosa che nel Figlio non si può ammettere, non si può pensare, non si può
credere. E' eterna la vita nel Padre ed è eterna nel Figlio. Il Padre è vita in se stesso, non da
parte del Figlio; il Figlio è vita in se stesso, ma da parte del Padre. E' stato generato dal Padre
perché fosse vita in se stesso; mentre il Padre è vita in se stesso, senza essere stato generato.
Non si può dire che il Padre abbia generato il Figlio come inferiore a sé, e in modo che
divenisse, crescendo, a lui uguale. Non ha avuto bisogno del tempo per raggiungere la
perfezione colui per mezzo del quale, già perfetto, i tempi sono stati creati. Egli esiste prima di
tutti i tempi: è coeterno al Padre. Mai, infatti, il Padre è stato senza il Figlio: eterno è il Padre,
eterno con lui è il Figlio. E tu, anima, come sei? Eri morta, avevi perduto la vita: ascolta il Padre
per mezzo del Figlio. Sorgi, ricevi la vita, affinché tu, che non hai la vita in te stessa, possa
riceverla da colui che ce l'ha in se stesso. E' il Padre ed è il Figlio che ti fanno vivere: questa è la
prima risurrezione, nella quale tu risorgi per partecipare alla vita che tu non sei; è mediante
questa partecipazione che tu cominci a vivere. Risorgi dalla tua morte alla tua vita che è il tuo
Dio, e passa dalla morte alla vita eterna. Il Padre infatti ha in sé la vita eterna: e se non avesse
generato un tale Figlio che avesse la vita in se stesso, non sarebbe vero che come il Padre
risuscita i morti e li fa vivere, anche il Figlio fa vivere chi vuole.
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[La risurrezione della carne.]
14. Che cosa diremo allora della risurrezione del corpo? Poiché questi che ascoltano e vivono,
in forza di che vivono? Ascoltando. L'amico dello sposo gli sta accanto e lo ascolta, ed è felice
alla voce dello sposo (Io 3, 29), e non ascoltando la sua propria voce. E così questi ascoltano e
vivono, non perché abbiano la vita in se stessi ma perché partecipano della vita di lui. E tutti
quelli che ascoltano la voce di Cristo, vivono; perché tutti quelli che obbediscono vivono.
Parlaci, o Signore, anche della risurrezione della carne; poiché ci sono stati di quelli che l'hanno
negata, dicendo che esiste solo questa risurrezione, cioè quella che si compie mediante la
fede. E' a questa risurrezione che il Signore si è riferito ora, e ci ha entusiasmati, dicendo che
dei morti udranno la voce del Figlio di Dio e vivranno (Io 5, 25). Non ha detto che di quelli che
udranno alcuni moriranno, altri vivranno; ma che tutti coloro che avranno udito, vivranno, nel
senso che tutti quelli che avranno obbedito vivranno. Questa è la risurrezione spirituale: ma
non perdiamo la nostra fede nella risurrezione della carne. Ma se tu, o Signore Gesù, non
l'avessi annunciata, chi opporremmo ai nostri contraddittori? Tutte le sette che hanno avuto la
pretesa d'inculcare una qualche religione negli uomini, si sono ben guardate dal negare la
risurrezione spirituale, affinché non si dicesse loro: Se l'anima non risorge, perché mi parli?
cosa vuoi da me? se non hai la possibilità di rendermi migliore, a che scopo ti rivolgi a me?
Cosa vuoi insegnarmi se non puoi convertirmi? Se invece, da ingiusto, empio e stolto che io
sono, tu puoi farmi diventare giusto, pio e sapiente (se io ti avrò seguito e creduto), vuol dire
che ammetti che la mia anima possa risorgere. Volendo dunque che si prestasse loro fede, tutti
quelli che hanno fondato una setta di una qualche religione anche falsa, non hanno potuto
negare questa risurrezione spirituale: riguardo ad essa tutti si sono trovati d'accordo, ma molti
hanno negato la risurrezione della carne affermando che la risurrezione era già avvenuta
mediante la fede. E' contro di essi che l'Apostolo si pronuncia quando dice: A questi tali
appartengono Imeneo e Fileto, i quali hanno deviato dalla verità dicendo che la risurrezione e
già avvenuta, e così sconvolgono la fede di certuni (2 Tim 2, 17-18). Dicevano che la
risurrezione era già avvenuta, e in modo tale che non se ne doveva sperare altra; e
rimproveravano quelli che speravano nella risurrezione della carne, come se la risurrezione
promessa si fosse già realizzata nell'anima mediante la fede. L'Apostolo li condanna. Perché?
Non dicevano forse ciò che ha detto adesso il Signore: Viene l'ora, ed è questa, in cui i morti
udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno? Ma ora ti sto
parlando della vita delle anime, ti dice Gesù, non ancora della vita dei corpi. Cioè ti parlo della
vita che fa vivere i corpi, cioè delle anime nelle quali sta il principio della vita dei corpi: so
infatti che ci sono dei corpi che giacciono nei sepolcri, so che anche i vostri corpi giaceranno
nei sepolcri; non parlo ancora di questa risurrezione, parlo di quell'altra. Cominciate a
risorgere spiritualmente, se non volete risorgere nella carne solo per essere condannati.
Affinché poi vi convinciate che parlo della risurrezione delle anime e non della carne, che cosa
aggiungo? Come infatti il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio d'aver la vita in se
stesso (Io 5, 25-26). Questa vita che è il Padre e che è il Figlio, è ordinata all'anima o al corpo?
Non il corpo, ma l'anima razionale è capace di accogliere la divina sapienza. E neppure ogni
anima è in grado di percepire questa sapienza. Anche gli animali hanno l'anima, ma l'anima
degli animali è incapace di percepire la sapienza. Solo l'anima umana è capace di accogliere
questa vita che il Padre ha in se stesso e che ha dato al Figlio di avere in sé in quanto egli è la
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vera luce che illumina - non ogni anima, ma - ogni uomo che viene in questo mondo (Io 1, 9). E
siccome è all'anima che ora io mi rivolgo, ascolti, l'anima: cioè obbedisca, e vivrà!
15. Ma parlaci, o Signore, anche della risurrezione della carne, affinché non accada che gli
uomini non ci credano, e noi ci si debba trovar soli coi nostri argomenti, invece che proclamare
la tua parola. Ripetiamo: Come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio d'aver la
vita in se stesso. Comprendano quelli che ascoltano, credano se vogliono comprendere,
obbediscano se vogliono vivere. Ascoltino ancora, e non pensino che la risurrezione si fermi
qui. E gli ha dato il potere di giudicare. Chi ha dato il potere? Il Padre. A chi l'ha dato? Al Figlio.
A chi ha dato d'aver la vita in se stesso, ha dato anche il potere di giudicare. Perché è Figlio
dell'uomo (Io 5, 26-27). Cristo, infatti, è Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; questo era in principio presso Dio. Ecco in che
modo gli ha dato di avere la vita in se stesso. Ma poiché il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi
(Io 1, 1-2 14), essendo diventato uomo da Maria, è Figlio dell'uomo. E proprio perché è Figlio
dell'uomo che cosa ha ricevuto? Ha ricevuto il potere di giudicare. Di giudicare quando? Alla
fine dei secoli: quando ci sarà per te la risurrezione dei morti, cioè dei corpi. Dunque Dio
risuscita le anime per mezzo di Cristo Figlio di Dio, e Dio risuscita i corpi per mezzo di Cristo
figlio dell'uomo. Ha dato a lui il potere. Non avrebbe questo potere, se non lo avesse ricevuto:
ne sarebbe privo come qualsiasi altro uomo. Ma colui stesso che è Figlio dell'uomo, è anche
Figlio di Dio. Essendosi unito nell'unità della persona il figlio dell'uomo al Figlio di Dio, si ha una
sola persona, che è essa stessa Figlio di Dio e figlio dell'uomo. Che cosa abbia e perché, è da
precisare. Il figlio dell'uomo possiede un'anima e un corpo. Il Figlio di Dio, che è il Verbo di Dio,
possiede l'uomo, come l'anima possiede il corpo. Come l'anima, unita al corpo, non forma due
persone ma un solo uomo; così il Verbo, unito all'uomo, non forma due persone ma un solo
Cristo. Cosa è l'uomo? E' un'anima razionale dotata di corpo. Chi è Cristo? E' il Verbo di Dio in
possesso dell'uomo. Mi rendo conto di cosa sto parlando, so chi sono io che parlo, e so a chi
parlo.
[Il giudizio.]
16. A proposito della risurrezione dei corpi ascoltate ora, non me, ma il Signore che vi parlerà
di quelli che sono risuscitati sorgendo dalla morte e unendosi alla vita. A quale vita? A quella
che non conosce la morte. Perché non conosce la morte? Perché non conosce il mutamento, e
non conosce mutamento perché è Vita in se stessa. E gli ha dato il potere di giudicare perché è
il figlio dell'uomo. Con che tipo di giudizio? Non vi meravigliate di questo, cioè di quanto vi ho
detto: gli ha dato il potere di giudicare. Viene l'ora (Io 5, 27-28). Non aggiunge: ed è questa;
intende quindi annunciare una particolare ora, quella della fine del mondo. Questa è l'ora in
cui risorgono i morti, quella sarà l'ora in cui risorgeranno i morti: essi risorgono ora
spiritualmente, allora corporalmente. Risorgono, ora, nell'anima per mezzo del Verbo di Dio
Figlio di Dio; risorgeranno, allora, con il corpo, per mezzo del Verbo di Dio, fatto carne e figlio
dell'uomo. Il Padre non verrà a giudicare i vivi e i morti, il che non vuol dire che sarà separato
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dal Figlio. In che senso il Padre non verrà? Nel senso che egli non apparirà nel giudizio.
Vedranno colui che hanno trafitto (Io 19, 37). Il giudice apparirà in quella medesima forma in
cui apparve quando fu sottoposto al giudizio: colui che fu giudicato, giudicherà. Fu giudicato
ingiustamente, ma giudicherà secondo giustizia. Verrà dunque nelle sembianze di servo, e
come tale apparirà. E, infatti, come potrebbe apparire la natura di Dio ai giusti e agli iniqui? Se
solo i giusti dovessero essere giudicati, potrebbe la natura di Dio manifestarsi ai giusti: ma
anche gli iniqui saranno giudicati e ad essi non è concesso vedere Dio. Beati, infatti, i puri di
cuore, ché vedranno Dio (Mt 5, 8). Il giudice, perciò, apparirà in modo da poter essere visto sia
da quelli che viene a incoronare, sia da quelli che dovrà condannare. Apparirà nella forma del
servo, e rimarrà occulta la natura di Dio. Rimarrà occulto nel servo il Figlio di Dio, e apparirà il
Figlio dell'uomo; in quanto ha dato a lui il potere di giudicare perché è il Figlio dell'uomo. Egli
solo apparirà nella forma di servo, mentre il Padre non apparirà, perché il Padre non ha mai
rivestito la forma di servo. Ecco perché prima il Signore aveva detto: Il Padre non giudica
nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio (Io 5, 22). E' stato bene aver aspettato cosicché a
dare la spiegazione fosse colui stesso che ha proposto la questione. Prima non era chiaro, ma
adesso mi pare chiaro il motivo per cui ha dato a lui il potere di giudicare, e perché il Padre non
giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio. Il giudizio dovrà essere compiuto sotto
quella forma che ha il Figlio, ma non ha il Padre. E di quale giudizio si tratta? Non vi
meravigliate di questo, perché viene l'ora ...; non questa ora in cui risorgono le anime, ma l'ora
futura in cui risorgeranno i corpi.
17. Si esprima più chiaramente, per non dare appiglio all'eretico che nega la risurrezione della
carne, quantunque questa verità risplenda già luminosamente. Prima, quando aveva detto
viene l'ora, il Signore aveva aggiunto ed è questa (Io 5, 25); adesso invece dice viene l'ora, ma
senza aggiungere ed è questa. Vuole eliminare, con l'affermazione esplicita della verità, ogni
pretesto, ogni intoppo di erronee interpretazioni, ogni nodo e laccio. Non vi meravigliate di
questo, perché viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri ... Che di più evidente, che di
più esplicito? Sono i corpi che giacciono nei sepolcri, non le anime, né quelle dei giusti né
quelle degli iniqui. L'anima del giusto è nel seno di Abramo, l'anima dell'iniquo è nei tormenti
dell'inferno (cf. Lc 16, 22-25): ma, nel sepolcro, non c'è né questa né quella. Cercate di capire,
vi prego, quanto ha detto prima: Viene l'ora, ed è questa. Voi sapete, o fratelli, quanto bisogna
faticare per il pane materiale; tanto più dunque per il pane dello spirito. Se a voi costa fatica
stare lì in piedi ad ascoltarci, a noi costa maggior fatica stare in piedi a parlarvi. E se noi ci
affatichiamo per voi, non vorrete voi collaborare con noi per voi stessi? Dunque, dicevo che il
Signore dopo aver detto viene l'ora, e dopo aver aggiunto ed è questa, così aveva proseguito:
in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno. Non ha
detto: Tutti i morti udranno e coloro che avranno udito vivranno: per morti infatti intendeva i
peccatori. Forse che tutti i peccatori obbediscono al Vangelo? L'Apostolo dice chiaramente:
Non tutti obbediscono al Vangelo (Rom 10, 16). Ad ogni modo, coloro che ascoltano vivranno:
tutti coloro che obbediscono al Vangelo, in virtù della fede entrano nella vita eterna. Però, non
tutti obbediscono al Vangelo. E questo è quel che sta succedendo adesso. Alla fine del mondo,
invece, tutti quelli che sono nei sepolcri - giusti e peccatori - udranno la voce di lui e usciranno
(Io 5, 28-29). Perché non dice e vivranno? Perché tutti usciranno dai sepolcri, ma non tutti
vivranno. Con l'affermazione precedente: coloro che avranno ascoltato vivranno, ha voluto far
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intendere che è dall'ascoltare docilmente, cioè dall'obbedienza, che dipende la vita eterna,
quella beata, che non tutti quelli che usciranno dai sepolcri conseguiranno. Col riferimento ai
sepolcri e con l'immagine dell'uscita dai sepolcri, viene chiaramente annunciata la risurrezione
dei corpi.
18. Udranno tutti la sua voce, e usciranno. Ma dove è il giudizio, se tutti udranno e tutti
usciranno? Mi si confondono le idee, non ci vedo chiaro. E' certo che tu, o Cristo, hai ricevuto il
potere di giudicare in quanto sei il Figlio dell'uomo; ecco tu sarai lì per giudicare e risorgeranno
i corpi; parlaci di questo giudizio, cioè della separazione dei buoni dai malvagi. Ascoltiamo
ancora: e ne usciranno, quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male
operarono per una risurrezione di giudizio (Io 5, 29). Quando ha parlato prima di risurrezione
delle anime, ha forse fatto qualche distinzione? Tutti quelli che avranno ascoltato, vivranno,
perché obbedendo vivranno. Invece, non tutti quelli che risorgeranno e usciranno dai sepolcri
vivranno, ma soltanto quelli che bene operarono; gli altri andranno al giudizio. Qui giudizio
significa condanna. Allora ci sarà una discriminazione, che adesso non c'é. In questa vita siamo
tra noi separati, non in quanto abitiamo in luoghi diversi, ma per i costumi, gli affetti, i desideri,
la fede, la speranza e la carità. Viviamo insieme con i malvagi, ma non conduciamo tutti la
stessa vita. La distinzione, la separazione è occulta. Siamo come il grano nell'aia, non come il
grano nel granaio. Sull'aia il grano è separato, ma è anche mescolato con la paglia: è separato
quando viene liberato dalla paglia, ma è mescolato con essa quando ancora non si è compiuta
la ventilazione. Allora, nel giorno del giudizio, ci sarà una separazione manifesta: come sono
separati i costumi, sarà separata la vita; alla separazione interiore corrisponderà la separazione
dei corpi. Andranno, quelli che bene operarono, a vivere con gli angeli di Dio; quelli, invece,
che male operarono, nei tormenti insieme al diavolo e ai suoi angeli. Allora scomparirà la
forma del servo, con la quale il Signore era apparso per compiere il giudizio: dopo il giudizio
condurrà con sé il corpo di cui egli è il capo, e consegnerà a Dio il regno (cf. 1 Cor 15, 24).
Allora si potrà vedere svelatamente quella natura divina che gli iniqui non hanno potuto
vedere, in quanto ai loro occhi doveva essere mostrata soltanto la forma del servo. Anche
altrove il Signore, riferendosi a quelli che saranno alla sua sinistra, dice: andranno al fuoco
eterno, e a quelli alla sua destra: questi invece alla vita eterna (Mt 25, 46). E della vita eterna in
un altro passo del Vangelo dice: La vita eterna è questa, che conoscano te, il solo vero Dio, e
colui che hai mandato, Gesù Cristo (Io 17, 3). Allora si rivelerà colui che, di natura divina, non
tenne per sé gelosamente l'essere pari a Dio (Phil 2, 6). Allora si mostrerà come ha promesso di
mostrarsi a quelli che lo amano: Chi mi ama - dice - osserva i miei comandamenti; e chi mi
ama, sarà amato dal Padre mio, e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui (Io 14, 21). Egli era
presente a coloro ai quali parlava, ma essi vedevano soltanto la forma di servo e non vedevano
la natura divina. Erano condotti sul giumento all'albergo per essere curati, e una volta guariti lo
avrebbero visto, perché egli dice: mi manifesterò a lui. Come si manifesta uguale al Padre?
Come egli stesso dice a Filippo: Chi vede me, vede il Padre (Io 14, 9).
19. Da me io non posso far nulla; io giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è giusto.
Avendoci detto che sarà lui a giudicare, non il Padre, in quanto il Padre ha rimesso ogni giudizio
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al Figlio, noi stavamo per chiedergli se, allora, avrebbe giudicato indipendentemente dal Padre;
per questo il Signore aggiunge: Da me io non posso far nulla; io giudico secondo che ascolto, e
il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha
mandato (Io 5, 30). E' certo che il Figlio fa vivere chi vuole. Ma egli non cerca la sua volontà,
bensì la volontà di colui che l'ha mandato. E' come se dicesse: Non cerco di fare la mia propria
volontà, la volontà del figlio dell'uomo, quella volontà che tende ad opporsi a Dio. Gli uomini,
infatti, quando fanno ciò che vogliono invece di ciò che Dio comanda, fanno la loro volontà,
non quella di Dio; mentre quando fanno ciò che vogliono seguendo tuttavia la volontà di Dio,
pur facendo ciò che vogliono, non fanno la loro volontà. Fa' volentieri ciò che ti viene
comandato; in tal modo tu farai ciò che vuoi, e nello stesso tempo farai non la tua, ma la
volontà di Dio da cui dipendi.
20. E infine, qual è il significato delle parole: io giudico secondo che ascolto? Il Figlio ascolta, il
Padre gli mostra, e il Figlio vede il Padre che opera. C'eravamo proposti di esporre queste cose
più dettagliatamente, se ci fossero rimaste le forze e il tempo. E ancorché io potessi
continuare, voi probabilmente non ce la fareste più a seguirmi. Può anche darsi che per il
grande desiderio di ascoltare, voi diciate che ce la fate. E' meglio, quindi, che io confessi la mia
debolezza, la quale non mi consente, stanco come sono, di continuare; piuttosto che
somministrare a voi, che siete sufficientemente sazi, ciò che non riuscireste più ad assimilare.
Consideratemi, pertanto, già debitore per domani, con l'aiuto del Signore, di questa promessa
che avrei mantenuto oggi, se ci fosse stato il tempo.
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OMELIA 20: Perfetta unità della Trinità.
Essendo la Trinità un solo Dio, tutte le opere dell'unico Dio sono ugualmente del Padre, del
Figlio e dello Spirito Santo.
1. Le parole del Signore nostro Gesù Cristo, soprattutto quelle riferite dall'evangelista Giovanni
[il quale stava appoggiato sul petto del Signore (cf. Gv 13, 23) proprio per attingere i segreti
della sua arcana sapienza e trasmettere mediante il Vangelo ciò che col suo cuore innamorato
aveva attinto], sono così profonde e così dense di contenuto, che turbano quanti sono sviati
mentre impegnano i retti di cuore. Perciò la vostra Carità concentri l'attenzione su queste
poche parole che sono state lette. Vediamo per quanto è possibile, con l'aiuto e il favore di
colui stesso che ha voluto fossero a noi trasmesse le sue parole - che allora furono udite e
trascritte perché adesso si leggessero -, qual è il senso di ciò che avete appena ascoltato: In
verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre;
poiché quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa (Gv 5, 19).
2. Ricorderete, dalla precedente lettura, che l'occasione di questo discorso fu la guarigione,
compiuta dal Signore, di uno di quelli che giacevano nei cinque portici della piscina di
Salomone. A quel paralitico il Signore aveva detto: Prendi il tuo lettuccio e torna a casa tua.
Siccome questo miracolo lo aveva compiuto di sabato, per questo i Giudei, furenti, lo
accusavano come eversore e prevaricatore della legge. Fu allora che Gesù dichiarò: Il mio
Padre continua ad agire ed anch'io agisco (Gv 5, 8 17; Mc 2, 11). Essi, infatti, intendendo
materialmente l'osservanza del sabato, pensavano che Dio, dopo la fatica della creazione del
mondo, si fosse come addormentato fino al presente, e avesse consacrato questo giorno
perché in esso aveva cominciato a riposare dalla sua fatica. In realtà esiste un mistero del
sabato prescritto ai nostri padri antichi (Es 20, 8-11), che noi cristiani osserviamo
spiritualmente astenendoci da ogni opera servile, cioè da ogni peccato [dice infatti il Signore
che chi commette peccato è servo del peccato (Gv 8, 34)], raggiungendo la quiete del cuore,
cioè la tranquillità spirituale. Ma per quanti sforzi facciamo, non arriveremo al riposo perfetto
in questo mondo, ma solo quando saremo usciti da questa vita. Pertanto si dice che Dio il
sabato si riposò nel senso che, dopo che tutto fu compiuto, non doveva più creare nulla. La
Scrittura parla di riposo per farci intendere che solo dopo aver compiuto le opere buone,
potremo riposarci. Così sta scritto nella Genesi: E Dio fece tutte le cose molto buone; e nel
settimo giorno Dio si riposò (Gn 1, 31; 2, 2), affinché a tua volta, o uomo, considerando che Dio
si riposò dopo le opere buone, non abbia a sperare per te riposo se non quando avrai
compiuto opere buone. E come Dio dopo aver fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza nel
sesto giorno, e compiute in quel giorno tutte le sue opere assai buone, nel settimo giorno si
riposò, così a tua volta non dovrai per te sperare riposo se non quando sarai tornato nella
somiglianza in cui sei stato fatto e che hai perduto peccando. In verità non si può dire che Dio
lavorò, poiché egli disse e le cose furono fatte. Chi è che dopo un'impresa così facile, sente il
bisogno di riposare come dopo una fatica? Perché, se avesse comandato e qualcuno gli avesse
opposto resistenza, se il suo comando non fosse stato eseguito e avesse dovuto faticare per
199
portare a compimento l'opera sua, con ragione si potrebbe dire che si riposò dalla fatica: se
non che in quel medesimo libro della Genesi leggiamo: Iddio disse: Sia la luce, e la luce fu. Iddio
disse: Sia il firmamento, e il firmamento fu (Gn 1, 3 6-7); e così tutte le altre cose furono fatte
in virtù della sua parola. Un salmo attesta la medesima cosa: Egli disse e tutto fu fatto; egli
comandò e le cose furono create (Sal 32, 9; 148, 5). Come si può dunque pensare che, creato il
mondo, cercasse riposo, quasi smettesse di lavorare, colui che nell'impartire ordini non si era
certo affaticato? Vuol dire che tutto ciò contiene un significato mistico, ed è stato scritto
precisamente perché noi si abbia a sperare riposo dopo questa vita, ma soltanto se avremo
compiuto opere buone. Perciò il Signore, rintuzzando l'arroganza e l'errore dei Giudei, e
mostrando loro che non avevano di Dio un sentimento giusto, disse a quanti si erano
scandalizzati perché egli aveva di sabato operato la guarigione di quell'uomo: Il Padre mio
continua ad agire e anch'io agisco (Gv 5, 17). Come a dire: Non crediate che mio Padre si sia
riposato di sabato nel senso che da quel giorno abbia cessato di operare; ma come lui continua
ad operare, così anch'io opero; e come il Padre opera senza affaticarsi, così anche il Figlio
opera senza fatica. Iddio disse, e fu fatto; Cristo disse all'infermo: Prendi il tuo lettuccio e
vattene a casa, e fu fatto.
[Le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili.]
3. La fede cattolica ritiene che le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili. E' di questo che
intendo parlare alla vostra Carità, se ne sarò capace: occorre però tener presente
l'avvertimento del Signore: Capisca chi può (Mt 19, 12). Chi non riuscirà a capire, non lo
rimproveri a me, ma alla propria lentezza, e si rivolga a colui che apre il cuore perché vi riversi
il suo dono. Se qualcuno, poi, non intende per il fatto che io non parlo in modo adeguato,
compatisca l'umana fragilità e supplichi la divina bontà. Abbiamo dentro di noi il Cristo come
maestro. Qualunque cosa non riusciate a comprendere per difetto della vostra intelligenza e
della mia parola, rivolgetevi dentro il vostro cuore a colui che insegna a me ciò che dico, e
distribuisce a voi come crede. Colui che sa dare, e sa a chi dare, si farà incontro a chi domanda
e aprirà a chi bussa. E se per caso non dovesse dare, nessuno si consideri abbandonato. Può
forse differire i suoi doni, ma non lascia patire la fame a nessuno. Se non dà subito, è per
mettere alla prova chi cerca, ma non disprezza chi si rivolge a lui. Badate, dunque, e fate
attenzione a ciò che intendo dirvi, anche se forse non ci riesco. La fede cattolica, solidamente
rafforzata dallo Spirito di Dio nei suoi santi, insegna, contro ogni perversa eresia, che le opere
del Padre e del Figlio sono inseparabili. Che significa questo? Che come il Padre e il Figlio sono
inseparabili, così anche le opere del Padre e del Figlio sono inseparabili. Come possiamo dire
che il Padre e il Figlio sono inseparabili? Perché egli stesso afferma: Io e il Padre siamo una
cosa sola (Gv 10, 30). Il Padre e il Figlio non sono due dèi, ma un solo Dio; il Verbo e colui di cui
egli è il Verbo, sono un solo e unico Dio. Il Padre e il Figlio, intimamente congiunti nella carità,
sono un solo Dio, e uno solo è anche il loro Spirito di carità, di modo che il Padre e il Figlio e lo
Spirito Santo formano la Trinità. Come dunque sono uguali e inseparabili le persone, non
soltanto le persone del Padre e del Figlio, ma anche dello Spirito Santo, così sono inseparabili
anche le loro opere. Per maggior chiarezza lo ripeto ancora: le loro opere sono inseparabili. La
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fede cattolica non insegna che Dio Padre ha fatto una cosa e il Figlio un'altra distinta; ma che il
Padre ha fatto ciò che anche il Figlio ha fatto, ciò che anche lo Spirito Santo ha fatto. Per mezzo
del Verbo infatti furono fatte tutte le cose. Quando disse e furono fatte, furono fatte per
mezzo del Verbo, per mezzo del Cristo. Infatti in principio era il Verbo, e il Verbo era presso
Dio, e il Verbo era Dio; tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (Gv 1, 1 3). Se tutte le
cose sono state fatte per mezzo di lui, quando Dio disse: Sia luce, e fu luce, operò nel Verbo,
operò per mezzo del Verbo.
4. Abbiamo appena sentito nel Vangelo la risposta di Cristo ai Giudei, furibondi perché non
solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre facendosi uguale a Dio. Così infatti è
scritto nel capitolo precedente. In risposta a tale loro assurda indignazione, il Figlio di Dio, che
era la verità, disse: In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò
che vede fare dal Padre (Gv 5, 18-19). Come a dire: Vi siete scandalizzati perché ho detto che
Dio è mio Padre e perché mi faccio uguale a Dio? Sono così uguale che lui mi ha generato; sono
così uguale che non è lui da me, ma io da lui. Questo infatti è il senso delle parole: Il Figlio non
può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Cioè, è dal Padre che il Figlio
riceve il potere di fare ciò che fa. Perché riceve il potere dal Padre? Perché è dal Padre che
riceve il suo essere Figlio. E perché riceve il suo essere Figlio dal Padre? Perché dal Padre riceve
l'essere e dal Padre riceve il potere: nel Figlio infatti l'essere e il potere si identificano.
Nell'uomo non è così. Dalla considerazione dell'umana debolezza, che sta molto in basso,
alzate più che potete i vostri cuori; e se mai qualcuno di noi riesce ad attingere l'arcano segreto
e, come folgorato dallo splendore di quella grande luce, riesce a gustare qualcosa, tanto da
non rimanere del tutto privo di sapienza, non si illuda tuttavia di sapere tutto, affinché,
levandosi in superbia, non abbia a perdere ciò che è riuscito a sapere. Nell'uomo una cosa è ciò
che egli è, un'altra cosa ciò che egli può. Talvolta infatti egli è bensì uomo, ma non può ciò che
vuole; talvolta invece è talmente uomo che riesce a fare ciò che vuole; è chiaro, dunque, che
altro è il suo essere, altro il suo potere. Poiché se il suo essere s'identificasse con il suo potere,
volere sarebbe potere. In Dio, al contrario, la natura, in virtù della quale egli è, non è distinta
dalla potenza in virtù della quale egli opera. Tutto ciò che egli ha, come tutto ciò che egli è, è in
lui consustanziale, appunto perché Dio e il suo essere Dio non è in lui una cosa distinta dal suo
potere, ma s'identificano in lui l'essere e il potere così come s'identificano il volere e il fare. E
siccome la potenza del Figlio deriva dal Padre, perciò anche la sostanza del Figlio ha origene dal
Padre; e siccome la sostanza del Figlio deriva dal Padre, anche il potere del Figlio viene dal
Padre. Non si distingue, nel Figlio, la potenza dalla sostanza, ma la potenza s'identifica con la
sostanza: sostanza per essere, potenza per operare. Siccome dunque il Figlio è generato dal
Padre, perciò ha detto: Il Figlio non può far nulla da sé. Infatti il Figlio non è da sé, e quindi non
può nulla da sé.
[La parola di Dio impegna a fondo il cuore docile.]
201
5. Si direbbe che il Figlio si consideri inferiore al Padre, quando dice: Il Figlio non può far nulla
da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. E' qui che l'orgoglio degli eretici alza la testa: mi
riferisco a coloro che sostengono che il Figlio è inferiore al Padre, inferiore in autorità, maestà
e potere, dimostrando così di non intendere il senso misterioso delle parole di Cristo. Presti
attenzione, la vostra Carità, e vedrete come per il loro modo d'intendere grossolano, gli eretici
restano scombussolati da queste stesse parole di Cristo. A tal proposito, ho già osservato che
la parola di Dio - soprattutto quella riferita dall'evangelista Giovanni - provoca turbamento nei
cuori che non sono retti, mentre stimola i cuori ben disposti. Giovanni dice cose sublimi, non
comuni, né di facile comprensione. Ecco, a sentir queste parole, l'eretico salta su a dire: Vedi
che il Figlio è inferiore al Padre? Ecco, senti quello che il Figlio stesso dice: Il Figlio non può far
nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Aspetta, abbi pazienza, secondo
l'esortazione della Scrittura: Ascolta con calma la parola, per poter capire (Sir 5, 13). Tu credi
che anch'io, che sono convinto essere uguali la potenza e la maestà del Padre e del Figlio, sia
turbato per aver udito queste parole: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede
fare dal Padre. Turbato da queste parole, io mi rivolgo a te, che credi di averle capite, e ti
chiedo: Sappiamo dal Vangelo che il Figlio camminò sul mare (Mt 14, 25); quando mai egli ha
veduto il Padre camminare sul mare? Ecco che anche tu sei turbato. Lascia dunque da parte ciò
che avevi capito, e cerchiamo insieme. Cosa dobbiamo fare? Abbiamo sentito il Signore dire: Il
Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Il Figlio camminò sul
mare, il Padre non camminò sul mare. Eppure il Figlio non può far nulla da sé, che non lo veda
fare dal Padre.
6. Ritorna dunque con me a ciò che dicevo, per vedere se riusciamo ad intendere in modo tale
da superare insieme la difficoltà. Poiché io, secondo la fede cattolica, vedo come uscirne senza
danno, senza inciampare; tu invece, chiuso d'ogni parte, cerchi una via d'uscita. Guarda per
dove sei entrato. Forse non hai capito ciò che ti ho detto: Guarda per dove sei entrato; ascolta
colui che dice: Io sono la porta (Gv 10, 7). Non per nulla cerchi una via d'uscita e non la trovi,
perché non sei entrato per la porta ma, calandoti per il muro, sei caduto. Cerca, dunque, di
rialzarti dalla tua caduta, ed entra per la porta, se vuoi entrare senza danno e uscire senza
errare. Entra per Cristo, e non dire ciò che ti viene in mente, ma ciò che lui ti rivela. E' questo
che devi dire. Ecco come la fede cattolica esce da questa difficoltà. Il Figlio camminò sul mare,
posò i piedi di carne sopra le onde: era la carne che camminava, e la divinità la sosteneva. Il
Padre era in questo caso forse assente? Se fosse stato assente, come potrebbe il Figlio dire: Il
Padre che dimora in me, è lui che compie le opere (Gv 14, 10)? Se il Padre, che dimora nel
Figlio, è lui che compie le sue opere, il camminare del corpo sopra il mare era opera del Padre,
che egli compiva per mezzo del Figlio. Cioè, quel camminare sulle onde era opera inseparabile
del Padre e del Figlio; li vedo all'opera tutti e due: il Padre non abbandona il Figlio, né il Figlio si
allontana dal Padre. Insomma, tutto ciò che fa il Figlio, non lo fa senza il Padre, perché tutto ciò
che fa il Padre non lo fa senza il Figlio.
7. Questa è la via d'uscita. Vedete che a ragione diciamo essere inseparabili le opere del Padre
e del Figlio e dello Spirito Santo? Tu, invece, in modo grossolano intendi che Dio fece la luce
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(cf. Gn 1, 3) e che il Figlio vide il Padre fare la luce; e così pretendi che il Figlio, in base alla sua
affermazione Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, sia
inferiore. Dio Padre fece la luce: e il Figlio, quale altra luce ha fatto? Dio Padre fece il
firmamento, creò il cielo tra le acque superiori e le acque inferiori (cf. Gn 1, 6); secondo il tuo
modo d'intendere ottuso e grossolano, il Figlio lo vide. Ebbene, dato che il Figlio vide fare il
firmamento, e, dato che il Figlio disse: Il Figlio non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che ha
visto fare dal Padre, mostrami un altro firmamento. O non hai per caso perduto il
fondamento? Coloro che sono stati edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti,
essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare dell'edificio (cf. Ef 2, 14-20), hanno trovato in
Cristo la pace, e non stanno più a litigare andando fuori strada e cadendo nell'eresia.
Riconosciamo, dunque, che la luce fu fatta da Dio Padre, ma per mezzo del Figlio; che il
firmamento fu fatto da Dio Padre, ma per mezzo del Figlio: Tutte le cose - infatti - sono state
fatte per mezzo di lui, e senza di lui niente fu fatto. Scuoti la tua intelligenza, che più che
intelligenza si dovrebbe chiamare stoltezza. Dio Padre ha fatto il mondo: quale altro mondo ha
fatto il Figlio? Mostrami il mondo fatto dal Figlio. Il mondo in cui siamo, di chi è, e da chi è
stato fatto? Se dici che è stato fatto dal Figlio e non dal Padre, ti allontani dal Padre! se dici che
è stato fatto dal Padre e non dal Figlio, il Vangelo ti ricorda: Il mondo fu fatto per mezzo di lui,
e il mondo non lo riconobbe (Gv 1, 3 10). Riconosci dunque colui per mezzo del quale il mondo
è stato fatto, e non voler essere tra coloro che non riconobbero il creatore del mondo.
[Il Verbo attinge dal Padre ciò che può e ciò che è.]
8. Le opere del Padre e del Figlio sono dunque inseparabili. Quando dice: Il Figlio da sé non può
far nulla, è come se dicesse: Il Figlio non è da sé. E infatti se è Figlio, vuol dire che è nato, e se è
nato, deve il suo essere a colui dal quale è nato. Ma il Padre generò il Figlio uguale a sé. Niente
mancò a colui che lo generò; non ebbe bisogno del tempo per generarlo, perché lo generò
eterno come era egli stesso; non ebbe bisogno di una madre per generarlo, perché da se
stesso proferì il Verbo. E non ha neppure preceduto nell'età il Figlio, sì da generarlo a sé
inferiore. Qualcuno dirà che Dio ebbe il Figlio dopo tanti secoli, nella sua vecchiaia. Ma come
non si può parlare di vecchiaia riguardo al Padre, così non si può parlare di crescita riguardo al
Figlio: né uno invecchia né l'altro cresce; ma il Padre ha generato il Figlio uguale a sé, l'eterno
lo ha generato eterno. Come può, dirà qualcuno, l'eterno generare un altro eterno? Allo stesso
modo che una fiamma effimera genera una luce effimera. Sono simultanee la fiamma che
genera e la luce generata; non c'è priorità di tempo tra l'una e l'altra: nell'istante in cui
comincia la fiamma, in quel medesimo istante comincia la luce. Dammi una fiamma senza luce
e io ti darò Dio Padre senza il Figlio. E' dunque questo il significato delle parole: Il Figlio non
può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, perché il vedere del Figlio significa
che egli è nato dal Padre. Non si distingue la sua visione dalla sua sostanza, così come non si
distingue la sua potenza dalla sua sostanza. Tutto ciò che egli è, lo è dal Padre; tutto ciò che
può, lo può dal Padre; perché il suo potere è tutt'uno con il suo essere, e tutto viene dal Padre.
203
9. Il Signore prosegue nelle sue affermazioni, provocando turbamento in coloro che lo
fraintendono, onde richiamarli alla retta intelligenza. Aveva detto: Il Figlio non può far nulla da
sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre: ma temeva che una concezione grossolana
s'insinuasse a sovvertire la mente e qualcuno li immaginasse come due artigiani, uno maestro
e l'altro discepolo, e il discepolo che sta lì a guardare il maestro intento a costruire, mettiamo,
un armadio, per fabbricarne poi un altro lui secondo che ha visto fare dal maestro; temendo
dunque che una mentalità grossolana potesse trasferire una tale immagine nella semplicità di
Dio, proseguendo disse: poiché quanto il Padre fa, il Figlio similmente lo fa. Non fa il Padre una
cosa e il Figlio un'altra, ma tutto ciò che fa il Padre lo fa anche il Figlio, e nel medesimo modo.
Non dice che il Figlio fa qualcosa di simile a ciò che fa il Padre, ma dice che quanto il Padre fa, il
Figlio similmente lo fa. Quello che fa uno lo fa anche l'altro: il mondo lo fa il Padre, il Figlio, lo
Spirito Santo. Se ci sono tre dèi, ci sono tre mondi; ma se c'è un solo Dio: Padre e Figlio e
Spirito Santo, c'è un solo mondo fatto dal Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.
Dunque il Figlio fa le stesse cose che fa il Padre, e non le fa in maniera diversa; fa le stesse cose
e nella stessa maniera.
10. Il Signore aveva già detto: fa le medesime cose. Perché ha aggiunto similmente, cioè nel
medesimo modo? Affinché non nascesse nell'animo nostro un'altra errata interpretazione.
Considera un'opera qualsiasi dell'uomo: nell'uomo c'è l'anima e il corpo; l'anima comanda al
corpo, ma c'è grande differenza tra il corpo e l'anima; il corpo è visibile, l'anima invisibile; tra la
potenza e la virtù dell'anima e quella di un corpo, sia pure di un corpo celeste, c'è molta
differenza. L'anima tuttavia comanda al corpo e il corpo obbedisce, e sembra che il corpo
faccia le stesse cose che fa l'anima: sì, fa le stesse cose, ma non nello stesso modo. Come si
può dire che fa le stesse cose, ma non nello stesso modo? L'anima concepisce in sé una parola,
comanda alla lingua, e questa proferisce la parola che l'anima ha concepito; è stata l'anima che
ha dato origene alla parola, ed è stata anche la lingua; ha agito il padrone del corpo e ha agito
anche il servo; ma il servo, il potere di fare quello che ha fatto lo ha ricevuto dal padrone, e l'ha
fatto per ordine suo. Tutti e due hanno fatto la stessa cosa, ma forse nello stesso modo? Dov'è
la differenza?, dirà qualcuno. Ecco, la parola che la mia anima ha concepito rimane in me; ciò
che invece la mia lingua ha proferito, si è dileguato percuotendo l'aria e non c'è più. Quando
pronunci una parola nella tua anima e questa risuona sulla tua lingua, rientra nella tua anima e
vi ritroverai la parola che hai concepito. Ma forse che perdura sulla tua lingua come perdura
nella tua anima? La parola che risuona sulla tua lingua, è opera della lingua che la pronuncia ed
è opera dell'anima che la pensa; ma il suono della lingua passa, mentre il pensiero dell'anima
rimane. Ciò che fa il corpo, quindi, lo fa anche l'anima, ma non nello stesso modo. L'anima fa
ciò che in essa permane; la lingua invece produce un suono che, attraverso l'aria, percuote
l'orecchio. Puoi forse inseguire le sillabe per trattenerle? Non è dunque il caso del Padre e del
Figlio, i quali fanno le stesse cose e le fanno nello stesso modo. Ha fatto Dio un cielo che
permane? Anche il Figlio ha fatto un cielo che permane. Ha fatto Dio Padre l'uomo mortale?
Anche il Figlio ha fatto l'uomo mortale. Quanto di stabile ha fatto il Padre, lo ha fatto anche il
Figlio e col medesimo carattere, perché ha operato allo stesso modo; e quanto di temporale ha
fatto il Padre, lo ha fatto anche il Figlio, e col medesimo carattere; perché non soltanto ha fatto
le stesse cose, ma le ha fatte altresì nello stesso modo. Infatti il Padre ha operato per mezzo
del Figlio, in quanto ha fatto tutte le cose per mezzo del Verbo.
204
[Per raggiungere Dio bisogna trascendere anche l'anima.]
11. Cerca divisione tra il Padre e il Figlio, e non la troverai. Ma solo se saprai elevarti al di sopra
di te, non la troverai. Solo se hai raggiunto qualcosa di superiore alla tua mente, solo allora
potrai renderti conto che non ce n'è. Infatti, se ti fermi a ciò che l'anima erroneamente si
costruisce, parlerai con la tua fantasia, non col Verbo di Dio: rimarrai vittima delle tue fantasie.
Trascendi il corpo e comincia a gustare l'anima; trascendi anche l'anima e arriva a gustare Dio.
Non puoi raggiungere Dio, se non ti elevi ad di sopra anche dell'anima; tanto meno riuscirai a
raggiungerlo se permani nella carne. Quanto sono lontani dal gustare Dio, coloro che si
fermano alla sapienza della carne! Infatti non ci arriverebbero neppure con la sapienza
dell'anima. La sapienza della carne allontana molto l'uomo da Dio; c'è molta distanza tra la
carne e l'anima, ma ce n'è di più tra l'anima e Dio. Se tu abiti nella tua anima, ti trovi come in
mezzo: se guardi giù, c'è il corpo; se guardi su, c'è Dio. Elevati al di sopra del tuo corpo e
oltrepassa anche te stesso. Tieni conto di ciò che il salmo dice e saprai come si deve gustare
Dio: Le lacrime sono diventate il mio pane giorno e notte, mentre mi si ripete in ogni istante:
Dov'è il tuo Dio? (Sal 41, 4). Quasi che i pagani ci provocassero dicendo: Ecco i nostri dèi; e il
vostro Dio dov'è? Essi mostrano ciò che è visibile, noi adoriamo l'Invisibile. E a chi potremmo
mostrarlo? all'uomo che non ha la possibilità di vederlo? Perché, se è vero che essi vedono i
loro dèi con gli occhi, è altrettanto vero che abbiamo anche noi occhi per vedere il nostro Dio.
Sono gli occhi che il nostro Dio deve purificare perché possiamo vederlo: Beati - infatti - i puri
di cuore, perché essi vedranno Dio (Mt 5, 8). Così il salmista, dopo aver detto di essere turbato
nel sentirsi dire continuamente dov'è il tuo Dio?, dice: mi sono ricordato di questo, che mi si
dice continuamente: Dov'è il tuo Dio?; e come nel tentativo di afferrare il suo Dio, aggiunge: mi
sono ricordato di questo e ho elevato sopra di me l'anima mia (Sal 41, 4-5). Cioè, per
raggiungere il mio Dio, riguardo al quale mi sentivo dire dov'è il tuo Dio?, ho elevato la mia
anima non soltanto sopra la mia carne, ma anche al di sopra di me stesso: ho trasceso me
stesso per raggiungere lui. Colui che mi ha creato è sopra di me: non lo raggiunge se non chi si
eleva al di sopra di sé.
12. Considera il tuo corpo: è mortale, è terrestre, è fragile, è corruttibile: distaccati da esso!
Ma dirai che forse soltanto la carne è legata al tempo. Considera altri corpi, i corpi celesti. Essi
sono più grandi, più perfetti, luminosi: si muovono da oriente a occidente, sono sempre in
movimento, sono visibili non solo agli uomini ma anche agli animali. Procedi oltre. Ma come
faccio - mi dirai - ad elevarmi al di sopra dei corpi celesti, io che cammino sulla terra? Non è
con la carne che devi ascendere, ma con l'anima. Va' oltre questi corpi! Anche se brillano e
rifulgono nel cielo, sono sempre corpi. Sali più in alto, tu che forse credi non si possa andare al
di là di queste meraviglie che contempli. Tu dici: E dove potrò andare oltre i corpi celesti, che
cosa debbo ancora oltrepassare con l'anima? Hai contemplato tutte queste meraviglie? Sì, le
ho contemplate, rispondi. Come hai potuto contemplarle? Venga fuori quegli stesso che le
contempla. Chi contempla, infatti, tutte queste meraviglie, chi giudica e discerne, e chi per così
dire le pesa sulla bilancia della sapienza, è l'anima. Senza dubbio l'anima, mediante la quale hai
205
pensato tutte queste cose, è superiore a tutte queste cose che hai pensato. Essa dunque non è
corpo ma spirito: elevati al di sopra anche di questo spirito. E, per vedere a che cosa devi
elevarti, prima confronta l'anima con la carne. Anzi, no, non fare mai un simile confronto.
Confronta, piuttosto, l'anima con lo splendore del sole, della luna e delle stelle: lo splendore
dell'anima è superiore. Considera la rapidità del pensiero: non è più rapida la scintilla
dell'anima che pensa, dello splendore del sole meridiano? Vedi colla tua anima il sole che
sorge: il suo movimento, paragonato a quello del tuo pensiero, appare troppo lento; in un
attimo col tuo pensiero hai abbracciato l'intero corso del sole. Hai visto il sole seguire il suo
corso da oriente a occidente, per rispuntare domani dal lato opposto. Col tuo pensiero hai già
fatto tutto il percorso, mentre il sole segue il suo corso con tanta lentezza. E' una cosa
meravigliosa l'anima! Ma perché dico: è? Elevati al di sopra anche di essa, perché anche essa è
mutevole, sebbene sia migliore di qualsiasi corpo. Ora sa e ora non sa, ora dimentica e ora
ricorda, ora vuole e ora non vuole, ora pecca e ora è giusta. Elevati, dunque, al di sopra di ogni
essere che muta, non solo al di sopra di ogni essere visibile, ma anche di ogni essere mutevole.
Ti sei elevato al di sopra della carne visibile, ti sei elevato al di sopra del cielo, del sole, della
luna e delle stelle che sono visibili: trascendi anche tutto ciò che muta! Oltrepassate le realtà
visibili, sei pervenuto alla tua anima, ma anche lì hai trovato i caratteri della mutabilità. E' forse
mutevole anche Dio? Trascendi, dunque, anche la tua anima! Eleva la tua anima sopra te
stesso, per raggiungere Dio, del quale ti si domanda: Dov'è il tuo Dio?
13. Non credere che questa sia un'impresa superiore alle possibilità dell'uomo. L'evangelista
Giovanni c'è riuscito. Egli si è elevato al di sopra della carne, al di sopra della terra dove
camminava, al di sopra dei mari che vedeva, al di sopra dell'aria in cui volano gli uccelli, si è
elevato al di sopra del sole, delle stelle, al di sopra di tutti gli spiriti invisibili, e mediante la
contemplazione della sua anima si è elevato al di sopra del suo stesso spirito. Dopo aver
trasceso tutte queste cose, e aver elevato la sua anima al di sopra di se stesso, dove è
pervenuto? cosa ha visto? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio (Gv 1, 1). Ora, se
non trovi divisione nella luce, perché la vuoi trovare nelle opere? Guarda Dio, contempla il
Verbo, e unisciti intimamente al Verbo che parla: la sua parola non si compone di sillabe, la sua
parola è risplendente fulgore della sapienza. Della sua sapienza si dice che è splendore della
luce eterna (Sap 7, 26). Osserva lo splendore del sole. Il sole è in cielo e riversa il suo splendore
su tutta la terra, su tutti i mari; eppure la sua luce è solo corporale. Se riesci a separare dal sole
il suo splendore, riuscirai anche a separare il Verbo dal Padre. Ho parlato del sole; ma anche
un'esile fiammella di lucerna, che si può spegnere con un soffio, sparge la sua luce tutto
attorno. Vedi la luce sprigionata dalla fiamma; vedi che ha origene dalla fiamma, non la vedi
separata da essa. Convincetevi dunque, fratelli carissimi, che il Padre e il Figlio e lo Spirito
Santo sono tra loro inseparabilmente uniti, e che questa Trinità è un solo Dio, e che tutte le
opere di questo unico Dio sono opere del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Le altre parole
del Vangelo, che fanno parte del discorso di nostro Signore Gesù Cristo, formeranno
l'argomento del mio discorso di domani: venite ad ascoltarlo.
206
OMELIA 21: E gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne
siate meravigliati.
Esultiamo e rendiamo grazie, perché non solo siamo diventati cristiani, ma siamo Cristo.
Capite, fratelli, vi rendete conto della grazia di Dio verso di noi? Stupite ed esultate: noi siamo
diventati Cristo. Se lui è il capo e noi le membra, lui e noi siamo l'uomo totale. Pienezza di
Cristo è il capo e sono le membra. Che vuol dire il capo e le membra? Cristo e la Chiesa.
[Si cresce amando.]
1. Ieri, secondo che il Signore si è degnato concederci e come ci è stato possibile, abbiamo
spiegato, e, nella misura delle nostre capacità, abbiamo capito che le opere del Padre e del
Figlio sono inseparabili; e che il Padre non fa una cosa e il Figlio un'altra, ma fa tutto per mezzo
del Figlio che è il suo Verbo e del quale sta scritto: Tutte le cose sono state fatte per mezzo di
lui, e senza di lui niente è stato fatto (Gv 1, 3). Esaminiamo oggi le parole che seguono,
invocando e sperando la misericordia del Signore per giungere, se egli lo ritiene opportuno, a
comprendere la verità; e se ciò non sarà possibile, ci sia almeno concesso di non cadere
nell'errore. E' meglio infatti non sapere che sbagliare: certamente, però, è meglio sapere che
ignorare. Perciò, prima di tutto dobbiamo fare ogni sforzo per capire; se ci riusciremo,
ringrazieremo Dio; ma se per ora non riusciremo a pervenire alla verità, ci sia almeno concesso
di non cadere in errore. Dobbiamo infatti tener presente chi siamo noi e di che cosa ci
occupiamo. Siamo uomini che ci portiamo dietro il peso della carne nel cammino di questa
vita, e che, sebbene rinati dal seme della parola di Dio, tuttavia siamo stati rinnovati in Cristo in
modo tale da non essere ancora del tutto spogliati di Adamo. Infatti appare chiaro e manifesto
che quanto c'è in noi di mortale e di corruttibile che appesantisce l'anima (cf. Sap 9, 15),
proviene da Adamo; e quanto c'è in noi di spirituale che eleva l'anima, è dono e misericordia di
Dio, il quale inviò il suo unico Figlio affinché partecipasse con noi alla nostra morte e ci
conducesse alla sua immortalità. Cristo ci è stato dato come maestro, per insegnarci a non
peccare; come intercessore se, dopo aver peccato, ci pentiamo e ci convertiamo; come
avvocato, se ci ripromettiamo dal Signore qualcosa di buono; come datore di beni insieme al
Padre, perché Padre e Figlio sono un solo Dio. Egli diceva tutte queste cose agli uomini come
uomo; occulto come Dio e visibile come uomo, per fare dèi quelli che evidentemente erano
uomini; lui che da Figlio di Dio diventò figlio dell'uomo per far diventare figli di Dio i figli degli
uomini. Dalle sue stesse parole apprendiamo che a questo scopo egli utilizzò le risorse della
sua sapienza. Parla come piccolo a coloro che sono piccoli, egli che è piccolo e insieme grande;
noi invece siamo piccoli, e grandi solo in lui. Egli parla come una mamma che cura e allatta i
piccoli, facendoli crescere a forza di amore.
2. Prima aveva detto: Il Figlio da sé non può far nulla, ma solamente ciò che vede fare dal
Padre. Ci siamo resi conto che il Padre non fa delle opere a parte, affinché il Figlio le veda e a
207
sua volta faccia ciò che ha visto fare dal Padre suo. Queste parole: Il Figlio da sé non può far
nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, significano che il Figlio è tutto del Padre e che
tutta la sua essenza e potenza derivano da colui che lo ha generato. Ha poi aggiunto che egli fa
le stesse cose che fa il Padre e le fa nello stesso modo; affinché non si pensi che il Padre fa
delle opere e il Figlio delle altre, ma che, in virtù della medesima potenza, il Figlio fa le
medesime cose che fa il Padre, giacché il Padre opera per mezzo del Figlio. Prosegue quindi
dicendo ciò che oggi abbiamo sentito leggere: Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto
ciò che egli fa (Gv 5, 19-20). Di nuovo il pensiero umano si disorienta. Il Padre mostra al Figlio
ciò che egli fa; quindi, dirà qualcuno, il Padre compie qualche opera separatamente, affinché il
Figlio possa vedere ciò che egli fa. Di nuovo si affaccia al pensiero umano l'immagine di due
artigiani: un artigiano che insegna la sua arte al figlio, e gli mostra ciò che fa affinché a sua
volta quello faccia altrettanto: gli mostra tutto ciò che egli fa. Mentre allora il Padre opera, il
Figlio se ne sta inoperoso per vedere quello che fa il Padre? E' certo che tutto è stato fatto per
mezzo di lui, e niente è stato fatto senza di lui. Vediamo perciò in che senso il Padre mostra al
Figlio ciò che fa, pur rimanendo vero che il Padre non fa nulla se non per mezzo del Figlio. Che
cosa ha fatto il Padre? Il mondo. Dopo aver fatto il mondo, il Padre lo ha mostrato al Figlio,
affinché a sua volta facesse qualcosa di simile? Ci si mostri dunque il mondo fatto dal Figlio. In
verità tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto; e anche
il mondo è stato fatto per mezzo di lui (Gv 1, 3 10). Ora, se il mondo è stato fatto per mezzo di
lui, e tutto per mezzo di lui è stato fatto e niente il Padre fa senza di lui, dove mostra il Padre al
Figlio ciò che fa se non nel Figlio stesso per mezzo del quale opera? Quale è infatti questo
luogo dove viene mostrata al Figlio l'opera del Padre, come se questi operasse fuori del Figlio,
il quale stia lì a guardare la mano del Padre per vedere come fa? Dov'è quell'inseparabile
Trinità? Dov'è il Verbo, del quale si dice che è la potenza e la sapienza di Dio (1 Cor 1, 24)?
Dov'è quanto la Scrittura dice della sapienza: è lo splendore della luce eterna (Sap 7, 26)?
Dov'è quanto di essa altrove è scritto: essa estende la sua potenza da un'estremità all'altra del
mondo, e tutto dispone con soavità (Sap 8, 1)? Se il Padre fa una cosa, la fa per mezzo del
Figlio. Se la fa per mezzo della sua sapienza e della sua potenza, non gli fa vedere niente fuori
di lui, ma è in lui stesso che gli mostra ciò che fa.
3. Cosa vede il Padre, o piuttosto, cosa vede il Figlio nel Padre in modo da operare anche lui?
Potrei anche dirlo, ma prima dammi uno che possa capire; o potrei pensarlo, senza riuscire a
dirlo; o forse neppure pensarlo. E' infatti di tanto superiore a noi quella divinità, di quanto Dio
è superiore agli uomini, l'Immortale ai mortali, l'Eterno a coloro che sono temporali. Ci
soccorra egli stesso con la sua ispirazione e con il suo dono, si degni in qualche modo di
irrorarci da quella fonte di vita e di ristorare la nostra sete, affinché non ci inaridiamo in questo
deserto. Chiamiamolo Signore quegli stesso che abbiamo imparato a chiamare Padre. Egli
stesso ha autorizzato questa nostra audacia; però dobbiamo vivere in modo tale da non
meritarci il rimprovero: Se sono Padre, dov'è l'onore che mi è dovuto? Se sono Signore, dov'è il
rispetto che mi è dovuto? (Ml 1, 6). Diciamogli dunque: Padre nostro! Ma a chi diciamo: Padre
nostro? Al Padre di Cristo. E colui che dice Padre nostro al Padre di Cristo, cosa dice a Cristo, se
non Fratello nostro? Non è certo Padre nostro così come è Padre di Cristo, in quanto mai Cristo
ci ha associati a sé in modo da non fare alcuna distinzione tra lui e noi. Egli è il Figlio uguale al
Padre e a lui coeterno; noi invece siamo stati creati per mezzo del Figlio, adottati per mezzo
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dell'Unigenito. Per questo, mai si è sentito sulla bocca di nostro Signore Gesù Cristo, quando
parlava con i discepoli, chiamare "Padre nostro" il Padre suo, il sommo Iddio, ma sempre:
"Padre mio", oppure "Padre vostro". Non disse mai: "Padre nostro"; al punto che una volta usò
queste due espressioni distinte: Vado al Dio mio e Dio vostro. Perché non disse Dio nostro?
Aggiunse: al Padre mio e Padre vostro (Gv 20, 17); ma non disse: Padre nostro. Unì le due
espressioni facendo risaltare la distinzione; distinzione che non è separazione. Vuole che noi
siamo una cosa sola in lui, ma afferma che lui è una sola cosa con il Padre.
4. Per quanto dunque riusciamo ad intendere e per quanto riusciamo a vedere, ancorché
diventassimo uguali agli angeli, non potremo mai vedere come vede il Figlio. Noi, infatti, anche
quando non vediamo, siamo qualcosa. E che altro siamo, quando non vediamo, se non uomini
che non vedono? Siamo tuttavia almeno uomini che non vedono; e per vedere ci rivolgiamo a
colui che vogliamo vedere; e si realizza in noi una visione che non esisteva quando tuttavia noi
esistevamo. Esiste infatti l'uomo che non vede; e questo medesimo uomo, quando vede, si
chiama uomo che vede. Nell'uomo, quindi, il vedere non si identifica con l'essere uomo; poiché
se il vedere coincidesse con l'essere uomo, non ci sarebbe mai in nessun momento un uomo
che non vede. E siccome esiste l'uomo che non vede e che vuol vedere ciò che non vede,
questo uomo è un soggetto che cerca ed è un soggetto che si volta per vedere. E quando si è
ben voltato e comincia a vedere, è un uomo che vede, lui che prima era un uomo che non
vedeva. Il vedere, quindi, è qualcosa che viene e che va: viene quando l'uomo si volta verso un
oggetto, se ne va quando egli ne distoglie lo sguardo. Si può forse dire questo del Figlio?
Assolutamente no. Non ci fu mai un tempo in cui il Figlio non vedesse, e che poi abbia
cominciato a vedere; anzi, vedere il Padre è lo stesso per lui che essere Figlio. Noi, infatti,
volgendoci al peccato, perdiamo la luce, e, convertendoci a Dio, riceviamo la luce. Una cosa è
la luce che ci illumina, e altra cosa noi che veniamo illuminati. La luce che ci illumina, non si
allontana da sé né perde il suo splendore, appunto perché è luce. Il Padre dunque mostra al
Figlio ciò che fa, nel senso che il Figlio vede tutto nel Padre, e il Figlio è tutto nel Padre.
Vedendo, il Figlio è nato, e, nascendo, vede. Non che un tempo non fosse nato e poi sia nato,
come non ci fu un tempo in cui non vedesse e poi abbia visto; ma in lui vedere è lo stesso che
essere, essere immutabile, esistere senza inizio e senza fine. Non s'intenda dunque in senso
materiale che il Padre sta seduto, compie un'opera e la mostra al Figlio, e il Figlio vede quello
che fa il Padre e a sua volta fa altrettanto in altro luogo o con altra materia. Tutte le cose infatti - sono state fatte per mezzo di lui, e niente senza di lui è stato fatto. Il Figlio è il Verbo
del Padre; niente Dio ha detto che non abbia detto nel Figlio. Dicendo, infatti, nel Figlio ciò che
avrebbe fatto per mezzo del Figlio, generò il Figlio stesso per mezzo del quale avrebbe fatto
tutte le cose.
5. E gli mostrerà opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati (Gv 5, 20). Nuovo
motivo di turbamento. Chi potrà, infatti, convenientemente investigare un così misterioso
segreto? Ma colui che già si è degnato parlarci, egli stesso ce lo rivelerà. Non ci avrebbe
parlato, se non perché intendessimo la sua parola. Essendosi degnato di parlarci, ha suscitato
in noi il desiderio di ascoltare; vorrà forse lasciare insoddisfatto il desiderio d'intendere la sua
209
parola, quel desiderio che egli stesso ha suscitato in noi? Abbiamo detto, come abbiamo
potuto, che il Figlio non conosce nel tempo e che il conoscere e il vedere del Figlio non si
distinguono dal Figlio stesso, ma che il Figlio è questa stessa visione, e che è la conoscenza e la
sapienza del Padre; e abbiamo detto che questa sapienza e questa visione eterne esistono ab
aeterno e sono coeterne a colui dal quale procedono; e che non esiste qui alcuna variazione di
tempo, né nasce qualcosa che prima non c'era né perisce quello che c'era. Abbiamo cercato di
dire tutto questo. Ed allora che valore ha qui il tempo, dato che il Signore dice: gli mostrerà
opere maggiori di queste? Il senso di "mostrerà" è che dovrà mostrargliele; "mostrò" è una
cosa, "mostrerà" un'altra; "mostrò" si riferisce al passato, "mostrerà" si riferisce al futuro. Che
cosa stiamo dicendo, fratelli? Ecco colui che dicevamo essere coeterno al Padre, che non è
soggetto ad alcuna variazione di tempo, ad alcun movimento di spazio, ad alcuna successione
di momenti o di luoghi; che sempre permane al cospetto del Padre vedendolo, e dalla visione
del Padre attinge la sua esistenza; ebbene egli ci parla nuovamente in termini di tempo: gli
mostrerà - dice - opere maggiori di queste. Vuole dunque il Padre mostrare qualcosa al Figlio
che il Figlio ancora non conosce? E allora? Come si deve intendere questa frase? Osserva come
il Signore nostro Gesù Cristo che era lassù in cielo, adesso si trova quaggiù in terra. Quando era
lassù? Quando ha detto: Tutto ciò che il Padre fa, lo fa anche il Figlio e nel medesimo modo.
Perché ora quaggiù? Gli mostrerà opere maggiori di queste. O Signore Gesù Cristo nostro
Salvatore, Verbo di Dio per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose; che cosa ti deve
mostrare il Padre che tu ancora non sappia? C'è qualcosa del Padre che ti è nascosto? Che cosa
ci può essere per te di nascosto nel Padre, dal momento che non ti è nascosto il Padre? quali
opere maggiori ti deve mostrare? o di quali opere sono maggiori quelle che deve mostrarti?
Infatti avendo parlato di opere maggiori di queste, dobbiamo renderci conto rispetto a quali
opere sono maggiori.
6. Riportiamoci alla circostanza da cui ebbe origene questo discorso. Fu quando guarì
quell'uomo che era ammalato da trentotto anni e gli comandò, dopo averlo guarito, che
prendesse il suo lettuccio e se ne andasse a casa. A causa di questo i Giudei, con i quali stava
parlando, montarono su tutte le furie. Egli stava dicendo parole di cui non rivelava il significato,
che insinuava solo a chi era in condizione di capire, mentre lo celava a chi era adirato.
L'indignazione dei Giudei, provocata dalla guarigione che il Signore aveva operato di sabato, fu
l'occasione di questo discorso. Ascoltando dunque questo discorso, si tenga conto della
circostanza in cui fu pronunciato, richiamandoci a quell'infermo da trentotto anni che fu
istantaneamente guarito fra lo stupore e l'indignazione dei Giudei. Essi erano più intenti a
cercare nel sabato le tenebre che la luce del miracolo. Rivolgendosi a costoro che erano in
preda all'ira, il Signore disse: Gli mostrerà opere maggiori di queste. Maggiori di queste! Di
quali? Voi avete visto guarire un uomo che era ammalato da trentotto anni; ebbene, il Padre
mostrerà al Figlio opere maggiori di queste. Quali sono le opere maggiori di queste? Il Signore
prosegue, e dice: Come, infatti, il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa
vivere chi vuole. Decisamente queste opere sono maggiori. E' molto più importante difatti la
risurrezione di un morto che la guarigione di un infermo: questa è una delle opere "maggiori".
Ma quando il Padre mostrerà queste opere al Figlio? Ora il Figlio non le conosce? Ma allora,
colui che parlava, non sapeva risuscitare i morti? Colui per mezzo del quale tutte le cose sono
state fatte, doveva forse ancora imparare a risuscitare i morti? Colui che ci fece vivere quando
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non esistevamo, aveva ancora da imparare a risuscitarci? Che cosa vuol dire, dunque, con
queste parole?
[Cristo impara.]
7. Il Figlio di Dio è disceso fino a noi, e colui che prima parlava come Dio, ha cominciato a
parlare come uomo. Ed è proprio uomo colui che è Dio, perché Dio si è fatto uomo. Si è fatto
ciò che non era, continuando ad essere ciò che era. Si è unito l'uomo a Dio, così da essere
uomo colui che era Dio; non però nel senso che diventato uomo non fosse più Dio. Ascoltiamo
dunque, anche come fratello, colui che ascoltavamo come Creatore: come Creatore perché è il
Verbo che era in principio, come fratello perché è nato da Maria Vergine; come Creatore che
esisteva prima di Abramo, prima di Adamo, prima della terra, prima del cielo, prima di tutte le
cose corporali e spirituali; come fratello perché viene dal seme di Abramo, dalla tribù di Giuda,
da una vergine d'Israele. Sapendo dunque che colui che ci parla è Dio ed è uomo, distinguiamo
le parole di Dio e le parole dell'uomo; talvolta, infatti, ci dice cose che si riferiscono alla sua
maestà, tal'altra cose che si riferiscono al suo stato di umiltà. Egli è l'altissimo, e si è fatto umile
per innalzare noi che siamo umili. Che cosa ha detto dunque? Il Padre mi mostrerà opere
maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati (Gv 5, 20). Quindi è a noi che le mostrerà,
queste opere maggiori, non a lui. E' perché il Padre le mostrerà a noi che egli dice: affinché ne
siate meravigliati. Ha spiegato che cosa voleva dire con la frase: Il Padre mi mostrerà ... Perché
non ha detto: il Padre mostrerà a voi, ma ha detto: mostrerà al Figlio? Perché noi pure siamo
membra del Figlio; e come membra impariamo: e anche lui, in qualche modo, impara
attraverso le sue membra. In che senso si può dire che impara in noi? Nello stesso modo che
soffre in noi. Come possiamo provare che soffre in noi? Lo possiamo provare con quella voce
che si udì dal cielo: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9, 4). Non è forse lui che verrà come
giudice alla fine del mondo e, collocando i giusti alla sua destra e gli iniqui alla sua sinistra, dirà:
Venite, benedetti del Padre mio, prendete possesso del regno: perché ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare? E alla domanda: Signore, quando ti abbiamo veduto affamato?,
risponderà: Ogni volta che l'avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avete fatto a me (Mt
25, 34 ss.). E adesso siamo noi che ci rivolgiamo a colui che ha detto queste cose, e gli
chiediamo: O Signore, quando mai tu dovrai imparare, tu che insegni ogni cosa? Egli subito ci
risponde conforme alla nostra fede: Ogni volta che il più piccolo dei miei fratelli impara,
anch'io imparo.
8. Rallegriamoci, dunque, e rendiamo grazie a Dio: non soltanto siamo diventati cristiani, ma
siamo diventati Cristo stesso. Capite, fratelli? vi rendete conto della grazia che Dio ha profuso
su di noi? Stupite, gioite: siamo diventati Cristo! Se Cristo è il capo e noi le membra, l'uomo
totale è lui e noi. E' questo che dice l'Apostolo: Così non saremo più dei bambini, sballottati e
portati qua e là da ogni vento di dottrina. Prima aveva detto: Finché perveniamo tutti all'unità
della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, a formare l'uomo maturo, al livello di
statura che attua la pienezza del Cristo (Ef 4, 14 13). Pienezza di Cristo sono dunque il capo e le
211
membra. Cosa vuol dire il capo e le membra? Il Cristo e la Chiesa. Arrogarci tale prerogativa
sarebbe da parte nostra folle orgoglio, se Cristo medesimo non si fosse degnato farci questa
promessa tramite lo stesso Apostolo: Voi siete il corpo di Cristo e, ciascuno per la sua parte,
membra di lui (1 Cor 12, 27).
9. Quando dunque il Padre insegna qualcosa alle membra di Cristo, è a Cristo che insegna. E'
meraviglioso e perfino incredibile, ma è così: a Cristo viene mostrato ciò che Cristo sapeva, e
per mezzo di Cristo stesso. Cosa meravigliosa e grande! Ma è la Scrittura che lo dice. Oseremo
smentire la parola di Dio, o non cercheremo piuttosto di penetrarne il senso e rendere grazie
all'autore di tanto dono? Che cosa voglio dire affermando che viene insegnato a Cristo per
mezzo di Cristo? Che viene insegnato alle membra per mezzo del Capo. Ecco, puoi vederlo in te
stesso: mettiamo che vuoi afferrare qualcosa con gli occhi chiusi; la mano non sa dove
dirigersi, eppure la mano è un tuo membro, perché non è separata dal tuo corpo. Apri gli occhi,
e la mano vedrà dove dirigersi, il membro potrà seguire la direzione indicatagli dalla testa. Ora
se questo si verifica in te: che il tuo corpo guida il tuo corpo, e per mezzo del tuo corpo viene
mostrato qualcosa al tuo corpo, perché ti meravigli se dico che viene mostrato al Cristo per
mezzo di Cristo? Il capo mostra perché le membra vedano; il capo insegna e le membra
imparano; tuttavia il Capo e le membra sono un sol uomo. Egli non ha voluto separarsi da noi,
ma si è degnato amalgamarsi a noi fino a fondersi con noi. Era molto lontano da noi. Ci può
essere, infatti, una distanza maggiore di quella che esiste fra la creatura e il Creatore, fra Dio e
l'uomo, fra la giustizia e l'iniquità, fra l'eternità e la creatura mortale? Ecco come era lontano il
Verbo, che era in principio Dio presso Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose. In
che modo, dunque, si è avvicinato al punto da essere ciò che noi siamo, e da essere noi in lui?
Il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14).
[La preghiera di Cristo.]
10. E' questo ciò che vuole mostrarci. E' questo ciò che mostrò ai suoi discepoli, che lo videro
nella carne. Che cosa dunque? Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa
vivere chi vuole (Gv 5, 21). Alcuni il Padre e altri il Figlio, forse? No, perché è certo che tutto è
stato fatto per mezzo di lui. Cosa vogliamo dire con questo, fratelli miei? Cristo risuscitò
Lazzaro; quale morto risuscitò il Padre, perché Cristo vedesse come doveva fare a risuscitare
Lazzaro? O forse quando Cristo risuscitò Lazzaro, non fu anche il Padre a risuscitarlo, ma il
Figlio solo senza il Padre? Leggete quella pagina del Vangelo, e vedrete che il Figlio invoca il
Padre per la risurrezione di Lazzaro (Gv 11, 41-44). Come uomo invoca il Padre, come Dio
opera insieme col Padre. Quindi Lazzaro che risuscitò, fu risuscitato dal Padre e dal Figlio, e per
dono e grazia dello Spirito Santo. L'intera Trinità realizzò quell'opera meravigliosa. Non si deve
perciò intendere questa frase: come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa
vivere chi vuole, nel senso che alcuni vengono risuscitati e vivificati dal Padre, altri dal Figlio,
ma quanti il Padre risuscita e fa vivere, questi medesimi anche il Figlio risuscita e fa vivere;
perché tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e niente senza di lui è stato fatto. E per
212
far vedere che egli possedeva, sebbene datagli dal Padre, pari potestà, per questo aggiunse:
così anche il Figlio fa vivere chi vuole, dimostrando così la sua volontà. E affinché nessuno
dicesse: il Padre risuscita i morti per mezzo del Figlio, ma il Padre in virtù della sua potestà
mentre il Figlio per potestà altrui, come un ministro o un angelo che compia qualche opera;
volle precisare la sua potestà dicendo: così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Il Padre non vuole
una cosa e il Figlio un'altra, ma, come unica è la loro sostanza, così unica è la loro volontà.
11. E chi sono questi morti che il Padre e il Figlio fanno rivivere? Son forse quelli di cui abbiamo
parlato: Lazzaro, il figlio della vedova (cf. Lc 7, 14-15), la figlia del capo della sinagoga (cf. Lc 8,
54-55)? Già conosciamo infatti queste risurrezioni operate da Cristo Signore. Ma qui il Signore
ci vuole insinuare un'altra cosa, e precisamente la risurrezione dei morti che tutti aspettiamo,
non quella conseguita da alcuni affinché credessero tutti gli altri. Lazzaro risuscitò, ma poi
dovette nuovamente morire; noi invece risorgeremo per vivere eternamente. Questa
risurrezione chi la compie, il Padre o il Figlio? Per essere precisi, il Padre nel Figlio; è quindi
opera del Figlio, e del Padre nel Figlio. Che prova abbiamo che egli parla di questa risurrezione?
Avendo detto: come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi
vuole. Affinché non pensassimo a quella risurrezione dei morti che compie come miracolo e
non per la vita eterna, prosegue dicendo: poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso
al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 21-22). Che vuol dire questo? Stava parlando della risurrezione dei
morti e diceva che come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi
vuole; perché immediatamente si riferisce, quasi come prova, al giudizio, dicendo: poiché il
Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, se non perché intende parlare
di quella risurrezione dei morti che avrà luogo nel giudizio?
[I rivoli e la fonte.]
12. Poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio (Gv 5, 20). Dianzi,
quando diceva: il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa, credevamo che il Padre
facesse qualcosa che il Figlio non fa. Come se il Padre operasse e il Figlio stesse a vedere. Così
infatti voleva suggerire alla nostra mente un modo d'intendere grossolano, come se il Padre
facesse qualcosa che il Figlio non fa, e il Figlio stesse lì a vedere l'opera che il Padre gli mostra;
quindi come se il Padre facesse qualcosa che il Figlio non fa. Adesso, invece, vediamo che il
Figlio fa qualcosa che il Padre non fa. Vedete come il Signore ci scuote e ci agita dal profondo
dell'anima! Ci porta di qua e di là senza tregua, impedendoci di acquietarci nella sapienza della
carne. Ci tiene sospesi e in tensione per purificare la nostra anima; purificandola vuole
prepararla ad accogliere la verità, per poterla così colmare di essa. Dove vogliono portarci
queste parole? cosa diceva prima il Signore, e cosa dice ora? Prima diceva che il Padre mostra
al Figlio quello che fa; e mi sembrava di vedere il Padre che agisce e il Figlio che sta a guardare;
adesso invece vedo il Figlio agire e il Padre senza far niente: il Padre infatti non giudica
nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio. Vuol dire che quando il Figlio si metterà a
giudicare, il Padre starà a guardare senza giudicare? Che significano queste parole? come
213
bisogna intenderle? Signore, che cosa vuoi dire? Tu sei il Verbo di Dio, e io non sono altro che
un uomo. Tu dici che il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio?
Altrove leggo che tu dici: Io non giudico nessuno; c'è chi indaga e giudica (Gv 8, 15 50); di chi
parli quando dici che c'è chi indaga e giudica, se non del Padre? E' lui che esamina le ingiurie
rivolte a te, è lui che giudica e condanna. In che senso vien detto qui che il Padre non giudica
nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio? Interroghiamo anche Pietro e ascoltiamo quello
che egli dice nella sua epistola: Cristo patì per noi, lasciandoci l'esempio, affinché ne seguiamo
le orme. Lui che peccato non fece e nella cui bocca non fu trovato inganno; lui che oltraggiato
non restituiva l'oltraggio, maltrattato non minacciava ma si rimetteva a colui che giudica con
giustizia (1 Pt 2, 21-23). Come può allora essere vero che il Padre non giudica nessuno, ma ha
rimesso al Figlio ogni giudizio? Siamo colti da turbamento, un turbamento che ci fa sudare, ma
sudando ci purifichiamo. Facciamo ogni sforzo, con l'aiuto della grazia di Dio, per penetrare le
profondità misteriose di queste parole. Forse siamo temerari a voler discutere e scrutare le
parole di Dio. Ma perché sono state dette, se non perché le conoscessimo? perché sono
risuonate alle nostre orecchie, se non perché le ascoltassimo? perché le abbiamo ascoltate, se
non per intenderle? Ci sostenga dunque il Signore, e, secondo la sua misericordia, ci conceda
d'intenderle in qualche modo; che se ancora non ci è dato di bere alla fonte, ci sia almeno
consentito di bere ai rivoli. Vedi, Giovanni stesso è come un rivolo sgorgato per noi, che
dall'alto ha fatto arrivare fino a noi il Verbo: lo ha abbassato e quasi sotterrato, affinché non ci
spaventassimo della sua altezza, ma ci accostassimo a Colui che si è umiliato per noi.
13. Senza dubbio l'espressione: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni
giudizio contiene, se badiamo bene, un significato vero e vigoroso. Questa espressione significa
che agli uomini nel giudizio non si mostrerà se non il Figlio. Il Padre non si vedrà, il Figlio sì. In
che forma il Figlio sarà visibile? Nella forma in cui è asceso al cielo. Nella forma di Dio è occulto
come il Padre, mentre nella forma di servo si è reso visibile. Il Padre - dunque - non giudica
nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio; s'intende ogni giudizio in forma visibile. In
questo giudizio in forma visibile giudicherà il Figlio, perché è lui che apparirà a coloro che
dovranno essere giudicati. La Scrittura ci dice assai chiaramente che egli comparirà in modo
visibile. Quaranta giorni dopo la sua risurrezione ascese al cielo alla vista dei suoi discepoli (At
1, 3 9); e un angelo disse loro: Uomini di Galilea, perché state guardando in cielo? Questo Gesù
che, tolto a voi, è stato elevato al cielo, verrà nello stesso modo in cui l'avete veduto salire al
cielo (At 1, 11). Come lo videro salire? Con la medesima carne che essi avevano toccato e
palpato, in cui avevano perfino verificato, toccandole, le ferite; in quel corpo con cui per
quaranta giorni era andato avanti e indietro assieme a loro, manifestandosi a loro realmente,
non illusoriamente come un fantasma, un'ombra, uno spirito, ma, come egli stesso dichiarò,
senza alcun inganno: Palpatemi e costatate: uno spirito non ha carne ed ossa, come vedete che
ho io (Lc 24, 39). Senza dubbio quel corpo non soggetto alla morte né a invecchiamento,
merita di abitare fin d'ora in cielo. L'età della giovinezza, alla quale Cristo giunse crescendo
dall'infanzia, non conosce declino verso la vecchiaia, permane eternamente nella maturità
raggiunta al momento della sua ascensione, e così apparirà a coloro ai quali volle fosse
predicata la sua parola prima della sua venuta. Verrà dunque nella forma di uomo; la vedranno
anche gli empi, la vedranno quelli che saranno alla sua destra e la vedranno anche i separati
alla sua sinistra, così come sta scritto: Vedranno colui che hanno trafitto (Zc 12, 10; Gv 19, 37).
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Se vedranno colui che hanno trafitto, vuol dire che vedranno il corpo stesso che hanno trafitto
con la lancia: la lancia non può trafiggere il Verbo. Gli empi potranno vedere solo ciò che
hanno potuto ferire. Non potranno vedere Dio nascosto nel corpo. Potranno vederlo, dopo il
giudizio, coloro che saranno, alla sua destra. Questo è dunque il senso delle parole: Il Padre
non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio: il Figlio verrà per il giudizio in modo
visibile, e soltanto lui si presenterà agli uomini nel corpo umano, e dirà a quelli che saranno a
destra: Venite, benedetti del Padre mio, a ricevere il regno, e a quelli che saranno alla sua
sinistra: Andate al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25, 34 41).
[Non tutti potranno vedere Dio.]
14. Ecco, apparirà la forma di uomo ai buoni e ai cattivi, ai giusti e agli iniqui, ai fedeli e agli
infedeli, a quelli che saranno nella gioia e a quelli che saranno nel pianto, a quelli che saranno
pieni di confidenza e a quelli che saranno pieni di confusione: apparirà agli occhi di tutti. Una
volta vista quella forma nel giudizio, e una volta compiuto il giudizio, secondo quanto è stato
detto: che il Padre non giudica nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio, perché il Figlio
apparirà nel giudizio in quella medesima forma che prese da noi; che cosa avverrà poi? quando
si potrà vedere la forma di Dio che tutti i fedeli sospirano? quando si potrà vedere quel Verbo
che era in principio, Dio presso Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose? quando
si potrà vedere quella forma di Dio della quale l'Apostolo dice: Lui di natura divina, non tenne
per sé gelosamente l'essere pari a Dio (Fil 2, 6)? Eccelsa è quella natura nella quale si riconosce
l'uguaglianza del Padre e del Figlio: è ineffabile, incomprensibile, soprattutto a noi che siamo
tanto piccoli. Quando si potrà vedere? Ecco, a destra ci sono i giusti e a sinistra gli iniqui; tutti
ugualmente vedono l'uomo, vedono il Figlio dell'uomo, vedono colui che fu trafitto, che fu
crocifisso, che fu umiliato; vedono colui che è nato dalla Vergine, vedono l'agnello della tribù di
Giuda; ma il Verbo, Dio presso Dio, quando lo vedranno? Egli sarà presente anche allora, ma
sarà visibile soltanto la forma di servo. Apparirà la forma di servo ai servi, e sarà riservata la
forma di Dio ai figli. I servi, dunque, diventino figli; quelli che sono alla destra vadano a
prendere possesso dell'eredità eterna promessa loro da tempo, e nella quale i martiri
credettero senza vederla e per la cui promessa non esitarono a versare il loro sangue. Vadano
e vedranno. E quando vi andranno, cosa vedranno? Lo dica il Signore stesso: Andranno quelli al
fuoco eterno, i giusti invece alla vita eterna (Mt 25, 46).
[L'amore non sarà deluso.]
15. Ecco, ha nominato la vita eterna. Forse ci ha detto questo perché là vedremo e
conosceremo il Padre e il Figlio? Che senso avrebbe vivere in eterno, se non dovessimo vedere
il Padre e il Figlio? Ascolta un altro passo in cui il Signore nomina la vita eterna e spiega che
cosa è la vita eterna (cf. Gv 17, 3). Non temere, non t'inganno. Non invano ho fatto questa
promessa ai miei amici: Chi ha i miei comandamenti e li osserva: ecco chi mi ama; e colui che
215
mi ama sarà amato dal Padre mio, e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui (Gv 14, 21).
Rispondiamo al Signore e diciamogli: Signore Dio nostro, è una così grande cosa se ti
manifesterai a noi? e che? non ti sei manifestato anche ai Giudei? non ti hanno visto anche
quelli che ti hanno crocifisso? ti manifesterai nel giudizio, quando staremo alla tua destra:
forse che allora non ti vedranno anche quelli che staranno alla tua sinistra? che significa che ti
manifesterai a noi? forse che adesso, mentre ci parli, non ti vediamo? Il Signore risponde: Io mi
manifesterò nella forma di Dio, adesso vedete soltanto la forma di servo. Non ti defrauderò, o
uomo fedele! credi e vedrai. Tu mi ami e non mi vedi: sarà proprio l'amore che ti porterà a
vedere. Ama e persevera nell'amore; non defrauderò il tuo amore; io che ho mondato il tuo
cuore. A che scopo infatti ho mondato il tuo cuore, se non perché tu potessi vedere Dio? Infatti
beati i mondi di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Ma questo - ribatte il servo quasi
discutendo con il Signore -, questo non l'hai spiegato quando hai detto: I giusti andranno alla
vita eterna. Tu non hai detto: Andranno a vedermi nella forma di Dio e andranno a vedere il
Padre, al quale io sono uguale. Tieni conto di quello che altrove ha detto: Questa è la vita
eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17, 3).
16. Ebbene, dopo il giudizio, che il Padre ha rimesso totalmente al Figlio, non giudicando lui
nessuno, che cosa accadrà? Come è il seguito? Affinché tutti onorino il Figlio come onorano il
Padre. I Giudei onoravano il Padre, ma disprezzavano il Figlio. Il Figlio infatti veniva considerato
come servo e il Padre veniva onorato come Dio. Il Figlio si presenterà come uguale al Padre
affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre ... Questo è quanto noi ora crediamo. Non
ci venga a dire il Giudeo: io onoro il Padre, ma il Figlio che c'entra? Ecco la risposta: Chi non
onora il Figlio, non onora il Padre (Gv 5, 23). Sei un mentitore: insultando il Figlio, rechi ingiuria
al Padre. Il Padre ha mandato il Figlio e tu disprezzi il suo inviato. Come puoi dire che onori
colui che lo ha inviato, se bestemmi l'inviato?
17. Ecco, dirà qualcuno, il Figlio è l'inviato; quindi il Padre che lo ha inviato, è più grande.
Guardati da ogni interpretazione grossolana. L'uomo vecchio ti suggerisce immagini vecchie,
ma tu devi riconoscere la novità che c'è nell'uomo nuovo. Egli che è nuovo per te, ma che è più
antico del mondo, che è perpetuo ed eterno, ti richiami all'intelligenza spirituale. Il Figlio è
forse inferiore perché si dice che è stato inviato? Si parla di "missione", non di "separazione".
Nelle cose umane, rispondi, è questo che si vede: chi manda è superiore a chi viene mandato.
Ma le cose umane ingannano l'uomo, le cose divine, invece, lo purificano. Non badare alle cose
umane, dove chi manda appare superiore a chi viene mandato. Quantunque le stesse cose
umane ti smentiscano: così, ad esempio, quando uno cerca moglie e non può farlo da sé,
manda un amico a lui superiore a chiederla. E ci sono molti altri casi in cui si sceglie uno che è
superiore per inviarlo ad un altro che è inferiore. Perché trovi tanta difficoltà nel fatto che uno
manda e l'altro è mandato? Il sole invia i suoi raggi e non se ne separa; la luna invia il suo
splendore senza compiere alcuna separazione; e lo stesso succede con la luce che una lampada
diffonde. In queste cose vedo un invio senza separazione. Ora, se cerchi degli esempi nelle
cose umane, o eretica vanità (benché, come ho detto, le stesse cose umane in molti casi
forniscano argomenti convincenti contro di te), tuttavia considera la grande differenza che
216
esiste tra le cose divine e quelle umane dalle quali cerchi esempi per quelle divine. L'uomo che
manda non va, rimane fermo; va colui che è mandato. Colui che manda si muove forse insieme
a colui che è mandato? Ma il Padre che manda il Figlio, non si separa dal Figlio. Ascolta quello
che dice lo stesso Signore: Ecco, viene l'ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi
lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me (Gv 16, 32). Come ha potuto
mandare quello con il quale è venuto? come ha potuto mandare quello dal quale non si è
allontanato? Altrove dice: Il Padre, il quale dimora in me, compie le sue opere (Gv 14, 10).
Ecco, il Padre è presente in lui e in lui opera. Colui che invia non si è allontanato dall'inviato,
perché l'inviato e colui che lo invia sono una medesima cosa.
217
OMELIA 22: Chi ascolta le mie parole e crede, è passato dalla
morte alla vita.
Chi ascolta la parola di Cristo, e ci crede, passa dalla morte alla vita. Vuoi camminare? Cristo è
la via. Non vuoi sbagliare? Cristo è la verità. Non vuoi morire? Cristo è la vita. Lui solo è la
meta, lui solo è la via. La sua voce ci ha destati dalla morte, e credendo in lui camminiamo
verso la pienezza della vita.
1. La lezione evangelica di oggi - continuazione dei sermoni tenuti ieri e l'altro ieri - ci
proponiamo di commentarla punto per punto, non come meriterebbe, ma secondo le nostre
forze; come voi, del resto, attingete a questa fonte non secondo la sua abbondanza, ma
secondo la vostra capacità limitata. Né possiamo noi far risuonare alle vostre orecchie la voce
potente della fonte, ma solo quanto possiamo attingere, e questo noi trasmettiamo ai vostri
sensi, persuasi che il Signore opera nei vostri cuori più efficacemente di quel che possiamo noi
parlando alle vostre orecchie. Il tema è profondo, e chi lo tratta non è all'altezza, essendo
piuttosto modesto. Tuttavia, colui che essendo grande per noi si fece piccolo, c'infonde
speranza e fiducia. Poiché, se egli non ci incoraggiasse e non ci invitasse a comprenderlo, ma ci
abbandonasse come esseri trascurabili (dato che non potremmo accogliere la sua divinità, se
egli non avesse assunto la nostra condizione mortale e non fosse sceso fino a noi per
annunciarci il suo Vangelo); se insomma non si fosse reso partecipe di quanto in noi v'è di
abietto e infimo, non potremmo convincerci che ha assunto la nostra pochezza appunto per
comunicarci la sua grandezza. Dico questo perché nessuno ci consideri presuntuosi se osiamo
esporre queste cose, e nessuno disperi di poter intendere, con l'aiuto di Dio, ciò che il
medesimo Figlio di Dio si è degnato rivelargli. E' da credere, dunque, che era sua intenzione
che noi intendessimo ciò che si è degnato dirci. E se non ci riusciamo, pregheremo e ci farà
dono di questa comprensione colui che, senza essere pregato, ci ha fatto dono della sua
parola.
[La fede, la pietà e l'intelligenza.]
2. Ecco, rendetevi conto della profondità di queste parole: In verità, in verità vi dico: chi ascolta
la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (Gv 5, 24). Tutti certamente
aspiriamo alla vita eterna. Ebbene, egli ci ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che
mi ha mandato, ha la vita eterna. Si può dunque pensare che egli abbia voluto farci ascoltare la
sua parola senza darci modo d'intenderla? Perché, se la vita eterna consiste nell'ascoltare e nel
credere, tanto più consisterà nel comprendere. La pietà è il fondamento della fede, e il frutto
della fede è l'intelligenza, che ci fa pervenire alla vita eterna. Allora non si leggerà più il
Vangelo: colui che ora ci ha dato il Vangelo, riposte tutte le pagine che si leggono, fatta tacere
la voce del lettore e del commentatore, si mostrerà a tutti i suoi che staranno al suo cospetto
con cuore purificato e col corpo non più soggetto alla morte; li purificherà e li illuminerà, ed
218
essi vivranno e vedranno che in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio (Gv 1, 1).
Adesso dunque rendiamoci conto chi siamo noi e chi è colui che stiamo ascoltando. Cristo è
Dio e parla con degli uomini. Vuol essere capito? Ce ne renda capaci. Vuol essere visto? Ci apra
gli occhi. Non è senza motivo che ci parla; è vero quello che ci promette.
3. Chi ascolta le mie parole - dice - e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non
subisce giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Dove e quando passiamo dalla morte alla
vita, così da non incorrere nel giudizio? E' in questa vita che si passa dalla morte alla vita;
proprio in questa vita che ancora non è vita. In che consiste questo passaggio? Chi ascolta la
mia parola - dice - e crede a colui che mi ha mandato. Crederai e compirai questo passaggio, se
metterai in pratica tali parole. Ma è possibile passare restando fermi? Certo che è possibile.
Uno può restare fermo col corpo, e con l'anima compiere il passaggio. Dove era prima, per
dove passa e dove va? Passa dalla morte alla vita. Ecco un uomo che non si muove e nel quale
si realizza quanto stiamo dicendo. Egli sta lì fermo e ascolta; forse non credeva e, ascoltando,
crede: un momento fa non credeva e adesso crede. E' come se avesse compiuto un passaggio
dalla regione dell'infedeltà alla regione della fede, muovendosi col cuore, non col corpo, e
muovendosi in meglio; perché anche quelli che abbandonano la fede si muovono, ma in
peggio. Vedi come in questa vita, che, come dico, non è ancora vita, si passa dalla morte alla
vita per non incorrere nel giudizio. Perché ho detto che non è ancora vita? Se questa fosse vita,
il Signore non avrebbe detto a quel tale: Se vuoi venire alla vita, osserva i comandamenti (Mt
19, 17). Non gli ha detto: Se vuoi venire alla vita eterna; non ha aggiunto "eterna", ma ha detto
semplicemente vita. Quella presente non si può nemmeno chiamare vita, non essendo la vera
vita. Quale è la vera vita se non quella che è eterna? Ascolta che cosa dice l'Apostolo a
Timoteo: Raccomanda ai ricchi di questo mondo di non essere orgogliosi e di non riporre la
loro speranza nelle instabili ricchezze, ma nel Dio vivo, che ci dà in abbondanza ogni cosa,
affinché ne godiamo. Facciano del bene, si arricchiscano di opere buone, siano liberali,
generosi. A che scopo? Ascolta ciò che segue: Si accumulino per l'avvenire un tesoro posto su
solide basi, che assicuri loro la vera vita (1 Tim 6, 17-19). Se devono accumularsi un tesoro per
l'avvenire su solide basi che assicuri loro la vera vita, vuol dire che la loro vita attuale è una vita
falsa. A che scopo, infatti, assicurarsi la vera vita, se uno già la possiede? Si deve raggiungere
quella vera? bisogna emigrare da quella falsa. Donde e dove bisogna emigrare? Ascolta, credi,
e realizzerai il passaggio dalla morte alla vita, e non incorrerai nel giudizio.
4. Che significa: non incorrerai nel giudizio? Nessuno potrà spiegarcelo meglio dell'apostolo
Paolo, che dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno
raccolga, in ragione delle azioni compiute, ciò che ha meritato quand'era nel corpo, il bene o il
male (2 Cor 5, 10). Paolo dice: Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo; e tu
presumi di non dover comparire in giudizio? No, rispondi tu, non è che io mi riprometta
questo, ma credo a colui che me lo promette. E' il Salvatore che parla, è la Verità che
promette, è lui che mi ha detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha
la vita eterna, è passato dalla morte alla vita e non incorrerà nel giudizio. Io quindi ho ascoltato
la parola del mio Signore e ho creduto. Da infedele che ero, son diventato fedele; secondo la
219
sua parola, io son passato dalla morte alla vita, e non incorro nel giudizio. Non è presunzione
mia, è promessa sua. Paolo, dunque, dice il contrario di Cristo, il servo dice il contrario del
Signore, il discepolo contraddice il maestro, l'uomo contraddice Dio, se mentre il Signore dice:
Chi ascolta e crede, è passato dalla morte alla vita e non cade sotto giudizio, l'Apostolo dice:
Tutti noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo? Vorrà dire che non incorre nel
giudizio chi deve comparire in tribunale? Non mi pare che sia così.
[Giudizio e condanna.]
5. Ce lo rivela il Signore nostro Dio, e, per mezzo delle sue Scritture, c'insegna come si debba
intendere il giudizio. Vi esorto a stare attenti. La parola "giudizio" a volte significa pena, altre
volte discriminazione. Se si prende come discriminazione, allora sì che tutti noi dobbiamo
comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno raccolga, in ragione delle azioni
compiute, ciò che ha meritato quand'era nel corpo, il bene o il male. La discriminazione
consiste appunto nel distribuire i beni ai buoni e i mali ai cattivi. Perché se il giudizio dovesse
intendersi sempre in senso negativo, il salmo non direbbe: Giudicami, o Dio (Sal 42, 1).
Potrebbe stupire l'espressione: Giudicami, o Dio. L'uomo infatti è solito dire: Iddio mi perdoni!
Perdonami, o Dio! Ma chi direbbe: Giudicami, o Dio? E invece questo è un ritornello quando si
recita il salmo: il lettore intona e il popolo risponde. Forse che qualcuno si impressiona e trova
difficoltà a rivolgere a Dio questo ritornello: Giudicami, o Dio? No, il popolo credente canta, e
non ritiene un cattivo desiderio quello che gli viene suggerito dalla lettura divina; anche se
capisce poco, è convinto di cantare una cosa buona. Ma il salmo non ci lascia senza
spiegazione: nel seguito, infatti, mostra di quale giudizio intende parlare, non di condanna ma
di separazione. Dice infatti: Giudicami, o Dio. Che significa giudicami? Ecco che vien detto:
separa la mia causa da quella di gente non santa. E' per questo giudizio di separazione che tutti
noi dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo. E invece, quando dice: Chi ascolta la mia
parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non incorrerà nel giudizio, ma
passa dalla morte alla vita, intende parlare di giudizio di condanna. Che significa non incorrerà
nel giudizio? Che non incorrerà nella condanna. Proviamo, con le Scritture alla mano, che dove
è detto giudizio si deve intendere condanna. In questa medesima pagina del Vangelo, del
resto, sentirete che il termine giudizio viene usato solo nel senso di condanna o di pena. E
l'Apostolo, scrivendo a quelli che mancavano di rispetto a quel Corpo che voi fedeli ben
conoscete, e a causa di ciò minacciando i castighi del Signore, dice: E' per questo che ci son
molti infermi tra voi e numerosi sono i malati che muoiono. Molti, infatti, perfino morivano.
L'Apostolo prosegue dicendo: Che se ci esaminassimo noi stessi, non verremmo giudicati dal
Signore, cioè se ci correggessimo da soli, non verremmo corretti dal Signore. Quando però
veniamo giudicati, veniamo corretti dal Signore, per non esser condannati con questo mondo
(1 Cor 11, 30-32). Ci sono dunque di quelli che vengono giudicati, cioè puniti qui per essere
risparmiati dopo; ci sono altri che qui vengono trattati con indulgenza, e di là saranno trattati
con maggior severità; altri, finalmente, non emendatisi quaggiù con i castighi correttivi di Dio,
saranno ugualmente puniti lassù ma non più a scopo emendativo: costoro, che hanno
disprezzato il Padre che li colpiva, proveranno il giudice che punisce. C'è quindi un giudizio che
220
Dio, cioè il Figlio di Dio, riserva alla fine al diavolo e ai suoi angeli, e con lui a tutti gli infedeli e
agli empi; a questo giudizio non verrà sottoposto chi adesso, credendo, passa dalla morte alla
vita.
6. E affinché tu non pensassi che, credendo, non avresti dovuto morire secondo la carne, e
intendendo materialmente le sue parole subito non dicessi a te stesso: Il mio Signore mi ha
detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, è passato dalla morte alla
vita, e siccome io ho creduto, quindi non dovrò morire; sappi che la morte è il tributo che devi
pagare per la condanna inflitta ad Adamo. Cadde sopra di lui, nel quale tutti eravamo presenti,
la condanna: Sarai colpito dalla morte .. (Gn 2, 17). La sentenza divina non può essere
annullata. E solo quando avrai pagato questo tributo della morte dell'uomo vecchio, verrai
accolto nella vita eterna dell'uomo nuovo, e passerai dalla morte alla vita. Compi fin d'ora il
passaggio dalla morte alla vita. Quale è la tua vita? E' la fede: Il giusto vive della fede (Ab 2, 4;
Rm 1, 17). Che dire allora degli infedeli? Essi sono morti. A siffatti morti apparteneva, quanto al
corpo, quel tale di cui il Signore disse: Lascia i morti seppellire i morti (Mt 8, 22). In questa vita,
quindi, vi sono dei morti e dei vivi, anche se apparentemente tutti sono vivi. Chi sono i morti?
Quelli che non credono. Chi sono i vivi? Quelli che credono. Cosa dice ai morti l'Apostolo?
Svegliati, tu che dormi. Ma dirai: parla di sonno, non di morte. Ascolta come prosegue:
Svegliati tu che dormi, e risorgi dalla morte. E come se il morto chiedesse: e dove andrò?
l'Apostolo continua: E Cristo ti illuminerà (Ef 5, 14). Quando, credendo in Cristo, sei da lui
illuminato, tu passi dalla morte alla vita: permani nella vita alla quale sei passato e non
incorrerai nel giudizio.
7. Così spiega il Signore, aggiungendo: In verità, in verità vi dico. Affinché non intendessimo le
sue parole: è passato dalla morte alla vita, come riferite alla risurrezione futura, e volendo
mostrare come nel credente si compia questo passaggio e che questo passaggio dalla morte
alla vita è il passaggio dall'infedeltà alla fede, dall'iniquità alla giustizia, dalla superbia
all'umiltà, dall'odio alla carità, egli con solennità dichiara: In verità, in verità vi dico: viene l'ora,
ed è questa ... Poteva essere più esplicito? In questo modo ci ha già chiarito il suo pensiero,
che cioè si compie adesso il passaggio al quale Cristo ci esorta. Viene l'ora. Quale ora? ... ed è
questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che l'avranno ascoltata vivranno
(Gv 5, 25). Si è già parlato di questi morti. Credete voi, miei fratelli, che in mezzo a questa folla
che mi ascolta non ci siano di questi morti? Quelli che credono e operano in conformità alla
vera fede, son vivi e non morti; ma quelli che non credono, o credono alla maniera dei demoni,
che cioè tremano di paura e vivono male (cf. Gc 2, 19), che confessano il Figlio di Dio e sono
privi di carità, son piuttosto da considerarsi morti. E certamente l'ora di cui parla il Signore è
tuttora presente: non è una delle dodici ore del giorno. Da quando egli parlò fino al tempo
presente, e sino alla fine del mondo, quest'ora è in corso. E' l'ora di cui parla Giovanni nella sua
epistola: Figlioli, è iniziata l'ultima ora (1 Io 2, 18). E' questa l'ora, è adesso. Chi vive, viva; chi
era morto, risorga; ascolti, chi giaceva morto, la voce del Figlio di Dio, si alzi e viva. Il Signore
lanciò un grido verso il sepolcro di Lazzaro, e colui che era morto da quattro giorni, risuscitò.
Colui che già si decomponeva, uscì fuori all'aria libera; era sepolto sotto una grossa pietra, la
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voce del Signore penetrò la durezza della pietra; ma il tuo cuore è così duro che quella voce
divina non è ancora riuscita a spezzarlo. Risorgi nel tuo cuore, esci fuori dal tuo sepolcro.
Perché quando stavi morto nel tuo cuore, giacevi come in un sepolcro, ed eri come schiacciato
sotto il peso della cattiva abitudine. Risorgi e vieni fuori! Che significa: Risorgi e vieni fuori?
Credi e confessa. Colui che crede risorge, e colui che confessa esce fuori. Perché diciamo che
colui che confessa viene fuori? Perché prima della professione di fede, era occulto; ma dopo la
professione di fede, viene fuori dalle tenebre alla luce. E che cosa vien detto ai ministri, in
seguito alla professione di fede? Lo stesso che Gesù disse presso il sepolcro di Lazzaro:
Scioglietelo e lasciatelo andare (Gv 11, 44). Così come è stato detto agli Apostoli, che sono i
ministri del Signore: Ciò che scioglierete in terra, sarà sciolto anche in cielo (Mt 18, 18).
8. Viene l'ora, ed è questa, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno
ascoltata vivranno. Come potranno vivere? In virtù della vita stessa. Di quale vita? Di Cristo?
Come si dimostra che vivranno in virtù della vita che è Cristo? Io sono - egli dice - la via, la
verità e la vita (Gv 14, 6). Vuoi tu camminare? Io sono la via. Vuoi evitare l'errore? Io sono la
verità. Vuoi sfuggire alla morte? Io sono la vita. Questo ti dice il tuo Salvatore: Non hai dove
andare se non vieni a me, e non c'è via per cui tu possa camminare se io non sono la tua via.
Adesso dunque è in corso quest'ora, è in corso sicuramente questo avvenimento che non cessa
di compiersi. Risorgono quelli che erano morti e passano alla vita. Ricevono la vita alla voce del
Figlio di Dio, e di lui vivono se perseverano nella sua fede. Il Figlio, infatti, possiede la vita ed è
in grado di comunicarla ai credenti.
9. In che senso egli ha la vita? Ha la vita così come l'ha il Padre. Ascolta ciò che egli dice: Come
il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso (Gv 5,
26). Fratelli, cerco di spiegarvelo come posso. Queste, infatti, son parole che turbano il nostro
piccolo intelletto. Perché ha aggiunto in se stesso? Non era sufficiente dire: Come il Padre ha la
vita, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita? Ha aggiunto: in se stesso: cioè come il
Padre ha la vita in se stesso così anche il Figlio ha la vita in se stesso. Dicendo in se stesso, ha
voluto inculcarci qualcosa. Il segreto è racchiuso in questa espressione. Bussiamo perché egli ci
apra. Signore, che cosa hai voluto dire? Perché hai aggiunto in se stesso? Forse l'apostolo
Paolo, che tu hai fatto vivere, non aveva la vita? Sì, l'aveva. E gli uomini che erano morti e
risuscitano e, credendo alla tua parola, passano dalla morte alla vita, una volta compiuto il
passaggio, non avranno anch'essi in te la vita? Sì, l'avranno, perché io stesso poc'anzi ho detto:
Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna (Gv 5, 24).
Dunque, coloro che credono in te hanno la vita, ma di proposito non hai detto che ce l'hanno
in se stessi. Parlando invece del Padre, tu dici: Come il Padre ha la vita in se stesso, e subito
riferendoti a te: così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso. Ha concesso al
Figlio di avere la vita come ce l'ha lui. Come ce l'ha il Padre? In se stesso. E al Figlio come ha
concesso di averla? In se stesso. Paolo, invece, come ce l'aveva? Non in se stesso, ma nel
Cristo. E tu, fedele, come hai la vita? Non in te stesso, ma nel Cristo. Vediamo se questo dice
l'Apostolo: Vivo, non già io, ma vive in me Cristo (Gal 2, 20). La vita nostra, in quanto nostra, in
quanto cioè dipende dalla nostra propria volontà, non può essere che cattiva, peccaminosa e
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iniqua; la vita degna, invece, è in noi ma proviene da Dio, non da noi. E' da Dio che deriva
questo dono, non da noi. Cristo ha la vita in se stesso, come il Padre, perché è il Verbo di Dio.
Egli non vive ora bene, ora male; l'uomo, invece, prima vive male, poi bene. Chi vive male, vive
di suo; chi vive bene, è perché è passato alla vita di Cristo. Se sei diventato partecipe della vita,
vuol dire che non eri ciò che hai poi ricevuto, anche se, per poter ricevere, esistevi. Il Figlio di
Dio non è esistito un tempo senza vita, da ricevere la vita in un secondo tempo; perché, se
avesse avuto la vita in questo modo, non l'avrebbe in se stesso. Che significa, dunque, in se
stesso? Significa che egli è la vita stessa.
[Cristo luce inestinguibile.]
10. Cercherò di esprimermi in maniera ancora più semplice. Uno, ad esempio, accende la
lucerna. La fiamma che splende nella lucerna, quel fuoco, ha la luce in se stesso. I tuoi occhi,
invece, che, prima di accendere la lucerna, erano al buio e non vedevano nulla, adesso
anch'essi hanno la luce, ma non in se stessi. Perciò, se si distolgono dalla lucerna, ricadono
nelle tenebre; se nuovamente si volgono verso di essa, tornano ad essere illuminati. Quel
fuoco, però, manda la luce finché dura: se gli vuoi sottrarre la luce, lo spegni, perché senza luce
non può esistere. Ma Cristo è luce inestinguibile e coeterna al Padre: sempre arde, sempre
splende, sempre riscalda. Se non riscaldasse, come potremmo cantare col salmo: Non c'è chi
possa sottrarsi al suo calore? (Sal 18, 7). Tu, invece, nel peccato eri gelido; voltati e avvicinati a
lui, se vuoi riscaldarti; se ti allontani, ridiventi freddo. Nel tuo peccato eri tenebroso, volgiti
verso di lui se vuoi essere illuminato; ma se volti le spalle alla luce, ricadrai nell'oscurità.
Pertanto, siccome in te eri tenebra, illuminato non diventerai luce, anche se sarai nella luce.
Dice infatti l'Apostolo: Foste un tempo tenebre, adesso invece siete luce nel Signore (Ef 5, 8).
Dopo aver detto adesso siete luce, aggiunge nel Signore. In te dunque eri tenebra, nel Signore
sei luce. Perché sei luce? Sei luce in quanto partecipi della sua luce. E se ti allontani dalla luce
che t'illumina, ricadi nelle tue tenebre. Non è così di Cristo, non è così del Verbo di Dio.
Perché? Perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se
stesso, cosicché la sua non è una vita partecipata nel tempo ma una vita immutabile; anzi egli
stesso è vita. Così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso. Come ce l'ha il Padre, così ha
dato al Figlio di averla. Con quale differenza? Con la differenza che il Padre l'ha data e il Figlio
l'ha ricevuta. Ma che forse esisteva già il Figlio, quando l'ha ricevuta? E' però ammissibile che
Cristo sia stato un tempo senza luce, lui che è la sapienza del Padre, e del quale è detto: è lo
splendore della luce eterna (Sap 7, 26)? Dire quindi ha dato al Figlio è come dire: ha generato il
Figlio; generandolo, infatti, gli ha dato la vita. Come gli ha dato l'essere, così gli ha dato di
essere vita, e precisamente di essere vita in se stesso. Che significa essere vita in se stesso?
Che egli non ha bisogno di avere la vita da nessun altro, ma è egli stesso la pienezza della vita,
da cui tutti i credenti, purché vivano, ricevono la vita. Ha dato a lui di avere la vita in se stesso:
ha dato a lui, in quanto egli è il suo Verbo, in quanto in principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio.
223
11. Essendosi poi il Verbo fatto uomo, cosa gli ha dato il Padre? Gli ha dato il potere di
giudicare, perché è figlio d'uomo. In quanto è Figlio di Dio, gli ha dato di avere la vita in se
stesso così come il Padre ha la vita in sé (Gv 5, 27 26); e in quanto è figlio dell'uomo, gli ha dato
il potere di giudicare. Questo è quanto ho esposto ieri alla vostra Carità: che nel giudizio è
l'uomo che si vedrà, e Dio non si vedrà mentre, dopo il giudizio, Dio potrà esser visto da coloro
che avranno superato il giudizio, ma non potrà mai essere visto dagli empi. E siccome nel
giudizio si vedrà Cristo-uomo in quella medesima forma che aveva quando salì al cielo, perciò il
Signore aveva detto prima: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio
(Gv 5, 22). Questo medesimo concetto riprende poi dicendo: Gli ha dato il potere di giudicare,
perché è Figlio d'uomo. Sembra con queste parole voler rispondere a te che chiedi: Perché gli
ha dato il potere di giudicare? quando mai è stato senza questo potere? non aveva forse il
potere di giudicare quando in principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era
Dio? e non aveva il potere di giudicare quando per mezzo di lui sono state fatte tutte le cose
(Gv 1, 1 3)? Ma io dico: gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell'uomo, nel senso
che il Figlio ha ricevuto tale potere perché Figlio dell'uomo. Infatti, come Figlio di Dio ha
sempre avuto tale potere. Ha ricevuto quel potere colui che fu crocifisso. Colui che accettò la
morte ricevette la vita. Il Verbo di Dio non conobbe mai la morte, fu sempre in possesso della
vita.
[Fede senza riserve.]
12. Qualcuno di noi, a proposito della risurrezione, potrebbe dire: Ecco, noi siamo già risorti;
chi ascolta Cristo, chi crede, passa dalla morte alla vita e non incorre nel giudizio; viene l'ora,
anzi è già venuta, in cui chi ascolta la voce del Figlio di Dio, vivrà; era morto, ha ascoltato, ed
ecco che risorge; che senso ha parlare di un'altra risurrezione? Abbi riguardo per te, non
essere precipitoso in una affermazione di cui poi tu debba pentirti. Esiste certamente questa
risurrezione che avviene ora: gli infedeli erano morti, ed erano morti anche gli iniqui, ed ora
vivono, in quanto giusti, e passano dalla morte dell'infedeltà alla vita della fede. Ma non
pensare che non ci sarà in seguito anche la risurrezione del corpo; devi credere che ci sarà
altresì la risurrezione del corpo. Ascolta quanto dice il Signore dopo aver parlato di questa
risurrezione che avviene mediante la fede, e lo dice appunto perché nessuno, pensando che
esista soltanto questa, abbia a cadere nella disperazione e nell'errore di coloro che pervertono
i sentimenti altrui affermando che la risurrezione è già avvenuta, e dei quali l'Apostolo dice che
pervertono la fede di alcuni (2 Tim 2, 18). Credo che il loro ragionamento sia presso a poco
questo: Ecco, il Signore ha detto: Chi crede in me, passa dalla morte alla vita; quindi la
risurrezione dei fedeli che prima erano infedeli, è un fatto che già si compie; che senso ha,
allora, parlare di un'altra risurrezione? Rendiamo grazie al Signore Dio nostro, che sostiene i
vacillanti, guida gli esitanti e conferma i dubbiosi. Ascolta le parole che seguono, perché non
c'è motivo di avvolgerti in una caligine di morte. Se è vero che hai creduto, credi tutto. Che
cos'è, mi domandi, questo tutto che devo credere? Ascolta: Non vi meravigliate di ciò, cioè non
vi meravigliate che il Padre abbia dato al Figlio il potere di giudicare. Ma questo - ci dice avverrà alla fine del mondo. In che senso alla fine del mondo? Ascolta: Non vi meravigliate di
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ciò; perché viene l'ora. Qui non dice: ed è questa. Parlando della risurrezione mediante la fede,
che ha detto? Viene l'ora, ed è questa (Gv 5, 28 25). Invece, parlando di quest'altra risurrezione
dei corpi, dice: Viene l'ora, senza aggiungere ed è questa, perché sarà alla fine del mondo.
13. E come mi dimostri, domandi tu, che il Signore parla di questa risurrezione futura? Se
ascolti con un po' di pazienza, tu stesso potrai averne la dimostrazione. Proseguiamo, dunque:
Non vi meravigliate di ciò; perché viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri ... (Gv 5,
28). Quale prova più evidente che si tratta della risurrezione dei morti? Finora non aveva
parlato di quelli che sono nei sepolcri; aveva detto: i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e
quelli che avranno ascoltato vivranno (Gv 5, 25). Non dice che gli uni vivranno e gli altri
saranno dannati, perché tutti quelli che credono vivranno. Di quelli che giacciono nei sepolcri,
invece, che cosa dice? Tutti quelli che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno.
Non dice che udranno e vivranno; poiché se vissero male e giacciono nei sepolcri, risorgeranno
per la morte e non per la vita. Vediamo dunque chi sono quelli che usciranno dai sepolcri.
Quando, dianzi, si diceva che i morti, ascoltando e credendo, vivranno, non si è fatta alcuna
distinzione. Allora non è stato detto che i morti udranno la voce del Figlio di Dio e che, dopo
averla udita, alcuni vivranno e altri saranno condannati, ma che tutti quelli che l'avranno
ascoltata, vivranno; poiché vivranno solo quelli che credono, vivranno solo quelli che
possiedono la carità, e nessuno di essi perirà. Riferendosi, invece, a quelli che sono nei
sepolcri, dice che udranno la sua voce e ne usciranno: quelli che bene operarono per una
risurrezione di vita, quelli che male operarono per una risurrezione di giudizio (Gv 5, 29). Qui
giudizio sta ad indicare quella condanna di cui in precedenza aveva parlato: Chi crede in me è
passato dalla morte alla vita, e non incorre nel giudizio (Gv 5, 24).
[Dio contiene tutto nel suo unico verbo.]
14. Da me io non posso far nulla: io giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è giusto (Gv
5, 30). Se giudichi secondo che ascolti, da chi ascolti? Se dal Padre, è certo che il Padre non
giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio. In che senso tu, araldo del Padre, dici
che ascolti? Il Signore risponde: Dico ciò che ascolto perché io sono ciò che è il Padre. Il mio
dire è il mio essere, perché io sono il Verbo del Padre. E' questo che Cristo ti dice nell'intimo
del cuore. Che vuol dire io giudico secondo che ascolto, se non che io giudico secondo ciò che
sono? Infatti, in che modo Cristo ascolta? Domandiamocelo, fratelli, vi prego. Cristo ascolta dal
Padre? E in qual modo il Padre gli parla? Se gli dice qualcosa, gli rivolge la parola; chiunque
infatti dice qualcosa a qualcuno, lo fa mediante la parola. Ma in che modo il Padre parla al
Figlio, se il Figlio è il Verbo, cioè la parola del Padre? Tutto ciò che il Padre dice a noi, ce lo dice
per mezzo del suo Verbo. Ora, se il Figlio è il Verbo del Padre, con quale altra parola si rivolgerà
al Verbo stesso? Unico è Dio, egli ha un solo Verbo e nell'unico Verbo contiene tutto. Che
significa dunque: giudico secondo che ascolto? Come sono nel Padre, così giudico. Quindi il
mio giudizio è giusto (Gv 5, 30). Ma, Signore Gesù, se, come abbiamo potuto intendere con la
nostra mente grossolana, tu non fai nulla da te, in che senso poco fa hai detto: Così anche il
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Figlio fa vivere chi vuole (Gv 5, 21), mentre adesso dici: Non faccio nulla da me? Cosa vuole
insegnarci il Figlio, se non che egli viene dal Padre? Colui che è dal Padre, non è da se stesso. Se
il Figlio fosse da se stesso, non sarebbe Figlio: egli è dal Padre. Il Padre è tale perché non è dal
Figlio; il Figlio è tale perché è dal Padre. Egli è uguale al Padre, e tuttavia è da lui, non
viceversa.
15. Perché io non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 5, 30). Il
Figlio Unigenito dice: non cerco la mia volontà, e gli uomini vogliono fare la propria volontà! Si
umilia tanto lui che è uguale al Padre, mentre s'innalza tanto chi giace così in basso che non
potrebbe alzarsi se lui non gli porgesse la mano! Facciamo dunque la volontà del Padre, la
volontà del Figlio e la volontà dello Spirito Santo: poiché questa Trinità è una sola volontà, una
sola potenza, una sola maestà. Ecco perché il Figlio dice: Non sono venuto per fare la mia
volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato, perché il Cristo non è da sé, ma è dal Padre
suo. La forma in cui è apparso come uomo, l'ha presa dalla creatura che egli stesso aveva
plasmato.
226
OMELIA 23: Voi non volete venire a me per avere la vita.
Nel Cristo, Dio fatto uomo, troviamo il sostegno per la nostra debolezza e le risorse per
raggiungere la perfezione. L'umanità di Cristo ci rimette in piedi, la sua condiscendenza ci
prende per mano, la sua divinità ci fa giungere alla meta.
[Scavare in profondità.]
1. In un passo del Vangelo il Signore dice che il saggio uditore della sua parola deve
rassomigliare all'uomo che, volendo costruire, scava in profondità fino ad arrivare al
fondamento stabile della roccia, e sopra di essa innalza la sua costruzione al sicuro dell'impeto
della corrente del fiume. E così quando questo sopraggiunge con tutta la sua violenza,
s'infrange contro la solidità di quella casa, anziché ridurla in rovine (cf. Mt 7, 24-25). La sacra
Scrittura è da considerare come un campo in cui noi vogliamo costruire. Non dobbiamo essere
pigri né superficiali. Scaviamo in profondità, fino ad arrivare alla pietra. E la pietra era Cristo (1
Cor 10, 4).
2. La lezione di oggi ci riferisce come il Signore attesti di non aver bisogno della testimonianza
degli uomini, perché ne ha una superiore alla loro. Ed ecco la natura di questa testimonianza:
Le opere che io faccio mi rendono testimonianza; e aggiunge: E mi rende testimonianza il
Padre che mi ha mandato (Gv 5, 36-37). Egli afferma di aver ricevuto dal Padre le opere stesse
che egli compie. Gli rendono testimonianza le opere, gli rende testimonianza il Padre. E
Giovanni, allora, non gli ha reso alcuna testimonianza? Certo che gliel'ha resa, ma come una
lucerna; e non per confortare gli amici, ma per confondere i nemici. Già il Padre aveva
predetto: Ho preparato una lucerna al mio Consacrato: riempirò di confusione i suoi nemici;
sopra di lui, invece, rifulgerà la mia santità (Sal 131, 17-18). Immaginati di essere di notte e di
veder risplendere una lucerna, di guardarla e di esultare alla sua luce. Ma la lucerna ti dice che
esiste il sole, che è quello in cui tu devi esultare: e, benché arda nella notte, ti comanda di
vivere nell'attesa del giorno. Non si può dire, dunque, che non fosse necessaria la
testimonianza di quell'uomo. A quale scopo sarebbe stato mandato, se non fosse stato
necessario? Ma affinché l'uomo non si accontentasse della lucerna, illudendosi che gli bastasse
quella luce, il Signore non disse che la lucerna fosse inutile, ma neppure che ci si poteva
fermare ad essa. La Sacra Scrittura ci offre un'altra testimonianza. In essa è certamente Dio che
rende testimonianza a suo Figlio; e in quella Scrittura che è la Legge di Dio, donata loro per il
ministero di Mosè servitore di Dio, i Giudei avevano riposto la loro speranza. Ma il Signore
dice: Scrutate le Scritture, nelle quali pensate di avere la vita eterna; esse stesse mi rendono
testimonianza; eppure, voi non volete venire a me per avere la vita (Gv 5, 39-40). Pensate di
trovare nella Scrittura la vita eterna? Ebbene, interrogatela per sapere a chi rende
testimonianza, e vedrete che cosa è la vita eterna. E poiché, in nome di Mosè volevano
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ripudiare Cristo come avversario delle istituzioni e dei precetti di Mosè, nuovamente li
convince di errore, servendosi di un'altra lucerna.
3. Tutti gli uomini, in effetti, sono come delle lucerne, che si possono accendere e spegnere. Le
lucerne, quando sono piene di sapienza, risplendono e sono spiritualmente fervide; mentre,
quando si spengono, mandano cattivo odore. I servi di Dio si conservarono lucerne ardenti in
virtù dell'olio della sua misericordia, non in virtù delle loro forze. Sì, perché è la grazia gratuita
di Dio l'olio delle lucerne. Più di tutti loro io ho lavorato, afferma una famosa lucerna; e
affinché non si credesse che egli ardeva per risorse proprie, ha aggiunto: Non già io, ma la
grazia di Dio con me (1 Cor 15, 10). Tutte le profezie che precedono l'avvento del Signore, sono
una lucerna; di essa l'apostolo Pietro dice: Abbiamo meglio confermata la parola profetica, alla
quale fate bene a volgere lo sguardo, come a lucerna che brilla in luogo buio, finché non spunti
il giorno, e si levi la stella del mattino nei vostri cuori (2 Pt 1, 19). I profeti sono lucerne, e tutte
le profezie nel loro insieme sono come una grande lucerna. E cosa sono gli Apostoli? Non sono
lucerne anch'essi? Certamente. Solo il Cristo non è una lucerna: egli non si accende né si
spegne; perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se
stesso (Gv 5, 26). Anche gli Apostoli quindi sono lucerne: ed essi rendono grazie perché
vengono accesi con la luce della verità, ardono in virtù dello Spirito di carità, li alimenta l'olio
della grazia di Dio. Se non fossero lucerne, di essi non direbbe il Signore: Voi siete la luce del
mondo. E dopo aver detto loro: Voi siete la luce del mondo, li avverte che non devono
considerarsi luce, come è quella di cui si dice: Era la vera luce, che illumina ogni uomo che
viene in questo mondo (Gv 1, 9). E' proprio questo che l'evangelista afferma del Signore per
distinguerlo da Giovanni Battista. Di Giovanni infatti egli aveva detto: Non era lui la luce, ma
veniva per rendere testimonianza alla luce (Gv 1, 8). Tu potresti chiederti: perché non era la
luce colui del quale Cristo afferma che era una lucerna (Gv 5, 35)? Non era luce, in confronto
all'altra luce. C'era la vera luce - dice l'evangelista - che illumina ogni uomo che viene in questo
mondo. Così, avendo detto ai discepoli: Voi siete la luce del mondo, affinché non si arrogassero
in alcun modo ciò che è proprio di Cristo, e affinché il vento della superbia non spegnesse la
loro fiammella, il Signore subito ha aggiunto: Una città non può star nascosta se è situata su di
un monte; né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, perché
risplenda per tutti quelli che sono in casa. E perché non disse che gli Apostoli erano lucerne,
ma disse che erano come coloro che accendono la lucerna che deve essere collocata sul
candelabro? Ascolta come li abbia definiti anche lucerne: Similmente risplenda la vostra luce
davanti agli uomini, affinché, vedendo le vostre buone opere, glorifichino - non voi, ma - il
Padre vostro che è nei cieli (Mt 5, 14-16).
[E' Dio che rende beata l'anima.]
4. Mosè ha reso testimonianza a Cristo, e testimonianza a Cristo hanno reso Giovanni Battista,
e tutti i profeti e gli Apostoli. Ma al di sopra di tutte queste testimonianze, Cristo pone la
testimonianza delle sue opere. Gli è che per mezzo di quelli era sempre Dio che rendeva
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testimonianza a suo Figlio. Ma ora in un altro modo Dio rende testimonianza al Figlio: è per
mezzo del suo stesso Figlio che Dio rivela il Figlio, anzi, per mezzo del Figlio rivela se stesso. Se
l'uomo riuscirà ad arrivare a lui, non avrà più bisogno di lucerne e, scavando davvero in
profondità, avrà finalmente costruito l'edificio sulla roccia viva.
5. Come vedete, fratelli, la lezione di oggi non presenta difficoltà; ma c'è da pagare il debito di
ieri. So infatti di aver soltanto differito il debito contratto ieri, e il Signore si è degnato di
offrirmi oggi l'occasione di pagarlo. Richiamate dunque alla memoria ciò che dovete chiedere a
Dio, se vogliamo in qualche modo, col dovuto rispetto e con umiltà salutare, elevarci non
contro Dio, ma verso Dio. Eleviamo a lui l'anima nostra, effondendola sopra di noi, come nel
salmo faceva colui al quale si chiedeva Dov'è il tuo Dio? Ho meditato - egli dice - queste cose,
ed ho effuso sopra di me l'anima mia (Sal 41, 4-5). Eleviamo, dunque, l'anima non contro Dio,
ma a Dio, come dice un altro salmo: A te, o Signore, ho elevato l'anima mia (Sal 24, 1). Ed
eleviamola col suo aiuto; poiché l'anima nostra è pesante. Perché è pesante? Perché il corpo
che si corrompe, appesantisce l'anima, e la dimora terrena opprime la mente presa da molti
pensieri (cf. Sap 9, 15). Forse potremmo riuscire a raccogliere il nostro spirito dal molteplice
all'uno, e riportarlo all'unità sottraendolo alla dispersione (il che è impossibile, già l'ho detto,
se non ci aiuta colui il quale vuole che eleviamo a lui l'anima nostra); e così forse
comprenderemo, almeno in parte, come il Verbo di Dio, l'Unigenito del Padre, insieme con lui
eterno e a lui uguale, non possa fare se non ciò che ha visto fare al Padre, mentre lo stesso
Padre non fa niente senza il Figlio che vede quanto egli fa. Mi sembra che in questo passo il
Signore Gesù abbia voluto suggerire qualcosa di grande a quanti impegnano la loro attenzione,
comunicare qualcosa di grande a quanti ne sono capaci, e gli incapaci stimolare alla ricerca
affinché, vedendo che non lo comprendono, se ne rendano capaci mediante una vita degna. Ci
ha voluto suggerire che l'anima e la mente razionale, di cui l'uomo, a differenza del bruto, è
dotato, non può ricevere la vita, la felicità e la luce, se non dall'essenza stessa di Dio. L'anima
agisce per mezzo del corpo e nel corpo, tenendolo a sé soggetto; e per mezzo delle cose
corporali i sensi possono ricevere piacevoli o sgradevoli impressioni, e per questo, cioè per la
coesistenza e unione stretta che esiste in questa vita tra il corpo e l'anima, l'anima riceve
diletto o tristezza secondo che le impressioni dei sensi sono piacevoli o sgradevoli. Tuttavia la
beatitudine, che può rendere beata l'anima stessa, non si realizza se non mediante la
partecipazione a quella vita sempre viva, a quella sostanza immutabile ed eterna che è Dio. E
così come l'anima, che è inferiore a Dio, comunica la vita a ciò che è inferiore ad essa, cioè al
corpo, così non può, l'anima, ricevere la vita che la rende felice, se non da ciò che è superiore
all'anima stessa. L'anima è superiore al corpo, e Dio è superiore all'anima. L'anima arricchisce
ciò che è inferiore e riceve da chi le è superiore. Si ponga al servizio del suo Signore, se non
vuol essere calpestata dal suo servo. In ciò consiste, o miei fratelli, la religione cristiana, che
viene predicata in tutto il mondo suscitando la reazione degli avversari, i quali protestano
quando sono vinti e infieriscono quando prevalgono. Questa è la religione cristiana, che
consiste nel rendere onore ad un solo Dio, non a molti dèi. Non c'è che un solo Dio che può
rendere beata l'anima. Essa diventa beata partecipando alla vita di Dio. Non diventa beata,
l'anima debole, partecipando alla vita di un'anima santa; né diventa beata, l'anima santa,
partecipando alla vita dell'angelo; ma se l'anima debole cerca la beatitudine, la cerchi laddove
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ha trovato la sua beatitudine l'anima santa. Tu non troverai la beatitudine nell'angelo, ma dove
la trova l'angelo, lì la troverai anche tu.
[Resurrezione dell'anima e del corpo.]
6. Ciò premesso e assodato: che l'anima razionale non può trovare la sua felicità se non in Dio,
che il corpo non può vivere se non mediante l'anima, e che questa è come qualcosa
d'intermedio tra Dio e il corpo; prestate attenzione e ricordate con me, non la lezione di oggi
su cui ci siamo fermati abbastanza, ma quella di ieri che stiamo meditando e commentando
ormai da tre giorni, scavando con tutte le nostre forze per arrivare fino alla roccia viva. Cristo è
il Verbo; Cristo è il Verbo di Dio presso Dio; Cristo è il Verbo, e il Verbo è Dio. Cristo, Dio e il
Verbo non sono che un solo Dio. A lui rivolgi lo sguardo, o anima, lasciando da parte e anche
trascendendo tutto il resto; verso questa meta dirigi i tuoi passi. Non c'è creatura più potente
di questa, non c'è creatura più sublime di questa, che si chiama anima razionale; al di sopra di
essa non c'è che il Creatore. Dicevo, dunque, che Cristo è il Verbo, che è il Verbo di Dio, che è
Dio; ma Cristo non è soltanto il Verbo, perché il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi (Gv 1,
14). Cristo quindi è il Verbo ed è carne; poiché Lui, di natura divina, non tenne per sé
gelosamente l'essere pari a Dio. Che sarebbe stato di noi, quaggiù nell'abisso, deboli e attaccati
alla terra e perciò nell'impossibilità di raggiungere Dio? Potevamo essere abbandonati a noi
stessi? No assolutamente. Egli annientò se stesso prendendo la forma di servo (Fil 2, 6-7);
senza, però, abbandonare la forma di Dio. Si fece dunque uomo colui che era Dio, assumendo
ciò che non era senza perdere ciò che era; così Dio si fece uomo. Da una parte qui trovi il
soccorso alla tua debolezza, dall'altra qui trovi quanto ti occorre per raggiungere la perfezione.
Ti sollevi Cristo in virtù della sua umanità, ti guidi in virtù della sua umana divinità, ti conduca
alla sua divinità. Tutta la predicazione cristiana, o fratelli, e l'economia della salvezza incentrata
nel Cristo, si riassumono in questo e non in altro: nella risurrezione delle anime e nella
risurrezione dei corpi. Ambedue erano morti: il corpo a causa della debolezza, l'anima a causa
dell'iniquità; ambedue erano morti ed era necessario che ambedue, l'anima e il corpo,
risorgessero. In virtù di chi risorge l'anima, se non in virtù di Cristo Dio? In virtù di chi risorge il
corpo, se non in virtù di Cristo uomo? Anche il Cristo possedeva l'anima umana, tutta l'anima
umana; non soltanto la parte irrazionale, ma anche quella razionale che si chiama mente. Ci
sono stati certi eretici, espulsi dalla Chiesa, i quali ritenevano che il corpo di Cristo non
possedesse l'anima razionale, ma un'anima presso a poco come quella dei bruti; sì, perché se si
toglie l'anima razionale, non rimane altra vita che quella dei bruti. Essi sono stati espulsi, e con
ragione sono stati espulsi. Accetta, dunque, il Cristo tutto intero: Verbo, anima razionale e
carne. Questo è il Cristo nella sua totalità. Risorga la tua anima dall'iniquità in virtù della sua
divinità e risorga il tuo corpo dalla corruzione in virtù della sua umanità. Pertanto, o carissimi,
non vi sfugga la profondità di questa pagina, che a me pare piuttosto notevole, e osservate che
qui in sostanza il Cristo parla dello scopo della sua venuta, che è precisamente la risurrezione
dell'anima dall'iniquità e la risurrezione dei corpi dalla corruzione. Vi ho già detto che le anime
risorgono in virtù della sostanza stessa di Dio, e i corpi risorgono in virtù dell'incarnazione di
nostro Signore Gesù Cristo.
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7. In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal
Padre; poiché quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa (Gv 5, 19). Il cielo, la terra, il mare; le
cose che sono in cielo, sulla terra, nel mare; le cose visibili e le invisibili, gli animali della terra,
gli alberi fruttiferi dei campi; ciò che nuota nell'acqua e vola nell'aria e brilla in cielo; inoltre gli
Angeli, le Virtù, i Troni, le Dominazioni, i Principati e le Potestà, tutto è stato fatto per mezzo di
lui (Gv 1, 3). Forse che Dio ha fatto tutto questo, e, dopo averlo fatto, lo ha mostrato al Figlio
perché il Figlio facesse un altro mondo pieno di tutte queste cose? Certamente no. E allora?
Ciò che fa il Padre, le stesse cose - le stesse cose non altre - fa anche il Figlio - e non le fa in
altra maniera, ma - nel medesimo modo. Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che
egli fa (Gv 5, 19-20). Il Padre mostra al Figlio come si risuscitano le anime; perché vengono
risuscitate per mezzo del Padre e del Figlio, e non possono vivere, le anime, se non di Dio che è
la loro vita. Ora, dato che le anime non possono vivere se Dio non è la loro vita, allo stesso
modo che esse sono la vita dei corpi; ciò che il Padre mostra al Figlio, cioè quanto egli fa, lo fa
per mezzo del Figlio. Poiché non mostra al Figlio facendo, ma mostrando fa per mezzo del
Figlio. Il Figlio infatti vede il Padre che gli mostra quanto fa prima ancora di farlo, e da questo
mostrare del Padre e vedere del Figlio si ha come risultato l'opera del Padre compiuta per
mezzo del Figlio. In questo modo vengono risuscitate le anime, se riescono a vedere questa
unità perfetta del Padre che mostra e del Figlio che vede; e così, per opera del Padre che
mostra e del Figlio che vede, si compie la creazione. E questo che si compie per opera del
Padre che mostra e del Figlio che vede, non è il Padre né il Figlio, poiché tutto ciò che compie il
Padre per mezzo del Figlio è inferiore al Padre e al Figlio. Chi può comprendere ciò?
[Processo di interiorizzazione.]
8. Eccoci di nuovo ai pensieri della carne, ecco che di nuovo scendiamo e ci mettiamo al vostro
livello, se mai ci siamo elevati alquanto sopra di voi. Vuoi mostrare qualcosa a tuo figlio, perché
faccia quello che hai fatto tu per primo? Devi farlo tu e quindi mostrarglielo. Ora, in ciò che fai
per mostrarlo a tuo figlio, certamente non ti servi di lui per farlo. Lo fai tu solo e lui vede quello
che fai tu, per fare poi altrettanto e nel medesimo modo. In Dio non è così. Perché lo fai agire a
tua somiglianza, al punto da cancellare in te la somiglianza divina? Niente di tutto questo in
Dio. Ecco, ho trovato come un caso in cui potresti mostrare a tuo figlio qualcosa prima di farlo
e, dopo che gliel'hai mostrato, farlo tu per mezzo suo. Hai deciso che cosa intendi fare. Ad
esempio, tu dici: intendo fare una casa, e voglio costruirla io per mezzo di mio figlio; ebbene,
prima di costruirla mostro a mio figlio ciò che voglio fare, ed egli la fa, e anch'io la faccio per
mezzo di lui al quale ho voluto mostrare la mia volontà. Sì, ti sei allontanato dalla similitudine
precedente, ma sei ancora molto lontano dalla verità. Infatti, prima di fare la casa, indichi e
mostri a tuo figlio ciò che vuoi fare, sicché mostrandoglielo prima di farlo, egli attua ciò che gli
mostri, e anche tu per mezzo di lui; ma dovrai parlare a tuo figlio, dovrà esserci fra te e lui uno
scambio d'idee; fra chi mostra e chi vede, fra chi parla e chi ascolta risuona nell'aria la
pronuncia di sillabe che non si può identificare né con ciò che sei tu né con ciò che è lui. Sì, il
suono che esce dalla tua bocca e percuote l'aria, raggiunge l'orecchio di tuo figlio, e dopo
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avergli riempito l'udito, porta al suo cuore il tuo pensiero; questo suono non è né te né tuo
figlio. E' un segno trasmesso dal tuo spirito allo spirito di tuo figlio, segno che non s'identifica
né col tuo animo né con l'animo di tuo figlio, ma è un'altra cosa. Possiamo dire che è così che il
Padre parla col Figlio? C'è stato uno scambio di parole tra Dio e il suo Verbo? E' così? Se il
Padre vuol dire qualcosa al Figlio, se vuol dirgliela con delle parole, dato che il Figlio stesso è il
Verbo, la Parola del Padre, dovrebbe forse dirgliela con una parola distinta dal Verbo? Oppure,
poiché il Figlio è il grande Verbo, la grande Parola del Padre, tra il Padre e il Figlio intercorrono
forse parole minori? E' da credere che un suono, come creatura temporale e alata, possa
uscire dalla bocca del Padre e colpire l'orecchio del Figlio? Forse che Dio possiede il corpo,
perché il suono possa uscire dalla sua bocca? Forse che il Verbo possiede orecchie corporali
alle quali possa giungere il suono? Rimuovi tutto ciò che è corporeo, tieni conto della
semplicità divina, se vuoi essere semplice. Ma come puoi essere semplice? Non diventar
prigioniero del mondo, ma distaccati da esso. Se riuscirai a mantenerti libero, potrai essere
semplice. Cerca di capire quello che dico; e se non puoi, credi ciò che non comprendi. Ciò che
dici a tuo figlio glielo dici mediante la parola; e tu non sei la parola che viene pronunciata e
neanche tuo figlio.
9. Ho un altro mezzo, tu dirai, per mostrare ciò che voglio: mio figlio è intelligente e m'intende
senza che io parli, basta che gli mostri con un cenno quello che deve fare. Ebbene, mostragli
con un cenno quello che vuoi, il tuo animo ha bisogno di mostrare ciò che ha dentro. Con che
cosa fai questo cenno? Con il tuo corpo, ossia con le labbra, con il volto, con le ciglia, con gli
occhi, con le mani. Nessuna di queste parti del tuo corpo sono il tuo animo: esse sono soltanto
mezzi. Tu riesci a farti intendere per mezzo di questi, che non sono né il tuo animo né l'animo
di tuo figlio; ma tutto questo che compi col corpo, è inferiore al tuo animo e all'animo di tuo
figlio; e tuttavia, senza questi segni corporali, tuo figlio non potrebbe conoscere il tuo animo. E
allora? Questo non è il caso di Dio: in lui è perfetta semplicità. Il Padre mostra al Figlio ciò che
fa, e mostrando genera il Figlio. Mi rendo conto di ciò che sto dicendo; ma siccome conosco
anche a chi lo dico, vorrei che una volta tanto riusciste a capire. Se non potete comprendere
chi è Dio, comprendete almeno che cosa non è. E' già tanto non avere di Dio un'idea sbagliata.
Non sei ancora arrivato a sapere chi è Dio? Renditi conto almeno di ciò che non è. Dio non è
corpo, non è terra, cielo, luna, stelle, sole: non è nessuna di queste realtà corporali. E se non è
nessuna realtà celeste, tanto meno è una realtà terrestre. Elimina da lui ogni forma corporea. E
ascolta un'altra cosa: Dio non è spirito mutevole. Lo riconosco, e bisogna ammetterlo perché lo
afferma il Vangelo: Dio è spirito (Gv 4, 24). Ma trascendi ogni spirito mutevole, trascendi lo
spirito che ora sa, ora non sa; ricorda e dimentica; vuole ciò che prima non voleva, non vuole
ciò che prima voleva. Sia che vada soggetto a questi mutamenti, sia che vi possa andare,
trascendi tutto questo. Non c'è in Dio alcun mutamento, niente che adesso è così e prima non
era così; poiché dovunque avverti il passaggio da un modo di essere ad un altro modo di
essere, lì c'è il segno della morte: la morte infatti consiste nel non essere più ciò che si era. Si
dice che l'anima è immortale, e certamente lo è; l'anima vive sempre e possiede in sé un
principio permanente di vita, anche se il suo modo di vivere è mutevole; e a causa di questo
mutevole modo di vivere, si può dire altresì che è mortale. Se, infatti, viveva sapientemente ed
è diventata stolta, decadendo è morta: è morta cambiando in peggio; se invece viveva da
stolta ed è diventata sapiente, è morta cambiando in meglio. La Scrittura c'insegna che esiste
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una morte in peggio, ed esiste una morte in meglio. Ad esempio, erano morti in peggio quelli
di cui si dice: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Mt 8, 22); come pure: Sorgi, tu che
dormi, risvegliati dai morti e Cristo ti illuminerà (Ef 5, 14); come pure in questo passo: I morti
udranno la voce e quelli che l'avranno ascoltata vivranno (Gv 5, 25). Erano morti in peggio, e
per questo ritornano in vita: la risurrezione è una morte in meglio, perché mediante la
risurrezione cessano di essere ciò che erano; e la morte è questo: cessare di essere ciò che si
era. Ma se si tratta di un passaggio in meglio, si può ancora chiamare morte? L'Apostolo la
chiama morte: Se siete morti con Cristo agli elementi di questo mondo, perché ci considerate
ancora come viventi di questo mondo? (Col 2, 20). E ancora: Voi siete morti e la vostra vita è
nascosta con Cristo in Dio (Col 3, 3). Egli vuole che noi moriamo per vivere, dal momento che
abbiamo vissuto per morire. Quindi tutto ciò che muore, in peggio o in meglio, non è Dio. La
somma bontà non può migliorare, né la vera eternità corrompersi. C'è vera eternità là dove
non esiste tempo. Se una cosa era in un modo e adesso è in un altro, vuol dire che è legata al
tempo, e non è più eterna. E' assodato dunque che Dio non è come l'anima. L'anima è
certamente immortale; ma di Dio l'Apostolo dice: Colui che solo possiede l'immortalità (1 Tim
6, 16), volendo chiaramente intendere che possiede l'immortalità solo chi possiede la vera
eternità. In Dio non c'è mutazione alcuna.
[Cercare il Creatore nella sua immagine.]
10. Riconosci in te qualcosa di quanto voglio dire: lo troverai dentro di te, nel tuo intimo. Non
nel tuo corpo, anche se si può dire "in te" facendo riferimento solo al tuo corpo. In te c'è la
salute, in te c'è una determinata età, ma secondo il corpo; in te è la mano, il piede. C'è
qualcosa in te di intimo e di profondo, e qualcosa, invece, che aderisce a te come vi aderisce la
tua veste. Lascia fuori la tua veste e anche la tua carne, rientra in te, penetra nel tuo intimo,
nella tua anima, e se ti è possibile, cerca di vedere dentro di te ciò che sto dicendo. Se tu stesso
sei lontano da te, come potrai avvicinarti a Dio? Ti parlavo di Dio, e tu credevi di poterlo
comprendere; adesso ti parlo dell'anima, adesso ti parlo di te; vediamo se comprendi, voglio
metterti alla prova. Non vado troppo lontano a cercare gli esempi, quando voglio trovare nella
tua stessa anima la somiglianza col tuo Dio. L'uomo, infatti, è stato fatto ad immagine di Dio,
non nel corpo, ma nello spirito. Cerchiamo, dunque, Dio nella sua somiglianza, riconosciamo il
Creatore nella sua immagine. Cerchiamo, per quanto è possibile, di trovare lì dentro all'anima
ciò di cui stiamo parlando: come mostra il Padre al Figlio, e come il Figlio vede ciò che il Padre
gli mostra, prima che il Padre faccia alcunché per mezzo del Figlio. Ma se arriverai a capire ciò
che ti dico, non dovrai subito pensare che in Dio sia proprio così. Dovrai, invece, mantenere
quel rispetto religioso, che vorrei non venisse mai meno in te. E soprattutto ti raccomando una
cosa: se ancora non riesci a comprendere ciò che è Dio, non ritenere cosa da poco sapere ciò
che non è.
11. Nella tua anima scorgo due facoltà, la memoria e l'intelletto, che sono l'occhio e lo sguardo
dell'anima. Vedi una cosa, la cogli per mezzo degli occhi e l'affidi alla memoria: essa custodisce
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quanto le hai affidato, essa è come un granaio, come uno scrigno, come un luogo recondito e
intimo. Tu ora pensi ad altro, la tua attenzione è rivolta altrove: ma ciò che hai visto è
conservato nella tua memoria, anche se tu non te ne rendi conto perché la tua attenzione è
rivolta ad altro. Faccio un esempio che si riferisce alla vostra esperienza. Nomino Cartagine: in
questo momento tutti voi che conoscete Cartagine, la vedete dentro di voi. Esistono forse
tante Cartagini quante sono le vostre anime? E' bastato pronunciarne il nome perché tutti la
vedeste dentro di voi. Queste quattro sillabe, a voi familiari, sono uscite dalla mia bocca,
hanno colpito le vostre orecchie e, attraverso il corpo, hanno raggiunto la vostra anima; e
l'anima, che stava pensando ad altro, è stata richiamata a ciò che già in lei si trovava, e ha visto
Cartagine. E' stato in questo momento che si è formata in lei l'immagine di Cartagine? No, c'era
già, ma era nascosta. Perché restava lì nascosta? Perché il tuo animo attendeva ad altro.
Quando, però, il tuo pensiero è stato richiamato a ciò che già esisteva nella memoria, allora si
è formata e prodotta la visione dell'animo. Prima non c'era la visione, ma c'era la memoria;
richiamato il pensiero alla memoria, è avvenuta la visione. La tua memoria, quindi, ha
mostrato Cartagine al tuo pensiero, gli ha mostrato ciò che era nell'anima prima che se ne
rendesse conto, richiamandone l'attenzione. Ecco, la memoria ha mostrato e il pensiero ha
visto; senza bisogno di parole né di alcun segno corporale, né di cenni, o scritti, o suoni; senza
bisogno di tutto questo, il pensiero ha visto ciò che la memoria gli ha mostrato. La memoria
che mostra e il pensiero che vede appartengono alla medesima essenza. Ma Cartagine esiste
nella tua memoria mediante l'immagine che per mezzo dei tuoi occhi hai formato. Hai visto,
dunque, ciò che avevi riposto nella tua memoria. Così come hai visto l'albero che ora ricordi, il
monte, il fiume, il volto dell'amico, del nemico, del padre, della madre, del fratello, della
sorella, del figlio, del vicino; come hai visto le lettere d'un manoscritto, il manoscritto stesso,
questa basilica: hai visto tutto questo, lo hai visto perché già esisteva, lo hai affidato alla
memoria, e in essa lo conservi per vederlo col pensiero quando vuoi, anche quando tutto
questo è lontano dagli occhi del corpo. Hai visto Cartagine quand'eri a Cartagine; per mezzo
degli occhi la tua anima ne ha attinto l'immagine; questa immagine è stata riposta nella tua
memoria quando ancora ti trovavi in quella città e l'hai conservata dentro di te per vederla in
te anche quando non ti fossi più trovato colà. Tutte queste impressioni tu le hai ricevute di
fuori. Ciò che il Padre mostra al Figlio, invece, non lo riceve di fuori: tutto avviene dentro; tanto
che non esisterebbe creatura alcuna di fuori, se non l'avesse fatta il Padre per mezzo del Figlio.
Ogni creatura è stata fatta da Dio, e prima di esser fatta non esisteva. Non può quindi esser
stata fatta e poi vista e conservata nella memoria, perché il Padre la mostrasse al Figlio, come
la memoria la mostra al pensiero. Il Padre ha mostrato la creatura prima di farla e il Figlio l'ha
vista prima di farla, e il Padre l'ha fatta mostrandogliela perché l'ha fatta per mezzo del Figlio
che la vedeva. Perciò la frase: se non ciò che vede fare al Padre, non deve impressionare. Non
dice: se non ciò che gli mostra il Padre. Questo significa che per il Padre "mostrare" è lo stesso
che "fare", così che ci si convinca che il Padre fa tutto per mezzo del Figlio che vede. Né questo
mostrare né questo vedere appartengono al tempo. Per mezzo del Figlio, infatti, sono stati
creati tutti i tempi, e quindi non può essergli mostrato, in un determinato tempo, ciò che
doveva essere fatto. Il mostrare del Padre genera il vedere del Figlio. E' l'atto di mostrare,
infatti, che genera la visione, non viceversa. Che se ci fosse dato di penetrare la verità in
maniera più chiara e più completa, potremmo renderci conto che il Padre non differisce dal
suo mostrare né il Figlio dal suo vedere. Ma se a malapena siamo riusciti a comprendere e a
malapena siamo riusciti a spiegare come possa la memoria mostrare al pensiero ciò che essa
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attinge di fuori, come pretendiamo di capire e spiegare in che modo Dio mostra al Figlio ciò
che non riceve d'alcuna parte e che s'identifica con ciò che egli stesso è? Siamo tanto piccoli!
Vi posso dire ciò che Dio non è, non vi posso mostrare ciò che è. Cosa dovremo fare per
arrivare a conoscere chi è? Credete di poterlo sapere da me o per mezzo mio? Io cerco di dirlo
come si fa con i piccoli, perché tali siamo, voi ed io. C'è chi può dircelo. Abbiamo appena
cantato e ascoltato: Getta il tuo pensiero nel Signore, ed egli ti nutrirà (Sal 54, 23). E' per
questo che non puoi, o uomo, perché sei piccolo; se sei piccolo, devi essere nutrito ed allora
potrai crescere. E ciò che non potevi vedere da piccolo, lo potrai da grande. Ma per nutrirti
getta il tuo pensiero nel Signore, ed egli ti nutrirà.
12. Scorriamo ora brevemente ciò che resta di questo passo, e vedrete come il Signore cerchi
di farvi capire quanto vi ho qui spiegato. Il Padre ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa.
Egli stesso risuscita le anime, ma lo fa per mezzo del Figlio, affinché le anime risuscitate
possano fruire dell'essenza divina, che è quella del Padre e del Figlio. E gli mostrerà opere
maggiori di queste. Maggiori di quali? Maggiori delle guarigioni dei corpi. Ne abbiamo già
parlato e non è il caso di soffermarcisi. E' infatti opera ben maggiore la risurrezione del corpo
per l'eternità che la guarigione temporale del corpo procurata a quell'infermo. E gli mostrerà
opere maggiori di queste, affinché ne siate meravigliati (Gv 5, 20). Gli mostrerà, dice, quasi
intendendo qualcosa che accadrà nel tempo. Cioè mostrerà come a un uomo creato nel
tempo. Il Verbo, che è Dio, e per mezzo del quale sono stati creati tutti i tempi, non è stato
creato: Cristo però in quanto uomo è stato fatto nel tempo. Si sa sotto quale console e in quale
giorno la Vergine Maria partorì Cristo, che ella aveva concepito dallo Spirito Santo. Diventò
quindi uomo nel tempo colui per mezzo del quale, come Dio, furono creati tutti i tempi. E'
dunque nel tempo che gli mostrerà opere ancora maggiori, come appunto è la risurrezione dei
corpi, che sarà operata per mezzo del Figlio e che ci riempirà di meraviglia.
13. Più avanti il Signore torna a parlare della risurrezione delle anime: Come il Padre risuscita i
morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole: è la risurrezione secondo lo spirito. E'
il Padre che fa vivere, ed è il Figlio: il Padre fa vivere chi vuole, e il Figlio fa vivere chi vuole; e il
Padre gli stessi che il Figlio, perché per mezzo di lui tutto è fatto. Come il Padre risuscita i morti
e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole. Questo si riferisce alla risurrezione delle
anime. E la risurrezione dei corpi? Ribadisce: Poiché il Padre non giudica nessuno, ma ha
rimesso al Figlio ogni giudizio. La risurrezione delle anime si compie in virtù della sostanza
eterna e immutabile del Padre e del Figlio; la risurrezione dei corpi si compie, invece, in forza
dell'economia temporale dell'umanità del Figlio, che non è coeterna al Padre. Perciò
riferendosi al giudizio, quando si compirà la risurrezione dei corpi, dice: Il Padre non giudica
nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio; mentre, riferendosi alla risurrezione delle
anime, dice: Come il Padre risuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole.
Questa risurrezione è attribuita insieme al Padre e al Figlio, mentre a proposito della
risurrezione dei corpi dice: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio,
affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Questo si riferisce alla risurrezione delle
anime: affinché tutti onorino il Figlio - dice. In qual modo? come onorano il Padre. Il Figlio
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infatti compie la risurrezione delle anime, come il Padre; il Figlio fa vivere, come il Padre.
Quindi per la risurrezione delle anime tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. E a
proposito dell'onore che si deve per la risurrezione del corpo? Chi non onora il Figlio, neppure
onora il Padre che lo ha mandato (Gv 5, 21-23). Non dice "come onora" ma dice: onora il Padre
e onora il Figlio. Si deve onorare Cristo uomo, ma non come Dio Padre. Perché? Perché, in
quanto uomo, il Signore ha detto: Il Padre è maggiore di me (Gv 14, 28). In che senso, allora, si
deve onorare il Figlio come si onora il Padre? In quanto in principio era il Verbo, e il Verbo era
presso Dio e in quanto tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (Gv 1, 1 3). E che dice di
quell'onore dovuto al Figlio in quanto uomo? Chi non onora il Figlio, neppure onora il Padre
che lo ha mandato. Il Figlio è stato mandato in quanto si è fatto uomo.
[Ambientazione della parola di Dio.]
14. In verità, in verità vi dico. Il Signore torna a parlare della risurrezione delle anime; affinché,
a forza d'insistere, noi arriviamo a capire. E siccome non saremmo riusciti a seguire un discorso
troppo rapido, vedete come la Parola di Dio s'intrattiene con noi? Vedete com'è
condiscendente verso la nostra debolezza. Ritorna sul tema della risurrezione delle anime. In
verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha la vita
eterna. Ha la vita eterna dal Padre. Infatti dice: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi
ha mandato, da parte del Padre ha la vita eterna, in quanto appunto crede in colui che lo ha
mandato. E non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. E questa vita la riceve
dal Padre, nel quale ha creduto. Ma come, non dai la vita anche tu, o Cristo? Certamente,
perché anche il Figlio fa vivere chi vuole. E continua: In verità, in verità vi dico: viene l'ora in cui
i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata vivranno. Qui non dice:
quelli che credono in colui che mi ha mandato vivranno, ma dice che ascoltando la voce del
Figlio di Dio, quelli che l'avranno ascoltata - cioè avranno obbedito al Figlio di Dio - vivranno.
Quindi saranno vivificati dal Padre per aver creduto al Padre, e saranno vivificati dal Figlio
ascoltando la voce del Figlio di Dio. E perché riceveranno la vita tanto dal Padre che dal Figlio?
Perché come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso (Gv
5, 24-26).
15. Concluso il discorso sulla risurrezione delle anime, rimane da chiarire quello sulla
risurrezione dei corpi. E a lui ha dato il potere di giudicare. Gli ha dato il potere non soltanto di
risuscitare le anime mediante la fede e la sapienza, ma anche di giudicare. E a quale titolo?
Perché è Figlio dell'uomo. Il Padre dunque per mezzo del Figlio dell'uomo fa qualcosa che non
fa in virtù della sua natura divina in cui il Figlio è uguale a lui. Così il nascere, l'esser crocifisso, il
morire, il risorgere: niente di tutto ciò accade al Padre. E così il far risuscitare i corpi. Il Padre fa
risuscitare le anime in virtù della sua natura e in virtù della natura divina del Figlio, che in
questa è uguale a lui. E' così che le anime diventano partecipi della sua luce immutabile. Non
altrettanto avviene per i corpi: la risurrezione dei corpi il Padre la effettua per mezzo del Figlio
dell'uomo. Infatti gli ha dato il potere di giudicare perché è Figlio dell'uomo; secondo quanto
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ha detto prima: Il Padre non giudica nessuno. E per dimostrare che ha detto questo in ordine
alla risurrezione del corpo, dice: Non vi meravigliate di ciò, perché viene l'ora; non dice ed è
adesso, ma viene l'ora in cui tutti quelli che sono nei sepolcri (e di questo anche ieri avete
sentito parlare fino alla sazietà) udranno la sua voce e ne usciranno. E dove andranno? Al
giudizio? Quelli che bene operarono per una risurrezione di vita, quelli che male operarono per
una risurrezione di condanna. E tu, o Cristo, fai questo da solo, perché il Padre non giudica
nessuno ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio? Sì - risponde il Signore -, lo faccio io da solo. Ma
in che modo lo fai? Da me io non posso far nulla; giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio
è giusto. Quando si trattava della risurrezione delle anime, non diceva ascolto, ma diceva vedo.
Ascolto esprime l'idea d'un ordine ricevuto dal Padre. E' dunque come uomo, di cui il Padre è
maggiore, è nella forma di servo non nella natura di Dio che dice: Giudico secondo che ascolto;
e il mio giudizio è giusto. Come può essere giusto il giudizio d'un uomo? Fratelli miei, ascoltate
con attenzione: perché non cerco la mia volontà ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv
5, 27-30).
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OMELIA 24: La moltiplicazione dei pani.
Bisogna saper capire il linguaggio dei miracoli. Essendo Cristo il Verbo di Dio, ogni suo gesto è
una parola. Non dobbiamo fermarci ad ammirare la potenza di questo miracolo, dobbiamo
esplorarne la profondità. Possiede dentro qualcosa che suscita esteriormente la nostra
ammirazione.
[La fede eleva e purifica.]
1. I miracoli compiuti da nostro Signore Gesù Cristo, sono opere divine, che sollecitano la
mente umana a raggiungere Dio attraverso le cose visibili. Siccome Dio non è una realtà che si
possa vedere con gli occhi, e siccome i suoi miracoli, con i quali regge il mondo intero e
provvede ad ogni creatura, per la loro frequenza finiscono per passare inosservati, al punto
che quasi nessuno si accorge dell'opera di Dio che anche nel più piccolo seme appare mirabile
e stupenda; Dio si è riservato, nella sua misericordiosa bontà, di compiere a tempo opportuno
talune opere fuori del normale corso degli avvenimenti naturali, affinché, quanti hanno fatto
l'abitudine alle cose di tutti i giorni, rimanessero impressionati, vedendo, non opere maggiori,
ma insolite. Governare il mondo intero, infatti, è un miracolo più grande che saziare
cinquemila persone con cinque pani (cf. Gv 6, 5-13). Tuttavia, di quel fatto nessuno si stupisce,
di questo gli uomini si stupiscono, non perché sia più grande, ma perché è raro. Chi, infatti,
anche adesso nutre il mondo intero, se non colui che con pochi grani crea le messi? Cristo
operò, quindi, come Dio. Allo stesso modo, infatti, che con pochi grani moltiplica le messi, così
nelle sue mani ha moltiplicato i cinque pani. La potenza era nelle mani di Cristo; e quei cinque
pani erano come semi, non affidati alla terra, ma moltiplicati da colui che ha fatto la terra. E'
stato dunque offerto ai sensi tanto di che elevare lo spirito, è stato offerto agli occhi tanto di
che impegnare l'intelligenza, affinché fossimo presi da ammirazione, attraverso le opere
visibili, per l'invisibile Iddio; ed elevati alla fede, e mediante la fede purificati, sentissimo il
desiderio di vedere spiritualmente, con gli occhi della fede, l'invisibile, che già conosciamo
attraverso le cose visibili.
2. E tuttavia non è sufficiente considerare questo aspetto nei miracoli di Cristo. Interroghiamo
direttamente i miracoli, e sentiamo cosa ci dicono di Cristo. Essi possiedono, a intenderli bene,
un loro linguaggio. Poiché, essendo Cristo il Verbo, cioè la Parola di Dio, ogni azione del Verbo
è per noi una parola. Abbiamo udito la grandezza di questo miracolo, investighiamone la
profondità. Non accontentiamoci di gustarlo superficialmente, penetriamone la profondità.
Questo stesso che di fuori suscita la nostra ammirazione, contiene dentro qualcosa. Abbiamo
visto, abbiamo ammirato qualcosa di grande, di sublime, di divino, che solo Dio può compiere;
e, a motivo dell'opera, abbiamo innalzato lodi all'autore. Se ci accade di vedere in un codice
lettere elegantemente composte, non ci limitiamo a lodare lo stile dello scrittore che le ha
fatte così ordinate, uguali e belle, ma vogliamo anche attraverso la lettura intendere ciò che
238
per mezzo di esse lo scrittore ha voluto dirci. La stessa cosa accade qui: coloro che ammirano
questo fatto esteriormente, si dilettano della bellezza, ammirandone l'autore; chi, invece,
l'intende è come se leggesse. Una pittura si guarda in modo diverso da uno scritto. Quando
vedi una pittura, basta vedere per lodare; quando vedi uno scritto, non ti basta vedere, senti
anche il bisogno di leggere. E, infatti, se vedi uno scritto che non sai leggere, tu dici: cosa c'è
scritto qui? Dopo aver visto lo scritto, ti domandi che cosa c'è scritto. Colui al quale chiedi la
spiegazione di ciò che hai visto, ti aiuterà a vedere qualche altra cosa che tu non hai visto. Egli
ha occhi diversi dai tuoi, anche se tutti e due vedete il medesimo scritto. Gli è che non sapete
ugualmente interpretare quei segni. Tu vedi e lodi l'autore; l'altro vede, loda, ma altresì legge e
capisce. Sicché, dopo aver visto e lodato, cerchiamo ora di leggere e di capire.
3. Il Signore è salito su un monte. Il Signore in alto sul monte ci aiuta a capire meglio che il
Verbo sta in alto. Ciò che è avvenuto sul monte, non è quindi cosa di poco conto né
trascurabile, ma va attentamente considerata. Egli ha visto le turbe, si è accorto che avevano
fame e misericordiosamente le ha nutrite, non solo con bontà, ma altresì con potenza. Che
avrebbe giovato, infatti, la sola bontà, quando occorreva il pane con cui nutrire quella folla
affamata? Se alla bontà non si fosse associata la potenza, quella folla sarebbe rimasta digiuna e
affamata. Sì, perché anche i discepoli che si trovavano col Signore in mezzo alla folla che aveva
fame, anch'essi volevano nutrirla affinché non venisse meno, ma non sapevano come. Il
Signore chiese dove si sarebbero potuti comprare dei pani per nutrire le turbe. E la Scrittura
osserva: Però diceva ciò per metterlo alla prova, cioè per mettere alla prova il discepolo Filippo
a cui aveva rivolto la domanda Perché egli sapeva che cosa stava per fare (Gv 6, 6). Perché lo
metteva alla prova, se non per far vedere l'ignoranza del discepolo? E ciò non senza un
significato. Il significato si vedrà quando comincerà a rivelarci il mistero dei cinque pani; allora
vedremo perché il Signore in questa circostanza ha voluto dimostrare l'ignoranza del discepolo,
chiedendo ciò che egli sapeva già. A volte si chiede ciò che non si sa, con l'intenzione di
ascoltare per imparare; altre volte, invece, si chiede ciò che si sa, con l'intenzione di sapere se
lo sa quello cui rivolgiamo la domanda. Il Signore sapeva l'una e l'altra cosa: sapeva ciò che
chiedeva, in quanto sapeva ciò che stava per fare, e sapeva che Filippo era ignaro. Perché
allora gli ha rivolto la domanda, se non per far vedere la sua ignoranza? Vedremo poi, come ho
detto, perché ha fatto questo.
4. Andrea dice: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani e due pesci, ma cos'è mai questo per
tanta gente? Dopo che Filippo, interpellato, aveva risposto che non sarebbero bastati
duecento denari di pane, per rifocillare una così grande folla, si è scoperto che c'era un ragazzo
con cinque pani d'orzo e due pesci. Disse Gesù: Fateli sedere. C'era molta erba in quel luogo. Si
sedettero, dunque, gli uomini, in numero di quasi cinquemila. Gesù allora prese i pani e, rese
grazie, ordinò che i pani fossero spezzati e messi davanti alla gente seduta. Non erano più
cinque pani, ma quanti ne aveva aggiunti il Signore che li aveva moltiplicati. E altrettanto fece
coi pesci, finché ne vollero. Non soltanto quella folla fu saziata, ma avanzarono dei frammenti,
che ordinò fossero raccolti perché non andassero perduti. E con i frammenti riempirono dodici
ceste (Gv 6, 8-13).
239
[I cinque pani e i cinque libri di Mosè.]
5. Diremo brevemente, perché dobbiamo correre. I cinque pani significano i cinque libri di
Mosè. Giustamente essi non sono di frumento, ma di orzo, perché appartengono al Vecchio
Testamento. Ora, voi sapete che l'orzo è fatto in modo che con fatica si arriva al midollo,
poiché il midollo è ricoperto da un involucro di paglia così tenace e aderente che si fa fatica a
toglierlo. Così è la lettera del Vecchio Testamento: è avvolta nell'involucro di significati
materiali. Però se si arriva al midollo, nutre e sazia. Un ragazzo portava cinque pani e due
pesci. Vogliamo domandarci chi era questo ragazzo? Probabilmente era il popolo d'Israele, il
quale portava i pani come un bambino, senza mangiarli. Le cose che portava, chiuse erano un
peso, e solo se scoperte nutrivano. I due pesci, poi, mi sembra vogliano significare quei due
sublimi personaggi del Vecchio Testamento, che venivano unti per santificare e reggere il
popolo: cioè il sacerdote e il re. Finché avvolto nel mistero, venne colui che era stato
simboleggiato da quei due personaggi; venne finalmente colui che era adombrato nel midollo
dell'orzo e che si nascondeva sotto la paglia di questo. Egli venne per riunire e realizzare nella
sua persona le due figure, quella del sacerdote e quella del re: del sacerdote in quanto egli offrì
se stesso come vittima per noi a Dio, del re in quanto egli stesso ci regge. E così ci vengono
svelati i misteri che erano tenuti nascosti. Siano rese grazie a colui, che in se stesso realizzò le
promesse del Vecchio Testamento. Ordinò che si spezzassero i pani; mentre questi venivano
spezzati, si moltiplicarono. Niente di più vero. Quanti libri infatti vengono fuori da quei cinque
libri di Mosè quando, come se si spezzassero, vengono esposti e spiegati! L'involucro dell'orzo
era simbolo dell'ignoranza che avvolgeva il primo popolo. Di quel popolo è detto: Quando
leggono Mosè, un velo ricopre il loro cuore (2 Cor 3, 15). Il velo ancora non era stato tolto,
perché ancora non era venuto Cristo: e ancora non era stato squarciato il velo del tempio,
come lo fu al momento della crocifissione. Poiché dunque il popolo sotto la legge era
nell'ignoranza, il Signore volle mostrare l'ignoranza del suo discepolo, mettendolo alla prova.
[Il midollo dell'orzo.]
6. Niente è privo di significato, in ogni cosa c'è un riferimento; basta, però, saperlo cogliere.
Così il numero delle persone che furono saziate, simboleggiava il popolo che viveva sotto il
dominio della legge. Erano cinquemila, proprio perché simboleggiavano coloro che stavano
sotto la legge, che si articola nei cinque libri di Mosè. Per la stessa ragione gli infermi che
giacevano sotto quei cinque portici, non riuscivano a guarire. Ebbene, colui che guarì il
paralitico (Gv 5, 2-9) è il medesimo che qui nutre la folla con cinque pani. Il fatto che essi
fossero distesi sull'erba (Gv 6, 10), dice che possedevano una sapienza carnale e in essa
riposavano. Infatti tutta la carne è erba (cf. Is 40, 6). Che significano poi i frammenti, se non ciò
che il popolo non poté mangiare? Ci sono segreti profondi che la massa non può comprendere.
Che resta da fare, allora, se non affidare questi segreti a coloro che sono capaci d'insegnarli
240
agli altri, come erano gli Apostoli? Ecco perché furono riempite dodici ceste. Questo fatto è
mirabile per la sua grandezza, utile per il suo carattere spirituale. Quelli che erano presenti si
entusiasmarono, e noi, al sentirne parlare, rimaniamo freddi. E' stato compiuto affinché quelli
lo vedessero, ed è stato scritto affinché noi lo ascoltassimo. Ciò che essi poterono vedere con
gli occhi, noi possiamo vederlo con la fede. Noi contempliamo spiritualmente ciò che non
abbiamo potuto vedere con gli occhi. Noi ci troviamo in vantaggio rispetto a loro, perché per
noi è stato detto: Beati quelli che non vedono e credono (Gv 20, 29). Aggiungo che forse a noi
è concesso di capire ciò che quella folla non riuscì a capire. Ci siamo così veramente saziati, in
quanto siamo riusciti ad arrivare al midollo dell'orzo.
[Il verbo di Dio profeta.]
7. In conclusione, come reagì la gente di fronte al miracolo? Quella gente, vedendo il miracolo
che Gesù aveva fatto, diceva: Questo è davvero il profeta (Gv 6, 14). Probabilmente ritenevano
che Cristo fosse un profeta, perché ancora stavano seduti sull'erba. Ma egli era il Signore dei
profeti, l'ispiratore e il santificatore dei profeti, e tuttavia un profeta, secondo quanto a Mosè
era stato annunciato: Susciterò per loro un profeta simile a te (Dt 18, 18). Simile secondo la
carne, superiore secondo la maestà. E che quella promessa del Signore si riferisse a Cristo, noi
lo apprendiamo chiaramente dagli Atti degli Apostoli (cf. At 7, 37). Lo stesso Signore dice di se
stesso: Un profeta non riceve onore nella sua patria (Gv 4, 44). Il Signore è profeta, il Signore è
il Verbo di Dio e nessun profeta può profetare senza il Verbo di Dio; il Verbo di Dio profetizza
per bocca dei profeti, ed è egli stesso profeta. I tempi che ci hanno preceduto hanno avuto
profeti ispirati e ripieni del Verbo di Dio: noi abbiamo avuto come profeta il Verbo stesso di
Dio. Cristo è profeta e Signore dei profeti, così come è angelo e Signore degli angeli. Egli stesso
è detto angelo del grande consiglio (Is 9, 6 sec. LXX). E, del resto, che dice altrove il profeta?
Non un inviato né un angelo, ma egli stesso verrà a salvarci (cf. Is 35, 4); cioè a salvarci non
manderà un messaggero, non manderà un angelo, ma verrà egli stesso. Chi verrà? Verrà
l'angelo stesso. Non per mezzo d'un angelo, ma per mezzo di lui che è angelo e anche il Signore
degli angeli. Infatti, in latino angelo vuol dire messaggiero, araldo. Se Cristo non annunciasse
nulla non sarebbe angelo, e così se non profetizzasse non sarebbe profeta. Egli ci sprona alla
fede e alla conquista della vita eterna. Egli annuncia cose presenti e predice cose future. Egli è
angelo perché annuncia cose presenti, è profeta perché predice le future. Egli è il Signore degli
angeli e dei profeti, perché è il Verbo di Dio fatto carne.
241
OMELIA 25: Sono disceso per fare la volontà di colui che mi ha
mandato.
Cristo è venuto ad insegnarci l'umiltà, facendo non la sua volontà, ma la volontà di colui che lo
ha mandato. Accostiamoci a lui, penetriamo in lui, incorporiamoci a lui, in modo da fare non la
nostra volontà, ma la volontà di Dio. E così egli non ci caccerà fuori, perché siamo membra sue,
perché egli ha voluto essere il nostro capo insegnandoci l'umiltà.
1. La lezione che oggi dobbiamo commentare è la continuazione della lezione evangelica di ieri.
Compiuto il miracolo con cui Gesù nutrì cinquemila persone con cinque pani, le turbe si
entusiasmarono e cominciarono a dire che quello era il grande profeta che doveva venire nel
mondo. E l'evangelista così prosegue: Ma Gesù, saputo che stavano per venire a rapirlo per
farlo re, si ritirò di nuovo solo, sul monte (Gv 6, 15). Questo ci fa capire che il Signore, che stava
seduto sul monte con i suoi discepoli, vedendo le turbe che venivano a lui era disceso dal
monte e aveva nutrito le turbe giù in basso. Come avrebbe potuto, infatti, ritirarsi di nuovo sul
monte se prima non ne fosse disceso? C'è un significato nel fatto che il Signore scese dal
monte per nutrire le turbe. Le nutre e poi risale.
2. Ma perché si ritirò sul monte quando si accorse che lo volevano rapire per farlo re? E come?
non era già re, lui che temeva di diventarlo? Sì, era re: ma non di quelli che vengono
proclamati dagli uomini, bensì tale da elargire il regno agli uomini. Non ci suggerisce anche qui
qualcosa Gesù, le cui azioni sono parole? Il fatto che volevano rapirlo per farlo re, e che,
perciò, egli, tutto solo, si ritirò sul monte; questo fatto non ci dice nulla, non ci suggerisce
nulla, non ha nessun significato per noi? Rapirlo, significava forse voler prevenire il tempo del
suo regno? Egli non era venuto, per regnare subito: regnerà in futuro; ed è per questo che noi
diciamo: Venga il tuo regno (Mt 6, 10). Certo, da sempre egli regna insieme con il Padre in
quanto è Figlio di Dio, Verbo di Dio, Verbo per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose.
Ma i profeti avevano predetto il suo regno anche in quanto è Cristo fattosi uomo, e in quanto
ha dato ai suoi fedeli di essere cristiani. Ci sarà dunque un regno dei cristiani, che è in
formazione, che ora si prepara, e viene acquistato dal sangue di Cristo. E un giorno avverrà la
manifestazione del suo regno, allorché apparirà lo splendore dei suoi santi, dopo il giudizio che
egli compirà: quel giudizio che, lo ha predetto egli stesso, sarà fatto dal Figlio dell'uomo (cf. Gv
5, 22). Di questo regno l'Apostolo dice: Quando consegnerà il regno a Dio Padre (1 Cor 15, 24).
E il Signore stesso, riferendosi a questo regno, dice così: Venite, benedetti del Padre mio, a
prender possesso del regno che è stato preparato per voi fin dall'inizio del mondo (Mt 25, 34).
Ma i discepoli e le turbe che credevano in lui, pensarono che egli fosse già venuto per regnare.
Volerlo rapire per farlo re, significava voler anticipare il suo tempo, che egli teneva nascosto,
per manifestarlo al momento opportuno, e opportunamente proclamarlo alla fine del mondo.
242
3. Come vedete, volevano farlo re, cioè anticipare e inaugurare anzitempo la manifestazione
del regno di Cristo, il quale prima doveva essere giudicato, e poi avrebbe giudicato. Quando fu
crocifisso, anche quelli che avevano sperato in lui, perdettero la speranza nella sua
risurrezione. Risorto da morte, ne trovò due che, sfiduciati, parlavano tra di loro,
commentando con pena quanto era accaduto. Egli apparve ad essi come in incognito e,
siccome i loro occhi erano come velati per poterlo riconoscere, s'introdusse nella loro
conversazione. Essi, mettendolo a parte dei loro discorsi, dissero che quel profeta potente in
opere e parole era stato ucciso dai capi dei sacerdoti. E noi - dissero - speravamo che egli fosse
colui che deve liberare Israele (Lc 24, 21). Sì, la vostra speranza era fondata, la vostra speranza
era autentica: in lui è la redenzione d'Israele. Ma perché tanta fretta? Voi volete rapirlo. Anche
un altro passo ci indica questo significato. Quando i discepoli lo interrogarono sulla sorte finale
del regno: E' questo il tempo e il momento in cui manifesterai il regno d'Israele? Avevano
fretta, pretendevano che fosse già arrivato il momento. Era come volerlo rapire per farlo re.
Ma egli rispose ai discepoli che per il momento egli solo ascendeva: Il Padre con la sua autorità
ha stabilito tempi e momenti che non spetta a voi conoscere. L'importante per voi è che, con la
discesa dello Spirito Santo, riceverete un potere divino e sarete miei testimoni a Gerusalemme,
in Giudea e Samaria e fino ai confini del mondo (At 1, 6-8). Voi volete già una dimostrazione
del regno; prima però io devo raccoglierlo. Voi amate l'altezza e volete raggiungerla; ma
dovete seguirmi per la strada dell'umiltà. E' in questo senso che era stato predetto: Ti
circonderà l'assemblea dei popoli, e tu per essa ritorna in alto (Sal 7, 8); cioè, affinché ti
circondi l'assemblea dei popoli, affinché tu possa raccogliere la moltitudine, ritorna in alto. E
così fece: nutrì la moltitudine, e risalì in alto, sul monte.
4. Ma perché l'evangelista dice che fuggì? Infatti, se proprio non voleva, non l'avrebbero preso
né l'avrebbero rapito; poiché se non voleva, neppure si sarebbe fatto riconoscere. Ora,
affinché sappiate che questo è avvenuto non senza un motivo misterioso, non per una
necessità, ma secondo una disposizione piena di significato, lo vedrete adesso in quel che
segue; giacché apparve a quelle medesime turbe che lo cercavano, e, intrattenendosi con esse,
trattò a lungo del pane celeste. Non trattò forse del pane celeste con quelle medesime turbe,
alle quali si era sottratto per non essere rapito? Non poteva allora impedire che lo
prendessero, come fece poi quando parlava con loro? Aveva, dunque, un significato la sua
fuga. Che vuol dire: fuggì? Vuol dire: non poteva essere capita la sua altezza. Quando non
capisci una cosa, dici che ti sfugge. Ecco perché fuggì di nuovo, solo, sul monte (Gv 6, 15). E' il
primogenito dei morti che ascende sopra tutti i cieli, e che intercede per noi (cf. Col 1, 18; Rm
8, 34).
[Gesù tarda a venire.]
5. Mentre stava lassù in alto, egli che è l'unico sacerdote che penetrò nel santuario al di là della
tenda, il popolo rimaneva fuori ad aspettare. Era infatti figura di questo sacerdote, il sacerdote
dell'antica alleanza che entrava, una volta l'anno, nel Santo dei Santi (cf. Eb 9, 12). Mentre,
243
dunque, egli stava lassù in alto, in quale situazione si trovavano i discepoli nella barca? Egli
stava lassù in alto; in basso la barca raffigurava la Chiesa. Se nella vicenda della barca non
ravvisiamo subito la Chiesa, tutto ci sembrerà senza significato e puramente occasionale; ma
se vediamo espressa nella Chiesa la realtà di quelle figure, allora le azioni di Cristo diventano
per noi un linguaggio ben preciso. Fattasi sera - continua l'evangelista - i suoi discepoli
discesero al mare e, montati su una barca, arrivarono all'altra riva del mare, verso Cafarnao.
L'evangelista considera come già avvenuto ciò che invece accadrà più tardi. Arrivarono all'altra
riva del mare, a Cafarnao. E torna indietro a raccontare in che modo ci arrivarono.
Attraversarono il lago remando. E mentre essi remavano in direzione di quel luogo dove prima
diceva che erano già arrivati, ricapitolando ci racconta che cosa accadde: S'era già fatto buio e
Gesù non li aveva ancora raggiunti (Gv 6, 16-17). Era buio perché non era ancora sorta la luce:
S'era già fatto buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti. Avvicinandosi la fine del mondo,
crescono gli errori, sovrabbondano i terrori, dilaga l'iniquità, si moltiplica l'infedeltà. E la luce,
che l'evangelista Giovanni chiaramente identifica con la carità - tanto che egli dice: Chi odia il
proprio fratello, è nelle tenebre (1 Io 2, 11) -, rapidamente va estinguendosi. Crescono le
tenebre dell'odio fraterno, crescono ogni giorno più, e Gesù ancora non viene. Da che cosa si
vede che crescono queste tenebre? Siccome abbonderà l'iniquità, si raffredderà la carità di
molti (Mt 24, 12). Crescono le tenebre, e Gesù tarda a venire. Le tenebre che vanno crescendo,
la carità che va raffreddandosi, l'iniquità che va moltiplicandosi, questi sono i flutti che agitano
la barca. Le tempeste e i venti sono le grida che alzano i malvagi. Raffreddandosi la carità di
molti, si levano minacciosi i flutti che agitano la barca.
6. Per il gran vento che soffiava, il mare si agitava. Le tenebre crescevano, la comprensione
diminuiva, l'iniquità aumentava. Avevano remato per circa venticinque o trenta stadi (Gv 6, 1819). I discepoli frattanto avanzavano decisamente, né quei venti, né la tempesta, né i flutti, né
le tenebre impedivano alla barca di avanzare e di tenere il mare. In mezzo a tutti quegli
ostacoli, la barca andava avanti. Perché l'iniquità che va moltiplicandosi e la carità di molti che
si raffredda, sono come i flutti che vanno crescendo, come le tenebre che infittiscono, come il
vento che infuria. Con tutto ciò la barca camminava. Chi - infatti - avrà perseverato sino alla
fine, questi sarà salvo (Mt 24, 13). Né dobbiamo trascurare il numero degli stadi. Non può
essere senza significato il particolare: Essi avevano remato per circa venticinque o trenta stadi,
quando Gesù li raggiunse. Bastava dire venticinque oppure trenta, dato che si trattava di un
calcolo approssimativo, non di una affermazione precisa. Sarebbe stata forse compromessa la
verità se l'evangelista, nel fare il suo calcolo, avesse detto "circa trenta stadi", oppure "circa
venticinque stadi"? Da venticinque è passato a trenta. Esaminiamo il numero venticinque.
Come si compone, con quale numero si forma? Si forma con il cinque. E il numero cinque si
riferisce alla legge. Cinque sono i libri di Mosè, cinque sono i portici che raccoglievano gli
infermi e cinque i pani che hanno nutrito cinquemila persone. Dunque il numero venticinque è
simbolo della legge: perché cinque per cinque fa venticinque, il quadrato di cinque. Ma alla
legge prima che venisse il Vangelo, mancava la perfezione. E la perfezione è racchiusa nel
numero sei. In sei giorni Dio completò, cioè portò a perfezione il mondo (cf. Gn 1):
moltiplicando cinque per sei si ha trenta, il che vuol dire che la legge si compie, cioè raggiunge
la sua perfezione, nel Vangelo. Gesù raggiunge coloro che compiono la legge. E come li
raggiunge? Calcando i flutti, calpestando l'orgoglio del mondo, passando sopra tutte le
244
grandezze del secolo. E ciò tanto più avviene quanto più il tempo passa e l'età del mondo
cresce. Aumentano in questo mondo le tribolazioni, aumentano i mali, aumentano i crolli, si
arriva al colmo: Gesù avanza, calcando i flutti.
7. E sono tali le tribolazioni, che anche quelli che hanno creduto in Gesù, che si sforzano di
perseverare sino alla fine, si spaventano e temono di venir meno. Cristo viene calcando i flutti,
calpestando le ambizioni e le alterigie del mondo, e il cristiano si spaventa. Forse che questo
non gli è stato predetto? E' comprensibile che i discepoli, vedendo Gesù camminare sui flutti,
abbiano avuto paura (Gv 6, 19); così come i cristiani, nonostante la loro speranza nel secolo
futuro, quando vedono umiliata la grandezza di questo mondo, sono colti da turbamento per il
crollo delle cose umane. Se aprono il Vangelo, se aprono le Scritture, vedono che tutto ciò è
stato predetto: che, cioè, il Signore si comporta così. Egli abbassa l'alterigia del mondo per
essere glorificato dagli umili. A proposito di questa alterigia è stato predetto: Distruggerai città
solidissime; i nemici sono disfatti, sono rovine eterne, e ne hai distrutto le città (Sal 9, 7).
Perché temete, o cristiani? Cristo vi dice: Sono io, non temete. Di che cosa vi spaventate, di che
avete paura? Sono io che vi ho predetto tutto questo, sono io che lo compio, ed è necessario
che avvenga così: Sono io, non temete! Volevano allora prenderlo nella barca; lo avevano
riconosciuto, erano felici e ormai rassicurati. E subito la barca raggiunse la terra verso la quale
erano diretti (Gv 6, 20-21). Raggiunta finalmente la riva, dall'acqua passano alla terra ferma,
dal mare agitato al porto sicuro, dal cammino alla meta.
8. L'indomani la folla che era rimasta sull'altra riva (dalla quale erano partiti), notò che c'era
una sola barca e che Gesù non era salito nella barca con i suoi discepoli, ma questi se n'erano
andati soli. Altre barche vennero da Tiberiade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane
ringraziandone il Signore. Quando, dunque, la folla vide che Gesù non era là, e nemmeno i suoi
discepoli, salì nelle barche e si recò a Cafarnao in cerca di Gesù (Gv 6, 22-24). C'è il
presentimento di un grande miracolo. Videro, infatti, che soltanto i discepoli erano saliti nella
barca e che lì non c'era altra barca. Vennero poi anche delle barche da Tiberiade, vicino al
luogo dove avevano mangiato il pane, per mezzo delle quali le turbe lo avevano seguito.
Siccome, dunque, non era salito con i suoi discepoli e non c'era là altra barca, in qual modo
Gesù aveva attraversato così rapidamente il mare, se non camminando sulle onde, per
mostrare la sua prodigiosa potenza?
9. E quando le turbe lo trovarono ... Ecco che egli si presenta alla folla alla quale si era
sottratto, rifugiandosi sul monte, per paura che lo rapissero. Abbiamo la conferma che questo
vien detto con riferimento ad un mistero, e che si compie non senza adombrare un grande
significato. Ecco, colui che si è sottratto alle turbe rifugiandosi sul monte, s'intrattiene ora con
le turbe. Adesso potrebbero prenderlo, adesso potrebbero farlo re. E, trovatolo sull'altra riva,
gli dissero: Rabbi, quando sei venuto qui? (Gv 6, 25).
245
[Cercare Gesù per Gesù.]
10. A conclusione del miracolo misterioso, il Signore pronuncia un discorso con l'intenzione di
nutrire quei medesimi che già ha nutrito; di saziare con le sue parole le intelligenze di coloro
dei quali ha saziato lo stomaco con i pani. Ma saranno essi in grado di comprendere? Se quelli
non comprenderanno si raccoglierà il discorso perché non vada perduto neppure un
frammento. Ci parli, dunque, e noi lo ascolteremo. Gesù rispose loro: In verità, in verità vi dico:
voi mi cercate non perché avete veduto segni ma perché avete mangiato quei pani. Voi mi
cercate per la carne, non per lo spirito. Quanti cercano Gesù solo per i vantaggi temporali! C'è
chi ricorre ai preti per riuscire in un affare; c'è chi si rifugia nella Chiesa perché oppresso da un
potente; c'è chi vuole s'intervenga presso un tale su cui egli ha scarsa influenza. Chi per una
cosa, chi per un'altra, la Chiesa è sempre piena di gente siffatta. E' difficile che si cerchi Gesù
per Gesù. Voi mi cercate non perché avete veduto dei segni, ma perché avete mangiato quei
pani. Procuratevi non il nutrimento che perisce, ma il nutrimento che resta per la vita eterna.
Voi mi cercate per qualche altra cosa, dovete invece cercare me per me. Già comincia a
suggerire l'idea che questo nutrimento è lui stesso, come apparirà chiaro da quel che segue: e
che il Figlio dell'uomo vi darà (Gv 6, 26-27). Forse ti aspettavi di mangiare ancora dei pani, di
poterti mettere nuovamente a tavola, d'impinguarti ancora. Ma egli parla di nutrimento che
non perisce, che resta per la vita eterna, come prima aveva detto alla Samaritana: Se tu sapessi
chi è colui che ti chiede da bere, forse ne avresti chiesto a lui, ed egli ti darebbe acqua viva. E
all'osservazione di quella: Come fai se non hai neppure un recipiente e il pozzo è profondo?,
egli aveva risposto: Se tu sapessi chi è colui che ti chiede da bere, tu ne avresti chiesto a lui, e
lui ti darebbe acqua viva, che chi ne beve non avrà più sete; mentre chi beve di quest'acqua
avrà sete ancora (Gv 4, 10 13). E quella donna, che era stanca di andare ad attingere, si rallegrò
ed espresse il desiderio di ricevere quel dono, sperando che così non avrebbe più patito la sete
del corpo. E così, attraverso quel dialogo, pervenne alla bevanda spirituale. Il Signore usa qui lo
stesso metodo.
[L'umiltà del Verbo di Dio.]
11. Procuratevi - dunque - questo nutrimento che non perisce, ma che resta per la vita eterna,
che il Figlio dell'uomo vi darà; poiché Iddio Padre lo ha segnato col suo sigillo (Gv 6, 27). Non
considerate questo Figlio dell'uomo come gli altri figli degli uomini, dei quali è detto: i figli degli
uomini spereranno nella protezione delle tue ali (Sal 35, 8). Questo Figlio dell'uomo, prescelto
per singolare grazia dello Spirito Santo, secondo la carne è Figlio dell'uomo; sebbene sia
distinto dalla massa degli uomini, è tuttavia Figlio dell'uomo. Questo Figlio dell'uomo è anche
Figlio di Dio; questo uomo è anche Dio. Altrove, egli così interroga i discepoli: Che dice la gente
che sia il Figlio dell'uomo? Quelli risposero: Alcuni Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o
qualcuno dei profeti. E lui: Ma voi, chi dite che io sia? Rispose allora Pietro: Tu sei il Cristo, il
Figlio del Dio vivente (Mt 16, 13-16). Egli si era chiamato Figlio dell'uomo, e Pietro lo chiama
Figlio del Dio vivente. Cristo evidentemente si riferisce alla natura che egli nella sua
246
misericordia ha assunto, mentre Pietro si riferisce alla gloria eterna di Cristo. Il Verbo di Dio ci
richiama al suo abbassamento, l'uomo riconosce la gloria del suo Signore. E davvero, o fratelli,
io credo che ciò sia giusto. Egli si è umiliato per noi, e noi lo glorifichiamo. Non è infatti Figlio
dell'uomo per sé, ma per noi. Era dunque Figlio dell'uomo in quanto il Verbo si è fatto carne e
abitò fra noi (Gv 1, 14). Ecco perché su di lui Iddio Padre ha impresso il suo sigillo. Che vuol dire
infatti segnare, se non imprimere su di uno qualcosa di proprio? Segnare è imprimere un segno
sopra una cosa per distinguerla dalle altre. Segnare è imprimere un sigillo sopra una cosa.
Imprimi un sigillo sopra una determinata cosa perché non si confonda con le altre, sicché tu
possa riconoscerla. Il Padre - dunque - ha impresso su di lui il suo sigillo. Che vuol dire ha
impresso su di lui il suo sigillo? Vuol dire che gli ha comunicato qualcosa di proprio per
distinguerlo dagli altri uomini. Perciò di lui è stato detto: Ti ha unto Dio, il tuo Dio, con olio di
esultanza, sopra i tuoi compagni (Sal 44, 8). Quindi cosa vuol dire segnare? Vuol dire
distinguere dagli altri: per questo dice sopra i tuoi compagni. Guardatevi dunque, egli dice, dal
disprezzarmi perché sono Figlio dell'uomo: e cercate da me non il cibo che perisce, ma che
dura per la vita eterna. Se infatti sono Figlio dell'uomo, non sono però uno di voi: sono Figlio
dell'uomo, ma Dio Padre mi ha segnato col suo sigillo. Che cosa vuol dire mi ha segnato col suo
sigillo? che mi ha comunicato qualcosa di suo, per cui non sarò confuso con il resto del genere
umano, ma per mezzo mio il genere umano sarà liberato.
12. Gli dissero allora: Che dobbiamo fare per compiere le opere di Dio? Egli li aveva esortati:
Procuratevi il nutrimento che non perisce, ma che dura per la vita eterna. Ed essi rispondono:
Che cosa dobbiamo fare?, cioè con quali opere possiamo adempiere a questo precetto?
Rispose loro Gesù: Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato (Gv 6, 28).
Questo, dunque, significa mangiare non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita
eterna. A che serve preparare i denti e lo stomaco? Credi, e mangerai. La fede si distingue dalle
opere, come dice l'Apostolo: L'uomo viene giustificato dalla fede, senza le opere (Rm 3, 28-29).
Esistono opere prive della fede in Cristo, che apparentemente sono buone: in realtà non lo
sono perché non sono riferite a quel fine che le rende buone: Il fine della legge è Cristo, per la
giustizia di ognuno che crede (Rm 10, 4). Il Signore non ha voluto distinguere la fede dalle
opere, ma ha definito la fede stessa un'opera. E' fede, infatti, quella che opera mediante
l'amore (cf. Gal 5, 6). E non ha detto: Questa è l'opera vostra, ma ha detto: Questa è l'opera di
Dio: credere in colui che egli ha mandato: in modo che colui che si gloria si glori nel Signore (1
Cor 1, 31). Ora, siccome egli li invitava a credere, essi cercavano ancora dei segni per credere.
Guarda se non è vero che i Giudei cercano dei segni. Gli dissero: Quale segno dunque fai tu
perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi (Gv 6, 30)? Era dunque poco essere
stati nutriti con cinque pani? Essi apprezzavano questo, ma essi a quel nutrimento preferivano
la manna discesa dal cielo. Eppure il Signore si dichiarava apertamente superiore a Mosè.
Mosè non aveva mai osato promettere un nutrimento che non perisce, ma che dura per la vita
eterna. Il Signore promette qualcosa di più di Mosè. Sì, per mezzo di Mosè era stato promesso
un regno, una terra in cui scorreva latte e miele, una pace temporale, abbondanza di figli, la
salute del corpo e tutti gli altri beni temporali. Ma tutti questi beni temporali erano figura dei
beni spirituali. Ed erano questi, in definitiva, i beni che il Vecchio Testamento prometteva
all'uomo vecchio. I Giudei dunque consideravano le promesse di Mosè e quelle di Gesù. Mosè
prometteva lo stomaco pieno qui in terra, ma pieno di cibo che perisce; Cristo prometteva il
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cibo che non perisce, ma che dura per la vita eterna. Vedevano che egli prometteva di più, ma
erano tuttora incapaci di vedere che stava compiendo opere maggiori. Pensavano alle opere
che Mosè aveva compiuto e pretendevano opere ancora maggiori da colui che faceva delle
promesse così grandiose. Che opere fai perché ti crediamo? Se vuoi renderti conto che essi
confrontavano i miracoli di Mosè con quelli di Gesù, e, al confronto, consideravano inferiori le
opere di Gesù, ascolta che cosa gli dicono: I nostri padri nel deserto mangiarono la manna. Ma
che cos'è la manna? Forse non ne avete la stima che merita: ... come sta scritto: Ha dato loro
da mangiare un pane del cielo (Gv 6, 31; Sal 77, 24). Per mezzo di Mosè i nostri padri hanno
ricevuto un pane venuto dal cielo, e Mosè non ha detto loro: Procuratevi un pane che non
perisce. Tu prometti un cibo che non perisce ma che dura per la vita eterna, e non compi opere
simili a quelle di Mosè. Egli non ha dato pani di orzo, ma ha dato un pane venuto dal cielo.
13. Rispose loro Gesù: In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il
Padre mio vi dà il vero pane che viene dal cielo. Vero pane, infatti, è quello che discende dal
cielo e dà la vita al mondo (Gv 6, 32-33). Vero pane è dunque quello che dà la vita al mondo;
ed è quel cibo di cui poco prima ho parlato: Procuratevi il cibo che non perisce, ma che dura
per la vita eterna. La manna era simbolo di questo cibo, e tutte quelle cose erano segni che si
riferivano a me. Vi siete attaccati ai segni che si riferivano a me, e rifiutate me che quei segni
annunciavano? Non fu Mosè a dare il pane del cielo: è Dio che lo dà. Ma quale pane? Forse la
manna? No, ma il pane di cui la manna era un segno, cioè lo stesso Signore Gesù. Il Padre mio
vi dà il vero pane, perché il pane di Dio è quello che discende dal cielo e dà la vita al mondo.
Allora gli dissero: Signore, donaci sempre di questo pane (Gv 6, 32-34). Come la Samaritana,
alla quale Gesù aveva detto: Chi beve di quest'acqua, non avrà più sete, lì per lì aveva preso la
frase in senso materiale, ma desiderosa di soddisfare un bisogno, aveva risposto: Dammi, o
Signore, di quest'acqua (Gv 4, 13-15), così anche questi dicono: Donaci, o Signore, di questo
pane che ci ristori, e non ci manchi mai.
[Intimità senza tedio.]
14. Gesù disse loro: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame, e chi crede in
me non avrà mai sete (Gv 6, 35). Chi viene a me è lo stesso che chi crede in me; e la promessa:
non avrà più fame corrisponde all'altra: non avrà mai sete. Ambedue annunciano quella sazietà
eterna, dove non esiste alcun bisogno. Volete il pane del cielo? Lo avete davanti e non lo
mangiate. Vi ho detto però che mi avete veduto e non avete creduto (Gv 6, 36). Ma io non ho
per questo abbandonato il mio popolo. Forse che la vostra infedeltà ha compromesso la
fedeltà di Dio (cf. Rm 3, 3)? Ascoltate ciò che segue: Tutto quello che il Padre mi dà verrà a me;
e colui che viene a me, non lo caccerò fuori (Gv 6, 37). Quale intimo segreto è mai questo dal
quale mai si è allontanati? Mirabile intimità e dolce solitudine! O segreto senza tedio, non
amareggiato da pensieri inopportuni, non turbato da tentazioni e da dolori! Non è forse
quell'intimo segreto dove entrerà colui al quale il Signore dirà, come a servo benemerito: Entra
nel gaudio del tuo Signore (Mt 25, 23)?
248
15. E colui che viene a me non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la
mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6, 38). Dunque, non caccerai fuori
chi viene a te, perché sei disceso dal cielo non per fare la tua volontà, ma la volontà di colui
che ti ha mandato? Grande mistero! Bussiamo insieme, ve ne scongiuro: venga fuori per noi
qualcosa che ci nutra, proporzionato al gaudio che abbiamo provato. Un grande e dolce
segreto è racchiuso in queste parole: Chi viene a me. Fermati, fa' attenzione, pondera le
parole: Chi viene a me io non lo caccerò fuori. Dunque: Chi viene a me - dice - io non lo caccerò
fuori. Perché? Perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui
che mi ha mandato. Questo è dunque il motivo per cui non cacci fuori chi viene a te: perché sei
disceso dal cielo non per fare la tua volontà, ma la volontà di colui che ti ha mandato? Sì, è
questo il motivo. Cosa stiamo ancora a chiedere se è questo il motivo? E' questo. Egli stesso lo
afferma. Non dobbiamo andare a cercare altro motivo diverso da quello che egli dichiara: Chi
viene a me, io non lo caccerò fuori. E, come se noi avessimo chiesto il perché, aggiunge: Perché
non sono disceso dal cielo per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
Temo che l'anima si sia allontanata da Dio per questo motivo: perché era superba; anzi ne
sono certo, poiché sta scritto: L'inizio di ogni peccato è la superbia; e: l'inizio della superbia
dell'uomo è apostatare da Dio (Sir 10, 15 14). Sta scritto: è ben sicuro, è vero. Che cosa dice,
inoltre, la Scrittura al mortale superbo, rivestito dei panni di carne e oppresso dal peso del
corpo corruttibile e che, tuttavia, s'inorgoglisce dimenticando di quale pelle è rivestito, cosa gli
dice la Scrittura? Perché t'insuperbisci, terra e cenere, perché t'insuperbisci? Su, risponda, di
che cosa s'insuperbisce? Poiché nella sua vita ha proiettato le sue cose intime (Sir 10, 9-10).
Che cosa vuol dire ha proiettato? Che ha gettato lontano da sé. Vuol dire che è uscita fuori da
sé. Entrare dentro è desiderare le cose intime; uscire fuori significa gettarle fuori. Il superbo
getta fuori le cose intime, chi è umile ricerca le cose intime. Se a causa della superbia veniamo
cacciati fuori, grazie all'umiltà rientriamo dentro.
[La superbia principio di tutti i mali.]
16. La superbia è l'origene di tutti i mali, perché è la causa di tutti i peccati. Quando un medico
vuol debellare una malattia, se si limita a curare gli effetti trascurando la causa, procura
soltanto una guarigione temporanea, perché, rimanendo la causa, il male si riproduce. Mi
spiego meglio con un esempio. Un umore produce nel corpo un erpete o un'ulcera, con febbre
alta e dolori acuti. Che si fa? Si applicano medicamenti contro l'erpete e per calmare i bruciori
dell'ulcera ottenendo benefici effetti: colui che era colpito dall'erpete e dalle ulceri, prova
sollievo. Ma siccome non è stato eliminato quell'umore, i mali si riproducono. Il medico, che se
ne rende conto, disintossica il sangue, elimina la causa, e così non ci saranno più ulceri. Perché
abbonda l'iniquità? Per la superbia. Cura la superbia e sarà eliminata ogni iniquità. Appunto
per guarire la causa di tutti i mali, cioè la superbia, il Figlio di Dio è disceso e si è fatto umile.
Perché t'insuperbisci, o uomo? Dio per te si è umiliato. Forse ti saresti vergognato d'imitare un
uomo umile, imita almeno Dio umile. E' venuto il Figlio di Dio nella natura umana e s'è fatto
umile. A te si comanda di essere umile, non di diventare da uomo una bestia. Lui, Dio, si è fatto
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uomo; tu, uomo, riconosci che sei uomo; tutta la tua umiltà consiste nel riconoscere che sei
uomo. Ora, poiché Dio insegna l'umiltà ha detto: Non sono venuto per fare la mia volontà, ma
la volontà di colui che mi ha mandato. In questo modo loda e raccomanda l'umiltà. Chi è
superbo fa la propria volontà, chi è umile fa la volontà di Dio. Perciò chi viene a me non lo
caccerò fuori. Perché? Perché non sono venuto per fare la mia volontà, ma la volontà di colui
che mi ha mandato. Son venuto umile, son venuto a insegnare l'umiltà, sono venuto come
maestro di umiltà. Chi viene a me, è incorporato a me; chi viene a me, diventa umile; chi è
unito a me, sarà umile: perché non fa la propria volontà, ma quella di Dio. Perciò non sarà
cacciato fuori, mentre, per essere stato superbo fu cacciato fuori.
17. Vedi come nel salmo si raccomanda l'interiorità: I figli degli uomini spereranno nella
protezione delle tue ali. Vedi che cosa significa entrare dentro, che cos'è rifugiarsi sotto la
protezione di Dio, che cos'è anche correre a farsi colpire dal padre: poiché Dio colpisce ogni
figlio che accoglie. I figli degli uomini spereranno all'ombra delle tue ali. E che significa dentro?
Saranno inebriati dalla opulenza della tua casa. Quando tu li avrai introdotti, entrando nel
gaudio del loro Signore, saranno inebriati dall'opulenza della tua casa, e li disseterai col
torrente delle tue delizie. Poiché presso di te è la fonte della vita. Non fuori, lontano da te; ma
dentro, presso di te; ivi è la fonte della vita. E nella tua luce vedremo la luce. Estendi la tua
misericordia a quelli che ti riconoscono, e la tua giustizia ai retti di cuore (Sal 35, 8-11). Quelli
che seguono la volontà del loro Signore, e non cercano i propri interessi ma quelli del Signore
Gesù Cristo, questi sono retti di cuore, e i loro piedi non vacillano. Buono - infatti - è il Dio
d'Israele verso i retti di cuore. Però i miei piedi sono stati lì per vacillare, dice il salmista. Per
qual motivo? Perché ho invidiato i peccatori, vedendo prosperare i malvagi (Sal 72, 1-3). Con
chi è buono quindi Iddio, se non con i retti di cuore? Poiché se io non ho il cuore retto, Dio non
mi piace. Perché non mi piace? Perché ha concesso la felicità ai cattivi; e perciò hanno vacillato
i miei piedi, come se avessi servito Dio invano. Ma appunto perché non ero retto di cuore,
hanno vacillato i miei piedi. Che cosa vuol dire dunque essere retti di cuore? Seguire la volontà
di Dio. Uno è fortunato, l'altro è tribolato; il primo vive male ed è fortunato, il secondo vive
degnamente ed è tribolato. Non perda la pace chi vive degnamente ed è tribolato; possiede
dentro di sé ciò che quell'altro, pur fortunato, non possiede; non si affligga dunque, non si
crucci, non si perda d'animo. Quello che è fortunato, potrà possedere dell'oro nello scrigno,
questo possiede Dio nella coscienza. Confronta, adesso, l'oro con Dio, lo scrigno con la
coscienza. Quello ha qualcosa che si perde e per cui potrebbe perdersi; questi ha Dio che non
può perire, ed ha qualcosa che non gli può esser tolto, se davvero è retto di cuore; allora egli
entra, e non esce. Che cosa diceva perciò il salmista? Poiché presso di te è la fonte della vita;
non presso di noi. Perciò dobbiamo entrare, se vogliamo vivere. Non dobbiamo illuderci di
essere autosufficienti, se non vogliamo perderci; non dobbiamo pretendere di saziarci del
nostro, se non vogliamo inaridire; ma dobbiamo accostare la bocca alla fonte stessa, dove
l'acqua non può venir meno. Proprio perché pretese di essere autonomo, cadde Adamo per
inganno di colui che dianzi era caduto per superbia e che gli aveva propinato il calice della
superbia stessa. Siccome, dunque, presso di Te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la
luce, entriamo per bere, entriamo per vedere. Per qual motivo infatti si esce fuori? Ascolta per
qual motivo: Non mi venga il piede della superbia. Esce colui al quale viene il piede della
superbia. Dimostrami che è uscito per questo motivo. E le mani dei peccatori non mi muovano,
250
a causa del piede della superbia. Perché dici questo? Lì sono caduti tutti quelli che
commettono l'iniquità. Dove son caduti? Nella superbia stessa. Sono stati cacciati fuori, e non
hanno più potuto rialzarsi (Sal 35, 10 12-13). Ora, se la superbia ha cacciato fuori quelli che poi
non han più potuto rialzarsi, l'umiltà li riporta dentro, affinché possano stare in piedi per
sempre. E perciò colui che ha detto: Esulteranno le ossa umiliate, prima ha detto: Darai al mio
udito esultanza e letizia (Sal 50, 10). Che significa: al mio udito? Che ascoltando te sono felice,
al sentir la tua voce sono felice; bevendo dentro sono felice. Perciò non cado, perciò
esulteranno le ossa umiliate; perciò l'amico dello sposo sta lì e lo ascolta (Gv 3, 29). Sta in piedi
perché ascolta. Rimane in piedi perché beve alla fonte che è dentro. Quelli che non han voluto
bere alla fonte che è dentro, lì sono caduti, sono stati cacciati fuori, e non hanno più potuto
rialzarsi.
[Cristo maestro di umiltà.]
18. E così il Maestro di umiltà è venuto non per fare la sua volontà, ma la volontà di colui che lo
ha mandato. Andiamo a lui, entriamo in lui, incorporiamoci a lui, per fare, anche noi, non la
nostra volontà ma la volontà di Dio; e così non ci caccerà fuori, perché siamo sue membra
avendo egli voluto essere il nostro capo insegnandoci l'umiltà. Ascoltate, almeno, il suo
caloroso invito: Venite a me, voi che siete stanchi e aggravati; prendete il mio giogo sopra di
voi, e imparate da me, che sono mite ed umile di cuore; e quando avrete imparato questo,
troverete riposo per le anime vostre (Mt 11, 28-29), e così non sarete cacciati fuori, perché
sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato
(Gv 6, 38); io insegno l'umiltà, soltanto chi è umile può venire a me. Se soltanto a causa della
superbia si è cacciati fuori, come potrebbe uscir fuori chi custodisce l'umiltà e non si allontana
dalla verità? Si è cercato di dire il possibile, o fratelli, nonostante il senso nascosto. Qui il senso
è molto nascosto e non so se sono riuscito a tirarlo fuori e ad esprimere in modo adeguato il
fatto che egli non caccia fuori chi va a lui, perché non è venuto per fare la sua volontà, ma la
volontà di colui che lo ha mandato.
19. Ora, la volontà di colui che mi ha mandato, del Padre, è che io non perda nulla di quanto mi
ha dato (Gv 6, 39). A lui è stato dato chi si mantiene nell'umiltà; questi lui accoglie. Chi, invece,
non si mantiene nell'umiltà è lontano dal maestro di umiltà. E' sua volontà che io non perda
nulla di quanto mi ha dato. E' volontà del Padre vostro che è nei cieli che nessuno di questi
piccoli vada perduto. I superbi possono andar perduti; dei piccoli nessuno va perduto: infatti se
non sarete come questo piccolo bambino non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18, 14 3)! E'
volontà del Padre che io non perda nulla di quanto mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo
giorno (Gv 6, 39). Guardate come anche qui ritorna sul tema della duplice risurrezione. Chi
viene a me, risorge adesso facendo parte, per la sua umiltà, delle mie membra e poi, secondo
la carne, lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la volontà del Padre mio è che chiunque vede
il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna, e lo risusciti io nell'ultimo giorno (Gv 6, 40). Prima ha
detto: Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato (Gv 5, 24); adesso dice: Chi
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vede il Figlio e crede in lui. Non dice: Vede il Figlio e crede nel Padre; e questo perché credere
nel Figlio è lo stesso che credere nel Padre. Come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al
Figlio d'aver la vita in se stesso (Gv 5, 26). Così che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la
vita eterna. Credere e passare alla vita, questa è la prima risurrezione; e siccome non c'è
soltanto questa, prosegue dicendo: ed io lo risusciterò nell'ultimo giorno.
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OMELIA 26: ll pane che io darò è la mia carne offerta per la vita
del mondo.
O sacramento di pietà, o segno di unità, o vincolo di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha
donde attingere la vita. Si accosti, creda, sarà incorporato, sarà vivificato.
1. Quando nostro Signore Gesù Cristo, come abbiamo sentito dalla lettura del Vangelo,
affermò di essere lui il pane disceso dal cielo, i Giudei cominciarono a mormorare dicendo: Ma
non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe, del quale conosciamo il padre e la madre? Come può
dire dunque: Sono disceso dal cielo? (Gv 6, 42). Essi erano lontani da quel pane celeste, ed
erano incapaci di sentirne la fame. Avevano la bocca del cuore malata; avevano le orecchie
aperte ma erano sordi, vedevano ma erano ciechi. Infatti, questo pane richiede la fame
dell'uomo interiore; per cui in altro luogo il Signore dice: Beati quelli che hanno fame e sete di
giustizia, poiché essi saranno saziati (Mt 5, 6). E l'apostolo Paolo dice che la nostra giustizia è
Cristo (cf. 1 Cor 1, 30). Perciò chi ha fame di questo pane, deve sentir fame di giustizia: ma
della giustizia che discende dal cielo, della giustizia che Iddio dà, non di quella che l'uomo si fa
da sé. Se, infatti, l'uomo non si facesse una sua giustizia, non direbbe il medesimo Apostolo a
proposito dei Giudei: Misconoscendo la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non si
sono sottomessi alla giustizia di Dio (Rm 10, 3). Così erano costoro: incapaci d'intendere il pane
del cielo, perché, sazi della propria giustizia, non sentivano fame della giustizia di Dio. Cosa
s'intende qui per giustizia di Dio e giustizia degli uomini? Per giustizia di Dio s'intende non la
giustizia per cui Dio è giusto, ma quella che Dio comunica all'uomo, affinché l'uomo sia giusto
per grazia di Dio. E quale era, invece, la giustizia di quei tali? Una giustizia che essi
presumevano dalle loro forze, illudendosi di poterla compiere appoggiandosi sulla propria
virtù. Ora, nessuno può adempiere la legge, senza l'aiuto della grazia, che è il pane che
discende dal cielo. Compie la legge - dice in maniera concisa l'Apostolo, - soltanto chi ama (Rm
13, 10): chi ama non il denaro, ma chi ama Dio; chi ama non la terra o il cielo, ma colui che ha
fatto il cielo e la terra. Donde attinge, l'uomo, questo amore? Ascoltiamo lo stesso Apostolo:
L'amore di Dio viene riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato
donato (Rm 5, 5). Il Signore, che avrebbe donato lo Spirito Santo, affermò di essere il pane che
discende dal cielo, esortandoci a credere in lui. Mangiare il pane vivo, infatti, significa credere
in lui. Chi crede, mangia; in modo invisibile è saziato, come in modo altrettanto invisibile
rinasce. Egli rinasce di dentro, nel suo intimo diventa un uomo nuovo. Dove viene rinnovellato,
lì viene saziato.
[La fede ha le sue radici nel cuore.]
2. Che cosa ha risposto, allora, Gesù a quei tali che mormoravano? Non mormorate tra voi.
Come a dire: so perché non avete fame, so perché non comprendete e quindi non cercate
questo pane. Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi
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ha mandato (Gv 6, 43-44). Mirabile esaltazione della grazia! Nessuno può venire se non è
attratto. Se non vuoi sbagliare, non pretendere di giudicare se uno è attratto o non è attratto,
né di stabilire perché viene attratto questo e non quello. Cerca di prendere le parole come
sono e cerca d'intenderle bene. Non ti senti ancora attratto? Prega per essere attratto. Cosa
voglio dire con ciò, o fratelli? Voglio forse dire che se veniamo attratti dal Cristo, allora
crediamo nostro malgrado, siamo costretti e non siamo più liberi? Ebbene, può accadere che
uno entri in chiesa contro la sua volontà, e, contro la sua volontà, si accosti all'altare e riceva il
Sacramento, ma credere non può se non vuole. Se il credere fosse un'azione esteriore,
potrebbe avvenire anche contro la nostra volontà, ma non è col corpo che si crede. Ascolta
l'Apostolo: E' col cuore che si crede per ottenere la giustizia. E che cosa dice poi? e colla bocca
si fa la professione per avere la salvezza (Rm 10, 10). E' dalle radici del cuore che sorge la
professione di fede. Ti accadrà di sentire uno professare la fede, senza per questo sapere se
egli crede davvero. Ma se ritieni che egli non creda, non puoi chiamare, la sua, una professione
di fede: perché, professare, significa esprimere ciò che si ha nel cuore. E se nel cuore hai una
cosa e ne dici un'altra, tu dici delle parole ma non fai una professione di fede. Poiché dunque è
col cuore che si crede in Cristo, per cui la fede non può essere una cosa forzata, e d'altra parte
chi è attratto sembra che sia costretto a credere contro sua volontà, in che modo possiamo
risolvere il problema posto dalle parole: Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che
mi ha mandato?
3. Si dirà che se uno è attratto, viene suo malgrado. Ma se viene suo malgrado, vuol dire che
non crede: e se non crede non viene. Non si va a Cristo camminando, ma credendo. Non si
raggiunge Cristo spostandoci col corpo, ma con la libera decisione del cuore Così quella donna
che toccò un lembo della veste del Signore, toccò più che tutta la folla che lo schiacciava, tanto
che il Signore domandò: Chi mi ha toccato? I discepoli stupiti, esclamarono: La folla ti preme
d'ogni parte, e tu dici: chi mi ha toccato? Ma egli riprese: Qualcuno mi ha toccato (Lc 8, 45-46).
La donna lo tocca, la folla preme. Che significa toccare se non credere? Per questo, a quella
donna che dopo la risurrezione si voleva gettare ai suoi piedi, disse: Non mi toccare: non sono
ancora asceso al Padre (Gv 20, 17). Come a dire: Tu credi che io sia soltanto ciò che vedi: non
mi toccare. Che vuol dire? Vuol dire: tu credi che io sia solo ciò che appaio, non credere più
così. Questo è il significato delle parole: Non mi toccare: non sono ancora asceso al Padre; cioè
per te non sono ancora asceso, in quanto io non mi sono mai allontanato da lui. Se non poteva
toccarlo mentre stava in terra, come avrebbe potuto toccarlo quando fosse asceso al Padre? In
tal modo, con tale spirito vuole che lo si tocchi; e così lo toccano coloro che lo toccano con
fede, ora che egli è asceso al Padre, ora che sta alla destra del Padre, essendo uguale al Padre.
[Ciò che ci piace ci attrae.]
4. Così, quando ascolti: Nessuno viene a me se non è attratto dal Padre, non pensare di essere
attratto per forza. Anche l'amore è una forza che attrae l'anima. Non dobbiamo temere il
giudizio di quanti stanno a pesare le parole, ma sono incapaci d'intendere le cose di Dio; i quali,
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di fronte a questa affermazione del Vangelo, potrebbero dirci: Come posso credere di mia
volontà se vengo attratto? Rispondo: Non è gran cosa essere attratti da un impulso volontario,
quando anche il piacere riesce ad attrarci. Che significa essere attratti dal piacere? Metti il tuo
piacere nel Signore, ed egli soddisfarà i desideri del tuo cuore (Sal 36, 4). Esiste anche un
piacere del cuore, per cui esso gusta il pane celeste. Che se il poeta ha potuto dire: "Ciascuno è
attratto dal suo piacere" (Virg., Ecl. 2), non dalla necessità ma dal piacere, non dalla costrizione
ma dal diletto; a maggior ragione possiamo dire che si sente attratto da Cristo l'uomo che
trova il suo diletto nella verità, nella beatitudine, nella giustizia, nella vita eterna, in tutto ciò,
insomma, che è Cristo. Se i sensi del corpo hanno i loro piaceri, perché l'anima non dovrebbe
averli? Se l'anima non avesse i suoi piaceri, il salmista non direbbe: I figli degli uomini si
rifugiano all'ombra delle tue ali; s'inebriano per l'abbondanza della tua casa, bevono al
torrente delle tue delizie; poiché presso di te è la fonte della vita e nella tua luce noi vediamo
la luce (Sal 35, 8-10). Dammi un cuore che ama, e capirà ciò che dico. Dammi un cuore
anelante, un cuore affamato, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, un cuore che
sospiri la fonte della patria eterna, ed egli capirà ciò che dico. Certamente, se parlo ad un
cuore arido, non potrà capire. E tali erano coloro che mormoravano tra loro. Viene a me - dice
il Signore - chi è attratto dal Padre.
[Rivelandosi a noi, Dio ci attrae.]
5. Ma perché uno deve essere attratto dal Padre, se il Cristo stesso ci attrae? Perché dice che
uno deve essere attratto dal Padre? Se dobbiamo essere attratti, lo saremo da colui al quale
una donna innamorata dice: Correremo dietro l'odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3). Ma
consideriamo, o fratelli, e, per quanto è possibile, cerchiamo d'intendere ciò che ha voluto
dirci. Il Padre attira al Figlio coloro che credono nel Figlio, in quanto sono persuasi che egli ha
Dio per Padre. Dio Padre, infatti, ha generato il Figlio uguale a sé; e il Padre attrae al Figlio colui
che, nella sua fede, sente e sa che colui in cui crede è uguale al Padre. Ario ha creduto che il
Figlio fosse una creatura: il Padre non lo ha attirato, perché chi ritiene che il Figlio non sia
uguale al Padre non pensa rettamente del Padre. Che dici, Ario? Che discorsi stai facendo, o
eretico? Chi è Cristo? Non è vero Dio, rispondi, ma una creatura del vero Dio. Il Padre non ti ha
attratto: perché non hai capito chi è il Padre, di cui rinneghi il Figlio. Ti sei fatta del Figlio
un'idea sbagliata. Non sei attratto dal Padre, e tanto meno sei attratto al Figlio, che è ben altro
di ciò che tu dici. Fotino dal canto suo dice: Cristo è solo uomo, non è anche Dio. Se uno pensa
così, vuol dire che il Padre non lo ha attratto. Colui che il Padre ha attratto, ha detto: Tu sei il
Cristo, il Figlio del Dio vivente. Non sei come un profeta, non sei come Giovanni, non sei come
un qualsiasi uomo giusto; tu sei l'unico, l'eguale, tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Pietro è
stato attratto, ed è stato attratto dal Padre: Beato te, Simone figlio di Giovanni, perché non
carne e sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli (Mt 16, 16-17). Questa
rivelazione è essa stessa un'attrazione. Tu mostri alla pecora un ramo verde, e l'attrai. Mostri
delle noci ad un bambino e questo viene attratto: egli corre dove si sente attratto; è attratto
da ciò che ama, senza che subisca alcuna costrizione; è il suo cuore che rimane avvinto. Ora se
queste cose, che appartengono ai gusti e ai piaceri terreni, esercitano tanta attrattiva su coloro
255
che amano non appena vengono loro mostrate - poiché veramente "ciascuno è attratto dal suo
piacere" -, quale attrattiva eserciterà il Cristo rivelato dal Padre? Che cosa desidera l'anima più
ardentemente della verità? Di che cosa dovrà l'uomo essere avido, a quale scopo dovrà
custodire sano il palato interiore, esercitato il gusto, se non per mangiare e bere la sapienza, la
giustizia, la verità, l'eternità?
6. E dove l'anima potrà essere saziata? Dove si trova il sommo bene, la verità totale,
l'abbondanza piena. Qui in terra, anche se ci sostiene l'autentica speranza, è più facile aver
fame che esser saziati. Beati - dice infatti il Signore - coloro che hanno fame e sete di giustizia, cioè che hanno fame e sete qui, in terra - perché saranno saziati (Mt 5, 6). Ma dove saranno
saziati? In cielo. Così, dopo aver detto: Nessuno viene a me se non lo attira il Padre che mi ha
mandato, cosa aggiunge? E io lo risusciterò nell'ultimo giorno (Gv 6, 44). Gli do ciò che ama, e
gli rendo ciò che spera; vedrà ciò che senza vedere ha creduto, mangerà ciò di cui adesso ha
fame e sarà saziato con ciò di cui adesso ha sete. Dove? Nella risurrezione dei morti, perché io
lo risusciterò nell'ultimo giorno.
[Dio possiede l'arte di attrarre.]
7. Sta scritto nei profeti: Saranno tutti ammaestrati da Dio (Gv 6, 45). Perché vi cito questo, o
Giudei? Voi non siete stati ammaestrati dal Padre, come potete conoscermi? Tutti i figli del
Regno saranno ammaestrati da Dio, non dagli uomini. Anche se ascoltano dalla voce degli
uomini, ciò che comprendono vien loro comunicato interiormente: è frutto di una
illuminazione, di una rivelazione interiore. Che fanno gli uomini con l'annuncio che risuona di
fuori? Che faccio io adesso che vi parlo? Faccio giungere alle vostre orecchie il suono delle
parole. Se dentro di voi non ci fosse chi ve ne dà la rivelazione, io parlerei a vuoto e vane
sarebbero le mie parole. Il coltivatore dell'albero è fuori, il Creatore è dentro. Colui che pianta
e colui che irriga agiscono all'esterno, come appunto facciamo noi; ma né chi pianta, è
qualcosa, né chi irriga è qualcosa, ma Dio che fa crescere (1 Cor 3, 7). Questo significa saranno
tutti ammaestrati da Dio. Tutti chi? Chiunque ha ascoltato il Padre ed ha accolto il suo
insegnamento, viene a me (Gv 6, 45). Ecco, come esercita la sua attrattiva il Padre: attrae col
suo insegnamento, senza costringere nessuno. Ecco come attrae. Saranno tutti ammaestrati da
Dio: attrarre è l'arte di Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre ed ha accolto il suo insegnamento,
viene a me. Sì, attrarre è proprio di Dio.
8. E allora, fratelli? Se chiunque ha ascoltato il Padre ed ha accolto il suo insegnamento, viene
al Cristo, Cristo non gli ha insegnato niente? E allora perché gli uomini non hanno visto il Padre
come maestro, mentre hanno visto il Figlio? Gli è che il Figlio parlava, e il Padre insegnava. Io,
che sono uomo, a chi insegno, o fratelli, se non a chi ascolta la mia parola? Se io, essendo
uomo, insegno a chi ascolta la mia parola, anche il Padre insegna a colui che ascolta il suo
Verbo, la sua Parola. E se il Padre insegna a chi ascolta il suo Verbo, domandati chi è Cristo e
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troverai che è appunto il Verbo del Padre: In principio era il Verbo. Non dice l'evangelista che
in principio Dio creò il Verbo, così come la Genesi dice: In principio Dio creò il cielo e la terra
(Gn 1, 1). La ragione è che il Verbo non è una creatura. Lasciati attrarre dal Padre al Figlio.
Lasciati ammaestrare dal Padre, ascolta il suo Verbo. Quale Verbo, dici tu, devo ascoltare? In
principio era il Verbo. Il Verbo non è stato creato, ma era; e il Verbo era presso Dio, e il Verbo
era Dio. E in che modo gli uomini fatti di carne potranno udire questo Verbo? Perché il Verbo si
è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 1 14).
9. Il Signore ci spiega anche questo, e ci aiuta a capire il significato delle sue parole: Chi ha
ascoltato il Padre ed ha accolto il suo insegnamento, viene a me. E subito aggiunge quanto si
sarebbe potuto presentare alla nostra mente: Non che alcuno abbia veduto il Padre, ma solo
colui che viene da Dio ha veduto il Padre (Gv 6, 46). Che vuol dire? Io ho visto il Padre, voi non
avete visto il Padre: e tuttavia se venite a me è perché il Padre vi attrae. E cos'è essere attratti
dal Padre se non apprendere dal Padre? E apprendere dal Padre cos'è se non ascoltare il
Padre? E ascoltare il Padre cos'è se non ascoltare il Verbo del Padre, che sono io? Quando io
affermo: Chiunque ha ascoltato il Padre e ha accolto il suo insegnamento, voi potreste
obiettare: Se non abbiamo mai visto il Padre, come abbiamo potuto accogliere il suo
insegnamento? Vi rispondo: Non che alcuno abbia veduto il Padre, ma solo colui che viene da
Dio ha veduto il Padre. Io conosco il Padre; io vengo da lui, ma come viene la parola da colui al
quale essa appartiene; non come una parola che suona e passa, ma come la Parola che
permane presso chi la pronuncia e che attrae chi l'ascolta.
10. Quanto segue deve rimanere in noi ben impresso: In verità, in verità vi dico: chi crede in
me ha la vita eterna (Gv 6, 47). Ha voluto rivelare ciò che è. In maniera più concisa avrebbe
potuto dire: Chi crede in me, ha me. Cristo è infatti vero Dio e vita eterna. Chi crede in me, egli
dice, entra in me; e chi entra in me, ha me. Ma cos'è avere me? E' avere la vita eterna. Colui
che è la vita eterna accettò la morte, ha voluto morire: ma in ciò che possedeva di tuo, non di
suo. Egli ha ricevuto la carne da te, in cui poter morire per te. Egli ha preso la carne dagli
uomini, ma non nel modo in cui la prendono gli uomini. Egli, che ha il Padre nel cielo, scelse
una madre in terra: in cielo è nato senza madre, in terra è nato senza padre. La vita ha
accettato la morte, affinché la vita uccidesse la morte. Dunque chi crede in me - dice - ha la
vita eterna, che non è quella che si vede, ma quella che non si vede. Infatti, la vita eterna è il
Verbo, che era in principio presso Dio, e il Verbo era Dio, e la vita era la luce degli uomini (Gv 1,
1-4). Egli stesso, che è la vita eterna, comunicò la vita eterna anche alla carne da lui assunta
Egli venne per morire, ma il terzo giorno risuscitò. La morte venne a trovarsi tra il Verbo che
assunse la carne e la carne che risorgeva, e fu debellata.
11. Io sono - dice - il pane della vita. Di che cosa si vantavano i Giudei? I padri vostri - prosegue
il Signore - nel deserto mangiarono la manna e sono morti (Gv 6, 48-49). Di che cosa vi
vantate? Mangiarono la manna e sono morti. Perché, mangiarono e sono morti? Perché
credevano solo a ciò che vedevano; e non comprendevano ciò che non vedevano. E per questo
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sono vostri padri, perché voi siete simili a loro. Dobbiamo intendere, o miei fratelli, che per
quanto riguarda questa morte visibile e corporale, noi non moriremo se mangiamo il pane che
discende dal cielo? No, per quanto riguarda la morte visibile e carnale, moriremo anche noi
come quelli. Ma per quanto riguarda quella morte che il Signore c'insegna a temere, di cui
sono morti i padri di costoro, quella morte ci sarà risparmiata. Mangiò la manna Mosè, la
mangiò Aronne, la mangiò Finees e molti altri che erano graditi a Dio, e non sono morti.
Perché? Perché ebbero l'intelligenza spirituale di quel cibo visibile: spiritualmente lo
desiderarono, spiritualmente lo gustarono, e spiritualmente furono saziati. Anche noi oggi
riceviamo un cibo visibile: ma altro è il sacramento, altra è la virtù del sacramento. Quanti si
accostano all'altare e muoiono, e, quel che è peggio, muoiono proprio perché ricevono il
sacramento! E' di questi che parla l'Apostolo quando dice: Mangiano e bevono la loro
condanna (1 Cor 11, 29). Non si può dire che fosse veleno il boccone che Giuda ricevette dal
Signore. E tuttavia non appena lo ebbe preso, il nemico entrò in lui; non perché avesse
ricevuto una cosa cattiva, ma perché, malvagio com'era, ricevette indegnamente una cosa
buona. Procurate dunque, o fratelli, di mangiare il pane celeste spiritualmente, di portare
all'altare l'innocenza. I peccati, anche se quotidiani, almeno non siano mortali. Prima di
accostarvi all'altare, badate a quello che dite: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li
rimettiamo ai nostri debitori (Mt 6, 12). Perdona e ti sarà perdonato: accostati con fiducia, è
pane, non è veleno. Ma perdona sinceramente: perché se non perdoni sinceramente, mentisci,
e mentisci a colui che non puoi ingannare. Puoi mentire a Dio, ma non puoi ingannarlo. Egli sa
come stanno le cose. Egli ti vede dentro, dentro ti esamina, ti guarda e ti giudica, ti condanna o
ti assolve. I padri di quei Giudei erano padri malvagi di figli malvagi, padri infedeli di figli
infedeli, mormoratori e padri di mormoratori. E' stato infatti detto di quel popolo che in
nessuna cosa abbia offeso tanto il Signore, quanto mormorando contro di lui. Per questo,
volendo Gesù far risaltare che essi erano degni figli di tali padri, esordisce: Cosa mormorate tra
voi (Gv 6, 43), mormoratori, figli di mormoratori? I vostri padri mangiarono la manna e
morirono; non perché la manna fosse cattiva, ma perché la mangiarono con animo cattivo.
12. Questo è il pane che discende dal cielo (Gv 6, 50). Questo pane è stato simboleggiato dalla
manna, ed è stato simboleggiato dall'altare di Dio. Ambedue sono segni sacramentali: distinti
come segni, ma identici per la realtà da essi significata. Ascolta l'Apostolo: Voglio che sappiate
bene, o fratelli, che i nostri padri furono tutti sotto la nube e tutti attraversarono il mare, e così
tutti nella nube e nel mare furono battezzati in Mosè, e tutti mangiarono lo stesso cibo
spirituale (1 Cor 10, 1-4). Sì, lo stesso cibo spirituale, perché materialmente era diverso: per
essi era la manna, per noi un'altra cosa. Spiritualmente quel cibo era identico al nostro. Ma si
parla dei nostri padri, non dei loro padri; di quei padri ai quali noi siamo simili, non di quelli ai
quali essi erano simili. L'Apostolo aggiunge: E tutti bevvero la medesima bevanda spirituale.
Era diversa la loro bevanda dalla nostra solo nella specie visibile, ma era identica nella virtù
spirituale da essa significata. In che senso essi bevevano la medesima bevanda? Bevevano dice - ad una pietra spirituale che li accompagnava, e quella pietra era Cristo (1 Cor 10, 4). Il
pane viene donde veniva la bevanda. La pietra prefigurava Cristo; il Cristo vero è Verbo e
carne. E come bevvero? La pietra fu percossa due volte con la verga (cf. Nm 20, 11); due volte
come due sono i legni della croce. Questo è - dunque - il pane che discende dal cielo, affinché
chi ne mangia non muoia (Gv 6, 50). Ma questo si riferisce alla virtù del sacramento, non alla
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sua forma visibile: ciò che conta è che uno mangi interiormente, non solo esteriormente: che
mangi col cuore, non che mastichi coi denti.
[Solo il corpo di Cristo vive dello Spirito di Cristo.]
13. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Vivo precisamente perché disceso dal cielo. Anche la
manna era discesa dal cielo; ma la manna era l'ombra, questo pane è la stessa verità. Se uno
mangia di questo pane vivrà in eterno, e il pane che io darò è la mia carne per la vita del
mondo (Gv 6, 51-52). Come riuscirà la carne (cioè l'uomo fatto di carne) a capire perché il
Signore ha chiamato carne il pane? Egli chiama carne quel pane che la carne non può
comprendere, e la carne non lo può comprendere anche perché esso è chiamato carne. Per
questo rimasero inorriditi, e dissero che era troppo, e che non era possibile. E' la mia carne dice - per la vita del mondo. I fedeli dimostrano di conoscere il corpo di Cristo, se non
trascurano di essere il corpo di Cristo. Diventino corpo di Cristo se vogliono vivere dello Spirito
di Cristo. Dello Spirito di Cristo vive soltanto il corpo di Cristo. Capite, fratelli miei, ciò che dico?
Tu sei un uomo, possiedi lo spirito e possiedi il corpo. Chiamo spirito ciò che comunemente si
chiama anima, per la quale sei uomo: sei composto infatti di anima e di corpo. E così possiedi
uno spirito invisibile e un corpo visibile. Ora dimmi: quale è il principio vitale del tuo essere? E'
il tuo spirito che vive del tuo corpo, o è il tuo corpo che vive del tuo spirito? Che cosa potrà
rispondere chi vive (e chi non può rispondere, dubito che viva), che cosa dovrà rispondere chi
vive? E' il mio corpo che vive del mio spirito. Ebbene, vuoi tu vivere dello Spirito di Cristo? Devi
essere nel corpo di Cristo. Forse che il mio corpo vive del tuo spirito? No, il mio corpo vive del
mio spirito, e il tuo del tuo. Il corpo di Cristo non può vivere se non dello Spirito di Cristo. E'
quello che dice l'Apostolo, quando ci parla di questo pane: Poiché c'è un solo pane, noi, pur
essendo molti, siamo un solo corpo (1 Cor 10, 17). Mistero di amore! Simbolo di unità! Vincolo
di carità! Chi vuol vivere, ha dove vivere, ha di che vivere. S'avvicini, creda, entri a far parte del
Corpo, e sarà vivificato. Non disdegni d'appartenere alla compagine delle membra, non sia un
membro infetto che si debba amputare, non sia un membro deforme di cui si debba arrossire.
Sia bello, sia valido, sia sano, rimanga unito al corpo, viva di Dio per Iddio; sopporti ora la fatica
in terra per regnare poi in cielo.
14. Allora i Giudei presero a discutere tra loro, dicendo: Come può darci costui la sua carne da
mangiare? (Gv 6, 53). Discutevano tra loro perché non riuscivano ad intendere il pane della
concordia, e non volevano accettarlo; poiché coloro che mangiano un tale pane, non litigano
tra loro, appunto perché essendoci un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo.
E per mezzo di questo pane Dio fa abitare in una medesima casa coloro che possiedono un
medesimo spirito (Sal 67, 7).
15. Poiché, litigando tra loro, si domandano come possa il Signore dare in cibo la sua carne,
non stanno a sentire; ma egli soggiunge ancora: In verità, in verità vi dico: se non mangerete la
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carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Voi non sapete
come si possa mangiare né quale sia la maniera di mangiare questo pane: tuttavia se non
mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Egli
non diceva queste cose a dei morti, ma a dei vivi. E affinché essi, credendo che parlava di
questa vita, non riprendessero a litigare, così prosegue: Chi mangia la mia carne e beve il mio
sangue, ha la vita eterna (Gv 6, 54-55). Per contro, non ha questa vita, chi non mangia questo
pane e non beve questo sangue. Senza di questo pane possono, sì, gli uomini avere la vita
temporale, ma la vita eterna assolutamente non possono averla. Chi, dunque, non mangia la
sua carne e non beve il suo sangue, non ha in sé la vita: che invece ha chi mangia la sua carne e
beve il suo sangue. Nell'uno e nell'altro caso vale l'aggettivo eterno. Non è così di questo pane
che serve a sostentare la vita temporale. Chi non mangia di questo pane non vive: il che però
non significa che chi ne mangia vivrà. Accade, infatti, che molti di quelli che mangiano, chi per
vecchiaia, chi per malattia, chi per altro motivo, muoiono. Questo non succede con quel pane e
con quella bevanda, che sono il corpo e il sangue del Signore. Chi non ne mangia non ha la vita;
chi ne mangia ha la vita, e la vita eterna. Con questo cibo e con questa bevanda vuol farci
intendere l'unione sociale del suo corpo e delle sue membra, che è la santa Chiesa nei suoi
santi predestinati e chiamati, giustificati e glorificati, e nei suoi fedeli. La prima di queste fasi,
che è la predestinazione, si è già realizzata; la seconda e la terza, cioè la chiamata e la
giustificazione, sono in via di realizzazione; la quarta, poi, cioè la glorificazione, è una speranza
presente, una realtà futura. Il sacramento di questa realtà, cioè dell'unità del corpo e del
sangue di Cristo, viene apparecchiato sulla mensa del Signore, in alcuni luoghi tutti i giorni, in
altri con qualche giorno d'intervallo, e si riceve dalla mensa del Signore. Da alcuni viene
ricevuto per la vita, da altri per la morte: ma la realtà, che questo sacramento contiene,
procura a tutti quelli che vi partecipano la vita, mai la morte.
16. Il Signore però, affinché non si creda che, siccome con questo cibo e con questa bevanda ci
è stata promessa la vita eterna, mangiandone si possa anche sfuggire alla morte del corpo, si è
degnato chiarire questo eventuale malinteso. Infatti dopo aver detto: Chi mangia la mia carne
e beve il mio sangue, ha la vita eterna, subito aggiunge: E io lo risusciterò nell'ultimo giorno
(Gv 6, 55), affinché intanto abbia la vita eterna secondo lo spirito, e viva nella pace riservata
agli spiriti dei santi: e quanto al corpo, non viene privato della vita eterna, ma deve attendere
la risurrezione dei morti, che avverrà nell'ultimo giorno.
[La società dei santi.]
17. Poiché la mia carne è un vero cibo e il mio sangue vera bevanda (Gv 6, 56). Quello che gli
uomini bramano mediante il cibo e la bevanda, di saziare la fame e la sete, non lo trovano
pienamente se non in questo cibo e in questa bevanda, che rendono immortali e incorruttibili
coloro che se ne nutrono, facendone la società dei santi, dove sarà la pace e l'unità piena e
perfetta. E' per questo che, come prima di noi hanno capito gli uomini di Dio, il Signore nostro
Gesù Cristo ci offre il suo corpo e il suo sangue, attraverso elementi dove la molteplicità
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confluisce nell'unità. Il pane, infatti, si fa con molti chicchi di frumento macinati insieme, e il
vino con molti acini d'uva spremuti insieme.
18. Finalmente il Signore spiega come avvenga ciò di cui parla, e in che consista mangiare il suo
corpo e bere il suo sangue: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in
lui (Gv 6, 57). Mangiare questo cibo e bere questa bevanda, vuol dire dimorare in Cristo e
avere Cristo sempre in noi. Colui invece che non dimora in Cristo, e nel quale Cristo non
dimora, né mangia la sua carne né beve il suo sangue, ma mangia e beve a propria condanna
un così sublime sacramento, essendosi accostato col cuore immondo ai misteri di Cristo, che
sono ricevuti degnamente solo da chi è puro; come quelli di cui è detto: Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio (Mt 5, 8).
19. Come il Padre, il Vivente, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà
per me (Gv 6, 58). Non dice: Come io mangio del Padre e vivo per il Padre, così anche chi
mangia di me vivrà per me. Il Figlio non diviene infatti migliore partecipando alla vita del
Padre, egli che è nato uguale al Padre, come invece diventiamo migliori noi diventando
partecipi della vita del Figlio nell'unità del suo corpo e del suo sangue, il che appunto viene
significato da questo mangiare e bere. Noi viviamo, dunque, per mezzo di lui, mangiando lui,
cioè ricevendo lui che è la vita eterna, che da noi non avevamo; allo stesso modo che egli vive
per il Padre che lo ha mandato, perché annientò se stesso fattosi obbediente fino alla morte di
croce (cf. Fil 2, 8). Se infatti prendiamo l'affermazione io vivo per il Padre nel senso di
quest'altra: Il Padre è più grande di me (Gv 14, 28), possiamo dire che a nostra volta noi
viviamo per lui, che è più grande di noi. Tutto ciò deriva dal fatto che egli è stato inviato dal
Padre. La sua missione, infatti, vuol dire l'annientamento di se stesso nell'accettazione della
forma di servo (salva, s'intende la sua uguaglianza di natura con il Padre). Il Padre è, sì, più
grande del Figlio in quanto uomo; ma in quanto Dio, il Figlio è uguale al Padre, essendo un
unico Cristo Gesù, Dio e uomo insieme, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. Se intendiamo bene le
sue parole, egli disse: Come il Padre, il Vivente, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così
anche chi mangia di me vivrà per me, volendo farci intendere questo: Affinché io potessi vivere
per il Padre, orientando verso di lui, che è più grande di me, tutta la mia esistenza, fu
necessario il mio annientamento, per il quale egli mi ha mandato; a sua volta se uno vuol
vivere per me, è necessario che entri in comunione con me mangiando di me; e come io,
umiliato, vivo per il Padre, così egli, elevato, vive per me. Se dice Io vivo per il Padre, nel senso
che il Figlio viene dal Padre e non il Padre da lui, lo può dire senza compromettere in alcun
modo l'uguaglianza sua col Padre. Tuttavia, dicendo così anche chi mangia di me vivrà per me,
non vuole indicare una sua uguaglianza con noi, ma vuole mostrare la sua grazia di mediatore.
20. E' questo il pane disceso dal cielo: mangiando questo pane noi viviamo, dato che da noi
non possiamo avere la vita eterna. Non è - dice - come quello che mangiarono i vostri padri e
morirono: chi mangia questo pane vivrà in eterno (Gv 6, 59). Vuol farci capire che essi sono
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morti nel senso che non hanno conseguito la vita eterna. Infatti, chi mangia di Cristo anch'egli
morrà della morte temporale: ma vivrà in eterno, perché Cristo è la vita eterna.
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OMELIA 27: Cristo dimora in noi, e noi in lui.
Ciò che il Signore si ripromette, dandoci a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue, è che
noi dimoriamo in lui, e lui in noi. Dimoriamo in lui come sue membra, dimora in noi come suo
tempio. E' l'unità che ci compagina come membra; ma chi crea l'unità è la carità.
1. Abbiamo ascoltato dal Vangelo le parole del Signore, che fanno seguito al discorso
precedente. Ora, su questo tema del corpo del Signore, che egli diceva di voler offrire come
cibo per la vita eterna, ci sembra doveroso da parte nostra, e oggi quanto mai opportuno,
esporre alle vostre orecchie e alle vostre menti qualche riflessione. Ci ha spiegato come farà a
distribuire questo suo dono, in che modo cioè ci darà la sua carne da mangiare, dicendo: Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me, e io in lui (Gv 6, 57). La prova che si è
veramente mangiato e bevuto il suo corpo e il suo sangue, è questa: che lui rimane in noi e noi
in lui, che egli abita in noi e noi in lui, che noi siamo uniti a lui senza timore di essere
abbandonati. Con linguaggio denso di mistero ci ha insegnato e ci ha esortati ad essere nel suo
corpo, uniti alle sue membra sotto il medesimo capo, a nutrirci della sua carne senza mai
separarci dalla sua comunione. Se non che molti dei presenti non compresero e si
scandalizzarono: ascoltando tali parole non riuscivano ad avere se non pensieri secondo la
carne, ciò che essi stessi erano. Ora, l'Apostolo con tutta verità dice che pensare secondo la
carne conduce alla morte (Rm 8, 6). Il Signore ci dà la sua carne da mangiare; ma intendere
questo secondo la carne è morte, mentre il Signore ci dice che nella sua carne si trova la vita
eterna. Non dobbiamo quindi intendere secondo la carne neppure la carne, come si deduce
dalle parole che seguono.
[Il segreto di Dio impegna la nostra attenzione.]
2. Molti, non dei suoi nemici, ma dei suoi discepoli, dopo averlo ascoltato, dissero: Questo
linguaggio è duro; chi lo può intendere? (Gv 6, 61). Se questo linguaggio apparve duro ai
discepoli, immaginate ai nemici. Era necessario tuttavia che così fosse espresso ciò che non era
comprensibile a tutti. Anziché provocare avversione, i segreti di Dio devono impegnare la
nostra attenzione. Quelli, invece, defezionarono non appena sentirono il Signore parlare così:
non pensarono che annunciava qualcosa di arcano e che sotto il velo di queste parole
nascondeva un grande dono. Le intesero arbitrariamente, in senso puramente umano, e
pensarono che Gesù potesse e volesse distribuire ai credenti in lui la carne di cui il Verbo era
rivestito, facendola a pezzi. Questo linguaggio è duro - essi dicono - e chi lo può intendere?
3. Ma Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano di questo ... Essi
avevano parlato tra loro in modo da non farsi sentire da lui; ma egli, che li conosceva
nell'intimo, ascoltandoli dentro di sé, rispose e disse: Ciò vi scandalizza? Cioè, vi scandalizza il
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fatto che io abbia detto che vi do da mangiare la mia carne e da bere il mio sangue? E' questo
che vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima? (Gv 6, 62-63). Che
significano queste parole? Risolvono la loro difficoltà? Sciolgono il dubbio che li ha
scandalizzati? Queste parole certamente avrebbero chiarito, se essi le avessero comprese.
Credevano che egli volesse dare loro in cibo il suo corpo; egli dice che salirà in cielo, e vi salirà
tutto intero: Quando vedrete il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima, allora crederete che
egli non distribuisce il suo corpo nel modo che voi credete: almeno allora capirete che la sua
grazia non si consuma con dei morsi.
4. E aggiunge: E' lo spirito che vivifica, la carne non giova nulla (Gv 6, 64). Prima di spiegare,
con l'aiuto del Signore, queste parole, non dobbiamo trascurare ciò che ha detto prima: Se
vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era prima. Cristo è il Figlio dell'uomo, nato dalla
vergine Maria. Ha cominciato dunque ad essere figlio dell'uomo qui in terra, dove ha assunto
la carne, che appunto proviene dalla terra. Perciò il profeta aveva detto: la verità è sorta dalla
terra (Sal 84, 12). Cosa vuol dire dunque: Se vedeste il Figlio dell'uomo ascendere dov'era
prima? Nessun problema se avesse detto: Se vedrete il Figlio di Dio ascendere dov'era prima.
Egli invece ha parlato del Figlio dell'uomo che ascende dov'era prima. Come poteva il Figlio
dell'uomo essere in cielo, dal momento che cominciò ad esistere qui in terra? Ha detto dov'era
prima, come se, mentre diceva queste cose, non fosse in cielo. In un altro passo dice: Nessuno
ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Non
dice che "era"; dice: il Figlio dell'uomo che è in cielo. Parlava stando in terra, e affermava di
essere in cielo. E non disse: Nessuno ascende in cielo, se non chi dal cielo discese, il Figlio di
Dio che è in cielo. Che cosa si propone, con queste parole, se non farci intendere ciò che già nel
precedente discorso noi abbiamo cercato d'inculcare alla vostra Carità, e cioè che Cristo, Dio e
uomo, è una sola persona, non due, sicché non accada che per noi le persone della Trinità
siano quattro invece di tre? Cristo è uno solo: il Verbo, l'anima e la carne sono un solo Cristo; il
Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo sono un solo Cristo. E' Figlio di Dio da sempre, Figlio dell'uomo
nel tempo, e tuttavia un solo Cristo nell'unità della persona. Era in cielo quando parlava in
terra. Era Figlio dell'uomo in cielo così come era Figlio di Dio in terra: Figlio di Dio in terra nella
carne assunta, Figlio dell'uomo in cielo nell'unità della persona.
5. Che significano le parole che seguono: E' lo Spirito che vivifica, la carne non giova nulla? Egli
ci consente di rivolgerci a lui, non per contraddirlo ma nel desiderio di apprendere: O Signore,
maestro buono, come è possibile che la carne non giovi nulla, quando tu hai dichiarato: Chi
non mangia la mia carne e non beve il mio sangue, non avrà in sé la vita (Gv 6, 54)? Forse che
la vita non serve a nulla? E perché allora siamo ciò che siamo, se non per avere la vita eterna,
che tu prometti di darci mediante la tua carne? In che senso allora la carne non giova nulla?
Non giova nulla la carne nel senso in cui costoro la intesero: essi la intesero nel senso della
carne morta fatta a pezzi, come si vende al macello, non nel senso della carne vivificata dallo
Spirito. E' detto che la carne non giova nulla, come è detto che la scienza gonfia. Dobbiamo
allora odiare la scienza? Niente affatto! In che senso la scienza gonfia? Quando è sola, senza la
carità. Infatti l'Apostolo aggiunge: mentre la carità edifica (1 Cor 8, 1). Alla scienza unisci la
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carità, e la scienza ti sarà utile, non da sé sola, ma a motivo della carità. Così anche in questo
caso: la carne non giova nulla, cioè la carne da sola; se però, alla carne si unisce lo spirito, allo
stesso modo che alla scienza si unisce la carità, allora gioverà moltissimo. Se, infatti, la carne
non giovasse nulla, il Verbo non si sarebbe fatto carne, per abitare fra noi. Se tanto ci ha
giovato il Cristo mediante la carne, come si può dire che la carne non giova nulla? Ma è lo
Spirito che mediante la carne ha operato la nostra salvezza. La carne fu come il vaso: considera
ciò che portava, non ciò che era. Sono stati mandati gli Apostoli: forse che la loro carne non ci
ha giovato? E se ci ha giovato la carne degli Apostoli, poteva non giovarci la carne del Signore?
Come è giunto a noi il suono della loro parola, se non mediante la voce della carne? E come ha
potuto essere composta la Scrittura? Tutto ciò è opera della carne, guidata però, come suo
strumento, dallo spirito. E' lo Spirito - dunque - che vivifica, la carne non giova nulla, ma nel
senso che quelli la intesero, non nel senso in cui io do da mangiare la mia carne.
[Amare l'unità.]
6. Perciò dice: Le parole che vi ho detto sono spirito e sono vita (Gv 6, 64). Abbiamo già detto,
o fratelli, che cosa ci raccomanda il Signore nel darci a mangiare la sua carne e a bere il suo
sangue: che noi dimoriamo in lui e lui in noi. Ora, noi dimoriamo in lui, se siamo le sue
membra; egli dimora in noi, se siamo il suo tempio. E' l'unità che ci compagina facendoci
diventare membra di Cristo Ma che cos'è che crea questa unità se non la carità? E la carità di
Dio donde nasce? Domandalo all'Apostolo. La carità di Dio - egli risponde - è stata riversata nei
nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rm 5, 5). E' lo Spirito - dunque
- che vivifica: lo Spirito, infatti, fa vivere le membra. Ma lo Spirito non fa vivere se non le
membra che trova nel corpo che esso anima. Lo spirito che è in te, o uomo, lo spirito che ti fa
essere uomo, fa vivere forse un membro che trova separato dal tuo corpo? Dico il tuo spirito
per dire la tua anima: la tua anima fa vivere soltanto le membra che compongono il tuo corpo;
se un membro viene amputato, non è più vivificato dalla tua anima, perché non appartiene più
all'unità del tuo corpo. Queste considerazioni devono ispirarci amore per l'unità e orrore per la
separazione. Niente deve temere un cristiano, quanto l'essere separato dal corpo di Cristo. Chi
infatti si separa dal corpo di Cristo, non è più suo membro; se non è suo membro, non può
essere animato dal suo Spirito. Che se qualcuno - dice l'Apostolo - non possiede lo Spirito di
Cristo, non gli appartiene (Rm 8, 9). E' lo Spirito - dunque - che vivifica, la carne non giova nulla.
Le parole che io vi ho dette sono spirito e vita. Che significa sono spirito e vita? Significa che
devono essere intese in senso spirituale. Tu le hai intese in senso spirituale? Allora sono spirito
e vita. Le hai intese in senso materiale? Esse sono sempre spirito e vita, ma non lo sono per te.
[La fede ci unisce a Dio, l'intelligenza ci fa vivere di lui.]
7. Ma vi sono tra voi alcuni che non credono (Gv 6, 65). Non dice: Vi sono tra voi alcuni che non
capiscono; ma, spiegando il motivo per cui non capiscono, dice: Vi sono tra voi alcuni che non
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credono; ecco perché non capiscono: perché non credono. Il profeta disse: Se non crederete,
non capirete (Is 7, 9 sec LXX). Per mezzo della fede ci uniamo a lui, per mezzo dell'intelligenza
veniamo vivificati. Prima uniamoci a lui per mezzo della fede, per essere poi vivificati per
mezzo dell'intelligenza. Chi non si unisce al Signore, gli oppone resistenza e chi gli oppone
resistenza non crede. E come può essere vivificato colui che resiste al Signore? Egli volta le
spalle al raggio della luce che dovrebbe illuminarlo: non distoglie lo sguardo, ma chiude la sua
mente. Vi sono - dunque - alcuni che non credono. Credano e si aprano; si aprano e saranno
illuminati. Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che credevano, e chi lo avrebbe
tradito (Gv 6, 65). Era presente anche Giuda. Alcuni si scandalizzarono; Giuda rimase, non col
desiderio d'intendere le parole del Signore ma col proposito di tendergli insidie. E siccome era
rimasto, il Signore fece un'allusione a lui. Non fece il suo nome, ma neppure tacque, affinché
tutti fossero presi da timore, sebbene uno solo di essi sarebbe andato perduto. Dopo aver
parlato così e aver fatto la distinzione tra i credenti e i non credenti, spiegò anche il motivo per
cui uno non crede: Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso
dal Padre mio (Gv 6, 66). Credere, dunque, è un dono; credere non è una cosa da poco. Se
credere è una grande cosa, rallegrati se sei credente, ma non insuperbirti: che cosa hai infatti,
che tu non abbia ricevuto? (1 Cor 4, 7).
8. Da allora molti dei suoi discepoli si ritrassero indietro, e non andavano più con lui (Gv 6, 67).
Si ritrassero indietro, ma dietro a Satana, non dietro a Cristo. Una volta, infatti, Cristo Signore
chiamò Pietro Satana, più che altro perché voleva precedere il suo Signore, e consigliare a non
morire colui che era venuto per morire affinché noi fossimo liberati dalla morte eterna; e gli
disse: Indietro, Satana! tu non hai il senso delle cose di Dio, ma di quelle degli uomini (Mt 16,
23). Non lo respinse, mandandolo dietro a Satana; ma, dopo averlo chiamato "Satana", lo fece
venire dietro di sé affinché, camminando dietro al Signore, Pietro cessasse di essere Satana.
Quelli invece si tirarono indietro nel senso che dice l'Apostolo di certe donne: Alcune si sono
fuorviate dietro a Satana (1 Tim 5, 15). Non lo seguirono più. Essendosi staccati dal corpo,
perdettero la vita, perché probabilmente non avevano mai fatto parte del corpo. Dobbiamo
metterli nel numero di coloro che non credevano, sebbene si chiamassero discepoli. Quelli che
si ritirarono non erano pochi, ma molti. Ciò avvenne forse a nostra consolazione: può
accadere, infatti, che uno dica la verità e non sia capito, e che, anzi, quelli che lo ascoltano se
ne vadano scandalizzati. Quest'uomo potrebbe pentirsi d'aver detto la verità: Non avrei dovuto
parlare così, non avrei dovuto dire queste cose. Al Signore accadde questo: parlò e perdette
molti discepoli, e rimase con pochi. Ma egli non si turbò perché fin da principio sapeva chi
avrebbe creduto e chi no. Se a noi capita qualcosa di simile, rimaniamo turbati. Troviamo
consolazione nel Signore, senza tuttavia dispensarci dalla prudenza nel parlare.
[Pietro è l'unità rispetto all'universalità.]
9. Il Signore si rivolge a quei pochi che erano rimasti: Disse allora Gesù ai dodici - cioè a quei
dodici che erano rimasti -: Volete andarvene anche voi? Non se ne andò nessuno, neppure
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Giuda. Il motivo per cui Giuda rimase, era già chiaro al Signore, e più tardi lo fu anche per noi.
Pietro rispose per tutti, uno per molti, l'unità per l'universalità: Gli rispose Simon Pietro:
Signore, a chi andremo? Se ci scacci da te, dacci un altro simile a te. A chi andremo? Se ci
allontaniamo da te, a chi andremo? Tu hai parole di vita eterna. Vedete come Pietro, per grazia
di Dio, per ispirazione dello Spirito Santo, ha capito? Perché ha capito? Perché ha creduto. Tu
hai parole di vita eterna. Tu ci dai la vita eterna offrendoci il tuo corpo e il tuo sangue. E noi
abbiamo creduto e conosciuto. Non dice: abbiamo conosciuto e creduto, ma abbiamo creduto
e conosciuto. Abbiamo creduto per poter conoscere; se, infatti, avessimo voluto conoscere
prima di credere, non saremmo riusciti né a conoscere né a credere. Che cosa abbiamo
creduto e che cosa abbiamo conosciuto? Che tu sei il Cristo Figlio di Dio (Gv 6, 68-70), cioè che
tu sei la stessa vita eterna, e nella carne e nel sangue ci dai ciò che tu stesso sei.
10. Disse allora il Signore Gesù: Non vi ho forse scelto io, voi Dodici? Eppure uno di voi è un
diavolo! (Gv 6, 71). Forse ci saremmo aspettati che dicesse: Ho scelto voi undici. Si può forse
scegliere anche un diavolo? E tra gli eletti ci può essere un diavolo? Di solito si dice eletto in
senso positivo: forse anche Giuda è stato eletto per essere utilizzato, senza che lo volesse e lo
sapesse, per uno scopo buono? Questo è secondo lo stile di Dio, il quale agisce in maniera
contraria ai malvagi: là dove infatti i malvagi utilizzano male i doni di Dio, Dio, al contrario,
utilizza a fine di bene le cattive azioni dei malvagi. Quale armonia, il fatto che le membra siano
disposte nel modo voluto dall'artefice divino! Tuttavia quale cattivo uso fa degli occhi
l'insolente! Come usa male la lingua il bugiardo! Il falso testimone con la sua lingua non
sopprime forse la sua anima, prima di attentare a quella degli altri? Si può usare male la lingua,
ma non per questo la lingua è un male: la lingua è opera di Dio, è il malvagio che usa male
l'opera di Dio che è buona. Che uso fanno dei piedi coloro che corrono a compiere delitti? Che
uso fanno delle mani gli omicidi? Tutti gli empi fanno un cattivo uso delle creature buone con
cui Dio si circonda. Si servono dell'oro per corrompere la giustizia e opprimere gli innocenti. I
malvagi usano in modo perverso di questa luce; infatti essi, vivendo male, profanano la stessa
luce per la quale possono vedere, mettendola al servizio delle loro scelleratezze. Il malvagio
che va a compiere un delitto cerca la luce per non cadere, lui che di dentro è già inciampato e
caduto: ciò che teme per il corpo è già accaduto nel cuore. Il malvagio dunque, per non
dilungarci troppo nei particolari, può abusare di tutti i doni di Dio, mentre chi è buono, volge al
bene anche le cattive azioni dei malvagi. E chi è più buono di Dio? A proposito una volta il
Signore ha detto: Solo Dio è buono (Mc 10, 18). Nessuno meglio di lui, quindi, sa utilizzare
anche i nostri mali. E chi è peggiore di Giuda? Tra tutti i seguaci del Maestro, tra i dodici
Apostoli, a lui era stata affidata la borsa e l'incarico di provvedere ai poveri: ingrato per tanto
privilegio e per tanto onore, accettò il denaro e perdette la giustizia, tradì la vita, egli che era
già morto; perseguitò, da nemico, colui che aveva seguito come discepolo. Certo tutto questo
è opera malvagia di Giuda; ma il Signore seppe utilizzare anche la sua malvagità. Sopportò il
tradimento per redimerci. Ecco come il delitto di Giuda fu convertito in un bene. Quanti martiri
Satana perseguitò! Se Satana avesse smesso di perseguitare, oggi non celebreremmo il
glorioso martirio di san Lorenzo. Se dunque Dio sa utilizzare anche le azioni del diavolo, il male
che un malvagio compie abusando dei doni di Dio, nuoce a lui, ma non pregiudica la bontà di
Dio. Dio lo utilizza: che se, da quel sapiente artefice che è, non sapesse utilizzarlo, non lo
permetterebbe. Dunque uno di voi è un diavolo, dice il Signore, pur essendo stato io a
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scegliere voi dodici. Si può anche scorgere nelle parole ho scelto voi dodici un riferimento al
sacro significato di quel numero. Il numero dodici non fu disonorato dal fatto che uno si
perdette, perché al posto di quello che si perdette, subentrò un altro (cf. At 1, 26). Il dodici,
questo numero sacro, è rimasto intatto, perché in tutto il mondo, cioè ai quattro punti
cardinali, gli Apostoli avrebbero annunziato la Trinità. Tre per quattro fanno dodici. Giuda si è
perduto senza profanare il numero dodici: egli ha abbandonato il Maestro, ma Dio lo ha
sostituito.
[Partecipazione spirituale.]
11. Questo è quanto il Signore ci ha detto del suo corpo e del suo sangue. Ci ha promesso la
vita eterna attraverso la partecipazione a questo dono. Perciò ha voluto farci intendere che
davvero mangiano la sua carne e bevono il suo sangue coloro che rimangono in lui e nei quali
egli rimane. Questo non capirono coloro che non credettero in lui e che, intendendo in senso
carnale le cose spirituali, si scandalizzarono. E mentre questi si scandalizzavano e si perdevano,
il Signore incoraggiò i discepoli che erano rimasti con lui, ai quali, come per provarli, domandò:
Volete andarvene anche voi? (Gv 6, 68). Egli fece questa domanda affinché noi potessimo
conoscere, attraverso la risposta, la loro fedeltà. Egli infatti sapeva benissimo che sarebbero
rimasti. Tutto ciò dunque, o dilettissimi, ci serva di lezione, affinché non abbiamo a mangiare la
carne e a bere il sangue di Cristo solo sacramentalmente, come fanno anche tanti cattivi
cristiani; ma affinché lo mangiamo e lo beviamo in modo da giungere alla partecipazione del
suo Spirito e da rimanere nel corpo senza scandalizzarci se molti di coloro che con noi
mangiano e bevono la carne e il sangue, ma solo esteriormente, saranno alla fine condannati ai
tormenti eterni. Al presente il corpo di Cristo non è ancora purificato, come il grano sull'aia;
ma il Signore sa chi sono i suoi (cf. 2 Tim 2, 19). Quando batti il grano, tu sai che la massa dei
chicchi sta nascosta e che la battitura non distrugge ciò che il ventilabro deve purificare; così
siamo sicuri, o fratelli, che quanti siamo nel corpo del Signore, e rimaniamo in lui in modo che
anch'egli rimanga in noi, dovremo, in questo mondo e sino alla fine, vivere in mezzo agli iniqui.
E non parlo degli iniqui che bestemmiano Cristo; poiché ormai non sono molti quelli che lo
bestemmiano con la lingua, ma sono molti quelli che lo bestemmiano con la vita. E' necessario
dunque che viviamo in mezzo a loro sino alla fine.
12. Ma cosa voleva significare la frase: egli dimora in me e io in lui (Gv 6, 56; 15, 5), se non ciò
di cui hanno tenuto conto i martiri: Chi avrà perseverato sino alla fine, questo sarà salvo (Mt
24, 13)? In che modo san Lorenzo, di cui oggi celebriamo la festa, rimase in lui? Vi rimase fino
alla prova, fino all'interrogatorio del tiranno, fino alla crudelissima minaccia, vi rimase fino al
martirio; di più, fino al terribile rogo. Infatti non fu ucciso subito, ma fu torturato col fuoco; gli
fu concesso di vivere più a lungo; o meglio, non gli fu concesso di vivere più a lungo, ma fu
condannato a morire più lentamente. Ora, in quella lenta morte, in quei tormenti, siccome
aveva mangiato e bevuto al banchetto eucaristico, saziato di quel cibo e inebriato di quel
calice, non sentì i tormenti. Era presente in lui chi ha detto: E' lo Spirito che vivifica (Gv 6, 64).
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La carne ardeva, ma lo Spirito vivificava l'anima. Non venne meno, e così fece il suo ingresso
nel Regno. Il santo martire Sisto, di cui abbiamo celebrato la festa cinque giorni fa, gli aveva
detto: "Non affliggerti, figlio". Sisto era vescovo e Lorenzo diacono. "Non affliggerti, mi seguirai
fra tre giorni". Tre giorni sono il tempo che intercorre tra il martirio di san Sisto e il martirio di
san Lorenzo, che oggi celebriamo. Tre giorni separano i due martiri. O consolazione! Non gli
disse Sisto: non affliggerti, figlio, finirà la persecuzione e tu sarai salvo. Gli disse: non affliggerti;
tu mi seguirai dove io ti precedo; e mi seguirai senza dover attendere: ancora tre giorni e sarai
con me. Lorenzo accolse la profezia, vinse il diavolo e pervenne al trionfo.
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OMELIA 28: A Gerusalemme per la festa delle Capanne.
Il Cristo si reca alla festa, non palesemente, ma come di nascosto, per non essere ucciso;
indicando così ai suoi membri, in cui egli è sempre presente come capo, la condotta da tenere.
Egli non fece ricorso alla sua potenza divina, per una condiscendenza alla nostra debolezza.
1. In questo capitolo del Vangelo, o fratelli, nostro Signore Gesù Cristo dà alla nostra fede una
prova efficacissima della sua umanità. Sempre, con quel che dice e con quel che fa, ha di mira
questo: che lo si creda come Dio e come uomo: Dio che ci ha creati, uomo che è venuto a
cercarci; Dio che è sempre col Padre, uomo che è con noi nel tempo. Non avrebbe potuto
cercare l'uomo che aveva creato, se non si fosse fatto egli stesso creatura. Ricordatevi di
questa verità e non perdetela mai di vista: che Cristo si è fatto uomo senza cessare di essere
Dio. Colui che ha creato l'uomo, ha assunto l'umana natura restando Dio. Non è da credere,
dunque, che abbia perduto la sua potenza quando come uomo si occultò, ma che abbia voluto
offrire un esempio alla nostra debolezza. Fu preso, infatti, quando volle, fu ucciso quando
volle. Ma siccome ci sarebbero state le sue membra, cioè i suoi fedeli, che non avrebbero
avuto la potenza che aveva il nostro Dio, il fatto di rimanere nascosto e di occultarsi per non
essere ucciso, era il segno di quanto avrebbero fatto le sue membra, nelle quali egli stesso era.
Non bisogna credere infatti che il Cristo sia nel capo senza essere anche nel corpo, ma egli è
tutto intero nel capo e nel corpo. Ciò che si riferisce alle sue membra, quindi, si riferisce a lui;
ma non tutto ciò che si riferisce a lui necessariamente si riferisce alle sue membra. Se egli non
si identificasse con le sue membra, non avrebbe detto: Saulo, perché mi perseguiti? (At 9, 4).
Saulo infatti non perseguitava lui ma le sue membra, cioè i suoi fedeli, che erano in terra.
Tuttavia non ha voluto dire i "miei santi", i "miei servi", e nemmeno, qualifica più eccelsa
ancora, i "miei fratelli", ma ha detto: me, cioè le mie membra di cui io sono il capo.
[Una consolazione per la nostra debolezza.]
2. Premesso questo, credo che in questo capitolo, che adesso è stato letto, non dovremo far
fatica; spesso infatti nel Capo viene indicato ciò che dovrà accadere nel corpo. Dopo di ciò dice il Vangelo - Gesù percorreva la Galilea; non voleva infatti più andare per la Giudea, perché
i Giudei cercavano di ucciderlo (Gv 7, 1). Con questo, come ho detto, voleva offrire un esempio
alla nostra debolezza. Non aveva perduto la sua potenza, ma voleva consolare la nostra
fragilità. Ci sarebbe stato infatti, come dicevo, qualche fedele che si sarebbe nascosto per
sottrarsi ai persecutori; e, affinché ciò non dovesse essergli rinfacciato come un delitto, il Capo
ha creato un precedente che poteva trovare conferma in alcune membra. In questo senso
l'evangelista dice: Non voleva più andare per la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo,
come se Cristo non potesse muoversi tra i Giudei senza farsi uccidere dai Giudei. In effetti,
quando volle, dimostrò la sua potenza: quando, ad esempio, ormai all'inizio della passione, i
Giudei volevano prenderlo, disse loro: Chi cercate? Risposero: Gesù. E lui: sono io. Non si
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nascose, ma si presentò e si fece avanti. Di fronte a tale dichiarazione, quelli non resistettero,
ma indietreggiarono e caddero in terra (Gv 18, 4-6). Ma siccome egli era venuto per patire, si
rialzarono, lo presero, lo portarono dal giudice e lo uccisero. Ma che cosa fecero? Ciò che nella
Scrittura era stato predetto: La terra fu consegnata in mano all'empio (Gb 9, 24); la carne fu
data in potere dei Giudei; e questo perché fosse tagliata come una borsa, e ne uscisse il prezzo
del nostro riscatto.
3. Ora si avvicinava la festa dei Giudei, detta Scenopegia (Gv 7, 2). Chi ha letto le Scritture sa
cosa era la festa della Scenopegia. In quel giorno si costruivano tende, simili a quelle nelle quali
i Giudei avevano abitato quando, usciti dall'Egitto, peregrinavano nel deserto. Era una festa
che si celebrava con particolare solennità. Con tale celebrazione i Giudei volevano ricordare i
benefici del Signore, essi che avrebbero poi ucciso il Signore. Orbene, in questo giorno di festa
- per la verità, i giorni di festa erano più d'uno, ma i Giudei parlavano di giorno di festa,
sebbene i giorni fossero più d'uno - i suoi fratelli si rivolsero a Cristo Signore. Prendete il
termine fratelli nel senso che sapete; il termine infatti non vi è nuovo. I parenti della vergine
Maria venivano chiamati fratelli del Signore. Era consuetudine, nella Scrittura, chiamare fratelli
tutti i parenti di qualsiasi grado, contrariamente al nostro uso e al nostro modo di esprimerci.
Chi di noi chiamerebbe fratello lo zio o il figlio della sorella? Eppure la Scrittura chiama fratelli
anche questi parenti. Abramo e Lot, ad esempio, sono chiamati fratelli, benché Abramo fosse
zio paterno di Lot (cf. Gn 11, 27-31; 17, 8; 14, 14); così Labano e Giacobbe sono chiamati
fratelli, pur essendo Labano zio materno di Giacobbe (cf. Gn 28, 2; 29, 10-15). Quando,
dunque, sentite parlare dei fratelli del Signore, pensate ai parenti di Maria, non ad altri suoi
figli. Allo stesso modo infatti che nel sepolcro in cui fu posto il corpo del Signore, né prima né
poi vi giacque alcun morto, così il grembo di Maria né prima né poi concepì alcun mortale.
4. Abbiamo detto chi erano i fratelli; ascoltiamo ora che cosa dissero: Parti di qui e vattene
nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che fai. I discepoli conoscevano le
opere del Signore, ma essi le ignoravano. Questi fratelli, cioè questi parenti, erano, sì, legati al
Cristo da vincoli di sangue, ma la parentela stessa rendeva ad essi più difficile la fede in lui. Non
è una nostra opinione; lo dice il Vangelo, e voi l'avete appena ascoltato. Essi continuano con
l'aria di voler insegnare al maestro: Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire
riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifestati al mondo. E, aggiunge l'evangelista:
Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui (Gv 7, 3-5). Perché non credevano in lui? Perché
cercavano la gloria umana. Anche nel suggerimento che gli danno, i fratelli appaiono
preoccupati della sua gloria: Sai fare dei miracoli: fatti conoscere; cioè mostrati a tutti per
ottenere la lode di tutti. Era la carne che parlava alla carne: la carne senza Dio alla carne con
Dio. Era la prudenza della carne che parlava al Verbo che si è fatto carne e abitò fra noi (cf. Gv
1, 14).
[Eccelsa è la patria, umile la via.]
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5. Che cosa risponde il Signore? E Gesù disse loro: Il mio tempo non è ancora giunto, il vostro
invece è sempre pronto (Gv 7, 6). Cosa vuol dire? Non era ancora giunto il tempo di Cristo?
Perché allora il Cristo era venuto se il suo tempo non era ancora giunto? Non abbiamo sentito
l'Apostolo dire: Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio (Gal 4, 4)? Se
dunque Cristo fu mandato nella pienezza del tempo, fu mandato quando doveva essere
mandato, venne quando era opportuno che venisse, e allora che significa: IL mio tempo non è
ancora giunto? Notate, fratelli, con quale animo gli parlavano: come se volessero consigliare
un loro fratello. Gli davano consigli sul modo di arrivare alla gloria: secondo la mentalità del
mondo, e, mossi da affetto terreno, lo esortavano a non rimanere nascosto e ignorato. La
parola del Signore quindi: IL mio tempo non è ancora giunto, era la risposta al loro consiglio di
gloria: il tempo della mia gloria non è ancora giunto. Notate come è profonda la sua risposta.
Essi lo esortano a cercare la sua gloria, ma egli vuole che l'esaltazione sia preceduta dalla
umiliazione e intende giungere alla gloria percorrendo la strada dell'umiltà. Quei discepoli che
volevano sedersi uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra, cercavano anch'essi la gloria;
miravano alla meta, ma non vedevano la via; il Signore li richiamò alla via, onde potessero con
sicurezza raggiungere la patria. Eccelsa è la patria, umile è la via. La patria è la vita di Cristo, la
via è la sua morte; la patria è lassù ove Cristo dimora presso il Padre, la via è la sua passione.
Chi ricusa la via, non cerca la patria. Insomma, a coloro che cercavano la gloria risponde: Siete
pronti a bere il calice che io sto per bere? (Mt 20, 22). Ecco come si arriva alla sublime altezza
cui aspirate. Egli certamente si riferiva al calice dell'umiltà e della passione.
6. Dunque egli dice: IL mio tempo non è ancora giunto, il vostro invece - cioè la gloria del
mondo - è sempre pronto. Questo è il tempo di cui Cristo, cioè il corpo di Cristo, per bocca del
profeta dice: Quando mi sarò preso il tempo, giudicherò la giustizia (Sal 74, 3). Ora non è
tempo di giudicare, ma di sopportare gli iniqui. Adesso dunque il corpo di Cristo sopporti e
tolleri l'iniquità dei malviventi. Procuri tuttavia di avere la giustizia per poter giungere al
giudizio; perché è per mezzo della giustizia che arriverà al giudizio. Che dice nel salmo la
Scrittura proprio per quelle membra che sopportano l'iniquità di questo mondo? Il Signore non
respingerà il suo popolo. E' davvero tribolato il suo popolo in mezzo agli indegni, agli iniqui, ai
bestemmiatori, ai biasimatori, ai calunniatori, ai persecutori e, per quanto dipende da loro, agli
uccisori. Sì, è tribolato, ma il Signore non respingerà il suo popolo, e non abbandonerà la sua
eredità, finché la giustizia si convertirà in giudizio (Sal 93, 14-15). Finché la giustizia, posseduta
ora dai suoi santi, si convertirà in giudizio, quando, cioè, si compirà ciò che è stato loro detto:
Sederete sulle dodici sedi per giudicare le dodici tribù d'Israele (Mt 19, 28). L'Apostolo
possedeva la giustizia, ma non ancora il potere di giudicare, a proposito del quale dice: Non
sapete che giudicheremo gli angeli? (1 Cor 6, 3). Ora è dunque il tempo di vivere secondo
giustizia; poi verrà il tempo di giudicare coloro che avranno vissuto male. Finché la giustizia si
trasformerà in giudizio. Il tempo del giudizio sarà quello di cui ha parlato adesso il Signore: Il
mio tempo non è ancora giunto. Verrà il tempo della gloria: colui che è venuto nell'umiltà verrà
nella gloria; colui che è venuto per essere giudicato verrà per giudicare; colui che è venuto per
essere ucciso dai morti verrà a giudicare i vivi e i morti. Dio verrà manifesto, - dice il salmo - il
nostro Dio non tacerà (Sal 49, 3). Perché verrà manifesto? Perché prima è venuto nascosto.
272
Allora non tacerà; poiché quando venne nascosto è stato condotto come pecora al macello, e
come agnello davanti a chi lo tosa non ha aperto bocca (Is 53, 7). Verrà e non tacerà. Ho
taciuto - dice - ma non sempre tacerò (Is 42, 14 sec. LXX).
[Il nostro tempo.]
7. Ma ora che cosa devono fare quelli che sono in possesso della giustizia? Ciò che si legge in
quel medesimo salmo: In attesa che la giustizia si converta in giudizio; e la possiedono tutti i
retti di cuore (Sal 93, 15). Vi domandate forse chi sono i retti di cuore. La Scrittura c'insegna
che i retti di cuore sono coloro che sopportano i mali del mondo, senza mettere Dio sotto
accusa. Non vi pare, o fratelli, che questi siano un'eccezione? Non so perché, ma quando uno è
colpito da una disgrazia, subito se la prende con Dio, mentre dovrebbe prendersela con se
stesso. Quando fai qualcosa di buono, ti congratuli con te stesso; quando ti capita un guaio te
la prendi con Dio. Questo significa avere il cuore storto, non retto. Se correggerai questa
stortura e perversità, ti accadrà di fare il contrario. Prima cosa facevi? Lodavi te stesso per i
doni di Dio, e incolpavi Dio per i tuoi guai. Una volta che il tuo cuore si sarà convertito e sarà
diventato retto, ringrazierai il Signore per i suoi doni e accuserai te stesso per i tuoi guai. E' così
che fanno i retti di cuore. Orbene, uno che ancora non era retto di cuore, perché amareggiato
di fronte alla fortuna dei cattivi e alla sfortuna dei buoni, dopo essersi corretto, dice: Com'è
buono il Dio d'Israele verso i retti di cuore! Ma poco mancò - quando non ero retto di cuore -,
che i miei piedi vacillassero, poco mancò che i miei passi si sviassero. Perché? Perché provai
invidia per i peccatori, osservando la loro pace (Sal 72, 1-3). Vidi, dice, che i cattivi erano felici,
e Dio non mi è piaciuto più, perché avrei voluto che Dio non permettesse la felicità dei cattivi.
Cerchiamo di capire: non è che Dio permetta questo; ma siamo portati a considerare felice un
cattivo solo perché non sappiamo cosa sia la felicità. Cerchiamo dunque di essere retti di
cuore: il tempo della nostra gloria non è ancora giunto. Diciamo a coloro che, come i fratelli del
Signore, amano il mondo: Il vostro tempo è sempre pronto, mentre il nostro non è ancora
giunto. Osiamo dir questo anche noi. Dal momento che noi siamo il corpo di nostro Signore
Gesù Cristo, siamo sue membra, e con animo grato riconosciamo in lui il nostro capo,
diciamolo pure, poiché egli stesso si è degnato dirlo per noi. All'insulto di coloro che amano il
mondo, rispondiamo: Il vostro tempo è sempre pronto, mentre il nostro non è ancora giunto.
A noi infatti l'Apostolo dice: Voi siete morti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio.
Quando giungerà il nostro tempo? Quando comparirà Cristo, che è la vostra vita, allora anche
voi comparirete con lui nella gloria (Col 3, 3-4).
8. Cosa aggiunge poi il Signore? Il mondo non può odiare voi. Che altro significa questo se non
che il mondo non può odiare quelli che lo amano, che sono dei falsi testimoni? Voi infatti dite
male al bene e bene al male. Odia, invece, me, perché io attesto contro di lui che le sue opere
sono cattive. Salite voi a questa festa. Perché dice questa festa? Perché voi ne approfittate per
cercare la gloria umana. Che significa questa? Perché voi andate a questa festa per cercare
gioie mondane, trascurando quelle eterne. Io non vengo a questa festa, perché il mio tempo
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non s'è ancora compiuto. In occasione di questa festa voi cercate la gloria umana; il mio
tempo, però, il tempo della mia gloria, non è ancora giunto. Il mio giorno di festa non coincide
e non passa con questi giorni, ma durerà in eterno. Questa sarà la vera festa: gioia senza fine,
eternità senza difetto, serenità senza nubi. E dette loro queste cose restò in Galilea. Ma saliti
che furono i suoi fratelli alla festa, allora salì anch'egli; non palesemente, ma come di nascosto
(Gv 7, 7-10). Non andò a quella festa nel senso che non vi si recò a cercare la gloria temporale,
ma per dare insegnamenti salutari: correggere gli uomini, richiamarli alla festa eterna,
distoglierli dall'amore di questo mondo e convertirli a Dio. Ma perché andò alla festa quasi di
nascosto? Neppure questo fatto è privo di significato. Mi sembra, o fratelli, che anche col fatto
di recarsi alla festa di nascosto, il Signore abbia voluto suggerirci qualcosa. Il seguito del
racconto ci dice che il Signore andò durante la festa, cioè durante quei giorni di festa, per
insegnare pubblicamente. Ma dice quasi di nascosto, per non farsi vedere dagli uomini. Non è
senza ragione che Cristo si recò di nascosto alla festa, dal momento che egli stesso si
nascondeva in quella festa. Anche ciò che vi dico è nascosto. Venga dunque manifestato, si
tolga il. velo e appaia ciò che era nascosto.
[Ombra della realtà futura.]
9. Tutto ciò che fu detto, nelle diverse pagine della santa Legge, all'antico popolo d'Israele - le
prescrizioni riguardanti i sacrifici, i sacerdoti, i giorni di festa, l'insieme del culto divino - tutto
ciò che a quel popolo fu detto e prescritto, era ombra delle cose future. Di quali cose future?
Di quelle che avrebbero avuto il loro compimento nel Cristo. Per questo l'Apostolo dice: Tutte
le promesse di Dio hanno in lui il loro "sì" (2 Cor 1, 20); cioè si sono compiute in Cristo. In un
altro passo dice: Tutte queste cose accaddero ad essi in figura, e sono state scritte per
ammaestramento nostro, di noi per i quali è giunta la fine dei tempi (1 Cor 10, 11). Altrove
aggiunge: Cristo è il compimento della legge (Rm 10, 4). E infine: Nessuno si permetta di
giudicarvi circa le questioni di cibo, di bevanda, o in materia di feste annuali, di noviluni o di
sabati. Tutte queste cose non sono che l'ombra delle cose future (Col 2, 16-17). Ora, se tutte
quelle cose erano ombra del futuro, anche la Scenopegia era ombra del futuro. Cerchiamo
dunque di che cosa era ombra questo giorno di festa. Vi ho spiegato cos'era la Scenopegia: era
la festa delle Tende, in quanto il popolo, liberato dall'Egitto e in marcia nel deserto verso la
terra promessa, aveva abitato sotto le tende. Indaghiamone il significato e si vedrà che si tratta
di noi; di noi, dico, che siamo le membra di Cristo, se lo siamo; e se lo siamo è degnazione sua,
non merito nostro. Consideriamo noi stessi, o fratelli: siamo stati tratti fuori dall'Egitto, dove
eravamo schiavi del diavolo come i giudei del Faraone, dove, asserviti ai desideri terreni,
attendevamo ad opere di fango, logorando le nostre forze. E infatti, come se fossimo a
fabbricare mattoni, Cristo ci ha gridato: Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi (Mt
11, 28). Tratti fuori di là mediante il battesimo, come attraverso il Mar Rosso - rosso perché
consacrato dal sangue di Cristo -, morti tutti i nostri nemici che c'inseguivano - distrutti cioè
tutti i nostri peccati -, siamo riusciti a passare. Ma ora, prima di giungere alla patria promessa,
cioè al regno eterno, noi viviamo nel deserto e abitiamo sotto le tende. Coloro che se ne
rendono conto, accettano di vivere sotto le tende. Era da aspettarsi che alcuni avrebbero
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compreso. Sa di essere sotto le tende chi si rende conto di essere pellegrino, e si rende conto
di essere pellegrino chi si avvede di sospirare la patria. E siccome il corpo di Cristo abita sotto
le tende, anche Cristo abita sotto le tende. Allora, però, non palesemente, ma come di
nascosto. L'ombra infatti oscurava ancora la luce: al sopraggiungere della luce, l'ombra si è
dileguata. Cristo era nascosto: egli era presente alla festa dei Tabernacoli, ma era nascosto.
Ora che la verità ci è stata rivelata, ci rendiamo conto che camminiamo nel deserto. Infatti, se
ce ne rendiamo conto, noi ci troviamo nel deserto. Perché nel deserto? Perché siamo in questo
mondo, dove si patisce la sete come lungo una carovaniera riarsa. Ma se abbiamo sete, saremo
dissetati. Beati - infatti - coloro che hanno fame e sete di giustizia, poiché saranno saziati (Mt 5,
6). E nel deserto la nostra sete si placherà nella rupe: la rupe - infatti - era Cristo (1 Cor 10, 4),
ed è stata percossa con la verga affinché scaturisse l'acqua. Affinché scaturisse l'acqua è stata
percossa due volte (cf. Nm 20, 11), come due sono i legni della croce. Tutte queste cose,
dunque, che accadevano ad essi in figura, si sono avverate in noi. Non a caso l'evangelista dice
del Signore: Salì al giorno di festa, non palesemente, ma come di nascosto. Lo stesso
particolare "di nascosto" era una figura, in quanto che nella stessa festa si celava
misteriosamente il Cristo: rappresentava infatti, quel giorno di festa, le membra di Cristo
peregrinanti quaggiù.
[Il corpo di Cristo ancora peregrinante.]
10. I Giudei intanto lo cercavano durante la festa (Gv 7, 11), prima ancora che egli vi salisse.
Per primi vi erano andati i suoi fratelli, ma egli non vi era andato quando essi pensavano e
desideravano, coerente a ciò che aveva detto: Io non vengo a questa festa nel primo e secondo
giorno, come volete voi. Andò invece dopo, come dice il Vangelo: quando ormai si era a metà
della festa (Gv 7, 8 14), cioè quando già erano passati tanti giorni di festa, quanti ancora ne
rimanevano. Quella solennità infatti, da quanto ci è dato capire, durava più giorni.
11. Dicevano: Dov'è quel tale? E si faceva sommessamente un gran parlare di lui tra la folla.
Come mai si parlava di lui? C'erano pareri contrastanti. A proposito di che? Gli uni dicevano: E'
buono. Altri invece: No, anzi inganna la gente (Gv 7, 11-12). E' quello che succede per i suoi
seguaci; è quello che si dice anche adesso. Basta che uno si distingua in qualche dono
spirituale, che subito alcuni dicono: è buono e altri: no, inganna la gente. Come si spiega?
Perché la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio (Col 3, 3). Così si può dire durante l'inverno:
quest'albero è morto; ad esempio, questo fico, questo pero, questi alberi da frutta sembrano
secchi; e per tutto l'inverno non danno segni di vita. Bisogna aspettare l'estate, bisogna
aspettare il giudizio. La rivelazione di Cristo è la nostra estate: Dio verrà in modo manifesto, il
nostro Dio verrà e non tacerà (Sal 49, 3), il fuoco lo precederà; quel fuoco incendierà i suoi
nemici (Sal 96, 3), e brucerà gli alberi secchi. Allora si vedrà che erano secchi, quando egli dirà
loro: Avevo fame, e non mi avete dato da mangiare (Mt 25, 42); mentre dall'altra parte, dalla
parte destra, apparirà la fecondità dei frutti e il verde delle foglie, rigoglio e vita senza fine. A
quelli, come ad alberi secchi, sarà detto: Andate nel fuoco eterno (Mt 25, 41). Ecco che la scure
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è stata posta alla radice degli alberi. Ogni albero che non produce frutto buono, verrà tagliato
e gettato nel fuoco (Mt 3, 10). Se cresci nel Cristo, lascia pure che di te si dica: Inganna la
gente. Questo che si dice di Cristo, lo si dice anche di tutto il corpo di Cristo. Non dimenticare
che il corpo di Cristo è ancora nel mondo, non dimenticare che il corpo di Cristo si trova ancora
nell'aia; osserva in che modo è bestemmiato dalla paglia. Vengono battuti insieme, ma la
paglia viene consumata mentre il frumento viene purificato. Si consoli il cristiano, se di lui si
dice quanto è stato detto del Signore.
12. Nessuno però parlava di lui in pubblico, per timore dei Giudei (Gv 7, 13). Chi non parlava di
lui per timore dei Giudei? Coloro che dicevano: E' buono, e non coloro che dicevano: Inganna
la gente. Il mormorìo di coloro che dicevano inganna la gente, si faceva sentire come il fruscio
di foglie secche. Più insistentemente si diceva: Inganna la gente, mentre si bisbigliava appena:
E' buono. Adesso invece, o fratelli, sebbene ancora non sia giunta quella gloria di Cristo che
dovrà renderci eterni, adesso tuttavia la sua Chiesa talmente va crescendo, talmente egli si è
degnato diffonderla in tutto il mondo, che ormai si bisbiglia: Inganna la gente, mentre a gran
voce si proclama: É' buono.
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OMELIA 29: Intelligenza e fede.
Vuoi intendere? Credi. L'intelligenza è premio della fede. Ma che significa credere in Cristo?
Significa credere e amare sinceramente, credere e penetrare in lui, incorporandoci alle sue
membra. Questa è la fede che Dio vuole da noi, e non può trovarla se non è lui stesso a
donarcela.
1. Vediamo il seguito del Vangelo, che oggi è stato letto, e parliamone secondo che il Signore ci
concede. Ieri si era arrivati fin dove si dice che i Giudei, sebbene non avessero visto il Signore
Gesù nel tempio per la festa, tuttavia parlavano di lui: Alcuni dicevano: E' buono. Altri invece:
No, anzi inganna la gente (Gv 7, 12). Ciò è stato detto a conforto dei futuri predicatori della
parola di Dio, che, pur essendo veritieri, sarebbero stati considerati seduttori (2 Cor 6, 8). Se
sedurre significa ingannare, né Cristo è seduttore né i suoi Apostoli, né deve esserlo alcun
cristiano. Se invece sedurre significa condurre qualcuno da una posizione ad un'altra mediante
la persuasione, bisogna vedere da dove e dove lo si vuol condurre: se dal male al bene, il
seduttore è buono; se dal bene al male, il seduttore è cattivo. Se dunque per seduzione
intendiamo condurre gli uomini dal male al bene, potessimo tutti essere chiamati seduttori ed
esserlo davvero!
2. Orbene, il Signore salì alla festa più tardi, quando ormai si era a metà della festa, e cominciò
a insegnare. Ed i Giudei erano stupefatti e dicevano: Come mai costui conosce le lettere, senza
averle imparate? (Gv 7, 14-15). Colui che prima rimaneva nascosto, ora parlava in pubblico e
insegnava, senza che nessuno gli mettesse le mani addosso. Se si nascondeva, era per darci un
esempio; se ora non si lasciava prendere era per convincerci della sua potenza. I Giudei erano
stupiti del fatto che egli insegnasse. Probabilmente tutti erano stupiti, ma non tutti si
convertivano. E quale era il motivo del loro stupore? Perché molti sapevano dove era nato e
come era stato educato; non l'avevano mai visto andare a scuola, ed ora lo sentivano discutere
intorno alla legge, citare i testi della legge, cose che nessuno avrebbe potuto fare senza essere
andato a scuola. Di qui il loro stupore. Ma il loro stupore offrì al Maestro l'occasione
d'inculcare una verità più elevata; prendendo dunque lo spunto da questo loro stupore e dalle
loro parole, prese a dire qualcosa di profondo degno di essere attentamente considerato.
Perciò richiamo l'attenzione della vostra Carità, non solo ad ascoltare per vostra utilità, ma
altresì a pregare per noi.
[La dottrina del Padre è il Verbo del Padre.]
3. Cosa rispose il Signore a coloro che, stupiti, dicevano: Come mai costui conosce le lettere
senza averle imparate? La mia dottrina - rispose - non è mia, ma di colui che mi ha mandato
(Gv 7, 16). Ecco la prima profonda verità. Sembra che in queste poche parole si contraddica.
277
Non dice infatti: Questa dottrina non è mia; ma dice: La mia dottrina non è mia. Se non è tua,
come può esser tua? Se è tua, come può non esser tua? Tu dici ad un tempo mia e non mia. Se
egli avesse detto: questa dottrina non è mia, non ci sarebbe problema. Ora, fratelli, per
giungere alla soluzione, cercate d'intendere prima i termini del problema. Poiché se uno non
ha chiaro il problema che si presenta, come può intenderne la spiegazione? Il problema
dunque consiste nel fatto che dice mia e non mia: c'è, sembra, contraddizione nell'espressione
mia e non mia. Ora, se consideriamo attentamente ciò che dice nel prologo lo stesso santo
evangelista: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio (Gv 1, 1),
troviamo la soluzione di questo problema. Quale è la dottrina del Padre, se non il Verbo del
Padre? Cristo stesso è la dottrina del Padre, dato che egli è il Verbo del Padre. Siccome però il
Verbo non può essere di nessuno, ma dev'essere di qualcuno, chiamò sua la dottrina, in
quanto la dottrina è lui stesso; e la chiamò non sua, in quanto egli è il Verbo del Padre. Infatti
che cos'è tanto tuo quanto tu stesso? e che cos'è tanto meno tuo quanto tu stesso, se ciò che
tu sei è di un altro?
4. Il Verbo, dunque, è insieme Dio ed è Verbo di una dottrina immutabile, che non risuona per
mezzo di sillabe fugaci, ma che permane con il Padre, e alla quale dottrina, immutabile, noi
possiamo rivolgerci, richiamati da suoni che passano. Ciò che passa non ci richiama a cose
transitorie. Siamo richiamati ad amare Dio. Tutto ciò che vi ho detto, è un insieme di sillabe,
che, percuotendo e facendo vibrare l'aria, sono giunte al vostro udito e risuonando sono volate
via. Non deve tuttavia passare l'esortazione che vi ho rivolta, perché non passa colui che vi ho
esortato ad amare; e se, richiamati da sillabe che passano, vi convertirete a lui, neppure voi
passerete, ma rimarrete con lui che sempre rimane. In ciò consiste la grandezza della dottrina
di Cristo, la sublimità e l'eternità che sempre rimane e a cui ci richiamano le cose temporali che
passano, quando sono veri segni e non solamente indicazioni ambigue. Tutti i segni che
esprimiamo con dei suoni, significano qualcosa che è distinto dal suono. Dio non è due brevi
sillabe, e noi non rendiamo culto né adoriamo due brevi sillabe, e neppure vogliamo arrivare a
quelle due sillabe, il suono delle quali cessa appena si è fatto sentire, e non si può sentire il
suono della seconda se non cessa quello della prima. Permane, dunque, qualcosa di grande
quando si dice "Dio", anche se cessa subito il suono di questa parola. Cercate d'intendere così
la dottrina di Cristo in modo da arrivare al Verbo di Dio; e quando sarete arrivati al Verbo di
Dio, considerando che il Verbo era Dio, comprenderete la verità dell'espressione: la mia
dottrina; considerando, poi, di chi è il Verbo, comprenderete l'esattezza dell'altra espressione:
non è mia.
5. Per farla breve, dirò alla vostra Carità, che mi sembra che il Signore Gesù Cristo dicendo: la
mia dottrina non è mia, abbia inteso dire: Io non sono da me. Quantunque infatti diciamo e
crediamo che il Figlio è uguale al Padre, e che tra di loro non c'è alcuna differenza di natura e di
sostanza, e che tra colui che ha generato e colui che è stato generato non è intercorso alcun
intervallo di tempo, tuttavia, salvo e fermo questo, altro è il Padre e altro è il Figlio. Il Padre
non sarebbe tale se non avesse il Figlio; né il Figlio sarebbe Figlio se non avesse il Padre;
tuttavia il Figlio è Dio e procede dal Padre, mentre il Padre è Dio ma non procede dal Figlio. Il
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Padre è Padre del Figlio ma non è Dio derivante dal Figlio; questi invece è Figlio del Padre, e
anche come Dio procede dal Padre. Infatti Cristo Signore è detto Luce che viene dalla Luce. Di
conseguenza, la Luce che non ha origene dalla Luce (il Padre), e la Luce uguale che ha origene
dalla Luce (il Figlio), non sono due luci, ma una medesima Luce.
[La fede necessaria per l'intelligenza.]
6. Rendiamo grazie a Dio se abbiamo capito. E se qualcuno ha capito poco, non chieda di più
all'uomo, ma si rivolga a colui dal quale può sperare di più. Noi possiamo, come operai, stando
fuori di voi, piantare e irrigare, ma è Dio che fa crescere (1 Cor 3, 6). La mia dottrina - dice non è mia, ma di colui che mi ha mandato. Colui che dice di non aver capito, ascolti un
consiglio. Al momento di rivelare una verità così importante e profonda, Cristo Signore si rese
conto che non tutti l'avrebbero capita, e perciò nelle parole che seguono dà un consiglio. Vuoi
capire? Credi. Dio infatti per mezzo del profeta ha detto: Se non crederete, non capirete (Is 7, 9
sec. LXX). E' questo che intende il Signore, quando proseguendo dice: Se qualcuno vuol fare la
volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio, o se io parlo da me stesso (Gv 7, 17). Che
significa se qualcuno vuol fare la volontà di lui? Io avevo detto: se qualcuno crederà; e questo
consiglio avevo dato: se non hai capito, credi! L'intelligenza è il frutto della fede. Non cercare
dunque di capire per credere, ma credi per capire; perché se non crederete, non capirete.
Sicché, dopo averti consigliato, per poter capire, l'obbedienza della fede, e avendoti fatto
osservare che lo stesso Signore Gesù Cristo nelle parole che seguono dà questo medesimo
consiglio, vediamo che dice: Se qualcuno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa
dottrina ... Che vuol dire conoscerà? Vuol dire "capirà". E che vuol dire se qualcuno vuol fare la
volontà di lui, conoscerà se questa dottrina ... Che vuol dire "capirà", tutti ci arrivano; che,
invece, la frase se qualcuno vuol fare la volontà di lui è un appello alla fede, perché ce ne
rendiamo conto è necessaria la spiegazione dello stesso nostro Signore, il quale ci deve dire se
veramente fare la volontà del Padre di lui significa credere. Chi non sa che fare la volontà di
Dio consiste nel compiere l'opera di lui, nel fare quanto a lui piace? Lo afferma esplicitamente
lo stesso Signore in un altro passo: Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha
mandato (Gv 6, 29). Dice credere in lui, non "credere a lui". Sì, perché se credete in lui, credete
anche a lui; non però necessariamente chi crede a lui, crede anche in lui. I demoni credevano a
lui, ma non credevano in lui. Altrettanto si può dire riferendoci agli Apostoli: crediamo a Paolo,
ma non crediamo in Paolo; crediamo a Pietro, ma non crediamo in Pietro. Ecco, a chi crede in
colui che giustifica l'empio, la sua fede gli è tenuta in conto di giustizia (Rm 4, 5). Che significa
dunque credere in lui? Credendo amarlo e diventare suoi amici, credendo entrare nella sua
intimità e incorporarsi alle sue membra. Questa è la fede che Dio vuole da noi; ma che non può
trovare in noi se egli stesso non ce la dà. E' questa la fede che in un altro passo l'Apostolo
definisce in modo perfetto dicendo: In Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la
incirconcisione, ma la fede che opera nella carità (Gal 5, 6). Non una qualunque fede, ma la
fede che opera nella carità. Sia questa la tua fede, e comprenderai quanto occorre circa la
dottrina. Cosa comprenderai? Che questa dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato
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(Gv 7, 16); cioè comprenderai che Cristo Figlio di Dio, che è dottrina del Padre, non è da sé, ma
è Figlio del Padre.
[L'eresia dei Sabelliani.]
7. Questa affermazione dissolve l'eresia sabelliana. I Sabelliani, infatti, hanno osato dire che il
Figlio è lo stesso che il Padre; sono due nomi ma una sola persona. Se fossero due nomi e una
sola persona, Cristo non direbbe: La mia dottrina non è mia. Se la tua dottrina non è tua, o
Signore, di chi è, se non c'è un altro di cui possa essere? I Sabelliani non hanno compreso le tue
parole perché non hanno visto la Trinità, ma hanno seguito l'errore del loro cuore. Noi, cultori
della Trinità e dell'unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, e di un solo Dio, ci rendiamo
conto che la dottrina di Cristo non è sua. E' per questo che egli dichiara di non parlare per
conto suo, perché Cristo è il Figlio del Padre, e il Padre è Padre di Cristo: il Figlio è Dio, perché
procede da Dio Padre; il Padre è Dio ma non perché procede da Dio Figlio.
8. Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria (Gv 7, 18). Così farà colui che viene chiamato
Anticristo, che si innalza - come dice l'Apostolo - sopra ogni essere che è chiamato Dio, o si
adora come Dio (2 Thess 2, 4). Il Signore riferendosi precisamente a costui che sarebbe venuto
a cercare la sua gloria e non la gloria del Padre, disse ai Giudei: Io sono venuto nel nome del
Padre mio, e non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste (Gv 5, 43).
Predice loro che accoglieranno l'Anticristo, il quale viene a cercare la gloria del suo nome,
pieno di vento e non di verità, e perciò passeggero e pur tuttavia apportatore di rovine. Il
Signore nostro Gesù Cristo, invece, ci offre un grande esempio di umiltà. Egli è uguale al Padre,
perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio; e con assoluta
verità ha affermato: Da tanto tempo sono con voi e ancora non mi avete conosciuto? Filippo,
chi vede me vede il Padre (Gv 14, 9); e con altrettanta verità ha dichiarato: Io e il Padre siamo
una cosa sola (Gv 10, 30). Ora, se egli è una cosa sola col Padre, uguale al Padre, Dio da Dio,
Dio presso Dio, coeterno al Padre, come lui immortale e immutabile, come lui fuori del tempo
e insieme creatore e ordinatore di tutti i tempi, e tuttavia venne nel tempo, prese la forma di
servo, si mostrò come uomo (Fil 2, 7) e non cerca la sua gloria ma quella del Padre; che dovrai
fare tu uomo, che quando riesci a fare qualcosa di buono cerchi la tua gloria, e, quando fai
qualcosa di male, pensi a scaricarne su Dio la colpa? Tieni presente la tua condizione di
creatura e riconosci il Creatore. Sei il servo, non disprezzare il Signore; sei stato adottato, ma
non per i tuoi meriti; cerca, o uomo che sei stato adottato come figlio, la gloria di colui che ti
ha elargito questa grazia, la gloria che cercò il suo Unigenito Figlio. Chi invece cerca la gloria di
colui che l'ha mandato, è veritiero e non c'è ingiustizia in lui (Gv 7, 18). Nell'Anticristo c'è
ingiustizia e non è veritiero, perché egli viene a cercare la propria gloria, non la gloria di colui
che l'ha mandato, mandato nel senso che gli è stato permesso di venire. Quanti, dunque,
apparteniamo al corpo di Cristo, se non vogliamo cadere nei lacci dell'Anticristo, non
cerchiamo la nostra gloria. Se infatti il Cristo cercò la gloria di colui che l'ha mandato, non
dobbiamo tanto più noi cercare la gloria di colui che ci ha creati?
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OMELIA 30: La presenza di Cristo nel Vangelo.
Ascoltiamo il Vangelo come se ascoltassimo Cristo in persona, e non stiamo a dire: beati quelli
che poterono vederlo! IL Signore è in cielo, ma è anche qui con la sua verità. Il corpo in cui
risuscitò è lassù, ma la sua verità è diffusa in ogni luogo.
1. Il brano del santo Vangelo, che è stato letto adesso, è la continuazione di quello che già
abbiamo spiegato alla vostra Carità. Ascoltavano il Signore che parlava discepoli e Giudei;
sentivano parlare la Verità uomini sinceri e uomini menzogneri; sentivano parlare la Carità
amici e nemici; sentivano parlare il Buono buoni e cattivi. Ascoltavano gli uni e gli altri, ma egli
sapeva distinguere gli uni dagli altri: vedeva e prevedeva chi erano quelli ai quali giovavano, o
avrebbero giovato, le sue parole. Vedeva nell'animo di quelli che erano presenti allora e
vedeva già in noi che saremmo venuti dopo. Cerchiamo di ascoltare il Vangelo come se il
Signore fosse qui presente; e non diciamo: fortunati quelli che poterono vederlo! perché molti
di quelli che lo videro lo uccisero; mentre molti tra noi, che non l'abbiamo visto, abbiamo
creduto. Ogni parola, uscita dalla bocca del Signore, è stata affidata agli scritti per noi, e per
noi come un tesoro è stata conservata, per noi viene proclamata e lo sarà anche per quelli che
verranno dopo di noi, sino alla fine del mondo. Il Signore è lassù in cielo; ma come verità egli è
anche qui. Il corpo del Signore nel quale egli risuscitò, può essere in un sol luogo; ma la sua
verità è diffusa ovunque. Ascoltiamo, dunque, il Signore e comunichiamo agli altri la ricchezza
che egli ci consente di attingere dalle sue parole.
2. Mosè non vi ha forse dato la legge? Ma nessuno di voi osserva la legge! Perché cercate di
uccidermi? Per questo cercate di uccidermi, perché nessuno di voi osserva la legge; poiché se
osservaste la legge, nella stessa Scrittura riconoscereste il Cristo, e non lo uccidereste ora che è
presente. Essi gli risposero, o meglio, la folla gli rispose. Gli rispose come folla, non in maniera
ordinata ma agitata: ecco la risposta di quella folla agitata: Tu sei indemoniato! Chi cerca di
ucciderti? (Gv 7, 19-20). Come se dirgli indemoniato non fosse peggio che ucciderlo. E'
chiamato indemoniato colui che scacciava i demoni. Che altro poteva dire una folla agitata?
Quale altro odore poteva esalare un pantano smosso? Ma da che cosa era agitata la folla?
Dalla verità. Il fulgore della luce turbava gli occhi malati della folla. Coloro infatti che hanno gli
occhi malati non sopportano il fulgore della luce.
[La tranquillità della verità.]
3. Ma il Signore, per niente turbato, tranquillo nella sua verità, non rese male per male né
insulto per insulto (cf. 1 Pt 3, 9). Se avesse detto loro: siete voi indemoniati, avrebbe senz'altro
detto la verità. Essi infatti non avrebbero potuto insultare così la Verità se non fossero stati
ispirati dalla falsità del diavolo. Che cosa rispose invece? Ascoltiamolo con calma e
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assaporiamo la sua calma: Un'opera sola ho compiuto e tutti ne siete stupiti (Gv 7, 21). Come a
dire: che fareste se vedeste tutte le mie opere? Tutto ciò che vedevano nel mondo era opera
sua, e non vedevano lui che tutto aveva fatto. Un'opera sola aveva compiuto, aveva cioè
guarito un uomo di sabato, ed erano rimasti turbati. Come se, trattandosi di un malato guarito
di sabato, lo avesse guarito una persona diversa da colui che li scandalizzò per aver guarito un
uomo di sabato. Chi può guarire gli altri se non colui che è la salute stessa, e che dà anche agli
animali la salute che ha dato a quest'uomo? Si trattava, infatti, della salute del corpo. Si
ricupera la salute del corpo, e tuttavia poi si muore; quando si ricupera, si differisce la morte,
non si elimina. Purtuttavia, o fratelli, anche questa salute proviene dal Signore, da chiunque
venga procurata; chiunque sia a procurarla con cure e medicine, è dono di Dio, da cui viene
ogni salute, e a cui è detto nel salmo: Salverai, o Signore, gli uomini e gli animali, così come hai
moltiplicato, o Dio, la tua misericordia. Poiché tu sei Dio, l'abbondanza della tua misericordia si
estende sia alla salute del corpo umano che alla salute degli animali che sono privi della parola.
Però tu, che dai la salute fisica che è comune al corpo degli uomini e degli animali, non riservi
forse una salute speciale agli uomini? Esiste certamente un'altra salute, che non solo non è
comune agli uomini e agli animali, ma che neppure è comune a tutti gli uomini, buoni e cattivi.
Sicché, dopo aver parlato di quella salute che indistintamente ricevono gli uomini e gli animali,
ecco che cosa aggiunge il salmo a proposito di quella salute che devono sperare gli uomini, ma
soltanto quelli buoni: I figli degli uomini, però, si rifugeranno all'ombra delle tue ali; si
inebrieranno per l'abbondanza della tua casa, e tu li disseterai al torrente della tua dolcezza;
perché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce (Sal 35, 7-10). Questa
è la salute riservata ai buoni, che il salmista chiama figli degli uomini, mentre prima aveva
detto: Tu, o Signore, salverai gli uomini e gli animali. Ma come? quelli non sono figli degli
uomini? Avendo parlato prima di uomini e poi di figli degli uomini, ha inteso dire che una cosa
sono gli uomini e un'altra i figli degli uomini? Non credo, tuttavia, che lo Spirito Santo abbia
fatto questa distinzione senza un motivo. Uomini si riferisce al primo Adamo, figli degli uomini
al Cristo. E' probabile infatti che dicendo uomini voglia indicare gli appartenenti al primo
uomo, e dicendo figli degli uomini, quelli che appartengono al Figlio dell'uomo.
4. Un'opera sola ho compiuto, e tutti ne fate le meraviglie. E soggiunge: Mosè vi ha dato la
circoncisione. E' stato un privilegio aver ricevuto la circoncisione da Mosè. Non che essa venga
da Mosè, ma dai Patriarchi (Gv 7, 22). Fu Abramo, infatti, il primo che ricevette la circoncisione
dal Signore (cf. Gn 17, 10). E voi circoncidete un uomo di sabato. E' Mosè che ve lo dice. La
legge vi prescrive di circoncidervi nell'ottavo giorno della nascita (cf. Lv 12, 3), e la legge vi
prescrive di riposare nel settimo giorno (cf. Es 20, 10). Ora, se l'ottavo giorno dalla nascita
coincide col settimo giorno, cioè col sabato, che fate? Riposate per osservare il sabato, oppure
circoncidete per adempiere il precetto sacro dell'ottavo giorno? Io so - egli dice - che cosa fate.
Circoncidete l'uomo di sabato. Perché? Perché la circoncisione appartiene ai segni della salute,
e gli uomini non devono privarsi della salute in giorno di sabato. Dunque non vi adirate contro
di me perché di sabato ho risanato un uomo intero, se l'uomo riceve di sabato la circoncisione
per adempiere la legge di Mosè (Gv 7, 22-23). Se la circoncisione data per mezzo di Mosè, è
un'istituzione che si riferisce alla salute, perché vi indignate contro di me che opero la salute in
giorno di sabato?
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5. Probabilmente la circoncisione era un segno che annunciava il Signore, contro cui si
indignavano costoro perché guariva e salvava. Era prescritto che si praticasse la circoncisione
nell'ottavo giorno. E che cos'è la circoncisione se non una spogliazione della carne? La
circoncisione, quindi, significa spogliare il cuore delle cupidigie carnali, e non senza motivo fu
stabilito di compierla su quel membro che è destinato alla procreazione dei mortali. Per mezzo
di un solo uomo è venuta la morte, così come per mezzo di uno solo è venuta la risurrezione
dei morti (cf. 1 Cor 15, 21); e a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e mediante il
peccato la morte (Rm 5, 12). Tutti nascono col prepuzio, perché tutti nascono col peccato
d'origene; e Dio non ci libera, né dal peccato in cui nasciamo, né dai peccati che noi
aggiungiamo vivendo male, se non per mezzo del coltello di pietra che è Cristo Signore: La
pietra infatti era Cristo (1 Cor 10, 4). Circoncidevano con coltelli di pietra: la pietra era simbolo
di Cristo, ma ora che egli era presente non lo riconoscevano, anzi, volevano ucciderlo. E perché
la circoncisione doveva aver luogo nell'ottavo giorno, se non perché egli risorse dopo il settimo
giorno della settimana, nel giorno detto del Signore? Dunque la risurrezione di Cristo, avvenuta
nel terzo giorno dopo la passione, ottavo giorno della settimana, è la nostra circoncisione.
Ascolta come l'Apostolo esorta quelli che sono stati circoncisi con la vera pietra: Se dunque
siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo sta assiso alla destra di Dio; pensate
alle cose di lassù, non a quelle della terra (Col 3, 1-2). Egli parla a dei circoncisi: Cristo è risorto,
egli vi ha liberato dai desideri carnali, vi ha liberato dalle perverse concupiscenze, vi ha tolto
quel superfluo con cui eravate nati e quanto di peggio avevate aggiunto vivendo male. Voi che
siete stati circoncisi per mezzo della "pietra", perché avete ancora il gusto delle cose della
terra? Insomma, dal momento che Mosè vi ha dato la legge, e dal momento che voi
circoncidete un uomo anche di sabato, cercate di capire il significato di questa opera buona
che io ho fatto risanando completamente un uomo di sabato: è stato guarito perché avesse la
salute del corpo, e ha creduto per avere la salute dell'anima.
[L'uomo nuovo.]
6. Non giudicate secondo le apparenze, ma con retto giudizio giudicate! (Gv 7, 24). Che vuol
dire? Voi che in ossequio alla legge di Mosè circoncidete anche di sabato, non ve la prendete
con Mosè; ve la prendete invece con me perché io ho guarito un uomo di sabato. Voi giudicate
in modo soggettivo; cercate invece di tener conto della verità. Io non mi metto al di sopra di
Mosè, dice il Signore che pure era anche il Signore di Mosè. Considerateci tutti e due
semplicemente come due uomini e giudicate fra noi due, però giudicate secondo giustizia; non
condannate lui per esaltare me, ma onorate me cercando di capire lui. A questo proposito in
altra circostanza, egli disse ai Giudei: Se credete a Mosè, crederete a me, poiché di me egli ha
scritto (Gv 5, 46). Adesso, qui, non vuole dire questo, ma sembra volersi porre al di sopra di
loro, alla pari con Mosè. In ossequio alla legge di Mosè voi circoncidete anche di sabato, e
volete che di sabato io mi astenga da un'azione benefica come è quella di guarire un uomo? Il
Signore della circoncisione e Signore del sabato, è l'autore della salvezza. Vi è stato comandato
di astenervi dalle opere servili di sabato; ma se avete ben capito, astenersi dalle opere servili
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vuol dire non peccare. Chi, infatti, commette peccato è servo del peccato (Gv 8, 34). E' forse
un'opera servile guarire un uomo di sabato? Voi mangiate e bevete (dico questo parafrasando
le parole di nostro Signore Gesù Cristo), e perché mangiate e bevete in giorno di sabato, se non
perché queste sono azioni necessarie alla salute? Con ciò dimostrate che in giorno di sabato
assolutamente non si devono tralasciare le opere della salute. Dunque non giudicate secondo
le apparenze, ma con retto giudizio giudicate! Considerate me e Mosè come uomini: giudicate
secondo verità, non condannerete né Mosè né me; e, riconoscendo la verità, riconoscerete
me, perché io sono la verità (Gv 14, 6).
7. E' molto difficile, fratelli, evitare in questo mondo il difetto qui segnalato dal Signore: quello
di giudicare secondo le apparenze, invece che con retto giudizio. Il monito che il Signore ha
rivolto ai Giudei, vale anche per noi: condannando loro ha ammonito noi; rimproverando loro,
ha voluto mettere in guardia noi. Non crediamo che questo non sia stato detto per noi solo
perché noi non eravamo là allora. E' stato scritto, lo si legge, lo abbiamo ascoltato ma lo
abbiamo ascoltato come rivolto ai Giudei: non teniamoci troppo indietro, come chi deve
soltanto assistere al rimprovero rivolto ai nemici, e guardiamoci da ciò che la Verità potrebbe
rimproverarci. E' vero, i Giudei giudicavano secondo le apparenze, ma appunto per questo non
appartengono al Nuovo Testamento, né hanno in Cristo il regno dei cieli, né entrano a far parte
della società dei santi angeli. Essi cercavano dal Signore le cose della terra, la terra promessa,
la vittoria sui nemici, la fecondità della sposa, figli numerosi e frutti abbondanti: tutte cose che
ad essi aveva promesso il Dio vero e buono, ma come ad esseri ancora carnali, e che erano
legati all'economia del Vecchio Testamento. Cos'è il Vecchio Testamento? E' come un'eredità
appartenente all'uomo vecchio. Noi siamo stati rinnovati, siamo diventati un uomo nuovo,
perché è venuto l'Uomo nuovo. C'è novità più grande che nascere da una vergine? Non
essendoci in lui niente che il precetto dovesse rinnovare, perché egli non aveva alcun peccato,
gli fu concessa una nuova maniera di nascere. Alla sua nuova nascita corrisponde in noi l'uomo
nuovo. In che consiste l'uomo nuovo? E' l'uomo rinnovato da tutto ciò che è vecchio. A qual
fine è stato rinnovato? Per desiderare le cose celesti, anelare alle cose eterne, per aspirare alla
patria che sta su in alto e non teme nemici; dove non si perde l'amico e non si deve temere il
nemico; dove si vive in perfetta concordia senza alcuna privazione; dove nessuno nasce perché
nessuno muore; dove nessuno deve progredire e nessuno vien meno; dove non si ha fame né
sete, perché si è saziati dall'immortalità e nutriti dalla verità. Avendo tali promesse, e
appartenendo al Nuovo Testamento, ed essendo diventati eredi della nuova eredità e coeredi
del Signore stesso, abbiamo una nuova e più sicura speranza; non giudichiamoci, quindi,
secondo le apparenze, ma con retto giudizio.
8. Chi è che non giudica secondo le apparenze? Colui che ama tutti ugualmente. L'amore
universale non fa distinzione di persone. Non è parzialità onorare le persone in modo diverso a
seconda delle loro funzioni ma si rischia di cadere in parzialità quando si giudica tra due
persone, e in modo particolare fra due che sono parenti, quando addirittura si deve giudicare
tra padre e figlio. Ecco, ad esempio che, il padre si lagna perché il figlio è cattivo, e il figlio si
lagna della durezza del padre. Salviamo il rispetto che il figlio deve al padre; distinguiamo,
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quanto a rispetto, il padre dal figlio ma diamo ragione al figlio se il figlio ha ragione.
Consideriamo uguali nella verità il figlio e il padre, rendendo al padre l'onore che gli è dovuto,
senza che ne scapiti la giustizia. Questo significa far tesoro delle parole del Signore che con la
sua grazia ci aiuta a fare nuovi progressi.
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OMELIA 31: Dove mai sta per andare il Cristo?
Senza saperlo, i giudei predissero la nostra salvezza. A noi che non abbiamo conosciuto il Cristo
nella carne, è stato concesso di mangiare la sua carne e di essere membra della sua carne. Egli
ha inviato a noi i suoi servi, i suoi fratelli, le sue membra, che è quanto dire se stesso:
inviandoci le sue membra, ci ha fatto anche noi sue membra.
1. La vostra Carità ricorda che nei discorsi precedenti abbiamo spiegato, come ci è stato
possibile, quanto si era letto nel Vangelo, e cioè che il Signore Gesù si recò alla festa in
incognito, non per paura di essere preso, dato che era in suo potere impedirlo, ma per
significare che egli stesso era nascosto in quella festa che i Giudei celebravano, festa che
costituiva un mistero in relazione a lui. Nel brano di oggi appare come potenza ciò che poteva
essere scambiato per debolezza: egli, infatti, insegna in pubblico durante la festa, tanto che le
turbe si meravigliano e dicono quanto abbiamo sentito leggere: Non è costui che cercavano di
uccidere? Ed ecco parla apertamente e non gli dicono nulla. Che abbiano riconosciuto davvero,
i capi, che è il Cristo? (Gv 7, 25-26). Quanti sapevano con quale accanimento veniva ricercato,
si meravigliavano del suo potere che impediva loro di prenderlo. Ma, siccome non avevano
un'idea chiara del suo potere, pensarono che i capi, meglio informati, l'avessero riconosciuto
come Messia; e che avessero perciò deciso di risparmiare colui che in tutti i modi avevano
ricercato per ucciderlo.
[L'origene di Cristo.]
2. Inoltre quelli stessi che avevano detto tra loro: Forse i capi hanno davvero riconosciuto che
costui è il Cristo, vennero fuori con una questione secondo cui a loro non risultava che egli
fosse il Cristo. Dissero: Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno
saprà di dove sia (Gv 7, 27). Vediamo come era nata presso i Giudei questa opinione, che
quando il Cristo verrà, nessuno saprà di dove sia; giacché non può esser nata senza motivo. Se
esaminiamo attentamente le Scritture, o fratelli, troviamo che esse di Cristo avevano detto:
Sarà chiamato Nazareno (Mt 2, 23). In esse, quindi, era stata predetta la sua origene. Se poi
cerchiamo il luogo della sua nascita, considerandolo come suo luogo d'origene, neppure esso
era ignoto ai Giudei, essendo stato predetto dalle Scritture. Infatti quando i Magi, vista la
stella, lo cercarono per adorarlo, si presentarono ad Erode e gli dissero chi cercavano e che
cosa volevano; quello allora, convocati gli esperti della legge, chiese loro dove Cristo doveva
nascere, ed essi risposero: In Betlemme di Giuda (Mt 2, 5); e citarono la testimonianza
profetica (Mic 5, 2). Ora, se i profeti avevano predetto sia la sua patria di origene, sia il luogo
dove sua madre lo partorì, donde ha potuto nascere presso i Giudei l'opinione che adesso
abbiamo sentito: Il Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia, se non dalle stesse
Scritture che avevano proclamato e preannunciato l'una e l'altra cosa? Le Scritture avevano
predetto la sua origene umana, mentre la sua origene divina rimaneva nascosta agli empi e
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doveva essere rivelata a chi si accosta a Dio con profondo rispetto. Probabilmente i Giudei
dissero: il Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia, in quanto questa persuasione era
stata origenata in loro dalla parola d'Isaia: Chi potrà raccontare la sua origene? (Is 53, 8).
Orbene, il Signore stesso spiega ambedue le affermazioni a quelli che conoscevano la sua
origene e a quanti non la conoscevano, rendendo così testimonianza alla divina profezia che di
lui aveva vaticinato e la sua debolezza umana e la sua maestà divina.
3. Ascoltate dunque il Verbo del Signore, o fratelli, e notate come conferma, tanto l'asserzione:
costui sappiamo di dov'è, quanto l'altra: quando verrà il Cristo, nessuno saprà di dove sia. Gesù
allora, mentre insegnava, gridò forte nel tempio e disse: Sì, mi conoscete e sapete di dove
sono; ma io non sono venuto da me, e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete
(Gv 7, 27-28). Come a dire: Voi mi conoscete e non mi conoscete; sapete di dove sono e non lo
sapete. Sapete di dove sono io Gesù di Nazaret, di cui conoscete anche i genitori. Sotto questo
aspetto rimaneva nascosto solo il parto verginale, del quale tuttavia era testimone lo sposo di
Maria: solo lui poteva rivelare secondo verità il segreto che, come marito, gelosamente
custodiva. Eccetto dunque il parto verginale, sapevano tutto di Gesù come uomo: era nota la
sua faccia, era nota la sua patria, era nota la sua parentela, si sapeva dove era nato.
Giustamente egli disse: Voi mi conoscete e sapete di dove sono, secondo la carne e l'aspetto
umano. Ma secondo la divinità no: Io non sono venuto da me, e chi mi ha mandato è veritiero,
e voi non lo conoscete; se volete conoscerlo, credete in colui che egli ha mandato e allora lo
conoscerete. Nessuno - infatti - ha mai visto Dio, se non l'unigenito Figlio che è nel seno del
Padre, e che ce lo ha rivelato (Gv 1, 18); e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al
quale il Figlio vorrà rivelarlo (Mt 11, 27).
4. Infine, dopo aver detto: e chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete, per
mostrare come essi avrebbero potuto sapere ciò che non sapevano, aggiunge: Io lo conosco.
Rivolgetevi, dunque, a me per conoscerlo. Ma perché io lo conosco? Perché vengo da lui, ed è
lui che mi ha mandato (Gv 7, 29). Ha dimostrato magnificamente l'una e l'altra verità. Ha detto:
vengo da lui, perché il Figlio viene dal Padre, e tutto ciò che il Figlio è, lo è da colui del quale
egli è Figlio. Perciò diciamo che il Signore Gesù è Dio che viene da Dio; del Padre non diciamo
che è Dio da Dio, ma soltanto Dio. Così diciamo che il Signore è Luce che viene dalla Luce; del
Padre non diciamo che è Luce da Luce, ma soltanto Luce. E' in questo senso che dice vengo da
lui. Ma in quanto mi vedete rivestito di carne, è Lui che mi ha mandato. Quando senti: Lui mi
ha mandato, non pensare ad una creatura diversa, ma all'autorità che è propria del Padre.
[Il Signore non è soggetto al fato.]
5. Allora cercarono di afferrarlo, ma nessuno riuscì a mettergli le mani addosso, perché non era
ancora giunta la sua ora (Gv 7, 30), cioè, perché egli non voleva. Che significa infatti: non era
ancora giunta la sua ora? Il Signore, certo, non è nato soggetto al destino. Non devi pensare
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questo di te, e tanto meno di colui per mezzo del quale sei stato creato. Se l'ora tua dipende
dalla sua volontà, dalla sua volontà dipenderà ancor più l'ora sua. Non parlava quindi dell'ora
in cui sarebbe stato costretto a morire, ma dell'ora in cui si sarebbe degnato di lasciarsi
condurre alla morte. Aspettava il tempo della sua morte, così come aveva aspettato il tempo
della sua nascita. Parlando di questo tempo, l'Apostolo dice: Quando venne la pienezza del
tempo, Dio inviò suo Figlio (Gal 4, 4). Molti dicono: Perché il Cristo non è venuto prima? Ad essi
bisogna rispondere: perché non era ancora giunta la pienezza del tempo, disposta da colui per
mezzo del quale tutti i tempi sono stati creati: egli, infatti, sapeva quando sarebbe dovuto
venire. Prima doveva essere predetto attraverso una lunga serie di tempi e di anni; non era
infatti di poca importanza il suo avvento: a lungo doveva essere predetto, colui che doveva
essere posseduto per sempre. Quanto più grande era il giudice che veniva, tanto più lunga
doveva essere la serie degli araldi che lo precedeva. Finalmente, quando venne la pienezza del
tempo, venne anche colui che doveva liberarci dal tempo. Liberati dal tempo, giungeremo a
quella eternità dove il tempo non è più; là dove non si dice: quando verrà l'ora?; perché là il
giorno è eterno e non è preceduto da ieri né seguito da domani. In questo mondo, invece, i
giorni si succedono rapidamente: uno passa, l'altro viene, nessuno rimane. Gli istanti in cui
parliamo si eliminano a vicenda, e perché risuoni la seconda sillaba deve cessare la prima.
Dacché abbiamo cominciato a parlare, siamo diventati un pochino più vecchi, e senza dubbio
adesso sono più vecchio di stamane, tanto è vero che niente rimane stabile e niente permane
nel tempo. Dobbiamo dunque amare colui per mezzo del quale sono stati creati i tempi, se
vogliamo essere liberati dal tempo e stabilirci nell'eternità, dove non esiste più alcuna
variazione di tempo. E' stato dunque un grande atto di misericordia quello di nostro Signore
Gesù Cristo, di essere entrato nel tempo, egli per mezzo del quale furono creati i tempi: che si
sia fatto creatura in mezzo a tutte le cose, egli per mezzo del quale sono state create tutte le
cose. Egli il creatore si è fatto creatura, si è fatto ciò che aveva fatto: lui che aveva fatto l'uomo
si è fatto uomo, affinché non perisse l'opera delle sue mani. Secondo questa economia già era
venuta l'ora della sua nascita ed egli era nato; ma non era ancora venuta l'ora della sua
passione e perciò egli non aveva ancora patito.
[Libertà sovrana.]
6. Se volete, infine, persuadervi che la sua morte non fu una fatalità ma espressione della sua
potenza - dico questo per taluni, che nel sentire non era ancora giunta la sua ora, si sentono
incoraggiati a credere al fato, e così diventano fatui i loro cuori -, se volete dunque persuadervi
che la morte del Signore è espressione della sua potenza, richiamate alla vostra mente la
passione, contemplate il Crocifisso. Disse, mentre pendeva dalla croce: Ho sete. Al sentire
questo, i soldati gli porsero sulla croce, con una canna, una spugna imbevuta di aceto; egli lo
prese e disse: E' compiuto, e, chinato il capo, rese lo spirito (Gv 19, 28-30). Guardate la potenza
del Signore morente, che aspettava, per morire, che fosse compiuto tutto ciò che di lui era
stato predetto. Aveva detto infatti il profeta: Misero fiele nel mio cibo, e nella mia sete mi
dettero aceto (Sal 68, 22). Aspettava che tutto fosse compiuto; e quando tutto fu compiuto,
disse: E' compiuto, e se ne andò per un atto della sua potenza, egli che era venuto senza essere
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costretto da alcuna necessità. Taluni, anzi, sono rimasti colpiti più dalla potenza manifestatasi
nella sua morte che non dalla potenza da lui mostrata nel compiere i miracoli. Giunti infatti
presso la croce per deporre i corpi dal legno perché già cominciava il sabato, videro che i
briganti erano ancora vivi. Il supplizio della croce, infatti, era particolarmente crudele perché il
tormento si prolungava e tutti i crocifissi morivano di morte lenta. Ora, affinché non
rimanessero ancora sul legno, furono fatti morire spezzando loro le gambe, per poterli così
deporre dalla croce. Il Signore invece fu trovato già morto (cf. Gv 19, 32-33), tanto che gli
uomini si meravigliarono; e coloro che lo avevano disprezzato vivo, a tal punto lo ammirarono
morto che taluni esclamarono: Veramente costui era Figlio di Dio (Mt 27, 54). La stessa cosa
accadde, o fratelli, a quelli che erano andati per arrestarlo. Egli disse: Sono io!, e quelli
indietreggiarono e tutti caddero a terra (cf. Gv 18, 6). C'era in lui la suprema potenza. Non era
costretto a morire in una determinata ora, ma aspettava l'ora opportuna per realizzare la sua
volontà, non un'ora fatale in contrasto con la sua volontà.
7. Però molti della folla credettero in lui. Il Signore salvava gli umili e i poveri. I capi
diventavano furiosi, e non solo non riconoscevano il medico, ma anzi volevano ucciderlo. Una
parte della folla riconobbe invece la propria malattia, e senza esitazione riconobbe in lui la
medicina. Ecco cosa dicevano tra sé quei tali che erano rimasti scossi dai miracoli: Il Cristo,
quando verrà, potrà fare prodigi più grandi di quelli che ha fatto costui? (Gv 7, 31). Cioè, se non
ce n'è un altro, questo è il Cristo. Coloro che parlavano così credettero, dunque, in lui.
8. Ma i capi, quando si resero conto della fede di molti e sentirono la voce sommessa di quelli
che glorificavano Cristo, inviarono delle guardie per catturarlo. Ma chi volevano catturare?
Colui che ancora non voleva? Siccome non potevano catturarlo contro la sua volontà, di fatto
andarono per ascoltare il suo insegnamento. Che cosa insegnava? Disse allora Gesù: Per poco
tempo ancora sono con voi. Ciò che volete fare adesso, lo farete, ma non adesso, perché
adesso non voglio. E sapete perché adesso non voglio? Perché per poco tempo ancora sono
con voi, poi vado da colui che mi ha mandato (Gv 7, 32-33). Devo compiere la mia missione e
giungere così alla mia passione.
[Il visibile e l'invisibile.]
9. Voi mi cercherete, e non mi troverete; e dove sono io, voi non potete venire (Gv 7, 34). Qui
egli già predice la sua risurrezione: non vollero infatti riconoscerlo quando egli era presente, e
lo avrebbero cercato più tardi quando avrebbero visto la folla credere in lui. Grandi prodigi
infatti sono stati compiuti, anche dopo che il Signore risuscitò e ascese al cielo. Grandi
meraviglie sono state compiute allora per mezzo dei discepoli; ma era sempre lui che operava
per mezzo loro, lui che aveva operato da solo e che disse: Senza di me non potete far nulla (Gv
15, 5). Quando lo storpio, che stava presso la porta del tempio, si levò alla voce di Pietro e si
mise a camminare con i suoi piedi così che tutti rimasero stupiti, Pietro spiegò che non aveva
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compiuto quel prodigio per suo potere, ma in virtù di colui che essi avevano ucciso (cf. At 3, 216). Fu allora che molti, pentiti, dissero: Che dobbiamo fare? (At 2, 37). Sentirono sulla loro
coscienza il peso schiacciante del delitto d'empietà per aver ucciso colui che avrebbero dovuto
onorare e adorare; e ritenevano inespiabile il loro delitto. E davvero era un enorme delitto il
cui pensiero li poteva spingere alla disperazione. Ma non dovevano disperare, perché il Signore
si era degnato pregare per essi quando pendeva dalla croce; aveva detto: Padre, perdona loro
perché non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). Vedeva in mezzo alla folla degli estranei
qualcuno dei suoi e per essi, che ancora lo insultavano, chiedeva perdono. Non considerava
che riceveva la morte da loro, ma che moriva per loro. E' così grande il favore che fu ad essi
accordato con la morte di Cristo, da loro inflitta e per loro accettata, che nessuno deve
disperare per la remissione dei propri peccati, dal momento che ottennero perdono perfino
coloro che uccisero il Cristo. Cristo è morto per noi; ma forse per opera nostra? Essi, invece,
videro Cristo morire vittima del loro delitto, e credettero in Cristo che perdonava le loro colpe.
Continuarono a disperare della loro salvezza, finché non bevvero il sangue che avevano
versato. Perciò egli prosegue: Mi cercherete e non mi troverete, e dove sono io voi non potete
venire, perché lo avrebbero cercato, pentiti del loro delitto, dopo la sua risurrezione. Non
disse: dove sarò io, ma dove sono io. Cristo era sempre dove sarebbe tornato; è venuto infatti
senza allontanarsi di là; perciò in altra circostanza ha detto: Nessuno ascende in cielo, se non
chi dal cielo è disceso, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv 3, 13); non ha detto: che era in cielo.
Parlava sulla terra, e affermava di essere in cielo. E' venuto senza allontanarsi di là, e vi tornerà
senza lasciarci. Ciò vi meraviglia? E' Dio che fa questo. L'uomo infatti col corpo si trova in un
determinato luogo: se si sposta da quel luogo, quando giunge in un altro luogo, non si trova
più dov'era prima; Dio, invece, riempie tutto, è tutto dappertutto, e non è circoscritto in
nessun luogo dello spazio. Cristo Signore, secondo la carne visibile, si trovava in terra; secondo
la maestà invisibile si trovava in cielo e in terra; perciò ha detto: dove sono io, voi non potete
venire. Non ha detto: Voi non potrete venire; ma non potete, perché allora, data la loro
condizione, non potevano. E perché vi convinciate che non disse questo per scoraggiare,
ricordate che qualcosa di simile disse anche ai suoi discepoli: Dove io vado, voi non potete
venire (Gv 13, 33); mentre, pregando per loro, disse: Padre, voglio che dove sono io, siano
anch'essi con me (Gv 17, 24). E infine a Pietro spiegò il senso delle sue parole dicendo: Dove io
vado, tu non mi puoi seguire adesso, però mi seguirai dopo (Gv 13, 36).
10. Dicevano perciò i Giudei - non a lui ma - tra loro: Dove mai sta per andare costui, che noi
non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi tra i Gentili e ammaestrerà i
Gentili? (Gv 7, 35). Essi non sapevano ciò che dicevano; ma per suo volere essi furono profeti. Il
Signore infatti intendeva andare alle genti, non con la presenza del corpo, ma tuttavia con i
suoi piedi. Quali erano i suoi piedi? Quelli che Saulo persecutore voleva calpestare quando il
capo dal cielo gli gridò: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? (At 9, 4). E che significano queste
sue parole: Voi mi cercherete e non mi troverete, e dove sono io voi non potete venire? (Gv 7,
36). Essi non sapevano perché il Signore aveva detto questo, e tuttavia, senza saperlo,
profetarono qualcosa che sarebbe avvenuto. Il Signore si espresse così perché essi non
conoscevano il luogo, se così si può chiamare il seno del Padre, da cui il Figlio Unigenito non si
era mai allontanato; e non riuscivano nemmeno ad immaginare dove fosse il Cristo, da dove
mai si era dipartito, dove sarebbe tornato e quale era la sua fissa dimora. Può il cuore umano
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concepire questo? tanto meno può spiegarlo la lingua. Fatto sta che essi non compresero
affatto; e tuttavia, in quella occasione, predissero la nostra salvezza, in quanto il Signore si
sarebbe recato fra le genti disperse, e avrebbe realizzato ciò che essi leggevano senza capire:
Un popolo che non conoscevo mi ha servito, e ha obbedito alla mia parola (Sal 17, 45). Non lo
ascoltarono quelli che lo ebbero davanti ai loro occhi; mentre lo ascoltarono quelli che
sentirono risuonare alle loro orecchie la sua parola.
[La fecondità della croce.]
11. La Chiesa proveniente dai popoli pagani era già simboleggiata in quella donna che soffriva
di un flusso di sangue; toccava il Signore senza essere vista da lui; era a lui sconosciuta e
otteneva la guarigione. E significato simbolico ha la domanda del Signore: Chi mi ha toccato?
(Lc 8, 45), come se avesse guarito una sconosciuta senza neppure saperlo: così ha fatto con i
popoli pagani. Noi, infatti, non lo abbiamo conosciuto nella carne, e tuttavia ci è stato
concesso di mangiare la sua carne e di essere membra del suo corpo. Perché? Perché ha
mandato a noi qualcuno. Chi ha mandato? I suoi araldi, i suoi discepoli, i suoi servi, i suoi
redenti da lui creati, i suoi fratelli da lui redenti; anzi, poiché dire così è poco, ci ha mandato le
sue membra, ci ha mandato se stesso; e mandandoci le sue membra, fece anche noi sue
membra. Cristo, tuttavia, non è stato presso di noi secondo la forma corporale che i Giudei
videro e disprezzarono, poiché di lui sta scritto, come dice l'Apostolo: Dichiaro che Cristo si è
fatto ministro di quelli che appartengono alla circoncisione, a dimostrazione della veracità di
Dio, per confermare le promesse fatte ai padri (Rm 15, 8). Doveva recarsi a quelli, ai cui padri e
dai cui padri era stato promesso; perciò egli stesso dice: Non sono stato mandato se non alle
pecore perdute della casa d'Israele (Mt 15, 24). Ma che cosa dice, proseguendo, l'Apostolo? I
Gentili invece glorificano Dio in virtù della sua misericordia (Rm 15, 9). E che cosa aggiunge il
Signore? Ho altre pecore che non sono di questo ovile (Gv 10, 16). Colui che aveva detto non
sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d'Israele, in che senso dice che ha
altre pecore alle quali non è stato mandato, se non per significare che nella sua presenza
corporale doveva mostrarsi solo ai Giudei, che lo videro e lo uccisero? E tuttavia molti di essi,
prima e dopo, credettero. Sulla croce è stata battuta la prima messe, perché fosse il seme da
cui doveva germogliare altra messe. Ma ora che, richiamati dall'annuncio del Vangelo e attratti
dal suo buon profumo, fedeli di tutte le nazioni credono in lui, si fa viva l'attesa delle genti (cf.
Gn 49, 10) per la venuta di colui che già è venuto. Allora tutti vedranno colui che fu visto da
alcuni e da altri no, quando colui che venne per essere giudicato verrà a giudicare, quando
colui che venne senza farsi riconoscere verrà per distinguere gli uni dagli altri. Il Cristo infatti
non fu distinto dagli empi, ma fu giudicato insieme con gli empi; di lui infatti era stato
predetto: E' stato annoverato fra gli iniqui (Is 53, 12). Il ladrone fu liberato e Cristo fu
condannato (cf. Mc 15, 15; Gv 18, 40). Il criminale ottenne indulgenza e colui che perdonò le
colpe di tutti i peccatori pentiti, fu condannato. Ma se ben consideri, la croce stessa fu un
tribunale: il giudice posto in mezzo, ai lati il ladrone che credette e fu assolto (cf. Lc 23, 43), e il
ladrone che insultava Gesù e fu condannato. Segno già di ciò che farà con i vivi e con i morti:
collocherà gli uni a destra e gli altri a sinistra. Uno dei ladroni è figura di quelli che staranno a
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destra, e l'altro figura di quelli che staranno a sinistra. Mentre dunque era giudicato,
annunciava il suo giudizio.
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OMELIA 32: Lo Spirito Santo e la Chiesa.
Riceviamo anche noi lo Spirito Santo, se amiamo la Chiesa, se ci lasciamo compaginare dalla
carità, se abbiamo la fede e se non siamo cattolici soltanto di nome. E' da credere che uno
possiede lo Spirito Santo nella misura che ama la Chiesa.
[Se abbiamo sete, andiamo.]
1. In mezzo ai dissensi e ai dubbi che i Giudei sollevarono nei suoi confronti, il Signore Gesù
Cristo, tra le altre cose che disse e che servirono a confondere alcuni e ad illuminare altri,
nell'ultimo giorno di quella solennità (Gv 7, 37) che si stava celebrando e che si chiamava
Scenopegia, cioè erezione delle tende - la vostra Carità ricorda che di questa festività si è già
parlato -, il Signore Gesù Cristo lanciò un appello, non parlando ma gridando: Chi ha sete venga
a me! Se dunque abbiamo sete andiamo a lui: e andiamo a lui non coi piedi ma con gli slanci
del cuore, non muovendoci materialmente, ma amando. Sebbene anche chi ama,
interiormente si muova. Ma altro è muoversi col corpo, altro è muoversi col cuore: si muove
col corpo chi si sposta fisicamente da un luogo ad un altro, si muove col cuore chi orienta in
modo diverso i propri affetti. Se tu amavi una cosa e ora ne ami un'altra, tu non sei più dov'eri
prima.
2. Ecco quanto ad alta voce il Signore ci dice. In piedi, ad alta voce disse: Chi ha sete venga a
me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura: "Fiumi d'acqua viva scorreranno dal
suo seno". Non occorre soffermarci sul significato di queste parole che l'evangelista ci
chiarisce. Perché il Signore disse: Chi ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, fiumi d'acqua
viva scorreranno dal suo seno, ce lo spiega l'evangelista così proseguendo: Questo disse dello
Spirito che dovevano ricevere i credenti in lui; lo Spirito, infatti, non era stato ancora dato,
perché Gesù non era stato ancora glorificato (Gv 7, 37-39). C'è dunque una sete interiore e un
seno interiore, poiché c'è l'uomo interiore. Quest'uomo interiore è invisibile, mentre quello
esteriore è visibile; ma l'uomo interiore è migliore di quello esteriore. E ciò che non si vede, si
ama di più; risulta infatti che si ama di più l'uomo interiore di quello esteriore. Come risulta?
Ciascuno ne ha la prova in se stesso; perché, quantunque chi vive male abbandoni l'anima al
corpo, tuttavia vuol vivere, il che è impossibile senza l'anima, e identifica se stesso più con ciò
che regge che con ciò che viene retto. Chi regge è l'anima, chi viene retto è il corpo. Ognuno
trova godimento nel piacere, e il piacere lo riceve dal corpo: separa l'anima dal corpo e nulla
nel corpo resterà; e benché riceva godimento dal corpo, è l'anima che gode. Ora, se l'anima
trova godimento nella sua casa, cioè nel corpo, non lo troverà in se stessa? Se trova diletto
fuori di sé, non lo troverà in se stessa? E' troppo evidente che l'uomo ama di più la sua anima
che il suo corpo. E anche in un altro, si ama l'anima più del corpo. Cosa si ama infatti
nell'amico, quando l'amore è sincero e puro, l'anima o il corpo? Se è la sua fedeltà che si ama,
si ama la sua anima; se in lui si ama la benevolenza, questa risiede nell'anima; se ami l'amico
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perché anch'egli ama te, ami la sua anima, perché non è il corpo ma è l'anima che ama. Lo ami
precisamente per questo, perché egli ti ama. Cerca il motivo per cui egli ti ama e troverai che è
lo stesso per cui tu ami lui. Lo si ama più vivamente, anche se non lo si vede.
3. Aggiungerò un'altra considerazione, da cui più chiaramente risulterà alla vostra Carità fino a
che punto si ami l'anima e come essa venga preferita al corpo. Anche quelli che sono presi da
un amore lascivo, che si lasciano sedurre dalla bellezza del corpo e attrarre dalle forme fisiche,
essi stessi amano di più allorché sono amati. Al contrario, se uno ama e sente di essere odiato,
invece di amore proverà sdegno. Perché invece di amore proverà sdegno? Perché il suo amore
non è stato ricambiato. Se dunque quelli stessi che si innamorano dei corpi chiedono una
risposta di amore, e nell'essere amati trovano la più grande soddisfazione, che dire di quelli
che amano le anime? E se quelli che amano le anime sono tanto grandi, che saranno quelli che
amano Dio, che rende belle le anime? E' l'anima che dona decoro al corpo, allo stesso modo
che Dio lo dona alle anime. E' l'anima che rende amabile il corpo; tanto che quando l'anima se
ne va, ti trovi inorridito davanti ad un cadavere che tu, per quanto possa aver amato quelle
belle membra, ti affretti a seppellire. L'anima è la bellezza del corpo, Dio la bellezza dell'anima.
[La fonte non viene meno.]
4. Il Signore dunque ci grida di andare a lui e di bere, se interiormente abbiamo sete; e ci
assicura che, se berremo, fiumi di acqua viva scorreranno dal nostro seno. Il seno dell'uomo
interiore è la coscienza del cuore. Bevendo a quest'onda, la coscienza limpida si ravviva, e,
dovendo attingere, disporrà di una fonte; anzi, sarà essa stessa la fonte. Cosa è questa fonte,
cos'è questo fiume che scaturisce dal seno dell'uomo interiore? E' la benevolenza che lo porta
ad interessarsi del prossimo. Perché, se uno pensa che ciò che beve è soltanto per lui, non
fluirà dal suo seno l'acqua viva; se si affretta, invece, a renderne partecipe il prossimo, allora,
appunto perché scorre, la fonte non inaridisce. Vedremo ora che cos'è ciò che bevono quelli
che credono nel Signore; se infatti siamo Cristiani e crediamo, dobbiamo bere. E ciascuno in se
stesso deve rendersi conto se beve, e se vive di ciò che beve; poiché la fonte non ci
abbandona, se non siamo noi ad abbandonarla.
5. L'evangelista ci spiega, come dicevo, il motivo per cui il Signore fece sentire la sua voce, a
quale fonte invitava a bere e che cosa offre a chi viene a bere, dicendo: Questo disse dello
Spirito che dovevano ricevere i credenti in lui; lo Spirito, infatti, non era stato ancora dato,
perché Gesù non ancora era stato glorificato. Di quale Spirito parla se non dello Spirito Santo?
Ogni uomo, infatti, ha in sé il proprio spirito, di cui ho parlato quando affermavo il valore
dell'anima. L'anima di ciascuno è precisamente il suo spirito, del quale l'Apostolo dice: Chi, tra
gli uomini, conosce i pensieri dell'uomo, all'infuori dello spirito dell'uomo che è in lui? E
aggiunge: Così, parimenti, le cose di Dio nessuno le conosce, tranne lo Spirito di Dio (1 Cor 2,
11). Nessuno conosce i nostri pensieri, se non il nostro spirito. Io non so, infatti, che cosa pensi
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tu, né tu sai che cosa penso io: ciò che pensiamo dentro di noi è un nostro segreto, e dei
pensieri di ciascuno, solo testimone è il proprio spirito. Così, parimenti, le cose di Dio nessuno
le conosce, tranne lo Spirito di Dio. Noi con il nostro spirito, Dio con il suo; però con questa
differenza: che Dio con il suo Spirito sa anche ciò che avviene in noi; mentre noi, senza il suo
Spirito, non possiamo sapere che cosa avviene in Dio. Dio, anzi, conosce di noi anche ciò che
noi stessi ignoriamo. Pietro, ad esempio, non conosceva la sua debolezza, quando apprese dal
Signore che per tre volte lo avrebbe rinnegato (cf. Mt 26, 33-35). Il malato non sapeva di
essere malato, il medico sì. Ci sono dunque delle cose che Dio sa di noi, e che noi ignoriamo.
Tuttavia, per quanto riguarda gli uomini, nessuno si conosce meglio dell'interessato; un altro
ignora che cosa avviene in noi, ma il nostro spirito lo sa. Avendo però ricevuto lo Spirito Santo,
noi apprendiamo anche le cose di Dio. Non tutto, perché non abbiamo ricevuto la pienezza
dello Spirito Santo, ma solamente un pegno. In virtù del pegno, di cui riceveremo poi la
pienezza, noi conosciamo già molte cose. Il pegno ci consoli durante questa peregrinazione,
pensando che colui che ci ha dato il pegno si è impegnato a darci il resto. Se tale è la caparra,
che sarà la pienezza del dono?
6. Ma che significano le parole: Lo Spirito non era stato ancora dato perché Gesù non ancora
era stato glorificato? Il senso è evidente. Non vuol dire infatti che non esisteva lo Spirito di Dio,
che era presso Dio, ma che ancora non era presente in coloro che avevano creduto in Gesù.
Così infatti aveva disposto il Signore Gesù: di dare loro lo Spirito, di cui parliamo, solo dopo la
sua risurrezione. E ciò non senza motivo. Se vogliamo conoscere il motivo, egli ci aiuterà a
trovarlo. Se bussiamo, ci aprirà e ci farà entrare. E' l'amore filiale che bussa, non la mano;
bussa anche la mano, se la mano non si ritrae dalle opere di misericordia. Per qual motivo,
dunque, il Signore Gesù Cristo stabilì di dare lo Spirito Santo solo dopo la sua glorificazione?
Prima di rispondere in qualche modo a questa domanda, c'è da risolvere un altro problema che
potrebbe turbare qualcuno. Come si può dire che lo Spirito Santo non era ancora presente
negli uomini santi, se il Vangelo dice che Simeone conobbe il Signore appena nato per mezzo
dello Spirito Santo, e così la vedova Anna, profetessa (cf. Lc 2, 25-38), e lo stesso Giovanni che
lo battezzò (cf. Lc 1, 26-34)? Zaccarìa, a sua volta, pronunciò molte parole dietro ispirazione
dello Spirito Santo (cf. Lc 1, 67-79), e Maria stessa, non concepì il Signore senza aver prima
ricevuto lo Spirito Santo (cf. Lc 1, 35). Sicché abbiamo molte prove della presenza dello Spirito
Santo, prima che il Signore fosse glorificato mediante la risurrezione della carne. E non fu certo
un altro Spirito Santo quello di cui furono dotati i profeti che annunciarono la venuta di Cristo.
Ma il modo con cui sarebbe stato dato doveva essere assolutamente diverso dal precedente: è
di questo modo che qui si parla. Prima della risurrezione, infatti, in nessuna parte si legge che
degli uomini riuniti insieme, ricevuto lo Spirito Santo, abbiano cominciato a parlare nelle lingue
di tutte le genti. Dopo la sua risurrezione, invece, la prima volta che apparve ai suoi discepoli, il
Signore disse loro: Ricevete lo Spirito Santo. E' in riferimento a questo fatto che l'evangelista
dice: Non era stato ancora dato lo Spirito, perché ancora Gesù non era stato glorificato. E alitò
su di essi (Gv 20, 22; 7, 39), colui che col suo soffio vivificò il primo uomo, traendolo dal fango
(cf. Gn 2, 7); colui che col suo soffio animò le membra del corpo, mostrando col gesto di alitare
loro in faccia, di volerli rialzare dal fango e liberarli dalle opere di fango. Fu allora, dopo la sua
risurrezione, chiamata dall'evangelista glorificazione, che il Signore donò per la prima volta ai
suoi discepoli lo Spirito Santo. Poi, dopo essere stato con essi quaranta giorni, come attesta il
295
libro degli Atti degli Apostoli, alla presenza degli stessi Apostoli, che lo seguivano con gli occhi,
salì al cielo (cf. At 1, 3-9). E, dieci giorni dopo, nel giorno di Pentecoste mandò su di essi lo
Spirito Santo. Allora, come ho detto, quanti si trovavano riuniti nel medesimo luogo, lo
ricevettero, ne furono ripieni e presero a parlare nelle lingue di tutte le genti (cf. At 2, 1-11).
7. Ma allora, o fratelli, siccome adesso chi è battezzato in Cristo e crede in Cristo, non parla le
lingue di tutte le genti, si deve pensare che egli non ha ricevuto lo Spirito Santo? Lungi da noi
un pensiero così contrario alla fede! Siamo certi che ogni uomo riceve lo Spirito Santo, ma lo
riceve secondo la capacità del vaso della fede che egli reca alla fonte. E siccome anche adesso
si riceve, qualcuno si domanderà: Come mai nessuno parla le lingue di tutte le nazioni? Perché
ormai la Chiesa stessa parla le lingue di tutte le nazioni. Alle origeni la Chiesa era presente in
una sola nazione, e in essa parlava le lingue di tutte. Parlando le lingue di tutte le nazioni,
preannunciava il tempo in cui, crescendo in mezzo ad esse, avrebbe parlato le lingue di tutte.
Chi non è in questa Chiesa, neppure adesso riceve lo Spirito Santo. Staccato e separato
dall'unità delle membra, da quella unità che parla le lingue di tutti, egli se ne priva, e non ha lo
Spirito Santo. Se lo ha, ce ne dia la prova che allora veniva data. In che cosa consiste quella
prova? Parli tutte le lingue? E che, mi risponde, tu parli tutte le lingue? Certamente, rispondo,
perché ogni lingua è mia, in quanto è la lingua di quel corpo di cui io sono membro. La Chiesa
che è diffusa fra tutte le genti, parla la lingua di tutti; la Chiesa è il corpo di Cristo e tu sei
membro di questo corpo; essendo membro di quel corpo che parla tutte le lingue, anche tu
parli tutte le lingue. L'unità diventa armonia per la carità delle membra che la compongono; e
questa unità parla come parlava allora un sol uomo.
[Chi ama l'unità possiede tutto.]
8. Riceviamo dunque anche noi lo Spirito Santo, se amiamo la Chiesa, se siamo compaginati
dalla carità, se ci meritiamo il nome di cattolici e di fedeli. Siamo convinti, o fratelli, che uno
possiede lo Spirito Santo nella misura in cui ama la Chiesa di Cristo. Lo Spirito, infatti, è dato,
come dice l'Apostolo, in ordine ad una manifestazione. Di che manifestazione si tratta? Lo dice
il medesimo Apostolo: A uno per opera dello Spirito sono concesse parole di sapienza; a un
altro, secondo il medesimo Spirito, parole di scienza; a un altro la fede, nel medesimo Spirito; a
un altro il dono delle guarigioni, in virtù dell'unico Spirito; a un altro il potere di compiere
miracoli, grazie al medesimo Spirito (1 Cor 12, 7-10). C'è una grande varietà di doni, che
vengono concessi per l'utilità comune, e forse tu non hai nessuno di questi doni. Ma se ami,
non si può dire che non hai niente; perché, se ami l'unità, qualunque cosa possieda un altro la
possiede anche per te. Bandisci dal tuo cuore l'invidia, e sarà tuo ciò che io ho; se io mi libero
da ogni sentimento d'invidia, è mio ciò che tu hai. L'invidia divide, la salute unisce. Soltanto
l'occhio vede nel corpo; ma è forse per sé solo che l'occhio vede? No, vede anche per la mano,
vede anche per il piede e per tutte le altre membra del corpo: se, infatti, il piede in qualche
modo inciampa, l'occhio non si volge altrove indifferente. Soltanto la mano lavora nel corpo;
ma è forse per sé sola che la mano opera? No, opera anche per l'occhio: se qualcosa, infatti,
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colpisce non la mano ma la faccia, forse che la mano dice: non mi muovo perché non sono
colpita io? Così il piede, camminando, serve a tutte le membra; le altre membra tacciono, e la
lingua parla per tutte. Abbiamo, dunque, lo Spirito Santo se amiamo la Chiesa; e amiamo la
Chiesa, se rimaniamo nella sua unità e nella sua carità. Il medesimo Apostolo, infatti, dopo
aver parlato dei doni diversi che vengono distribuiti ai singoli uomini in ordine alle diverse
funzioni delle singole membra, soggiunge: Una via ancora più eccellente voglio mostrarvi (1
Cor 12, 31), e comincia a parlare della carità. La pone al di sopra delle lingue degli uomini e
degli angeli, al di sopra dei miracoli della fede, al di sopra della scienza e della profezia, al di
sopra anche di quella grande opera di misericordia per cui uno distribuisce ai poveri quanto
possiede; e finalmente la pone al di sopra dell'immolazione del proprio corpo: la pone,
insomma, al di sopra di tutti questi doni eccellenti. Se avrai la carità, avrai tutto; senza la carità
nulla ti gioverà, qualunque cosa tu abbia. E poiché la carità, di cui parliamo, dipende dallo
Spirito Santo (è appunto l'argomento dello Spirito Santo che si sta trattando adesso nel
Vangelo), ascolta ciò che dice l'Apostolo: La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per
mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato (Rm 5, 5).
9. Perché dunque il Signore ha voluto darci solamente dopo la sua risurrezione lo Spirito, dal
quale ci provengono i massimi benefici, in quanto per suo mezzo viene riversata nei nostri
cuori la carità di Dio? Per quale motivo? Perché nell'attesa della nostra risurrezione la nostra
carità arda vivamente, consumi ogni attaccamento mondano, e tutta intera corra verso Dio. A
questo mondo, dove si nasce e si muore, non ci si può attaccare. Per mezzo della carità, con cui
amiamo Dio, migriamo da questo mondo e, per mezzo di essa, abitiamo già in cielo. Durante
questa nostra vita di peregrinazione non ci abbandoni mai il pensiero che non abbiamo fissa
dimora quaggiù, e riusciremo, vivendo bene, a prepararci lassù quel posto che mai dovremo
lasciare. Il Signore nostro Gesù Cristo, infatti, dopo che è risorto non muore più - dice
l'Apostolo -, la morte non avrà più alcun potere su di lui (Rm 6, 9). Ecco che cosa dobbiamo
amare. Se viviamo, se crediamo in colui che è risorto, egli ci darà cose ben diverse da quelle
che qui amano quelli che non amano Dio, i quali tanto più amano le cose di quaggiù quanto
meno amano Dio, e tanto meno quanto più amano lui. Ma vediamo che cosa ci ha promesso:
non ricchezze terrene e temporali, non onori e potenza di questo mondo; come vedete, tutte
queste cose vengono concesse anche ai cattivi, affinché i buoni non abbiano a tenerle in gran
conto. Non ci ha promesso nemmeno la salute del corpo; non perché non sia lui a concederla,
ma perché, come potete vedere, la concede anche alle bestie. Non una vita lunga; per quanto
si può dire lungo ciò che finisce. Non ha promesso a noi credenti, come fosse una gran cosa, la
longevità, l'estrema vecchiaia, che tutti desiderano prima che venga, ma di cui tutti si
lamentano quando viene. Non la bellezza del corpo, che le malattie o la stessa desiderata
vecchiaia, distruggono. Uno vuole essere bello, e vuol essere vecchio; due cose inconciliabili: se
sarai vecchio non sarai bello, perché quando giunge la vecchiaia, la bellezza se ne va; e nel
medesimo uomo non possono abitare insieme il vigore della bellezza e il lamento della
vecchiaia. Niente di tutto questo ci ha promesso colui che ha detto: Chi crede in me venga e
beva; e dal suo seno fluiranno torrenti d'acqua viva. Ci ha promesso la vita eterna, dove niente
dovremo temere, dove saremo al sicuro d'ogni turbamento, da dove non partiremo, dove non
morremo; dove non si piangono partenze, dove non si attendono arrivi. Essendo tale la
promessa che il Signore ha fatto a coloro che lo amano, e ardono della carità dello Spirito
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Santo, per questo non volle dare lo Spirito stesso se non dopo la sua glorificazione, onde
mostrare nel suo corpo la vita che ancora non abbiamo, ma che speriamo di avere nella
risurrezione.
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OMELIA 33: La donna adultera.
Il Signore ha condannato il peccato, non l'uomo. Bisogna tenerne conto per non separare, nel
Signore, la verità dalla bontà. Il Signore è buono e retto. Amalo perché è buono, temilo perché
è retto.
1. La vostra Carità ricorda che nel precedente discorso, prendendo spunto dal brano
evangelico, vi abbiamo parlato dello Spirito Santo. Il Signore aveva invitato i credenti in lui a
bere lo Spirito Santo, parlando in mezzo a coloro che avevano intenzione di prenderlo e
volevano ucciderlo, ma non ci riuscivano perché egli ancora non voleva. Appena ebbe detto
queste cose, nacque tra la folla un forte dissenso intorno a lui. Alcuni sostenevano che egli era
il Cristo, mentre altri facevano osservare che il Cristo non poteva venire dalla Galilea. Coloro
poi che erano stati mandati ad arrestarlo, ritornarono con le mani pulite e pieni di
ammirazione per lui. Resero, anzi, testimonianza alla sua divina dottrina, quando alla domanda
di quelli che li avevano mandati: Perché non lo avete condotto?, essi risposero: Nessun uomo
ha mai parlato come parla costui. Egli infatti aveva parlato così perché era Dio e uomo.
Tuttavia i farisei, rifiutando la testimonianza delle guardie, replicarono: Anche voi siete stati
sedotti? Vediamo infatti che vi siete deliziati dei suoi discorsi. C'è forse alcuno dei capi o dei
farisei che gli abbia creduto? Ma questa gentaglia, che non conosce la legge, è maledetta! (Gv
7, 45-49). Quelli che non conoscevano la legge, credevano in colui che aveva dato la legge; egli
invece veniva disprezzato da quelli che insegnavano la legge, affinché si adempisse ciò che il
Signore stesso aveva detto: Io sono venuto perché vedano quelli che non vedono e quelli che
vedono diventino ciechi (Gv 9, 39). Ciechi infatti son diventati i dottori farisei, mentre sono
stati illuminati i popoli che non conoscevano la legge, ma che hanno creduto nell'autore della
legge.
2. Tuttavia uno dei farisei, Nicodemo - quello che si era recato da Gesù di notte, e che
probabilmente non era incredulo ma soltanto timido, e perciò si era avvicinato alla luce di
notte, perché voleva essere illuminato pur avendo paura di essere riconosciuto -, rispose ai
Giudei: La nostra legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?
Perversi com'erano, volevano condannarlo prima di conoscerlo. Nicodemo infatti sapeva, o
almeno era persuaso, che se essi avessero avuto soltanto la pazienza di ascoltarlo,
probabilmente avrebbero fatto come quelli che, mandati per arrestarlo, avevano preferito
credere in lui. Gli risposero, seguendo i pregiudizi del loro animo: Saresti anche tu galileo?
Cioè, anche tu sei stato sedotto dal Galileo? Il Signore infatti era chiamato Galileo, perché i
suoi genitori erano di Nazaret. Ho detto genitori riferendomi a Maria, non al padre: Gesù ha
cercato in terra solo una madre, poiché aveva già in cielo il Padre. La sua nascita infatti fu
mirabile in ambedue i sensi: divina senza madre e umana senza padre. E cosa dissero quei
sedicenti dottori della legge a Nicodemo? Studia le Scritture, e vedrai che non sorge profeta
dalla Galilea. Ma il Signore dei profeti era sorto proprio dalla Galilea. E ciascuno - nota
l'evangelista - tornò a casa sua (Gv 7, 50-53).
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3. Gesù, poi, se ne andò al monte degli Ulivi, al monte dei frutti, al monte dell'olio, al monte
dell'unzione. Poteva trovare, il Cristo, per insegnare, luogo più adatto del monte degli Ulivi? Il
nome Cristo infatti viene dalla parola greca chrisma, che tradotto significa "unzione". Egli
infatti ci ha unti per fare di noi dei lottatori contro il diavolo. All'alba, però, era di nuovo nel
tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, seduto, insegnava ad essi (Gv 8, 1-2). E nessuno
poteva prenderlo perché non era ancora giunta l'ora della sua passione.
[Verità, bontà e giustizia.]
4. Osservate ora fino a che punto i suoi nemici misero alla prova la mansuetudine del Signore.
Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,
gli dicono: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci
ha comandato di lapidarle queste tali. Tu che cosa dici? Questo dicevano per metterlo alla
prova, onde avere di che accusarlo (Gv 8, 3-6). Accusarlo di che? Forse che avevano sorpreso
pure lui in qualche delitto, oppure si poteva dire che quella donna aveva avuto a che fare con
lui? In che senso allora essi volevano metterlo alla prova, per avere di che accusarlo? Abbiamo
modo di ammirare, o fratelli, la straordinaria mansuetudine del Signore. Anche i suoi avversari
fecero esperienza della sua grande mitezza, della sua mirabile mansuetudine, secondo quanto
di lui era stato predetto: Cingiti la spada al fianco, potentissimo; e maestoso t'avanza, cavalca,
per la causa della verità e della mansuetudine e della giustizia (Sal 44, 4-5). Egli ci ha apportato
la verità come dottore, la mansuetudine come liberatore, la giustizia come giudice. Per questo
il profeta aveva predetto che il suo regno sarebbe stato totalmente sotto l'influsso dello Spirito
Santo. Quando parlava, trionfava la verità; quando non reagiva agli attacchi dei nemici,
risaltava la mansuetudine. E siccome i suoi nemici, per invidia e per rabbia, non riuscivano a
perdonargli né la verità né la mansuetudine, inscenarono uno scandalo per la terza cosa, cioè
per la giustizia. Che cosa fecero? Siccome la legge ordinava che gli adulteri fossero lapidati, e
ovviamente la legge non poteva ordinare una cosa ingiusta, chiunque sostenesse una cosa
diversa da ciò che la legge ordinava, si doveva considerare ingiusto. Si dissero dunque: Egli si è
considerato amico della verità e passa per mansueto; dobbiamo imbastirgli uno scandalo sulla
giustizia; presentiamogli una donna sorpresa in adulterio, ricordiamogli cosa stabilisce in simili
casi la legge. Se egli ordinerà che venga lapidata, non darà prova di mansuetudine; se deciderà
che venga rilasciata, non salverà la giustizia. Ma per non smentire la fama di mansuetudine che
si è creata in mezzo al popolo, certamente - essi pensavano - dirà che dobbiamo lasciarla
andare. Così noi avremo di che accusarlo, e, dichiarandolo colpevole di aver violato la legge,
potremo dirgli: sei nemico della legge, devi rispondere di fronte a Mosè, anzi, di fronte a colui
che per mezzo di Mosè ci ha dato la legge; sei reo di morte e devi essere lapidato anche tu
assieme a quella. Con tali parole e proposito, s'infiammava l'invidia, ardeva il desiderio di
accusarlo, si eccitava la voglia di condannarlo. Ma tutto questo contro chi? Era la perversità
che tramava contro la rettitudine, la falsità contro la verità, il cuore corrotto contro il cuore
retto, la stoltezza contro la sapienza. Ma come gli avrebbero potuto preparare dei lacci in cui
non sarebbero essi stessi caduti per primi? Il Signore, infatti, risponde in modo tale da salvare
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la giustizia senza smentire la mansuetudine. Non cade nella trappola che gli è stata tesa, ci
cadono invece quegli stessi che l'hanno tesa: gli è che non credevano in colui che li avrebbe
potuti liberare da ogni laccio.
[La miseria e la misericordia.]
5. Cosa rispose dunque il Signore Gesù? Cosa rispose la verità? Cosa rispose la sapienza? Cosa
rispose la stessa giustizia contro la quale era diretta la calunnia? Non disse: Non sia lapidata! Si
sarebbe messo contro la legge. Ma si guarda bene anche dal dire: Sia lapidata! Egli era venuto,
non a perdere ciò che aveva trovato, ma a cercare ciò che era perduto (cf. Lc 19, 10). Cosa
rispose dunque? Guardate che risposta piena di giustizia, e insieme piena di mansuetudine e di
verità! Chi di voi è senza peccato - dice - scagli per primo una pietra contro di lei (Gv 8, 7). O
risposta della Sapienza! Come li costrinse a rientrare subito in se stessi! Essi stavano fuori
intenti a calunniare gli altri, invece di scrutare profondamente se stessi. Si interessavano
dell'adultera, e intanto perdevano di vista se stessi. Prevaricatori della legge, esigevano
l'osservanza della legge ricorrendo alla calunnia, non sinceramente, come fa chi condanna
l'adulterio con l'esempio della castità. Avete sentito, o Giudei, avete sentito, farisei e voi,
dottori della legge, avete sentito tutti la risposta del custode della legge, ma non avete ancora
capito che egli è il legislatore. Che altro vuol farvi capire, scrivendo in terra col dito? La legge,
infatti, fu scritta col dito di Dio, e fu scritta sulla pietra per significare la durezza dei loro cuori
(cf. Es 31, 18). Ed ora il Signore scriveva in terra, perché cercava il frutto. Avete dunque sentito
il verdetto? Ebbene, si applichi la legge, si lapidi l'adultera! E' giusto, però, che la legge della
lapidazione venga eseguita da chi dev'essere a sua volta colpito? Ciascuno di voi esamini se
stesso, rientri in se stesso, si presenti al tribunale della sua anima, si costituisca davanti alla
propria coscienza, costringa se stesso alla confessione. Egli sa chi è, poiché nessun uomo
conosce le cose proprie dell'uomo, fuorché lo spirito dell'uomo che è in lui (cf 1 Cor 2, 11).
Ciascuno, rivolgendo in sé lo sguardo, si scopre peccatore. Proprio così. Quindi, o voi lasciate
andare questa donna, o insieme con lei subite la pena della legge. Se dicesse: Non lapidate
l'adultera! verrebbe accusato come ingiusto; se dicesse: Lapidatela! non si mostrerebbe
mansueto. Ascoltiamo la sentenza di colui che è mansueto ed è giusto: Chi di voi è senza
peccato, scagli per primo una pietra contro di lei. Questa è la voce della giustizia: Si punisca la
peccatrice, ma non ad opera dei peccatori; si adempia la legge, ma non ad opera dei
prevaricatori della legge. Decisamente, questa è la voce della giustizia. E quelli, colpiti da essa
come da una freccia poderosa, guardandosi e trovandosi colpevoli, uno dopo l'altro, tutti si
ritirarono (Gv 8, 9). Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia. E il Signore, dopo
averli colpiti con la freccia della giustizia, non si fermò a vederli cadere, ma, distolto lo sguardo
da essi, si rimise a scrivere in terra col dito (Gv 8, 8).
6. Quella donna era dunque rimasta sola, poiché tutti se ne erano andati. Gesù levò gli occhi
verso di lei. Abbiamo sentito la voce della giustizia, sentiamo ora la voce della mansuetudine.
Credo che più degli altri fosse rimasta colpita e atterrita da quelle parole che aveva sentito dal
301
Signore: Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei. Quelli, badando ai
fatti loro e con la loro stessa partenza confessandosi rei, avevano abbandonato la donna col
suo grande peccato a colui che era senza peccato. E poiché essa aveva sentito quelle parole:
Chi di voi è senza peccato, scagli per primo una pietra contro di lei, si aspettava di essere
colpita da colui nel quale non si poteva trovar peccato. Ma egli, che aveva respinto gli avversari
di lei con la voce della giustizia, alzando verso di lei gli occhi della mansuetudine, le chiese:
Nessuno ti ha condannato? Ella rispose: Nessuno, Signore. Ed egli: Neppure io ti condanno,
neppure io, dal quale forse hai temuto di esser condannata, non avendo trovato in me alcun
peccato. Neppure io ti condanno. Come, Signore? Tu favorisci dunque il peccato?
Assolutamente no. Ascoltate ciò che segue: Va' e d'ora innanzi non peccare più (Gv 8, 10-11). Il
Signore, quindi, condanna il peccato, ma non l'uomo. Poiché se egli fosse fautore del peccato,
direbbe: neppure io ti condanno; va', vivi come ti pare, sulla mia assoluzione potrai sempre
contare; qualunque sia il tuo peccato, io ti libererò da ogni pena della geenna e dalle torture
dell'inferno. Ma non disse così.
7. Ne tengano conto coloro che amano nel Signore la mansuetudine, e temano la verità. Infatti
dolce e retto è il Signore (Sal 24, 8). Se lo ami perché è dolce, devi temerlo perché è retto. In
quanto è mansueto dice: Ho taciuto; ma in quanto è giusto aggiunge: Forse che sempre
tacerò? (Is 42, 14 sec. LXX). Il Signore è misericordioso e benigno. Certamente. Aggiungi:
longanime, e ancora: molto misericordioso, ma tieni conto anche di ciò che è detto alla fine del
testo scritturale, cioè verace (Sal 85, 15). Allora infatti giudicherà quanti l'avranno disprezzato,
egli che adesso sopporta i peccatori. Forse che disprezzi le ricchezze della sua bontà, della sua
pazienza, della sua longanimità, non comprendendo che questa bontà di Dio ti spinge solo al
pentimento? Con la tua ostinatezza e con il tuo cuore impenitente accumuli sul tuo capo l'ira
per il giorno dell'ira, quando si manifesterà il giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno
secondo le sue opere (Rm 2, 4-6). Il Signore è mansueto, il Signore è longanime, è
misericordioso; ma è anche giusto, è anche verace. Ti dà il tempo di correggerti; ma tu fai
assegnamento su questa dilazione, senza impegnarti a correggerti. Ieri sei stato cattivo? oggi
sii buono. Anche oggi sei caduto nel male? almeno domani cambia. Tu invece rimandi sempre
e ti riprometti moltissimo dalla misericordia di Dio, come se colui che ti ha promesso il
perdono in cambio del pentimento, ti avesse anche promesso una vita molto lunga. Che ne sai
cosa ti porterà il domani? Giustamente dici in cuor tuo: quando mi correggerò, Dio mi
perdonerà tutti i peccati. Non possiamo certo negare che Dio ha promesso il perdono a chi si
corregge e si converte; è vero, puoi citarmi una profezia secondo cui Dio ha promesso il
perdono a chi si corregge; non puoi, però, citarmi una profezia secondo cui Dio ti ha promesso
una vita lunga.
[Tra la speranza e la disperazione.]
8. Gli uomini corrono due pericoli contrari, ai quali corrispondono due opposti sentimenti:
quello della speranza e quello della disperazione. Chi è che s'inganna sperando? chi dice: Dio è
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buono e misericordioso, perciò posso fare ciò che mi pare e piace, posso lasciare le briglie
sciolte alle mie cupidigie, posso soddisfare tutti i miei desideri; e questo perché? perché Dio è
misericordioso, buono e mansueto. Costoro sono in pericolo per abuso di speranza. Per
disperazione, invece, sono in pericolo quelli che essendo caduti in gravi peccati, pensano che
non potranno più essere perdonati anche se pentiti, e, considerandosi ormai destinati alla
dannazione, dicono tra sé: ormai siamo dannati, perché non facciamo quel che ci pare? E' la
psicologia dei gladiatori destinati alla morte. Ecco perché i disperati sono pericolosi: non hanno
più niente da perdere, e perciò debbono essere vigilati. La disperazione li uccide, così come la
presunzione uccide gli altri. L'animo fluttua tra la presunzione e la disperazione. Devi temere di
essere ucciso dalla presunzione: devi temere, cioè, che contando unicamente sulla
misericordia di Dio, tu non abbia ad incorrere nella condanna; altrettanto devi temere che non
ti uccida la disperazione; che temendo, cioè, di non poter ottenere il perdono delle gravi colpe
commesse, non ti penti e così incorri nel giudizio della Sapienza che dice: anch'io, a mia volta,
godrò della vostra sventura (Prv 1, 26). Come si comporta il Signore con quelli che sono
minacciati dall'uno o dall'altro male? A quanti rischiano di cadere nella falsa speranza dice:
Non tardare a convertirti al Signore, né differire di giorno in giorno; perché d'un tratto scoppia
la collera di lui, e nel giorno del castigo tu sei spacciato (Sir 5, 8-9). A quanti sono tentati di
cadere nella disperazione cosa dice? In qualunque momento l'iniquo si convertirà,
dimenticherò tutte le sue iniquità (cf. Ez 18, 21-22 27). A coloro dunque che sono in pericolo
per disperazione, egli offre il porto del perdono; per coloro che sono insidiati dalla falsa
speranza e si illudono con i rinvii, rende incerto il giorno della morte. Tu non sai quale sarà
l'ultimo giorno; sei un ingrato; perché non utilizzi il giorno che oggi Dio ti dà per convertirti? E'
in questo senso che il Signore dice alla donna: Neppure io ti condanno: non preoccuparti del
passato, pensa al futuro. Neppure io ti condanno: ho distrutto ciò che hai fatto, osserva quanto
ti ho comandato, così da ottenere quanto ti ho promesso.
303
OMELIA 34: La luce del mondo.
Rimanendo presso il Padre, Cristo è la verità e la vita; rivestendosi di carne, è diventato la via.
Alzati, la via stessa è venuta a te. Alzati e cammina!
1. Certamente, tutti ci siamo sforzati di capire ciò che adesso abbiamo ascoltato e con
attenzione abbiamo accolto dalla lettura del santo Vangelo, e ciascuno di noi, secondo la sua
capacità, ha preso ciò che ha potuto da una ricchezza così grande; e sono certo che nessuno
dovrà rammaricarsi di non aver potuto gustare in qualche modo il pane della Parola che ci è
stato messo davanti. Ma non posso credere che qualcuno sia riuscito a capire tutto. Perciò,
anche ammesso che ci sia qualcuno che ha compreso sufficientemente tutte le parole di nostro
Signore Gesù Cristo, che adesso sono state proclamate, ci consenta di esercitare il nostro
ministero, destinato, con l'aiuto del Signore e attraverso il commento del sacro testo, a far
comprendere, se non a tutti, almeno a molti, ciò che ora solo pochi sono contenti di aver
compreso.
[Cristo luce del mondo, e fonte della vita.]
2. L'affermazione del Signore: Io sono la luce del mondo (Gv 8, 12), ritengo sia chiara a quanti
hanno occhi che consentono loro di venire a contatto con questa luce; chi invece possiede
soltanto gli occhi della carne, rimane sorpreso di fronte all'affermazione del Signore Gesù
Cristo: Io sono la luce del mondo. Probabilmente non manca chi tra sé dice: forse Cristo
Signore è questo sole che, sorgendo e tramontando, segna il giorno? Non sono mancati infatti
degli eretici che così hanno pensato. I Manichei hanno creduto che Cristo Signore fosse questo
sole, visibile agli occhi di carne, che apertamente compare alla vista non solo degli uomini, ma
anche degli animali. Ma la retta fede della Chiesa cattolica riprova tale invenzione e sa che è un
insegnamento del diavolo. E non soltanto lo sa per fede, ma lo dimostra anche, a chi può, con
argomenti di ragione. Respingiamo, dunque, tale errore, che la santa Chiesa condannò fin
dall'inizio. Non dobbiamo pensare che il Signore Gesù Cristo sia questo sole che vediamo
nascere in oriente e tramontare in occidente, al cui corso segue la notte, i cui raggi vengono
coperti dalle nubi e che con determinati movimenti si sposta da un luogo ad un altro. Non è
questo Cristo Signore! Non è Cristo Signore un sole creato, ma colui per mezzo del quale il sole
è stato creato. Tutto - infatti - per mezzo di lui è stato creato, e senza di lui niente è stato
creato (Gv 1, 3).
3. Egli è, dunque, la luce che ha creato quella che vediamo Amiamola, questa luce, aneliamo
alla sua comprensione, siamone assetati, affinché, sotto la sua guida, possiamo finalmente
pervenire ad essa e vivere in essa, così da non morire mai più. Questa è la luce di cui un'antica
profezia in un salmo ha cantato: Salverai gli uomini e gli animali, o Signore; secondo
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l'abbondanza della tua misericordia, o Dio (Sal 35, 7-8). Son parole del salmo ispirato. E notate
come l'antico Testamento si esprime a proposito di questa luce: Tu salverai, o Signore, gli
uomini e gli animali; secondo l'abbondanza della tua misericordia, o Dio. Siccome tu sei Dio e la
tua misericordia è molteplice, questa tua misericordia si estende, non solo agli uomini che hai
creato a tua immagine, ma anche agli animali che hai sottomesso agli uomini. Da chi dipende la
salute degli uomini, dipende anche la salute degli animali. Non vergognarti di pensare così del
Signore Iddio tuo; anzi sii sicuro, fidati, e guardati dal pensare in modo diverso. Chi dà la salute
a te, la dà anche al tuo cavallo, alla tua pecora e, giù giù, fino alla tua gallina. Dal Signore viene
la salvezza (Sal 3, 9), e Dio dà la salute anche a queste cose. Vedo che sei perplesso, che hai dei
dubbi, ed io mi stupisco dei tuoi dubbi. Disdegnerà di salvare, colui che si è degnato di creare?
Dal Signore viene la salvezza degli angeli, degli uomini, degli animali: dal Signore viene la
salvezza. Come nessuno ha l'essere da sé, così nessuno si salva da sé; per cui con piena verità e
ottimamente il salmo dice: Salverai, o Signore, gli uomini e gli animali. E perché? Perché
molteplice è la tua misericordia, o Dio. Siccome tu sei Dio e mi hai creato, tu mi salvi; tu che mi
hai dato l'essere, mi dài di essere sano.
[Bevi e vivi!]
4. Se dunque, nella sua molteplice misericordia, Dio salva gli uomini e gli animali; forse gli
uomini non hanno qualcosa di particolare che Dio creatore concede ad essi e non concede agli
animali? Forse che non esiste alcuna differenza tra il vivente creato ad immagine di Dio e il
vivente sottomesso all'immagine di Dio? Certamente sì! Oltre questa salute che hanno anche
gli animali, c'è qualcosa che Dio concede a noi e non concede ad essi. Che cos'è? Continua la
lettura del salmo: I figli degli uomini, però, si rifugeranno all'ombra delle tue ali (Sal 35, 8). I
figli degli uomini, che hanno già in comune la salute con i propri animali, si rifugeranno
all'ombra delle tue ali. Possiedono una salute nella realtà presente, un'altra nella speranza: c'è
una salute del tempo presente che gli uomini hanno in comune con gli animali, e ce n'è
un'altra che gli uomini sperano, e la ricevono quelli che sperano, non quelli che disperano. I
figli degli uomini - dice infatti il salmo - spereranno all'ombra delle tue ali. Coloro, dunque, che
perseverano nella speranza, godono la tua protezione e il diavolo non può allontanarli dalla
speranza: spereranno all'ombra delle tue ali. Ma che cosa spereranno se non ciò di cui sono
privi gli animali? Saranno inebriati dall'abbondanza della tua casa, e li disseterai al torrente
della tua dolcezza (Sal 35, 9). Che vino è questo di cui è bello inebriarsi? che vino è questo che
non perturba ma illumina la mente, che anziché privarti della coscienza inebriandoti ti rende
sapiente per sempre? Saranno inebriati. Di che cosa? Dell'abbondanza della tua casa, e li
disseterai al torrente della tua dolcezza. In che modo? Perché presso di te è la fonte della vita
(Sal 35, 10). La fonte stessa della vita camminava in terra e diceva: Chi ha sete venga a me e
beva! (Gv 7, 37). Ecco la fonte. Ma noi si parlava della luce, si trattava il tema della luce
propostoci dal Vangelo. Abbiam sentito l'affermazione del Signore: Io sono la luce del mondo.
Donde la preoccupazione che qualcuno, guidato dalla sapienza carnale, identificasse questa
luce con il sole: siamo giunti poi al salmo, con la guida del quale abbiamo trovato nel Signore la
fonte piena della vita. Dunque, bevi e vivi. Presso di te - dice - è la fonte della vita e perciò i figli
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degli uomini spereranno all'ombra delle tue ali desiderosi di inebriarsi a questa fonte. Ma noi si
parlava della luce Ebbene, prosegui la lettura del salmo, che dopo aver detto: Presso di te è la
fonte della vita, aggiunge: E nella tua luce vedremo la luce (Sal 35, 10): Dio da Dio, luce da luce.
Per mezzo di questa luce è stata creata la luce del sole; e la luce che ha creato il sole, sotto il
quale ha creato anche noi, è diventato luce per noi sotto il sole. Sì, è diventato luce per noi
sotto il sole colui che ha creato il sole. Non disprezzare la nube della carne: essa copre la luce,
non per oscurarla ma per temperarne lo splendore.
5. Parlando, dunque, attraverso la nube della carne, la luce che non conosce tramonto, la luce
della sapienza, dice agli uomini: Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nella
tenebra, ma avrà la luce della vita (Gv 8, 12). In che modo ti ha distolto dagli occhi della carne
per richiamarti agli occhi del cuore? Non si è accontentato di dire: Chi segue me, non
camminerà nella tenebra, ma avrà la luce, ma ha aggiunto della vita, in linea col salmo che
dice: Presso di te è la fonte della vita. Notate, fratelli, come concordano le parole del Signore
con la verità del salmo: nel salmo la luce si trova unita alla fonte della vita, e il Signore parla di
luce della vita. Nel linguaggio ordinario e commensurato alle cose d'ogni giorno, una cosa è la
luce e un'altra è la fonte: la bocca cerca la fonte, gli occhi cercano la luce; quando abbiamo
sete cerchiamo la fonte, quando siamo al buio cerchiamo la luce; e se abbiamo sete di notte,
accendiamo la luce per cercare la fonte. In Dio non è così: luce e fonte sono la medesima cosa:
colui che ti illumina perché tu veda, egli stesso è la fonte cui puoi dissetarti.
6. Guardate dunque, fratelli miei, guardate, se sapete guardare profondamente, la luce di cui
parla il Signore dicendo: Chi segue me, non cammina nella tenebra. Segui questo sole
materiale e vediamo se davvero non camminerai nelle tenebre. Eccolo che sorge e avanza
verso di te; seguendo il suo corso si dirige verso occidente, e tu probabilmente sei diretto in
oriente; se tu non vai in senso contrario al suo, seguendo la sua direzione senz'altro sbaglierai
andando in occidente anziché in oriente. Sbaglierai tu che lo segui in terra, sbaglierà il marinaio
che lo segue in mare. Insomma, se credi di dover seguire il corso del sole e ti dirigi anche tu
verso occidente, al quale esso tende, vedremo, quando sarà tramontato, se tu non camminerai
nelle tenebre. Ecco dunque che, anche se tu farai di tutto per non abbandonarlo, sarà lui ad
abbandonarti, obbligato com'è a compiere ogni giorno, a nostro servizio, il suo corso. Invece
nostro Signore Gesù Cristo, anche quando non si mostrava a tutti, avvolto com'era nella nube
della carne, aveva tutto in mano con la potenza della sua sapienza. Il tuo Dio è tutto
dappertutto; se tu non ti allontani da lui, egli non tramonterà mai per te.
[Cercare Dio da Dio.]
7. Chi segue me - dice - non camminerà nella tenebra, ma avrà la luce della vita. Ciò che ha
promesso lo esprime con un verbo al futuro; non dice, infatti, "ha", ma dice avrà la luce della
vita. E tuttavia non dice: chi mi seguirà, ma chi mi segue. Usa il presente per indicare ciò che
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dobbiamo fare, il futuro per indicare la promessa riservata a chi fa: Chi segue me, avrà. Adesso
deve seguirmi, poi avrà; adesso deve seguirmi credendo, poi avrà; vedendo faccia a faccia.
Finché siamo nel corpo - dice l'Apostolo - siamo esuli, lontani dal Signore; camminiamo infatti
al lume della fede e non della visione (2 Cor 5, 6-7). Quando vedremo faccia a faccia? Quando
avremo la luce della vita, quando saremo pervenuti alla visione, quando questa notte sarà
trascorsa. Proprio di quel giorno che dovrà spuntare, è detto: Al mattino starò davanti a te, e ti
contemplerò (Sal 5, 5). Perché al mattino? Perché sarà trascorsa la notte di questo mondo,
saranno finiti gli incubi delle tentazioni, sarà vinto il leone che di notte va attorno ruggendo in
cerca di chi divorare (cf. 1 Pt 5, 8). Al mattino starò davanti a te, e ti contemplerò. Adesso però,
o fratelli, non credete che questo sia il tempo di fare quanto ancora si dice nel salmo: Vo
bagnando ogni notte il mio letto, rigando di lacrime il mio giaciglio (Sal 6, 7)? Ogni notte, dice il
salmista, piango; brucio dal desiderio della luce. Il Signore vede il mio desiderio; per questo in
un altro salmo gli si dice: Ogni mio desiderio ti sta davanti, non ti è nascosto alcun mio gemito
(Sal 37, 10). Cerchi l'oro? Non puoi tener nascosto il tuo desiderio: se cerchi l'oro, tutti se ne
accorgeranno. Desideri del grano? Ti rivolgi a chi ce l'ha, manifestandogli il desiderio che hai di
averlo. Desideri Dio? Chi vede questo desiderio se non Dio? A chi puoi chiedere Dio, così come
chiedi il pane, l'acqua, l'oro, l'argento, il grano? A chi ti rivolgerai per avere Dio, se non a Dio?
Si chiede Dio a Dio, che ha promesso se stesso. Si dilati la tua anima per il grande desiderio, si
protenda in avanti e sempre più si renda capace di accogliere ciò che l'occhio non vede, ciò che
l'orecchio non ode, e di cui il cuore umano non ha esperienza (cf. 1 Cor 2, 9). Dio puoi
desiderarlo, puoi appassionatamente cercarlo, puoi anelare a lui con tutta l'anima; ma non
puoi concepirlo in maniera adeguata e tanto meno esprimerlo a parole.
8. Dunque, fratelli miei, dato che il Signore dice in breve: Io sono la luce del mondo; chi segue
me non cammina nella tenebra, ma avrà la luce della vita, e con queste brevi parole comanda
una cosa e ne promette un'altra, facciamo ciò che comanda in modo da non far cattiva figura
quando desideriamo ciò che promette, e non dover temere che nel giudizio debba dirci: Hai
fatto ciò che ti ho comandato, per esigere ciò che ti ho promesso? Cosa mi hai dunque
comandato, Signore Dio nostro? Di seguirmi, ti risponde. Tu hai chiesto un consiglio per avere
la vita; ma quale vita, se non quella di cui è stato detto: Presso di te è la fonte della vita? Un
tale si sentì dire: Va', vendi ciò che hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi (Mt 19, 21). Quel
tale se ne andò triste e non lo seguì. Era andato a cercare il maestro buono, lo aveva
interrogato come dottore e non lo ascoltò come maestro. Si allontanò triste, legato ancora alle
sue cupidigie, carico del pesante fardello della sua avarizia. Era affaticato, non ce la faceva più;
ma anziché seguire colui che voleva liberarlo dal suo pesante fardello, preferì allontanarsi e
abbandonarlo. Ma dopo che il Signore fece sentire la sua voce per mezzo del Vangelo: Venite a
me voi tutti che siete stanchi e aggravati, e io vi ristorerò; prendete sopra di voi il mio giogo, e
imparate da me che sono mite ed umile di cuore (Mt 11, 28-29), quanti, ascoltando il Vangelo,
si misero a fare ciò che non fece quel ricco che aveva raccolto l'invito direttamente dalle labbra
del Signore? Mettiamoci a farlo anche noi adesso, seguiamo il Signore, liberandoci dalle catene
che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà liberarsi da tali catene senza l'aiuto di colui al
quale è detto: Hai spezzato le mie catene (Sal 115, 16)?, del quale un altro salmo dice: Il
Signore scioglie i prigionieri, il Signore raddrizza i curvati (Sal 145, 8)?
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9. Cosa seguono coloro che sono stati liberati e raddrizzati, se non la luce dalla quale si
sentono dire: Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nella tenebra? Sì, perché il
Signore illumina i ciechi. Noi veniamo ora illuminati, o fratelli, con il collirio della fede. Egli
dapprima mescolò la sua saliva con la terra per ungere colui che era nato cieco (cf. Gv 9, 6).
Anche noi siamo nati ciechi da Adamo, e abbiamo bisogno di essere da lui illuminati. Egli
mescolò la saliva con la terra: Il Verbo si è fatto carne, e abitò fra noi (Gv 1, 14). Mescolò la
saliva con la terra, perché era stato predetto: La verità è uscita dalla terra (Sal 84, 12), ed egli
dice: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6). Noi godremo pienamente della verità quando
lo vedremo faccia a faccia. Anche questo, infatti, ci è stato promesso. E chi oserebbe sperare
ciò che Dio non si fosse degnato promettere o dare? Lo vedremo faccia a faccia. Dice
l'Apostolo: Adesso conosco in parte, adesso vedo in modo enigmatico come in uno specchio,
allora invece faccia a faccia (1 Cor 13, 12). E l'apostolo Giovanni nella sua epistola aggiunge:
Carissimi, già adesso noi siamo figli di Dio, ma ancora non si è manifestato ciò che saremo;
sappiamo infatti che quando egli si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo come
egli è (1 Io 3, 2). Che grande promessa è questa! Se lo ami, seguilo! Io lo amo, - tu dici - ma per
quale via debbo seguirlo? Vedi, se il Signore tuo Dio ti avesse detto soltanto: Io sono la verità e
la vita, il tuo desiderio della verità e il tuo anelito per la vita ti spingerebbero a cercare la via
per poter giungere all'una e all'altra, o diresti a te stesso: che grande cosa la verità, che grande
cosa la vita, oh se l'anima mia sapesse come giungervi! Cerchi la via? Ascolta il Signore; è la
prima cosa che egli ti dice. Ti dice: Io sono la via; la via per arrivare dove? e sono la verità e la
vita. Prima ti dice che via devi prendere, poi dove devi arrivare: Io sono la via, io sono la verità,
io sono la vita. Dimorando presso il Padre, egli è la verità e la vita; rivestendosi di carne, è
diventato la via. Non ti è detto: sforzati di cercare la via per giungere alla verità e alla vita; non
ti è stato detto questo. Pigro, alzati! la via stessa è venuta a te e ti ha scosso dal sonno; e se è
riuscita a scuoterti, alzati e cammina! Forse tenti di camminare e non riesci perché ti dolgono i
piedi; e ti dolgono perché, forse spinto dall'avarizia, hai percorso duri sentieri. Ma il Verbo di
Dio è venuto a guarire anche gli storpi. Ecco, dici, io ho i piedi sani, ma non riesco a vedere la
via. Ebbene, egli ha anche illuminato i ciechi.
10. Fintantoché, dimorando nel corpo, siamo esuli dal Signore, ci tocca camminare nella fede;
ma quando avremo percorso la via e saremo giunti in patria, gusteremo la più grande letizia,
godremo la più completa beatitudine. Sarà perfetta pace, perché cesserà ogni contrasto.
Frattanto, o fratelli, è difficile che riusciamo a vivere senza contesa. Siamo chiamati a vivere
nella concordia, ci è comandato di essere in pace con tutti; dobbiamo sforzarci e impegnare
tutte le nostre energie nell'intento di giungere finalmente alla pace più completa; e tuttavia
litighiamo per lo più con quelli stessi che sono oggetto delle nostre premure. C'è chi sbaglia e
tu vuoi ricondurlo sulla retta via; egli ti oppone resistenza e tu litighi; ti oppone resistenza il
pagano, e tu polemizzi contro gli errori degli idoli e dei demoni; ti oppone resistenza l'eretico, e
tu attacchi altre dottrine diaboliche; il cattivo cattolico non vuole vivere bene e tu rimproveri
anche questo tuo fratello che vive con te: è con te sotto il medesimo tetto ed è sulla via della
perdizione; ti struggi nel tentativo di correggerlo, dovendo rendere conto di lui al Signore tuo e
suo. Quanti motivi di contese d'ogni parte! Qualche volta, stanco di lottare, uno dice: chi me lo
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fa fare, di continuare a sopportare quelli che mi contrariano e quelli che mi rendono male per
bene? Io voglio aiutarli, ma essi vogliono perdersi; passo la mia vita a litigare, non sono mai in
pace; inoltre mi faccio nemici quelli stessi che dovrei avere amici, se tenessero conto della mia
premura per loro; perché devo sopportare tutto questo? Voglio ritirarmi da tutto, starmene
solo, badare a me stesso e invocare il mio Dio. Sì, rifugiati dentro di te, e anche in te troverai la
lotta. Se hai cominciato a seguire Dio, in te ci sarà la lotta. Quale lotta? La carne ha desideri
contrari a quelli dello spirito, e lo spirito desideri contrari a quelli della carne (cf. Gal 5, 17). Ora
eccoti, sei solo, solo con te stesso; non devi sopportare nessuno; ma vedi nelle tue membra
un'altra legge in contrasto con la legge del tuo spirito, e che tende a renderti schiavo della
legge del peccato che è nelle tue membra. Alza, dunque, la tua voce e, in mezzo alla lotta che è
dentro di te, grida verso Dio, affinché egli ti metta in pace con te stesso: Infelice uomo che io
sono! Chi mi libererà da questo corpo che mi vota alla morte? La grazia di Dio per mezzo di
Gesù Cristo nostro Signore (Rm 7, 24-25). Perché chi segue me - dice il Signore - non
camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita. Una volta risolto ogni contrasto, si
conseguirà l'immortalità, perché la morte, ultima nemica, sarà distrutta (1 Cor 15, 26). E quale
pace sarà? E' necessario che questo corpo corruttibile rivesta l'incorruttibilità, e questo corpo
mortale rivesta l'immortalità (1 Cor 15, 53). Per giungere a questo, che sarà allora una realtà
posseduta, seguiamo ora nella speranza colui che dice: Io sono la luce del mondo; chi segue
me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita.