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CIVILTÀ COMUNALE, 8. CASE, TORRI E FAMIGLIE

2016

CIVILTÀ COMUNALE/8 Verso il cielo di Furio Cappelli Non c’è Medioevo senza castello e non c’è castello senza torri. Ma queste antenate dei grattacieli punteggiavano anche il tessuto delle città, rivestendo funzioni ben diverse: esse nascevano, infatti, per soddisfare innanzitutto le ambizioni di famiglie e consorterie, che facevano della loro altezza un’espressione tangibile del proprio potere Veduta di San Gimignano, borgo medievale in provincia di Siena, caratterizzato dal profilo delle sue alte torri. Oggi se ne contano 14, ma in origene dovevano essere circa 70. 34 AGOSTO MEDIOEVO Civiltà comunale, 8 Case, torri e famiglie di Furio Cappelli Quando si pensa a una città medievale è molto facile immaginare sopra ai tetti delle case un tripudio di torri. Sembra più che naturale che ve ne fossero moltissime, e si direbbe che tutti i personaggi più eminenti fossero impegnati in una gara a costruire la torre più alta. Gli scontri tra armati, poi, secondo una visione «epica» della storia urbana, si svolgono soprattutto negli spazi aerei, tra una torre e un’altra. Ma era davvero così? Alle origeni del fenomeno, c’è sicuramente un nesso tra la presenza delle torri e un clima di diffusa irrequietudine, se non di aperta ostilità nel vivo dell’ambiente urbano. Un documento a tal riguardo evidente è noto proprio come «lodo delle torri». Siamo negli anni 1088-1092, e a Pisa si protrae un difficilissimo periodo di lotte intestine. Per porre fine a questa situazione, il vescovo Daiberto si offre come paciere e riesce a risolvere la crisi in atto stabilendo delle regole di edilizia urbana che tutti i cittadini si impegnano a rispettare. Si era diffusa la tendenza a prevaricare sui vicini. Non appena le singole famiglie o le consorterie riuscivano a munire le proprie abitazioni, si sentivano in diritto di fare quel che volevano. Non era in corso una lotta politica, non c’erano scelte di campo da affermare o da difendere. Si assisteva bensì a una vera e propria guerra per il controllo del territorio urbano, specialmente quando si liberava un’area a seguito della demolizione di una casa preesistente. In un tale frangente, la torre era lo strumento di lotta più appropriato? Certo, dall’alto si dominava meglio la situazione, ma il documento pisano, attraverso i divieti che impone, fa capire che la lotta urbana abbondava di ogni genere di espedienti. Bastava infatti un apparato ligneo sporgente (un ballatoio o una terrazza), a un’altezza non eccessiva, per sbarrare il passaggio ai nemici e per aggredirli opportunamente. Quando poi la lotta si faceva seria e dalle scaramucce si passava agli scontri di gruppo, non si poteva stare asserragliati dentro una o più case, con o senza torre. Bisognava organizzarsi in strada. E a quel punto scattava l’assalto all’edificio in muratura più vicino e più capiente, spesso e volentieri una casa annessa alla parrocchia più vicina, che diveniva così la piazzaforte di una delle parti in lizza. Se poi lì accanto c’era una torre campanaria, naturale punto di riferimento visivo e sonoro del quartiere, prenderne possesso, sia pure per poco tempo, equivaleva a una smaccante vittoria. Si spiega in tal modo il divieto di allestire apparati «paramilitari» nelle case, così come l’interdizione dell’uso «improprio» degli edifici di proprietà della Chiesa. Ma allora, perché il vescovo pisano, fra le altre cose, si preoccupa tanto di limitare l’altezza delle torri? Una torre particolarmente alta, da un punto di vista militare, non è strategica. Non rappresenta un pericolo in sé. Chi la detiene non possiede un’arma più potente. La torre che si spinge troppo in su rappresenta un problema perché indica una tendenza a imporsi visivamente e a spadroneggiare nel paesaggio urbano. Tutti coloro che impiegano parecchie risorse per edificarla, cercano di affermarsi in uno spazio, pretendono attenzione, vogliono essere riconosciuti, omaggiati e temuti. In sostanza, la 2 torre troppo alta non è tanto uno strumento della lotta urbana quanto piuttosto uno stimolante e un accelerante di tutte quelle tensioni che poi si scatenano nelle strade. Chi costruisce le torri può essere protagonista di lotte intestine, e, quando si scatenano le contrapposizioni tra guelfi e ghibellini, la fazione vittoriosa ricorre spesso all’abbattimento delle torri dei rivali. Ma questo non significa che le torri avessero una funzione essenziale nel corso dei combattimenti, né tantomeno che fossero pensate tenendo conto di un utilizzo di tipo militare. La ritorsione si accanisce sulle costruzioni di pari passo alla messa al bando degli sconfitti. Distruggere la torre significa sradicare dallo scenario urbano l’ombra della parte avversa. L’aspetto simbolico delle torri è evidente già soltanto per il fatto che esse erano concentrate intorno alle piazze e lungo le vie di maggiore importanza. A dispetto di ogni regola dell’architettura militare, non sfruttavano posizioni di spicco e si trovavano letteralmente accorpate le une alle altre. Va da sé che questo addensamento le rendeva del tutto inutili in caso di combattimenti a distanza, mentre i legami di famiglia e di vicinanza potevano rafforzarsi proprio grazie alla prossimità di una torre all’altra. In molte città, a Bologna ad esempio, è rilevabile come tra una torre e un’altra venissero gettati ballatoi lignei che risultavano quanto mai significativi se attraversavano una strada importante da un lato all’altro. Attraverso una simile «colonizzazione» degli spazi aerei un gruppo di famiglie poteva asserire la propria preminenza in un settore urbano di spicco, e in caso di pericolo si poteva disporre di preziose vie di collegamento e di fuga inaccessibili agli estranei. Si potevano così organizzare le difese e mettere al sicuro armi, beni preziosi e vettovaglie. Da un punto di vista pratico, d’altronde, in tempo di pace la torre svolgeva proprio la funzione di cantina e di magazzino, oltreché di «cassaforte». E lo sviluppo in altezza delle torri era in tal senso assai prezioso per via della ristrettezza dei lotti edificabili, tant’è che le case si sviluppavano in profondità, offrendo il lato minore sull’affaccio in strada. La torre stessa poteva essere collegata a un gruppo di abitazioni, origenariamente appartenenti a uno stesso gruppo familiare o a una consorteria, e perdeva senso e valore quando il legame con la casa si interrompeva. Nel caso di Ascoli Piceno si può vedere come, in pieno XIII secolo, le torri fossero suddivise in particelle, e ogni «segmento» della torre faceva corpo con la proprietà di una casa. In pratica, ogni comproprietario aveva la disponibilità di un piano interno o di un suo comparto, e questa suddivisione non aveva alcun senso da un punto di vista «militare» quanto da un punto di vista strettamente immobiliare. La torre era il complemento necessario dell’abitazione, poiché quest’ultima, il più delle volte sviluppata su un solo piano, non offriva spazi sufficienti allo stivaggio: il pianterreno era occupato dalla stalla, dal ripostiglio degli oggetti di uso quotidiano o dalla bottega, qualora il proprietario fosse un commerciante. Tutto il piano sovrastante, che poteva essere costituito da un semplice «camerone» suddiviso da tramezzi di legno, era assorbito dagli spazi necessari al riposo, alla preparazione e al consumo dei pasti. Per i beni importanti che non potevano essere custoditi in una semplice cassapanca, e per le riserve alimentari (olio e vino, in particolare), un comparto della torre era così utilissimo e necessario. In certi casi, per giunta, quando la superficie disponibile lo consentiva, gli spazi interni potevano essere abitabili. Si spiega così come le torri potessero rientrare in complesse suddivisioni ereditarie e in azioni di compravendita. Una famiglia davvero 3 eminente, a San Gimignano, era quella che poteva esibire la proprietà di un certo numero di torri con case annesse, meglio ancora se distribuite in zone distinte della città. Si è pensato a lungo che la torre urbana fosse il risultato di una traslazione del castello del contado nello scenario della città. In realtà, come ha puntualizzato di recente Aldo A. Settia, il boom altomedievale delle fortificazioni, particolarmente legato alla crisi del Regno italico (secoli IX-X), vede la presenza di palazzi fortificati, di aree munite e di torri anche in area urbana. La città, in sostanza, non aspetta la proliferazione dei castelli per dotarsi di strutture del genere. Il fenomeno si sviluppa in area urbana e in campagna in perfetta sincronia. Si può anzi dire che la città, per il perdurare della sua importanza come sede di potere, può vantare sin dall’inizio la costruzione di edifici fortificati in pietra, a beneficio del vescovo, del grande feudatario o dello stesso imperatore, sicché sarà la città a dettare legge al territorio in materia di fortilizi. La diffusione nel contado di edifici fortificati in pietra, e non quindi in legno o in tecnica mista, si vedrà infatti molto più in là. Frattanto, sia pur regredite rispetto all’età antica, le città si dotano di questo genere «avanzato» di edilizia, e mantengono o ricostruiscono le cinte murarie. Le torri urbane proliferano nei momenti chiave dello sviluppo precomunale e comunale, tra la seconda metà dell’XI secolo e gli inizi del XIV secolo, e si basano sulle esperienze pregresse per elaborare un proprio stile. Proprio le modalità di costruzione delle cinte murarie con le loro torri di rinforzo dettano legge, e se è l’architettura sacra a dominare lo scenario, persino certe modalità di chiese e torri campanarie possono essere «rubate» dai costruttori delle torri private. Se la bellezza della città era determinata dal circuito delle antiche mura, come è evidente nella lode di Verona (781-810), non dobbiamo così meravigliarci se la densa fioritura delle torri private venisse spesso esaltata come motivo di vanto della città. Nelle sintesi pittoriche di San Gimignano orgogliosamente esibite dai santi patroni urbani, le chiese sono pressoché assenti. La città sembra fatta di sole torri. Il mercante-cronista Giovanni Villani (1280 ca. – 1348) annovera con particolare enfasi le 150 torri di Firenze, grazie alle quali la città si annuncia trionfalmente da lontano. E concetti in tutto analoghi si ritrovano nella descrizione di Pavia offerta negli stessi anni da Opicino de Canistris (1330 ca.). I numeri offerti dal Villani non sono esagerati. Un’indagine condotta a tappeto sul tessuto urbano di Firenze, ha per l’appunto localizzato e identificato 150 torri, a cui si devono aggiungere 30 strutture non identificabili ma attestate dalla documentazione. Nel caso di Bologna, i primi studiosi ne hanno stimate ben 240, ma in realtà dovevano esservi 70, al massimo 100 costruzioni con apparati difensivi, e, tra questi edifici, due su tre erano case-torri. Si trattava cioè di quelle case strutturate su due o tre piani che si svilupperanno sempre più in direzione del palazzo nobiliare, e che finiranno per rendere inutile l’erezione della torre di corredo. Un caso particolare è offerto da Venezia, dove l’assoluta mancanza di torri private è compensata da un precoce sviluppo della tipologia del palazzo, con un’elaborazione estetica delle facciate che preannuncia già in età romanica l’eleganza inconfondibile dello stile locale, come si può vedere ad esempio nel Fondaco dei Turchi sul Canal Grande, realizzato intorno al 1230 dal fuggitivo Giacomo Palmieri da Pesaro. 4 Dizionario Consorteria: è un’associazione tra famiglie nobiliari legate o meno da rapporti di parentela. Si diffonde in ambito urbano durante il periodo precomunale. Si prefigge una gestione comune del patrimonio, e prevede una strategia di difesa imperniata su una torre o su una casa fortificata in cui tutti i suoi membri possono trovare rifugio. Tre città delle torri: San Gimignano, Ascoli Piceno, Tarquinia San Gimignano, nel cuore della Valdelsa, è giustamente celebre per il cospicuo numero di torri nobiliari ben conservate che caratterizza tuttora il suo inconfondibile profilo. Ne sono rimasti integri 14 esemplari, mentre all’apice del suo sviluppo, nei primi anni del XIV secolo, doveva annoverarne circa 70. La maggiore concentrazione si nota nel settore centrale dell’insediamento, che corrisponde alla civitas vetus, e dunque all’assetto più antico. Lungo il percorso della via Francigena si incardinano la Piazza del Duomo e la Piazza della Cisterna, e in questi scenari spiccano un senso dell’ordine e un’estetica che rispecchiano bene l’orgoglio della comunità, già attenta nel XIII secolo a pianificare nuove imprese e a regolamentare l’edilizia privata secondo un preciso concetto del decoro urbano. Nella prima piazza sorgono la collegiata e le residenze comunali, mentre l’elemento pubblico che risalta in Piazza della Cisterna è il pozzo centrale. Intorno a questi elementi si concentra la «selva» delle torri. La torre Rognosa, accorpata al Palazzo del Podestà, con i suoi m 50,92 di altezza stabiliva il punto massimo raggiungibile dalle costruzioni private, in base a una precisa norma statutaria emanata nel 1255. Il limite sarà poi superato dalla torre Grossa intrapresa nel 1298 presso la nuova residenza comunale (il Palazzo del Popolo), posta di fianco alla collegiata. In precedenza, la stessa torre Rognosa era appartenuta ai Gregorio, dei proprietari terrieri, e nel 1243, prima di entrare a far parte del palazzo comunale, era stata venduta agli Oti. Gli Ardinghelli, a cui apparteneva la torre eponima in Piazza della Cisterna, erano dei mercanti che risultano attivi sia in Lombardia che negli scali orientali. Va al proposito ricordato che San Gimignano basava la propria economia proprio su una florida attività commerciale. In particolare la città toscana si distingueva nel settore della produzione e dell’esportazione dello zafferano, e, grazie alla sua felice posizione su un asse viario assai frequentato, aveva una vasta attività di trasporto merci. I suoi vetturali lavoravano spesso al servizio di commercianti pisani, senesi e lucchesi. Di fianco alla proprietà Ardinghelli si presenta la torre Pellari, caratterizzata dalle ampie aperture ad arco ribassato che ingentiliscono la tipica severità di queste costruzioni. In origene al pianterreno si trovava la bottega gestita dai primi proprietari, i Gimignalli, che poi vendettero torre e casa annessa nel 1251. In Piazza del Duomo si presenta un palazzo affiancato da due torri abbinate gemelle, intitolate ai Salvucci. Essi erano noti come usurai e mercanti e vantavano diverse altre proprietà. Nel 1248 possiedono la torre più vistosa tra tutte quelle che si trovano tra Piazza del Duomo e la retrostante altura di Montestaffoli. Nel 1332 risultano risiedere all’estremo opposto della città, presso il convento di S. Domenico, ma possiedono ancora tre torri e un casolare nella zona centrale, in contrada Piazza. 5 Ascoli Piceno, nel sud delle Marche, laddove correva il confine tra lo Stato della Chiesa e il Regno, segna sul versante adriatico dell’Appennino l’avamposto delle tipiche città comunali dell’Italia centrale, e non a caso lega la propria immagine storica a una fitta presenza di torri. Secondo la tradizione sarebbero state 150, o ancor più. Il dato, come spesso avviene, non è del tutto attendibile, ma una ricognizione condotta sul tessuto urbano ha comunque riconosciuto la presenza di 70 esemplari. Solo 5 strutture sono state integralmente tramandate, e tra queste occorre senz’altro evidenziare la duecentesca Torre degli Ercolani. Si è perfettamente mantenuta insieme alla casa annessa, nota come Palazzetto Longobardo, per via del carattere «barbarico» che veniva attribuito alle sue decorazioni nell’Ottocento. E proprio l’aspetto decorativo, riscontrabile qui come in altri casi della città, attrae l’attenzione e costituisce un motivo di interesse. Tre delle bifore che si aprono al primo piano sono ingentilite da bassorilievi che disegnano sul travertino decori e figure di vario genere, in un caso poste a comporre una probabile scena incardinata su un castello. Lungo il coronamento corre poi un esile motivo a treccia. Sembra quasi che gli scultori abbiano adottato gli stessi temi e gli stessi stili delle decorazioni che venivano realizzate con la tecnica della stampigliatura a secco su oggetti di prestigio come scrigni, custodie o cassette in cuoio. Molto singolare è poi la pusterla (piccola porta) su strada della torre annessa, con un massiccio apparato di blocchi romani di reimpiego su cui spicca una piattabanda di pura valenza decorativa, con un triangolo modanato al centro. Si tratta di uno stile ripreso in modo lampante dalla porta su Piazza Arringo del battistero ascolano di S. Giovanni (1150-1180 ca.), secondo una logica accorta e intelligente di «appropriazione» di motivi dell’edilizia sacra. Tra tutte le «città delle torri» Tarquinia è forse la meno nota, anche per via del fatto che il suo prezioso centro storico è messo in ombra dalla grande celebrità della necropoli etrusca. Eppure la presenza di ben 18 strutture integralmente tramandate merita da sola una menzione d’onore. Corneto (così era nota la città nel Medioevo) si giovava della navigabilità del fiume Marta e della vicinanza del Mar Tirreno. Era così divenuta una delle realtà commerciali più vivaci della Tuscia, arrivando a stabilire rapporti con Pisa (1173) e con Genova (1177). Le sue chiese più eloquenti, come S. Maria di Castello, ricca di apporti dei maestri cosmati (i famosi marmorari di Roma), S. Martino, con una decorazione di «marca» pisana basata sulla bicromia, o la SS. Annunziata, con un portale di schietta suggestione arabo-normanna, rendono bene la ricchezza di un paesaggio urbano in cui le torri si inseriscono con grande efficacia. Come era nella consuetudine, anche in questo scenario esse si trovano concentrate nell’area di maggiore importanza, nel fulcro della città antica. Il Palazzo del Podestà si presenta tuttora caratterizzato da ben quattro torri private preesistenti che sono state incardinate nella nuova struttura. Da leggere Aldo A. Settia, «Erme torri». Simboli di potere fra città e campagna, Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della Provincia di Cuneo – Società Storica Vercellese, CuneoVercelli 2007 6 Claudio Meli, San Gimignano, in Storia dell’arte italiana, 8. Inchieste sui centri minori, Einaudi, Torino 1980, pp. 107-132 Paola Rossi, Tarquinia, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, Fondazione Treccani, Roma 2000, consultabile on-line su Treccani.it Puntata successiva: L’acqua: condotti, fontane e mulini








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