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(PDF) STORIA NATURALE E MORALE DELL' ALIMENTAZIONE
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STORIA NATURALE E MORALE DELL' ALIMENTAZIONE

Anche se del tutto inconsciamente, l'umanità ha sempre mostrato un atteggiamento di ambivalenza nei riguardi del consumo della carne. Un religioso rispetto per le creature di Dio ha fatto sì che di questa indebita appropriazione ci si dovesse riscattare con dei sacrifici rituali. Fu così che in tutti i miti della perduta Età dell'Oro, come nei cerimoniali relativi a virtù da riconquistare, la connotazione della purezza e della bontà proveniva dall'astenersi dal consumo dei cibi carnei. L'alimento principe dei vegetariani, il latte, manifesta la sua purezza anche nel candido colore, ma soprattutto nel fatto di costituire la prima fonte energetica d'ogni mammifero. Tale convincimento si ritrova tra i buddisti, come tra gli hindù; è comune ai pensatori d'oriente, come Gandhi, ed ai rappresentanti della filosofia occidentale, come Rousseau e Saint-Just, per riproporsi persino nelle medicine tradizionali e popolari quale dieta depurativa. Il digiuno mussulmano del Ramadan ha un riscontro nella Quaresima cristiana, quel periodo che inizia il 40° giorno prima della Pasqua. Questi giorni vengono considerati di "magro", in contrapposizione dei giorni "grassi", che implicano anche l'idea del caldo; ed in essi vige la proibizione di nutrirsi di carne, come pure di avere rapporti sessuali, quasi per una sorta di estensione del termine dal prodotto della macellazione alla carne viva dell'alcova. Il pesce, poiché d'acqua' è considerato un cibo freddo e quindi di magro. Giorni di magro erano quelli di vigilia delle grandi feste solenni e dei bagordi, il venerdì e spesso anche il sabato, per un totale di circa metà anno. L'ambiguità del termine "carne" dovette precedere la stessa idea di peccato se sulle mense romane non mancavano mai di essere cucinate parti anatomiche evocatrici di lussuria, come la vulva e le mammelle della scrofa o i testicoli del vitello. Sembra invece che molti dei grandi iniziati si siano nutriti di miele, per lungo tempo il solo dolcificante disponibile. Democrito, il filosofo che aveva sempre vissuto in maniera frugale, quando ormai vecchio, aveva deciso di eliminare ogni giorno qualcosa dal suo pasto e non aveva più nulla da abolire, per non morire proprio nel corso dei festeggiamenti in onore di Cerere, sopravvisse fiutando l'odore del miele. Alla fine delle celebrazioni religiose eliminò anche quello e spirò. Un tempo il rapporto con le api produttrici di miele rivestiva un carattere quasi liturgico, tanto che ad Efeso ed ad Eleusi le sacerdotesse portavano nomi di api. Un residuo di tale usanza sembra essere il nome proprio Deborah, derivante dalla radice ebraica "dbr", origene sia del termine che indica l'ape, che di quello che significa "parola", verbo divino, verità.

STORIA NATURALE E MORALE DELL' ALIMENTAZIONE (di: Giuseppe M.S. Jerace - Kemi Hathor n° 58 - 1992) Anche se del tutto inconsciamente, l'umanità ha sempre mostrato un atteggiamento di ambivalenza nei riguardi del consumo della carne. Un religioso rispetto per le creature di Dio ha fatto sì che di questa indebita appropriazione ci si dovesse riscattare con dei sacrifici rituali. Fu così che in tutti i miti della perduta Età dell'Oro, come nei cerimoniali relativi a virtù da riconquistare, la connotazione della purezza e della bontà proveniva dall'astenersi dal consumo dei cibi carnei. L'alimento principe dei vegetariani, il latte, manifesta la sua purezza anche nel candido colore, ma soprattutto nel fatto di costituire la prima fonte energetica d'ogni mammifero. Tale convincimento si ritrova tra i buddisti, come tra gli hindù; è comune ai pensatori d'oriente, come Gandhi, ed ai rappresentanti della filosofia occidentale, come Rousseau e Saint-Just, per riproporsi persino nelle medicine tradizionali e popolari quale dieta depurativa. Il digiuno mussulmano del Ramadan ha un riscontro nella Quaresima cristiana, quel periodo che inizia il 40° giorno prima della Pasqua. Questi giorni vengono considerati di "magro", in contrapposizione dei giorni "grassi", che implicano anche l'idea del caldo; ed in essi vige la proibizione di nutrirsi di carne, come pure di avere rapporti sessuali, quasi per una sorta di estensione del termine dal prodotto della macellazione alla carne viva dell'alcova. Il pesce, poiché d'acqua' è considerato un cibo freddo e quindi di magro. Giorni di magro erano quelli di vigilia delle grandi feste solenni e dei bagordi, il venerdì e spesso anche il sabato, per un totale di circa metà anno. L'ambiguità del termine "carne" dovette precedere la stessa idea di peccato se sulle mense romane non mancavano mai di essere cucinate parti anatomiche evocatrici di lussuria, come la vulva e le mammelle della scrofa o i testicoli del vitello. Sembra invece che molti dei grandi iniziati si siano nutriti di miele, per lungo tempo il solo dolcificante disponibile. Democrito, il filosofo che aveva sempre vissuto in maniera frugale, quando ormai vecchio, aveva deciso di eliminare ogni giorno qualcosa dal suo pasto e non aveva più nulla da abolire, per non morire proprio nel corso dei festeggiamenti in onore di Cerere, sopravvisse fiutando l'odore del miele. Alla fine delle celebrazioni religiose eliminò anche quello e spirò. Un tempo il rapporto con le api produttrici di miele rivestiva un carattere quasi liturgico, tanto che ad Efeso ed ad Eleusi le sacerdotesse portavano nomi di api. Un residuo di tale usanza sembra essere il nome proprio Deborah, derivante dalla radice ebraica "dbr", origene sia del termine che indica l'ape, che di quello che significa "parola", verbo divino, verità. Il definire come "luna di miele" la comunione d'amore deriverebbe da una consuetudine dei Paesi dell'est di versare nelle mani dei novelli sposi un cucchiaio di miele da suggere reciprocamente. Come al momento dell'iniziazione ai misteri eleusini o al culto di Mithra, ovvero durante le feste in onore del dio egizio Thot, era necessario, per purificarsi, spalmarsi le mani e la lingua con il miele, oppure ci si riempiva con esso la bocca, dicendo: "dolce è la verità". Rovesciandola in terra, di miele si offriva una coppa alle anime degli antenati durante le libagioni dei latini; e "liba" era un dolce tradizionale del compleanno composto di farina di frumento, formaggio grattugiato, miele ed olio di oliva. Gli Orfici raccontano che, nell'età dell'oro, il miele sgorgasse dalle querce direttamente per far addormentare il Tempo con il suo profumo ed il suo sapore soporifero. Il termine "mummia" (dal persiano "mom" che significa cera) deriva dall'uso egizio di ricorrere al prodotto delle api per imbalsamare i corpi caduti nell'ultimo sonno. Melissa, colei che fa il miele, fu una delle nutrici di Zeus, e Mellita era un soprannome di Proserpina, la dea italica della primavera in fiore, consorte del dio degli inferi e delle profondità tettoniche, al quale i latini offrivano miele perché non si svegliasse nei vulcani, sotto forma di serpente di fuoco e di lava incandescente. Cosicché miele ed api si trovano associati, quasi in tutte le tradizioni, con il sotterraneo, l'antro, la grotta, l'albero cavo ed ogni simbolo femminile fonte di vita, connesso con il sistema dei miti agricoli. Ovidio associa il miele al vino, allo stesso modo di come i suoi contemporanei li mescolavano negli orci. Melicertes, colui che taglia il miele, viene gettato nell'acqua bollente dalla madre impazzita, zia di Dioniso, per dare metaforicamente inizio alla fermentazione dell'idromele. Il produttore di idromele, presso le popolazioni celtiche, veniva considerato un indovino ed un guaritore, in quanto la fermentazione presenta connotazioni di carattere magico alchemico, almeno quanto la guarigione e l'ebbrezza, liberatrice da tutto ciò che costituisce il condizionamento del mondo esterno, ed in grado di porre le persone in una dimensione fuori dal tempo, in uno stato mentale alterato favorente il contatto con le forze sottili e l'aldilà. Ed uno degli elementi costitutivi delle feste celtiche del "Samhain", l'anno nuovo che iniziava la notte di Halloween, era proprio l'ubriachezza conviviale.. Nel mito di Aristeo, che per aver provocato la morte di Euridice viene condannato a privarsi delle api, si ritrova l'osservanza dell'interdizione sessuale, sia per recuperare uno sciame di laboriosi insetti, ritenuti vergini, sia per raccogliere il prodotto, considerato materia pura per eccellenza. Nell'antica Grecia tutte le azioni collegate all'agricoltura assumevano valenze cerimoniali, cosicché anche la prima raccolta del miele si inseriva in un ciclo di rituali propiziatori tra la fine di giugno e gli inizi di luglio, al termine della fioritura campestre ed in coincidenza con la maturazione dei fichi, il cui albero era venerato come sacro per gli arcaici culti agresti d'ogni tradizione, sia mediterranea sia indoeuropea, in quanto associato all'abbondanza, alla fecondità, all'iniziazione ed ai riti di passaggio. Sicofanti (da "sykon", fico e "phaino", mostro) erano i sacerdoti incaricati di indicare il frutto del fico, annunziandone la maturazione ed autorizzandone la raccolta con la celebrazione di accoppiamenti rituali. La candida linfa che cola dal picciolo del frutto appena colto, venne assimilata al latte ed allo sperma. Maschile e femminile ad un tempo, dispensatrice di energia universale. In Africa se ne servivano come unguento contro la sterilità e per favorire la montata lattea. La forma dei fichi, fortemente evocatrice di analoghi attributi, ha finito per prestarne il nome in accezioni della terminologia sessuale. In verità, non si tratta di un vero e proprio frutto, ma di una infiorescenza, concava, contenete in cima i fiori maschi ed in fondo le femmine; costituita da un ricettacolo a forma di globo, l'infiorescenza si apre in un piccolo orifizio; a fecondazione avvenuta, l'involucro viene gonfiato dalle miriadi di drupe monosperme prodotte dalle ovaie. Nel libro della "Genesi" (3, 6-7) si parla di un frutto senza precisare quale. Fu infatti soltanto nel V ^ secolo che tale frutto ("karpos", in greco e "pomum", in latino) venne identificato con quello onnipresente in tutti i frutteti, la mela ("melon", in greco), il nome latino della quale, "malun", coincide con il termine che identifica il male. L'esoterismo considera la mela un simbolo femminile per eccellenza, tanto che la mitologia greca l'aveva attribuita a Venere, ed infatti, tagliandola verticalmente, vi si scoprono somiglianze con i genitali femminili. I Pitagorici, invece, tagliandola in senso orizzontale, vi intravedevano una stella a cinque punte, un pentagramma da usare proprio quale chiave di accesso alla conoscenza del bene e del "male", malum appunto. Gli antichi egizi offrivano questi frutti della conoscenza ai più alti sacerdoti. Perché "malata d'amore", la sposa divina del Cantico dei Cantici del Re Salomone chiede di essere "rinfrancata con pomi" (2,5). Ed Ippomeneo ricorrerà a mele d'oro per sedurre la ninfa Atalanta. frutto del giardino delle Esperidi diviene però la " mela della discordia" donata da Paride, e quella offerta a Biancaneve. Il pentagramma invece, in magia, viene impiegato per proteggere dal malocchio o fare incantesimi. Mago Merlino insegnava le sue misteriose arti sotto un melo e gli alchimisti parlano dello zolfo dell'Opera come di mele d'oro. Le stesse, nella tradizione celtica, vengono consegnate all'eroe Candle dalla Donna dell'Altro Mondo, affinché costituissero il suo nutrimento garantendogli l'immortalità, senza diminuire per questo di numero. E sempre la Donna dell'Altro Mondo, prima di accompagnare Bran nel regno eterno al di là dei mari, raccolse il ramo di un albero dell'isola di Avalon che in celtico vuol proprio dire "meleto". "All'inizio - scrive Maguelonne Toussaint-Samat in "Storia naturale e morale dell'Alimentazione" (Sansoni ed. Firenze 1991) - si praticò un raccolto occasionale, quello delle piante. Rimane un gesto istintivo negli affamati tendere la mano verso la vegetazione, come l'infante con gli occhi chiusi coglie con la bocca avida il seno materno. Ci si può chiedere se furono le donne a raccogliere, per prime, le piante nutrienti e, eventualmente, medicinali; forse esse sapevano, o presentivano delle loro proprietà, così come sanno, misteriosamente, far crescere nel loro ventre quei piccoli che perpetueranno la stirpe. La natura sarebbe forse anch'essa .una grande madre dalle viscere feconde con cicli regolari ed umore mutevole?" Che il cavolo sia calmante, ossigenante ed efficace contro l'alcoolismo è una credenza antica risalente ai tempi classici. Ed in effetti consumarlo proteggerebbe dall'ubriachezza, grazie alle vitamine C,K e del gruppo B, di cui sono ricchissime le foglie, come anche, del resto, calcio, magnesio, potassio e zolfo, il maggior responsabile del suo detestabile odore. Nato dalle lacrime di Licurgo, il peggior nemico di Dioniso, il dio del vino, non viene mai piantato in prossimità di vigneti nè di alveari. Per il fatto che il suo stelo tagliato lascia colare, come il fico, del lattice dalle proprietà cicatrizzanti, è assurto anch'esso a simbolo di fecondità, ma ciononostante la favola dei neonati trovati sotto le sue foglie non sembra anteriore al secolo scorso. Pure la fava . presso molte popolazioni , e culture, ha sempre simboleggiato qualcosa di inerente alla riproduttività ed al divenire, per la somiglianza dei suoi semi con l'embrione. Per gli antichi egizi i campi di fave erano i luoghi in cui le anime dei defunti sostavano in attesa di reincarnarsi di reincarnarsi. Ed a questa credenza va attribuito il rispetto dei Pitagorici per questo legume, da escludere dalle mense. Per i fedeli dei culti orfici mangiare fave equivaleva ad interrompere il ciclo delle reincarnazioni. Le fave divennero allora simbolo dei morti e e degli antenati, offerta sacrificale in occasione degli sponsali per garantire discendenza ai progenitori e consentire la loro reincarnazione, e per comunicare con i mondi invisibili nel corso delle festività primaverili della semina. Il mese di maggio infatti prese il suo nome proprio dagli avi, appunto i maggiori, che si riteneva tornassero giusto in quel periodo dell'anno dentro i baccelli. Il giorno dei morti e del rito notturno delle offerte agli spiriti, nei "Fasti" di Ovidio, coincide con i primi di maggio, la nordica notte di Walpurga, e precisamente il 9 di maggio è il giorno dei Lemuri; eppure le fave, modellate in pasta di mandorla, si ripropongono anche il due novembre. Da buoni vegetariani i seguaci del filosofo di Samo, così come non si sarebbero mai nutriti dei corpi dei viventi, avrebbero evitato di cibarsi persino delle anime.








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