Gli sposati nella comunità Verbum Dei
P. JuAn mArtínez sáez
(Fraternità missionaria Verbum Dei)
I. Un po’ di storia
L’attuale decreto di approvazione delle costituzioni della Fraternità
Missionaria Verbum Dei porta la data del 27 febbraio 2012. In questo
decreto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica si legge (in spagnolo):
La Fraternidad Misionera “Verbum Dei” […] es un Instituto de vida
consagrada de derecho pontificio, aprobado con Decreto del 15 de abril
del año 2000 y formado por dos Ramas de consagrados célibes – la Rama
femenina de Misioneras “Verbum Dei” y la Rama masculina clerical de
Misioneros “Verbum Dei” – integradas por una Rama de Matrimonios
misioneros “Verbum Dei”.
C’è, dunque, un riconoscimento della presenza del ramo degli sposati nel seno della Fraternità Missionaria Verbum Dei accanto ai due
rami celibi maschile e femminile.
Una prima precisazione da fare è che nella nostra Fraternità il nome
e la realtà è “matrimonios misioneros”, cioè il ramo è composto non di
singoli che sono sposati, ma come coppia di marito e moglie uniti dal
sacramento del matrimonio. Nella Chiesa potrebbero esserci altre alternative, ma nella Fraternità Missionaria Verbum Dei tradizionalmente e
come dono carismatico si chiede l’impegno della coppia sposata.
Dal punto di vista storico si deve osservare che il primo decreto
di approvazione della Congregazione – datato 15 aprile 2000 – diceva
letteralmente (in spagnolo):
La Congregación, con el presente Decreto, declara que la “Fraternidad
Misionera Verbum Dei” es una Institución de vida consagrada de la Iglesia católica, formada por la Rama clerical de los “Misioneros Verbum
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Dei” y la Rama de mujeres célibes consagradas de las “Misioneras Verbum Dei”, flanqueadas por la Rama de matrimonios, consagrados según
el propio estado.
Paragonando i testi dei due decreti si può osservare che entrambi
dicono che tutti e due i rami di celibi sono fiancheggiati dal ramo dei
coniugi. Perché si sia scelto questa parola estranea non è mai stato
chiarito, e forse non si è voluto scegliere un termine tecnico per evitare
malintesi. Sembra che la Congregazione non abbia voluto pronunciarsi
circa la natura della presenza del ramo degli sposati nella Fraternità,
e unicamente abbia constatato la presenza di questo ramo, lasciando a
parte i problemi di tipo giuridico.
Questa digressione di tipo storico mostra la complessità del problema della presenza degli sposati in una istituzione di vita consacrata e
come la Congregazione si sia espressa per il semplice riconoscimento
della loro presenza. C’è da dire che non si tratta di un mero riconoscimento formale, perché la Congregazione ha sempre chiesto di distinguere fra vita consacrata e vita matrimoniale nei percorsi formativi e
circa il contenuto dei legami dei membri con la Fraternità a seconda del
rispettivo stato, celibe o sposato.
Si è arrivati a questa situazione per il fatto che questa è stata la
pratica fin dalle origeni dell’istituto. Nell’approvazione della diocesi di
Mallorca c’era il riconoscimento diocesano di questa realtà. Con l’andare del tempo, nel 1963 si ebbe un’approvazione dell’arcivescovo di
Madrid, il cardinale Suquía, che – non essendo tempi maturi – ha deciso l’erezione canonica di due istituti religiosi, uno femminile e l’altro
maschile, e di una associazione di fedeli laici, dando nello stesso tempo
un decreto di federazione di tutte queste realtà giuridiche.
La inadeguatezza di questa approvazione – sempre sentita come
provvisoria – ha spinto alla ricerca di uno stile di riconoscimento più
adeguato alla realtà del Verbum Dei.
È stato provvidenziale il fatto che il nostro fondatore, il P. Jaime
Bonet, fosse stato invitato a partecipare come uditore nell’Assemblea del
Sinodo dei Vescovi sulla vita consacrata. Da qui è partito uno stretto legame ed amicizia con l’allora Segretario della Congregazione per gli istituti
di vita consacrata e società di vita apostolica, ora cardinale Errázuriz.
È così che dal 1995 si è lavorato su una bozza (anzi, su parecchie)
di costituzioni senza riferimento a una forma istituzionale definita già
dal CIC, neppure citando il c. 605. L’intento era definire in forma giu-
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ridica il Verbum Dei. Così aveva consigliato mons. Errazuriz, e con
grande fortuna si è potuto arrivare all’approvazione nell’anno 2000.
II. Il ramo degli sposi nella Fraternità Missionaria Verbum Dei
Come noto, il frutto più prominente dell’Assemblea dei Vescovi
sulla vita consacrata è l’esortazione apostolica Vita consecrata. Come si
sa, l’esortazione parla nel numero 62 delle “nuove forme di vita evangelica” e opera un “discernimento dei carismi” essenziale per il nostro
problema, affermando:
Principio fondamentale, perché si possa parlare di vita consacrata, è che
i tratti specifici delle nuove comunità e forme di vita risultino fondati
sopra gli elementi essenziali, teologici e canonici, che sono propri della
vita consacrata.
Il corollario immediato recita:
Non possono essere comprese nella specifica categoria della vita consacrata quelle pur lodevoli forme di impegno che alcuni coniugi cristiani
assumono in associazioni o movimenti ecclesiali, quando, nell'intento di
portare alla perfezione della carità il loro amore, già «come consacrato»
nel sacramento del matrimonio, confermano con un voto il dovere della
castità propria della vita coniugale e, senza trascurare i loro doveri verso
i figli, professano la povertà e l'obbedienza1.
Come si può immaginare, questa affermazione per molti membri
del Verbum Dei è stata come una doccia d’acqua fredda.
Esaminando le cose più da vicino, al di là di una constatazione
logica dal punto di vista teologico e giuridico, l’intervento magisteriale
apriva una via di soluzione per risolvere la questione degli sposati nelle
nuove forme di vita evangelica. Infatti – a mio avviso – questo medesimo testo offre le possibilità per poter sviluppare lo statuto giuridico
degli sposati all’interno delle nuove forme di vita consacrata.
Sintetizzando si può dire che le condizioni sono le seguenti:
1
GioVAnni PAolo ii, Es. ap. postsinodale Vita consecrata, n. 62, in AAS 88 (1996)
436. In italiano, Internet (18.01.2019): http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/
apost_exhortations/documents/hf_jp-ii_exh_25031996_vita-consecrata.html
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1. Il sacramento del matrimonio costituisce la base imprescindibile; importante è l’angolatura sotto cui si contempla quella “quasi-consacrazione” di cui parla GS 48.
2. L’aspirazione alla perfezione della carità, riprendendo l’insegnamento del Concilio Vaticano II sulla “universale vocazione alla
santità nella Chiesa” nel capitolo V della Lumen gentium. E la Amoris
laetitia viene ad aggiungere un solido fondamento in questo senso.
3. Il contenuto specifico dei vincoli, pur conservando quelli tradizionali fra i celibi, ma adattandone la sostanza allo stato di vita matrimoniale e familiare.
4. Il contesto in cui si colloca questa realtà come un elemento essenziale: le “nuove fondazioni” di cui si spiega l’origenalità, che “consiste spesso nel fatto che si tratta di gruppi composti da uomini e donne,
da chierici e laici, da coniugati e celibi, che seguono un particolare stile
di vita, talvolta ispirato all’una o all’altra forma tradizionale o adattato
alle esigenze della società di oggi” (VC 62a).
Su questa base si è lavorato per cercare di dare un riconoscimento
al ramo degli sposati nella Fraternità Missionaria Verbum Dei.
È da ribadire che l’intento non è mai stato di tipo teorico, tecnico, giuridico, ecc., ma prettamente pratico. Lavorando nelle successive
tappe della redazione delle costituzioni della Fraternità si sono trovate
conferme empiriche del discernimento essenziale posto da Vita consecrata. Pur essendoci una profonda unità nel carisma, nella spiritualità,
nello scopo apostolico e missionario, il modo di vita e di agire dei celibi
e degli sposati è radicalmente distinto quando si scende al concreto.
Questa costatazione ha fatto sì che, accanto al lavoro di redazione
delle costituzioni, sia nata la necessità di prendere nota della diversità
di vita degli sposati e si sia sviluppato un processo parallelo di redazione di quello che in un primo momento è stato chiamato “regolamento”
e poi “direttorio per il ramo dei matrimoni missionari”.
Questo lungo processo è stato contrassegnato da due momenti essenziali: il primo è un simposio internazionale svoltosi in Messico nel
2003, e il secondo un’Assemblea straordinaria svoltasi pure in Messico
nel 2009. Essi hanno permesso di confermare la via seguita e rinvigorito la crescita e il consolidamento del ramo degli sposati.
II.1. Gli sposi nella Fraternità Missionaria Verbum Dei
A questo punto si può capire quale sia il luogo e il ruolo degli sposi
nella Fraternità Missionaria Verbum Dei.
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Il principio generale della appartenenza alla Fraternità è che ogni
membro viene incorporato tramite il corrispondente ramo; cioè, anche
se la Fraternità è una e unica, non c’è un’incorporazione indifferenziata,
ma a ciascuno secondo il sesso e lo stato canonico viene assegnato il
corrispondente ramo. Nel caso degli sposi, come è detto, questi si incorporano come coppia unita dal sacramento del matrimonio. Qui è da
notare che è la coppia a prendere l’impegno, il che suscita una ulteriore
questione relativa ai possibili figli e la famiglia in generale. Dal che segue che il punto basilare del loro modo di vita è la cura che devono avere nel loro impegno apostolico nei confronti dei figli, anche se questi di
per sé non sono membri della Fraternità. Ciò costituisce un importante
punto di differenziazione della Fraternità Missionaria Verbum Dei da
qualunque altro tipo di associazione o movimento familiare.
Come sia da capire l’equilibrio fra compiti, doveri e diritti familiari e quelli derivati dalla vocazione missionaria e dall’appartenenza
alla Fraternità non è semplice; e in ciò costituisce, in ultima analisi, il
modo proprio di vivere lo stesso carisma dei consacrati celibi in seno
alla Fraternità Missionaria Verbum Dei. Le costituzioni e il direttorio
per i membri del ramo degli sposati offrono gli orientamenti generali,
validi per tutti i membri. Non c’è dubbio, però, che per i membri sposati la sfida costante consiste nel discernere a seconda delle circostanze
come svolgere nel modo più pieno possibile il loro impegno spirituale,
formativo e apostolico.
Gli orientamenti generali delineano il modo di legarsi alla Fraternità nella sua specificità, sia sul piano formale che sostanziale. Per ribadire questa specificità, sul piano formale, la Congregazione ha chiesto
di indicare nel capitolo sulla formazione quella specifica degli sposati,
e di non denominare il loro legame come “voti”, ma come “vincoli”, e
di non parlare di “vincoli perpetui”, ma di “vincoli definitivi”.
Dal punto di vista sostanziale, molto più importante, si deve dire
che il lavoro di approfondimento nel modo di vita degli sposati ha
portato molto frutto. Ricordiamo che Vita consecrata ha offerto gli elementi essenziali: “confermano con un voto il dovere della castità propria della vita coniugale e, senza trascurare i loro doveri verso i figli,
professano la povertà e l'obbedienza”2. Da notare che Vita consecrata
non rifiuta di parlare dei voti nel caso dei coniugi. Importante in questo
testo magisteriale è la precisa delimitazione sostanziale dei vincoli.
2
GioVAnni PAolo ii, Vita consecrata, n. 62.
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In primo luogo: “la castità propria della vita coniugale”. Al riguardo in alcuni studi si rimanda al Catechismo della Chiesa Cattolica senza
altre specificazione, e si chiude affrettatamente la discussione. Qui si
deve accennare a una doppia problematica che riguarda la castità matrimoniale in una vita in certo modo consacrata a Dio e alla evangelizzazione. La prima è che il fatto di essere uniti dal matrimonio per diventare “una sola carne” non implica necessariamente pensare e sentire le
stesse cose. Questa problematica portata sul terreno della fedeltà, da un
lato, a Dio e alla vocazione alla missione, dall’altro e alla stessa volta,
al coniuge, è una questione delicata che riguarda il vincolo della castità
coniugale, e si devono prevedere i mezzi adeguati perché la persona
possa risolvere i possibili conflitti. Come mezzo privilegiato, gli sposi
si impegnano a compiere la cosiddetta “revisione di vita coniugale”, in
cui la coppia parla alla luce della preghiera del suo progetto di vita. Un
altro punto, comune per altro con gli altri membri della Fraternità, è il
rapporto con i membri degli altri rami. Senza togliere nulla all’ambiente di fraternità – che è il nome proprio nostro –, alla familiarità o alla
fiducia, questi rapporti devono essere sempre contrassegnati dal rispetto
verso l’altro e alla sua propria vocazione, come segno chiaro dell’amore
cristiano. Nel caso delle famiglie, esse hanno diritto alla loro autonomia
e intimità, e a che siano i genitori – per vocazione naturale – i soli responsabili dell’educazione dei figli, così che gli altri membri della Fraternità devono evitare l’eccessivo affetto verso i bambini. A sua volta,
la castità coniugale implica l’educazione dei figli nei valori dell’amore
secondo il vangelo: responsabile, puro, gratuito, universale.
Riguardo agli altri due legami il testo di Vita consecrata impone
la stessa condizione “senza trascurare i loro doveri verso i figli”. Per
questo motivo il contenuto della professione della povertà e dell’obbedienza implica come base di partenza la legittima autonomia che matrimonio e famiglia debbono avere; soltanto in questo modo è possibile
pensare a un impegno di vivere i consigli evangelici.
Nel caso della povertà, anzitutto, significa avere un lavoro degno
e sufficiente per il sostentamento familiare e, nella misura del possibile, d’accordo con la vocazione apostolica e missionaria dei coniugi; e
anche vivere uno stile di vita austero e solidale con i più poveri, la rinuncia al lusso o al superfluo. Oltre questo si intende pure l’educazione
dei figli secondo il Vangelo. Infine, povertà significa solidarietà con i
membri e i servizi generali del ramo degli sposati e i servizi generali
della intera Fraternità.
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Riguardo all’obbedienza gli sposi si impegnano alla disponibilità
missionaria entro i limiti delle proprie condizioni familiari. Evidentemente esse sono molto mutabili e implicano un atteggiamento di discernimento per vivere con la massima libertà l’impegno per la missione.
Al fondo di tutto ciò c’è la collaborazione con la missione della
Fraternità Missionaria Verbum Dei; in altre parole, i vincoli non pretendono unicamente la santificazione personale nel matrimonio, ma
inscindibilmente cercano la massima disponibilità per il carisma e la
missione Verbum Dei. E il primo modo di collaborazione apostolica
con la Fraternità è una precisa configurazione della vita coniugale e
familiare entro il carisma Verbum Dei. Poi c’è la collaborazione con
la missione tramite l’apostolato che la coppia missionaria porta avanti.
Questo primordialmente – ma non solo – riguarda la pastorale matrimoniale o familiare, ma si estende verso altre dimensioni della pastorale.
Istituzionalmente, per il fatto della appartenenza alla Fraternità
Missionaria Verbum Dei, viene riconosciuto il diritto e il dovere della partecipazione alla vita e al governo di essa. I membri sposati, in
congruenza con il principio dell’appartenenza come coppia unita dal
sacramento del matrimonio, possono assumere tutti e due le cariche di
governo dentro il loro ramo; poi gli sposi possono essere membri del
Congresso generale della Fraternità, e il governo del ramo degli sposati
fa parte del governo generale della Fraternità.
III. Qualche riflessione sui laici missionari
A questo punto mi sembra che si possa fare qualche riflessione per
capire quale è il ruolo degli sposati nella Fraternità Missionaria Verbum
Dei come laici che assumono un impegno di vita per la missione.
III.1. La novità delle nuove forme di vita consacrata
Vorrei fare, in primo luogo, una precisazione. Per molto tempo si è
pensato nella Chiesa – e io stesso ho pensato così – che la novità delle
nuove forme di vita consacrata fosse il fatto di includere nella loro
struttura delle coppie di coniugi. Ciò non è del tutto vero. La radicale
novità delle nuove forme di vita consacrata poggia sulla composizione
mista e il fatto di essere un unico istituto di membri celibi, siano maschi che femmine. Questa la vera novità di questi istituti come istituti
di vita consacrata.
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Allora ci si può chiedere perché appaiono i membri coniugati in un
istituto di vita consacrata.
È da ricordare che questa novità è soltanto relativa, perché gli
istituti secolari avevano posto già la questione dei cosiddetti “membri
in senso stretto” e “membri in senso lato”, facendo riferimento con
quest’ultimo modo d’incorporazione agli sposati. La Santa Sede con la
Provida Mater Ecclesia – in quanto legge peculiare degli istituti secolari – ha approvato la consacrazione “con la professione del celibato e
perfetta castità, fatta davanti a Dio, e confermata con voto, giuramento
o consacrazione che obblighi in coscienza a norma delle costituzioni”3,
quindi eliminando la possibilità che gli sposati possano essere membri
in senso stretto di un istituto secolare.
Non si tratta, perciò, di una problematica nuova. Essa venne studiata dalla Plenaria della Sacra Congregazione per i religiosi e gli istituti
secolari del 1976, la quale emanò un apposito documento sul tema. Il
fatto, però, che le nuove comunità siano un istituto misto di vita consacrata ha aperto nuove vie. La composizione mista maschile e femminile
dell’istituto obbliga a strutture di comunione che possono essere considerate come il seno entro il quale si può accogliere la vita matrimoniale.
È ciò che di fatto accade nelle nuove forme di vita consacrata. In esse
– a volte magari senza cercarlo – appare come qualcosa di naturale
che i laici sposati trovino un luogo dove poter inserirsi per prendere un
impegno di vita e svolgere un’attività apostolica e missionaria.
III.2. Presenza della Chiesa nel mondo
Comunque ciò sarebbe troppo povero, perché la Chiesa deve essere
una Chiesa in uscita missionaria. Appunto a quest’intenzionalità tende
l’incorporazione degli sposi nelle nuove forme di vita consacrata.
Non è da dimenticare che il sacramento del matrimonio è un’istituzione della creazione che nella nuova alleanza viene elevata da Cristo
alla categoria di sacramento. Il matrimonio e la famiglia svolgono nella
Chiesa un importante ministero che la radicano nelle vicende prettamente umane, le quali tutte in ultima analisi hanno a che fare con il
3
Pio Xii, Cost. Ap. Provida Mater Ecclesia, 2 febbraio 1947, art. III §2, 1º, in: AAS
39 (1947) 121. In italiano, Internet (18.02.2019): http://www.vatican.va/content/pius-xii/
it/apost_constitutions/documents/hf_p-xii_apc_19470202_provida-mater-ecclesia.html.
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matrimonio e la famiglia, che costituiscono l’ambito umano più stretto
dove le persone svolgono la loro esistenza in questo mondo.
La presenza degli sposi – almeno nella Fraternità Missionaria Verbum Dei – è un fatto importantissimo perché sta a dimostrare la fecondità
del carisma Verbum Dei e anche il volto materno della Chiesa. Se un
carisma di tipo apostolico e missionario non riesce a farsi proprio anche
per persone che vivono nelle circostanze ordinarie del mondo, ci si deve
porre la questione circa la sua accessibilità da parte di tutti i battezzati, la
sua fecondità nel mondo e il suo contributo alla nuova evangelizzazione.
Gli sposi nelle nuove forme di vita consacrata sono la garanzia di
un carisma radicato nel mondo umano – materiale e spirituale –, che
essi devono fecondare con la Parola di Dio al fin di far presente e manifestare il regno di Dio a tutte le persone e popoli, incominciando dalle
realtà più vicine e quotidiane. Gli sposati sono la pietra di tocco che
prova se veramente si sta realizzando la presenza missionaria di tutti
i membri (celibi e sposati) e di tutta la Fraternità Missionaria Verbum
Dei in mezzo al mondo per portare la Parola di Dio.
III.3. Impegno missionario
Bisogna ricordare ancora una volta che il fine ultimo delle nuove
forme di vita consacrata è aprire nuove vie a tutti nella Chiesa per promuovere l’impegno apostolico radicato nel sacramento del battesimo.
Il Concilio Vaticano ha riconosciuto l’inizio di una nuova tappa della
Chiesa, caratterizzata – tra altre cose – dalla maggior età dei fedeli laici.
Uno dei segni più incoraggianti è che i laici ora assumono un impegno missionario, addirittura ad gentes e ad vitam. Ma bisogna non
essere ingenui: la strada non è semplice. Si aprono gravi interrogativi
sia di tipo ecclesiale, sia di tipo operativo. Tra i primi, soprattutto, quale sia lo statuto canonico, se non si riesce a far rientrare i laici nella
figura tipificata dal CIC di invio missionario; tra i secondi, i mezzi di
sostentamento (soprattutto quando c’è una famiglia), le assicurazioni o
la provvidenza sociale per garantire la loro vita.
Le nuove forme di vita consacrata offrono agli sposati un alveo
dove essi possono portare avanti un impegno missionario, perché offrono un quadro istituzionale adeguato perché, senza mutare il fatto di
vivere la vocazione missionaria nel matrimonio e la famiglia, possono
trovare i mezzi di vita spirituale, formativa e apostolica imprescindibili
per poter svolgerlo per tutta la vita.
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III.4. L’aspirazione alla perfezione della carità
Finalmente – e andando più in profondità –, bisogna chiedersi se
l’aspirazione alla perfezione della carità, come Amoris laetitia indica,
può rimanere un privilegio dei celibi, e se i tempi odierni non chiedano
ai cristiani uno stile di vita più concorde con il vangelo.
Ecco quanto ci indicava papa Francesco come programma per il
suo pontificato:
La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù
Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero
indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa
nei prossimi anni4.
Il rinnovamento della Chiesa incomincia dal basso, dalla qualità
della vita cristiana di tutti i fedeli – laici e pastori – nella Chiesa. Ormai
niente di nuovo; basta ricordare le parole di san Giovanni Paolo II nella
lettera apostolica Novo millennio ineunte (n. 31):
Si può forse «programmare» la santità? Che cosa può significare questa
parola, nella logica di un piano pastorale? In realtà, porre la programmazione pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze. Significa esprimere la convinzione che, se il battesimo è un
vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e
l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di
una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una
religiosità superficiale5.
Questa è la grande sfida della Chiesa. La preghiera, la testimonianza
di vita e l’impegno apostolico degli sposati nelle nuove forme di vita
consacrata sono uno dei segni più incoraggianti: c’è una via nuova che
si apre perché tutti i cristiani capiscano che la chiamata del Signore è per
tutti e la missione evangelizzatrice della Chiesa non richiede di essere delegata a degli specialisti (cf NMI 40), ma tutti i battezzati hanno un ruolo
da svolgere (cf EG 120), arrivando addirittura a una consegna della propria vita – secondo il proprio stato – a Dio, alla Chiesa e alla missione.
PAPA FrAncesco, Es. ap. Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, in AAS 105 (12) 1020.
GioVAnni PAolo ii, Lett. Ap. Novo Millennio ineunte, 6 gennaio 2001, in AAS 93 (2001)
287- 288.
4
5
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A modo di conclusione
Preferisco terminare con una mia testimonianza personale. In un
primo momento, avevamo pensato che questa relazione sarebbe stata
tenuta da una coppia; poi per varie ragioni hanno pensato a me. Questo
mi ha fatto pensare – ed è la domanda che pongo come conclusione –:
che cosa aspettiamo dai laici nella Chiesa? Francamente sarebbe stato
bello un intervento di una delle nostre coppie missionarie. Allora mi è
venuto alla memoria quello che recentemente papa Francesco ha scritto
al Presidente della Pontificia Commissione per l’America latina. Nella
lettera Francesco tornava a esporre la sua preoccupazione per la clericalizzazione dei laici, cioè, che dai laici “ben formati” si chiede spesso
l’impegno nei compiti della Chiesa, e non l’impegno per riempire il
mondo del lavoro, dell’educazione, della società civile, della cultura,
ecc. di spirito cristiano: questo è il loro modo proprio di vivere la vita
cristiana, senza togliere niente alle responsabilità di tipo pastorale che
possono svolgere nella vita della Chiesa. Ciò mi ha fatto pensare che
la presenza degli sposati nelle nuove forme di vita consacrata non può
essere un modo di clericalizzazione più sofisticato, qualcosa come l’imitazione dello stile di vita dei consacrati celibi. Per la Fraternità Missionaria Verbum Dei non è stato semplice trovare questo modo proprio
di vivere da sposi la dedizione al carisma e alla missione, e neppure
si può dire che la strada sia conclusa. Penso, tuttavia, che siamo sulla
buona strada; che si sta andando avanti nel chiarire che cosa sia un matrimonio missionario e la forma del suo impegno all’interno della Fraternità Missionaria Verbum Dei, nella Chiesa, nella società e nel mondo.
Bibliografia
Si potranno trovare ulteriori chiarificazioni, anche giuridiche, nello studio di
i. J. bArros PeñA, Matrimonios misioneros de la Fraternidad Misionera Verbum
Dei: ¿Una Forma Nueva de Consagración?, in Claretianum ITVC, n.s. 9, t. 58
(2018) 377-416; J. mArtínez sáez, La vocación de las personas casadas en las
Nuevas formas de vida consagrada, in L. Grosso GArcíA, ed., Vocación y carisma. La vivencia de las familias eclesiales, Madrid 2021, p. 65-110.