M. Jansen, K. Winand
Architectur und Kunst im Abendland
Rome 1992
Vittorio Franchetti Pardo
COMPONENTI TERRITORIALI E SEGNALI POLITICI NELLE NORMATIVE E NELLA
PRASSI EDILIZIA DEI CENTRI MEDIEVALI ITALIANI
La normativa statutaria dei comuni medievali italiani è stata attentamente studiata, almeno da un
ventennio a questa parte, da molti storici italiani e stranieri. E tra questi hanno fornito contributi
particolarmente significativi gli storici tedeschi: nel quadro di una sistematica ricognizione (avviata
nel 1973) della produzione statutaria tardomedievale europea. Il forte interesse mostrato per questo
genere di fonti da studiosi di varie discipline, ha messo in evidenza come l'insieme delle norme
statutarie (e di altro genere) offra molteplici possibilità di ricerca in più settori e campi di ricerca. Il
che, ovviamente, ha contribuito alla comparsa di numerose edizioni, più o meno integrali, delle fonti
statutarie di comuni italiani; nonché, in parallelo, ad un proliferare di saggi storiografici, appunto
centrati sulle fonti, di vario indirizzo e taglio metodologicd.
Tuttavia è stato in genere poco, o quasi per nulla, battuto il filone che utilizza le fonti statutarie per
analizzare la storia delle città e del territorio: anche perchè, a sua volta, questo campo disciplinare
è stato individuato da pochi anni e da un numero assai ristretto di storici: in genere italiani che hanno
avuto una formazione da architetti. Riunisco dunque in questa occasione i risultati di due mie
precedenti linee di ricerca sul sistema insediativo dei centri tardomedievali, maggiori e minori,
dell'Italia centro settentrionale. L'una centrata sugli strumenti normativi: per analizzare i criteri in
base ai quali venivano tutelate ed utilizzate le risorse e le opportunità ambientali e territoriali di
ciascuno dei centri. L'altra, per la quale devono essere utilizzati strumenti di analisi diretta (le
osservazioni degli edifici e di loro parti), deliberazioni, documenti contrattuali, od altro, indirizzata
a cogliere gli elementi di particolari prassi edilizie: quelle adottate dai principali centri di potere,
tanto comunale quanto signorile, per significare verso l'esterno la propria identità (economica,
politica, culturale, artistica) e l'ambito territoriale entro il quale essa poteva esssere affermata. Sono
due aspetti diversi, ma tra loro intrinsecamente connessi, della ricca ed articolata cultura urbana
sviluppatasi ed affermatasi in Italia tra il Duecento ed il Trecento; e destinata a durare ben oltre la
metà del XV secolo.
È ben risaputo che gli effetti di tale cultura sulla configurazione del tessuto dei singoli centri e, in
definitiva, di gran parte del paesaggio italiano, hanno lasciato tracce che in molti casi sono ancora
leggibili. Mi sono dunque proposto di utilizzare tali tracce come vere e proprie chiavi di interpretazione storica: e non solo sul piano più ovvio della cosiddetta "storia del paesaggio". Perchè, a
mio avviso, l'affermazione di SaxP che "l'uso delle immagini parimenti importante per la com-
I
Non è possibile dare conto qui delle numerosissime edizioni (italiane e straniere) delle fonti statutarie dei comuni
italiani. È comunque opportuno ricordare che la Biblioteca del Senato ne sta redigendo, fm dal 1943 , un completo catalogo,
e che nel 1973 si è svolto a Roma un congresso internazionale sul tema "Fonti medievali e problematica storiografica". Si
veda, in proposito, di Ascheri, M., Gli statuti: un nuovo interesse per una/onte di complessa tipologia, in: Pietrangeli G.,
Bulgarelli S., Catalogo della raccolta di Statuti, Firenze 1990 pagg. XXXI-XLIX; e La pubblicazione degli statuti: un
ipotesi di intervento, in: Nuova Rivista storica, LXIX (1985), pagg.95-106.
2 Saxl F., Continuità e variazioni nel significato delle immagini, in: La storia delle immagini, Roma-Bari 1982,
pagg.3-4.
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Vittorio Franchetti Parclo
prensione della storia politica" vale non soltanto in riferimento alla interpretazione delle immagini
figurative, ma anche per la storia territoriale ed urbana. Solo che il concetto di immagine venga
esteso ed applicato alla configurazione complessiva di ogni centro ed all'insieme delle sue caratteristiche tipologico-architettoniche. L'analisi condotta sulla configurazione del costruito e degli spazi che
lo ritrnano, l'entrare cioè nel merito delle peculiarità morfotipologiche degli elementi edilizi e degli
spazi non edificati di un centro insediativo, può dare molte indicazioni sulle intenzionalità e sulle
modalità che hanno presieduto all'impianto ed alla evoluzione di quel centro: più e meglio, talvolta,
di quanto consentito da altre più ortodosse e consuete fonti documentarie. Soprattutto perchè tali fonti
più consuete (la documentazione archivistica) assai spesso o mancano del tutto o tacciono su determinati aspetti della dinamica evolutiva dei singoli centri. Danno cioè informazioni sul come e sul
quando, ma non sul perchè, in un determinato periodo, quel centro si sia venuto configurando in quel
modo e con quelle componenti morfotipologiche. E tali carenze sono quasi la regola nel caso dei
centri minori o comunque subordinati.
Ogni documento ed ogni fonte di cui possiamo disporre, come stato più volte rilevato, è in fondo
soltanto un frammento di verità; pervenutoci tanto per effetto di una certa concatenazione di casualità
(casualità che hanno invece contribuito alla scomparsa di altri documenti cioè di altre parziali verità
),quanto per effetto di predeterminate finalità che hanno consigliato di conservare quel documento o
quella fonte rispetto ad altri documenti: magari deliberatamente obliterati e distrutti in rapporto ad
una più o meno tacita condanna alla "damnatio memoriae".
Sistemi normativi e condizione territoriale
Com'è ben risaputo, dalla seconda metà del XIII secolo, e in alcuni casi anche alla fine del XIP, in
moltissimi dei centri italiani si cominciò a fissare, trascrivendolo in modo stabile e certo, il complesso di consuetudini, regole, criteri, comportamenti, che si ritenevano necessari e sufficienti ad
ordinare e regolamentare la vita, pubblica e privata, di ciascun centro. Il corpus normativo, che sotto
questo profilo va dunque considerato il prodotto di una accumulazione di precedenti esperienze e
concetti, prendeva, a seconda dei luoghi, nomi diversi. Al centro-nord veniva indicato più frequentemente come statutum, ma si incontrano anche i termini constitutum, consuetudines ecc. Nel meridione ed in Sicilia, oltre a quanto veniva dettato negli appositi atti emanati dalla corte, le norme
specifiche di ciascun centro venivano in genere indicate come privilegia, consuetudines, ecc.
L'importanza di tali documenti divenne subito grandissima. Una particolare solennità rituale, quasi
un'aura di sacralità civica, accompagnava, soprattutto nei centri retti da sistemi comunali, ciascuna
delle occasioni riguardanti l'uso dei documenti statutari: perchè ad essi si attribuiva il ruolo, ed il
connesso significato simbolico, di esprimere i valori di identità del centro in questione; ma anche,
contemporaneamente, di affermare la legittimità delle istituzioni che avevano il compito di esercitare
il potere. Non diversamente, del resto, da quanto accadeva nei confronti delle varie Carte di altri
centri europei. L'analisi che in varie occasioni4 ho condotto sui centri tardo medievali (dal XIII al
3 Tra le città "precoci" dell'Italia centrosettentrionale vi sono, per esempio, Genova, Venezia, Pisa, Pistoia. Sono poi
altrettanto "precoci" quasi tutte le principali città dell'Italia meridionale ed insulare; ma il fenomeno si manifesta con
modalità diverse perché riferite al sistema politico creato dalle monarchie normanna e sveva.
4 Mi permetto di citare le mie seguenti pubblicazioni: Storia dell'urbanistica. Dal '300 al '400, Roma-Bari 1982 (con
particolare riferimento alle parti dedicate rispettivamente al fenomeno della fondazione di nuovi centri ed a ciascuna delle
città italiane); Le città nella storia d'Italia. Arezzo, Roma-Bari, 1986; Le regolamentazioni urbanistiche negli statuti
medevali di alcuni centri toscani, in: Castelli e borghi della Toscana tardo medievale, Pescia 1988, pagg.3-9; Città e vita
cittadina nelle immagini e negli statuti di Foligno, in: Signorie in Umbria tra Medioevo e Rinascimento. L'esperienza dei
Trinci, Perugia 1989, pagg. 227-289. È inoltre in corso di stampa (per i tipi di Alinea, Firenze), Elementi di territorialità
nelle normative dei centri medievali italiani. In tale pubblicazione sono raccolte norme statutarie, edite ed inedite, relative
agli assetti insediativi ed organizzativi di centri toscani e del dominio visconteo. Le due sezioni sono precedute, rispettiva-
Componentì territoriali e segnali politicì [...]
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XV secolo) dell'Italia centrale e settentrionale, nonché altri sondaggi compiuti nelle aree dell'Italia
meridionale ed in Sicilia, ha evidenziato come, tra i singoli complessi normativi dei vari centri (oltre
agli statuti vi erano anche altre forme di deliberazione o degretazione che ne integravano o completavano o modificavano taluni aspetti) vi fossero molte similitudini: ma anche differenze notevolissime. Le quali ultime, ed è ciò che ci interessa, dipendevano senz'altro dalle condizioni e concezioni
territoriali tipiche di ciascun centro: erano cioè una proiezione ed un riflesso sia delle sue peculiarità
e del suo rango territoriale, sia dell'ambito o sistema politico che lo qualificava od entro cui rientrava. Mentre, al contrario, le somiglianze vanno considerate l'espressione di un comune bagaglio di
concetti, di principi e di convenzioni: in sostanza ciò che può essere definito il comune denominatore
della cultura urbana e territoriale dell'epoca.
È ovvio che di ciò si avvertano le conseguenze nelle stesure dei singoli complessi statutari. Si
constata infatti che le norme riferite agli aspetti generali della comune cultura urbana e territoriale
compaiono costantemente nella sequenza delle varie riedizioni dei complessi normativi di ciascun
centro; e che, invece, gli aspetti tipici e peculiari di questo o quel centro erano regolati sia da norme
che si ripetono nel tempo ( quelle che dipendono dalla sua specificità territoriale),sia da altre norme
che scompaiono o si modificano sostanzialmente al variare del quadro generale di riferimento.
Tra gli elementi costantemente presenti, indipendenti quindi dalle caratteristiche dei singoli centri, vi
sono le rubriche normative che riguardavano i rapporti tra singoli privati e tra privati ed interesse
pubblico. Ci si atteneva, in genere, a concetti giuridici che grosso modo possono essere fatti risalire
al diritto romano. Mi riferisco ai concetti di proprietà privata, di confini, di uso di parti comuni, ecc.
Ad esempio a Cortona, a Pistoia, ed a Cascina, in materia di muri di confini tra due proprietà, si
prescriveva che se i muri erano stati costruiti da entrambi i confinanti, entrambi dovevano provvedere
alla manutenzione; inoltre, a Pistoia, chi avesse voluto realizzare un muro di qualità migliore del
preesistente avrebbe potuto realizzarlo distruggendo l'altro "ab imo usque ad summum"5. È interessante notare che il concetto del diritto di proprietà del privato era preso in considerazione anche
quando veniva condannato il privato che si era messo contro il potere; o quando, per effetto di
improvvisi e violenti rivolgimenti politici, singoli o gruppi già potenti venivano dichiarati nemici e
ribelli. Nel senso che le procedure di confisca o di distruzione delle proprietà immobiliari del
condannato (prassi questa costantemente seguita) si applicavano tenendo conto della configurazione
giuridica (confini di proprietà, diritti, ecc.) di tali sue proprietà. Tra gli esempi più celebri quello
riferito alla costruzione del palazzo pubblico di Firenze nel 1298. Come racconta il Villani,6" ... colà
dove puosono il detto palazzo furono anticamente le case degli Ubeni, ribelli di Firenze e Ghibellini;
e di que 'loro casolari feciono piazza, acciò che mai non si rifacessono. E perchè il detto palazzo
non si tenesse il suo terreno de'detti Ubeni coloro che ll'ebbono a fare il puosono musso, che fu
grande difalta a lasciare però di non farlo quadro.. ". Considerata l'importanza dell'impresa, come
mente, daì saggì dì Casalì G. (Statuti e nonnative di centri toscanI) e dì Rovìda A. (Statuti urbani e ruolo delle città nella
politica territoriale dei Visconti).
S Casali G., Statuti e nonnative ecc., cìt. Vì faccìo riferimento anche ìn tutte le successìve cìtazìonì relatìve a
normatìve dì centri toscanì mìnori ìn gran parte ìnedìti. Per ì centri maggìori sì posssono ad ognì modo dare le seguentì
essenzìali ìndìcazìonì bìbliografiche. Per Fìrenze: Caggese R., (a cura dì), Lo statuto del Capitano del Popolo degli anni
1322-1325, Fìrenze 1910; e: Lo statuto del Podestà dell'anno 1325, Fìrenze 1921. Per Sìena: Lìsìnì A., Constituto del
Comune di Siena volgarizzato nel 1309-13IO, Sìena 1903; Polidori F.L:, Statuti senesi scritti in volgare ne' secoli XlII e
XlV, Bologna 1863-1877; Zdekauer L., Constituto del Comune di Siena dell 'anno 1262, Milano 1897 (e seguentì edìzìonì).
Per Pìsa: Bonaìnì S., Statuti inediti della città di Pisa dal XlI al XlV secolo raccohi ed illustrati, Fìrenze 1854-1870; Era
A., Statuti pisani inediti dal XlV al XVI secolo raccohi ed illustrati, Sassari 1932. Per Pìstoìa: Berlan F., Statuti di Pistoia
del secolo XlI reintegrati, ridotti alla vera lezione ed illustrati, Bologna 1882; Muratori L.A., Statuta Civitatis Pistoriensis
anno Christi MCXVII et Antiquitates Italicae Medii Aevi circiter annum MCC condita cum notis Huberti Benivoglienti,
Arretti 1877; Zdekauer L., Statutum Potestatis Communis Pistorii anni MCCXCN, Milano 1888.
6
Villanì G., Nuova Cronica, (a cura dì Porta G.), Omegna 1991, voI. secondo, pag.46.
[-
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Vittorio Franchetti Pardo
lamenta il Villani in questo celebre passo, si sarebbe evidentemente potuto assorbire l'area liberata
dal distrutto palazzo in un più generale disegno del nuovo polo pubblico. Venne invece deciso di
costruire il palazzo comunale proprio sul limitare dell'area della potente famiglia ora considerata
ribelle dal nuovo regime politico: anche accettando le irregolarità di tracciato che ne conseguivano.
L'episodio può essere letto in più modi: si considerava di non poter usare per finalità pubbliche e
solenni un'area "maledetta"; hanno prevalso considerazioni di ordine tecnico-costruttivo (utilizzare
anche per motivi economici le preesistenti fondazioni murarie ecc.); od altro ancora. Resta comunque
il fatto che furono le linee di confme delle proprietà degli Uberti a guidare l'impianto del palazzo
pubblico fiorentino. Il che è certamente un dato significativo ed importante. E tanto più, poi, se si
tiene conto che proprio a Firenze venne istituita una apposita magistratura pubblica per amministrare
i beni confiscati ai ribelli sbanditi.
Tra le norme che costituivano per così dire l'ossatura portante degli statuti medievali italiani vi erano
quelle riferite a problemi di igiene edilizia, di prevenzione antincendio, di facilità di circolazione
lungo le vie principali, di controllo delle risorse idriche, di sicurezza e moralità pubblica, di decoro
urbano, ecc. Tralasciando, per il momento, queste ultime che si intersecavano con aspetti ideologico-politici, e che dunque riguardano programmi e prassi anche concettualmente variabili, tutti gli altri
ordini di problemi ritmano e marcano continuamente la sequenza dei capitoli statutari e delle
deliberazioni di vario genere che a quei capitoli si andavano volta per volta ad aggiungere. Così, per
quanto concerne i criteri di igiene edilizia, si constata che ci si atteneva a criteri variabili in rapporto
alla "categoria" ed al rango territoriale proprio di ogni centro. La presenza generalizzata e continuativa di tali norme si articolava cioè in rapporto allo hic et nunc di ciascun insediamento; come risulta
da queste osservazioni, in tutti i centri maggiori, cioè nelle città, il concetto di igiene edilizia si
applicava all'uso degli spazi, degli edifici, e delle infrastrutture di interesse generale: di coseguenza
si regolamentavano attentamente le attività inquinanti in vista del pubblico interesse. Per esempio era
costante il divieto alla macellazione od allo scuoiamento degli animali nelle strade, ed altrettanto
costante era la preoccupazione per l'allontanamento e lo smaltimento dei rifiuti: sia quelli di lavorazione, sia anche quelli provenienti dalle singole abitazioni. Ma in tale materia erano certo motivate
dalle situazioni locali. Per esempio nei casi di grandi centri attraversati da più corsi d'acqua (fiumi,
torrenti, canali ecc.) si vietava che in essi venissero gettati o convogliati rifiuti inquinanti: ne sarebbe
derivata l'impossibilità ad usarli proficuamente, dunque un danno per la collettività. Su ciò insiston07
con particolare impegno gli statuti di città dell'area padana (Milano, Pavia, Piacenza ecc.) ed anche
dell'Italia centrale (per esempio Foligno), ecc. Mentre diversi, pur parlando di grandi centri, erano
i criteri adottati a Venezia: perchè la particolare struttura del tessuto cittadino,inserito in ambito
lagunare ed intersecato da più canali soggetti al ritmo alternante delle maree, suggeriva speciali
7 Per le città del dominio visconteo vedi: Besta E., Barni G.L., (a cura di) Liber consuetudinum Mediolani anni
MCCXVI, Milano 1945; Bocchi F., Normativa urbanistica, spazi pubblici, disposizioni antinquinamento nella legislazione
comunale delle ciltà emiliane, in: Studi Storici C'Cultura e società nell'Italia medievale")- Fasc.184.187, Roma 1988,
pagg.91-115; Fagnani F., Gli statuti medioevali di Pavia, in: Archivio Storico Lombardo, a. 1964-65 XVI, pagg.90e segg.;
Ferorelli N., Gli statuti milanesi del secolo XIV, in: Archivio Storico Lombardo, a.191l,XVI, pagg.76 e segg.; Solmi A.,
Gli statuti di Milano e la loro ricostruzione, in: Atti della XX Riunione della Società Italiana per il progresso delle Scienze,
I, 1932; La Cava A.F., L'igiene e la sanità negli statuti di Milano del secolo XIV, Milano 1946; Statuta et decreta antiqua
Civitatis Placentiae, Brixiae 1560 apud Ludovicum Sabiensem.; Statuta antiqua Comunis Placentiae ano MCCCXCI, in:
Statuta varia Civitatis Placentiae, Pannae 1860, pagg. 213-463; Statuta Civitatis et Principatus Papiae, Ticini 1590, ex
ty.Bartholi H.; Statuta et Ordinamenta Comunis Cremonae A.D:MCCCXXXIX, in: Corpus Statutorum Italicorum, I, Milano
1952; Statuti del paratico dei Pescatori, in: Robolini F., Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia 1832
vol.N, p.I. pagg. 452-457; Statuti delle strade ed acque del contado di Milano fatti nel 1346, in: Miscellanea di Storia
italiana, vol.7, Torino 1869, pagg. 307-438; Statuti ducali per le navi e i navaroli sul Po in Cremona, in: Robolotti F.,
Industrie e commerci in Cremona nel secolo XV, in: Archivio Storico Lombardo, s.I.,a.VIII, 1880, pagg. 326-342. per
Foligno rinvio a Franchetti Pardo V., Ciltà e vita cittadina ecc., cito
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Componenti territoriali e segnali politici [...]
soluzioni8 • Su questo ordine di problemi influiva cioè la qualità del centro: ma ancor più la sua
dimensione. Per esempio, gli statuti di Figline, Empoli, Bientina, che erano centri toscani di piccola
o media dimensione, consentivano che si gettasero nel fiume animali morti o loro parti: purchè ciò
avvenisse in punti di impetuosa corrente e lontano dal centro stesso. Fogne e fognoli, quando
c'erano, cioè in genere soltanto nei centri più importanti e quindi di nuovo qui giocava l'importanza
e la dimensione del centro, erano oggetto di speciale attenzione quasi ovunque. Particolarmente
dettagliate, a tale riguardo, sono le normative di Siena, di Firenze, di Pistoia. Ma i divieti relativi a
problemi di igiene si estendevano anche a molti altri settori della vita pubblica e privata. Non infrequenti, soprattutto nelle principali città ove il rischio epidemico era più forte, erano le norme che
dettavano i criteri cui dovevano sottostare gli esercizi commerciali per poter svolgere le loro attività.
A Firenze i locali dei vinattieri non dovevano avere ''fognam vel cavam apertam" (dunque, se ne
deduce a contrario, può darsi che in qualcuno dei locali per la mescita del vino tali norme non
venissero spontaneamente seguite e rispettate). A Pistoia i tavernieri non potevano tenere corium in
terra", e si tentava di concentrare le varie osterie in zone prossime alle mura: quindi, diremmo oggi,
in zone in certa misura periferiche. Ciò allo scopo di evitare alle zone centrali, politicamente,
economicamente e simbolicamente più importanti, presenze e modi di vita considerati disdicevoli e
fastidiosi. Indicativo, in termini di effetti della condizione territoriale di un centro sulle normative,
il problema, ad un tempo igienico e di decoro, della presenza degli animali da cortile (maiali, anatre,
pollame ecc.). Nelle principali città ne era consentito l'allevamento unicamente in zone interne e non
aperte al pubblico: era assolutamente vietato (salvo particolari occasioni anche religiose) che gli
animali circolassero per le strade. Ma ciò non accadeva nei centri minori: ove invece era consentito
il passaggio di greggi e mandrie; pur, si capisce, con opportune modalità tendenti ad evitare danneggiamenti. La condizione del centro, o tipicamente urbano, o, viceversa, legato ad abitudini ed
interessi di matrice rurale, consigliava, come si vede, diversi comportamenti normativi. Ma tale
distinzione non era sempre cos) netta. Anche nei centri maggiori si riscontrano consuetudini e
comportamenti che rinviano ad una condizione che oggi definiremmo non urbana. Del tutto sorprendente, per esempio, era il criterio adottato per proteggere i passanti dal rischio di essere colpiti
dai rifiuti organici gettati dalle finestre delle case. Chi voleva farlo doveva prima avvertire i possibili
passanti con opportune ripetute grida: guarda, guarda, guardali, o altre simili espressioni. Il che,
invece, sembra un paradosso ma non lo è, non figura nei centri più piccoli ed a livello quasi rurale.
Perchè nella città intensamente abitata, l'eventuale assenza di altre opportunità di allontanamento dei
rifiuti (non vi erano dappertutto le fogne, nè, dappertutto vi erano gli appositi chiassuoli") non
consentiva altre soluzioni. Mentre, al contrario, nei piccoli centri a livello quasi rurale, la struttura
del limitato impianto insediativo consentiva ai singoli, per lo smaltimento dei rifiuti, di giovarsi di
aree non edificate. Come infatti dimostra la novellistica italiana medievale che di questi squarci di
vita quotidiana offre numerosi e coloriti esempi.
Il
Il
Il
Un'altra delle costanti negli statuti delle maggiori città medievali italiane è la concezione dello
specializzarsi dello spazio urbano in rapporto alle differenti funzioni. Oltre ai luoghi stabiliti per
svolgere le attività connesse con la vita politica o religiosa, si definivano quasi sempre in modo
preciso anche quelli dove si dovevano tenere (B e non altrove) i mercati destinati alle varie categorie
di merci: tanto alimentari (separando il mercato del pesce da quello delle carni o delle verdure, ecc.),
quanto di altro genere. E si stabiliva anche dove erano ammesse o non erano ammesse altre attività:
da quelle manifatturiere, a quelle di certi aspetti della vita privata dei cittadini (dalle osterie, al gioco,
alla prostituzione ecc.). Ma, ovviamente, questo criterio dell'uso specialistico o selettivo dello spazio
civico non figura quasi mai negli statuti dei centri minori. Se ne trovano tracce, eventualmente, solo
per casi particolari, (in genere luoghi di rappresentanza o di culto),o per occasioni speciali( ad
esempio il mercato periodico del bestiame) che richiedevano larghi spazi reperibili soltanto in aree
8 Sui problemi idrici a Venezia si vedano: Costantini M., L'acqua di Venezia, Venezia 1984; Cacciavillani 1., Le leggi
veneziane sul territorio, Venezia 1984 (in particolare Parte Seconda. Sezione seconda l fiumi, pagg.187-212.
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Vittorio Franchetti Parclo
esterne al centro propriamente detto. Dunque, anche sotto questo profilo, gli statuti riflettono le
caratteristiche ed il rango di ogni centro; pur nell'ambito di una medesima "cultura" insediativa. E,
del resto, la vita dei centri italiani non differiva gran che, per questi aspetti, da quella di altri coevi
centri europei.
Particolare preoccupazione destava, in tutte le città ed anche nei centri minori, il pericolo degli
incendi. Quasi in tutti gli statuti si prescriveva dunque che gli ambienti ove era necessario far fuoco
(cucine, forni, ecc.) dovessero essere costruiti con materiali non incendiabili (evitando quindi le
pareti in legno e le coperture con paglia o altro); e si stabiliva, inoltre, che questi ambienti fossero
situati in particolari posizioni rispetto al resto dell'edificio o della città. Cito un esempio: a Firenze
i camini delle cucine dovevano elevarsi di almeno due braccia (circa m.l,20) rispetto al tetto ed i
camini delle fornaci dovevano essere alti non meno di nove braccia (circa m.5,40) ed inoltre
consentiti solo fuori dalle mura cittadine. Come si capisce queste norme incidevano sulle caratteristiche tecniche e sulla tipologia delle unità edilizie. Producevano quindi, in definitiva, effetti concreti
tanto sulla articolazione funzionale di alcune parti del tessuto cittadino, quanto sulla sua immagine
d'insieme. Anche in questo senso vi erano perciò notevoli differenze tra i tessuti edilizi dei centri
propriamente cittadini e quelli di centri di più basso rango territoriale; i quali ultimi, pur caratterizzati, talvolta, da una organizzazione a carattere quasi urbano, erano però più vicini al mondo ed alla
condizione rurale. E di ciò danno utili riprove e conferme le coeve immagini grafico-pittoriche o le
descrizioni di vario genere ( di solito racconti, cronache, memorie, novelle) che ci sono pervenute.
Particolarmente interessanti sono poi i criteri, sorprendentemente anticipatori di concezioni urbanistiche tuttora adottate, relativi all'edificabilità dei suoli entro le cerchie urbiche. In quasi tutte le
principali città si prescriveva che la nuova costruzione avrebbe dovuto realizzarsi o in zone ove si
auspicava che si indirizzasse l'espansione cittadina (talora, ad esempio ad Arezzo, a San Gimignano,
ecc. addirittura fissando le dimensioni del lotto edificatorio), oppure in aree resesi o rimaste libere
in parti già edificate della città. Ma, in tal caso, l'edificazione doveva aver luogo con opportuno
rispetto degli allineamenti (per esempio col procedimento ad cordam usato a Siena, o secondo altre
tecniche di misurazione seguite in altre città) fissati da funzionari tecnici di apposite magistrature
pubbliche. Inoltre l'edificio doveva corrispondere ad altri requisiti: per esempio, come figura negli
statuti di San Gimignano, doveva seguire "morem et misuram" peculiari della contrada. Altrettanto
diffuse le norme statutarie che regolamentavano alcune parti degli edifici: in particolare l'altezza dei
porticati (per esempio a Bologna, venivano dimensionati in modo di farvi transitare, al coperto, un
uomo a cavallo), le parti aggettanti degli edifici (consentite in genere solo se al di sopra di una certa
quota da terra), ed altri elementi ancora. Va inoltre segnalato il problema della demolizione di
immobili esistenti per costruirne altri. Per questo aspetto si registrano differenti criteri normativi.
Nelle principali città la demolizione era in genere consentita; soprattutto a condizione che il nuovo
edificio risultasse migliore del precedente. Nei centri economicamente o demograficamente in crisi
si tendeva invece a vietarla per conservare il patrimonio edilizio esistente: talora prescrivendo anche
l'obbligo del restauro. Ma centri in condizioni ancor più precarie consentivano addirittura la demolizione di edifici fatiscenti per recuperarne i materiali utilizzabili. Differenze, queste, che erano
evidentemente influenzate dalla condizione socioeconomica e dal rango territoriale dei vari centri.
Si potrebbe seguitare a lungo in questa analisi. Ma conviene ora entrare nel merito di quelle norme
che più risentivano del modificarsi del quadro generale; e che dunque mettono meglio in evidenza in
che misura la condizione ed il rango territoriale incidesse nel sistema statutario. Particolarmente
interessante, in tal senso, è constatare sia con quali strumenti e con quali modalità i centri maggiori
dominassero i centri minori, sia quali fossero le norme statutarie che venivano modificate o scomparivano. Circostanza, questa, che si verificava per un duplice motivo: o perchè, entro uno stesso centro
dominante, mutava la direzione politica ed il gruppo dirigente; o, invece, perchè diminuiva il grado
di autonomia politica e territoriale di un centro già dominante. Il che avveniva quando città già
importanti cadevano sotto il dominio di altro più importante e potente centro: non importa se a
Componenti territoriali e segnali politici [... l
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regime comunale o signorile. Si tratta di casi e problemi abbastanza diversi tra loro; lo studio dei
quali rende quindi necessari differenti tipi di approccio. Infatti per esaminare la continuità dinamica
del rapporto tra centro maggiore e centro minore è utile il raffronto tra centri della stessa area;
mentre per studiare il duplice ordine di modalità con le quali si modificava il sistema normativo di
un centro dotato di una sua autonomia giurisdizionale (specialmente se con rango di vera città e
dunque esercitante un effetto proiettivo su di un determinato ambito territoriale) è più utile analizzare
il corpus delle sue norme statutarie prima e dopo il cambio di situazione.
Diamo un breve sguardo al primo dei due casi; cioè al rapporto di dominanza che si stabiliva tra una
città ed i centri minori (compresi quelli di nuova fondazione) gravitanti entro la sua zona di influenza. Il quadro statutario e normativo che si presenta è quasi ovunque il medesimo. Il centro
dominante imponeva ai suoi subordinati di rispettare alcuni ovvi principi di ordine politico. Firenze,
comune a regime guelfo e popolano, imponeva ad esempio ai centri soggetti norme antighibelline ed
antimagnatizie (non vendere terreni od edifici ai membri di quelle formazioni, non commerciare con
loro esponenti ecc.). Altre città imponevano a loro volta norme dello stesso ordine. In ogni caso
veniva limitato l'esercizio dei diritti e dei poteri locali; anche imponendo al centro subordinato la
presenza di magistrature o di pubblici ufficiali nominati dal centro egemone9 .Inoltre il polo egemone
adottava costantemente strumenti di tipo doganale e fiscale: il centro soggetto non doveva cioè in
alcun modo danneggiare le attività e le strategie economiche e commerciali della dominante. Anzi,
il centro soggetto era addiritura obbligato a convogliare verso l'erario, o verso i magazzini e depositi
del centro dominante, le sue principali risorse economiche e produttive: tanto di ordine agricolo
quanto di ordine manifatturiero. Cosl i prodotti dei settori traenti dell'economia (a seconda delle città:
lana e seta, manufatti metallici, particolari prodotti dell'artigianato corrente e di lusso,ecc.) potevano
essere trattati soltanto dal centro egemone. I centri soggetti erano infatti obbligati ad esportare i loro
prodotti unicamente verso la città dominante. Ed ancora: tutte le granaglie dovevano essere macinate
soltanto nei molini pubblici o signorili: affinchè i proventi doganali confluissero, direttamente od
indirettamente, verso la dominante. Il che, trattandosi di importanti aspetti di un quadro economico
generale, è facilmente comprensibile. Ma lo stesso criterio veniva adottato, e ciò parla chiaro sulla
durezza del sistema, anche nei confronti di aspetti di dettaglio. Firenze, in una determinata circostanza di crisi congiunturale, proibl per esempio la realizzazione di una fornace a San Godenzo (un
piccolo comune di montagna) perchè temeva di perderne la produzione di castagne o di legna. E le
delibere dei vari centri dominanti sono piene di obblighi ed episodi di questo genere.
Passo ora a dare qualche cenno sul secondo dei casi: quello che concerne il doppio ordine di eventi
che determinavano significative modificazioni nel sistema normativo di un centro dominante.
Analizziamone brevemente un primo aspetto: quando cioè quel centro cadeva sotto altro polo di
potere. Illuminante e quasi paradigmatico, in tal senso, è il sistema adottato dai Visconti nel lungo
processo di costruzione di quella potente formazione politica che, sia pure sostanzialmente fondata
sul pluralismo dei gruppi di potere delle città, aveva tuttavia caratteristiche di vero e proprio stato
unitario lO • Indipendentemente dal fatto che un centro (soprattutto una città) fosse passato nelle loro
mani a seguito di vera e propria conquista, o, invece, per effetto di una formale e più o meno
spontanea "dedizione", veniva imposto a tale centro, quale primo atto ufficiale, una completa
9 Questi centri, pertanto, non avevano caratteristiche e prerogative di vere città. Mancavano loro alcuni fondamentali
diritti di ordine giurisdizionale, amministrativo, e politico. Su tale argomento si veda, tra l'altro, anche se referito ad epoca
più tarda, Egemonia fiorentina ed autonomie locali nella Toscana nordoccidentale del Primo Rinascimento: vita, arte,
cu/Jura. Pistoia (19781). Richiamo inoltre: Franchetti Pardo V., Storia dell'urbanistica ecc., cit., pagg.65-79 e relative
note.
IO Sull'argomento si veda: Cognasso F., Note e documenti sulla formazione dello stato visconteo, in: Bollettino della
Società Pavese di Storia Patria, a.XXIII, 1923 I-IV; inoltre il più recente Chittolini G., La formazione dello stato regionale
e le istituzioni del contado. Secoli XIV e XV, Torino 1979.
44
Vittorio Franchetti Pardo
revisione dei suoi statuti: per armonizzarli con la nuova situazione territoriale e con la nuova area di
influenza entro cui quel centro era venuto a caderell . Il signore si arrogava inoltre il diritto e
l'autorità di emanare "decreti" ai podestà ed alle magistrature locali: che dovevano provvedere a farli
rispettare integralmente anche nel caso vi si rilevassero difformità nei confronti delle norme statutarie
locali. Imposizioni, l'una e l'altra, che non lasciano dubbi di sorta sulla condizione di subordine a cui
quella città veniva ricondotta dai nuovi dominatori. Ma, oltre a questi atti di imperio cosl evidenti,
i Visconti adottavano anche altri meno appariscenti sistemi di controllo e di ingerenza nella vita delle
città assoggettate. Nel caso di Pavia, che per importanza era la seconda (dopo Milano) tra le
principali città del dominio visconteo, vennero per esempio emanate norme che limitavano l'esistenza
e l'autonomia delle locali corporazioni di mestiere. Anche la serie di provvedimenti presi dai Visconti
in favore della formazione dello Studio (questo fenomeno però non riguardava tutte le città assoggettate: la creazione di uno Studio era evento complesso ed in certo senso eccezionale) gravavano
sull'economia della città riducendone, dunque, le potenzialità ed in definitiva il potere. Inoltre,
sempre a Pavia, venne aperta di fronte al Broletto, cioè in un'area di controllo signorile, una grande
piazza destinata allo svolgimento del mercato (quotidiano ed anche annuale): allo scopo di sottrarre
al vescovo le risorse fiscali appunto connesse con le attività del mercato che, prima, infatti si
svolgeva in aree di controllo vescovile. E provvedimenti dello stesso ordine, con finalità anche
politiche, vennero inoltre prese a Parma12 ed in altre città. Mentre, ad un livello strategico ancora
più generale, tutto il sistema idrico, naturale ed artificiale, che innervava ed articolava il dominio
visconteo (esteso a quasi tutta l'area lombarda ed in seguito anche a parte di quella emiliana ) venne
comunque progressivamente articolato e strutturato in maniera da favorire Milano e la rete dei castelli
di diretto interesse dei Visconti. I quali, tra l'altro, e sempre nella medesima linea di riorganizzazione
selettivamente signorile delle aree del loro dominio, realizzarono anche un grande parco territoriale
a loro stretto uso e vantaggio. Lo strumento fiscale, inoltre, venne applicato dai Visconti anche per
quanto concerne parti di edifici: venne tassato il numero ed il tipo di finestre. Operazioni tutte che,
nel loro insieme, modificavano sostanzialmente, come si capisce, sia la struttura sociale delle città
assoggettate, sia gli assetti e le gerarchie territoriali preesistenti: appunto in funzione di una strategia
centripeta che ad esse si sovrapponeva; o che, addirittura, ad esse si contrapponeva in forma più o
meno integrale13 •
Esaminiamo ora anche l'altro aspetto: il modificarsi del sistema normativo di un centro urbano in
conseguenza del variare della sua dirigenza politica. Si potrebbe osservare che, a sua volta, tale
mutamento non avveniva logicamente sempre nello stesso modo; e che, dunque, la molteplicità delle
situazioni storiche non dovrebbe essere ricondotta entro un unico schematico raggruppamento.
Tuttavia, ai fini che qui mi propongo, e nell'ambito geostorico cui qui mi riferisco, l'obiezione mi
sembra perdere buona parte della sua validità. Fatta eccezione per interventi singoli e puntiformi
(distruzioni, deviazione improvvisa di piccoli corsi d'acqua, improvvisi rafforzamenti difensivi di un
edificio e cose simili), gli effetti di un mutamento normativo incidono significativamente sul tessuto
insediativo soltanto in tempi mediolunghi: dell'ordine, cioè, di un ventennio all'incirca. Ora, per
quanto concerne le principali città ad ordinamento comunale, i ricambi transitori di forma istituzionale (per esempio la vicenda del Castracani a Lucca, quella del Duca d'Atene a Firenze, quella dei
Tarlati ad Arezzo, ecc.) non hanno in genere intaccato a fondo l'assetto normativo esistente; del
11 Rovida A., Statuti urbani e ruolo delle città nella politica territoriale dei Visconti, in: Franchetti Pardo V., Elementi
di territoialità ecc., cito In alcuni casi il duca imponeva di attenersi agli statuti di altre città (spesso venivano indicati gli
statuti della città di Pavia).
12
Cognasso F., Istituzioni comunali e signorili di Milano sotto i Visconti, in: Storia di Milano, Milano 1955,
vol.VI,p.III; e Il Ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria in: Storia di Milano, Milano 1955, vol.V; Banzola
V., (a cura di), Parma la città storica, Panna 1987; Franchetti Pardo, V., Storia dell'urbanistica. Dal '300 ecc., cito pagg.
161,162 fig., 163 fig.
13
Franchetti Pardo, V., Storia ecc., cito pagg. 153-155
Componenti territoriali e segnali politici [... ]
45
quale, anzi,i nuovi dominatori (i "tiranni") si sono in genere serviti per affermare il loro potere. E
d'altro canto, sull'altro versante istituzionale, cioè il versante dei sistemi signorili, la linea che ha
condotto alcune potenti famiglie ad affermare la loro signoria su di una certa città ( e da Il sulle altre
che sono andate a costituire il suo dominio), tra il XIII ed il XIV secolo si era in genere ormai
stabilmente affermata!4. E delle modalità con le quali un sistema signorile riusciva ad incidere
sull'assetto urbano e sulla vita delle città soggette ho già parlato. Dunque, in sostanza, l'analisi degli
effetti prodotti in un tessuto insediativo di rango urbano dalla variazione nella dirigenza politica, può
essere legittimamente ristretta ad un unico scenario: quello del ricambio del gruppo di potere
all'interno di un medesimo ordinamento oligarchico-comunale. Tenendo oltre tutto conto, poi, che
tale ricambio, anche se traumatico e talvolta sanguinoso, avveniva pur sempre tra esponenti di
famiglie i cui interessi erano fortemente legati a quella città. È quindi evidente che tali effetti non
investivano mai l'intero corpus normativo, ma solo quelle parti di esso che più erano legate alla
strategia insediativa e territoriale del nuovo gruppo dirigente. Tra gli aspetti più significativi ed
incisivi in termini di immagine urbana va registrato il precisarsi di nuove tipologie edilizie. In
particolare nelle città comunali, e non importa se di matrice ghibellina o guelfa, a partire dalla metà
circa del Duecento, si manifesta la tendenza a diminuire considerevolmente l'altezza delle torri (vi
sono naturalmente eccezioni: si pensi a Bologna ed in parte a Pavia!) che venivano commisurate a
quella di certi elementi considerati significativi: la torre del palazzo comunale, campanili di alcune
chiese ecc. Cosl Firenze, fatta eccezione per la torre comunale, non consentiva che le torri fossero
pi alte di 5 braccia (circa 25 metri); decretando dunque l'abbattimento delle parti eccedenti. San
Gimignano, il cui tessuto cittadino era fortemente dislivellato, preferl dare un riferimento unico: la
torre "roniosa" del palazzo pubblico. Col risultato che le torri assunsero altezza differente. Inoltre,
soprattutto a danno di città assoggettate (ciò per esempio registrato per Pistoia dopo l'assoggettamento
a Firenze), si proibiva la costruzione sulle torri di manufatti lignei (terrazzature e collegamenti tra
torri diverse) che facevano della torre stessa un punto fortificato di magnati o consorterie potenti.
Altrove si stabiliva che al piano terreno delle torri si dovevano aprire porte di una certa ampiezza,
e cosl via. Ma si agiva anche in altre direzioni. Tra i criteri più seguiti vi era quello di vietare ogni
transazione con esponenti della parte avversa; e, comunque, quello di porre qualche filtro di ordine
fiscale ai forestieri che intendevano stabilirsi in città. La costruzione di un nuovo immobile, od anche
la stipulazione di un contratto d'affitto, da parte di non cittadini o non "terrazzani" ( a seconda del
tipo di centro) era vietato a chi non pagava un certo ammontare di tasse. Perchè, si pensava, gli
stranieri, come sottolineato negli statuti della toscana cittadina di Montaione, "fanno danni assaL ..poi
si vanno con Dio" .
Vi è ora da parlare dei criteri di decoro urbano che, a partire dalla metà del XIII secolo, compaiono
in tutti gli statuti ed in tutte le normative dei centri a carattere urbano. Sono criteri che tendevano a
presentare gli edifici e gli spazi cittadini come espressione di ordine, di benessere, di potenza
economica, di sviluppo artistico. Le norme emanate a queste finalità toccano dunque, entrando nei
dettagli, quasi tutti i settori della vita economica: la possibilità di espropriare il vicino per la realizzazione di un palazzo di prestigio, la forma e la dimensione dei banchi delle botteghe, la qualità e la
dimensione dei materiali da impiegarsi nelle costruzioni edilizie più significative, l'obbligo di
illuminare certe parti della città, ecc. Ed il tutto, come già detto, si intersecava poi con i criteri di
gerarchizzazione selettiva dei luoghi della città in rapporto alla loro rappresentatività pubblica; e ciò
anche in materia di costume morale: le attività disdicevoli non dovevano svolgersi nei luoghi emblematici della città.
14 Mi riferisco alle signorie dei secoli XIII e XIV. Le più tarde forme di signoria sviluppatesi a partire dal Quattrocento presentano caratteristiche diverse, quasi di anticipazione dei principati cinquecenteschi. Tipico, in tal senso, il
sistema urbinate o, per altro verso, il caso del sistema di potere mediceo nell'età compresa da Cosimo il Vecchio a
Lorenzo; un sistema che viene infatti defInito "principato occulto".
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Vittorio Franchetti Pardo
Sistemi decorativi e condizione politica e territoriale
Da quanto sin qui brevemente esposto appare con chiarezza che il complesso di norme e provvidenze
dei centri tardomedievali, urbani e quasi-urbani, dell'Italia centrosettentrionale tendeva, oltre che a
regolarne la vita, anche a dare di tali centri un immagine complessiva e, in definitiva, emblematicamente idelogica. Diviene cosl indispensabile indicare brevemente anche i metodi (normativi e di
prassi) che tali centri utilizzavano a tale scopo. In particolare interessa qui di mettere in evidenza
come i gruppi dirigenti dei singoli centri si siano giovati di particolari "maniere" architettoniche e di
veri e propri "sistemi decorativi" per diffondere verso l'esterno, implicitamente od esplicitamente,
specifici messaggi di ordine politico ls . A seconda dei casi tali sistemi erano costituiti da complessi
di elementi che interessavano o solo parti esterne di un complesso edilizio, o solo parti interne, o
l'insieme di parti esterne ed interne.
La scelta di alcuni, invece di altri, modelli e tipi di alcune parti architettoniche; il modo di aggregarne gli elementi; la predilezione per certe tecniche o consuetudini costruttive e decorative; il
deliberato loro montaggio sintattico; e cosl via; questi, insieme ad altri, sono elementi strettamente
connessi ad una prassi edilizia che dipendeva in larga misura dalle scelte del committente: perchè
perfino il ricorso ad uno piuttosto che ad altro artista, l'incarico progettuale essendo conferito dal
committente, altro non è, al fondo, se non un sistema che permette al committente stesso di appropriarsi, o di identificarsi, (per delega) con le scelte di linguaggio architettonico di quell'artista. È
dunque corretto interpretare quei sistemi e quei metodi come veri e propri segnali emessi dalla
committenza: tanto in riferimento ad una singola città, quanto al sistema territoriale da essa dipendente. In definitiva l'adozione di un sistema decorativo era dunque un'ulteriore modo di segnalare
l'effetto di proiezione di un polo dominante sul territorio dominato. Perciò in Italia, sempre per l'età
tardo medievale, la diversa natura istituzionale dei poli (di tipo signorile o di tipo comunale, e
perfino di tipo monarchico-imperiale), non dava luogo a comportamenti differenziati e distinguibili.
Ciò detto: quali erano le modalità, gli strumenti, gli oggetti e le occasioni della diffusione di un
sistema decorativo nel quadro dell'edilizia pubblica, semipubblica e privata di quel tempo? E chi
erano i committenti? La risposta alla seconda domanda è semplice. Nel caso dei centri di potete
signorile o monarchico era lo stesso signore a stabilire i codici da adottarsi (ne sono casi paradigmatici i criteri morfotipologici adottati nella realizzazione delle rispettive reti di castelli, sia dai Visconti,
sia, ancor più, da Federico II. ). Invece nei centri di tipo comunale i committenti erano i principali
gruppi politici ed economici: perchè, tramite le strutture corporative od altre forme di organizzazioni
laiche e religiose, quei gruppi influenzavano, identificandovisi, le istituzioni pubbliche e la prassi da
queste seguite nelle iniziative finalizzate alla realizzazione di complessi edilizi: sia quelli per il centro
dominante, sia quelli per gli altri centri del dominio.
Un aspetto particolarmente evidente quello connesso con l'uso di particolari materiali e con le
rispettive tecniche di impiego. Scegliendo esempi nell'ambito toscano si constata facilmente che l'uso
della pietra forte, di colore grigio-giallastro, è un dato ricorrente per l'edilizia pubblica (mura, porte,
ecc.) delle città di Arezzo, Firenze, Pisa e dei centri loro soggetti. Anche se poi le modalità di
U Uso qui il "concetto di maniere" nel senso di comportamento complessivo che gli attribuisce in particolare Norbert
Elias (La società delle buone maniere, trad.it.-.Bologna 1981). La defmizione da me usata di maniere architettoniche non
ha pertanto, qui, il significato che gli viene di solito attribuito dagli storici dell'arte: Per il concetto di "sistema decorativo"
si veda, ad esempio, Labrot G., Baroni in città, Napoli 1979. l concetti ivi contenuti, anche se riferiti al XVll-XVIll secolo
possono essere applicati anche per il tardo medioevo. Inoltre richiamo qui i miei seguenti saggi: Sce1Je cu1Jurali e ideologia
territoriale, in: Pistoia: una città nello stato mediceo, Pistoia 1980; L'architettura toscana del Seicento, in: Bollettino del
Centro internazionale di studi di architettura. Andrea Palladio, XXXIll, 1981, pagg. 99-117; Gli spazi del quotidiano:
l'abitazione privata, in: Bertelli S., Crifo G., Rituale cerimoniale etichetta, Milano 1985, pagg. 111-126; Segnali
architettonici e riconoscibilità politica di un territorio, in : Marie-VigueurJ .C. , D'une ville à l'autre: structures matérielles
et organisation de l 'espace dans les villes européennes (}Ulle - XVIe siècle), Rome 1989.
Componenti territoriali e segnali politici [...]
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impiego di tale materiale, (e in parte anche talune sue differenze di consistenza ,di grana e di colore,
pur nell'ambito di una medesima categoria tipologica) davano luogo a paramenti murari omologamente monocromi ma di effetto sottilmente diverso da città a città. Ma in area senese si ricorreva invece
con frequenza all'uso promiscuo di materiale lapideo (in genere di colore biancastro, stante il
frequente impiego del travertino tipico della zona) e di elementi in laterizio (di colore rosso-aranciato). Ottenendo cosl vivaci effetti di decorazione bicroma basati sul principio di destinare ciascuno dei
due materiali, rispettivamente, solo a talune, e non altre, parti costruttive. Cosl risultano nettamente
riconoscibili, quasi come separate da uno spartiacque territoriale, le due zone della Toscana, distinte
anche geologicamente, cioè l'area del "macigno"(appunto la pietra) e l'area delle crete (da cui il largo
impiego del laterizio), sulle quali dominavano, rispettivamente, Firenze e Siena. Dunque, nella
Toscana medievale, ma il discorso vale anche per l'area viscontea (e poi sforzesca) come per altre
aree, materiale e tecnica d'impiego sono da considerarsi veri e propri elementi di un codice o sistema
figurativo: un sistema capace di emettere segnali territoriali. Si va anzi ben oltre. In materia di
cerchie urbane è facile constatare che la struttura e le articolazioni delle cortine, e soprattutto delle
porte, ripropongono la medesima partizione territoriale. Il modello fiorentino, forse riferibile a
precisi architetti (Arnolfo? Andrea Pisano?) viene echeggiato in modo inconfondibile nei centri di
fondazione od influenza fiorentina: nel Valdarno superiore, nel Mugello, ecc. Altrettanto, con
riferimento a modelli senesi, accade per l'area senese; ed in particolare, è questo un dato assai
significativo, proprio per i centri più prossimi alla linea di confine con il territorio del dominio
fiorentino. Ma il fenomeno riguarda anche altri tipi di edifici, quali i palazzi pubblici, le cui caratteristiche di "politicità" simbolica erano (e sono) ancora più evidenti. Firenze faceva costruire i palazzi
pubblici dei suoi centri soggetti in modo che imitassero od echeggiassero il palazzo pubblico
fiorentino. Ed altrettanto accadeva sul versante senese. La stessa situazione si riscontra passando
dall'analisi delle caratteristiche di interi complessi all'analisi dei loro elementi architettonici. Particolarmente significativa, in tal senso, i sistemi (ad un tempo di ordine statico e decorativo) arco pilastro ed arco - mensola usati in varie combinazioni. La ripetizione, e sovrapposizione, del primo
sistema per due o tre volte (con archi molto ribassati: quasi piattabande), dà luogo ad una sorta di
intelaiatura a gabbia; con effetti ad un tempo costruttivi e decorativi, che marcano e contraddistinguono le case torri di matrice (in senso costruttivo ma anche in senso ideologico) pisana. Infatti fuori da
tale area, o da aree in cui Pisa ha esercitato il suo dominio, praticamente non si trovano esempi
dell'applicazione di questo sistema. In area senese la relazione tra l'ampiezza dell'arco e la sua
altezza (in termini tecnicamente più precisi: la relazione tra corda e freccia dell'arco) rinvia ad un
triangolo equilatero. Tale relazione non è invece riscontrabile nè in altre parti della Toscana, nè in
Umbria: zone, l'una e l'altra, come ben si sa confinanti od in stretta relazione con centri di area
senese. Ed ancora: la ghiera disegnata dai conci che costituiscono i due semiarchi del sesto acuto si
presenta, area per area, con forma e risalto diversi. Altrettanto si osserva poi, nelle porte degli edifici
due-trecenteschi, per la mensola di sostegno dell'architrave o piattabanda interposta tra piedritto
murario ed arco di scarico (cioè l'arco a sesto acuto che consente la sottostante apertura). La sua
configurazione è varia. In molti casi la mensola, a finitura liscia, disposta a filo del muro e rivolta
verso il vuoto dell'apertura (per diminuire la luce della piattabanda), appare come semplice raccordo
tra il piedritto ed il sistema arcuato. In altri casi essa assume ben maggiore importanza assolvendo
ad un preciso ruolo decorativo e simbolico: di essere cioè il luogo ove figuravano scolpiti fregi e
stemmi araldici destinati a significare quasi veri e propri marchiature, l'area politica di appartenenza
di quell'edificio e della zona cui esso apparteneva.
Precise descrizioni di tali elementi e di tali sistemi costruttivi e decorativi sono contenute in alcuni
contratti di appalto che ci sono pervenutP6. Dunque ci troviamo di fronte ad una prassi deliberata:
16
Testi di allocazione di lavori sono contenuti in molti studi sull'architettura medievale. Non è qui possibile
richiamarli in modo organico ed esaustivo. Per il caso fiorentino mi limito a richiamare le opere ancora valide di Braunfels
W., Mittelalterliche Stadtbaukunst in der Toskana, Berlin 1953; e di Richter M., Die "Terra murata" in florentinischem
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Vittorio Franchetti Pardo
l'adozione esplicita di un vero e proprio codice architettonico; tramite il quale si volevano diffondere
i riconoscibili valori dell'immaginario, politico e territoriale, ideologicamente costruito ed elaborato
dai gruppi dirigenti di ogni centro dominante. Quello stesso immaginario cui i centri soggetti
dovevano adeguarsi e che da loro veniva assunto come segnale di fedeltà ed appartenenza. È quasi
un luogo comune, in tal senso, ricordare che sia Pisa, nell'età della sua massima potenza ed espansione, sia Venezia, enunciavano chiaramente, con le scelte architettoniche, il loro rapporto con la
cultura e con i mercati dell'oriente mediterraneo. Altrettanto luogo comune notare che, di conseguenza, i "sistemi decorativi" rispettivamente adottati hanno caratterizzato coste ed isole del Tirreno e del
Mediterraneo laddove le due città hanno fissato i confini del loro "territorio" di mare.
Gebiet, in: Mitteilungen des Kunsthistorischen lnstituts in Fiorenz, Firenze, giugno 1940, pagg.351-386.
Componenti territoriali e segnali politici [...]
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ABSTRACT
Vittorio Franchetti Pardo
Territoriale und politische Aspekte in den Richtlinien und Bauvorschriften der mittelalterlichen
Zentren in ltalien.
Zwischen dem 13. und 14. Jahrhundert sammeln fast alle italienischen k1eineren und grOBeren
Zentren als Corpus die ihrer politischen, sozialen, administrativen und wirtschaftlichen Organisation
zu Grunde Iiegenden Normen und Gebdiuche.
Mit diesen normalerweise unter dem Namen Statuten bekannten Corpora haben sich zahlreiche
italienische und ausHindische, darunter besonders deutsche Historiker beschaftigt.
Dieser Beitrag, der in die gro6e Reihe von Untersuchungen zu diesem Thema einzureihen ware, stellt
sich insbesondere zur Aufgabe, die Statuten der mittelalterlichen Zentren Italiens im Hinblick auf den
aus ihnen ersichtlichen Zusammenhang zwischen der inhaltlichen Struktur der Statuten der Stadtrepubliken und den entsprechenden territorialen Verhliltnissen zu analysieren. In diesem Rahmen
werden auch jene Ma6nahmen untersucht, mit denen es den gro6eren Zentren gelang, k1einere sowie
ehemals eigenstlindige, dann aber unterworfene Zentren zu beherrschen. Beispielhaft werden zwei
verschiedene Typen von Stadtzentren vorgestellt: An die Territorialpolitik der Visconti gebundene
Stadte der padovanischen Ebene (Mailand, Pavia, Parma, etc.) sowie einige Stadtzentren der
Toskana, die unter dem Einflu6 oder der Herrschaft der gOBeren Stadtrepubliken standen (Florenz,
Siena, Pistoia etc.).
Eine detaillierte Analyse stellt deutlich die Differenzen in den einzelnen Statuten zwischen typisch
urbanen oder eher landlich orientierten Zentren heraus. Offensichtlich kann man den Gebrauch
bestimmter Bauformen symbolisch als Zeichen fiir die Verbreitung der Werte und Ideologien der
bestimmenden Stlinde der herrschenden Stadte verstehen. In diesem Sinne werden sowohl die
einzelnen fiir die dominierenden Stadte typischen "Dekorationssysteme", als auch die Syntax und die
architektonische Sprache einiger der bedeutendsten Gebliudekomplexe analysiert.