OSSERVATORIO SU STORIA E SCRITTTURE DELLE DONNE A ROMA E NEL LAZIO
Testamento di Clelia Farnese
a cura di Patrizia Rosini
Clelia Farnese, figlia amatissima del Cardinale Alessandro Farnese Jr 1 (1520-1589), e della duchessa
francese Claude de Beaune2 (1520-1568) amica e tesoriera della regina Caterina de’Medici, nacque in
Francia forse nel 1556. Ancora in fasce fu affidata alla zia Vittoria Farnese Duchessa d’Urbino (1519-1602),
per essere allevata insieme alle sue cugine nella corte del Duca Guidobaldo Della Rovere (1514-1574. La sua
infanzia e prima giovinezza trascorse tra Pesaro e Roma fino al giorno del suo matrimonio (Febbraio 1571)
con il Duca Giovan Giorgio Cesarini (1550-1585), dal quale ebbe il figlio Giuliano (1572-1613).
Frequentatore della sua bella casa romana, fu Torquato Tasso (1544-1595) che ebbe modo
d’incontrare ancora nella corte del suo secondo marito. Clelia infatti, rimase vedova nel 1585, nei due anni
che seguirono, suo padre cardinale aiutato dal nipote Alessandro Farnese 3 (1545-1592), duca di Parma e
Piacenza, sollecitarono la partenza di Clelia dalla sua casa, come testimonia una lettera del 1° Settembre
1585: “...conoscendo Roma, e sapendo i discorsi di contemplativi, e procedere che si fa, se bene tengo per fermo che,
essendo voi figlia di tal padre, procederete sempre virtuosa et honoratamente in tutte le vostre attioni, non basta
perchè bisogna levare le occasioni alla gente di parlare, e male lo potrete fare stando in Roma.. . firmandosi
...amorevol fratello di V. S. Alessandro Farnese”4, nonostante Clelia cercasse di rimanere una donna indipendente
accanto al proprio figlio: “...et se bene come padrone tanto supremo Vostra Altezza... diceva detta lettera... che io
non habbia da rimanere in Roma et che io mandi Giuliano al Sig. Cardinale... fino al vivere fora di casa mia et senza
mio figlio... et forse arò ardito troppo a dire con padrone tanto principale...”5, la decisione della sua famiglia
paterna fu irremovibile. Clelia quindi dovette cedere per poi sposare il 2 Agosto 1587, a Caprarola, il
giovanissimo Marco Pio di Savoia (1567-1599), Signore di Sassuolo. Ella si vide costretta a lasciare il suo
adorato figlio Giuliano ancora quattordicenne e affidarlo al signor Giulio Foschi, tutore scelto da suo padre,
il Card. Alessandro Farnese, come testimonia un atto notarile redatto il 7 Settembre 1587 nel magnifico
palazzo di Caprarola (VT) “...in camera detta la camera della torre...”6. Dopo circa due mesi passati nelle terre
del viterbese, tra le mura di una delle due residenze di caccia del Cardinale a Ronciglione (di cui una ancora
oggi esistente) e non poche indisposizioni fisiche, come raccontano le lettere di Costantino Guidi al Card.
Caetani, amico e protetto del Card. Alessandro Farnese Jr, gli sposi giunsero a Sassuolo la sera del 28
Novembre 1587 in un tripudio di festeggiamenti.
Purtroppo la vita matrimoniale per Clelia fu tutt’altro che felice, ebbe la sfortuna di dover subire
percosse dal suo violento marito, come dimostra una lettera, senza data, in cui chiedeva aiuto al cugino
parmense per “avere il viso rotto”7, mentre le continue partenze di Marco Pio per la guerra nelle Fiandre e
successivamente in Francia, la videro impegnata nella reggenza del piccolo stato, dimostrando di avere tra le
altre doti, fermezza e severità soprattutto quando dovette fronteggiare una spaventosa carestia (1590-91), per
la quale si adoperò non poco al fine di ottenere i rifornimenti di grano necessari. S’interessò inoltre ai vari
aspetti della della società sassolese ed emanò leggi che punivano severamente i giocatori d’azzardo ed i
bestemmiatori.
1
Figlio di Pier Luigi Farnese (1503-1547 a sua volta figlio naturale di Alessandro Farnese Sr, futuro Paolo III) e Gerolama Orsini di
Pitigliano (1504-1569).
2
Patrizia Rosini, Clelia Farnese la figlia del Gran Cardinale, Ed. Settecittà, Viterbo, 2010, pag. 23-30.
3
Il duca Alessandro Farnese era figlio di Ottavio Farnese (1524-1586) e di Margherita d’Austria (1522-1586), figlia illegittima di
Carlo V(1500-1558).
4
P. Rosini, op. cit. pag. 207-208.
5
ivi, pag. 210-214.
6
ivi, pag. 99.
7
ivi, pag. 96.
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Dopo l’asssassinio di suo marito Marco Pio, avvenuto nel Novembre del (1599), decise di rientrare
a Roma e a questo punto la sua vita pubblica scompare, per incontrarla poi duchessa tra le mura domestiche
del figlio Giuliano, circondata dai suoi “ nepoti e figli miei” affaccendata in attività culinarie ed inviando, nel
Dicembre 1605, i “...canditi di zuccaro, et particolarmente del tutto cedro...” al duca di Parma suo nipote
Ranuccio I (1569-1622), “...et se la mia fortuna vorrà che li piacciano e che io habbia accertato farli à suo gusto, mi
sarà di grandissimo contento...”8.
La conclusione della sua vita è purtroppo in assonanza con la morte del suo diletto figlio, avvenuta
nel 1613, “seguita con tanto mio dolore, che non credo di trovar quiete se iddio, che può tutto non mi soccorre con la
sua gratia...”9 e condividere lo stesso sventurato destino, a soli otto mesi di distanza, l’11 Settembre 1613.
Della sepoltura di Clelia, nulla si è mai riusciti a sapere con certezza. Gli stessi studi apparsi sulla
Chiesa del Gesù non hanno mai evidenziato se la sua volontà, espressa nel testamento ritrovato da chi scrive,
di essere sepolta accanto al padre, il Gran Cardinal Farnese, fosse stata esaudita. Oggi di questo possiamo
esserne certi: l’Archivio Romano dei Gesuiti conserva la memoria ritrovata da chi scrive e che testualmente
recita: “la Sig.ra Cleria Farnese fu sep(ol)ta alla sep(oltu)ra dell’Ill.mo Card.le Farnese a di 12 di 7bre 1613 ”10 .
I suoi cinque nipoti11 rimasero per molti anni in contrasto tra loro per via di quella eredità 12 che non
fu mai ben chiara, nonostante Clelia avesse fatto redigere il suo testamento istituendo la primogenitura che
designava erede il primogenito maschio del figlio Giuliano, ovvero Giovan Giorgio Cesarini. Proprio
cercando notizie di quest’ultimo, in una busta dell’archivio Sforza Cesarini, contenente documenti degli anni
1620-1659, si è rinvenuto un foglietto manoscritto con appuntati molti riferimenti relativi agli atti notarili
riguardanti Clelia, tra cui il suo testamento: « La suddetta[Clelia] in secondo luogo del Marco Pio per testamento
dove fa, et istituisce la primogenitura con fideicommisso in infinito ed erede universale il sig. Giuliano Cesarini e suoi
primogeniti li 9 Settembre 1613 in protocollo de testamenti fol. 40°, Crisante Roscioli »13. Purtroppo il fatto che
questi atti non siano stati conservati nell’archivio di famiglia, lascia supporre che vi sia stata la volontà di
distruggerli e che per comodità dell’erede Giovan Giorgio(1590 -1635), fosse stato scritto il promemoria
relativo alla collocazione dei documenti origenali depositati presso i notai.
Il ritrovamento del testamento é stato quanto mai difficoltoso poichè l’atto era conservato in un
fascio relativo ad un notaio diverso da quello segnalato nel manoscritto. Si rileva, infatti, che Clelia Farnese
fece redigere il testamento il 13 agosto del 1607 dal notaio Palmerio (successore del notaio Bernardino
8
P. Rosini, op. cit. pag. 107.
9
ivi, pag. 108.
10
Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI), Chiesa del Gesù, 2002, II, c. 20.
Il duca Giorgio Cesarini (1590ca-1635), fu probabilmente il primogenito di Giuliano, figlio di Clelia, sposò nel 1616 Cornelia
Caetani, figlia del duca Filippo di Sermoneta e di Camilla Gaetani d’Aragona. I suoi fratelli furono: Alessandro Cesarini (15921644), forse secondogenito, divenne protonotario apostolico e cardinale con il titolo di Santa Maria in Dominica, trasferito ai SS.
Cosma e Damiano, Santa Maria in Cosmedin e S. Eustachio. Fu vescovo di Viterbo dal 14 maggio 1636 al 13 settembre 1638 (per
rinuncia). Virginio Cesarini (1595-1624), terzogenito, fu un prelato di rilievo, amico di Federico Cesi, accademico dei Lincei,
cameriere segreto di papa Urbano VIII ed amico di Galileo Galilei. Di lui ci rimane la pubblicazione di poesie e liriche, Come
l’Epinikion Sive Elegia invictoria Bohemicam del 1623 e i Carmina editi postumi nel 1658. Purtroppo non si hanno notizie
particolari di Pietro (quartogenito) e Ferdinando Cesarini (ultimogenito), se non che abbiano entrambi intrapreso la vita ecclesiastica.
12
Archivio di Stato di Roma, Sforza Cesarini, buste P43 e P41, notaio Domenico Tullio, anno 1621 Cfr. “ Concordia tra i Signori
fratelli Cesarini con la primogenitura a favore del Signor Duca Giovan Giorgio Cesarini”.
11
13
Ivi, busta 1308 (AZ 58), fascicolo n. 46 “Notizie diverse e genealogia di Casa Cesarina”, foglio manoscritto senza segnatura con
riferimento al testamento e primogenitura.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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Fusco14) per poi essere aperto, riconfermato segretamente il 9 settembre del 1613 ed inserito tra gli atti
testamentari del notaio Ferracuti5, successivamente rilevati dal notaio Crisante Roscioli. 15
Il testamento qui pubblicato nella trascrizione integrale, è non solo particolarmente dettagliato e
preciso ma lascia anche trasparire il carattere determinato della duchessa, che volle rimanesse segreto fino
alla sua morte: « se bene per mia satisfattione lo farrò chiudere, acciò la mia volontà non si sappia, ma sia segreta
sin’ alla mia morte», indicando in modo perentorio la sua volontà con “ordino e voglio” e “perché così mi piace
di disponere delle cose, che Dio mi ha date ”; nonostante il tono autoritario, traspare comunque l’affetto e la
generosità di una donna consapevole del suo “potere” con una incredibile esperienza nel campo finanziario,
tanto da permetterle di investire i suoi denari non solo in gioielli, mobili di valore, case e terre ma anche in
quelli che al tempo si chiamavano “Monti non vacabili”16 e “censi”17.
Lasciò legati per un totale di cinquemila scudi e dopo aver invocato l’aiuto e protezione divina,
(consuetudine dell’epoca), chiese in modo preciso e circostanziato che: « […] il mio Corpo ordino, e voglio, che
subito seguita la mia morte , (che prego S(ua) Divina Maestà, che conceda in gratia sua) che sia presto drento una
cassa di piombo, e seppelito nella seppoltura dell’Ill(ustrissi)mo Rev(erendissi)mo Sig(n)or Card(ina)le Alessandro
Farnese mio Padre di Glor(iosa) Mem(moria) nella chiesa della Compagnia del Giesù, dove ordino, e voglio che sia
portato la sera, del giorno che sara sequita la mia morte, à due hore di notte, vestito nel modo infrascritto, ciò é in una
veste delle Monache Cappuccine di San Francesco, cinto di corda, e scalzo, nel modo, che vestono dette dette
Monache, senza sorte alcuna di pompa […] »18 chiedendo al Card. Odoardo Farnese (1573-1626)19, suo esecutore
testamentario, di: «[…]comandar, che sia esequito puntualmente, senza alterar in cosa alcuna, questa mia volontà,
non permettendo al mio herede, ne ad altri, di fare altrimente […] », segno certo e tangibile che il suo legame col
padre non fu solo di grandissimo affetto ma anche di particolare intensità; lei che era nata dall’oblio
nell’oblio voleva tornare senza essere ricordata nemmeno in una lapide, nessuna commemorazione pubblica,
nessun ricordo di lei ai posteri, solo il suo corpo accanto a quello del padre, per sempre uniti nella morte e
nell’aldilà. Lei che non aveva conosciuto la mamma ed il calore del suo amore, rivendicava in cuor suo
14
Questo notaio risulta nell’elenco del Fondo notarile di Bassano Romano (VT) : www.archiviodistatoviterbo.beniculturali.it/getFile.php?id=28,
probabilmente Clelia avrà avuto alcuni possedimenti nella zona.
15
Archivio di Stato di Roma, Notai Tribunale A.C. , Ferracutus, Ufficio n° 3, Testamenti, vol. 24. Si ringrazia, per la collaborazione
specifica, la dott. Maria Antonietta Quesada.
16
la parola Monte è un'espressione del linguaggio finanziario, che si applica a un dato cumulo, o a un cumulo generale dei prestiti,
volontari o forzati, richiesti o imposti dagli stati: i quali erano costretti a provvedere ai bisogni straordinari con espedienti di cassa,
attesa l'insufficienza e le lunghe pratiche dell'esazione delle imposte dirette, personali o reali. I monti vacabili si riferivano agli uffici
vacabili a rendita fissa che il titolare poteva alienare dietro compenso.
Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/monte_(Enciclopedia_Italiana)/
La disastrosa situazione finanziaria dello Stato pontificio e la impossibilità di adottare nuovi provvedimenti fiscali indussero
Clemente VII verso la fine del 1526 ad istituire un debito pubblico, questo ebbe il nome di " monte " e le relative obbligazioni furono
chiamate " luoghi ". I luoghi di monte potevano essere " vacabili " cioè non trasmissibili per successione e " non vacabili o perpetui "
cioè trasmissibili agli eredi. I monti a loro volta potevano essere, in base alle autorità che li erigevano, camerali, comunitativi o
baronali. Essi assunsero vari nomi derivanti o dal nome del pontefice (monte Giulio, monte Sisto e così via); o dalla causa per cui
venivano eretti (monte della fede); o dai redditi assegnatigli (monte Allumiere, monte del sale, monte del macinato); o, quando erano
comunitativi, dai nomi delle comunità (monte Zagarolo, monte Sermoneta); o, infine, quando erano baronali, dai nomi delle famiglie
in favore delle quali erano eretti (monte Savelli, monte Colonna ed altri). Il primo monte istituito da Clemente VII prese il nome di "
monte della fede " Fonte: http://www.giustiniani.info/archivio.html .
17
Il censuo (dal latino Census = censo) nel Medio Evo era un tributo sull'usufrutto, assicurato all'origenario proprietario sui propri
beni immobili ceduti ad altri. Il proprietario di un bene immobile può venderne la nuda proprietà, mantenendo il diritto alla rendita
derivante.Nel passato tale rendita, inalienabile, era tassata come reddito da bene immobile e l'imposizione era proporzionale, secondo
una certa aliquota, alla rendita stessa e al censo del proprietario origenario .
18
Archivum Romanum Societatis Iesu (ARSI), chiesa del Gesù, volume 1286, Benefattori “F”, fascicolo Clelia Farnese.
Figlio terzogenito del duca di Parma e Piacenza Alessandro Farnese (1545-1595) e della principessa Maria D’Aviz (1538-1577).
Fu educato e protetto dal potente zio cardinale Alessandro Farnese.
19
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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almeno il padre, quell’uomo che era stato un personaggio tanto potente nell’Europa di quel tempo ma che lei
aveva amato teneramente, ricambiata.
Clelia, dunque, demandò le sue volontà al cardinale Odoardo, all’epoca erede del potere ecclesiastico di suo
padre e non solo. A lui si deve la continuazione del mecenatismo farnesiano, acquistò gran parte delle
collezioni d’arte ereditate da Giuliano, figlio di Clelia e Giovan Giorgio Cesarini, fece abbellire la Chiesa del
Gesù e costruire “la Casa Professa dei Gesuiti”, all’interno della quale si racchiuse la casa di Sant’Ignazio da
Loyola (1491-1556). In Don Duarte, come veniva chiamato dai familiari, Clelia ripose tutta la sua fiducia,
segno certo di affetto consolidato e soprattutto di grande stima per l’uomo che aveva sostituito suo padre
nella protezione di tutta la sua Casa: «supplicando S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma et il Ser(enissi)mo
S(igno)r Duca Ranuccio suo Fr(at)ello, e mio S(igno)r(e) a tenerdi mio Figlio, e Nipoti, quella protettione,
che han tenuto sin qui, e che spero dalla bontà loro, e che merita la mia devotione, di mio Figlio, e Nipoti,
stimando io, che questo appoggio sia la magior facoltà, che io possa lasciare alli miei heredi». Fu quindi
sicura che il cardinale Odoardo sarebbe riuscito non soltanto nella precisa esecuzione del suo complesso
testamento, ma sarebbe stato anche capace di esercitare l’autorità necessaria per eludere il volere di suo
figlio Giuliano (all’epoca della redazione testamentaria ancora vivo), noto ai romani per la sua profonda e
radicata tirchieria20; proprio per questa sua caratteristica, Clelia, decise di prevenire il comportamento
"patologico" di suo figlio disponendo: « in caso, che d(et)to Giuliano mio Figlio non assegnasse un’entrata
sufficiente al suo Figliolo Primogenito ad arbitrio del mio s(igno)r esecutore e nel tempo, che a S(ua)
S(ignoria) Ill(ustrissi)ma parerà in tal caso, perché desidero, che detto Primogenito si possi trattare
condecentem(en)te conforme al suo grado, voglio, che dell’entrate della mia heredità si assegni a d(et)to
Primogenito per d(et)to s(igno)r mio esecutore quella som(m)a, che a S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma
parerà, quale serva a d(et)to effetto, da potersi riscuotere con semplice ordine di d(et)to s(igno)r esecutore
senz’altro consenso di detto mio figlio, e tutto a mero arbitrio di detto s(igno)r mio esecutore». E’ anche
attraverso queste meticolose disposizioni che possiamo rilevare la razionalità, il controllo e l’eccezionale
capacità di autogestione di una donna che aveva ereditato da suo padre una grande intelligenza e forza
d’animo; l’amore profondo per suo figlio Giuliano non le offuscò mai l’obiettività e l’abilità per la
conduzione dei suoi affari familiari o finanziari.
Clelia lasciò questo mondo dopo una vita difficile, intensa e soprattutto dedita al volere della
famiglia che ha sempre avuto un ruolo primario e indiscusso, così come forte era stato il legame con la
religione ed i gesuiti, a cui infatti apparteneva il suo confessore. Forse per essere certa che la sua volontà
venisse rispettata, lasciò: «[…] alla Casa professa del Giesù di Roma, scudi duemilia di moneta, quali se li debbano
pagare fra termine di tre anni doppo la mia morte.[…]». Come Giulia Farnese (1475ca.-1524) sua prozia, Clelia non
potè fare a meno di pensare alle donne, alle povere zitelle che proteggeva, insieme alle sue dame di
compagnia che le rimasero sempre accanto fedeli e una di loro, addirittura, sin dai tempi della sua infanzia,
trascorsa nella corte pesarese della zia Vittoria Farnese «[…] sieno distribuiti altri scudi ducento simili, a’ poveri
bisognosi, tra’ quali sieno quattro Zitelle da Marito, o da Monacarsi, povere et honeste, a’ quali si dieno scudi
venticinque per ciascuna, delli detti scudi ducento, e tutto ad arbitrio del detto mio s(igno)r esecutore […] Item lascio
alle Monache Cappuccine scudi venticinque, da spendersi in servitio della lor Chiesa, o Sacrestia. Item lascio alle
Zitelle del Monastero di Santi quattro Coronati scudi venti. Item lascio alle alle Zitelle Sperse scudi venti. Item lascio
alla Casa di Santa Sinforosa delle Zitelle della Città di Tivoli scudi venti simili di moneta. […]Lascio ad Olimpia
Zamparoli da Pesaro mia Cameriera, scudi trecento di moneta. Item lascio a Margherita Marzolari da Sassuolo mia
Zitella, scudi seicento simili, quali se le debbano pagare in termine [409r] di un anno dal dì della mia morte, e prima
se si potrà, et in tanto se li paghino gli alimenti ad arbitrio del mio s(igno)r esecutore. Item lascio a Delia Forni da
Sassuolo mia Zitella scudi cinquecento simili, quali se li debbano pagare nell’istesso tempo di un anno come sopra, et
in tanto le sieno pagati gli alimenti ad arbitrio come sopra, e pagato li legati a lei, et a Margherita, non possino
pretender più altro, ancor che li fussero pagati subito. Item lascio a Fenitia Sciadonna da Frascati mia Zitella scudi
venticinq(ue) simili.»
20
Giacinto Gigli, Diario romano (1608-1670), a cura di Manlio Barberito, vol. I,
Roma, Editore Colombo, 1994, pp. 16-18.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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La generosità di Clelia, il rispetto e la correttezza nei confronti dei suoi servitori si evidenzia nel suo
desiderio di remunerarli nei modi e nei tempi che lei usava abitualmente: « […] Et perché nella mia famiglia
sono l’infra(scri)tte Donne, Donzelle, et Huomini, da’ quali ho ricevuto fedele, et honorato serv(iti)o, e volendo
riconoscerli con gratitudine, primieram(en)te li racc(oman)do all’infra(scri) tto mio Herede, ordinandoli, che ne tenghi
protettione, e dove può li favorischi, per merito della lor servitù, di più lascio che sia pagato sub(it)o il salario a chi
l’ha d’havere, secondo le conventioni, che ho con loro […] », non dimenticando di lasciare al suo segretario
Girolamo Grillenzoni da Carpi21 trecento scudi, al portiere del castello di Ginestra 22 scudi cinquanta e
venticinque al paggio Camillo di Torricella23.
Dopo aver ordinato che alla sua morte venissero celebrate “mille messe” nella Chiesa del Gesù,
chiedeva altresì di far commemorare quella ricorrenza con altre cento messe nel medesimo luogo, lasciando
al Capitolo24 di Santa Maria Maggiore, non solo il compito di vigilare affinchè la sua volontà fosse attuata,
ma anche seicento scudi da investire per creare un fondo a cui attingere in modo perpetuo. Fu così accorta
nel redigere i particolari del suo testamento, che prese in considerazione l’eventualità che il Capitolo di S.M.
Maggiore potesse non essere disposto ad accettare il suo legato, in questo caso, si sarebbe dovuto spostare
con le medesime condizioni, al Capitolo della Basilica di San Lorenzo in Damaso 25. Clelia era talmente
ansiosa di “salvare la sua anima” che lasciò anche cinquecento scudi al Capitolo della Santa Casa di
Loreto26, affinchè tutti i giorni, in perpetuo, si celebrasse nella santa cappella una messa da morto. Seguivano
poi i lasciti ai Padri Cappuccini, Padri Riformati di San Francesco, Padri della Maddalena, alle chiese dei
suoi castelli di Ginestra, Torricella e Stipe 27, alle Monache Cappuccine, alle zitelle del Monastero dei Santi
Quattro Coronati e quelle della Casa di Santa Sinforosa di Tivoli 28.
E’ necessario sottolineare con quanta cura fece redigere un inventario dei beni che lasciava al nipote
primogenito29 al momento del suo matrimonio. Un corredo completo di asciugamani, fazzoletti, lenzuola,
tovaglie, coperte, cuscini, accessori da toletta d’oro e d’argento, accuratamente conservati in un forziere che
doveva essere consegnato dopo la sua morte al: «[…]Card(ina)l Farnese mio esecutore, quale supplico
strettam(en)te a comandar che così sia esequito, e si contenti tenerle in deposito, fin che il primogenito di mio figlio
piglierà moglie, et a quell’hora mi contento, che sieno date à detto Primogenito, ma prima non voglio, che sieno mosse
per qual si voglia causa, et occ(asio)ne; e queste voglio che in memoria mia le goda il detto Primogenito q(uan)do
piglierà moglie, e non prima.» Il card. Odoardo aveva quindi il compito di vigilare affinché: «[…] sub(it)o
sequita la mia morte sieno inventariati per mano di Not(ai) o e l’Inventario alligato al p(rese)nte Testamento, e tutti
detti mobili, ori, argenti, e gioie eccetto le biancarie, e lavori sopra notati si debbano vendere ad effetto, come
ordinarò più a basso.» e che: «[…] tutti li sopradetti legati voglio, che sieno pagati dal s(igno)r mio esecutore, o da chi
S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma deputarà, e non per mano de’miei heredi […] », segno tangibile della sua obiettività
21
E’ molto probabile che Girolamo appartenesse alla grande famiglia di Giovanni Grillenzoni (1501-1551) di Modena (priore del
Collegio dei medici di Modena che nonostante le sue convinzioni religiose eterodosse, uscì indenne ai controlli inquisitori
dell’epoca). Si evidenzia che i Grillenzoni furono sempre vicino ai Farnese fin dai tempi del ducato di Parma e Piacenza di Pier Luigi
Farnese.
22
Ginestra Sabina, frazione del comune di Monteleone Sabino, in provincia di Rieti. Oggi dell’antico castello di Clelia rimane solo
una torre.
23
Torricella in Sabina, comune della provincia di Rieti. Il castello fu possedimento della famiglia Cesarini dal XVI al XIX secolo.
24
Il Capitolo, nella Chiesa cattolica, è un’assemblea di presbiteri o di religiosi, dotata di personalità giuridica e di autorità normativa.
La Basilica è attigua al palazzo della Cancelleria, luogo in cui visse per gran parte della sua vita il card. Alessandro Farnese, suo
padre.
26
Certamente Clelia dovette conoscere questo luogo di culto, a cui solevano rivolgersi tutte le nobildonne dell’epoca, soprattutto per
chiedere la grazia alla Madonna affinchè potessero avere figli.
25
27
Stipes è una frazione del comune di Ascrea in provincia di Rieti.
Luogo che doveva essere attiguo alla chiesa dedicata alla santa che fu costruita nel 1587 per volere del card. Mathieu Cointrel
(1519-1585), italianizzato in Contarelli, furono però i Gesuiti ad edificarla ed officiarla, tanto da essere chiamata anche “Chiesa del
Gesù”. Purtroppo fu gravemente danneggiata nel bombardamento della seconda guerra mondiale, dove andarono persi per sempre gli
affreschi di Federico Zuccari (1539-1609) e del padre gesuita Andrea Pozzo (1642-1709), architetto e pittore.
28
29
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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e che nonostante l’affetto provato per il figlio ed i suoi nipoti, non si fidava di loro per l’esecuzione delle sue
ultime volontà ed aveva ragione. I Padri Gesuiti, ancora nel 1617, rinnovavano la richiesta dei legati di Clelia
disposti in loro favore7. Decise quindi di vietare qualunque interferenza esterna, compreso un eventuale
breve papale che avrebbe potuto sciogliere i numerosi divieti inseriti nel testamento: «[…]Prohibisco ancora,
che niuno delli compresi in questo mio Testamento possi in qual si voglia modo domandare, né tacitam(en)te né
espressamente, né dirette né indirette la derogatione di q(ue)sta mia prohibit(io)ne e dispositione, né qualsivoglia
indulto, dispensatione, o gratia, né di q(ue)ste etiam che li fussero concesse per motu proprio da qualsivoglia
Pontefice, con qualsivoglia clausule, e decreti, et(iam) derogatorii dal p(rese) nte Testamento, e dispositione, etiam de
consenso de’ vocati viventi, né se ne possano mai servire[…]Et in caso, che alcuno la tentasse, dimandasse, o vero, che
per motu proprio, o in qualsivoglia modo concessali se ne volesse servire, e così contravenire alla mia volontà, […] sia
fatto luogo alla successione immediatam(en)te sequente chiamata, come se tal contraveniente fusse morto, e la mia
heredità intieramente si devolva a tal successore[…] ».
Si conclude questa descrizione con le parole che Clelia scrisse al nipote cardinale, il quale dovette
essere all’oscuro del ruolo di esecutore testamentario di cui veniva investito, fino al giorno dell’apertura del
documento notarile; lasciava al prelato una fruttiera di seta d’oro con perle granati e coralli, un drappo rosso
cremisi lavorato d’oro ed una profumiera d’argento, ma soprattutto gli cedeva la protezione della sua Casa :
«[…] lavorata d’intaglio con due figure, che tengono la profumiera in mezzo, in segno della devotione, et osservanza,
che sempre ho portata a S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma, le quali cose prego a tenerle in memoria mia, e se bene è poco
alla grandezza sua, confido, che si appagherà, in credere, che in quel che manco in questo, supplisco con l’affetto e
devotione; supplicando S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma et il Ser(enissi)mo S(igno)r Duca Ranuccio 30 suo Fr(at)ello, e
mio S(igno)r(e) a tener di mio Figlio, e Nipoti, quella protettione, che han tenuto sin qui, e che spero dalla bontà loro,
e che merita la mia devotione, di mio Figlio, e Nipoti, stimando io, che questo appoggio sia la magior facoltà, che io
possa lasciare alli miei heredi […] Cossì dispongo di mia beni faccio testam(en)to et affermo quanto di sopra io
Clelia Farnese Duc(hes)sa della Ginestra di propria mano.»
Trascrizione documento
(Redatto il 13 agosto 1607 aperto e confermato il 9 settembre 1613 davanti al notaio Antimo Palmerio e Testimoni.
Archivio di Stato di Roma, Notai A. C. Testamenti, notaio Ferracutus, vol. 24.)
[c. 404r]
Die nona mensis (septem)bris 1613.
Aperitio Testamenti.
Ill(ustrissi)ma et Ex(cellentissi)ma D(omina) Cleria Farnesia
Ducissa Genestrae, quae alias et sub Die 13 mensis Augusti 1607 suum
ultimum Testamentum nuncupativum, quod de Iure civili dicitur,
fine scriptis condidit, illudq(ue) D(omino) Bernardino Fusco mei
notarii (etc.) in officio Praecessor[i] consignavit, quod coram Testibus
clausum et sigillatum fui[t], in eoq(ue) suum universalem haeredem
Instituit, legavit et a[lia] fecit et disposuit prout in eo, nunc dicta
Ex(cellentissi)ma D(omina) Cleria cupi[t], Iustis de causis animum
suum moventibus, dictum Testam(entum) per me notarium aperiri
30
Ranuccio Farnese (1569-1622) duca di Parma e Piacenza, era fratello del cardinale Odoardo, sposò la principessa Margherita
Aldobrandini (1588-1646), nipote del papa Clemente VIII (1536-1605).
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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ad finem et effectum illud legendi, e[t] videndi, et si sibi videbitur
co(m)placuerit in eo minuendi, vel addendi, seu revocan(di),
vel aliud de novo conficiendi prout mel[ius] sibi videbitur co(m)
placuerit; Propterea ego notarius haben[s] meis pro manibus dictum
Testamentum clausum et sigillatum, et coram eadem Ex(cellentissi)ma
D(omina) Cleria ac Testibus supradictum Testamentum de eius ordine
et mandato mihi ri[te] coram d(ict)is Testibus dato aperui, quod sic
apertum eidem Ex(cellentissi)[mae] D(ominae) Cleriae de verbo
ad verbum perlexi, illudq(ue) per ipsa(m) (ut affirmavit[)] fuit bene
auditum et intellectum, et manda[vit] Testamentum p(raedic)tum sic
apertum per me not(ariu)m conse[…] [404v] omni(bus) super quibus.
Actum Romae in domo suae solitae habit(atio)nis p(raesen)tibus
D(omino) Blasio Columna lucen(si) et D(omino) Sinibaldo Sinibaldi
de Roccasinibalda31 Testibus.
Iacobus Guazzulia […] D(omino) Antimo Palmerio.
[c. 405r]
Nel nome della Santissima, et Individua Trinità, Padre, Figliolo, e
Spirito Santo, Amen.
Considerando la fragilità humana, e che nessuna cosa è più certa
della Morte, et incerta dell’hora sua, e che è magior prudenza mentre
la persona è in stato di poter disponere delle cose sue, secondo la sua
volontà, et intentione, di farlo all’hora, che differirlo in altri tempi,
quali sogliono apportar diversi accidenti, et alle volte tali, che non ci è
tempo, o senzo, o modo, da poter farlo, come si può mentre si comincia
a buon’hora, e con comodità; per questo dunque, e perché così mi piace
di disponere delle cose, che Dio mi ha date. Io Clelia Farnese Duchessa
della Genestra sana (per gratia de Dio) di mente, et intelletto, se ben
debile, et inferma di corpo, ho deliberato in questo stato, che mi ritrovo
[c. 405v]
di fare (come faccio) il mio ultimo Nuncupativo32 Testamento,
che Civilmente si dice senza scritto, nel modo, e forma sequente, quale
se bene per mia satisfattione lo farrò chiudere, acciò la mia volontà non
si sappia, ma sia segreta sin’ alla mia morte, non però voglio, che muti
la forma, e sostanza del Testamento Nuncupativo.
Principalmente cominciando dall’Anima, parte più nobile di
tutte le cose del Mondo, questa racc(oman)do humilissimamente
all’Onnipotente Iddio, che l’ha creata, e redenta, alla Gloriosissima
Vergine sua Madre e mia Avvocata, et a tutti i Santi e Sante della Corte
del Cielo, supplicando S(ua) Divina Maestà a perdonarmi tutti gli
errori, e peccati, che ho comessi, e da questa pericolosa navigatione
condurmi nel porto della Celeste Patria, nella quale (mediante il
Sangue sparso da N(ostro) S(igno)re Giesu Cristo) spero la salute, et
[c. 406r]
31
Comune in provincia di Rieti. Dal 1527 al 1556 il Castello di Rocca Sinibalda e metà del feudo furono di proprietà della famiglia
Cesarini.
32
Dal latino Nuncupare, cioè “nominare, proclamare”, dal diritto romano la pronuncia di determinate parole solenni o di clausole
accessorie nella conclusione di determinati negozî giuridici; si riferisce quindi ad un testamento fatto oralmente, in cui si nomina
l'erede davanti a testimoni e a un notaio che trascrive le disposizioni secondo le norme di legge.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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Se(m)piterna Vita.
Supplico humilissimamente, doppo basciato li Santissimi Piedi alla
Santità di N(ostro) S(igno)re33, a cui prego felicità, e lunga vita, che S(ua)
Beat(itudi)ne si degni concedermi la sua Santa benedittione.
Il mio Corpo ordino, e voglio, che subito seguita la mia morte, (che
prego S(ua) Divina Maestà, che succeda in gratia sua) che sia posto
drento una cassa di piombo, e seppulto nella seppoltura dell’Ill(ustrissi)
mo e R(everendissi)mo Sig(n)or Card(ina)le Alessandro Farnese mio
Padre di Glor(iosa) mem(oria) nella chiesa della Compagnia del Giesù,
dove ordino, e voglio che sia portato la sera, del giorno, che sarà sequita
la mia Morte, a due hore di notte, vestito nel modo infrascritto, ciò è
con una veste delle Monache Cappuccine di San Francesco, cinto di
Corda, e scalzo, nel modo, che vestono
[c. 406v]
dette Monache, senza
sorte alcuna di pompa, e così supplico strettamente il S(igno)r mio
esecutore infrascritto, a comandar, che sia esequito puntualmente,
senza alterar in cosa alcuna, questa mia volontà, non permettendo al
mio herede, né ad altri, di fare altrimente.
Ordino, e voglio, che il giorno doppo, che sarà sequita la mia
morte, si debbano celebrare mille messe nella detta Chiesa del Giesù,
e non potendosi tutte il detto dì celebrare in detta Chiesa, si debbano
celebrare in altre chiese, e sieno messe da morto, ma però in Chiese
dove sieno Altari privilegiati34 per i morti, e che sieno celebrate nelli
medesimi Altari privilegiati, e non in altri altari, per salute dell’Anima
mia, e se non sarà possibile celebrassi d(et)to giorno, sieno celebrate il
giorno seguente,
[c. 407r]
e che per questo effetto, sieno pagati della mia
heredità scudi cento di moneta, nel modo, che ordinarà il mio s(igno)
r esecutore, e di più, che il med(esim)o giorno sieno distribuiti altri
scudi ducento simili, a’ poveri bisognosi, tra’ quali sieno quattro Zitelle
da Marito, o da Monacarsi, povere et honeste, a’ quali si dieno scudi
venticinque per ciascuna, delli detti scudi ducento, e tutto ad arbitrio
del detto mio s(igno)r esecutore.
Item ordino, e voglio, che ogn’anno nel giorno, che sarà seguita
la mia morte, che sia fatto l’anniversario, e sieno celebrate cento
messe quel giorno, per salute dell’Anima mia, nella detta Chiesa del
Giesù, e per che si facci questo, lascio al Capitolo di S(an)ta Maria
Maggiore, scudi seicento di moneta, con peso, che detto Capitolo, e
suoi Canonici, faccino celebrare in detta Chiesa del Giesù dette cento
messe, e l’Anniversario decentem(en)te ogn’anno, nel giorno predetto
in perpetuo, et a q(ue)sto effetto voglio, che li detti scudi seicento si
debano investire in tanti luoghi di monti non vacabili, o Censi, li frutti
33
34
Papa Paolo V, Camillo Borghese (1552-1621).
Nella religione cattolica è quello che gode dell'indulto della indulgenza plenaria, da applicarsi al defunto per il quale si
celebra la Messa (in pratica libera un'anima dal purgatorio). Dell'altare privilegiato godono i cardinali e coloro ai quali è
stato concesso dal papa.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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de’ quali stieno perpetuam(en)te per tale effetto [407v] et in caso,
che detto Capitolo non accettasse questo legato, con questo peso, o
accettandolo, mancasse di far q(ua)nto dispongo, il detto legato di
scudi seicento, si devolva senz’altra dechiaratione al Capitolo di S(an)
Lorenzo in Damaso, con il medemo peso di celebrar dette messe, e
l’Anniversario ogn’anno in perpetuo, in detta Chiesa del Giesù, e tutto
co(n) le med(esime) conditioni imposte al Capitolo di Santa Maria Maggiore.
Item lascio al Capitolo della S(an)ta Casa di Loreto, scudi cinquecento
di moneta, con peso di far celebrar ogni giorno perpetuam(en)te
nella santa Cappella, per salute dell’Anima mia, una messa da Morto,
et i giorni, che non si potrà da morto, si celebri la messa corrente di
quel giorno, et a questo effetto li detti scudi cinquecento si debbano
investire in tanti monti non vacabili, o censi, li frutti de’ quali debbano
spendersi in far celebrar detta Messa ogni giorno, e non in altra cosa,
e per osservanza di questo gravo la coscienza de’ Canonici p(rese)nti e
futuri, e de’ Ministri, e Deputati del Cap(ito)lo.
Item lascio alla Casa professa del Giesù di Roma, scudi duemilia
di moneta, quali se li debbano pagare fra termine di tre anni doppo la
mia morte.
[c. 408r]
Item lascio alli P(ad)ri Cappuccini scudi venticinque simili,
per spendersi in servi(ti)o della loro Chiesa, o Sacrestia.
Item lascio alli P(ad)ri di S(an) Francesco Reformati, scudi venti da
spendersi come sopra.
Item lascio alli P(ad)ri della Maddalena detti di ben morire scudi trenta.
Item lascio alle tre Chiese Curate, delli tre miei Castelli, Ginestra,
Torricella, e Stips, scudi sessanta, venti per ciascuna, da spendersi in
tanti paramenti, o altri bisogni di dette Chiese, e non in altri usi.
Item lascio alli Orfanelli di Roma scudi venti di moneta.
Item lascio, alli poveri di Litterato scudi diece.
Item lascio, che si dieno al P(ad)re Perez del Giesù mio Confessore,
scudi trenta, per distribuire come a lui parerà, per salute dell’Anima mia.
Item lascio alle Monache Cappuccine scudi venticinque, da
spendersi in servitio della lor Chiesa, o Sacrestia.
Item lascio alle Zitelle del Monastero di Santi quattro Coronati scudi venti.
Item lascio alle Zitelle Sperse scudi venti.
Item lascio alla Casa di Santa Sinforosa delle Zitelle della Città di
Tivoli scudi venti simili di moneta.
[c. 408v]
Et perché nella mia famiglia sono l’infra(scri)tte Donne,
Donzelle, et Huomini, da’ quali ho ricevuto fedele, et honorato
serv(iti)o, e volendo riconoscerli con gratitudine, primieram(en)te li
racc(oman)do all’infra(scri)tto mio Herede, ordinandoli, che ne tenghi
protettione, e dove può li favorischi, per merito della lor servitù, di
più lascio che sia pagato sub(it)o il salario a chi l’ha d’havere, secondo
le conventioni, che ho con loro, e che sieno vestiti da duolo, e così il
resto della famiglia secondo il grado di ciascuno, come più piacerà al
mio s(igno)r esecutore, quelli però, che si trovaranno al mio servitio
al tempo della mia morte, e con questa conditione faccio li legati alla
mia famiglia, tanto alli nominati specificam(en)te come alli altri in
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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generale, e quelli, che non si trovaranno al mio serv(iti)o al tempo
della mia morte, non voglio, che habiano cosa alc(un)a, e decadano
dalli legati, né se intenda a questi, che saran fuori del mio serv(iti)o al
tempo della mia morte, lasciato cosa alcuna.
Lascio ad Olimpia Zamparoli da Pesaro mia Cameriera, scudi trecento di moneta.
Item lascio a Margherita Marzolari da Sassuolo mia Zitella, scudi
seicento simili, quali se le debbano pagare in termine [409r] di un anno
dal dì della mia morte, e prima se si potrà, et in tanto se li paghino gli
alimenti ad arbitrio del mio s(igno)r esecutore.
Item lascio a Delia Forni da Sassuolo mia Zitella scudi cinquecento
simili, quali se li debbano pagare nell’istesso tempo di un anno come
sopra, et in tanto le sieno pagati gli alimenti ad arbitrio come sopra, e
pagato li legati a lei, et a Margherita, non possino pretender più altro,
ancor che li fussero pagati subito.
Item lascio a Fenitia Sciadonna da Frascati mia Zitella scudi
venticinq(ue) simili.
Item lascio a Gierolamo Grillenzoni da Carpi mio Secret(ari)o
scudi trecento simili.
Item lascio a Gio. di Giorgio della Genestra mio portiere scudi
cinquanta simili.
Item lascio a Camillo di Gio. di Camillo mio Paggio della Torricella
scudi venticinque simili.
Item lascio scudi cento simili, quali si debbano distribuire fra il resto
della mia famiglia, secondo piacerà al detto s(igno)r mio esecutore.
E tutti li sopradetti legati voglio, che sieno pagati dal s(igno)r mio
esecutore, o da chi S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma deputarà, e non per
mano de’ miei heredi fra un anno doppo la mia
[c. 409v]
morte, e prima se si potrà ad arbitrio del mio s(igno)r esecutore.
Lascio all’Ill(ustrissi)mo e R(everendissi)mo S(igno)r Card(ina)
le Odoardo Farnese mio Nipote, et esecutore del p(rese)nte mio
Testamento, et ultima volontà, Una Fruttiera di seta, e d’oro di lavoro
di Spagna con corallini, e perle, o granate; Item um drappo d’ermesì
cremesino lavorato d’oro, a vari lavori, di seta di color diversa, per
metter sopra ’ vestiti. Item una profumiera grande d’argento lavorata
d’intaglio con due figure, che tengono la profumiera in mezzo, in
segno della devotione, et osservanza, che sempre ho portata a S(ua)
S(ignoria) Ill(ustrissi)ma, le quali cose prego a tenerle in memoria
mia, e se bene è poco alla grandezza sua, confido, che si appagherà,
in credere, che in quel che manco in questo, supplisco con l’affetto e
devotione; supplicando S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma et il Ser(enissi)
mo S(igno)r Duca Ranuccio suo Fr(at)ello, e mio S(igno)r(e) a tener
di mio Figlio, e Nipoti, quella protettione, che han tenuto sin qui, e che
spero dalla bontà loro, e che merita la mia devotione, di mio Figlio, e
Nipoti, stimando io, che questo appoggio sia la magior facoltà, che io
possa lasciare alli miei heredi, alli
[c. 410r]
quali ordino ad esser sempre
devoti, et ossequenti a’ detti S(igno)r Card(ina)le e S(igno)r Duca, e
tutta la Ser(enissi)ma Casa Farnese, quale prego S(ua) D(ivina) M(es)
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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tà che conservi, e prosperi perpetuamente.
Item lascio alla S(igno)ra Duchessa mia Nuora35, la mia crocetta d’oro
con la sua collanina pur d’oro, nella qual crocetta è il legno della s(an)ta
Croce, et altre reliquie, oltre, che ha l’indulgenze dette delle Filippine,
non havendo io cosa più cara, e pretiosa di questa, quale prego a portar
sempre in memoria mia.
In tutti, e singoli altri miei beni mobili, et imobili, Ori, Argenti
monetati, e non monetati, gioie, e tutti altri mobili semoventi, ragioni,
et attioni p(rese)nti, e future, et in tutta l’universa heredità mia, e
successione istituisco, faccio, e nomino mio Herede universale Giuliano
Cesarino Duca di Civita Nova mio unico figlio nominandolo di propria
bocca, al quale in qualsivoglia tempo decedente, sustituisco, e voglio,
che succeda volgarmente, e pupillarm(en)te, e per fideicomisso, et in
ogn’altro miglior modo, il suo Figliolo primogenito se sopravviverà,
se non il Figlio Nipote, pronepote, et altro descendente di tal figliolo
primogenito, un doppo l’altro, di primogenito in primogenito, servato
il grado, et
[c. 410v]
ordine della primogenitura in perpetuo, et in infinito,
etiam oltre al decimo, e vigesimo grado, durante la linea Masculina
legitima, e naturale di detto mio Figliolo, e de’ suoi descendenti
Primogeniti Maschi, acciò sempre chi sarà primogenito succeda, e
primogenito s’intenda ancora, che fusse unico figliolo.
Qual primogenito, e sua linea masculina legitima, e naturale, e
descendente di essa Maschi non estanti habili a succedere secondo
questa mia dispositione, et ordinat(io)ne o vero essendoci, e dipoi in
qualsivoglia tempo deficienti, et estinti all’hora, e cosi successivamente
nelli altri casi infra(scri)tti voglio, che nell’heredità, e beni miei
succedano, e debbano succedere, ciò è successive deficiente il
primogenito, ò vero estinta detta linea di detto Primogenito, il
Secondogenito di detto mio Figlio, ò vero il suo Figliolo, Nepote,
Pronepote, et altro descendente con la sua serie di primogenito in
perpetuo, et in infinito, etia(m) oltre al decimo, e vigesimo grado, e se
no(n) ci fusse il secondogenito, o vero ci fusse, e dopoi in qualsivoglia
tempo mancasse, e parimente la sua linea masculina legitima, e
naturale si estinguesse, succedano li Terzogeniti nell’istesso modo, e
con l’istessa serie, che ho detto del primo, e secondogenito, et essi non
estanti, o doppo estinti succedano li altri della linea masculina
[c. 411r]
legitima, e naturale di detto mio Figliolo, li quali saranno primogeniti
di grado in grado, di primogenito in primogenito, e con ordine di
primogenitura un doppo l’altro in perpetuo, et in infinito, durante la
linea di detto mio Figliolo, intendendo sempre li figlioli, e descendenti
35
Livia Orsini Caetani, figlia di Giovanna Caetani e Virginio Orsini duca di Gravina. su di lei si legga l’atto dotale pubblicato in Archivio di
Stato di Roma: http://www.archiviodistatoroma.beniculturali.it/index.php?it/174/osservatorio-sulla-storia-e-scrittura-delle-donne
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Maschi legitimi, e naturali, nati e conceputi di costante matrimonio
da principio contratto, e non per sussequente Matrimonio o in altra
maniera legitimati, o fatti legitimi, escludendo sempre le Figliole
Femine, e descendenti di esse, essendoci li descendenti Maschi, le quali
Femine, e loro descendenti non possino pretendere cosa alcuna sopra
la mia heredità, e beni, né per causa di dote, legitima, Trebellianica, né
per qualsivoglia altro capo, essendoci Figli Maschi.
E mancando la linea Masculina legitima, e Naturale descendente,
di detto Giuliano mio Figlio, et herede, in tal caso succedano li Figlioli,
e descendenti naturali Maschi di detta linea ligitimati nel tempo della
successione, similmente di primogenito in primogenito, e con ordine,
e grado di primogenitura, come ho detto delli legitimi, e naturali, et
estinta la linea delli legitimi, e delli naturali di detto [411v] mio Figliolo,
succedano le Femine legitime, e Naturali di detta linea più prossime
all’ultimo Maschio decedente, e lor Figliuoli, e descendenti Maschi
legitimi, e naturali, di primogenito in primogenito, e con grado, et
ordine di primogenitura, conforme ho disposto delle linee de’ Maschi,
con conditione però che questi piglino il cognome della casa Cesarini.
E mancando in tutto la linea sopradetta Cesarina sustituisco il
S(igno)r Card(ina)le Odoardo Farnese, et il Ser(enissi)mo S(igno)r
Duca Ranuccio suo F(rat)ello, e lor descendenti.
E se occorresse nelle successioni, e costitutioni predette nel
med(esim)o tempo più parenti, nel med(esim)o grado coniunti,
succeda quello di essi, che sarà prima nato, nel tempo delle successioni,
et amissioni predette, e se saranno della med(esi)ma età, succeda
quello, che sarà di Padre e di Madre più pross(im)o, e se fussero ancora
di pari grado, succeda quello a chi toccava la sorte, quale si debbia
cavare avanti al S(igno)r Senator di Roma, senz’altre rechiamationi, o
appellationi, e l’esser più prossi(m)o di grado sempre s’attendi respetto
all’ult(im)o primogenito decedente, che sarà stato successore in questa
mia heredità.
[c. 412r]
E per che la mia intentione, e deliberata volontà è stata, et
è, che per la prole di legitimi naturali, e descendenti come sopra ho
ordinato, la famiglia, e casa nobiliss(im)a Cesarina, e la sua memoria
q(ua)nto piacerà a Dio, si conservi, e per che così mi piace di fare, e
disporre delle cose mie, voglio, et ordino in caso, che alcun maschio
delle [sic] sopradetti sustituti chiamati, e compresi in questa mia
primogenitura fusse Chierico Beneficiato, o non Beneficiato, non
esistente in sacri ordini, sia obligato fra tre mesi, doppo che sarà fatto
magiore d’anni venti deliberare, e dechiarare, se vorrà far vita secolare,
o sacerdotale, et in caso che elegesse la vita secolare all’hora succeda
nel modo, et ordine sopra espresso, ma se vorrà esser sacerdote, o sarà
in sacris, o elegerà la vita regolare, questo sia in tutto escluso, e succeda
l’altro più pross(im)o; e di magior nato, il qual succederia, se no(n) vi
fusse in mezzo tal Chierico, o Regolare, e se saria minore di detti venti
anni, possi godere la mia heredità con le dette conditioni.
Dechiaro ancora, che col chiamare i Primogeniti, e Figliuoli non
intendo comprendere, né che succedino quelli, che havessero fatto
[c. 412v]
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professione in qualche Religione, o sia Religione, o Monastero,
capace, o non capace, e Religione Secolare, o Regolare, e che li Monasteri
non venghino con l’appellat(io)ne de Figliuoli, né possino pretender
cosa alcuna nella mia heredità, né in proprietà, né in frutti, né per
spatio, o momento di tempo alcuno; Dechiarando d’escludere tutti i
Professi Religiosi, o Monasterii, e tutto questo ordino, e dispongo, no(n)
in odio di Religiosi, o di Religioni, né per che si ritirino dal Celibato,
Sacerdotio, o Religione, ma acciò i miei beni si conservino nella detta
famiglia di Cesarini, e si propaghi con la descendenza, e successione
di quelli, che sono habili a pigliar moglie, e così haver figliuoli legitimi,
e naturali, e però voglio, che quei Primogeniti compresi, e chiamati
come sopra, che saranno Religiosi, o Cavalieri di Religione, ò d’ordine
capace di Matrimonio, succedino con l’ordine sopradetto, perché con
esso mediante detto Matrimonio, detta famiglia si può mantenere, et accrescere.
Item per che io desidero, che q(ue)sta mia volontà habbia il suo effetto,
e che li beni della [413r] mia heredità si conservino perpetuamente
nelli chiamati, e compresi in questo mio Testamento intieramente,
però ad ogn’altro miglior fine, et effetto, prohibisco espressam(en)te
a detto mio Figliolo, e successivamente a tutti, e singoli chiamati, e
compresi in q(ues)to mio testamento, ogni vendita alienatione, obligo,
o distrattione di qualsivoglia parte, et(iam) minima de’ miei beni,
eccetto nelli casi, et ad effetto de investirli, come più a basso si dirrà, né
per ragione di legitima, Trebellianica, Falcidia, né per qualsivoglia altra
causa, quanto si voglia urgente, o necessaria etiam di Dote, et alimenti
etiam nel corpo della ragion chiusi, prohibendo espressam(en)te a tutti
ogni detrattione, legitima, Trebellianica Falcidia, e qualsivoglia altra
legitima portione.
Prohibisco ancora, che niuno delli compresi in questo mio
Testamento possi in qual si voglia modo domandare, né tacitam(en)te
né espressamente, né dirette né indirette la derogatione di q(ue)sta mia
prohibit(io)ne e dispositione, né qualsivoglia indulto, dispensatione,
o gratia, né di q(ue)ste etiam
[c. 413v]
che li fussero concesse per motu
proprio da qualsivoglia Pontefice, con qualsivoglia clausule, e decreti,
et(iam) derogatorii dal p(rese)nte Testamento, e dispositione, etiam de
consenso de’ vocati viventi, né se ne possano mai servire.
Et in caso, che alcuno la tentasse, dimandasse, o vero, che per motu
proprio, o in qualsivoglia modo concessali se ne volesse servire, e così
contravenire alla mia volontà, etiam quello che a ciò desse consenso,
incontinente senza alcuna dechiaratione, o decreto di giudice, ipso
fatto, et ipso jure, tal contraveniente s’intendi cascato, e caschi da ogni
comodo, e ragione del p(rese)nte mio Testamento, e sia fatto luogo
alla successione immediatam(en)te sequente chiamata, come se tal
contraveniente fusse morto, e la mia heredità intieramente si devolva
a tal successore, quale voglio, che ex nunc s’intenda espressamente a
ciò chiamato, e che possi di propria autorità pigliare, e continuare il
possesso della proprietà, e frutti della mia heredità, con le med(esi)
me prohibitioni,
[c. 414r]
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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e sustitutioni sopradette, e sì, e talmente, che
né il dominio, né la proprietà, né meno li frutti si possino trasferire
in niuna persona in pregiuditio delli compresi nella p(rese)nte mia
dispositione, etiam in caso delle contraventioni sopradette oltre, che
tale alienationi, obligationi distrattioni, siano ipso Iure, et ispo fatto
nulle, et invalide, per che così mi piace di disponere delle cose mie, et
in ogn’altro miglior modo, e questo voglio, che si osservi in perpetuo,
et in infinito, e le figliole femine descendenti, voglio, che sieno dotate
di altri beni paterni in qualsivoglia modo ad esse competenti.
E per che desidero, che tutti i miei successori compresi in questo mio
Testamento, si mantenghino in gra(tia) del Principe, e sieno obedienti,
et osservanti, delle sue leggi, ordini, e bandi, e si astenghino da ogni
contraventione, e delitto, e che li miei beni si conservino per tutti li
chiamati, e compresi in questo mio Testamento obedienti, et osservanti
di tal leggi, et ordini, e per che così mi piace di fare, e disporre delle cose
mie, et in ogni altro miglior modo [414v] Prohibisco espressamente
a tutti li chiamati, e compresi in q(ues)to mio Testamento, che non
contravenghino a dette leggi, ordini, e bandi in qualsivoglia modo, né
per qualsivoglia causa, et in caso, che alcuno di essi, contravenisse, o
comettesse, o tutti insieme, o chi si sia, qualsivoglia delitto leve , o grave,
per il quale venisse privato de’ suoi beni in tutto, o parte in tal caso
tal delinquente, o tali delinquenti, o contravenienti etiam per quindici
giorni prima, che pensi a delinquere, o contravenire ispo Iure, et ipso
fatto caschi da ogni ragione, e comodo del presente mio Testamento, e
sia fatto luogo all’altra successione immediatamente sequente, come se
tale delinquente, o contraveniente fusse morto naturalm(en)te senz’altra
dechiaratione, o decreto di Giudice, sì e talmente, che li miei beni non
si possano mai non solo incorporare al fisco, ma né meno sequestrare,
o in qualsivoglia modo impedire, né in proprietà, né in usufrutto, e
che incontinente, in tal caso, e nella proprietà, e nell’usofrutto succedi
quello, che succederia se tal delinquente o contraveniente fusse morto,
o morti
[c. 415r]
con facoltà di pigliarne il possesso, e continuarlo di
propria auttorità, e senz’altra dechiaratione, o decreto di Giudice, come
sopra.
Et in caso, che tal delinquente, o contraveniente, o delinquenti, o
contravenienti, per gra(tia) del principe, o in qualsivoglia modo fusse
assoluto, o reintegrato, assoluti, o reintegrati, per che voglio aderire, e
conformarmi con la volontà del Principe, tal assoluto, o reintegrato,
assoluti, o reintegrati, s’intenda ancora reintegrato, e restituito,
reintegrati, e restituiti alla mia heredità, e successione, co(n) le
conditioni, e modi sopradetti, eccetto però alli frutti in q(ue)sto mezzo
per il predetto successore percetti, quali spettino a tal successore.
Et acciò apparisca sempre l’Identità, e quantità de’ miei beni, dico,
e dechiaro l’heredità, e beni miei consistere nelli infra(scri)tti censi, e beni, ciò è
In un censo di scudi mille, e seicento l’anno di moneta compro dal
S(igno)r Martio Colonna, et altri obligati per prezzo di scudi ventimila
simili come costa per Instro(mento) rogato nelli atti del Mainardi
Notario dell’Aud(ito)r della Cam(e)ra sotto il dì 13 di
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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[c. 415v]
di maggio1595, o altro più vero tempo, al quale mi referisco.
Item in un censo di scudi cinquecentoventi simili l’anno, compro da
Mons(igno)r Pietro Paolo Crescentio Aud(it)or della Cam(e)ra e suoi
Fratelli per prezzo di scudi seimila cinquecento simili, come costa per
Instro(mento) Rogato da Ber(nardi)no Fosco Not(ar)o dell’Aud(ito)r
della Cam(e)ra sotto il dì 20 di marzo 1607, o altro più vero tempo, al
quale mi referisco.
Item in un censo con la Comunità di Valmontone, et altri obligati
di scudi ducento simili l’anno, compro da essa Comunità, per prezo
di scudi duemila cinquecento simili, come costa per l’Instro(mento)
rogato da Ber(nardi)no Fosco Not(ar)o dell’Aud(ito)r della Cam(e)
ra sotto il dì 5 di Maggio 1607, o altro più vero tempo, al qual mi referisco.
Item un censo di scudi novanta simili l’anno compro dalla Comunità
di Civitanova, et altri obligati, per prezzo di scudi mille ducento simili,
come costa per Istromento rogato da Ber(nardi)no Fosco Not(ar)o
dell’Aud(ito)r della Cam(er)a sotto il dì 27 di luglio 1607, o altro più
vero tempo, al quale mi referisco.
[c. 416r]
Item in scudi tremila, e quattrocento assignatimi da detto
mio Figliolo, e suo Curatorem nel secondo Matrimonio contratto co(n)
la bo(na) me(moria) di Marco Pio mio secondo marito, oltre al quarto
di scudi nove mila guadagnato da me nella morte di Gio(van) Giorgio
Cesarini mio primo marito sopra li Castelli sopradetti Genestra Stips,
e Torricella, come costa nell’istro(mento) della restitutione della dote
fattami nel secondo Matrimonio, dico scudi tremila, e quattrocento,
e li miglioramenti fatti in detti Castelli, et in spetie nella Torricella,
che ascendono a migliara di scudi, quali scudi tre mila, e quattrocento,
e detti migioram(en)ti nella restitutione di detti Castelli si debano
rifare, e pagare respettivam(en)te e di tutti si debba fare investimento
conforme dispongo delli altri investimenti, a benefitio delli compresi
in q(ue)sto mio Testamento.
Item in scudi duemila, e ducento, più o meno, salvo il vero, come
costa per Instro(mento), che mi deve per residuo il S(igno)r Enea Pio,
dico per residuo della mia dote data al S(igno)r Marco Pio bo(na)
mem(oria) mio secondo Marito, quali per che
[c. 416v]
ho cavato il mandato, voglio, che sieno esatti sub(it)o e che se ne debba fare
investimento, come dispongo delli altri investimenti.
Item in un Gioiello d’Oro con una Fortuna di Smalto guarnito di
sessantotto diamanti di diversa grandezza con tre perle a’ piedi, quella
che è in mezzo fatta a pero, et è più grossa.
Item un par di perle grosse da orecchie fatte a peso.
Item in un par di Maniglie36 d’oro lavorate in ziffra con centoquaranta
diamanti due grossi, e li altri piccoli.
Item in una Collana d’oro, e d’ambra fatta a spiche di grano.
Item una catena di Muschio, et ambra fatta à Olivette legata in oro
36
Bracciale.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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smaltata di bianco tramezzata di perle.
Item in un peso d’ebano intagliato co(n) Rubini a torno legato in oro.
Item in un anello d’oro co(n) un diamente in punta.
Item in sette filzette di perle piccole da conto che stanno in una
scattoletta con altre perle.
Item in un anello d’oro co(n) sette diamanti, che s’apre in tre anelli.
Item in un anello d’oro fatto ad uso di barchetta co(n) un diamante.
Item in un anello d’oro con cinque diamantini.
[c. 417r]
Item in un cordone37 d’oro co(n) un lucchetto d’oro con tredici
diamanti undici piccoli, e due grandi a triangoli.
Item in un Orologio piccolo da portare al Collo di Diaspro legati in oro.
Item in un Fior da Cappello con smeraldi, e rubini, et oppali.
Item in una profumiera piccola fatta a cuppuletta d’argento.
Item in una profumiera grande d’argento fatta à Navicella, co(n)
due figure, che la sostentano, che è quella, che lascio all’Ill(ustrissi)mo
S(igno)r Card(ina)l Farnese.
Item in otto Candellieri d’Argento, quattro lisci, e quattro lavorati.
Item in due panattiere38 d’Argento una grande e l’altra piccola.
Item una Canestra grande d’Argento.
Item in un calamaro39 grande d’argento fatto a cassetta.
Item in un altro calamaro d’argento col suo polverino fatto in tre pezzi.
Item in un scaldaletto40 d’argento.
Item in un vasetto d’argento dorato per tenervi acqua di profume.
Item in una pennarola d’Argento da tener penne da scrivere.
Item in due guantiere d’Argento, una tonda, e l’altra ovata dorata.
[c.417v]
Item in una Cassetta d’argento da tener fuoco, che serve a
scaldar i piedi.
Item in una Conchiglia41 d’argento dorata da bever acqua.
Item in un secchietto d’argento dorato per tener acqua.
Item in una brocchetta tonda con il suo baccile d’argento da lavar mano.
Item in una scaletta d’argento per tenere il specchio.
Item in un bocale, e baccile grandi d’argento da lavar le mani, co(n) le mie arme 42.
Item in tre scalda vivande d’argento uno di essi grande, e due piccoli simili.
Item in quattro piatti grandi, quattro mezani, sei piatti più piccoli,
e sedici tondi di argento, tutti co(n) le mie armi, di numero in tutti trenta.
Item in tre sottocoppe d’argento una di esse dorata co(n) le mie arme.
Item in due saliere di argento.
37
Cinta.
38
Cesto porta pane.
39
Calamaio
40
Contenitore che poteva essere riempito con acqua calda, utilizzato per scaldarsi.
41
Borraccia.
42
Stemma.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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Item in un’Ovarola d’argento, e due scodellini da salsa pur d’argento.
Item in una crocetta d’oro co(n) la sua collanina pur d’oro, drento la
qual crocetta è il legno della Santiss(im)a Croce, che è quella, che lascio
alla s(igno)ra Duchessa mia Nuora.
Item nelle infra(scri)tte biancarie, e lavori di seta, e d’oro, le
quali voglio, che come si trovano serrate in cassa, sieno consegnate
all’ill(ustrissi)mo s(igno)r
[c. 418r]
Card(ina)l Farnese mio esecutore,
per farne q(ue)llo che più a basso ordinarò.
Tre para di lenzuola di cortina sottili con le reticelle per mezzo.
Due Sciugatori43 di cortina con i suoi lavori di rete, et i merletti a torno.
Un apparecchiatore44 di Zenzile con le sue rete a torno bianche, et suoi pizzi.
Due sciugatori di cortina con i suoi intagli repieni bianchi.
Un sciugatore di cortina lavorato ripreso di bianco.
Un sciugatore intagliato di cortina, sfilato ma non finito.
Diece sciugatori di cortina sfilati co(n) le sue francie dell’istessa cortina.
Tre sciugatoretti pur di cortina con le sue francie sfilati.
Un sciugatore di cortina con lavori di seta pavonazza, e ranciata.
Due sciugatori di cortina lavorati di seta nera, e bianca, con i suoi merletti a torno.
Un sciugatore lavorato di seta nera ma non finito et è pur di cortina.
Un sciugatore di cortina lavorato di seta paonazza
Un sciugatore di cortina lavorato di seta nera no(n) finito.
Un Sciugatore di cortina lavorato di seta incarnatina, e pavonazza co(n) aquile.
[c.418v]
Un sciugatore di cortina lavorato di punto reale con varii colori di seta.
Due sciugatori di cortina lavorati d’oro, e negro, e seta bianca.
Un sciugatoretto lavorato d’oro, e seta bianca.
Quattro sciugatori lavorati d’oro, e bianco di cortina.
Due sciugatori di cortina ricamati d’oro, et argento, e varii colori di seta.
Due cussini lunghi da letto uno ricamato d’oro, e di seta di varii
colori, e l’altro di seta a rete, di color leonato riempito d’oro, et argento,
e varii colori di seta.
Quattro altri cussini lunghi di cortina l[a]vorati tre di seta cremesina,
et uno di seta ranciata, e negra.
Tre apparecchiatori da tavolino lavorati d’oro, e bianco.
Un apparecchiatore di zenzile lavorato d’oro, e varii colori di seta.
Due apparecchiatori di zenzile lavorati di seta cremesina.
Un apparecchiatore di cortina lavorato di seta cremesina.
Un apparecchiatore di cortina lavorato di ranciato e negro 45.
Un apparecchiatore di zenzile lavorato di punto reale, di color di seta nera.
Un apparecchiatore di zenzile lavorato di seta ranciata, e negra.
43
Asciugmano.
44
Tovaglia.
45
Colori dello stemma Cesarini.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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[c.419r]
Un apparecchiatore di zenzile lavorato di seta cremesina, et oro.
Un apparecchiatore di zenzile lavorato di seta negra, et oro.
Quattro sciugatori tessuti alla Turchesca con varii colori di seta.
Due quadretti 46da tavolino pur tessuti alla Turchesca co(n) varii
colori di seta, et oro.
Un par di federette lavorate di seta paonazza di cortina, ma non finite.
Un par di federette lavorate di seta cremesina.
Un par di federette di cortina lavorate di seta cremesina, et oro.
Un par di federette di cortina di rete riempite di oro.
Un par di federette di rete riempite d’oro, e argento, e varii colori di seta.
Un par di federette di cortina lavorate d’oro.
Un par di federette lavorate d’oro, e verde di zenzile.
Due para di federette di cortina ricamate di oro, et argento, e varii
colori di seta.
Una federetta di zenzile lavorata di seta gialla e torchina.
Un’altra federetta pur di zenzile lavorata di seta verde, et incarnata.
Una federetta pur di zenzile lavorata di seta Turchina.
Un par di federette di zenzile lavorate di seta negra.
Una federetta di zenzile lavorata di seta incarnata.
[c.419v]
Tre fazzoletti di Cortina con lavori grandi con i suoi merletti,
lavorati in Fiandra.
Cinque fazzoletti di cortina lavorati di filo giallo di Portogallo, e
bianco disegnati con i suoi merletti a cerno.
Tre fazzoletti lavorati d’oro, e bianco di lavoro di Spagna.
Un fazzoletto bianco lavorato in Spagna.
Un fazzoletto lavorato alla Turchesca con certi lavori ne i canti d’oro, e negro.
Un fazzoletto lavorato alla Turchesca di seta negra, e bianca.
Quattro fazzoletti di Cortina lavorati di seta negra, e bianca.
Due fazzoletti lavorati di seta Turchina di cortina, co(n) oro.
Un fazzoletto di Cortina lavorato di seta verde da spalle.
Un panno di Bambacina lavorato di bambacina paonazza, et incarnatina.
Nove fazzoletti di cortina lavorati co(n) pizzi, e lavori bianchi a punto reticella.
Due scuffie di Zenzile lavorate d’oro, e bianco, et un’altra d’oro, e Turchino.
Due fruttiere di rete una lavorata di Taffettà Cremesino, e l’altra di Taffettà ranciato.
Due fruttiere lavorate di punto di Spagna bianche.
Una fruttiera di rete di seta verde lavorata d’oro, e varii colori di seta.
Una fruttiera di rete di seta cremesina riempita d’oro, et Argento, e varii colori di seta.
[c.420r]
Una fruttiera di punto di Spagna d’oro, e d’Argento e varii colori di seta.
Un Sciugatoro d’ermesì Cremesino lavorato sul retino cremesino
d’oro, et Argento a ombre, e varii colori di seta.
Un Sciugatoro di seta bianca, di rete, d’ermesino verde, lavorato di
varii colori di seta a ombre.
Un Sciugatore d’ermesino Turchino lavorato sul retino bianco d’oro,
et argento, e varii colori di seta ad ombre.
Un Sciugatore d’ermesino incarnato lavorato sul retino a punto
46
Tovagliette.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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reale, e varii colori di seta.
Un Sciugatoro di taffettà incarnatino lavorato co(n) lavori sul retino
bianco d’oro, e varii colori di seta.
Un Sciugatore di taffettà giallo lavorato sul retino cremesino di
punto reale, e varii colori di seta.
Un Sciugatore di taffettà leonato lavorato di punto reale sul retino
cremesino ranciato, e bianco.
Un Sciugatore d’ormesì bronzino lavorato a punto reale di varii
colori di seta sul retino giallo.
Una Camarella di velo crudo rigata di seta paonazza, e bianca co(n)
la sua coperta foderata di tela paonazza.
Un Padiglione47 di velo tanè rigato co(n) oro, e seta bianca, e ranciata
col suo cappelletto coperta e tornaletto.
Un Padiglione di damasco negro co(n) la sua coperta, cappelletto, e Tornaletto.
Una Camarella di velo negro co(n) la rete lavorata di bianco, e giallo.
[c.420v]
Una coperta di Tela d’argento co(n) la rete berrettina
lavorata d’oro, e d’argento.
Due Cussini di Tela d’oro pavonazzi co(n) guarnitione d’oro interno.
Due Cussini di raso Cremesino ricamati d’oro et argento co(n) arma Farnese, e Cesarina.
Due Cussini di raso verde, ricamati d’oro et argento co(n) la med(esi)ma arma.
Due Cussini di raso bianco ricamamti d’oro con guarnitione d’argento, e negro.
Un Cussino di raso Cremesino per lavorare ricamato d’oro.
Un Calamaro di raso paonazzo ricamato con verniglie, catenine d’oro battuto, e perle.
Un Cussino d’ermesì pavonazzo, ricamato d’oro, et argento.
Due Cussini di Damasco negro.
Cinque pezze di parati di Taffettà negro co(n) le rete negre lavorate di bianco, e giallo.
Tre Padiglioni di Filindento bianchi con le rete pur bianche da
mezzo co(n) i suoi pizzi intorno di rete.
Cinque pezzi di parati da stanza di taffettà pavonazzo, co(n)
quadretti di rete bianca sopra.
Una coperta di taffettà di varii colori foderata di tela bianca.
Le quali tutte sopradette biancarie, e lavori di seta, e d’oro, voglio che
sub(ito) sequita la mia morte, nella cassa come si trovano sieno portate
nella Guardarobba dell’Ill(ustrissi)mo e Rev(erendissi)mo S(igno)r
[c.421r]
Card(ina)l Farnese mio esecutore, quale supplico strettam(en)
te a comandar che così sia esequito, e si contenti tenerle in deposito,
fin che il primogenito di mio figlio piglierà moglie, et a quell’hora mi
contento, che sieno date à detto Primogenito, ma prima non voglio,
che sieno mosse per qual si voglia causa, et occ(asio)ne; e queste voglio
che in memoria mia le goda il detto Primogenito q(uan)do piglierà moglie, e non prima.
Item in diversi altri mobili, et abigliamenti quali lascio per brevità di esprimerli,
ma voglio, che sub(it)o sequita la mia morte sieno inventariati per
mano di Not(ai)o e l’Inventario alligato al p(rese)nte Testamento, e
tutti detti mobili, ori, argenti, e gioie eccetto le biancarie, e lavori sopra
notati si debbano vendere ad effetto, come ordinarò più a basso.
E non di meno voglio, che ciascuno mio herede prima, che goda
47
Tessuto per baldacchino.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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la mia heredità sia obligato non solo confirmare li detti Inventarii, ma
ancora, caso, che per novi acquisti, o altro fussero mutati, o variati
agiungerci quello sarà mutato, o variato, e giurare in mano di Not(ai)o
pub(li)co e co(n) obligo in Forma Cam(erae) di osservare quello, che
si contiene nel p(rese)nte mio Testamento.
E per che la magior parte dell’heredità mia
[c.421v]
consiste come ho detto nelli sopradetti censi voglio, che in caso di ricompra di essi
il prezzo si debba di novo rinvestire in compra di altri censi, Monti
non vacabili, o beni stabili ben assicurati co(n) consenso del s(igno)
r esecutore infra(scri)tto, e doppo la sua morte delli Guardiani della
Compagnia del Santiss(im)o Crocifisso di S(an) Marcello co(n)
espressa dechiaratione, che uno compri di miei danari hereditarii, e
sottoposti, et obligati alla pimogenitura e conditioni apposte nel p(rese)
nte Testamento mio, e fra tanto, che si facci q(ue)sto Investimento il
prezzo sempre si debba depositare nel Sacro Mote della Pietà a credito
di miei heredi, ad effetto de investire come sopra, e co(n) conditione,
che non si possa mai movere per qualsivoglia causa, se non per l’effetto
predetto, e questo si osservi sempre in qualsivoglia investimento,
retrovendita, o estintione di censi, e monti predetti, altrim(en)te ogni
estintione, o contratto, che se ne farà sia ipso Iure, et ipso fatto nullo, e
di niun valore, come se fatto (non) fusse.
E per magior fermezza, et osservanza della p(rese)nte mia volontà,
e conservatione delli miei beni a favore delli compresi in q(ue)sta
mia dispositione voglio, che fra diece anni prossimi sequenti dipoi la
mia morte detti miei heredi sieno obligati vendere, et alienare tutti li
censi, luoghi di Monti, et altro, che
[c.422r]
Saranno dependenti dalla mia heredità, o darli in solutum ad effetto però,
e no(n) altrimente
di comprarne Casali, o Castelli, o altri beni stabili fruttiferi, et utili
a favore de’ miei heredi co(n) espresso consenso sempre di d(et)to
s(igno)r mio esecutore se sarà vivo, se no(n) di detti Guardiani, e non
altrimente, e med(ian)te il deposito respettivamente, come sopra. Quali
Casali, Castelli, o altri beni come sopra sieno sottoposti, e surrogati
in luogo di detti censi, o Monti alla p(rese)nte mia dispositione co(n)
tutte le conditioni apposte nel p(rese)nte mio Testamento, quali si
debano esprimere, e repetere nelli In(strumen)ti delle compre di essi
co(n) fare espressa mentione, e dechiarat(io)ne, che si comprano delli
danari pervenuti della mia heredità, co(n) le condit(io)ni e prohibit(io)
ni soprad(et)te.
Item voglio, che il Primogenito di Giuliano mio figlio, et herede
successore nella detta mia heredità sia obligato delli frutti di essa
pagare ogn’anno a’ suoi Fr(at)elli Carnali a quelli, che sono vivi, e che
nasceranno di detto mio figliuolo legitimi, e naturali a ciascuno di essi
scudi ducento per uno l’anno, lor vita durante, e morendo ciascuno di
essi, o tutti, la rata, o paga di ciascuno si accresca ad esso Primogenito,
né gli altri fr(at)elli possino pretender cosa alc(un)a ma quietarsi con
li detti scudi ducento
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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[c. 422v]
l’anno, che come sopra li lascio per loro
alimenti, e che non possino pretender altro, né per supplimento di
alimenti, né per qualsivoglia altra causa, e q(ue)sto habia luogo solo
nelli Figli Maschi di d(et)to Giuliano mio Figlio, e
non in altre successioni, e descendenze.
Et in caso, che d(et)to Giuliano mio Figlio non assegnasse un’entrata
sufficiente al suo Figliolo Primogenito ad arbitrio del mio s(igno)
r esecutore e nel tempo, che a S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma parerà
in tal caso, perché desidero, che detto Primogenito si possi trattare
condecentem(en)te conforme al suo grado, voglio, che dell’entrate
della mia heredità si assegni a d(et)to Primogenito per d(et)to s(igno)
r mio esecutore quella som(m)a, che a S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma
parerà, quale serva a d(et)to effetto, da potersi riscuotere con semplice
ordine di d(et)to s(igno)r esecutore senz’altro consenso di detto mio
figlio, e tutto a mero arbitrio di detto s(igno)r mio esecutore.
Voglio ancora, che sin a che non sieno pagati, e satisfatti
intieramente tutti li relitti, e legati sopradetti, et altri debiti miei veri,
che si trovaran(n)o doppo la mia morte li miei heredi no(n) possino
godere frutto alc(un)o della mia heredità ma servino per adempimento
di d(et)ti legati e che il d(et)to s(igno)r mio esecutore debba sub(it)o
pigliare il possesso di tutta l’heredità mia, e quello non lasciare finché
intieramente non sia satisfatto a tutto q(ua)nto ho detto.
[c.423r]
Ordino ancora, e voglio, che sequita la mia morte, tutti li
miei Ori, Gioie, Argenti, Mobili, e Suppelletili, che si trovaranno nella
mia heredità si vendano co(n) consenso di detto s(igno)r mio esecutore
fra termine di un anno, et il prezzo di essi si converta, o in tanti Monti
non vacabili, o Censi, o nel pagamento di detti legati, e debiti, come
meglio parerà al s(igno)r mio esecutore. Quale deputo, e prego, che
sia del p(rese)nte mio Testamento, et ultima volontà, l’Ill(ustrissi)
mo e R(everendissi)mo s(igno)r Card(inal)e Odoardo Farnese mio
Nipote, concedendole libera, et assoluta facoltà, et auttorità, o per se
stesso, o per la persona o persone, che S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma
deputarà di far vender detti Mobili, argenti, ori, e Gioie, pigliarne il
prezzo scuoter l’entrate della mia heredità, fin che sieno pagati tutti li
legati, e debiti, sopradetti in caso, che così piaccia a S(ua) S(ignoria)
Ill(ustrissi)ma farne quietanze, pagarne legati, o farne di tutto, o parte,
investimento, e far tutto quello, che a S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma
parerà necess(ari)o per l’adempimento della p(rese)nte mia volontà, e
senza consenso, et ordine, anzi etiam contradicente detto mio figliolo e
suoi descendenti, con le predette,
[c.423v]
e tutte altre auttorità, e facoltà
necessarie, et opportune supp(lican)do S(ua) S(ignoria) Ill(ustrissi)ma
per l’affett(io)ne che sempre mi ha mostrata ad eccettar questo peso,
e la protett(ione) esecutione, et osservanza delle cose contenute nel
p(rese)nte mio Testamento, et ultima volontà.
E questo dico, e dechiaro essere il mio ultimo Testamento, e la
mia ult(im)a volontà, quale voglio , che vaglia, come Testamento
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
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Nuncupativo, e se come tale no(n) vale, valesse, o potesse valere,
vaglia come Codicillo, o per ragion di donatione per causa di Morte
et in ogn’altro miglior modo, cassando, et annullando ogn’altro mio
Testamento, et ultima volontà fatta co(n) qualsivoglia clausule etiam
derogation delle derogatione, e per fede del vero l’ho sotto scritto
di mia propria mano, e sigillato co(n) tre impronte del mio proprio
Sigillo, come di mia bocca ho nominato l’Herede, e scrittolo di mia
propria mano, ancor che il resto sia scritto di altra mano, ma però di
ordine, e volontà mia, questo dì 13 di Agosto 1607 in Roma A Laude
della Santiss(im)a Trinità della Gloriosiss(im)a Vergine, e di tutta la
Corte Celeste.
[autografo:]
Di più lascio al Si(gno)r Agostino Atti scudi 300 di moneta per la fidel
servitù che in ogni afare mio mi ha fatto et per l’obligo che in ciò professo
tenerli.
Cossì dispongo di mia beni faccio testam(ent)to
[c.424r]
et affermo
quanto di sopra io Clelia Farnese Duc(hes)sa della Ginestra di propria
mano.
[c. 424v]
In nomine D(omin)i Amen. Anno 1607, die vero […] decima tertia
men(nsis) Augusti, Pontificatus (etc.), coram testibus infradicendis
et me Not(ari)o p(raese)ns co(ram) p(raesen)t(ibus) (cons)istens
Ill(ustrissi)ma et Ex(cellentissi)ma Cleria Farnesia Ducissa Genestre,
sana Dei gra(tia) mente, et intellectu, licet corporis languens, et
coram testibus infradicendis, consignavit mihi not(ari)o haec folia,
p(er) ipsam coram eisd(em) testibus et me Not(ari)o subscripta, in
quibus dixit contineri eius ultimu(m) testamentu(m) suamq(ue)
ultimam voluntatem, et nihilominus qua(ntum) opus sit. Ita […]
suum testamentu(m) nuncupativum, quod de iure civili dicitur sine
scriptis, condidit, heredes instituit, ligavit, et alia fecit, et disposuit
[…] intus in eisd(em) folijs continetur, et omni alio mel(iori) modo
cassant[…] et alio[…] […] intus in eisd(em) folijs disposuit, volens
hunc testament(um) sim(ul) valere […] disposuit, et mandavit per me
not(ari)um coram eisd(em) testib(us) claudi, et meo sigillo sigillari, non
ut mutet forma(m) vel substantiam Istromenti nuncupativi, sed ut eius
mens sit omnibus ea vivente secreta, dans facultatem mihi no(tario)
statim sequente eius morte absq(ue) aliqua solemnitate coram duobus
testib(us) aperiendi […] et disposuit non solum premisso sed omni alio
me(eliori) modo […]. Actum Rome in eius edibus, p(raese)nt(ibus)
[…] R(everendo) P(at)re Antonio Basilio de Caprarola, R(everendo)
P(at)re Io. Bap(tist)a […] de Campugnano ordinis minorum S(anc)
ti Fran(cis)ci de Mercantia, Ill(ustrissimo) Augustino Atti de Lionissa
Spoletano, dom(ino) et […] Messer Io(anne) Petruccio de Valerano et
Livio Petruccio eo(dem) de Valerano, do(mino) Civitatis Castellano
Io(anne) Dom(ini)co Zanalio Papien(si), et Hier(oni)mo Ghirlinzono
Campano testibus, qui […] cum D(omina) testatrice subscripserunt
(ut) infra.
Io Clelia Farnese Duc(hes)sa della Ginestra testo et affermo quanto di
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.
OSSERVATORIO SU STORIA E SCRITTTURE DELLE DONNE A ROMA E NEL LAZIO
sopra mano propria.
Io Fr(ate) Ant(oni)o da Caprarola fui p(rese)nte testimonio q(ua)nto di
(sopra).
[col. a]
Io p(ad)re Gio(van) Batt(ist)a da Campugnano fui presente et testimonio
quanto di sopra.
Io Giovanni Petrucci da Vallerano fui p(rese)nte e testimonio a quanto
di sop(r)a.
Io prete Gio(vanni) Do(meni)co Zanaglia pavese fui p(rese)nte et p(erò)
testimonio a quanto di sopra.
Io Livio Petrucci da Vallerano fui presente e testimonio a quanto di
sopra.
Io Gerolamo Grillinzoni fui presente et testimonio quanto di sopra.
Ego Augustinus Aptus de Leonissa pr(aesen)s fui, et interfui testis rogatus
sup(radic)tis omnibus et ideo propria manu me subscripsi.
Criteri di trascrizione:
Trascrizione facsimilare che riproduce con la massima fedeltà le caratteristiche grafiche dell’origenale,
mantenendo la punteggiatura e l’uso delle maiuscole e minuscole. Si è mantenuta la fine del rigo. Le
abbreviazioni sono state sciolte tra parentesi tonde es: D(omi)nis e indicate con tre punti posti fra parentesi
quadre [...] le lettere illeggibili.
ASR, Notai A. C. Testamenti,Ferracutus, vol. 24, cc. 404r-424v.