Marx Emiliani

partigiano italiano

Marx Emiliani, (noto anche come Max Emiliani) (Faenza, 22 settembre 1920Bologna, 30 dicembre 1943), è stato un partigiano italiano.

Marx Emiliani

Biografia

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Autista del corpo nazionale dei vigili del fuoco fu, nei dintorni di Faenza, tra i primi giovani che imbracciarono le armi e diedero vita alla lotta partigiana, con il nome di battaglia Max[1].

L'8 settembre 1943, data dell'armistizio, assieme ad altri giovani e giovanissimi partecipò al recupero delle armi nelle caserme del Faentino, in particolare quelle del 6º Reggimento Bersaglieri, facendone uscire mitragliatori, fucili e bombe[2] che servirono a costituire e armare la banda partigiana denominata "La Scansi", comandata da Gino Monti, formata da 20 giovani ed attiva nella zona dell'Appennino faentino-bolognese (alte valli dei fiumi Lamone e Montone - valle del Senio)[3], fino al novembre 1943[4].

 
Manifesto bilingue del Comando tedesco per le province di Bologna e Modena datato 3/1/1944 che annuncia l'avvenuta fucilazione di partigiani.

Decise successivamente di mettere a frutto la sua esperienza di guida contribuendo alla costituzione di un GAP motorizzato divenuto noto come "camion fantasma"[5], assieme a Amerigo Donatini (Baratieri), Dino Ciani, Matteo Molignoni, a cui successivamente si aggiunse Silvio Corbari, proveniente dalla banda detta "del Samoggia" (dall'omonimo torrente che si trova sulle colline Faentine).
Il gruppo, servendosi di un camion e uniformi trafugati ai militi repubblichini, seminò lo scompiglio in una vasta area appenninica, attaccando caserme dei carabinieri, posti di blocco, pattuglie fasciste e tedesche.

Il 4 novembre si fermarono a mangiare presso casa del professor Avoni, a Villa Fontana di Medicina (Bologna): il loro comportamento destò tuttavia sospetti e venne immediatamente segnalato alla locale stazione dei Carabinieri. L'intervento di questi portò ad un tragico epilogo: nel conflitto a fuoco che ne seguì vennero uccisi Armando Bosi, guardia municipale e triumviro del PFR di Medicina, i carabinieri maresciallo Giuseppe Roberto Roggero e brigadiere Sebastiano Sanna, e il commerciante Dante Donati, sfollato e nipote del prof. Avoni. Mentre, del gruppo partigiano, Max e Baratieri rimasero feriti.

Gravemente ferito all'addome, Max fu trasportato prima a Ozzano dell'Emilia a casa del dott. Francesco Vincenzi e poi a Faenza, nella sua casa, per essere curato: una delazione rivelò tuttavia ai fascisti la sua presenza, consentendone l'arresto il 24 novembre[6]. Trasferito all'ospedale di Faenza, e piantonato dai carabinieri, dopo sei giorni venne preso in consegna dai carabinieri di Imola e trasferito "con le ferite ancora sanguinanti" alle carceri di Bologna, a San Giovanni in Monte, ove in seguito venne incarcerato anche Baratieri, catturato nei pressi di Marradi il 22 dicembre dai militi forestali e dai tedeschi dello scalo ferroviario.

Sottoposto ad un processo civile il 27 dicembre per i fatti di Medicina[7], venne assolto[8].

Sottoposto due giorni dopo al giudizio sommario di un Tribunale speciale della R.S.I., fu condannato alla fucilazione alla schiena "che affrontò serenamente, anzi con orgogliosa alterezza"[9], il 30 dicembre 1943, assieme ad Amerigo Donatini.

Onorificenze

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  Medaglia d'argento al valor militare
  1. ^ Alcune fonti indicano il vero nome in "Max" e quello di battaglia in "Marx".
  2. ^ Testimonianza di Sauro Ballardini (Topo) in L. Bergonzini, La resistenza a Bologna, Vol. V, Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna "Luciano Bergonzini" - Istituto per la Storia di Bologna - Comune di Bologna - Regione Emilia-Romagna, 1985/2003.
  3. ^ La zona in cui nell'estate 1944 diverrà operativo il Distaccamento "Celso Strocchi" della Brigata GAP "Mario Gordini" operante nella provincia di Ravenna.
  4. ^ Cfr. voci "Emiliani Max", "Donatini Amerigo", "Monti Gino" in A. Albertazzi - L. Arbizzani -N. S. Onofri (a cura di), Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), Istituto per la storia della resistenza e della società contemporanea nella provincia di Bologna "Luciano Bergonzini" - Istituto per la Storia di Bologna - Comune di Bologna - Regione Emilia-Romagna, 1985/2003.
  5. ^ Il gruppo è infatti noto come "banda del camion fantasma". Alcune fonti lo denominano come "automobile fantasma": in effetti nel dicembre 1943 il gruppo di gappisti, ulteriormente ridotto di numero, abbandonato il camion oramai inservibile, continuò le sue azioni al comando di Corbari a bordo di una lussuosa berlina Aprilia.
  6. ^ Alla sua cattura partecipò Raffaele Raffaeli, uno dei più importanti gerarchi della provincia di Ravenna, capo assoluto a Faenza e nelle zone limitrofe, condannato a morte nel 1947, la cui 'biografia criminale' è descritta in E. Andreini - S. Carnoli, Camicie nere di Ravenna e Romagna tra castigo e oblio, Artestampa, Ravenna, 2006, p. 371.
  7. ^ Gli vennero contestati i reati avvenuti il 4 novembre 1943: rapina di auto furgoncino Fiat Topolino BO 25848 commesso in danno di Torreggiani Luisa alle 16,30 in via Emilia 11, a 2 km da Faenza; danneggiamento di apparecchio telefonico installato nello spaccio di sale e tabacchi di Tramonti Luigia, in frazione Reda di Faenza, commesso alle 17; rapina di automobile RA 5883 commesso in danno di Marabini Torquato alle 17,30 nella zona di Bagnacavallo; tentata devastazione e saccheggio della caserma carabinieri di Conselice e di minaccia a mano armata in pregiudizio del vicebrigadiere Scarso Italiano commesso alle 20,30 (la banda era composta da otto uomini); quadruplice omicidio commesso alle 23 in località Villa Fontana di Medicina.[senza fonte]
  8. ^ E. Andreini - S. Carnoli, Camicie nere di Ravenna e Romagna tra castigo e oblio, Artestampa, Ravenna, 2006, p. 414.
  9. ^ Guido Nozzoli, Quelli di Bulow, Editori Riuniti, 1957, p. 172.

Bibliografia

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Voci correlate

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Collegamenti esterni

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