Domus Hospitales

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DOMUS HOSPITALES

PARTE I

In epoca medievale pellegrinaggi, strade costruite per i pellegrinaggi e strutture ospedaliere portarono a
problematiche legate alle strutture di ospitalità. I pellegrinaggi erano la somma e la sovrapposizione di
diversi pellegrinaggi: non erano movimenti totalizzanti ma contenevano un numero illimitato di chiavi
interpretative a seconda delle persone che vi partecipavano. Alain Guerreau definisce i grandi pellegrinaggi
in e quelli brevi o concentrici, quindi bisogna distinguere anche le strutture che ospitavano questi due tipi di
pellegrinaggio. Spesso però le strutture coincideva e questo perchè la Chiesa non aveva nessun potere
decisionale centralizzato. Infatti la storiografia considera il pellegrinaggio un artificio politico creato dagli
abati di Cluny. I pellegrinaggi sopravvissero fino al XVI secolo. Per quanto riguarda le strade, non si parla
solamente delle principali vie di pellegrinaggio, come la via francigena, ma di una fitta rete di tracciati
unidirezionali che si soprapponevano, si ricreavano e scomparivano con dei punti di convergenza: i ponti e i
centri urbani. Le strade potevano essere deviate da una valle all'altra per questioni economiche o
politiche→ creazioni di canali alternativi:

1. la via Fulvia (Tortona – Torino) ha trovato come erede la strada di Francia per Asti con la presenza
di 11 domus hospitales
2. la via Postumia (Genova – Libarna Tortona) è rimasta stabile e anche il tratto che collegava Aosta e
Milano e Susa e Torino si ritiene fosse la principale via di traffico transalpino. Definizione compiuta
abbastanza recente ma si hanno notizie nel periodo tardoantico quando si sviluppava sulla sinistra
della Dora. Poco dopo la ritroviamo correre sulla destra del torrente, in concomitanza con
l'affermazione dell'abbazia di Novalesa e della domus Montis Cenisii.
3. Stabile appariva anche la strada che partiva da Torino per arrivare a Vercelli, passando da Ivrea
(strada lombarda). La strada lombarda e la via Aemelia Scauri ( Vado Ligure – Tortona) vennero
sostituite da altri tracciati.

Per quanto riguarda la nascita degli ospedali, il collegamento con i pellegrinaggi è marginale. L'area italiana
più studiata è quella tosco – emiliana ma in Piemonte molto importanti sono gli studi sull'area cuneese
(Rinaldo Colomba) e su quella valsusina (Giuseppe Sergi). → Santa Maria della Scala di Siena. La
periodizzazione dei termini usati per indicare le domus hospitales coincide con quella dei due grandi
pellegrinaggi europeii: la prima ( XII – metà XIII secolo) è diretta verso Santiago, la seconda ( XIII secolo –
'400) si dirige verso Roma con il primo giubileo. Tra questi due periodi accadono eventi molto importanti: la
decadenza dell'abbazia di Cluny (1130) e dalla nascita dei nuovi ordini mendicanti e la rivoluzione
cistercense. Nel primo periodo tutti i termini si intendevano come “Ostelli per pellegrini” e mai intese come
strutture sanitarie per infermi (infirmaria). Xenodochium è il termine con cui vengono indicate le strutture
per pellegrini. Il termine domus non indica solamente la casa ma ha un'accezione più complessa: viene
indicata come domus la prevostura di San Lorenzo di Oulx: indica con certezza strutture che sono state
ospedali.

La via Francia nella diocesi di Torino

Gli studiosi concordarono che il percorso alpino che va da Susa al Monginevro fosse stato costruito tra il III
e il IV secolo e utilizzato dall'VIII secolo. Dopo la perdita della vitalità del tracciato, i pontefici avignonesi
reinserirono il tracciato nel circuito stradale della regione.
→ interdipendenza tra il sistema viario e infrastrutturale della valle di Oulx e il monastero di San Lorenzo.
La prevostura aveva messo a disposizione dei pellegrini in transito delle strutture ospedaliere “sommerse”
come nella stessa Oulx la domus infirmorum Sancti Laurencii e la domus sancti Martini a Chiomonte.
Chiomonte era l'ultimo paese prima della Francia e rappresentava per i canonici di Oulx un tassello
fondamentale per poter realizzare un signoria territoriale: cosi costrinsero i gerosolimitani a vendergli la
loro domus hospitalis per evitare di avere una concorrenza nel campo dell'ospitalità.

→ controllo totale della valle tranne la domus del monte Genevo → periodo di crisi della prevostura e
conseguente crisi della strada. La strada che conduceva al passo del Moncenisio era la strada più trafficata
insieme a quella del San Bernardo.

→ domus del Moncenisio : istituito nel IX secolo, ripresa dei commerci; la prevostura di Oulx ha contribuito
alla grande fama della domus, dopo il 1202 la direzione della domus va all'abbazia di Novalesa. Inoltre
mancava un edificio culturale volto all'assistenza dei viandanti, venne costruito poi nel 1205. Tutte le
fondazioni ospedaliere erano collocate nella Val d'Arc e vi era un disinteresse palese da parte delle
istituzioni ecclesiastiche della Val Susa di dotare le strutture di ospedali. Nel XV secolo vengono menzionati
nell'opera di un fiorentino anonimo gli ospedali di Novalesa, Ferrera e Carnaio. È probabile che l'assenza di
strutture ospedaliere sia da imputare a una volontà politica dei rettori della domus Moncenisio per non
perdere l'egemonia sulla valle. Susa deve la propria importanza al suo ruolo di snodo viario anche se
l'assetto della città era poco sensibile allo spostamento dei traffici in direzione del Moncenisio. Ciò che
mutò fu l'atteggiamento delle fondazioni monastiche e l'insediamento dei centri per viandanti. Il primo e il
più importante centro per viandanti è la elemosinariam domum Sancte Marie de Secusia, sorge vicino alla
porta di Savoia e all'abbazia di San Giusto. Un documento del 1640 descriveva la struttura come una casa
distrutta e rovinata, quasi inabitabile, contro il senso dell'ospitalità. Oltre alla domus elemosinaria c'erano
altre due fondazioni: una precettoria antoniana e una domo hospitalis de Ierusalem fondata dai cavalieri di
San Giovanni di Chiomonte; entrambe sorgevano al di fuori delle mura nel borgo dei Nobili. Tutti gli
ospedali di Susa non dipendevano da enti religiosi della valle ma San Giusto cercò di acquisire Santa Maria,
prima che i prevosti di Oulx occupassero il territorio. Santa Maria del ponte: struttura ospedaliera a cui era
affidata un'infrastruttura stradale, un ponte. Ci sono due distinte fasi della storia ospedaliera di Susa: la
prima (fine nel XIII secolo) dominata dalla prevostura di San Lorenzo di Oulx e una seconda in cui vennero a
galla le istituzioni locali e l'abbazia di San Giusto ebbe gran peso. Per scendere verso la pianura il viandante
aveva due possibilità: piegare verso valle in una strada romana fino a Bussoleno oppure prendere la strada
che partiva dalla porta Mercenarium che partiva dalla città. In ogni caso ci si doveva imbattere nella città di
Bussoleno. Proseguendo si incontrava San Giorio con il suo ospedale: avevano interessi nella città Santa
Maria di Susa, la domus del Moncenisio, l'abbazia di San Giusto di Susa e l'abbazia di Novalesa. L'hospitale
caritatis risulta fondato nel 1424 ma non ebbe lunga vita e cadde in rovina. Per quanto riguarda la Chiusa di
San Michele, essa non possedeva nessun ospedale ma venne menzionata in molti testi come luogo di
ospitalità per i devoti che salivano alla Sacra per pregare l'arcangelo Michele. La presenza delle due
foresterie della Chiusa vengono infatti ipotizzate come luoghi di ospitalità per i viandanti (la foresteria
piccola) e per i visitatori di rango elevato (la foresteria grande). Ad Avigliana troviamo due strutture
ospedaliere: quella dedicata a San Martino e quella dedicata a San Cristoforo. La seconda sorse nel 1374 ed
era considerata una grande struttura, contenente all'atto dell'apertura12 letti, ampliati a 24 con differenti
mansioni. Queste due strutture non sopravvissero all'età moderna. A Rivoli troviamo un nucleo di abitazioni
policentrico che cominciò ad accentrarsi presso il rilievo su cui sorge il castello. Nel complesso del castello si
trovano le fondazioni ospedaliere, tra cui l'hospitale de Burgonovo de Ripolis. Oltre a questa struttura
troviamo anche l'hospitale de Morterio del 1241. tutte le strutture ospedaliere della valle di Susa sono tutte
strutture tre-quattrocentesche → miglioramento delle condizioni di vita e ripresa dei viaggi verso i luoghi
santi romani. Il principale ramo della strada di Francia che lasciava la valle di Susa a ovest di Torino
prendeva il nome di strata secusina, via romeria, strata pellerina: queste vie incontrano l'odierna Collegno e
Pozzo Strada, dove si trovava una delle più importanti fondazioni ospedaliere alle dipendenze di San
Michele della Chiusa: 1319 era registrato il pagamento del censo annuo dovuto al capitolo cattedrale e nel
1378 era registrato nel documento in cui vi erano tutte le strutture che la comunità chiedeva di riformare.
Dopo questa data, la struttura sparì. La strada principale che passava per Torino non era la via francigena
ma quella che i documenti chiamano strata lombarda che costeggiava il PO, confluiva nella via romana
proveniente da Aosta e Vercelli. La città piano piano si avvicinò al ponte di Moncalieri e Chieri, Testona e
Torino stipularono un patto per cui si dovessero dirigere gli stranieri verso l'una o l'altra città. Le dodici
fondazioni ospedaliere della città di Torino erano distribuite secondo un rapporto funzionale con le mura e
la comunità nel 1378 chiese che queste dodici domus venissero raggruppate tutte sotto un'unica struttura.
Nel documento del 1378 non appare però una domus, la San Benedetto, di dipendenza rivaltese. La
presenza rivaletese a Torino sembrerebbe tale da mettere in secondo piano l'aspetto assistenziale dei
canonici dell'ordine. Nel 1440 si sono riuniti tutti gli ospedali intorno all'ospedale del Duomo: si tratta
dell'ospedale di San Giovanni Battista. Nel 1274 i canonici procedeva all'affitto di una casa in prossimità del
duomo ma nel XIV secolo venne trasferita vicino alle mura. L'ospedale di San Biagio godè di una maggiore
importanza rispetto all'ospedale di Sant'Andrea: esso era menzionato in diversi documenti poteva vantare
diritti sull'ospedale di porta Fibellona; nel 1444 la cappella di San Biagio fu incorporata alla sacrestia del
Duomo e affidata ai suoi canonici. Accanto agli edifici gestiti dagli enti assistenziali, si stava costruendo una
struttura alternativa che nel 1244 Giovanni Cane decise di fondare un ospedale, affidandone la gestione agli
Umiliati di Torino, dipendenti dalla casa di San Cristoforo di Vercelli. Nel 1437 viene citata anche un altra
struttura e cioè l'ospedale di San Donato, che coincideva con quello di San Bernardo e si trovava nella
chiesa omonima. A Torino 'intero complesso ospedaliero si configurava a cavallo del declino delle istituzioni
tradizionali e l'emergere di nuove forme di religiosità. l trapasso istituzionale messo in atto ad Avigliana e
Rivoli a Torino non esiste poiché alla fine del XVI secolo l'ospedale di San Giovanni continuava ad essere
amministrato dai canonici della cattedrale. L'ospedale di Santa Maria Maddalena, adibito ad un certo punto
della sua vita a lazzaretto, sorgeva in prossimità di un ponte romano. → binomio ospedale – ponte
strumento per potenziare il comparto stradale e assicurarsene il controllo = Ospedale di san Giacomo di
Stura fondato nel 1146 da Pietro Podisio: dopo pochi mesi dalla sua fondazione fu costruito un oratorius
dedicato a San Pietro e istituito il battello per i viandanti. Anni più tardi, con la creazione del monastero,
l'assistenza ospedaliera non era venuta meno ma al contrario si era potenziata. Il monastero – ospedale a
metà del XII secolo esercitò sull'intero tratto della strata lombarda compreso nei confini della diocesi di
Torino. La strada che nel medioevo fu erede della via Fulvia lasciava Torino dalla porta Fibellona, superava il
Po sul ponte del Monte dei Cappuccini dove si riuniva con le strade provenienti da Alba, Rivoli e Pinerolo. Il
primo abitato che i viandanti trovavano lasciando Torino era Moncalieri → città in prossimità di un
attraversamento fluviale. Struttura ospedaliera con cappella in onore di Sant'Egidio, curata dai cavalieri di
San Giovanni. L'ospedale di Santa Croce ebbe un impatto decisivo sull'organizzazione del borgo
assistenziale. Dopo Testona, si poteva giungere a Trofarello dove dal 1204 esisteva l'ospedale Harenarum.
L'ultimo ospedale che si incontrava prima di uscire dalla diocesi di Torino era quello di Ponticelli, oggi
sobborgo rurale ai margini di Santena. Dopo Ponticelli, la strada si dirigevaverso Poirino e attraversava una
zona in prossimità di Villanova d'Asti – Dusino per poi varcare, dopo Chieri, la diocesi di Asti.

La via Francia nella Diocesi di Asti

A partire dalla seconda metà del Duecento la strada principale del Piemonte sud-orientale era la strada
francigena verso Asti. Nel borgo di Villanova, fondato nel 1248, si hanno notizie di una struttura ospedaliera
solo dal 1345. L'ospedale di Santa Margherita sopravvisse fino al 1543, poi la struttura venne solamente
adibita a chiesa per far fronte alle esigenze della popolazione. Lungo la strada nei pressi di Villafranca non
esisteva nessun ospedale ma viene documentato un ospitale de Musancia, vicino a Serralunga, collocato
nel punto in cui il rio maggiore confluiva nel torrente Triversa. L'ospedale non risale allo stesso anno della
chiesa omonima ma viene ricordato un secolo dopo, nel 1254, probabilmente era amministrato da canonici
ma era di proprietà laica. Dopo Musagna e Villafranca, i viandanti si imbattevano in Baldichieri, dove però
non era presente nessun ospedale. Invece presso Revignano era presente una struttura ospedaliera
dipendente dai canonici del monastero dei Santi Apostoli di Asti. Nella città di Asti l'asse generatore e di
attraversamento era la via di Francia. Si supponeva fossero presenti circa venti ospedali in Asti. Nel
documento “Pro hospitalibus civitatis, burgorum e suburborium Ast” vengono registrate le celebrazioni del
vescovo nei confronti dell'accoglienza delle esigenze delle autorità civili. Il vescovo valutava come
ammissibile la proposta delle autorità e proponeva l'elezione di quattro officiales che avrebbero dovuto
provvedere alla fabbrica dell'ospedale e ad amministrarla. I lavori per il nuovo ospedale iniziarono nel 1457
e Santa Marta venne realizzata lungo l'attuale corso Alfieri. L'erezione dell'ospedale di Santa Marta non
doveva essere interpretata solo come una costruzione ex novo ma anche come la logica conclusione di
un'operazione di riordino ospedaliero intrapreso tempo prima nella comunità. L'ospedale di San Pietro in
Consavia era collocato esternamente rispetto alle mura di Asti, non lontano dalla chiesa omonima.
Esistevano in Asti altre due importanti strutture: la domus di Sant’Antonio e quella di San Martino: la prima
è decaduta molto in fretta (1257 – 1585); la seconda invece compare nell’886 con posizione baricentrica, il
vescovo Anselmo fece una donazione nel 1168 con l’obbligo di non costruirvi nessuna cappella. Sebbene la
gestione fosse affidata al priorato di Oulx, questi non riuscirono ad impiantare il proprio potere nella città di
Asti. La prima struttura ad essere ricordata dai documenti è l’ospedale di Sant’Evasio nei pressi della porta
San Paolo, dipendente da una confraternita di disciplinati: l’ospedale venne poi trasferito verso il centro
della città: oratorio San Michele con l’ospedale di fronte alla chiesa di San Martino. Il periodo più vitale del
pellegrinaggio compostellano fece subentrare una nuova struttura basata sulla vita laica comunitaria e
sull’intraprendenza di un ceto dirigente che aveva costruito sul commercio la propria fortuna. In questo
contesto l’ospedale di Asti e dei borghi si pone come un sistema vecchio ma anche come prefigurazione del
nuovo. Dopo Asti la via di Francia prosegue verso il castello di Annone, Quattordio e Felizzano, a sinistra
della Valle del Tanaro. La prima struttura incontrata, dopo il castello di Annone, l’ospedale della chiesa di
San Martino di Castiglione. A est di Castiglione si incontrava l’abitato di Quarto, di origine romana. Le
domus di Quarto hanno origini precoci: il primo ospedale documentato è quello di San Zenone, in stretta
relazione con la via di Francia, vicino all’abitato e in prossimità di un ponte. Gli ospedali di Quattordio,
Masio e Felizzano erano gestiti da ordini militari. L’area di strada.

Alternative al tracciato principale della via di Francia

Superata Susa e arrivati a Rivoli, il viaggiatore aveva una duplice possibilità: percorrere la via di Francia fino
a Torino oppure evitare la città e puntare su Moncalieri seguendo la strada di Testona. Quest’ultima era
una connessione tra la anura e la via della valle di Susa ed era un percorso alternativo che saliva la valle del
Sangone. La formazione di questa strada si inserisce nel complesso fenomeno di riassetto territoriale
seguito all’instabilità economica e politica -> fortuna dovuta alla vasta presenza patrimoniale che l’abbazia
torinese ebbe nella zona -> proliferare di fondazioni con istituzioni ospedaliere. L’abbazia di San Solutore di
Carpice aveva accumulato un patrimonio fondiario grazie alle donazioni e alla successive acquisizioni di beni
e terreni. A ovest di Carpice, troviamo Candiolo con la presenza di un ospedale. A Rivalta il collegamento
con Testona portava una grossa quantità di viaggiatori, infatti fu costruito un ospedale che deve coincidere
con lo ostal de Ripalta e l’elemosina. A Rivalta si aprivano diverse strade: la via di Francia passando per
Rivoli, puntare verso Piossasco per raggiungere Pinerolo oppure proseguire verso Bruino e la val Sangone.
La prima struttura d’ospitalità è quella di Sangano. Dopo Sangano, c’era Giaveno, Coazze e Villarfioccardo.
Lo ristabilimento del passo del Monginevro vicino a quello del Moncenisio, implicava il potenziamento del
tracciato che permetteva di raggiungere il passo senza passare dalla Val Susa. Da Rivalta si snodavano tre
percorsi differenti che tendevano all’estuario della val Chisone. In val Pellice due strutture assistenziali: la
prima a Luserna e la seconda a Bricherasio. La strada della val Chisone entrava in Pinerolo dalla porta del
Monte, attraversava tutto il borgo del Piano e usciva dalla porta di Torino. La strada della Val Pellice aveva
due possibilità: o puntare verso Bricherasio e giungere a Pinerolo oppure proseguire e giungere a Cavour.
Se la meta era Torino o Moncalieri, la strada più veloce era quella che portava a Vigone. Il primo ospedale
che si incontrava era a Cavour : da Cavour c’erano tre possibili strade: la prima a Nord portava a Pinerolo e
Saluzzo, la seconda tendeva a Vigone e la terza puntava su Villafranca. Sulla seconda strada si incontravano
la domus di Vigone, piuttosto recente, e quella di Scalenghe, ospedale preesistente e che venne
ristrutturato. È probabile che il sistema ospedaliero di Pinerolo ruotasse intorno alla presenza di San
Giacomo di Corveglia. Verso la fine del 400 la città di Pinerolo vede sette ospedali di cui cinque destinati
all’accoglienza dei viandanti. Uscita da Pinerolo la via della Val Chisone si divideva in più rami: la prima
strada puntava a Rivoli passando da Rivalta; la seconda, parallela a quest’ultima, puntava verso Candiolo e il
ponte di Moncalieri sul Po; la terza andava verso Buriasco, toccava Cavour e Airasca e proseguiva per
Carignano. Sulla terza via si conservano strutture assistenziali: la prima domus si incontra a Pancalieri,
dipendente dalla prevostura di San Giacomo di Corveglia, insieme alle strutture di Lombriasco, Carmagnola,
Poirino e Cavallermaggiore. Le magistrature comunali astigiane volevano aprire una via che permettesse ai
mercanti di raggiungere i valichi alpini evitando gli attraversamenti fluviali sia di Testona che di Torino. La
via correva parallela alla via di Francia, collegandosi a Rivalta ma il progetto ebbe vita breve per questioni
economiche che per questioni espansionistiche. Il primo insediamento che si trovava lungo la via di Asti era
Carmagnola, sede dell’ospedale di San Lorenzo con origine trecentesca. Inizialmente esso si trovava fuori
dalle mura della città presso la chiesa della Santissima Trinità ma dopo 40 anni venne spostato all’interno
delle mura vicino al castello. Dopo Carmagnola e attraversato il Po troviamo Carignano, abitato con un
insediamento antico riconducibile alla presenza dei possedimenti dei canonici della Chiusa di San Michele.
La strada che passava da Reaglie, giungeva a Chieri dove coincideva con la ruata magistra del borgo:
nell’abitato di Chieri possiamo trovare una struttura per l’accoglienza dei viandanti che risale al 1157. Ma a
sorgere per prima fu la domus elemosinaria della canonica di Santa Maria, datata al XII secolo. Sorti intorno
al 1200 sono anche gli ospedali privati fondati da Giacomo Feleri e da Enrico Gribaudo, soggette al
patronato degli stessi fondatori. L’ospedale dei Gribaudo diventerà poi l’ospedale dell’Annunziata. Dopo
l’ingrandimento del complesso intorno al 1460 l’ospedale dovette chiudere poiché l’ospitalità venne
sospesa a causa di una guerra. Uno degli ospedali che rimase in vita più a lungo a Chieri era l’ospedale di
San Giacomo. Esso si mantenne vitale fino alla metà del Cinquecento quando si unirono tutti gli ospedali
superstiti sotto Santa Maria della Scala, da cui si salvò solo quello dell’Annunziata. Superata Chieri, si
raggiunge l’abitato di Rivapresso Chieri dove la presenza di un ospedale gestito dalla comunità è molto
forte. Dopo Riva presso Chieri il percorso della strada si fa confuso: il ramo principale della strada si
ricongiungeva a Villanova d’Asti con la via francigena. Più difficile invece stabilire la frequenza d’uso di un
tracciato più settentrionale rispetto a quello che descritto che seguiva per un tratto la via monferrana e poi
la via de plano, raggiungendo Dusino dove confluiva nella via francigena. Su questa via si poteva incontrare
il villaggio di Merculorium, scomparso poi dalla fondazione di Buttigliera d’Asti: l’ospedale di Mercuriolo
dipendeva dai gerosolimitani e dalla chiesa di San Martino di Mercuriolo. Dopo questo abitato, la strada
scendeva lungo la valle della Traversola, seguendo il corso del fiume. Arrivati a Supponito, gli ospedali
dipendevano tutti da San Pietro in Consavia. La strada giungeva a Dusino e si ricollegava alla via di Francia.
Un’altra strada prevedeva che da Asti si arrivasse a Castagneto, attraverso il Po e Chivasso, per arrivare ad
Ivrea oppure a Torino, seguendo la strata lombarda. Un documento significativo del 1183 testimonia la
presenza di una struttura ospedaliera: in questo testo si parla dell’ospedale di Santa Maria Maddalena,
ceduto alla badessa di Santa Maria delle Grazie. L’ospedale di Piea, collocato tra Asti e San Sebastiano Po,
non era l’unico sorto su quella strada: struttura ospedaliera di Monte Iovis, sorta presso Mombarone in
località Montegioia. Nel 1193 l’ospedale di Gaminella viene citato, posizionato ora nella frazione Gaminella
di Mombello Monferrato → coincidenza con l’ospedale de Gamaleria, oggi Gamalero, presso Alessandria.
L’ultimo ospedale nei pressi della strada è l’ospedale de Turre, dipendente dal monastero di Santa Caterina.

Le periferie diocesane: il cuneese e le vie alpine del Piemonte sud-occidentale

La principale strada del Piemonte sud-occidentale attraversava l’intera diocesi di Asti, partendo dalla città
stessa e toccando Alba e Pollenzo, tratto di strada riconosciuta nei documenti. Ma con la nascita di Cuneo
nel 1198, la strada dovette diventare più complessa tant’è che gli abitanti di Cuneo si impegnarono nei
confronti di Asti di non applicare nessun pedaggio su questa strada in cambio di riconoscimento
ufficiale→numerose strutture di ospitalità lungo la strada tra cui la domus de strata di Govone, l’ospedale
di Revigliasco d’Asti, la San Giovanni di Villanova. Ad Alba erano presenti 6 ospedali: Santa Maria della
Cherasca, Santo Spirito, Santa Maria di Casanova, Santa Maria del Consorzio, San Lazzaro, Sant’Antonino ->
presenza di ospedali in conseguenza della perdita del villaggio di Pollenzo, emarginazione di Acqui dalle vie
del traffico. Dopo Alba la strada raggiungeva Pollenzo e da qui si biforcava, toccando Augusta Bagiennorum,
Carrù, Mondovì, Lesegno e Ceva. Ma questa strada non durò a lungo. Il complesso ospedaliero monregalese
prese forma alla fine del XIV secolo con la fondazione dell’ospedale di Sant’Antonio, seguì poi l’erezione
dell’ospedale di Santa Croce di Piazza edificato nel 1389 e successivamente venne fondato l’ospedale di San
Domenico, confluito dopo un secolo e mezzo dalla sua fondazione nell’ospedale di Santa Croce. Venne a
consolidarsi una nuova strada per i valichi alpini che aprì nuovi canali di traffico verso il Piemonte sud-
occidentale e la Provenza; si incontrano le strutture di Margarita e Bene Vagienna. Muovendosi dalle falde
alpine verso la pianura, si incontrano gli abitati di Cuneo, Fossano, Cherasco, Bra, Canale e San Damiano
d’Asti. Superata San Damiano e Canale, troviamo una struttura senza dipendenza ospedaliera, dipendente
da Santa Croce di Mortara, già in diocesi di Torino: Sant’Andrea di Bra(1120) ma una struttura dedicata
all’assistenza è registrata nel 1584, la domus Sancti Spiritus. Dopo Bra, la strada raggiungeva Fossano lungo
la pianura cuneese, dove troviamo la domus antoniana e l’ospedale di San Lazzaro. Dopo Fossano, si
aprivano due possibilità deviare per Sant’Albano Stura e arrivare a Mondovì, oppure da Cuneo seguire la via
per i passi alpini. Cuneo è tra gli insediamenti urbani quello più ricco dal punto di vista ospedaliero. Nella
vasta superficie urbana di Borgato troviamo due ospedali: l’ospedale di Cuneo e l’ospedale di San Giovanni.
L’ospedale di San Giacomo passò poi sotto l’ospedale di Santa Croce. La vale Gesso diventa il principale
canale di traffico per i flussi verso la Provenza. In questa valle si incontrano l’ospedale di Vernante,
l’ospedale san Michele, l’ospedale di Vinadio e l’ospedale più grande della valle, l’hospitale loci Aisoni.
Poiché queste strutture erano molto lontane dal capoluogo della diocesi, trovarono il loro referente
istituzionale nelle comunità locali. La fondazione di Santa Maria di Becetto portò due grandi cambiamenti: il
potenziamento della rete stradale del Saluzzese e lo sviluppo di una rete di strutture assistenziali. →
incrementare la devozione, potenziare il sistema ospedaliero (prevosti di Oulx, canonici di Rivalta e signori
di Verzuolo).

PARTE II

Istituzioni e società

Due fasi di pellegrinaggio: la prima (XII – XIII secolo) grazie al pellegrinaggio compostelliano e alla politica
cluniacense; la seconda ( 1300 con il Giubileo – XIV secolo). Nella prima fase vediamo come protagonista la
formazione di una rete assistenziale fondata sugli ordini monastici mentre nella seconda fase le strutture
sono affidate ai laici. A guadagnarci c’è sicuramente San Lorenzo di Oulx e i cavalieri di San Giovanni. Invece
i Gerosolimitani erano per vocazione obbligati all’ospitalità. Le due congregazioni religiose erano legate
l’una all’altra con la regola raimondina che altro non era che la regola agostiniana seguiti dai monaci
riformati. La diffusione degli ospedali era strettamente legata ai pellegrinaggi ma l’entrata in campo di
autorità come quella di San Lorenzo di Oulx lascia intendere che le regole sarebbero cambiate in favore
degli interessi stessi dell’ordine religioso. Lo sviluppo della forma di vita comunitaria dei canonici anticipò la
riforma gregoriana. L’istituto canonicale è vecchio quanto la Chiesa poiché associazioni di chierici
condividevano forme di vita in comune. Ci sono delle differenze tra le associazioni religiose canonicali
regolari e quelle monastiche: infatti i canonici non avevano obblighi ascetici ed non esprimevano il voto di
povertà. Ad affermare la vita dei canonici regolari sono infatti anche le istituzioni ospedaliere della diocesi
di Torino e di quella di Asti. Infatti, i vescovi torinesi erano riformatori mentre quelli astigiani rifiutarono la
riforma. In territorio astigiano il complesso ospedaliero si fondava sull’iniziativa diretta dei canonici o su
quella di fondazioni abbaziali prestigiose mentre a Torino il complesso è molto più compatto. Per contro
l’origine vescovile torinese cominciò ad essere discriminante nel definire la gestione delle strutture
ospedaliere. La fase critica del pellegrinaggio coincide con la caduta cluniacense e compostelliana e anche il
sistema ospedaliero sublapino subiva gli effetti della crisi: molte canoniche vennero accorpate ad altre
come Santi Pietro e Andrea di Rivalta accorpata all’abbazia di Staffarda; stessa sorte per San Lorenzo di
Oulx e Santa Maria del Moncenisio. Il colpo di grazia fu dato con la nascita dei Cistercensi e degli ordini
mendicanti, in primis i frati minori. Così, con l’avanzare della crisi, gli ospedali cominciarono ad essere uno
strumento di forte rendita e si trasformarono in prebende. La struttura economica degli ospedali non era in
grado di sostenere una pressione speculativa e fu schiacciata dai debiti. Le strutture ospedaliere
scomparvero mano a mano perché si preferì dare nuova funzione agli edifici piuttosto che adeguarli alle
funzioni che già esercitavano → strutture ospedaliere rimaste date in mano ai laici o ai vescovi che si
preoccupavano di rimettere in sesto la struttura e di gestirla. Gestione successiva dei disciplinati, divennero
advocati del vescovo. L’avvocazia consentiva al vescovo di affidare ad un laico la gestione della struttura ma
creava confusione evitando di dare pieni poteri al privato che la gestiva→ ripresa delle strutture
ospedaliere con maggiore efficienza. L’ospedale non si poneva più come un’entità rurale ma come
un’istituzione urbana. Si andò privilegiando una nuova utenza ospedaliera in coloro che vivevano
nell’indigenza e all’esperienza urbana delle confraternite. Nascono quindi ospedali in centri urbani che non
si trovano sulla strada come Lanzo, Ciriè, Sommariva Bosco e Caudano di Stroppo.

Il ruolo dei cantici regolari riformati nella definizione dei caratteri dell’architettura ospedaliera

L’unica raffigurazione iconografica utile a descrivere un modello architettonico ospedaliero ideale è quella
del piano di San Gallo del IX secolo. Esso è costituito da tre edifici: una casa per i confratelli di passaggio ,
una casa per gli ospiti di riguardo e una casa per i pellegrini. La prima struttura si snoda lungo tutto il lato
esterno della navata settentrionale, le altre due strutture si trovano rispettivamente vicino agli ingressi a
nord e a sud delle due torri che delimitano il westwerk. Ad essi si accedeva da degli ingressi posti all’interno
della struttura, per controllare i movimenti degli ospiti. Le sei stanze per i pellegrini e le otto per i nobili si
affacciavano su una sala centrale molto ampia. Cucina e refettorio erano separati dai complessi che
ospitavano viandanti e nobili. La prevostura di Oulx si configurava esattamente come l’ospedale di San
Giusto a Susa: si trattava di un’unica stanza con i letti. Per quanto riguarda Santa Maria Maggiore di non si è
conservato nulla di nell’istituire l’ospedale, ristrutturata nel XI secolo. Anche Santa Maria del Moncenisio
vede un cambiamento radicale dalla sua fondazione grazie agli abati di San Pietro di Novalesa che crearono
una cappella a fianco della domus hospitalis nel 1205. Nel caso dell’ospizio del Gran San Bernardo ‘edificio
culturale esisteva fin dalla sua fondazione ma non coincideva con quella che i testi chiamano la cella di San
Bernardo poiché troppo piccola per ospitare i pellegrini. L’ospedale presenta una forma compatta con
quattro ambienti sovrapposti a due a due. Le deviazioni rispetto al modello di San Gallo possono essere
spiegate: il sistema assistenziale delle diocesi di Torino e Asti si riduceva a tre fondazioni, Santa Maria del
Moncenisio, San Lorenzo di Oulx e gli xenodochia di Guarene. Sono fondazioni che dipendono dalle
tradizioni locali e non interessava quindi formare una rete fitta di ospedali che potessero accogliere il
grande flusso di viandanti. Si sentiva il bisogno di disporre di un organismo più duttile e una distribuzione
omogenea sul territorio. Nel 816 si chiudeva ad Aquisgrana il sinodo in cui obiettivo era quello di giungere
alla formulazione di una regola clericale unitaria. Ai vescovi e ai canonici fu attribuito da Carlo Magno un
ruolo politico nella gestione dell’impero→ invenzione della figura dei Missi Dominici: funzionari a cui era
affidata l’organizzazione del distretto. Però delle regole erano già state dettate tra il 751 e 755 dalla Regula
canonicorum di Crodegango da Metz, che diedero poi ispirazione alla regola di Aquisgrana, documento che
decreta la nascita della strutture ospedaliere poiché parla delle regole dell’ospitalità e della vicinanza
dell’ospedale alla canonica. Più varie e spesso più significative delle regole sono le constitutiones e le
consuetidines all’interno delle quali si rintracciano informazioni declinate sulle esigenze di una realtà
specifica. Il testo più interessante è quello della canonica del Gran San Bernardo dove la figura
dell’infermiere coincide con quella di colui che ospita. L’infermiere di solito si occupava di curare i canonici
senza occuparsi dei pellegrini. Inoltre era consegnato un pasto (non scontato nelle altre strutture) e
l’ospitalità era estesa alle donne. Si fa anche una grande differenza tra l’elemosiniere, che si occupa della
prima accoglienza, e l’infermiere, il quale gestiva l’ospedale. Diverso invece il compito dell’hospitalarius, il
quale doveva occuparsi di accompagnare i viandanti verso San Nicola, occuparsi del funzionamento della
struttura ospitante e assicurarsi che il fuoco fosse acceso. Nella canonica di Saint Jean des Vignedi Soisson
le institutiones erano molto più rigide: i ruoli erano maggiormente definiti, dell’ospedale si occupava
un’unica persona, i confratelli non potevano accedere all’ospedale. Viene a delinearsi una vera e propria
liturgia dell’ospitalità, nei saluti, negli atteggiamenti e nei gesti rituali diversificati a seconda dell’ospite che
viene accolto: l’ospedaliere doveva salutare l’ospite, inchinarsi davanti alla porta dell’ospedale e benedirlo,
aspargerlo con acqua benedetta e, una volta ricondotto all’ospedale, gli avrebbe chiesto la provenienza e la
destinazione, offrirgli un pasto e condurlo nel letto. Più rigida la posizione della regola ravennate, che si
rifaceva a Crodegango e stabiliva la posizione che l’ospedale doveva assumere rispetto al complesso
monastico: l’ospedale doveva essere nei pressi del monastero ma separato dalla canonica ( San Lorenzo di
Oulx, Santi Pietro e Andrea di Rivalta, San Giacomo di Corveglia). Siccome l’ospedaliere doveva occuparsi in
primo luogo che l’ospite si recasse a pregare, era necessario che alla domus ospitalis fosse affiancato un
luogo di culto. Ma questo problema non si poneva poiché era impossibile pensare che la chiesa fosse
staccata dall’ospedale, a meno che non si trattasse delle strutture del primo periodo dei pellegrinaggi
posizionate fuori dalle mura della città. E siccome era dovere degli ospiti pregare, tutte le domeniche i
canonici si recavano nell’ospedale per celebrare messa.

Architetture di città e architetture di campagna: la struttura materiale degli ospedali nei secoli XII-XIII

L’architettura ospedaliera fu un’architettura funzionale. Non era prassi donare direttamente l’edificio
ospedaliero ma si dotava l’ente promotore in modo che esso, sul terreno donato e con i fondi lasciati,
costruisse un ospedale→ esistenza ospedaliera morfologica incompatibile con quella della casa di comune
abitazione. Funzionale è quindi significativo di una corrispondenza tra funzioni e forma. Nelle realizzazioni
architettoniche dei principali ordini impegnati nell’attività ospedaliera sembrano mancare espressioni per
poter individuare una chiave che permetta di interpretare le diverse soluzioni. Bisogna porre attenzione
anche alle due esigenze di un ospedale e cioè offrire riposo ai viandanti e farli pregare. Ospedali presso
fondazioni monastiche: l’ospedale risulta comune e immediato. Molto spesso ci si trova davanti ambienti –
contenitori: una o due navate con sostegni centrali e un solo accesso e finestre che indicano il ritmo delle
campate. L’infermeria di Staffarda ha avuto una trasformazione grazie all’impostazione funzionalistiche che
i Cistercensi diedero ai propri edifici. Per quanto riguarda i riformati e i Gerosolimitani, il modello
proponeva uno sviluppo modulare infinito. L’unico elemento da verificare era la presenza di un camino:
tanti documenti implicano il fatto che il camino ci fosse perché l’ospedaliere doveva occuparsi del suo
mantenimento o ancora perché fossero stati consumati dei pasti all’interno dell’ospedale ma non ci sono
certezze a riguardo. Il complesso di San Giacomo di Corveglia risulta essere di discrete dimensioni: oltre
all’edificio di culto e la struttura ospitante, c’era un campanile, una sala capitolare e un chiostro. Ma ciò che
resta di questo complesso è una fondazione pluristratificata a ovest di Villanova d’Asti: il campanile è stato
ridotto per costruirvi una torre; nel luogo dove si trovava la chiesa ora c’è una cappella dove potrebbe
esserci stato l’oratorio e sembra conservare l’antica abside della chiesa di San Giacomo. Il castello di
Corveglia è costituito da tre piani fuori terra che si addossano al campanile→ decadenza trecentesca della
prevostura. L’interno del castello conserva le strutture dell’ospedale, si tratta di due ambienti comunicanti:
il primo ha impianto centrale con un unico pilastro che sostiene 4 volte a crociera; il secondo occupa una
superficie doppia con costoloni sulle volte diagonali. È altamente probabile che inizialmente le stanze
fossero comunicanti visto che l’accesso all’edificio era unico. Potrebbe darsi che il primo ambiente
ospitasse l’ospedaliere poiché solo tramite essa si poteva accedere alle scale. La parte dove probabilmente
erano ospitati i viandanti era senza finestre per poter mantenere una temperatura ideale in ambiente, la
stanza era provvista solo di una monofora sul muro orientale per poter garantire l’illuminazione. L’ospedale
che oggi è conservato non appare uguale alla struttura originale. Questo perché con l’avvento dei
Cistercensi, la rifondazione delle strutture prende una connotazione di cambiamento strutturale.

Ospedali urbani: problema della facciata: molto spesso i viandanti non riconoscevano gli ospedali, come ad
esempio per San Giacomo di Corneglia→ affiggere un’insegna che indicasse l’ospedale. La chiesa di San
Marco ad Asti sorgeva isolato, aveva tutte le caratteristiche di una casa e aveva un portico. Il portico
riassume l’idea stessa di insediamento accentrato. Il portico da un certo punto di vista potrebbe omologare
l’aspetto degli ospedali a tutti gli altri edifici dotati di tale struttura ma ai portici di edifici urbani erano
affidate funzioni specifiche: nei tribunali si amministrava la giustizia, nelle abitazioni private erano l’entrata
della bottega e nelle vie erano il luogo del mercato. Negli ospedali i porticati servivano come luogo di
distribuzione delle elemosine (Santa Maria di Susa, San Lorenzo di Oulx, Santi Pietro e Andrea di Rivalta =
domus elemosinariae). L’unica struttura che ha conservato tracce del proprio aspetto originario è Santa
Maria Maggiore di Susa, menzionata il 1158 e il 1253, probabilmente rifondata nel 1170 con funzione
ospedaliera sotto donazione di Umberto III di Savoia. Un documento del 1557 dice che l’ospedale di Santa
Maria di Susa avrebbe offerto ospitalità solo ai poveri e ai pellegrini, ai quali sarebbe stata indicata la via
per l’ospedale di San Giusto. Intorno al 1600 molti documenti insistono sulla riedificazione dell’ospedale di
Susa dentro le mura della città e l’ospedale di Santa Maria cadde presto in disgrazia. Nel 1743 l’ospedale di
Santa Maria di Susa e quello di San Giusto coincidevano in molti documenti poiché l’abate delle Lanze
aveva offerto una donazione annua all’ospedale di Santa Maria in cambio di ospitalità verso i poveri e i
viandanti che erano di peso all’abbazia di San Giusto. Il chiostro di Santa Maria è collocato in
corrispondenza dell’ampia corte a sud dell’edificio; Santa Maria inoltre era nascosta alla vista, non godeva
di buona visibilità ma l’attuale via Adelaide che dalla piazza San Giusto conduceva verso il castello nel
Medioevo non esisteva. Esisteva però una via pubblica che correva lungo il lato settentrionale della casa.
Tutti questi elementi portano ad un certa parcellizzazione dell’edificio che ha occupato lo spazio del
portico. Dalla visita apostolica del 1534 emerge la presenza di una camera fognana.
Ospedali rurali isolati: Ospedali isolati = ospedali in cui il rapporto ospitalità – liturgia non era facile poiché
non sempre l’ospedale risultava munito di uno spazio per il culto, come ad esempio San Giovanni di
Chiomonte, Santa Maria del Moncenisio. L’ospedale di Morterio presso Rivoli fu sprovvisto di cappella per
un certo periodo. La chiesa di Santa Maria di Testona ha una facciata che riprendere l finestra a forma di
croce sul timpano; oltre il tetto a doppia falda è rappresentata una croce sul colmo del tetto e un abside
disegnata con naturalezza→ dimostra l’esistenza di un modello ospedaliero sovrapponibile allo schema più
semplice in uso nel medioevo per la realizzazione di una cappella: l’aula absidata = unione tra ambiente di
accoglienza e uno per la liturgia. L’ospedale consisteva in un’ampia sala ai cui lati erano posizionati i letti e
all’estremità lungo l’asse principale era posto un altare, così che tutti gli ospiti potessero assistere alla
celebrazione. L’ospedale – cappella era il modello più diffuso dei tipi edilizi medievali degli ospedali rurali.
Sono esistite cappelle che in principio però non erano che strutture ospedaliere, come ad esempio il gruppo
degli ospedali betlemitani: vengono distinte le chiese(San Michele del Colle, di Isasca, di Castelpiatto), gli
ospedali (Falicetto, Borgo San Dalmazzo, Galamero, Quattordio) e le cappelle con ospedale ( complesso tra
Chieri e Pino Torinese). Altri edifici adibiti ad ospedali prendevano anche la funzione del cronicario, come i
lazzeretti. Il lazzaretto comprendeva una sala per la preghiera, refettorio, stanza da fuoco, dormitorio per i
malati allo stadio terminale→ edificio non necessariamente collegato al modello ecclesiastico.San Lazzaro
di Pinerolo. Ospedale di Ponticelli: l’edificio non era una struttura fortificata, aula rettangolare a manica
semplice, no funzione militare. Una catena di archetti pensili con fila di mattoni a dente di sega in facciata,
tipica degli edifici religiosi medievali. L’ospedale si organizza come un corpo di fabbrica di piccole
dimensioni coperto da un tetto a falde. Due argomenti con discreta omogeneità: le dimensioni e
‘organizzazione del nucleo architettonico ospedaliero e le tecniche costruttive→ gli ospedali erano ambienti
unici di piccole dimensioni. Di solito la struttura interna era costituita da orizzontamenti voltati.
L’architettura ospedaliera è unificata per l’uso dei materiali e per tecniche costruttive. Materiali durevoli
poco usati, si prediligeva il legno e murature miste del tipo a colombage e tetti in paglia o in legno.

Un’età di transizione: i modelli consolidati alla fine del XIII sec. e i nuovi riferimenti istituzionali

Gli ospedali dipendenti dalle canoniche diventarono oggetto di speculazioni e furono condotti al collasso
finanziario. L’esperienza laica in fatto di ospitalità è fatta risalire all’alto medioevo. L’ospedale di Stura di
Torino fu fondato da Pietro Podisio e ceduto ai Vallombrosiani ma bisogna aspettare il 1244 prima di
vedere che un ospedale fosse fondato e affidato ad un’istituzione non più laica ma nata come tale: gli
Umiliati di San Cristoforo di Vercelli→ ingerenza delle confraternite nel governo delle strutture di ospitalità.
Nacque però un altro movimento, il francescanesimo, che da una parte aiutò la nascita delle confraternite
laiche e dall’altro condizionò molto la portata del loro impatto sulla società tardomedievale. I Minori non
ebbero nessun ruolo ospedaliero ma esercitarono la loro influenza per l’affermazione del movimento laico
della fraternità che divenne ospedaliero con i disciplinati. In Piemonte il francescanesimo viene sostituito
dal monachesimo tradizionale, San Pietro a Novalesa, San Giusto a Susa, San Solutore di Torino. proprio
mentre le canoniche regolari riformate cadevano sotto il potere delle nuove forme di religiosità, i vescovi
diedero gli ospedali in mano ai laici, per poter garantire una continuità assistenziale. In Piemonte i
Disciplinati giunsero in seguito al moto della prima emozione popolare scatenata dalle processioni
pubbliche perugine del 1260. I primi ospedali disciplinati furono San Lorenzo di Carmagnola, Sant’Evasio di
Asti, Santa Maria di Cuneo. Ad esempio a Cuneo non esisteva un sistema organico di assistenza ai viandanti,
area quindi più fertile per il nuovo radicamento dei movimenti laici. La prima struttura assistenziale guidata
da una confraternita si trovava a Mondovì, donata ai Disciplinati di Sant’Antonio nel 1361. Mancava però
un organo superiore capace di dare al movimento unità d’intenti. Le confraternite piemontesi
rappresentarono la seconda fase del movimento, quella istituzionale, caratterizzata da presenza sul
territorio e regole precise. Le confraternite nascevano da un fenomeno popolare e al popolo dovevano
essere essenzialmente legate. Al complesso sistema ospedaliero del XII secolo si sia sostituito un altro
sistema gestito da gruppi piccoli e privi di reale capacità d’azione. Gli statuti dei Disciplinati sono
elaborazioni parziali, funzionali alle necessità della comunità. Le confraternite si svilupparono come gruppi
minimi con sede in conventi. Stretta connessione tra ospedale e liturgia mancò negli ospedali delle
confraternite: quindi le strutture si sganciavano dalle chiese locali ma non facevano nemmeno riferimento
all’ordine diocesano più alto. La peculiarità delle confraternite disciplinate sta nell’essere state un
fenomeno tipicamente urbano→ mancanza di fratellanza nel mondo rurale→ costituzione di portici negli
ospedali urbani poiché l’attività apostolica e assistenziale delle confraternite si rivolgeva solamente più ai
poveri→ gli ospedali seguirono le medesime linee evolutive dei movimenti pauperistici→ abbandono delle
strade e del contesto rurale in favore dei centri urbanizzati→ gli ospedali non erano più collegati al sistema
infrastrutturale anche a causa della decadenza del pellegrinaggio. Nel primo periodo sono le strade gli assi
generatori dell’assistenza. Spesso fu una nuova fondazione a cogliere l’eredità degli ospedali di primo
periodo. Se dal punto di vista istituzionale non esiste una continuità, esiste invece dal punto di vista edilizio
perché le strutture urbane hanno preso spunto dagli ospedali rurali, nati prima per esigenze simili. Torino a
metà del XIII secolo contava dieci fondazioni ospedaliere, alle quali si devono aggiungere quattro domus
hospitales. Dei 14 ospedali solo 4 sorgevano dentro le mura della città. Nel 1378 la comunità faceva
pressione sul vescovo per unificare gli ospedali e l’unione fu portata a termine nel 1440. Il caso di Asti è
analogo a quello di Torino ma leggermente più complesso: 7 erano le fondazioni attive e la nascita
dell’ospedale di Asti e dei borghi si pose come un avvenimento di rottura rispetto alla tradizione poiché
gestito da laici. Insieme all’ospedale di Asti venne istituito quello di Sant’Easio e quello di San Giuliano. Le
confraternite apparirono nella gestione degli ospedali contemporaneamente si collocarono tutte all’interno
dell’antica cinta muraria. L’unificazione del 1455 si pose come logica conseguenza di un rinnovamento
intrapreso un secolo prima. Nel caso di Chieri gli ospedali erano posti in posizione esterna alla prima cerchia
di mura ed erano gestiti dalle magistrature comunali: la fondazione dell’istituto di Santa Maria collocato in
posizione centrale fu concorsa da 12 cittadini privati→ impronta laica. A determinare la nuova sensibilità
ospedaliera furono le confraternite disciplinate che si ponevano nei confronti del popolo come l’ospedale si
poneva nei confronti della città: i poteri comunali le appoggiavano e proteggevano fino a sostenerle
economicamente.

Verso l’omologazione morfologica: gli ospedali urbani trecenteschi

Sono sostanzialmente i fattori che condizionano l’architettura ospedaliera del XIV secolo:

1. sopravvivenza dei modelli ospedalieri urbani di primo periodo


2. rinnovamento delle necessità funzionali
3. vocazione pauperistica delle nuove forme di associazionismo laico.

→riassumere i caratteri architettonici consolidati, rinnovarli in base alle nuove esigenze funzionali e
applicarli con le necessarie modifiche

→progressiva semplificazione delle categorie di riferimento + significativo aumento della complessità


distributiva e delle funzioni associate al contenitore ospedaliero.

Cadevano così le esigenze religiose su cui erano state modellate le culture del XII e XIII secolo. Dopo il XIII
secolo sembra prendere sempre più piede la tendenza di donare un edificio preesistente nel quale veniva
insediata la nuova istituzione. I motivi che spingevano i committenti a fare delle donazioni sono da cercare
nelle condizioni ambientali in cui tali donazioni si manifestavano. Nello spazio urbano non esistevano dei
luoghi dove edificare nuove strutture per ospedali. Molti ospedali vennero spostati in luoghi diversi da
quelli originali poiché le esigenze dei gestori cambiavano. Insieme agli aspetti architettonici, cambiarono
anche quelli dell’ospitalità: essa perse il senso stabile insito nelle canoniche; le nuove confraternite si
comportavano diversamente e si adattarono a quella che iniziava ad essere la nuova città tardomedievale.
Questa adattabilità permise agli ospedali di sopravvivere nel tempo e di coniugare l’assistenza ai poveri e
quella ai pellegrini. La maggior parte degli ospedali è descritta come un edificio più o meno grande,
organizzato su due piani, destinati ai poveri (inferiore) e ai pellegrini (superiore) : nell’ospedale di San
Giovanni di Torino si trovano 4 stanze, due superiori e due inferiori; in quello di San Lazzaro ci sono due
stanze superiori e due inferiori. L’ospedale dell’Annunziata di Chieri prevede un inventario che testimonia la
presenza di 70/80 letti, un camino, tutti gli strumenti necessari per fare il pane e conservare la carne.
Questo ospedale funzionava molto bene tant’è che il vescovo non ha provveduto a nessuna ristrutturazione
o lavoro di manutenzione. Anche l’ospedale di Santa Marta di Asti vantava di essere uno degli ospedali più
grandi di tutto il Piemonte sud– occidentale. Esso era costituito da una camera comune inferiore e due
superiori, di cui una con 3 letti per le donne. La struttura, oltre agli strumenti per la cucina e quelli di
medicheria, prevedeva la presenza di 35 letti per i pellegrini→ struttura ospedaliera modello con vani
soprapposti, camino e differenziazione di reparti per poveri e per pellegrini. L’ospedale Santa Croce di
Moncalieri nacque come fondazione autonoma all’inizio del XIV secolo. Collocata in un’assoluta posizione
centrale, coincide con un edificio ancora esistente, la “casa torre di Santa Croce”. Il volume si costruisce su
tre piani e il sistema di distribuzione verticale è affidato ad una scala a doppia rampa, due stanze a livello
stradale e due superiori (articolazione visibile in facciata). Triplice apertura in facciata: una grande polifora
centrale affiancata da due monofore più piccole, archiacute e trilobate utilizzate per lo smaltimento dei
fumi dei bracieri). L’edificio dell’ospedale di Santa Croce di Piazza a Mondovì sorgeva davanti alla facciata
della chiesa di San Francesco: fabbrica vasta ed articolata, evidente di successivi ampliamenti. Verso la fine
del 400, l’ospedale contava 14 letti e ulteriori 3 giacigli, le stanze a disposizione dei pellegrini erano tre a cui
si aggiungeva la domus della confraternita, posta al piano superiore. Nella planimetria del 1576, figuravano
il dormitorio maschile e la cucina, venne aggiunto a sud il dormitorio femminile. L’intero edificio è rivestito
da un manto uniforme di intonaco che nasconde il palinsesto murario. Visibile in facciata è la differenza tra
il complesso originario e quello costruito dopo. L’ospedale di Villafalletto rappresenta la più antica struttura
assistenziale della zona cuneese: complessa fabbrica in cui spunta un corpo del camino di dimensioni
inusuali, coperta da una volta a botte a sesto spezzato con piano d’imposta coincidente con quello di
calpestio; nel prospetto principale verso la via rimane una fascia decorativa bicroma con elementi
geometrici, che testimoniano l’arte decorativa del XV secolo. Sono riconoscibili due fasi costruttive: la
prima , corrispondente al nucleo della caminata a pian terreno e la seconda corrispondente alla manica
meridionale, diverse per tecnica muraria e dimensioni dei vani (400). La sua collocazione era documentata
al fuori dalle mura ma è probabile che, l’edificio ormai saturo, fosse stato ampliato sessanta anni dopo la
sua edificazione con una domus hospitalis che venne realizzato all’esterno delle mura. Successivamente un
altro accrescimento demografico, vide la costruzione di una domus per la confraternita extramuraria.
Questo ospedale è un esempio di blocco edilizio compatto, privo di portico e oggetto di continui
ampliamenti La domus hospitalis di San Pietro e Paolo a Caudano di Stroppo risulta essere un nucleo
insediativo capace di riorganizzare un tessuto urbano preesistente, proiettata verso l’assistenza ai poveri e
ai malati. Viene documentata una volta sola, all’atto della fondazione nel 1463, non perché non fosse stata
portata a termine ma perché venne cambiata la sua destinazione d’uso. Facciata principale a vela: accesso
al piano terra, portale trilitico architravato, due portali megalitici collocati lungo il fianco del complesso e
due bifore in facciata al primo piano (anni 60 del 400). L’edificio originario si componeva di due piani fuori
terra: il primo ospitava una grande sala con il camino, il corpo scale e un locale di servizio. Esiste un nesso
tra l’architettura ospedaliera di primo periodo e quella delle fondazioni laiche trecentesche: l’ospedale
rimaneva un momento di sintesi di alcune tra le migliori espressioni dell’architettura tardomedievale. Le
differenze potevano essere viste nella distribuzione degli spazi interni e nella scomparsa del portico. Per
quanto riguarda la distribuzione, negli ospedali del primo periodo veniva messa a disposizione una stanza
per l’accoglienza; nel secondo periodo cambiarono le intenzioni e le funzioni dell’edificio, erano necessari
più locali ma non si assiste ad un raddoppiamento della manica, lo spazio unitario tendeva ad organizzarsi
in cellule minime. Dove lo spazio non era sufficiente all’ampliamento dell’edificio, ci si occupava di trovare
un edificio in prossimità che potesse ospitare le funzioni che non erano ancora state previste nell’ospedale
originario per motivi di spazio. Si aumentarono gli edifici in altezza: infatti gli ospedali analizzati hanno
almeno due piani fuori terra. La scomparsa del portico si associa alla scomparsa dell’uso originale della
struttura, cioè la distribuzione dell’elemosine. La distribuzione avveniva infatti presso la cappella e non
nell’ospedale, quindi il portico poteva non esistere. Inoltre negli ospedali del XII e XIII secolo i portici
indicavano la presenza della struttura di ospitalità. Venne però scardinato il portico in quanto struttura di
distinzione formale: infatti il portico prese una funzione commerciale. Il portico costruito in muratura (che
istituiva la presenza fissa e non mutevole sul territorio) si collegò ad una funzione itinerante come quella
del commercio→ evitare l’omologazione degli ospedali con gli edifici pubblici.

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