TEODORI Fondamenti Di Composizione 2018 PDF
TEODORI Fondamenti Di Composizione 2018 PDF
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TEODORI
Fondamenti di Composizione
Elementi di grammatica musicale e di analisi
secondo la maniera italiana
comprendi la musica quando la fai
Roma, ottobre 2018
Indice
Introduzione 5
1. Fatti di forma 5
2. Fatti di grammatica 6
3. Fatti di storia 8
4. Il senso della musica 9
5. I limiti di questo manuale 10
6. Quale grammatica, quindi? Un fondo comune tra passato e presente 11
Capitolo I – Scale e modi 13
Scala cromatica 13
Semitono/tono 13
Scala diatonica 13
Modi 13
I modi usati nella nostra musica 14
Modo relativo minore/maggiore 14
La sensibile nel modo minore (cosiddetto modo minore armonico) 15
Modo minore melodico 16
Trasposizione e nome delle scale 16
“Alterazioni costanti” 16
Scale/tonalità possibili (circolo delle quinte) 17
Altre scale in uso nella musica attuale 17
a. pentafonica/pentatonica 17
b. scala minore nella musica attuale 18
c. scala blues 18
Nomi convenzionali attribuiti ai gradi della scala 19
Capitolo II – Intervalli 20
Definizione di intervallo 20
Classificazione degli intervalli 20
Intervalli consonanti/dissonanti 20
Capitolo III – Definizione e classificazione degli accordi 22
Definizione di accordo 22
Sovrapposizione per terze ideale o reale 22
Accordi consonanti/dissonanti 22
Classificazione degli accordi 22
a. Triade: accordi di tre suoni 23
b. Settima: accordi di quattro suoni 23
Accordi diatonici, cromatici, alterati rispetto a quelli classificati 25
c. Nona: accordi di cinque suoni 25
Identificazione dell’accordo 25
Accordi consonanti/dissonanti 23
Identificazione dell’accordo 24
Capitolo IV – Costruzione dell’accordo, regole generali 26
Scrittura dell’accordo a quattro parti 26
a. Posizione melodica 26
b. Posizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta) 26
c. Stato del basso 27
d. Basso, fondamentale e tonica, tre cose differenti 27
e. Costruzione dell’accordo: raddoppi e omissioni 27
e.1. Raddoppi e omissioni nelle triadi 27
e.2. Raddoppi e omissioni nelle 7e 28
Capitolo V: Numeri e sigle 29
Numeri arabi 29
Numeri romani 30
a. Tradizione scolastica napoletana (gradi melodici) 30
b. Tradizione tedesca e anglosassone (gradi armonici) 30
1
Sigle impiegate nella musica attuale 31
Capitolo VI – Condotta delle parti nei collegamenti di accordi 33
Moto melodico 33
Moto armonico 33
Errori di moto armonico ed eccezioni alle regole nel collegamento di accordi 34
a. Divieto di muovere due voci per unisoni, quinte, ottave parallele 34
b. Divieto di procedere per moto retto su un unisono, una quinta o un’ottava 34
Eccezione 1: si ammettono ottave e quinte per moto retto tra parti interne se… 34
Eccezione 2: si ammettono ottave e quinte per moto retto tra parti esterne se… 35
Eccezione 3: si ammette l’unisono tra tenore e basso se… 35
Eccezione 4: cambio di posizione melodica 35
c. Divieto di procedere per moto retto con tutte e quattro le voci 35
d. Falsa relazione 36
Trattamento della dissonanza in sincope 36
Condotte obbligate: sensibile, note alterate, dissonanze 37
Fioritura dell’unisono 37
Incrocio delle parti 38
Capitolo VII – Tonalità e cadenze 39
Tonalità 48
Cadenze 41
La successione V-I non è sufficiente a determinare una cadenza 41
Classificazione delle cadenze 42
a. Cadenze finali 42
a.1. Cadenza perfetta 42
a.2. Cadenza plagale 43
b. Cadenze sospese 43
b.1. Cadenza imperfetta 43
b.2. Cadenza alla dominante, o semicadenza 43
b.3. Cadenza evitata 44
Formule di cadenza 44
La “Regola dell’Ottava” 44
Il loop alla base delle successioni armoniche nella musica attuale 45
Capitolo VIII – Elementi di contrappunto nello stile tonale 47
Composizione di una linea melodia in contrappunto a 2 47
Moto delle parti (condotta delle voci parti) 48
Moto melodico/moto armonico 48
a. Moto melodico, salti proibiti 48
b. Moto armonico 49
Fioritura dell’unisono 49
Contrappunto per specie 50
a. Prima specie, nota contro nota 50
b. Seconda specie, due note contro una 50
c. Terza specie, quattro note contro una 51
d. Quarta specie, sincope 51
e. Quinta specie, fiorito 52
N.B. Unisoni 5e 8e parallele a distanza nel contrappunto a 2 52
Contrappunto a due: esercizi modali o tonali? 52
Intervalli ammessi nello stile tonale a seconda del grado della scala su cui si trova la nota 53
Funzioni tonali: tonica, dominante 53
La cadenza nel contrappunto a 2 54
a. Cadenza finale 55
b. Cadenza sospesa 55
Composizione di un contrappunto su partimento 57
Tonalità e motivi 57
Un esempio di Vincenzo Lavigna 58
Capitolo IX – Ritmo, metro e formazione della frase 60
Ritmo libero 61
2
Ritmo misurato 61
Costruzione della frase per antecedenti – conseguenti nella musica a ritmo misurato 62
Uso delle lettere nell’analisi musicale 63
Dal motivo al periodo 63
Capitolo X – Accordi dissonanti 67
Ricapitolazione delle indicazioni sul trattamento della dissonanza 67
Alcuni accordi dissonanti con funzione di dominante 67
a. Triade di sensibile 67
b. Accordi di 7a e 9a con funzione di dominante 68
b.1. 7a di dominante (prima specie) 68
b.2. 9a di dominante (prima specie) 68
9a di dominante maggiore 68
9a di dominante minore 69
b.3. Accordi di settima sulla sensibile 70
7a di sensibile 70
7a diminuita 70
Alcuni accordi dissonanti che precedono la dominante 71
Triade diminuita sul II della scala minore 71
7a sul II della scala maggiore (seconda specie) 71
7a sul II della scala minore (terza specie, semidiminuita) 72
7a sul IV della scala maggiore/minore (quarta/seconda specie) 72
Altri accordi di 7a secondari 73
Accordi dissonanti e funzioni tonali 73
Capitolo XI – Note di fioritura 75
a. Note di fioritura reali (o di arpeggio) 75
b. Note di fioritura estranee all’accordo 75
b.1. Note di passaggio 75
b.2. Note di volta 75
b.3. Note di volta incomplete (sfuggite) 76
b.4. Anticipazione 76
Capitolo XII – Ritardi e appoggiature 77
Ritardi 77
a. Ritardo della fondamentale al basso negli accordi sul I, II, V 78
b. Ritardo della 3a sul I e sul V allo stato fondamentale 78
c. Ritardo della 3a nel secondo rivolto degli accordi di 7a sul V e sul II 78
d. Ritardo della 3a al basso 79
e. Ritardo della 5a 79
Appoggiature 79
Capitolo XIII – Sequenze (progressioni) 80
Aspetti generali 80
Condotta delle parti nella realizzazione delle sequenze 80
Alcuni modelli comuni di sequenza 82
Sequenze imitate (progressioni imitate) 84
Capitolo XIV – Armonia cromatica, enarmonia 87
Aspetti generali 87
Alterazioni relative o reali 87
Effetto modulante o non modulante 87
Alterazioni più comuni 87
a. IV aumentato del modo maggiore e minore 88
a.1 7a di prima specie in primo rivolto (dominante della dominante) 88
a.1. 7a dim. Sul IV aum. Del modo minore e maggiore 88
b. Dominante applicata (o di passaggio, o transitoria); tonicizzazione 88
c. VI abbassato del modo maggiore 89
d. Accordi di 6a aumentata 89
c.1. 6a aumentata nel modo maggiore 90
c.2. 6a aumentata nel modo minore 90
e. II abbassato: 6a napoletana 90
3
f. Triade aumentata 90
Enarmonia 91
a. Trasformazione enarmonica della 6a tedesca in 7a di dominante 91
b. Trasformazione enarmonica della 7a dim. 91
Modulazione 92
Aspetti generali 92
Fasi di esecuzione della modulazione (modello scolastico) 92
Esecuzione di un compito di scuola 92
Stabilizzazione della tonalità: composizione di un giro armonico chiuso da cadenza 92
Tecniche di modulazione 93
a. Tramite accordo in comune 93
b. Tramite cromatismo 94
Scivolamento cromatico (cromatismo esteso) 94
c. Tramite enarmonia 95
d. Tramite transizione 95
e. Tramite sequenza (progressione) 95
f. Tramite trasposizione o giustapposizione 96
La modulazione a seconda del grado di affinità; toni vicini/relativi, toni lontani 97
a. Modulazione di 1° grado di affinità attraverso accordo in comune 97
b.1. Modulazione di 2° grado di affinità attraverso accordo in comune 98
b.2 Modulazione di 2° grado di affinità attraverso cromatismo 98
c.1. Modulazione di 3° grado di affinità attraverso accordo in comune 98
c.2. Modulazione di 3° gradi di affinità tramite enarmonia 99
d.1. Modulazione di 4° grado di affinità attraverso accordo in comune 99
d.2. Modulazione di 4° grado di affinità attraverso scivolamento cromatico
N.B. In pratica: 3° e 4° grado di affinità tramite enarmonia 99
a. Modulazione ai toni lontani tramite trasformazione enarmonica della 7a dim. 99
c.2. Modulazione ai toni lontani tramite trasformazione enarmonica della 7a di do- 100
minante in 6a aumentata tedesca.
Capitolo XVI – Tonalità e motivi, elementi di forma musicale 102
1. Tra regole e indicazioni di stile 102
2. Alcune caratteristiche della forma della musica tonale 103
Un minuetto 103
Uso della tonalità 105
Uso dei motivi 106
Una sonatina 107
Qualche indicazione sulla forma sonata 110
La forma sonata nella sintesi di Carl Czerny 110
Una fuga 111
Una piccola canzone in forma A-B-A 113
4
Introduzione
In questa introduzione dovrò usare alcuni termini tecnici, piuttosto comuni tra i musicisti, che sa-
ranno spiegati più avanti. Pian piano si arriva a tutto.
Partiamo da un esempio:
Ora annoto qualcosa, senza pretesa di sistematicità, né di completezza:
1. Fatti di forma
La melodia in chiave di violino è articolata in due parti, che possiamo definire frasi e che percepiamo
in relazione tra loro:
prima frase
seconda frase
La percezione di relazione tra queste due frasi si deve a qualcosa di più rispetto al fatto che la musica
sia appena iniziata e che una segua l’altra in un contesto (l’accompagnamento con la sua strumenta-
zione e il suo ritmo) omogeneo. Per esempio, le due frasi sono simili per durata, avendo entrambe
l’estensione di quattro battute; inoltre le prime due battute di ogni frase sono assai simili (solo alla
fine della seconda battuta della seconda frase c’è un fa#, che prosegue comunque sul sol); c’è rela-
zione poi anche tra le due battute finali delle frasi: benché non siano uguali, infatti, entrambe scen-
dono dal sol fermandosi la prima sul do, la seconda sul si bemolle. È sufficiente la proiezione delle due
frasi su queste note, perché la loro relazione assuma un carattere sintattico: la prima resta una frase
sospesa infatti, mentre la seconda, rispondendogli, chiude l’insieme.
Son cose che si sentono anche senza essere musicisti.
Isoliamo la funzione ritmica e confrontiamo ancora la prima con la seconda frase:
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Il fraseggio della prima frase si suddivide in due parti chiaramente articolate, mentre la seconda frase
è un’arcata unica di quattro battute: è bastato a Verdi usare quella semiminima in levare, sul quarto
tempo della sesta battuta, e sfruttarne la tendenza a spingere in avanti, per anticipare l’intensifica-
zione della settima battuta e determinare la caduta sul battere dell’ottava. Basta poco a far tanto e
rendere tutto spontaneo, semplice, naturale; ancora una volta anche per chi non è musicista.
Annoto velocemente che la funzione del ritmo non si limita a contribuire nella definizione della dina-
mica delle frasi: è fondamentale nella determinazione del carattere della musica. Anche a prescindere
dal resto, bastano il ritmo incisivo della melodia e il vigoroso andamento di polacca dell’arrangia-
mento a conferire a queste battute un carattere deciso, risoluto.
Quando si parla di forma musicale, s’intende riferirsi comunemente all’insieme complesso di rela-
zioni che tiene insieme una determinata musica; non solo una frase rispetto alla seguente, come
nell’esempio che ho iniziato a guardare, ma una musica nella sua interezza. Le battute dell’esempio
che stiamo guardando sono quelle con cui inizia la cabaletta O tu che l’alma adora, dall’Ernani di Verdi
e, come in genere le cabalette, anche questa è in forma A-B-A, con una coda conclusiva. A sua volta la
cabaletta s’inserisce in un insieme, la scena, che si compone, secondo la “solita forma”, di alcune parti
disposte in successione: spesso c’è un recitativo iniziale, poi una cavatina, il tempo di mezzo e, ap-
punto, la cabaletta finale. Ognuno degli atti di un’opera italiana ottocentesca è costituito dalla succes-
sione lineare di un certo numero di scene.
La forma è fatta di parti che contengono parti, che contengono parti, e così via; ogni parte ha un ruolo
nei confronti delle altre o all’interno di quella in cui si trova inserita. Identificare le parti di cui si
compone una musica, la relazione che le lega e il riferimento a modelli più o meno comuni (come per
esempio la “solita forma”) ha una certa rilevanza per la comprensione della musica stessa. Compren-
dere una musica, tuttavia, non corrisponde solo con questa operazione. Proviamo a spingerci oltre
nell’analisi di queste nove battute della cabaletta dell’Ernani.
2. Fatti di grammatica
La linea melodica delle due frasi è poggiata su una forma ad arco prima ascendente poi discendente
che determina un flusso dinamico di spinta e distensione; ecco le note su cui si poggiano le due frasi:
Semplice ed efficace. La scala di Si bemolle maggiore è impiegata in modo consapevolmente naturale,
direi. È naturale nel nostro linguaggio musicale, infatti, quello spostamento dal primo grado della
scala (il si bemolle) verso il quinto grado (il fa, alla seconda battuta), che crea un senso di tensione e
attesa, compensato dalla successiva linea discendente delle due frasi:
6
Son due archi più meno corrispondenti; in realtà la fermata alla fine delle quattro battute determina
un ulteriore linea di tensione/distensione, che questa volta coinvolge l’intero gruppo di otto battute:
Si direbbe quindi che Verdi abbia usato una strategia unica, basata sul principio che a tensione segue
distensione, e che l’abbia usata su livelli proporzionalmente consecutivi: 2+2, 4+4. Sicché le otto bat-
tute sono tenute insieme con forza dall’energia dinamica che lega i gradi di una scala gli uni agli altri
e che porta a far convergere i movimenti verso il primo grado di essa.
Osservando ancora l’uso della scala in queste poche battute del nostro esempio, è da notare come
siano impiegati quasi unicamente suoni della scala diatonica di Si bemolle maggiore; l’unica ecce-
zione nella melodia è il fa# della seconda frase, mentre nell’accompagnamento oltre il fa# compaiono
anche un si bequadro e un mi bequadro nella battuta successiva. Si tratta di alterazioni cromatiche,
che imprimono ulteriore spinta alla seconda frase, potenziando il senso di proiezione verso il termine
delle otto battute. Naturalmente, il risultato è dato dalla combinazione dei fatti melodici e di quelli
ritmici.
La scala è un fatto rilevante nella nostra come in altre grammatiche musicali.
Nella nostra musica raramente la melodia si canta da sola (come capita per esempio nel canto grego-
riano); il più delle volte è sostenuta da un accompagnamento e/o combinata con altre melodie. La
parte più importante, dopo la melodia, è quella del basso. Ecco il basso dell’esempio che stiamo os-
servando:
Rispetto alla melodia si tratta di una linea essenziale, priva di carattere, che tuttavia la sostiene per-
fettamente, contribuendo a chiarire la proiezione delle frasi. Le due parti, suonate assieme, si può
dire che costituiscano un contrappunto elementare ed efficace a due parti:
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Il movimento del basso scandisce la proiezione dinamica delle frasi, potenziando l’effetto
aperto/chiuso delle otto battute; nell’esempio che segue la parte è ridotta all’osso, e i numeri romani,
posti sotto le note del basso, indicano a quale grado della scala di Si bemolle maggiore esse corri-
spondono. Le frecce tra i numeri romani sintetizzano le proiezioni verso quelle che impareremo a
conoscere come le “cadenze”:
Le parti restanti dell’accompagnamento definiscono l’armonia, ottenuta attraverso la sovrapposi-
zione di diverse linee melodiche (in questo caso ci sono il basso e le tre parti del pentagramma supe-
riore); la sovrapposizione delle linee melodiche – tutte differenti - è governata dalle regole del con-
trappunto:
Tra i fatti di grammatica e quelli di forma che ho annotato c’è coerenza: quando si decide di articolare
le frasi in un certo modo, si attivano meccanismi di grammatica adeguati allo scopo.
Tutto ciò è apprezzato anche da chi non ha studiato musica. Le regole della grammatica musicale
sono le stesse, sia per chi scrive che per chi ascolta la musica, se la formazione culturale è avvenuta
in ambienti omogenei; la differenza sta nel grado di consapevolezza e nella capacità di descrivere ciò
che accade attraverso il linguaggio verbale.
3. Fatti di storia
Ci si potrebbe chiedere come e perché Verdi abbia scritto una musica proprio in questo modo. In
sintesi si potrebbe rispondere che quando si fa una musica è per esprimere qualcosa di particolare e
originale, ma che se si vuole comunicare ciò che si vuol esprimere, si deve farlo con il linguaggio che
tutti si usa comunemente. Cercare di comunicare cose nuove inventando un linguaggio nuovo è
un’idea nobile, ma di fatto non funziona: il linguaggio per definizione è fatto di usi sedimentati e con-
divisi.
La condivisione non si limita a quelle che potremmo definire “regole della grammatica” della musica;
perché le stesse regole della grammatica musicale non si esauriscono in un nucleo chiuso di espres-
sioni finite; fosse così, non vi sarebbe alcuna evoluzione nel linguaggio musicale. Invece, le regole
della musica, man mano che da quelle generali ci si spinge verso le particolari, scivolano sul piano
delle indicazioni di stile senza soluzione di continuità; e non si tratta di indicazioni meno importanti,
dal momento che costituiscono il presupposto fondamentale per apprezzare con soddisfazione il
senso di una composizione. Le regole della grammatica, in altre parole, si devono leggere e si possono
apprezzare solo alla luce delle informazioni che ci dà della storia.
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Sarebbe impossibile apprezzare la cabaletta del nostro esempio senza tener conto delle premesse
stilistiche dell’opera italiana alla metà dell’Ottocento. A sentirla così, infatti, sembrerebbe una musica
piuttosto leggera, forse un po’ schematica ed eccessivamente estroversa e ottimista, per il nostro
modo di sentire. Ma la cabaletta all’epoca era la sezione virtuosistica che chiudeva la scena, il pubblico
in quel momento si aspettava essenzialmente un pezzo di bravura adatto a mettere in luce le doti
virtuosistiche del cantante; spesso nulla di più. Ci può piacere o meno, ma se vogliamo comprendere
una cabaletta di questo tipo, dobbiamo tener conto delle aspettative del pubblico del tempo e del
fatto che un grande compositore come Verdi avesse interesse a non deludere tali aspettative. E questa
è un’altra informazione importante, per noi che siamo cresciuti in contesti estetici manichei: l’arte è
per l’arte…ma intanto l’artista dell’Ottocento scrive per il pubblico.
Per comprendere, una musica, per coglierne il senso e apprezzarne i contenuti se ne deve conoscere
l’uso, si devono conoscere le circostanze in cui si suona, il pubblico che l’ascolta, le idee che circolano,
non solo quelle attorno la musica. Da una canzone nata per far accendere le candeline in uno stadio
non ci si può aspettare che rappresenti questioni essenziali dello spirito dell’uomo; esattamente
come non ci se lo può aspettare da una cabaletta degli anni ’40 del XIX secolo.
4. Il senso della musica
Quando si parla del senso della musica si pensa all’analisi come strumento per indagare su di esso; il
presupposto, infatti, è che vi sia una relazione tra come è fatta una musica e quel che significa. L’ana-
lisi musicale segue generalmente la direzione che va dalla musica alle sintesi secondo due orienta-
menti distinti: il primo - applicato il più delle volte per vie spicce nei conservatori - cerca la relazione
tra una certa musica e un modello formale di riferimento (la forma sonata, o la fuga scolastica, per
esempio), e/o tra la musica e una determinata teoria/tecnica (così si dirà, per esempio, che in quella
musica s’impiega la tecnica dodecafonica, o uno schema isoritmico; oppure si dirà che le cellule rit-
mico-melodiche sono derivate l’una dall’altra in un certo modo), supponendo che tali riferimenti
siano stati importanti nel processo creativo del compositore; il secondo orientamento parte da una
posizione teorica forte sulla musica e l’analisi è quindi principalmente lo strumento utile a verificare
la tenuta della teoria. Musicologi, linguisti, semiologi, psicologi in anni recenti si sono occupati della
musica appunto per verificare determinate teorie sulla forma, sulla percezione della forma, sulla ca-
pacità della musica di significare e dell’uomo di percepire tali significati, sui riflessi cognitivi
dell’esperienza musicale, su altro ancora. Solo in alcuni, rari casi, studi di questo genere possono in-
teressare il musicista pratico per gli aspetti più specifici del mestiere; per far meglio la musica tutto
aiuta, ma spesso è meglio leggere un buon romanzo.
D’altra parte, anche il primo tipo di approccio produce risultati solo parziali; cercare il modo in cui
una musica aderisce a una determinata forma o – come nel caso dell’analisi schenkeriana, che tuttavia
presuppone una posizione teorica ed estetica condizionante – a una certa struttura è utile, poiché ci
aiuta a recuperare il senso delle articolazioni e delle proiezioni del discorso musicale. Ma la strada
per fare musica e comprenderne il senso è appena iniziata. È necessario inquadrare il carattere della
musica, intuire e scommettere sulla funzione espressiva dei motivi o dei temi, sul loro divenire e sulle
loro relazioni, con il significato complesso che ne deriva; bisogna intuire quel fatto peculiare (a volte
un gesto melodico, un ritmo, una successione armonia singolare) che concentra in sé il senso che
secondo noi una musica ha; bisogna trovare la via per esaltare il senso di quel che si suona o che si
compone. Senza dimenticare mai che alla musica si chiede comunemente di esprimere e comunicare
primariamente emozioni, non forme, non flussi neutri di suono, orientati entro forme oggettivamente
perfette. Né è vero che quando la musica ci emoziona profondamente è perché è perfetta secondo
una certa teoria: non si tiene conto di quanto la musica possa emozionare per come è eseguita, piut-
tosto che per come è composta.
Non vi è coincidenza tra i segni musicali e il senso molteplice cui possono alludere. Tutti capiamo che
è più comodo cercare l’ordine nei segni che sono davanti a noi, nella loro oggettività; ma confondere
il fine con i mezzi non porta da nessuna parte ed è di poco aiuto per chi fa musica. Fare musica è
un’esplorazione di stati d’animo, sentimenti, idee, valori, ci si dà una meta perché ci sia un ordine, ma
conta l’emozione che si prova lungo il percorso. Qualsiasi analisi musicale che si fermi al dato ogget-
tivo (ammesso lo sia) della forma è insufficiente per chi fa musica.
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Possiamo pensare alla forma della musica come a un recipiente che ordina gli indizi di senso riversati
al suo interno, creando relazioni tra di essi; la complessità sta nel fatto che gli indizi di senso non
sono significati definiti o numeri o forme geometriche, e che le relazioni tra indizi di senso diventano
a loro volta indizi di senso. Il senso della musica non si deduce per via logica: è una scommessa mo-
tivata.
Basta un esempio per cogliere la vastità del compito che attende un musicista attento alla compren-
sione dei significati della musica; concentriamoci solo sul ritmo delle due battute iniziali della caba-
letta che abbiamo iniziato a vedere.
La figura ritmica creata da Verdi parte necessariamente dal testo della cabaletta; ecco i primi quattro
versi: O tu che l’alma adora, / vien, la mia vita infiora; / per noi d’ogn’altro bene / il loco amor terrà.
Una realizzazione ritmica differente del primo verso, ma piuttosto vicina a quella verdiana, potrebbe
rendere esplicito il ritmo in levare della prima e della terza sillaba del primo verso:
È un’ipotesi credibile, che conferirebbe alla musica un carattere declamato e pacato. Ma l’intenzione
di Verdi è di mettere nel canto di Ernani un fremito, un vigore, uno slancio diverso; ecco perché sposta
la sillaba non accentata sul tempo forte della battuta, recuperando l’appoggio sull’accento giusto at-
traverso il salto di quarta ascendente e il raddoppio della durata della seconda nota (una semimi-
nima, rispetto alla croma della sillaba non accentata all’inizio della battuta). È un’intenzione espres-
siva che si conferma e chiarisce nella seconda battuta: le ultime due sillabe del primo settenario sono
risolte nello spazio di due crome, mentre già sul secondo tempo della battuta Verdi anticipa l’inizio
esortativo del secondo verso, vien.
Ernani è innamorato ed è un re spodestato che, a capo di un gruppo di banditi, vuol provare a ripren-
dere il trono usurpato. Verdi interpreta i limiti convenzionali della cabaletta, riuscendo ad aderire al
temperamento del protagonista con pochi, essenziali tratti.
Quelli cui ho accennato, sono alcuni degli indizi di senso disseminati nella partitura di Verdi; se si
vuole interpretare la sua musica con proprietà e profondità, è necessario valorizzare il più possibile
di quel che ci ha lasciato scritto in partitura. L’impossibilità di determinare ogni circostanza di signi-
ficato non deve diventare un alibi: desistere perché la via che porta alla conoscenza prosegue oltre
ogni orizzonte non ci avvicina alla musica, ma all’infelice realtà …del pesce rosso.
La comprensione della musica è un miracolo complesso. La qualità di una composizione, di un’esecu-
zione e di un ascolto è determinata dalla capacità di spingere in là le operazioni complesse che l’uso
del linguaggio presume e dalla capacità di comprendere o attribuire un carattere, di esaltare le rela-
zioni tra le parti, tra i materiali, tra i molteplici riferimenti culturali di cui è fatta una musica.
5. I limiti di questo manuale
Qualsiasi forma di descrizione che riguardi un linguaggio può essere solo progressiva e mai compiuta,
quindi. Quanto sopra s’è detto lascia intuire la vastità - realmente sconfinata - dei riferimenti che una
musica è in grado di attivare; all’interno di un unico saggio sarebbe impossibile occuparsi seriamente
anche solo delle linee fondamentali di ognuno dei campi che vi sono coinvolti. Sicché, anche a volersi
occupare solo di grammatica e di forme musicali – che è il programma di questo manuale – è neces-
sario chiarire quale confine si voglia dare alla materia trattata; non solo perché dire tutto è impossi-
bile, ma perché si deve rispondere alle domande: quale grammatica e quali forme?
Semplicemente, la grammatica e gli archetipi formali comuni; ma è una semplicità che va motivata e
spiegata.
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Dopo un secolo di sperimentazioni e di parole e teorie attorno alle sperimentazioni sembra strano
proporre “una” grammatica musicale: dal momento che compositori critici e teorici che fanno o si
occupano di musica colta parlano di, scrivono di, compongono con miriadi di linguaggi nuovi e diffe-
renti, si dovrebbe parlare almeno di un certo numero di grammatiche. Per questo è necessario che io
dichiari la mia posizione: in questo manuale parlerò di musica secondo l’accezione comune del ter-
mine, ovvero, come accennato, di linguaggio impiegato per esprimere e comunicare emozioni e stati
d’animo idee valori, secondo un insieme fluido ma consistente e profondamente radicato di usi con-
divisi. Naturalmente a tutti è concesso tutto con i suoni; ciononostante, l’esperienza e alcuni studi più
recenti dimostrano che la qualità e la finezza delle possibilità comunicative del nostro linguaggio mu-
sicale naturale sono infinitamente più efficaci - e apprezzate soprattutto - rispetto alla caleidoscopica
offerta dei cosiddetti “linguaggi sperimentali”.
La musica come linguaggio è una cosa, le composizioni sonore di tanto ‘900 colto sono un’altra; sem-
plicemente perché i linguaggi non s’inventano dall’oggi al domani, e se si vogliono inventare o “spe-
rimentare”, non si può pretendere che riescano a comunicare o che funzionino come un linguaggio
naturale.
La musica prima di essere arte è un linguaggio. Come tale da un lato si serve di meccanismi di funzio-
namento comuni a qualsiasi altra lingua, dall’altro - ancora comunemente a qualsiasi altra forma lin-
guistica - possiede una propria specificità formale e un campo privilegiato d’espressione. Esiste un
livello artistico dell’espressione musicale, che tuttavia non è il più usuale. Perciò nessuna paura a
definire come “musica” anche quella che si trasmette normalmente per radio o che viene “sparata”
nelle discoteche; e nessun problema deve esserci nell’ammettere che a questa musica non compete
il livello d’arte proprio di una sinfonia di Beethoven o anche di una canzone di Battisti.
È attraverso lo studio e l’uso consapevole delle tecniche e dei meccanismi del linguaggio, attraverso
il confronto con quanto di grande c’è stato che sarà possibile superare da un lato la tentazione di
ipotizzare una dimensione estetica ed etica alta attraverso il rifiuto dello stesso linguaggio (che è
però rifiuto di condivisione e dunque, in fin dei conti, anche rifiuto di condivisione della stessa con-
dizione “alta” dell’espressione) dall’altro la sconfortante banalità di un mondo che per la quasi tota-
lità annaspa in un guazzabuglio di produzioni da tre minuti che entrano nelle nostre teste solo perché
ripetute e ripetute e ripetute …
Quale grammatica, quindi? Un fondo comune tra passato e presente
Una tendenza che si è irrobustita negli ultimi anni ritiene che per musicisti esecutori e non composi-
tori sia superfluo lo studio pratico dell’armonia; secondo questa visione delle cose sarebbe l’analisi
musicale, sorretta da un solido impianto teoretico, a svolgere il ruolo più importante nella compren-
sione della partitura.
Il mio convincimento personale - che ha orientato la scrittura di quanto si trova in questo testo - è
che la comprensione migliore della musica si ottiene quando si ha con essa un rapporto attivo e pra-
tico; fare, costruire, imitare musica sono i mezzi che un musicista deve impiegare per comprenderla.
Una delle cose più interessanti che permette di verificare il mondo della musica pop è proprio questa:
la pratica prima e più delle parole.
Vi sono ulteriori motivi che ci convincono circa l’importanza di conoscere i fondamenti della compo-
sizione da parte di chi fa musica; il primo è che lo studio pratico del contrappunto, del partimento e
poi dell’armonia sono stati ritenuti indispensabili da sempre nella nostra tradizione pedagogico mu-
sicale. Molta parte della musica che si suona in concerto appartiene a un passato nel quale chi ese-
guiva la musica, strumentista o cantante che fosse, si formava anche attraverso lo studio della com-
posizione; chi componeva, a meno che la musica non avesse carattere didattico, aveva quindi pre-
sente un tipo di esecutore che era in grado di interagire con la partitura. Il presupposto di chi ritiene
sufficiente analizzare una musica per comprenderla è che nella partitura sia scritto tutto quel che
serve per eseguirla; ma ciò non è vero, perché la partitura non è il suono che il compositore immaginò
quando la scrisse; la partitura non è il quadro che ha dipinto Leonardo e che ci appare nella forma in
cui l’artista lo ha realizzato. Ogni partitura deve essere ricreata per essere eseguita e, soprattutto in
relazione a determinati repertori, fa parte di un’esecuzione storicamente informata la capacità di fare
1
1
cose più o meno leggermente differenti da quelle scritte. Oltre a ciò, comprendere la partitura signi-
fica anche avere un’idea delle scelte fatte dal compositore e dunque almeno di alcune delle alternative
che erano a sua disposizione. E come sarebbe possibile tutto questo a prescindere da una conoscenza
solida dei fondamenti composizione?
Non si diventa pittori descrivendo i quadri degli altri, ma prendendo il pennello, copiando e dipin-
gendo; nello stesso modo, non si diventa musicisti descrivendo le partiture altrui.
Qui ho cercato innanzitutto di riprendere i fondamenti essenziali della composizione classica se-
condo la prospettiva essenzialmente pratica italiana e napoletana: la scuola italiana, e quella napole-
tana in particolare, furono infatti punto di riferimento primario nel momento in cui in Europa si an-
darono cristallizzando le pratiche compositive proprie dello stile tonale; lo studio della grammatica
musicale guidato dal confronto con questa tradizione sarà utilissimo per chi voglia intendere meglio
il vastissimo campo della musica colta tradizionale e sarà utile per avvicinare con maggior cognizione
di causa la musica tonale del nostro tempo.
Ecco quindi gli indirizzi che seguirò:
1. fare riferimento ai meccanismi compositivi essenziali della nostra musica, a quelli più radicati
nella storia della nostra cultura, per spiegarne funzionamento e regole.
2. Citare le regole che, pur non avendo un’origine nella prassi musicale, sono ritenute impor-
tanti in ambito scolastico; naturalmente nel testo si specificherà che si tratta appunto di re-
gole scolastiche.
3. Limitare il numero delle regole senza far diventare a loro volta regole le semplici applicazioni
di una regola (questa è una prassi consolidata e apprezzatissima invece in una buona parte
dei manuali di armonia in circolazione).
4. Poiché a tutti può capitare di fare un esame prima o poi, delle regole do l’interpretazione più
rigida, per evitare che ci si trovi in commissione con qualcuno che non ammette questo, que-
sto… e quest’altro ancora.
5. Considerare quello tonale e modale come linguaggio vivo e attuale; la grammatica con cui si
descrive questo linguaggio è utile per descrivere e comprendere anche il presente. Le cose
che si diranno qui non sono una descrizione asettica di un fenomeno passato o concluso.
6. Poiché la musica è fondata sul significato che noi diamo al flusso articolato di suoni, ho rite-
nuto necessario integrare nella grammatica dell’armonia elementi di analisi formale. Il vero
senso delle regole è, appunto, di rendere possibile, comunicabile e comprensibile il dispie-
garsi della forma musicale.
Il manuale è articolato in due parti; nella prima s’illustrano le regole della composizione in termini
scolastici; nella seconda, alcuni degli argomenti sono visti all’interno di prospettive più ampie. Natu-
ralmente, considerati i limiti di questo testo e l’ampiezza dei temi trattati, questa seconda parte è
soprattutto una sollecitazione ad approfondire i temi trattati; molti di essi potrebbero da soli occu-
pare lo spazio di un saggio.
2
1
CAPITOLO I
Scale e modi
Scala cromatica
Per scala s’intende l'insieme dei suoni, percepiti come differenti l'uno dall'altro, contenuti entro la
cornice dell'ottava e ordinati dal più grave al più acuto o viceversa. Una possibile definizione di scala,
infatti, corrisponde alla “suddivisione dello spazio sonoro dell'ottava”. Il nostro sistema musicale si
basa su una scala che può arrivare a segmentare l'ottava in dodici parti equidistanti, dando così luogo
alla scala cromatica. Quella che segue è un esempio di scala cromatica.
Esempio 1.1
La scrittura musicale e la nostra grammatica, secondo i contesti, rende corretto o utile scrivere lo
stesso suono in diversi modi; tale possibilità si indica con il nome di enarmonia. Sicché la scala
cromatica appena proposta nell’esempio è solo una di quelle rese possibili dalla scrittura dei suoni.
C’è un limite alle possibilità di trasformazione enarmonica: non si può andare oltre il doppio diesis o
il doppio bemolle nell’alterare una nota. Ecco per esempio come si potrebbe indicare lo stesso suono
annotato come la#:
Esempio 1.2
Semitono/Tono
La distanza più piccola tra suoni vicini della scala cromatica si chiama semitono; questo è detto dia-
tonico quando ai due suoni si dà un nome differente, cromatico quando vien dato loro lo stesso nome.
Esempio 1.3
semitono diatonico semitono cromatico
La distanza di tono è data dalla somma di un semitono cromatico e uno diatonico.
Scala diatonica
L'ottava si può altresì suddividere in un numero diverso di segmenti tra loro differenti, dando origine
a un'alternanza eterogenea di distanze: toni, semitoni o distanze maggiori al tono. La scala diatonica
è formata in modo eterogeneo di toni semitoni e altre distanze; la scala cromatica è formata di soli
semitoni (N.B. sugli intervalli ci si fermerà sistematicamente nel prossimo capitolo).
Modi
Chiameremo “modi” i diversi modi di usare i suoni di cui si compone la scala cromatica per farne
insiemi formati con suoni disposti a distanze differenti. Il termine “scala” è spesso impiegato in luogo
di “modo” ed è possibile quindi che si dica indifferentemente “modo maggiore” o “scala maggiore”. In
questi appunti si farà lo stesso; tuttavia è importante comprendere i confini lessicali dei due termini.
Sembra che i linguaggi musicali naturali non usino modi in cui i differenti gradi sono equidistanti fra
loro; la disomogeneità delle distanze, infatti, rende i gradi riconoscibili uno rispetto all’altro e con-
sente quindi l’attribuzione di una funzione specifica a ciascuno di essi. La scala esatonale (l’ottava è
divisa in sei toni uguali), come quella di formata da dodici semitoni (come si trova nella musica do-
decafonica, per esempio), o quella cosiddetta “ottofonica”, usate nel repertorio colto della musica oc-
cidentale dall’inizio del ‘900, sono quindi frutto di scelte estetiche e non dell’evoluzione del linguag-
gio.
Ipertesto 1.1: scale e modi
3
1
I modi usati nella nostra musica
Nella nostra musica attuale sono impiegati differenti modi composti di sette suoni (scale o modi ep-
tafonici). Il modo maggiore e quello minore, che sono stati dominanti fino a qualche decennio fa, de-
rivano dai modi in uso nella musica occidentale fino all'inizio del XVII secolo. Attualmente, accanto
ad essi sono impiegati altri modi che prendono i nomi delle scale in uso nella musica medievale; l’uso
di questi modi non è da interpretare, salvo eccezioni, come forma di recupero dell’antico, bensì come
risultato dell’evoluzione del nostro linguaggio musicale. Tenendo presente l'insieme dei suoni for-
mato dai sette tasti bianchi del pianoforte, i modi si ottengono iniziando la successione via via dai
diversi suoni, ognuno dei quali è individuato primo grado.
Esempio: i modi eptafonici in uso nella nostra cultura
Esempio 1.4
maggiore (ionico)
dorico
frigio
lidio
misolidio
minore (eolio)
Ipertesto 1.2: la scala nel periodo del canto gregoriano, uso del si bemolle
Si chiamerebbe locrio il modo che ha per primo grado il si; tuttavia, non esiste musica che impieghi
questa scala, perché l’intervallo tra I e V della scala è di 5a diminuita; si tratta di un salto melodico
difficilmente intonabile e dunque in contrasto con la tendenza a valorizzare l’alternanza dei due gradi
– I e V – nella struttura melodica e armonica della musica.
Esempio 1.5 5a dim.
locrio
Nella musica in genere (vale per il gregoriano come per una sinfonia di Schumann) dicendo che si è
nel modo dorico di Re o in Re mag., si afferma che la musica, tutta, è costruita attorno al modo dorico
o alla tonalità di Re. Con ciò non s’intende limitare la possibilità di modulare verso altre scale/tonalità
nel corso della musica; piuttosto si dice che quel modo/tonalità è la cornice strutturale entro in cui
si inscrive il percorso della musica nel suo insieme.
È opportuno notare che spesso chi fa musica moderna impiega il nome dei modi o delle scale in senso
diverso a quello descritto qui; si fa riferimento infatti alla scala che si impiega sui singoli accordi di
un certo giro armonico.
Ipertesto 1.3: uso del nome dei modi nella musica attuale.
Modo relativo minore/maggiore
Nella teoria moderna – dove i modi di riferimento sono quello maggiore e minore e nella quale il
modo maggiore si considera come paradigma del sistema musicale – il modo minore è considerato
“relativo” del modo maggiore di cui ha gli stessi suoni (il I grado del minore corrisponde al VI del
4
1
relativo maggiore), ovvero le stesse alterazioni costanti in chiave. La minore, per esempio, è la rela-
tiva minore di Do maggiore. In origine i diversi modi non erano considerati uno relativo dell’altro.
Esempio 1.6
maggiore
minore
La sensibile nel modo minore (cosiddetto modo minore armonico)
Per “clausola” (nella musica più antica) o “cadenza” (in quella più moderna) s’intende il passaggio
conclusivo di una frase (vedi oltre il capitolo dedicato all’argomento). Orbene, tale passaggio per con-
suetudine antichissima si realizza in modo che il passaggio dal VII al I sia di semitono; in tale contesto,
e nella teoria classica, il VII prende il nome di sensibile. Il passaggio della sonata di Haydn presentato
nel prossimo esempio è in Sol mag. (il VII è fa diesis, il I è sol):
Esempio 1.7, da F.J Haydn, Sonata in Mi min., primo movimento, Presto
VII - I
In quei modi in cui la distanza tra VII e I è di un tono (dorico, misolidio, eolio; diverso il caso del modo
frigio su cui per ora conviene soprassedere), il semitono si ottiene tramite un’alterazione ascendente
del VII; tale regola è rimasta nel modo minore della musica moderna ed è all’origine della consuetu-
dine scolastica di distinguere una scala minore armonica (che contiene la sensibile), dalla scala
minore naturale (che contiene solo i suoni diatonici originari della scala). Si tratta di una conven-
zione scolastica che non ha nulla a che vedere con la ragione delle cose. L’uso dell’alterazione del VII
nel minore interviene all’interno del contesto cadenzale e ogniqualvolta il VII sale al I all’interno della
frase; il VII è naturale quando scende melodicamente al VI. La locuzione “modo minore armonico”
può creare una certa confusione, dal momento che l’uso di alterare il VII in cadenza era comune anche
nella musica pre-tonale in tutti i modi in cui il VII non era naturalmente a un semitono di distanza dal
I. Ecco un esempio d’uso della sensibile nel dorico di una musica del secondo ‘500:
Esempio 1.8, da T. Morely, Lo, here another Love
Attenzione: nell'esempio appena proposto il si che si trova tra i due do# alla fine della melodia del
soprano si deve intendere bequadro; l'intonazione dell'intervallo do# si♭ sarebbe improponibile
perché d’intonazione disagevole. L'inserimento di queste alterazioni da parte dell'esecutore come
correzione estemporanea della scrittura era comune nella musica fino alla fine del XVI secolo.
5
1
Modo minore melodico
Anche nel modo minore moderno si altera il VI per raggiungere la sensibile, come alla fine dell’esem-
pio che segue (il fa#, VI, sale sul sol#, VII di La min.):
Esempio 1.9
L’alterazione del VI del modo minore si accompagna quindi per regola a quella del VII e dà luogo alla
cosiddetta scala minore melodica. Poiché il VII si altera solo quando ha funzione di sensibile, l’altera-
zione del VI non avrebbe senso quando il movimento della scala è discendente. Anche la definizione
di scala minore melodica ha in sostanza finalità unicamente scolastiche. Per non far confusione, con-
viene considerare come unica scala minore quella naturale e introdurre le alterazioni del VII e del VI
solo nei casi descritti.
Ipertesto 1.4: Scala minore naturale e altri tipi di scala minore
Trasposizione e nome delle scale
La divisione dell'8a in dodici parti uguali rende possibile la costruzione di un qualsiasi modo a partire
da uno qualsiasi dei dodici semitoni della scala cromatica; la condizione è che si mantengano inalte-
rate le distanze di tono o semitono tra i suoni del modo.
Ad esempio, la scala mag. è caratterizzata dalla successione di distanze secondo il seguente schema:
T – T - S – T – T – T – S (T = tono; S = semitono); così come nella scala di Do mag.:
Esempio 1.10:
T T S T T T S
scala di Do mag.
Per avere una scala mag. a partire dal mi bemolle, non s'ha da fare altro che ripetere lo stesso schema
di alternanze tra toni e semitoni:
Esempio 1.11:
scala di Mi♭ mag.
La scala prende il nome del suo I grado; così, per esempio, la scala appena esemplificata è quella di
Mi♭ mag.; mentre per avere una scala dorica di La, si deve iniziare dal la e usare suoni della scala
cromatica, in modo da avere la successione di toni e semitoni della scala dorica:
Esempio 1.12:
scala dorica di La
“Alterazioni costanti”
Come si vede nell’esempio 1.11, la tonalità di Mi♭ mag. contiene i suoni mi, la e si♭; queste sono le
cosiddette alterazioni costanti. Le alterazioni costanti non si devono considerare alterazioni in
senso stretto, ma suoni naturali della scala di Mi bemolle mag. Quando si dice che una musica è in Mi♭
mag., si intende dire che la scala di riferimento è quella di Mi♭ mag.; in questo caso le alterazioni
costanti si trovano messe in chiave:
Esempio 1.13:
6
1
Scale/tonalità possibili (circolo delle quinte)
Facendo riferimento alla scala cromatica e alla possibilità di arrivare ad avere come alterazioni co-
stanti fino a sette diesis o bemolli, si ottiene ogni possibile modo compreso nel nostro sistema musi-
cale. Le alterazioni costanti aumentano di un diesis per volta man mano che si sale di quinta da primo
grado a primo grado; aumentano di un bemolle (o diminuiscono di un diesis) man mano che si scende
di quinta. Ciò dà luogo al circolo delle quinte, che per tradizione si riferisce al modo maggiore (in
chiave di violino sono indicate le alterazioni costanti di ogni tonalità; in rosso e in maiuscolo sono
indicate le scale maggiori, mentre accanto ad esse, in verde e in minuscolo le relative minori).
Esempio 1.14:
Altre scale in uso nella musica attuale
Nella musica attuale succedono tante cose; tuttavia, se si applica la definizione di modo utilizzata fin
qui – ovvero di insieme che contiene l’insieme dei suoni che s’impiegano in una certa musica – i modi
di riferimento restano quelli indicati e sono tutti di sette suoni.
a. pentafonica/pentatonica.1 Spesso nella musica leggera capita di sentire evocata la scala pentafo-
nica; tuttavia al più può capitare che la melodia di una canzone o una parte della melodia sia penta-
fonica, mentre l’insieme strumentale e vocale usa una scala normale di sette suoni. Occorre ricordare
che una musica è realmente pentafonica solo quando l’insieme (melodia, armonia e arrangiamento
per intenderci) usa una scala di cinque suoni; il che, per quel che so, non accade mai. Infatti non ac-
cade neanche nel prossimo esempio:
Esempio 1.15, da E. Stefani e G. Stefani, Don’t speak
La scala pentatonica è realizzata selezionando i suoni della scala di sette suoni, in modo da evitare
l'intervallo di semitono tra i suoi gradi (per questo si dice scala “anemitonica”).
Esempio 1.16 a-b:
a. pentatonica maggiore
b. pentatonica minore
Ipertesto 1.5: uso “in superficie” della scala pentatonica nella musica attuale.
1 I due nomi di pentafonica o pentatonica sono usati l'uno per l'altro.
7
1
b. scala minore nella musica attuale. A seguito dell'evoluzione dell'armonia, anche le melodie che
impiegano i modi maggiore e minore si comportano differentemente rispetto a quel che si sarebbe
fatto secondo la tradizione classica; in particolare, la scala minore viene comunemente impiegata, ma
senza far uso della sensibile. Nel prossimo esempio, nella tonalità di Si min., il VII, la, compare al
basso, ma sempre naturale.
Esempio 1.17, da J. Govaert, I would stay
L’uso frequente del VII non alterato nel minore si deve a una concezione della costruzione della frase,
nella musica attuale (vedi più avanti, nel capitolo VIII – Tonalità e cadenze, il paragrafo “Il loop alla
base delle successioni armoniche nella musica attuale), che il più delle volte non prevede la presenza
della sensibile, ovvero del passaggio VII-I, alla conclusione della frase stessa; al contrario, nella mu-
sica del passato tale passaggio era un presupposto nella proiezione della melodia. Anche il modo
maggiore segue la stessa evoluzione del linguaggio.
Ipertesto 1.6: la scala minore nella musica attuale
c. scala blues
La cosiddetta scala blues deriva dall'uso di alterare in senso discendente i suoni 3 5 e 7 della scala
diatonica maggiore; questi suoni abbassati si chiamano “blue notes”.
Esempio 1.18: blue notes
Secondo un'altra interpretazione delle cose, la scala blues sarebbe una scala esafonica (scala di sei
suoni) originata da una scala pentafonica minore in cui il V grado è presente sia come suono alterato
in senso discendente che come suono diatonico:
Esempio 1.19:
Ipertesto 1.7: scala blues, approfondimenti
8
1
Nomi convenzionali attribuiti ai gradi della scala
Per convenzione sedimentata, i gradi della scala si definiscono come segue:
I grado: Tonica
II grado: Sopratonica
III grado: Mediante
IV grado: Sottodominante
V grado: Dominante
VI grado: Sopradominante
VII grado: Sensibile
A scuola si tiene che si sappiano questi nomi. Usati così, senza chiarirne il significato (che ha origini
differenti a seconda dei gradi), non hanno alcuna utilità classificatoria, né chiariscono alcunché; aiu-
tano consistentemente a confondere le idee. Più avanti (capitolo VII, “Ritmo, metro e formazione della
frase”) si vedrà, per esempio, che un I grado funziona come tonica solo in alcuni casi.
Nella teoria di ogni parte del mondo s’impiegano stabilmente tre termini – “tonica”, “dominante”,
“sottodominante” – già in uso nel XVIII secolo. Tali termini denotano le tre funzioni fondamentali
dell’armonia tonale. Va da sé che, per questo, essi servano a indicare gli accordi costruiti su quei gradi,
non semplicemente i suoni della scala. Il termine “sottodominante” è usato solo in alcuni casi nella
teoria attuale (si veda oltre il capitolo sulla tonalità?
I termini “sopratonica” e “sopradominante” individuano semplicemente il posto della scala dove si
trovano i suoni corrispondenti; non hanno alcun significato funzionale e sono piuttosto inutili.
Il termine “mediante” indica la posizione del terzo suono della scala, che è a mezza strada tra la To-
nica e la Dominante; gli si attribuisce una certa importanza perché distingue il modo maggiore o mi-
nore dell’accordo costruito sul I grado. Anche questo nome è piuttosto inutile.
Il termine “sensibile” attribuisce al VII grado la tendenza a risolvere sul I, caratteristica che, tuttavia,
il VII ha solo in alcuni casi e in particolare quando è incluso in un accordo di che ha funzione di domi-
nante.
Se si evita di nominare i gradi in questo modo, non si fa gran danno; ma è bene saperli a memoria,
perché la scuola ha le sue logiche… e spesso sono imperscrutabili!
Ipertesto 1.8: gerarchia dei gradi della scala
Ipertesto 1.9: gradi e metrica
Ipertesto 1.10: un inventario sintetico delle funzioni dei gradi in senso dinamico.
9
1
CAPITOLO II
Intervalli
Definizione di intervallo
Per intervallo s’intende la distanza di altezza tra due suoni. Si distinguono in:
a. intervalli armonici, quando i suoni sono simultanei;
b. intervalli melodici, quando sono consecutivi (in alcuni testi si definiscono “salti melodici”)
Ipertesto 2.1: intervalli e contenuti affettivi
Ipertesto 2.2: intervalli melodici e dinamica della melodia
Esempio 2.1
Classificazione degli intervalli
I manuali scolastici propongono differenti modi per misurare gli intervalli; consiglio quello in cui gli
intervalli si misurano considerando il suono inferiore come tonica di scala maggiore. Gli intervalli tra
i diversi gradi della scala e il I sono tutti maggiori, tranne la 4a, la 5a e l'8a che sono giuste.
Esempio 2.2
Alterando i suoni in senso ascendente o discendente si possono ottenere intervalli minori, diminuiti,
aumentati (o eccedenti). Alterandoli ulteriormente si ottengono intervalli più che aumentati o più
che diminuiti. Alcuni considerano anche ulteriori gradi di alterazione; nella prassi si tratta di casi
rarissimi o inesistenti del tutto.
giusto
9
+dim. - dim. - min. - mag. - aum. (opp. eccedente)
510 2 - + aum
j j ∑ ∑ ∑ 4 né min.
∑
& . j . œ œ. 4
Un intervallo giusto, se alterato, diviene aumentato (o eccedente) o diminuito, mai mag.
œ a œ œ a œ ˙
(quindi, un intervallo mag. o min. non potranno mai diventare giusti se alterati). Qui sotto sono esem-
plificati un intervallo di 6 e uno di 4 , con e senza alterazioni. Per analogia sarà semplice classificare
correttamente qualsiasi intervallo.3
Esempio 2.3. 518 6a mag. 6a min. 6a aum. 4agiusta 4aaum. 4a dim.
& w bw #w ww # ww ∑
w w w # N ww
Intervalli consonanti / dissonanti
& ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
525
Gli intervalli possono essere consonanti (se hanno un carattere di stabilità) o dissonanti (se sono
instabili e tendono a proseguire su un successivo intervallo stabile/consonante). Le consonanze per-
fette hanno un grado di stabilità maggiore rispetto a quelle imperfette.
Sono consonanze perfette: unisono, 5a giusta, 8a giusta
2 I termini “aumentato”
547 ed “eccedente” vengono usati come sinonimi il più delle volte. In alcuni casi gli intervalli
& ∑ ∑
eccedenti sono considerati ulteriormente alterati rispetto a quelli aumentati.
∑
3 Nei manuali del Settecento il più delle volte la 4a aumentata viene chiamata 4a maggiore. ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
0
2
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
555
Ipertesto 2.3: intervalli armonici consonanti/dissonanti; fenomeno fisico armonico
Ipertesto 2.4: intervalli consonanti/dissonanti, ovvero stabili/instabili
L’intervallo dissonante è tendenzialmente instabile, mentre quello consonante è stabile. La qualità
dinamica degli intervalli (ovvero la tendenza a proseguire o meno sull'intervallo successivo) è evi-
dente nella seguente successione, dove l'unico intervallo definitivamente stabile appare essere l'ul-
timo:
Esempio 2.4 6a min. 7a min. 6a mag. 8a giusta
La 4a si considera consonante solamente se i suoni di cui si compone sono entrambi consonanti ri-
spetto a un suono più grave:
Esempio 2.5
Ipertesto 2.5: trattamento tradizionale/attuale della dissonanza
Ipertesto 2.6: in un intervallo dissonante, quale dei due suoni è dissonante?
Le dinamica della musica e dei suoni non dipende solo dagli intervalli; sono fondamentali la scala,
l’armonia, il ritmo; la dinamica dipende dall’interazione di questi e di altri materiali.
La distinzione tra consonanza e dissonanza riguarda gli intervalli armonici (ovvero i suoni simulta-
nei), non quelli melodici. Spesso capita che si faccia confusione sull’argomento: gli intervalli melodici
possono essere cantabili o non cantabili, non consonanti o dissonanti. Solo in alcuni casi gli intervalli
non cantabili sono anche dissonanti; ciò non toglie che nella pratica della composizione si tratta di
argomenti totalmente distinti:
Esempio 2.6
1
2
œ. œ œ. œ œ. œ ˙
∑
518
& ww bw
w
#w
w ww # ww # N ww
CAPITOLO III
525
o ø C m7( b 5)
o
b www b b wwww b b b wwww www ∫w
Cm C m7 C maj C 7
Definizione e classificazione degli accordi
C C C C7
& www #w
# wwww # wwww b wwww ∑ ∑ ∑ ∑
Secondo il numero di suoni di cui sono costituiti, si avranno questi accordi:
Esempio 3.1:
555
& w 4 suoni ∑ ∑
w w 5 suoni w 6 suoni
w w 7 suoni
3 suoni
563
Ipertesto 3.1: perché il minimo per formare un accordo è tre suoni e non due?
&w w w ww w ∑
Ipertesto 3.2: gli accordi secondo una visione più larga e secondo la nostra cultura
ww ∑
w w w w
Ipertesto 3.3: origine contrappuntistica degli accordi
Sovrapposizione per terze reale o ideale
571
w
Nella teoria moderna gli accordi si ottengono sovrapponendo i suoni per terze, ma nella pratica solo
ww
& www w ww
w ww ww ∑ ∑
a volte gli accordi si trovano realizzati in questo modo; si determinano in questo modo le note di cui
w w w w
l’accordo si costituisce, restando liberi di disporre le note come si vuole, purché si rispettino le poche
regole di costruzione che si vedranno tra poco. Per fare un esempio, l’accordo formato dai suoni do-
579
ww
mi-sol-si (Do maj7) rimane tale, che le note vengano disposte una sull’altra a distanza di terza o meno:
w
& wwww wwww wwww www ww ∑ ∑ ∑
Esempio i.3.12
Per trovare la fondamentale di un accordo, quindi, si deve individuare il suono che consente
di disporre gli altri per intervalli di terza. Scolasticamente, si usa un modo spiccio: si calcolano gli
intervalli dei suoni superiori rispetto a quello più grave: l’intervallo di numero pari più piccolo è
la fondamentale dell’accordo.
Accordi consonanti/dissonanti
Gli accordi possono essere consonanti o dissonanti:
a. l’accordo è consonante se i suoni di cui è costituito sono consonanti rispetto alla fondamen-
tale;
b. l’accordo è dissonante se al suo interno ci sono uno o più suoni dissonanti rispetto alla fon-
damentale.
Sono consonanti solo la triade mag. e quella min. (vedi qui di seguito la classificazione delle triadi).
Tutti gli altri accordi sono dissonanti (triadi dim., aum.; tutte le settime e tutti gli accordi costituiti di
5-7 suoni).
2
2
a. Triade: accordi di tre suoni
Ecco le triadi costruite su ciascun grado della scala mag. e min.; sopra gli accordi è indicata la specie
(mag. / min. / dim.) che li distingue l’uno dall’altro:
Esempio 3.2, a-b
a. Do mag.
I II III IV V VI VII
b. La min.
I II III IV V VI VII
Gli accordi si distinguono per la qualità specifica degli intervalli di cui sono costituiti; le triadi diato-
niche sono quindi di tre tipi:
triade maggiore: 3a mag., 5a giusta
triade minore: a
3 min., 5a giusta
triade diminuita: 3a min., 5a dim.
A queste tre triadi si aggiunge per consuetudine scolastica la triade aumentata che sarebbe costruita
sul III della cosiddetta scala armonica minore4.
Esempio 3.3.
triade aumentata: 3a mag., 5a aum.
b. Settima: accordi di quattro suoni
Ecco gli accordi di settima costruiti sui differenti gradi della scala mag. e min.; sopra gli accordi è
indicata la specie che li distingue secondo la classificazione tradizionale5, e il nome usato attual-
mente; nella classificazione tradizionale sono impiegate abbreviazioni che vengono spiegate poco
oltre nella tabella 3.1.
Esempio 3.4, a-b: 4a sp., S.I. 2a sp., S.I. 2a sp., S.I. 4a sp., S.D. 1a sp., P.I. 2a sp., S.I. 3a sp., P.D
Do 7a mag Re min. 7a Mi min. 7a Fa 7a mag Sol 7a La min 7a Si semidim
a. Do mag.
I II III IV V VI VII
2a sp., S.I. 3a sp., S.I. 4a sp., S.I. 2a sp., S.D. 1a sp., P.I 4a sp., S.I 5a sp., P.D
La min 7a Si semidim Do 7a mag Re min. 7a Mi min. 7a Fa 7a mag Sol 7a dim
b. La min.
I II III IV V VI VII
sp = specie; P/S = principale/secondaria; I/D = indipendente/derivata; cfr. tabella 3.1. per la spiega-
zione dei termini.
4 L’uso della scala cosiddetta minore armonica è un’astrazione prettamente scolastica, che trova rarissime
applicazioni nella musica; il VII della scala minore si può alterare, infatti, solo in cadenza, all’interno di un accordo
con funzione di dominante (quindi costruito sul V o sul VII, mai sul III).
5
Gli accordi di 7a costruiti sul IV e sul VII della scala mag. e min. sono classificati, secondo certa tradizione
teorica e scolastica, come accordi di 7a “derivati”, mentre quelli sugli altri gradi sono “indipendenti”;
secondo tale interpretazione questi accordi sarebbero derivati infatti da un accordo di 9a costruito una terza sotto
(in Do mag. l’accordo sul VII, Si-re-fa-la, sarebbe derivato dalla 9a di dominante Sol-si-re-fa-la di cui si sopprime
la fondamentale; per questo conserverebbe la funzione di dominante; cfr. oltre capitolo X).
3
2
Anche gli accordi di settima si distinguono per la qualità degli intervalli di cui sono costituiti:
1a specie /... 7a 3a mag., 5a giusta, 7a min.
2a specie /... minore 7a 3a min., 5a giusta, 7a min. 9
510
3 specie /... semidiminuita 3a min., 5a dim., 7a min.
a
4
j . œj œ . j
4a specie /... 7a maggiore 3a mag., 5a giusta, 7a mag.
∑ ∑ ∑ ∑
& . 4
œ œ œ œ ˙
5a specie /... 7a diminuita 3a min., 5a dim., 7a dim.
N.B. I puntini, nelle definizioni tra parentesi, si devono sostituire con il nome dell’accordo; per esem-
pio Do 7a (ovvero Do settima), o Do min. 7a (ovvero Do minore settima).
∑
518
& ww bw #w
Ecco dunque la tabella di tutti gli accordi di triade e di settima classificati e normalmente impiegati.
w w ww # ww
Sopra al pentagramma si trova la sigla moderna, sotto al pentagramma è riportata la classificazione
scolastica (N.B. L’alterazione vale solo per la b. in cui si trova): # N ww
Esempio 3.6.
525
o ø C m7 ( b 5)
o
b ww bw b b b www ww b b ∫ www
C Cm C C C7 C m7 C maj C 7
& ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
Nella tabella qui sotto mostro i significati delle abbreviazioni usate nella classificazione degli accordi
534
di settima (sono accennati argomenti, come quello della preparazione della dissonanza su cui si
tornerà più avanti nel testo):
Tabella 3.1.
abbreviazione nome esteso Spiegazione sintetica
∑ ∑ specie ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
547
& Sp
la specie identifica l'accordo secondo gli intervalli specifici di cui si
costituisce calcolati rispetto alla fondamentale
la distinzione P/S determina la regola di costruzione
P: la settima principale o “naturale”, in quanto derivata direttamente dal
P/S principale/secondaria fenomeno fisico armonico, non ha bisogno della preparazione della
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
555
&
settima.
S: la settima secondaria, o “artificiale”, ha bisogno della preparazione.
la distinzione I/D indica la tendenza risolutiva dell'accordo
I: la settima indipendente risolve su un accordo la cui fondamentale è a
distanza di quinta discendente dalla fondamentale dell'accordo di
settima.
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
563
&
D: la settima è derivata da una nona idealmente costruita una terza sotto
I/D indipendente/derivata
la sua fondamentale (l'accordo di si/re/fa/la sul VII di Do mag. sarebbe
derivato dalla nona sol/si/re/fa/la); risolve quindi su un accordo la cui
fondamentale è a distanza di quinta discendente rispetto alla nona da
cui è derivato, ovvero su un accordo la cui fondamentale si trova una
seconda sopra la fondamentale della settima
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
571
&
Questa classificazione degli accordi di settima gode di una certa considerazione negli ambienti
scolastici; come tra poco si vedrà, contiene implicitamente aspetti teorici che non sono
universalmente condivisi. La distinzione da una parte tra accordi principali e secondari dall'altra tra
accordi indipendenti e derivati regola la costruzione e risoluzione degli accordi di settima secondo
criteri pratici che sono comuni negli ambienti scolastici. Si deve aggiungere che nella pratica musicale
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
579
&
non si riscontrano corrispondenze sistematiche, e che, anche a seconda degli stili, ci si comporta
diversamente da quel che la scuola dice di fare. Vale per tutte le regole della grammatica; ma per
questa un po' di più.
4
2
? ww ∑ ∑ ∑ ∑
w
579
&w ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
w w
Accordi diatonici, cromatici, alterati rispetto a quelli classificati
N.B. In questo paragrafo, per completare quanto c’è da dire sulla classificazione degli accordi, si fa
? w ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
cenno ad argomenti, come il cromatismo (accordi alterati) o l’enarmonia, che verranno trattati più
avanti in questo testo
Tabella 3.2. w
Accordo diatonico
587 accordo costruito con i suoni della scala in cui ci si trova
j œ . œj œ œ ˙ Ó
accordo in cui si trovano uno o più suoni alterati rispetto alla scala
œ . œ œ œ in cui ci si trova
˙ Ó ∑ ∑ ∑
Accordo cromatico
&
Accordo alterato rispetto accordo non riconducibile alle specie classificate (gli intervalli non
a quelli classificati corrispondono a quelli delle differenti specie di settima diatonica)
œ œ
8
œ œ œ œ
7
?
œ ˙ Ó œ ˙ Ó ∑
Nel seguente esempio, in Do mag., si chiarisce la differenza tra i tre tipi di accordo. ∑ ∑
d= diatonico; c = cromatico; a = alterato (rispetto agli accordi classificati)
510
Esempio 3.7.
594
w w & w# ww # ww N ww
Gli accordi vanno chiamati usando i nomi dei suoni appropriati; le scritture enarmoniche, benché a
o ø
525
volte siano impiegate per facilitare la lettura dell’esecutore, comportano interpretazioni differenti
C m7( b 5)
b www b b wwww b b b wwww www
C Cm C C C7 C m7 C maj
& b b www w
# b # www
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
bw
Ipertesto 3.4: attorno all'origine degli accordi di settima
& ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
547
Ipertesto 3.5: formazione degli accordi per sovrapposizione ideale o reale di intervalli di terza
Ipertesto 3.6: classificazione degli accordi, scale (maggiore, minori), teorie.
Ipertesto 3.8: classificazione degli accordi di settima in relazione a costruzione e risoluzione
Ipertesto 3.9: classificazioni, grammatica, linguaggio.
& ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
555
Identificazione dell'accordo
&
Per identificare correttamente e compiutamente un accordo si deve:
1. Dire il nome dei suoni di cui si costituisce (comprese le alterazioni), disponendoli per
terze sopra la fondamentale; 571
& ∑ ∑ ∑ ∑6 ∑ ∑ ∑
2. Dire di che accordo si tratta (triade/settima) e di che tipo;
3. Dire su quale grado della scala di costruisce allo stato fondamentale
Ipertesto 3,15: identificazione dell’accordo indipendentemente dal contesto tonale
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
579
6
& successivo.
Per la descrizione dello stato del basso vedi capitolo
5
2
CAPITOLO IV
Costruzione di accordi consonanti, regole generali
Scrittura dell’accordo a quattro parti
Gli accordi si costruiscono tradizionalmente facendo riferimento a un ideale quartetto di voci, costi-
tuito, partendo dal grave, da basso, tenore, contralto, soprano; quelle che seguono sono due scritture
possibili dell’accordo di Do mag.:
Esempio 4.1
Si deve evitare l’incrocio delle parti.
a. Posizione melodica7:
quando al soprano si trova la fondamentale dell'accordo si ha la 1a posizione melodica
quando al soprano si trova la 3a dell'accordo si ha la 2a posizione melodica
a
quando al soprano si trova la 5 dell'accordo si ha la 3a posizione melodica
a
quando al soprano si trova la 7 dell'accordo si ha la 4a posizione melodica
Esempio 4.2
b. Disposizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta):
La disposizione armonica è stretta (chiusa) quando la distanza tra soprano e tenore non supera l'in-
tervallo di 8a; è lata (aperta) quando è superiore:
Esempio 4.3
Ipertesto 4.1: attorno alla disposizione armonica stretta/lata (chiusa/aperta)
N.B. La distanza tra voci superiori confinanti (tenore-contralto, contralto-soprano) non può superare
la distanza di ottava, a causa dello squilibrio timbrico e della mancanza di compattezza che ne deri-
verebbe (infatti, il terzo dei casi presentati qui sopra è segnalato come errato).
7
La posizione melodica di un accordo è scelta inizialmente per motivi di ordine espressivo; nel corso della
composizione è determinata perlopiù dalle norme che regolano la costruzione e il collegamento degli ac-
cordi. La musica classica termina in genere con l'accordo di tonica in 1a posizione melodica; ma non si tratta
di una regola.
6
2
c. Stato del basso
L'accordo è allo stato fondamentale quando al basso si trova la fondamentale dell'accordo
l'accordo è in 1° rivolto quando al basso si trova la 3ª
l'accordo è in 2° rivolto quando al basso si trova la 5ª
l'accordo è in 3° rivolto quando al basso si trova la 7ª
Esempio 4.4
4.2: attorno allo stato del basso
4.3: uso del secondo rivolto della triade (l'accordo di 4ª e 6ª)
Posizione melodica, disposizione armonica e stato del basso sono indipendenti l'uno dall'altro; si può
avere una qualsiasi posizione melodica con una qualsiasi disposizione armonica e un qualsiasi stato
del basso.
Gli accordi di 9ª non hanno un quarto rivolto; si chiamano “accordi di 9ª”, infatti, perché la 9ª dell’ac-
cordo deve stare sopra la fondamentale, anche quando la fondamentale si trova in una delle voci su-
periori (non al soprano, ovviamente). Come di solito, le eccezioni non possono far regola.
d. Basso, fondamentale e tonica: tre cose differenti
Il basso è la parte grave di una sovrapposizione armonica di suoni; la fondamentale è il suono che dà
il nome all’accordo (il suono che genera la sovrapposizione di terze); la tonica è il primo grado della
scala. I tre termini coincidono solo occasionalmente con una nota del basso, ovvero quando l’accordo
di tonica si trova allo stato fondamentale.
Immaginiamo di essere in Do mag., come nel seguente esempio, e di dover identificare basso fonda-
mentale e tonica per uno degli accordi; nell’esempio ho segnato il quarto accordo con l’asterisco. Si
tratta di un accordo di Sol mag.; la fondamentale quindi è il sol (che si trova nella parte del contralto),
il basso è il si (si trova appunto nella parte di basso), la tonica è do, che ovviamente non è inclusa
come nota nell’accordo di Sol, e che è la nota su cui è costruito l’accordo sul I grado della scala nella
quale ci si trova.
Esempio 4.5
e. Costruzione dell’accordo: raddoppi e omissioni
e.1. Raddoppi e omissioni nelle triadi
Nella costruzione delle triadi a quattro parti il raddoppio di una nota è inevitabile; le indicazioni date
qui sotto vengono spesso superate da considerazioni di condotta delle parti. Nella realizzazione dei
compiti di scuola, ove non intervengano istruzioni particolari sulla condotta melodia delle parti, po-
tendo devono essere rispettate.
7
2
quando l'accordo è allo stato fondamentale si raddoppia la fondamentale
quando l'accordo è in 1° rivolto si raddoppia la fondamentale o la 5a
quando l'accordo è in 2° rivolto si raddoppia la 5a
N.B. È vietato il raddoppio di un suono che abbia condotta obbligata (vedi sotto condotta delle voci).
Ipertesto 4,4: Raddoppi
Si può omettere la 5a dell'accordo solo quando è giusta.
e.2. Raddoppi e omissioni nelle 7e
Nella costruzione degli accordi di settima a quattro parti può capitare di dover raddoppiare un suono,
per ottenere un miglior movimento delle parti.
Quando l’accordo è allo stato fondamentale si può raddoppiare la fondamentale, o, più raramente, la
3ª. Il raddoppio di una nota comporta necessariamente l’omissione di un altro suono.
Nella costruzione degli accordi di 7ª allo stato fondamentale è possibile omettere solo la 5ª, quando
essa è giusta.
Secondo alcuni sarebbe possibile omettere la 5ª anche quando è diminuita; sarebbe anzi opportuno
in una circostanza come la seguente, dove, per evitare le quinte tra basso e contralto, si preferisce
raddoppiare la 3ª nel secondo accordo (per quel che riguarda l’errore di quinte parallele si veda il
capitolo VI, “Il contrappunto nelle successioni accordali”):
Esempio 4.6
Si tratta di un’indicazione discutibile: le quinte non sono parallele (la seconda, infatti, è diminuita) e
la 5ª dim. nell’accordo di 7ª semidiminuita (7ª di terza specie) caratterizza troppo fortemente
l’accordo per farne a meno.
Gli accordi di settima allo stato di rivolto sono sempre completi.
Ipertesto 4.5: gli accordi nella musica attuale
8
2
CAPITOLO V
Numeri e sigle
Nei compiti di scuola, i numeri si usano per identificare lo stato del basso e la collocazione tonale
dell’accordo.
La scrittura musicale come la conosciamo è un fatto piuttosto recente, che si lega allo sviluppo di un
repertorio nel quale l’indicazione di altezze e durate precise era necessario per l’esecuzione pratica
di musica resa complessa dal fatto di essere basata su linee melodiche indipendenti. In precedenza,
ma anche durante tutto questo periodo, la prassi musicale e la riflessione sulla musica si son servite
di altri sistemi di notazione sintetici, utili per determinati aspetti dello studio o per altrettanto deter-
minate forme di performance. Di queste forme di notazione sono da citare quella alfabetica, le inta-
volature per liuto (interessante anche quella relativa alla letteratura per chitarra battente; le intavo-
lature non sono descritte in questo testo), il basso numerato (prima basso continuo, poi partimento,
infine moderno basso di armonia, utilizzato come in questo testo nell’avvio allo studio della compo-
sizione), le sigle accordali della musica moderna (jazz, pop). Cominciamo quindi proprio di qui,
dall’uso dei numeri sul basso per indicarne l’armonizzazione.
Ipertesto 5.1: evoluzione nell’uso dei numeri
Numeri arabi.
I numeri arabi nella prassi scolastica ancora attuale servono a indicare lo stato del basso. Ecco quelli
più usati. I numeri tra parentesi nella pratica non si usano:
Tabella 5.1.
stato fondamentale primo rivolto secondo rivolto terzo rivolto
Triade (5) 6 6 /
(3) (3) 4
nessun numero
Settima 7 6 4 4
5 3 2
Nona 9 (7) (5) (3)
7 (5) (6) (4)
(6) (4) (2)
I numeri indicano lo stato del basso richiamando l'intervallo (o gli intervalli) che una nota caratteri-
stica dell'accordo (o più note caratteristiche dell'accordo) forma (o formano) con il basso.
Esempio 5.1
Numerazione comune
delle triadi
Esempio 5.2
Numerazione comune
delle settime
9
2
caso, i numeri indicano in senso stretto la disposizione delle note sopra al basso8. Nell’esempio se-
guente tutte le forme dell’accordo di Do in primo rivolto si numerano indifferentemente con 6.
Nell’esempio 4.3.b è esemplificata una numerica particolare.
Esempio 5.3 a. b.
Numerazioni differenti da quelle elencate indicano costruzioni particolari dell'accordo.
La numerazione 78 o 378 indica la costruzione della 7ª allo stato fondamentale con il raddoppio
della fondamentale e la conseguente omissione della 5ª dell'accordo; un'alterazione accanto a un nu-
mero indica che l'intervallo corrispondente deve essere alterato nel senso dell'alterazione indicata;
una sbarretta sul numero, nella manualistica attuale, indica che l'intervallo corrispondente è dimi-
nuito (nella prassi del basso continuo il taglio sul numero indicava che il suono corrispondente all’in-
tervallo era alterato rispetto al suono diatonico).
Esempio 5.4
Ipertesto 5.2: Qualche nota sul basso numerato nell'epoca del basso continuo
Numeri romani
I numeri romani sotto la nota del basso servono a indicare la collocazione nella scala o quella tonale
della nota del basso. Tali numeri sono usati secondo tradizioni e finalità differenti.
a. Tradizione scolastica napoletana (gradi melodici): il numero romano sotto la nota del basso
indica il grado della scala su cui è collocata quella stessa nota (grado melodico). I numeri arabi sono
posti sopra la nota del basso.
b. Tradizione tedesca e anglosassone (basso fondamentale): il numero romano indica il grado
della scala su cui si colloca la fondamentale dell'accordo. Usato in questa forma, più precisamente il
numero romano indica sinteticamente un accordo e non un semplice suono (ad esempio, II in Do mag.
significa l’accordo re-fa-la, non semplicemente re, e lo indica indipendentemente dal fatto che l’ac-
cordo sia allo stato fondamentale o di rivolto). I numeri arabi sono posti accanto al numero romano.
Questo modo di numerare il basso è ormai comune anche da noi. Ecco lo stesso passaggio con l'uso
dei numeri secondo le due tradizioni:
Esempio 5.5
tradizione napoletana tradizione tedesca/anglosassone
8
Questo tipo di numerica era comune nei manuali per la realizzazione del basso continuo e dei partimenti.
0
3
L'esempio proposto lascia intuire le finalità differenti che sottostanno alle due metodologie: i numeri
romani, secondo la tradizione tedesca/anglosassone, mettono in rilievo la sintassi tonale, che spesso
non cambia anche quando si usano i rivolti al posto degli stati fondamentali (come si vede, per due
volte viene proposta la successione I-II-V-I); i numeri romani, combinati ai numeri arabi secondo la
tradizione napoletana, hanno una finalità genuinamente pratica (in questo sono simili alle sigle della
musica attuale): non spiegano, indicano velocemente. Tuttavia se usati con intelligenza - e non come
mero espediente scolastico per risolvere i compiti – oggi aiutano chi studia musica a ricordare che
originariamente l’armonia è sovrapposizione d’intervalli e movimenti melodici; una dimensione che
la teoria spesso trascura e che al contrario è sempre assai attuale.
Nella didattica della composizione e nella prassi musicologica i numeri romani s’impiegano interna-
zionalmente secondo la prassi tedesca e anglosassone; i numeri romani, secondo la prassi napoletana,
hanno un uso più locale. In questo manuale uso la numerazione napoletana, indicando tuttavia tra
parentesi la fondamentale dell’accordo. Non sono animato da spirito di contraddizione: purché sia
chiara la tonalità di riferimento l’uso dei numeri romani è piuttosto inutile (nei manuali del ‘700 si
usano solo occasionalmente, infatti); sono tuttavia convinto che l’uso dei gradi secondo la tradizione
napoletana, dal momento che fa emergere con maggiore evidenza il valore melodico del movimento
del basso, aiuti meglio nella comprensione della tecnica compositiva della nostra tradizione classica,
basata sulla sovrapposizione di linee. Si dà per scontato che, anche usando i numeri romani per indi-
care i gradi melodici del basso, sia ben presente l’accordo che si sta costruendo o che si sta guardando;
se non è così, i problemi sono di una certa consistenza e purtroppo non riguardano solo la musica.
Proprio in questi ultimi anni, nell’ambito di una rivalutazione complessiva dell’efficacia pedagogica
della scuola napoletana, in ambito musicologico sempre più spesso si usa indicare il grado melodico
del basso; ciò si fa usando i numeri arabi, chiusi in un piccolo cerchio, posti in genere sotto il penta-
gramma del basso.
Ipertesto 5.3: La teoria del basso fondamentale
Ipertesto 5.4: Simboli impiegati nella teoria funzionale dell'armonia
Sigle impiegate nella musica attuale
La musica attuale, nella generalità dei casi, usa un sistema di notazione assai sintetico, che lascia
spazio più o meno variabile all’interpretazione e alla creatività individuale; fanno eccezione i casi in
cui vi sia un arrangiamento orchestrale, che necessità della partitura classica. Le sigle indicano gli
accordi; hanno una finalità pratica (dicono rapidamente quale accordo si deve usare) e nessun in-
tento di razionalizzazione teorica.
Secondo la prassi medievale, derivata da quella classica, le note della scala si nominano con lettere
dell'alfabeto come segue:
Esempio 5.6
N.B. Nella tradizione tedesca si distinguono B, che indica Si♭, e H, che indica il Si♮.
In epoca moderna queste stesse lettere possono essere alterate in senso ascendente o discendente
per completare i dodici gradi della scala cromatica.
Nella musica attuale la lettera dell'alfabeto, senza altre indicazioni, significa la triade maggiore co-
struita sul suono corrispondente; per esempio, D indica accordo di Re mag.; D♭ indica Re♭ mag.; C#
indica Do# mag.
Alle lettere dell'alfabeto sono aggiunti segni di vario tipo al fine di indicare l'impiego di accordi diffe-
renti dalla triade maggiore. Di tali segni, i più frequenti sono quelli che seguono:
m (opp. min.) = minore
♭ = l'intervallo corrispondente è alterato in senso discendente
+ (opp. #) = l'intervallo corrispondente è alterato in senso ascendente
1
3
7 = settima minore9
maj7 (opp. j7, opp. M7, opp. ) = settima maggiore
dim (opp. d, opp. o) = diminuita (settima diminuita)
= settima semidiminuita (7ª di terza specie)
6 = alla triade mag. si deve aggiungere la 6ª
sus (opp. Sus4) = suspended 4, ossia, di base, triade con la 4ª al posto della 3ª 10
no (opp. omit) = si deve escludere l'intervallo indicato
add = added, si deve aggiungere l'intervallo indicato col numero
/ opp. ( ) = separano le estensioni per evitare ambiguità interpretative
C/E significa che l'accordo di Do è con il mi al basso.
Esempio 5.7: C 6+ C 5#
Poiché, come detto, le sigle hanno una finalità unicamente pratica, il primo dei due accordi viene in-
dicato comunemente con la sigla C7 (il si♭ enarmonicamente è uguale al la#). Le alterazioni a volte
sono poste prima della nota, altre volte dopo; il secondo degli accordi proposti qui sopra può essere
indicato anche con la sigla C(#5), dove le parentesi servono a chiarire che il # non è riferito alla nota
C, ma all'intervallo di 5ª.
Gli stessi accordi possono essere indicati con sigle differenti:
Esempio 5.8
La sigla NC (no chord) indica l’assenza di armonizzazione accordale.
Ipertesto 5.5: Quale sistema di notazione preferire?
9 C7, ad esempio, indica la triade maggiore di Do con la 7ª minore, quindi la settima di 1ª specie (settima di
dominante).
10 “sus4” significa differenti cose nella prassi. Csus4, ad esempio, di base significa do al basso e sopra fa e sol; ma
spesso viene impiegato per indicare un accordo con il do al basso e sopra il si♭, il re e il fa.
2
3
b www ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ? # 2
& Csus4
www www 2
587 Csus4 Csus2 C7sus4
ww
595
?# 2 ˙ ˙ *˙˙ ˙ ˙ œ˙ œ œ œ œ # ˙œ ˙ ˙ œ œ
*
? # 22 ˙ œ œ œ œ œ œ œ C˙APITOLO ˙ ˙ VI ˙
595
˙
2 ˙ œ œ œœœ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙
˙ ˙ œ œ œ #˙ ˙ ˙ œ
Condotta delle parti nei collegamenti di accordi
606
œ ˙ œ ˙ ˙ #˙ *˙ * œ œ
606
? # œ œ œ œ
? # œ œ œ # ˙# ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ # ˙
*
œœ œœ
œ œ ˙ œ ˙ # ˙ ˙ œ œ œ œœ œ
˙ ˙ ˙ #˙
*
Il collegamento degli accordi è in sostanza un contrappunto a 4 voci; nella realizzazione dei compiti
di armonia tuttavia non si tiene conto della dimensione melodica; il contrappunto si riduce al corretto
movimento delle parti da un accordo al successivo. Tuttavia, si sbaglierebbe a non considerare effi-
614
cace questo esercizio: la realizzazione di un accompagnamento strumentale, così come quella di un
614
? ## nn˙˙ ˙˙ ˙œ œ œ
˙ œ œ œ˙ ˙œ œœ œœ œ œœ œœ œ ˙œ ˙˙ ˙˙ ˙ ˙ œ˙œ œ œœ œ wœ œ ww
? ∑
w∑
pad di musica moderna, fanno riferimento a questa tecnica sostanzialmente.
* *
Moto melodico
Il moto melodico è il movimento che ogni parte fa per sé, senza considerare il movimento delle altre
n
parti. Il limiti di condotta melodica li indica il buon senso: si deve evitare quel che è difficile intonare.
?
? ## ∑∑ ∑∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ n
∑ ∑ & ∑
624
624
Sono vietati quindi gli intervalli melodici di 7, quelli che eccedono l’8 e gli intervalli melodici aumen-
tati e diminuiti. È inoltre vietato produrre due salti uguali che, procedendo nella stessa direzione, &
come somma dànno un salto proibito:
632 5^ aum. 7^ min. 9^ mag.
˙ 5^ g. Ó
Esempio 6.1 632
Ó b˙ Ó
5^ aum. 7^
4^ min. 5^9^
g. mag.
& #˙ ˙ ˙
3^ mag. 3^ mag. 4^ g. g.
˙
5^ g.
&˙ ˙ #˙ Ó ˙ b˙ Ó˙ ˙ Ó
3^ mag. 3^ mag. 4^ g. 4^ g.
˙
5^ g.
˙
˙ ˙ ˙
Sono ammessi per eccezione i salti diminuiti quando si scende su una sensibile che prosegue il movi-
˙
638
˙ # ˙5^ dim˙ Ó
mento salendo sul I della scala:
& b ˙3^ dim
#˙ ˙ Ó ˙ 4^# ˙dim ˙ Ó ˙ Ó ∑
4^ dim 7^ dim
# ˙ ˙7^ dim
3^ dim
638
5^ dim
Esempio 6.2
& b˙ #˙ ˙ Ó ˙ #˙ ˙ Ó ˙ #˙ ˙ Ó #˙ ˙ Ó ∑
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
647
&
Moto armonico 647
& ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
Si parla di “moto armonico” quando ci si riferisce al movimento di una parte rispetto a un’altra parte
o rispetto ad altre parti.
& ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
655
Nell'armonia classica, dal punto di vista contrappuntistico, gli accordi si collegano tenendo conto dei
seguenti riferimenti
655 11:
& ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
• omogeneità sonora
• indipendenza delle voci
• condotte obbligate
• rispetto della possibilità di intonare i salti melodici
Il mezzo attraverso cui ottenere omogeneità è la limitazione dei movimenti melodici delle parti. La
successione di accordi seguente è stata realizzata la prima volta correttamente, la seconda volta in
modo errato12:
Esempio 6.3
ERRATO
11 Le indicazioni relative all'armonia classica si estendono parzialmente all'armonia attuale; è determinante lo stile
adottato, in un contesto estremamente eterogeneo. È bene partire dalle regole classiche e tener conto delle
eccezioni.
12 Naturalmente, se per fini espressivi particolari si vuole ottenere disomogeneità, si potrà fare a meno di li-
mitare il movimento delle voci.
3
3
L’indipendenza dei movimenti armonici si controlla da sempre confrontando scrupolosamente il mo-
vimento di ogni voce rispetto a tutte le altre voci.13
Ripeto quanto detto nel precedente capitolo: d’altra parte, la capacità di distinguere i tipi di movi-
mento armonico è preliminare a qualsiasi progresso nei fondamenti della composizione:
Esempio 6.4 Moto:
Errori di moto armonico ed eccezioni alle regole nel collegamento di accordi
L’origine delle regole è semplice: perché sia garantita l'indipendenza delle voci, si deve evitare che il
movimento di una voce sia il semplice raddoppio del movimento di un'altra voce o che si possa con-
fondere col movimento di un'altra voce. Per questo si devono evitare i seguenti errori:
a. Divieto di muovere due voci per unisoni, quinte14, ottave parallele. Ovvero: qualsiasi coppia
di voci non può procedere da un unisono su un altro unisono, da un'ottava su un'altra ottava, da una
quinta su un'altra quinta. Lo stesso unisono così come la stessa ottava o la stessa quinta possono
essere ripetute quanto si vuole.
Per questo tipo di errore non esistono eccezioni.
Si faccia attenzione: le successioni proibite di unisoni, ottave e quinte devono essere nella stessa cop-
pia; si veda la quarta battuta dell’esempio qui sotto: l’unisono sol3 – la3 è nella coppia soprano/con-
tralto, così come nella battuta successiva l’ottava do3/do4 – re3/re4 è tra tenore e soprano.
Esempio 6.5
b. Divieto di procedere per moto retto su un unisono, una quinta15, un’ottava
Esempio 6.6
unisono ottava quinta unisono ottava quinta
per moto retto per moto retto per moto retto per moto retto. per moto retto. per moto retto
Per questo tipo di errore esistono diversi tipi di eccezione; nell’ipertesto 6.2 si spiega il perché.
Eccezione 1: si ammettono 8e e 5e per moto retto tra parti interne se si verificano
contemporaneamente le seguenti condizioni (si devono verificare entrambe, non ne basta una!):
1. la 5a o l’8a è tra due parti interne (vanno bene tutte le coppie di voci, tranne quella formata da Basso
e Soprano; solo la coppia di voci Basso/Soprano si dice, infatti, di “parti esterne”);
2. una delle due parti che vanno sulla 5a o sull’8a per moto retto deve muoversi dall’accordo
precedente per grado congiunto; quando si può scegliere, è bene che ad andare per grado congiunto
sia la parte superiore.
13
Nella realizzazione del basso continuo si cura in particolare il movimento della parte superiore rispetto al basso.
Va tuttavia tenuto conto del fatto che il basso di armonia è solo simile al basso continuo e che, avendo finalità
didattiche differenti rispetto quella essenzialmente pratica del basso continuo, adotta più estesamente le regole
proprie del contrappunto.
14
S’intende quinte giuste.
15
Il moto retto mette in particolare evidenza l'intervallo armonicamente vuoto che si raggiunge.
4
3
Esempio 6.7 ammesso ammesso
ottava quinta
per moto retto per moto retto
Eccezione 2: si ammettono 8e e 5e per moto retto tra parti esterne se: il basso salta di 4a, il soprano
si muove per grado congiunto e gli accordi sono allo stato fondamentale.
Esempio 6.8 ammesso ammesso
ottava quinta
per moto retto per moto retto
Alcuni manuali scolastici limitano questa seconda eccezione al caso in cui il basso salta di 4a in senso
ascendente e il soprano sale di semitono (come fosse una sensibile che sale a tonica nell’accordo di
dominante; s’immagini che la prima battuta dell’esempio qui sopra sia in Fa mag.). È una limitazione
eccessiva, perché nella musica le eccezioni indicate fin qui sono del tutto normali. Dare regole che
non siano in grado di descrivere quel che accade non ha alcun senso … e non aiuta a capire le regole.
Eccezione 3: si ammette l'unisono per moto retto tra tenore e basso se al tenore c'è la sensibile che
sale alla tonica e al basso il V che sale sul I:
Esempio 6.9 ammesso
Eccezione 4: cambio di posizione melodica. Quando si cambia posizione melodica e il basso
contemporaneamente fa un salto di ottava, sono ammesse ottave e quinte per moto retto anche tra
parti esterne e anche se nessuna delle parti va per grado congiunto. Nel cambio di posizione melodica
restano comunque vietati i parallelismi di consonanze perfette.
Esempio 6.10
c. Divieto di procedere per moto retto con tutte e quattro le voci
Esempio 6.11
ERRATO
5
3
˙ œ œœ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙
606
? # œ œ œ œ #˙ ˙ ˙ œœœœ ˙ ˙ #˙ ˙
˙ #˙ œœœœ
* *
˙
d. Falsa relazione di 8 a o unisono
614
Come fa una voce a intonare una nota, se un'altra voce nell'accordo precedente sta intonando la
? # n˙ ˙ ˙ œ œ * œ œ œ
œ ˙ œ œœ ˙ ˙ ˙ ˙ œœœœ w w ∑
stessa nota alterata, o viceversa? Di qui il divieto
Esempio 6.12
esempi1 1
?# ∑ ∑ ∑œ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ n
624 724
& ‰ œ œ ‰ œ œ œ ‰ œ œ œ ‰ œ œ œ esempi1 ∑ 1 ∑ ∑ ∑ ∑
&
724
‰ œ ‰ 4^œ g. ‰ 4^wg.œ ‰ œ
? ∑ ∑∑ ˙ Ó∑ ∑ ∑ ∑
Trattamento della dissonanza in sincope
632 5^ aum. 7^ min. 9^ mag.
∑ ∑
& #&˙ œÓw œ œ œ ˙ œ bœ˙ œ Ó œ ˙
3^ mag. 3^ mag. 5^ g. 5^ g.
˙ ˙ ˙
Secondo tradizione la dissonanza che cade sul tempo accentato ha bisogno di
˙
1. preparazione: la nota dissonante deve provenire da un suono che fa parte dell’accordo
? w 4^#dim w 5^ dim ∑dim ∑
precedente (nel contrappunto rinascimentale il suono che viene utilizzato per la prepa-
∑ ∑
731
˙
638
˙ ˙ w w w ˙˙ ˙ w
razione deve essere una consonanza)
& b ˙ # ˙ ˙ Ó & # www˙ ˙ ˙˙˙Ó ˙˙˙ # www˙ ˙ wwÓ n ##w˙w ˙ wwÓ w∑w
3^ dim 7^
w ˙ ˙˙ ww
2. percussione: la dissonanza cade sul tempo forte (se l’andamento è lento e viene battuta
la suddivisione può cadere anche sul tempo debole)
#? # w w w
3. risoluzione: la dissonanza scende per grado congiunto discendente sul tempo debole suc-
731
#w Nw w ˙ ˙˙ ˙ w
w ww∑ # w∑ww
cessivo a quello della percussione (nel caso l’unità di tempo sia la suddivisione, risolve su
& w ˙ w w # w
647
& w w w ˙
ww w ˙˙w ˙˙ w ww w w
quella successiva al tempo di percussione) ? w n w ∑ w w& ˙ ˙ ˙˙
Il meccanismo tradizionale è il seguente: w
Esempio 6.13
w# ∑ w
? # percussione w # ∑w N w∑
risoluzione∑ w∑ #w ∑ ˙ ˙∑
740
Ó &
658
˙ ˙ ˙ w ∑
preparazione
&w w w
?#
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
# ∑ ∑
Nello stile tonale è comune la preparazione della dissonanza attraverso un altro suono che fa parte
∑ ∑ ∑ ∑
740
˙
*
?˙
7
747 w ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
˙ ˙ w ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
& ˙˙ ˙˙ w˙ ˙
Nel seguente esempio la regola sul trattamento della dissonanza è rispettata, ma essendo il movi-
jœ Ó
755
mento lento e tendendo a divenire unità di movimento la suddivisione, la dissonanza cade sul tempo
œ 7œ œ œ * œ œ œ œ
& œ ∑ ∑ ∑
œœœ Ó ∑
?˙ ˙˙ œ œ
debole e le fasi di preparazione e risoluzione hanno una durata dimezzata rispetto al normale.
w ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
œ *œ
? œ œ œ œ œœ œ œ œ œ Œ ∑ ∑ ∑ ∑
Esempio 6.15
jœ Ó
755
œ œ
& œ˙ œ œ œ œ œ œ œ œ
œœœ ∑ ∑ ∑ ∑
Ó
œ *œ œ œœ
? œ œ œ œ œœ œ Œ ∑ ∑ ∑ ∑
6
3
Condotte obbligate: sensibile, note alterate, dissonanze
Per condotta obbligata s’intende il movimento necessario che una nota o più note dell'accordo de-
vono compiere nel passare sull'accordo successivo. Hanno condotta obbligata:
• la sensibile (ovvero il VII della scala nella quale ci si trova): deve salire sul I melodico della
scala; è opportuno rammentare che per sensibile s’intende il VII grado all’interno di un
contesto cadenzale, quindi inclusi in un accordo costruito sul V o sul VII. Per le funzioni
armoniche degli accordi si veda il capitolo dedicato alla tonalità. Nella cosiddetta “eccezione
di Bach”, la sensibile scende se è parte interna e una voce ne prende il posto in risoluzione
(si veda l’ultimo caso presentato nell’esempio in 7.11).
• Le note alterate rispetto alla tonalità in cui ci si trova devono risolvere nel senso dell'
alterazione (alterazione ascendente: la nota sale; alterazione discendente: la nota scende).
• Le dissonanze devono scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo.
Vale la pena anticipare qui (all’armonia dissonante sarà dedicato il capitolo X) che la
dissonanza non ha solo l’obbligo di scendere; deve infatti essere “preparata”, ovvero legata
all’unisono da una nota reale inclusa nell’accordo precedente a quello che contiene la
dissonanza.
La sensibile deve salire; eccezione di Bach
Esempio 6.16
La nota alterata deve proseguire nel senso dell'alterazione; nell'ultimo dei casi dell'esempio che
segue il sol, alterato sol#, scende sul mi anziché salire sul la, come necessario:
Esempio 6.17
La dissonanza che cade sul tempo deve scendere per grado congiunto nel passaggio all'accordo
successivo; può anche restare legata all'unisono nella stessa voce, ma in questo caso è meglio che
resti dissonante e risolva per grado congiunto in un secondo momento (il caso è segnato con * qui
sotto).
Esempio 6.18 *
ERRATO
Fioritura dell’unisono
Riprendo un’indicazione già data nel capitolo dedicato al contrappunto. Nell’uso di note di fioritura
(vedi oltre il capitolo XI) è vietato entrare nell’unisono per grado congiunto; è altresì corretto uscirne.
Esempio 6.19
La regola si estende ai ritardi e alle appoggiature (vedi oltre il capitolo dedicato):
7
3
Esempio 6.20
Anche questa regola serve a difendere la possibilità di seguire il movimento delle parti sovrapposte
in contrappunto. Nella musica vi sono numerose eccezioni, ma è anche chiaro che i compositori co-
noscono l’argomento e che tali eccezioni si devono a motivi particolari ogni volta individuabili.
Incrocio delle parti
Nella scrittura scolastica è bene evitare l’incrocio delle parti. Si ha incrocio delle parti quando una
voce scende sotto o sale sopra quella confinante (per esempio il contralto sale sopra il soprano, o
scende sotto il tenore). Nell’esempio seguente, prima il tenore è sceso al di sotto della parte del basso
(ed è la circostanza più frequente nella realizzazione dei compiti di scuola), poi il soprano è sceso al
di sotto della parte di contralto; in entrambi i casi si tratta di situazioni da evitare
esempio 6.21
Nella musica si ricorre all’incrocio delle parti, per favorire la condotta melodica delle singole parti.
Ipertesto 7.1, Moto armonico
Ipertesto 7.2, Riguardo l’errore di unisoni, quinte, ottave per moto retto
Ipertesto 7.3, Autocorrezione
Ipertesto 7.4, Falsa relazione di tritono
Ipertesto 7.5, Praticamente: il collegamento degli accordi
Ipertesto 7.6, Un “errore” scolastico, unisoni, quinte e ottave paralleli a distanza
Ipertesto 7.7, Considerazioni riguardo l'applicazione di queste regole nella musica
Ipertesto 7.8, Trattamento della dissonanza
Ipertesto 7.9, Costruzione e collegamento degli accordi di settima
Ipertesto 7.10, eccezioni nell’uso della dissonanza
Ipertesto 7.11, Aggregato di suoni dissonanti o armonia dissonante?
Ipertesto 7.12, Costruzione e collegamento degli accordi di 7a
8
3
CAPITOLO VII
Tonalità e cadenze
Tonalità
Intendo qui per tonalità, in senso stretto, lo stile compositivo prevalente nella musica del periodo che
va dagli ultimi decenni del XVII secolo fino a oggi; tali indicazioni temporali devono essere usate con
molta attenzione e distinguendo caso da caso man mano che ci si avvicina ai confini del periodo. Quel
che noi chiamiamo tonalità si concretizza, nella composizione, su due piani;
a. costruzione della frase basata sulla proiezione delle linee e delle armonie verso la cadenza,
che chiude o sospende quel che l’ha preceduta; in tale contesto gli accordi costruiti sui vari
gradi della scala tendono a disporsi nella frase (o parte di frase, o periodo) secondo un certo
ordine, che asseconda e rende chiaro e prevedibile il percorso; semplificando, in questo con-
siste la funzione tonale degli accordi.16
b. Fondazione della forma sul gioco dei toni, con il riconoscimento (in genere) della funzione
stabilizzante di cornice al tono d’impianto e l’uso della modulazione a toni vicini o lontani per
realizzare funzioni dinamiche e narrative diverse.
Sull’argomento della tonalità, intesa in senso più o meno stretto, si son sviluppate nel tempo diffe-
renti teorie; alcune di esse sono rimaste essenzialmente legate al fatto musicale, mentre altre hanno
allargato la ricerca alle possibili connessioni con la linguistica, con la psicologia e con altre scienze
che si occupano dell’uomo.
L’interesse nei confronti di tali studi non mi dispensa dal notare come spesso la necessità di trovare
una quadratura con il sistema teorico che si vuol promuovere abbia comportato una forzatura nell’in-
terpretazione dei fatti; sicché, scambiando spesso fini e mezzi, capita che la musica si comporti o sia
fatta diversamente da come si vorrebbe che funzionasse secondo le sintesi teoriche elaborate.
Nella tabella seguente sono indicate le funzioni che assolvono gli accordi costruiti sui vari gradi della
scala nello stile tonale. Uso il termine “funzione” con una certa leggerezza, e senza alcuna intenzione
di riassumere i contenuti della teoria funzionale dell’armonia, per come si è sviluppata soprattutto
da Hugo Riemann in poi. Il termine “funzione” qui significa solo “posizione di un accordo rispetto
all’altro nella proiezione verso la cadenza”. Non propongo una teoria, ma una sintesi di quel che av-
viene prevalentemente.
Sinteticamente, questo è il flusso più comune degli accordi in campo tonale:
Tabella 7.1
tonica pre-dominante dominante tonica
(sottodominante)
IV
I VI V I
(VII)
II
Ipertesto 7.1, La tonalità
16
La successione degli accordi in campo tonale è determinata dalle norme del contrappunto impiegate nel periodo
di riferimento appena indicato. È altresì importante ricordare che all’origine dell’invenzione e come fine della
composizione musicale (anche nel periodo di cui si parla) c’è un’intenzione espressiva che si traduce in un fatto
compositivo originale costituito da melodia (tema, motivo, figura), armonia, contrappunto, colore, arrangiamento.
Che lo studio della composizione coincida inizialmente con quello dell’armonia, non significa che questa sia
necessariamente e sempre più importante di altri parametri.
9
3
Le funzioni dell’armonia tonale sono largamente dipendenti da fatti contrappuntistici; in particolare
svolgono un ruolo decisivo
- la tendenza del 7° grado della scala, quando è nota reale dell’armonia, a risolvere melodica-
mente sul 1°, anche al di fuori del contesto cadenzale;
- l’uso di accordi dissonanti e della dissonanza in sincope.
Per quanto riguarda la tabella 7.1, i numeri romani indicano il grado della scala su cui è collocata la
fondamentale dell'accordo. Il movimento degli accordi è orientato dalla forza che li spinge verso l’ac-
cordo di tonica. Appare chiara una certa prevalenza di movimenti in cui il basso scende di 5a e di 3a
(stiamo sempre parlando di fondamentali dell’accordo). Si fa notare l’assenza di movimenti in cui il
basso sale di 3a; in effetti, nella letteratura tali passaggi sono del tutto occasionali. Il III (inteso come
accordo sul III allo stato fondamentale) nella musica della nostra tradizione classica non si usa;
quando si trova al basso un III, si armonizza sempre come primo rivolto dell'accordo di tonica. Il VI
nell’armonia classica raramente va direttamente al V. Il V può essere sostituito, nei contesti stilisti-
camente opportuni, con gli accordi costruiti sul VII.
Le stesse successioni di accordi si possono realizzare impiegando gli stati di rivolto al posto dei fon-
damentali, o accordi dissonanti in luogo di quelli consonanti (ricordarsi di preparare l'eventuale dis-
sonanza; resta fermo che l'accordo conclusivo di tonica deve essere consonante):
Esempio 7.1
Come accennato, in questo libro uso i numeri romani per indicare il grado melodico occupato
dalla nota del basso (secondo la tradizione napoletana, nella quale i gradi della scala venivano no-
minati in genere “prima corda, seconda corda”, ecc.”); a seguire, tra parentesi, indico il grado su cui
poggia la fondamentale dell'accordo (secondo la prassi oggi più comune anche in Italia).
La sintassi armonica interagisce con la metrica; è un concetto già accennato e sul quale si tornerà.
Sicché si tratta di una cosa piuttosto importante (cfr. capitolo IX, Ritmo, metro e formazione della
frase) . Nel seguente esempio si considera propriamente dominante il V che precede il I alla fine delle
due battute, mentre, sul secondo tempo della prima battuta, l'accordo si deve considerare un sem-
plice rivolto del V senza alcuna funzione di dominante:
Esempio 7.2
Nella musica classica e in alcuni stili della musica leggera i rivolti vengono impiegati per dare canta-
bilità alla parte del basso e consentirne una condotta prevalente per grado congiunto. In tale conte-
sto, si distingue il movimento ampio e sulle fondamentali degli accordi alla fine della frase; tale pas-
saggio, fondamentale per segnare l’articolazione del discorso musicale, si chiama “cadenza”.
L'armonia tonale classica è altresì condizionata (spesso originata) dal contrappunto e, in particolare,
dalla dinamica della scala e dal trattamento della dissonanza. L’errore più frequente, quando si
guarda uno schema come quello proposto o altri simili, è di credere che la musica tonale della nostra
tradizione colta sia composta a partire da una successione di accordi su cui si poggia una melodia o
un intreccio di melodie; analogamente a quel che accade in molta della musica che ascoltiamo oggi
0
4
alla radio. Non è così: nella maggioranza dei casi è la conduzione melodica e contrappuntistica a es-
sere all’origine dell’ispirazione nel comporre, e a veicolare la più parte dei significati, a fornire la
spinta dinamica più consistente.
Anche per questo vale la pena chiedersi se sia possibile considerare tonale o meno molta della musica
che ascoltiamo alla radio (popular music?). Restando specificamente sul piano dell’armonia, assai
spesso si nota l’assenza del cardine primario del pensiero musicale tonale, cioè la proiezione della
frase musicale verso la successione V – I in conclusione di frase e la possibilità di realizzare tale pas-
saggio sostituendo l’accordo sul V con accordi costruiti su altri gradi della scala; quando ciò accade,
è impossibile distinguere la funzione di pre-dominante da quella di dominante. Rispetto allo schema
proposto, l’armonia di oggi si distingue in superficie anche per la possibilità di utilizzare il III allo
stato fondamentale, o per quella di far proseguire normalmente il VI sul V. Ma la differenza più im-
portante tra la musica tradizionale colta e quella di oggi è data dalla struttura a loop dei giri armonici
nella musica attuale (il loop consiste nella ripetizione per n volte di una serie di alcuni accordi; qua-
lora nella canzone si distingua la strofa dal ritornello, quest’ultimo può avere un loop differente di
accordi; sul loop di accordi viene appoggiata la melodia. Vedi oltre il paragrafo dedicato all’argo-
mento).
Torniamo all’armonia classica e al cardine su cui essa si poggia, cioè la successione di accordi impie-
gata per concludere la frase musicale.
Ipertesto 7.2, Tonalità, tecnica dello stile o teoria?
Ipertesto 7.3, Alle origini della tonalità
Cadenze
Col termine cadenza già nel Rinascimento s’indicava la chiusura di una parte o dell’intera musica. A
volte si considera cadenza solamente il passaggio conclusivo di una frase o di una parte della musica,
costituito dalla successione che va dal V all’accordo che lo segue; altre volte s’include nella cadenza
anche il movimento che porta al V. Scolasticamente per cadenza s’intende solo la successione V-I (o
V e altro grado) alla fine di una frase; con la locuzione “formula dia cadenza” si include anche l’ac-
cordo che precede la dominante. La scuola napoletana del ‘700 con “cadenza lunga” intendeva tutto
il movimento dal I verso il V-I alla fine della frase, indipendentemente dal numero di accordi inclusi
nel passaggio. Nell’esempio che segue la linee indicano rispettivamente:
a. indica la cadenza lunga,
b. b. formula di cadenza,
c. c. cadenza (in questo caso composta consonante):
Esempio 7.3, D. Cimarosa, Sonata in Si♭ mag.
a
b
c
La successione V-I non è sufficiente a determinare una cadenza; la cadenza è alla fine di una frase
o di una parte della musica; il Presto della Sinfonia n. 50 di Mozart attacca con una successione V-I
(La7 – Re) che non può essere una cadenza, appunto perché la cadenza serve a chiudere, non ad
aprire.
1
4
Esempio 7.4, W.A. Mozart, Sinfonia n. 50, Presto
Il caso è del tutto analogo a tanti incipit simili al seguente, dove l’attacco si♭ - mi♭ non può in alcun
modo essere interpretato come una cadenza V-I in Do Mag.
Esempio 7.5, da M. Clementi, Menuetto, dalla Sonata n. op. 29, n. 3
Classificazione delle cadenze
Le cadenze possono essere:
• finali: servono per chiudere una frase, una sezione della musica, o l'intera musica;
• sospese: servono per articolare il passaggio da una frase a quella successiva, senza chiudere.
a. Cadenza finale
La cadenze finale è la cadenza perfetta; i manuali scolastici considerano come finale la cosiddetta
cadenza plagale.
a.1. Cadenza perfetta: successione V – I allo stato fondamentale di entrambi gli accordi.
N.B. La sensibile è nota obbligata, deve salire. Non si raddoppia.
Esempio 7.6
La cadenza perfetta si dice “autentica” quando il soprano chiude sulla tonica:
Esempio 7.7
Ipertesto 7.4, Osservazioni sulla quarta e sesta sul V in cadenza
2
4
In cadenza la tonica si trova solitamente sul tempo forte della battuta; la dominante si colloca sul
tempo debole o semi-forte precedente (a meno che non occupi l'intera battuta, come nel caso della
cadenza doppia). La tonica può trovarsi sul tempo debole della battuta nel caso che il ritmo finale sia
piano17 (in genere cade sul forte anche in questo caso, ma con appoggiatura della terza e della fonda-
mentale; cfr. oltre il capitolo XII dedicato a ritardi e appoggiature) :
Esempio 7.8
appoggiatura
a.2. Cadenza plagale: successione IV – I; il IV può anche trovarsi allo stato di rivolto:
Esempio 7.9
N.B. La cadenza plagale non può sostituire la cadenza perfetta; segue sempre la cadenza perfetta (che
si conferma come vera cadenza finale) e ha generalmente funzione di coda.
Ipertesto 7.5, Osservazioni sulla cadenza plagale
b. Cadenze sospese
Le cadenze sospese sono quelle che non chiudono una frase o una parte del discorso musicale, ma
semplicemente lo articolano; se ne distinguono tre differenti tipi: cadenza imperfetta, cadenza alla
dominante (o semicadenza), cadenza evitata.
b.1. Cadenza imperfetta: successione V – I allo stato di rivolto di uno o entrambi gli accordi:
Esempio 7.10
b.2. Cadenza alla dominante, o semicadenza: successioni alla dominante:
Esempio 7.11
Sono semicadenze anche le successioni degli stessi accordi in cui il primo dei due è allo stato di ri-
volto; come accennato, i rivolti sono impiegati per dar modo al basso di raggiungere il V per grado
congiunto, soluzione preferita in cadenza (ad eccezione della semicadenza I-V, in cui il I che va sul V
è spesso allo stato fondamentale). L’accordo sul V, alla fine della frase, si trova prevalentemente allo
stato fondamentale.
17
Per quel che riguarda la definizione di “ritmo piano” vedi il capitolo IX.
3
4
b. 3. Cadenza evitata: la dominante evita di risolvere sulla tonica:
Esempio 7.12
RARA
La numerica sopra il VI (si trova nel primo dei tre casi presentati qui sopra; è una numerica
comune in ambito scolastico) ci ricorda che la sensibile deve necessariamente salire, anche se ciò
comporta il raddoppio della terza dell'accordo.
Come segnato nell’esempio, la cadenza evitata con il IV allo stato fondamentale è rara nello stile tra-
dizionale.
Ipertesto 7.6, Annotazioni sulla cadenza evitata.
Formule di cadenza: sono formate con l'unione di una cadenza alla dominante con una cadenza
della dominante. Prendono il nome dal tipo di cadenza che fa la dominante; quindi possono essere
perfette, imperfette, evitate; ecco alcuni esempi:
Esempio 7.13 perfetta imperfetta evitata
Ipertesto 7.7, Costruzione della frase sulla base del giro armonico tonale
Ipertesto 7.8, Eccezioni nelle successioni armoniche tonali
Ipertesto 7.9, Nota sul collegamento degli accordi in campo tonale
Ipertesto 7.10, Tonalità, cadenze e forma musicale.
Ipertesto 7.11, La cadenza come prototipo delle successioni armoniche
La regola dell’8a
La regola dell’8a, già conosciuta all’inizio del XVIII secolo, sintetizza i principi dell’armonia tonale; a
tutti i musicisti – cantanti, strumentisti o compositori che fossero - era fatto obbligo di conoscerla ed
esercitarla sulla tastiera in tutti i toni maggiori e minori e in tutte le posizioni melodiche. L’esempio
mostra le tre posizioni melodiche nel tono di Do mag. e una posizione melodica nel tono di La min.. I
numeri indicati la prima volta si ripetono uguali nelle successive.
4
4
Esempio 7.14, a-d
Do maggiore
a. 1a posizione melodica
c. 2a posizione melodica
c. 3a posizione melodica
La minore
d. 2a posizione melodica
N.B. Nella regola dell’8a sono inclusi alcuni accordi di 7a per la descrizione dei quali rimando al
capitolo X. È interessante notare alcune cose:
• l’unisono per moto retto nel passaggio V-VI della scala ascendente (1a e 2a posizione
melodica) è ammesso unicamente in contesti identici a questi.18
• La tonalità si afferma tramite la concentrazione delle proiezioni sul I e sul V, gli unici accordi
consonanti allo stato fondamentale. Il I e il V sono raggiunti inoltre con accordi assai simili; in
particolare si nota il VI che scende al V, in cui il VI si armonizza come rivolto della 7a sul II con
alterazione ascendente della 3a (il fa#): di fatto il VI è armonizzato come secondo rivolto della
7a di dominante del V, replicando quel che avviene nel passaggio II-I.
Il loop alla base delle successioni armoniche nella musica attuale
Nei nostri la musica di oggi è ancora in parte tonale, ma in altra e sempre più grande parte non è
tonale, pur essendo ancora basata su accordi in buona sostanza tradizionali. Il fatto è che questi
accordi non seguono il principio tonale di proiezione verso la cadenza; e, a ben guardare, spesso non
seguono il principio di proiezione verso un punto qualsiasi. La tendenza, già visibile da qualche
decennio, si è ormai stabilizzata e questo rende lecito ipotizzare un autentico e progressivo
18
Nella pratica del basso continuo era normale realizzare gli accordi con una certa elasticità, aggiungendo o togliendo
note, a seconda della convenienza; nel caso in questione l’accordo sul VI era realizzato a 3 parti e questo risolveva
ogni problema di condotta delle parti.
5
4
superamento del sistema tonale (intendendo la tonalità nel senso stretto più volte spiegato) nel
nostro linguaggio musicale, e una evoluzione verso una nuova forma di uso delle scale modali.
Il loop è un giro di accordi che viene ripetuto di frase in frase; ogni frase ha prevalentemente
l’estensione di quattro battute. Il loop spesso viene mantenuto sia per la strofa che per il ritornello.
La mancanza di proiezioni cadenzali è compensata dalla chiarezza del meccanismo, alla quale
contribuisce decisivamente un pattern ritmico incisivo e la presenza di una figura fortemente
caratterizzata e ripetuta a mo’ di ostinato lungo tutta la musica, con poche eventuali battute di arresto,
ora in maggiore, ora in minore rilievo.
Uno dei loop più frequenti da una ventina di anni a questa parte è costituito dalla seguente
successione di accordi:
esempio 7.15
Questo loop sopravvive nella musica di questi giorni (sto scrivendo nell’estate del 2017), benché
accanto ad esso altri se ne usino che svolgono la stessa funzione; eccone alcuni di hits più o meno
attuali (ove non diversamente indicato, ogni accordo occupa una battuta):
Lost on you, LP: B♭min., E ♭, Fmin., D♭
Hymn for the weekend, Coldplay: A♭, B♭, C min. (2 batt.)
Don’t let me down, The Chainsmokers: G#min., B, F#, G# min.,
Treat you better, Shawn Mendes, B♭min., A♭, G♭(1 batt. e ½), A♭(½ batt.)
Cheap Thrills, Sia, F#min., D, A, E/G#
Ain’t Your Mama, Jennifer Lopez, G#min., E, B, F#
This One’s For you, David Guetta, F (½ batt.) G (½ batt.), A min., C, F.
A volte capita che nella musica attuale si incontrino commistioni di procedimenti compositivi, e che,
accanto a un giro ripetuto di accordi (loop) compaia una frase tonale, con tanto di sensibile.
Ipertesto 7.12, La tonalità nella musica attuale
6
4
Capitolo VIII
Elementi di contrappunto nello stile tonale
N.B. Racchiuderò in questo capitolo quel che riguarda l’approccio alla vasta materia del contrap-
punto; si tratta proprio per questo di una sintesi che ha il carattere di introduzione all’argomento.
Sarà necessario anticipare argomenti che saranno affrontati più avanti. Dopo alcune brevi indicazioni
su alcuni principi elementari da seguire per la composizione di una linea melodica, seguiranno due
parti, la prima dedicata alle regole essenziali del contrappunto, la seconda al contrappunto tonale.
Il contrappunto è composizione per linee indipendenti che cantano e suonano bene assieme. Si deve
a. saper scrivere una melodia;
b. fare in modo che i suoni di una parte stiano bene con i suoni dell’altra, o delle altre; è fonda-
mentale la distinzione tra consonanza e dissonanza e saper trattare adeguatamente en-
trambe;
c. saper ben regolare i movimenti delle parti, uno rispetto all’altro.
Ipertesto 6.1: contrappunto all’interno di un libro di armonia?
Composizione di una linea melodica in contrappunto a 2
Ripeto alcuni suggerimenti noti.
a. La melodia funziona meglio se procede prevalentemente per grado congiunto; ciò garantisce
cantabilità e soprattutto, se il grado congiunto è quello di una scala ascendente o discendente,
dà una direzione al movimento della parte conferendo a esso coerenza e direzionalità.
Esempio 8.1.
N.B. Il grado congiunto può orientare anche il corso di una melodia più frastagliata; tutti i più
grandi melodisti conoscono bene questo principio.
Esempio 8.2.
b. I salti superiori alla seconda sono necessari per interrompere il prevalente grado congiunto,
ma non si deve esagerare; soprattutto se i salti vanno continuamente in direzioni opposte e
se sono di differente ampiezza fanno perdere coerenza alla melodia e chi la ascolta avrà la
sensazione di confusione, mancanza di senso.
Esempio 8.3.
Quando il grado congiunto è interrotto da un salto – in particolare di 3a - nella stessa direzione
del grado congiunto precedente, il movimento della melodia tende a essere compensato dal
grado congiunto in senso opposto. Nell’esempio 6.1 sono segnati con l’asterisco casi come
quelli ora descritti.
c. La melodia in genere inizia con una consonanza perfetta (era una regola nel contrappunto
classico); finisce di norma sul I della scala con consonanza perfetta di unisono o 8a; questo
serve ad assicurare che la melodia sia circoscritta nel tono d’impianto e a garantire che l’in-
tervallo finale abbia stabilità. Se il contrappunto è nella parte superiore, la nota finale si rag-
giunge per grado congiunto (così era anche l’antica “clausola”); se il CF è nel soprano e il con-
trappunto nel basso, la nota finale si raggiunge in genere con un salto di 5a discendente o di
4a ascendente. Nel contrappunto classico il basso può raggiungere la nota finale per grado
congiunto discendente; in questo caso la parte che contrappunta adotta la formula con nota
legata in sincope (vedi il terzo caso dell’esempio qui sotto):
7
4
Esempio 8.4
Tornerò sulla questione delle cadenze più avanti, quando si parlerà della composizione del
contrappunto su partimento.
d. La melodia non si scrive aggiungendo le note una all’altra: quando s’inizia, è necessario sta-
bilire quale sia la nota finale della frase o dell’esercizio; la condotta orizzontale va tracciata
tenendo conto in primo luogo dell’approdo finale. Questa è una questione fondamentale, che
riguarda la composizione in genere.
e. Si deve evitare di tornare sugli stessi suoni o sulle stesse figure melodiche in corrispondenza
di posizioni metriche simili, sarebbe inevitabile generare noia in chi ascolta (naturalmente
l’effetto di ridondanza in particolari contesti può essere cercato volutamente; in questo caso
ripetere va benissimo ed è anzi funzionale rispetto all’effetto che si vuol realizzare).
Esempio 8.5
f. Nel contrappunto libero si deve evitare anche l’errore opposto, ossia di cambiare in continua-
zione le figure ritmico-melodiche; il senso di noia è generato anche dall’impossibilità di pre-
vedere quel che seguirà, e ciò è inevitabile se quel che si ascolta è sempre differente rispetto
a quel che si è ascoltato. Vale la pena di dare uno sguardo agli esempi che proponevano i
maestri napoletani, ricchi di ripetizioni organizzate (spesso sequenze) e così lontani dalla
stucchevole e anti musicale pretesa di continua originalità dei maestri tardo-romantici e no-
vecenteschi.
g. Si deve cercare di non superare la distanza di ottava tra le voci; eventuali eccezioni sono am-
messe ma solo occasionalmente e per brevi durate. Ciò perché le due parti devono essere
indipendenti (quando si ascoltano si devono poter seguire individualmente); indipendenza,
tuttavia, non significa estraneità: le due parti devono anche costituire un insieme in qualche
modo compatto, omogeneo dal punto di vista sonoro.
h. Si deve evitare l’incrocio delle parti (il tenore non deve andare sotto al basso, se non occasio-
nalmente.)
Moto delle parti (condotta delle voci/parti)
Nel contrappunto a 2 è essenziale considerare due fatti: la condotta della singola parte e la relazione
tra i movimenti delle due voci. Per questo si distinguono il moto melodico e quello armonico.
Moto melodico/moto armonico
Per moto melodico s’intende il movimento che una parte fa per sé, senza considerare quel che l’altra
parte fa nello stesso momento. Per moto armonico s’intende la relazione tra movimenti melodici so-
vrapposti (in questo caso, per esempio, ci si chiederà: cosa fa il tenore rispetto al basso?).
Ipertesto 8.1, moto melodico, moto armonico: approfondimenti
a. Moto melodico, salti proibiti.
L’intonazione di alcuni salti melodici è difficoltosa. Basta un rapido esempio per capire di che si parla;
Esempio 8.6 corretto errato
La regola che si dà da sempre a scuola dice che si devono evitare i salti che di difficile intonazione.
Sono vietati i salti di 7a (anche se la 7a è ottenuta come somma di due salti che procedono nella stessa
8
4
direzione), quelli che superano l'8a, i salti aumentati e diminuiti. Sono ammessi salti melodici dimi-
nuiti - di 3a, di 4a, di 5a, di 7a - quando si scende su una sensibile che sale sulla tonica; i seguenti salti
sono tutti errati, ad eccezione dell'ultimo.
Esempio 8.7
Nella pratica i limiti indicati sono spesso superati, perché la dinamica della condotta melodica può
rendere facilmente raggiungibile un intervallo che di per sé sarebbe di difficile intonazione.
b. Moto armonico
I tipi di movimento armonico sono stati descritti precedentemente, nel cap. VI. Le stesse regole hanno
gli stessi riferimenti; nel contrappunto a 2 si è attenti ad evitare qualsiasi tipo di movimento che
possa pregiudicare una corretta percezione dei movimenti indipendenti delle parti; le regole sono
chiare:
a. per moto contrario va tutto bene:
b. per moto obliquo va tutto bene
c. per moto retto è necessario tener conto dell’intervallo che viene raggiunto dalle due voci;
costituiscono problema le consonanze perfette di 8a e di 5a oltre l’unisono:
Non si può raggiungere una consonanza perfetta o un unisono per moto retto da una conso-
nanza di qualsiasi tipo o da una dissonanza.
Per eccezione si ammette di andare per moto retto su una 8a, purché la voce superiore si
muova di semitono. Alla fine di una frase, per dare maggior forza alla cadenza perfetta (po-
nendo alla voce acuta la 1a del tono, cadenza cosiddetta autentica), è possibile di fatto anche
raggiungere l’8a per moto retto col grado congiunto discendente della parte superiore; tutti i
casi dell’esempio seguente sono errati:
Esempio 8.9
N.B. Nel prossimo capitolo le stesse regole saranno descritte con riferimento al collegamento
degli accordi.
L’esercizio sui vari tipi di contrappunto ci renderà chiaro quel che si deve fare rispetto alla regola
appena indicata e alla dissonanza.
Fioritura dell’unisono
Restano le indicazioni date nel capitolo VI sulla condotta delle parti.
9
4
Contrappunto per specie
Nello studio del contrappunto a due e più voci, una parte è data e fornisce la base per la composizione
dell’altra; tale parte predisposta prende il nome di Cantus Firmus (in genere C.F.) o Canto dato; an-
dando indietro nel tempo, si nomina anche soggetto.
La metodologia di approccio allo studio del contrappunto adottata da Fux, e in seguito acquisita come
punto di riferimento, consiste nell’ordinare gli esercizi per “specie”, secondo un’antica prassi già nota
ai maestri italiani del Seicento. I maestri napoletani dicevano che il contrappunto può essere sem-
plice, composto, realizzato con le legature in sincope, fiorito. Il contrappunto semplice è una nota
contro l’altra; il contrappunto composto consente l’uso vario di più di una nota contro una; il con-
trappunto con le legature e quello fiorito corrispondono a quelle che da Fux in poi verranno definite
4a e alla 5a specie. Ecco la descrizione di tutte e cinque le specie secondo Fux.
a. Prima specie, nota contro nota
In questo tipo di contrappunto sono ammesse solo le consonanze.
Esempio 8.10
4
Ó Ó Ó
˙ ˙ ˙
173 7-6 9-8
˙ ˙ ˙ ˙ ˙
4-3
&w w ˙ w w
∑ ∑ ∑ ∑ ∑
w w
Nel contrappunto nota contro nota tonale è possibile incontrare l’intervallo di 5a diminuita o il suo
rivolto, la 4a aumentata; come nell’esempio che segue, l’intervallo di 5
184
a deve risolvere sulla 3a (mag-
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
giore o minore a seconda del modo in cui ci si trova), mentre l’intervallo di 4
2-3 a aumentata deve risol-
&w w
4-5
˙ w˙ ˙ Ó ˙ ẇ ˙ a giusta.
Ó
a
vere in 6 maggiore o minore, a seconda del modo in cui ci si trova; se il semitono al basso è poggiato
sui gradi VI-V del modo minore, la 4 a aumentata risolve in 5
Esempio 8.11
w # 2
194
& w A ww ww Aw ww ww ∑ ∑ ? ∑ 2
w
b. Seconda specie, due note contro una
203
? # 2 ˙ ˙ ˙ œœ œœ
2 ˙ œœ œœœœ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙
* Re mag.
La seconda nota della battuta può essere consonante o dissonante. Nel caso sia dissonante, deve es-
sere raggiunta e lasciata per grado congiunto (come spiegato più avanti nel capitolo dedicato alle
note di fioritura, nello stile più moderno è sufficiente che sia solo raggiunta o solo lasciata per grado
A
congiunto). 212
? # #˙ ˙ œ œ œ œ œ œ #˙ ˙ ˙ ˙ # ˙ œ œ œ œ ˙ ˙ #˙ ˙ œ œ œ œ n˙ ˙
Esempio 8.12 * Mi min. * Do mag.
˙ ˙
A A1 A1
?# ˙ ˙ ˙ ˙ n
223
œœœœ w œŒÓ
* Sol mag.
˙ œœ œœœœ ˙ ˙ w &
A
La nota dissonante
– w–
232 posta sul tempo debole o sulla suddivisione, poiché è raggiunta e lasciata per
& –ww w w w ∑ ∑ ∑ ∑
w– w
grado congiunto, perde la connotazione di nota dissonante e acquisisce un carattere essenzialmente
melodico. Nell’esempio che segue la nota dissonante è segnalata con asterisco. Il caso indicato come
“da evitare” è indicativo della relatività della regola data: la nota dissonante se trattata per grado
congiunto non si sente come tale; tuttavia, se il tempo è lento, la dissonanza diviene più evidente
240
Œ
w w w œ œ œ ˙ ˙ ∑ ∑
percettivamente ed è bene quindi farla proseguire per grado congiunto discendente, o ascendente.
& ww w w w w w
Infine, la “cambiata” rappresenta l’unico caso in cui la nota dissonante, raggiunta per grado congiunto
w
0
5
& ww ww w ww ∑ 44
248
?
w w ww ww
w ww w
˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙
&˙ ˙ Ó
*˙ *œ *˙ *˙ * ˙*
œ œ œ ˙ .* *œ w w
153
& Œ œ œ œ œ œ #œ œ
discendente, viene lasciata con un salto di 3a che prosegue per grado congiunto ascendente; è solo in
questa forma che si ammette nello stile tradizionale.
œœœœ w
*
& ˙w ˙
161
* * * *
ww ˙w ˙ ww ww ˙w ˙ ww
Esempio 8.13
˙w ˙ ˙ ˙ w
da evitare cambiata
c. Terza specie, quattro note contro una
171
Ó preparazione percussione
˙ ˙
risoluzione
& w ˙
La prima nota della battuta deve essere sempre consonante. Per quel che riguarda le altre note, la
w
nota dissonante in genere è posta tra due consonanze ed è sempre raggiunta e lasciata per grado
congiunto; più raramente possono essere due le dissonanze di seguito, ma anche in questo caso de-
vono sempre essere raggiunte e lasciate per grado congiunto.
Esempio 8.14
d. Quarta specie, sincope
Contrappunto con legature in sincope. La nota sul battere può essere consonante o dissonante (dis-
sonanze di 4a, 7a, 9a nella parte superiore; 2a solo al basso); la dissonanza deve essere legata all’uni-
sono da una consonanza sul levare o sul battere della battuta precedente e deve proseguire scen-
dendo per grado congiunto.
Quando cade sul tempo, la dissonanza si caratterizza proprio per questa sua specifica proprietà. Si
distingue in questo dalla nota dissonante posta sul tempo debole o sulla suddivisione e trattata per
grado congiunto, che, come accennato, questo tipo di dissonanza (nota di passaggio o volta)
all’ascolto non si percepisce come dissonante e ha qualità essenzialmente melodiche.
Il trattamento della dissonanza è stato illustrato nel capitolo che dedicato alla condotta delle parti;
qui basta descrivere quel che c’è da sapere riguardo il contrappunto a due. Queste sono le dissonanze
in sincope possibili nella voce superiore e nella voce inferiore; c’è da considerare che le indicazioni
seguenti, che hanno origine nel contrappunto a 2, si sono mantenute nell’armonia tonale e, in buona
sostanza, anche nell’armonia attuale.
Esempio 8.16 a - b
a.
b.
I casi seguenti s’incontrano solo occasionalmente nel repertorio classico e sono da evitare nel con-
trappunto a 2:
Esempio 8.17
Bisogna evitare l’uso consecutivo di dissonanze 9-8, dal momento che ne verrebbero errori a distanza
di 8e parallele.
Esempio 8.18
1
5
Esempio 8.19
e. Quinta specie, fiorito (o “florido”)
Contrappunto fiorito. Qui si deve tener presente tutto quel che è stato detto in precedenza. La melo-
dia composta deve essere musicale; per quanto possibile, deve avere una direzione e un senso, tro-
vando equilibrio tra la convenienza musicale di ripetere le cellule melodico-ritmiche e la necessità di
dare varietà al movimento.
Esempio 8.20 a - b.
a.
b.
N.B. Unisoni, 5e, 8e parallele a distanza
Attenzione a porre sul battere di due battute successive consonanze perfette dello stesso tipo: la per-
cezione di parallelismo sarebbe inevitabile. Non andrei oltre questa indicazione, per altro comune
nella trattatistica anche del ‘700; l’eccesso di zelo, comune in molti manuali scolastici in uso nei con-
servatori, sono comprensibili sul piano della ginnastica mentale, ma rischiano di confondere quando
si guarda alla musica reale. Ricordiamo sempre che la regola nasce nel repertorio: se ci sono troppi
errori nel repertorio significa che non funziona la regola e il metodo con cui è stata individuata.
Esempio 8.21 errato……………………………………….
Contrappunto a due: esercizi modali o tonali?
N.B. Si consiglia di studiare il seguente paragrafo contestualmente al capitolo dedicato all’armonia
tonale.
Dalla metà del ‘600 lo stile di Palestrina è visto come punto di riferimento apicale dell’arte del con-
trappunto; tale considerazione ha avuto la sua conferma definitiva nella pubblicazione del più im-
portante trattato di contrappunto del XVIII secolo, il Gradus ad Parnassum di Johann Fux (Vienna,
1725). In questa pubblicazione lo stile di Palestrina - o qualcosa di simile a esso - ebbe una gramma-
tica definitiva e fu reso accessibile ai giovani musicisti attraverso un percorso progressivo di appren-
dimenti sistematici. Fux impostò il suo metodo su base modale, adottando quattro melodie come
canti dati, una per ognuno dei quattro modi autentici (dorico, frigio, lidio, misolidio). Ebbe una for-
tuna crescente e, probabilmente per il presupposto estetico su cui si fonda – quello di consacrare la
2
5
perfezione dello stile palestriniano - influenzò profondamente il modo di interpretare la materia,
proprio mentre il gusto galante stava perdendo interesse nei confronti dello lo stile compositivo po-
lifonico. Il metodo di Fux, anche attraverso le riletture e le interpretazioni che di esso dettero i mae-
stri italiani e francesi del XIX secolo, divenne la norma scolastica per lo studio del contrappunto ac-
cademico.
Tuttavia, il contrappunto autentico non è quello di Fux, perché non esiste un “contrappunto auten-
tico”. Ci sono stili di contrappunto, uno dei quali è quello di Palestrina, che in ogni caso non coincide
con quello di Fux. Il contrappunto, come arte di combinare linee o, a seconda dello stile, materiali
musicali, è parte del nostro modo di fare musica. Le regole della grammatica si evolvono assecon-
dando l’evoluzione del gusto; le regole non sono vere o meno, possono solo essere adeguate o meno
a descrivere un certo tipo di linguaggio e di stile.
Il trattato di Fux non era l’unica risorsa per chi volesse studiare contrappunto nel XVIII secolo; la
scuola musicale allora più importante e prestigiosa in Europa era quella napoletana e al suo interno
diversi maestri lasciarono appunti, per lo più manoscritti, attraverso i quali ancora oggi è possibile
ricostruire un modo differente di interpretare la materia. I maestri napoletani, soprattutto quelli
della prima metà del ‘700, si distinguono decisamente da Fux; contrariamente a Fux, che cerca di
fissare una volta per sempre il passato, questi maestri (Leo e Durante in primo luogo) sono impegna-
tissimi sul mercato europeo della musica e guardano con praticità al presente; per questo le regole
che danno si applicano primariamente alla musica tonale del loro tempo; e per questo i canti dati su
cui basano gli esercizi sono tonali.
Consiglio di realizzare gli esercizi di contrappunto in campo tonale; in questo modo potremo toccare
con mano fatti di procedimento comuni nella composizione tradizionale.
Intervalli ammessi nello stile tonale, a seconda del grado della scala su cui si trova la nota.
Leonardo Leo, nella sue Istituzioni di Contrappunto, dette indicazioni che, per iniziare a comprendere
lo stile classico della musica tonale, possono essere ripetute senza variazioni. Non si tratta di indica-
zioni assolute, ma sono efficaci e indicative per quel che riguarda lo stile tonale. I numeri posti sopra
le note della scala al basso indicano le consonanze con cui è possibile contrappuntare la nota della
parte acuta. Le consonanze possibili sulle note del basso sono quelle indicate nella Regola dell’Ottava
(vedi oltre). Attenzione a leggere correttamente i numeri: indicano intervalli, non accordi!
Esempio 8.22
1a 2a 3a 4a 5a 6a d 7a
La scelta di un intervallo piuttosto che di un altro è determinata da esigenze di carattere melodico e,
ancora di più, dal contesto armonico tonale nel quale ci si trova.
Funzioni tonali: tonica, dominante
N.B. Nel contrappunto tonale l’intervallo costituito da due suoni rappresenta sempre virtualmente
un accordo di tre o quattro suoni.
La scelta di contrappuntare un suono della scala con un certo suono, piuttosto che con un altro, de-
termina un’opzione di carattere funzionale; ovvero determinati intervalli precedono altri o sono col-
locati in un certo modo rispetto ad altri intervalli.
Nell’ambito della tonalità è centrale la funzione distinta e connessa della tonica e della dominante. Il
nucleo sintattico è costituito dalla successione dominante-tonica che viene quasi sistematica-
mente interpretato dalla successione VII-I collocata nella voce superiore o in quella inferiore;
3
5
tale successione, quando i suoni cadono sul tempo, viene quasi sempre rispettata, sia all’in-
terno della frase, come in cadenza (unica eccezione si ha quando il VII scende sul VI prove-
nendo dal I). Il flusso delle melodie è orientato dalla proiezione verso la cadenza che chiude
la frase. Solo occasionalmente la tonica è preceduta dall’accordo sul IV; la dominante risolve normal-
mente sulla tonica e solo occasionalmente altrove (in primo luogo sul VI). Nel seguente duetto di
Purcell è ben evidente il fatto che le melodie siano orientate dalla convergenza sui punti di cadenza,
coincidenti con le minime:
Esempio 8.23, H. Purcell, We the Spirtits of the air
Nel contrappunto a due, tonica e dominante sono individuate dai seguenti intervalli:
Esempio 8.24 Do maggiore: tonica………... dominante……..
I-III individuano la tonica, anche rovesciando l’intervallo; la 5a dell’accordo può sostituire la 3a e, solo
in alcune circostanze, la fondamentale. Il suono che individua la tonica primariamente è il I della
scala. L’intervallo di 8a sul I si usa quasi esclusivamente alla fine del contrappunto. Quando al basso
si trova il III, si deve obbligatoriamente contrappuntare con 6 o con 3.
Esempio 8.25 Do maggiore, tonica…………………………………………… tonica
V-VII individuano la dominante, anche rovesciando l’intervallo. Purché assieme a uno di questi due
suoni, anche la 5a e la 7a dell’accordo formano la dominante. Resta che i suoni che individuano pri-
mariamente la dominante sono il V e il VII della scala.
Esempio 8.26 Do maggiore, dominante……………………………………………………………………………
N.B. Si veda l’esempio 6.11 di questo capitolo per la corretta risoluzione degli intervalli di 4a aumen-
tata e 5a diminuita.
La Cadenza nel contrappunto a 2. La successione V-I (considerati come accordi costruiti appunto
sul V e sul I) assume la funzione di cadenza – e gli accordi prendono il nome di dominante e tonica -
se si trova alla fine di una frase musicale o di una melodia che va verso un punto di articolazione.
4
5
Tenendo presente quanto sopra indicato sugli intervalli che sono in grado di rappresentare la tonica
e la dominante in un contrappunto a 2, ecco un quadro sintetico delle cadenze più comuni:
Cadenza finale
Esempio 8.27 Do maggiore……………………………………………………………
N.B. Dal XVIII secolo in poi la cadenza finale più comune è quella in cui il V scende di 5a al I o sale al I
di 4a, così come nei primi due casi dell’esempio precedente. Nella musica precedente, e ancora du-
rante il corso del XVIII secolo, la cadenza vera e propria era quella esemplificata nel terzo dei casi qui
sopra, con il II che scende al I e il connesso disegno in sincope della parte superiore. È da questa
formula contrappuntistica che si origina la funzione di dominante moderna.
Cadenza sospesa
Le cadenze sono sospese quando il compositore, al fine di non creare una cesura netta nel discorso
musicale, indebolisce la risoluzione della dominante; ecco gli esempi più comuni nel contrappunto a
2:
Do maggiore………………………………………………………………………………………….
Esempio 8.28
Eccettuato l’ultimo, in tutti i casi dell’esempio precedente l’indebolimento della risoluzione della do-
minante è ottenuto impiegando il rivolto della tonica, della dominante, o di entrambe. Nell’ultimo
caso il V evita di risolvere sul I e sale di grado sul VI (cadenza evitata; cfr. capitolo sulle cadenze).
È opportuno ripetere che la successione V-I rappresenta una cadenza (e gli accordi quindi hanno la
funzione di tonica e dominante) solo se metricamente cade in un luogo conclusivo o sospensivo della
frase; negli altri casi tale successione non può considerarsi cadenza e gli accordi di cui è costituita si
definiscono semplicemente come accordi costruiti sul V e sul I:
Esempio 8.29.a
Nell’esempio precedente ci sono altre due successioni V-I; la prima di esse è nella b. 2, dove la collo-
cazione del V sul tempo forte e del I su quello debole priva il passaggio di qualsiasi capacità di artico-
lazione e, al contrario, spinge la melodia in avanti, sul battere della b. 3. L’altra successione domi-
nante-tonica è tra b. 3 e b. 4; qui la successione segna un’articolazione nel discorso (quindi è lecito
parlare appunto di “dominante-tonica”), ma non ha forza conclusiva; l’indebolimento della cadenza
si deve al fatto che l’accordo di dominante è allo stato di rivolto e che il soprano non chiude sul I della
5
5
scala. Tale successione dominante tonica prende il nome di “cadenza sospesa”. Ecco quindi come si
articola il contrappunto tramite le cadenze:
Esempio 8.29.b
Nella composizione di un contrappunto a 2, soprattutto quando aumentano le dimensioni, è necessa-
rio usare con equilibrio le cadenze e limitare l’impiego di quelle finali ai luoghi dove si conclude una
parte importante della musica o la musica intera.
Esempio 8.30
N.B Le 8e a distanza nelle b. 3-4 (re-sol) si segnano come errore solo non avendo presente il fine della
regola; considerato il movimento ritmico delle due voci, nessuno potrebbe dubitare che esse non
conservino autonomia.
La centralità della successione dominante-tonica nello stile tonale conta sul fatto che i due accordi
siano distinti l’uno dall’altro. Per questo nello stile tonale non si impiega l’accordo sul III della scala
maggiore e minore (in Do mag. non si impiega l’accordo di Mi min. per esempio), perché l’accordo
contiene note che lo fanno sentire come una media degli accordi sul I e sul V. Infatti, se in Do mag.
abbiamo un movimento melodico do-si-do, dobbiamo stare attenti nel contrappunto ed evitare pas-
saggi come quelli dell’esempio che segue19 :
Esempio 8.31 Modo di Do maggiore…………………………………………………………………………………
Le successioni che precedono il nucleo dominante-tonica, sono sostanzialmente libere, tenendo tut-
tavia presente che nello stile tonale si evitano in genere quelle in cui gli accordi salgono di 3a; sono
del tutto normali e apprezzate quelle in cui gli accordi scendono di 3a. È frequente che il VI vada sul
primo rivolto del I, anche se ciò comporta una salita di terza dell’armonia, secondo la teoria del basso
fondamentale.
Esempio 8.32
19
Il terzo dei tre casi proposti non è tonalmente corretto in quanto il bicordo re-si, che individua la dominante, non
risolve sulla tonica; se la dominante evita di risolvere sulla tonica, e vuole andare sul VI deve presentarsi con il sol
al basso e salire per grado congiunto
6
5
Composizione di un contrappunto su partimento
Scrivere una parte di canto in contrappunto a due su un basso era un esercizio comune tra Sette e
Ottocento. Alcune cose sono comuni con l’armonizzazione del basso, cui siamo abituati oggi; altre
sono differenti, e sono queste a essere particolarmente utili.
Divideremo il nostro percorso in due fasi; nella prima, che prosegue da quanto si è fatto finora, il
nostro compito si limiterà alla composizione di un buon contrappunto a 2, che tenga conto della fun-
zione centrale delle cadenze; successivamente il nostro obiettivo sarà di coniugare la scrittura di una
buona melodia con l’uso di figure melodiche, a mo’ di motivi, che aderiscano e rilevino i contenuti
formali suggeriti dal basso. Quello dell’interazione tra percorso tonale e uso delle figure (che saranno
poi motivi o temi) è argomento centrale più di ogni altro nella composizione musicale.
Prima di iniziare a scrivere il contrappunto è necessario analizzare il partimento, individuando le
cadenze e le eventuali modulazioni (N.B. nella prima fase dello studio, non avendo ancora affrontato
l’argomento delle modulazioni, la presenza di tonalità differenti da quella d’impianto sarà segnata
sulla parte dall’insegnante). Il seguente basso è preso dalla raccolta di Bassi per lo studio dell’armonia
complementare, di Jacopo Napoli, ed è senza modulazioni.
Esempio 8.33.a
In questo basso, tutto in Do maggiore, si presentano quattro cadenze; solamente una di esse, la prima,
è sospesa, mentre quelle successive sono tutte finali; nella composizione del contrappunto dovremo
fare in modo di rendere chiaro, anche per differenza, che quella conclusiva è l’ultima.
Il basso è in 4/4 e il valore più breve è quello di semiminima. Anche noi useremo al più semiminime,
tenendo conto del fatto che gli accordi possono avere durata varia, dalla semibreve alla semiminima.
Esempio 8.33.b
Tonalità e motivi
Il basso seguente contiene modulazioni a toni vicini, tutte indicate con asterisco nell’esempio. Oltre
a questo, è chiaro il ritorno della figura melodica iniziale (segnata con A nell’esempio) ogni volta che
7
5
10
587 6 esempi1 1
si presenta una nuova tonalità. La regola che ci diamo qui è che, quando al basso torna la stessa figura
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10 Csus4
iniziale, si dovrà ripetere nel contrappunto il disegno proposto la prima volta, con poche eventuali
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587 174
variazioni; ciò riguarda anche i casi in cui il motivo iniziale sia ripreso in tonalità differente rispetto
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6
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10 Csus4
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a quella d’impianto.
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174
Ecco quindi il basso, analizzato sia per quel che riguarda le tonalità con le relative cadenze (le cadenze
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595 Csus4
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sono segnata con linea superiore al pentagramma), che per quel che riguarda il ritorno della figura
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174
iniziale (segnate con una linea inferiore al pentagramma); con un asterisco è inoltre segnato il pas-
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595
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saggio a un nuovo tono:
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Esempio 8.34.a
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186
2
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Ecco una realizzazione possibile, che ha tenuto conto dei suggerimenti formali contenuti nel basso:
186
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Esempio 8.34.b
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Un esempio di Vincenzo Lavigna
Ecco come Vincenzo Lavigna, maestro di Giuseppe Verdi e a sua volta allievo di Fedele Fenaroli, ha w
realizzato un semplice ma efficace contrappunto su un basso dello stesso Fenaroli:
8
5
Esempio 8.35 V. Lavigna, Contrappunto su partimento di Fedele Fenaroli
Ipertesto 8.2, Basso continuo, Partimento, Basso di armonia: un percorso pratico e didattico
Ipertesto 8.3, Contrappunto della melodia, qualche cenno
9
5
CAPITOLO IX
Ritmo, metro e formazione della frase
La teoria dedicata alla musica si è sviluppata nell'arco di qualche centinaio d’anni privilegiando l'a-
spetto delle altezze (in senso melodico o armonico) rispetto ad altri fattori, come il ritmo e il timbro.
Sicché nei manuali di composizione poco si dice, per esempio, di come l’armonia entri in rapporto
con il ritmo nella formazione della frase. Così, si dice che il I grado della scala a livello melodico e
armonico funge da punto di proiezione e risoluzione del flusso di energia generato dal movimento
sugli altri gradi della scala, e che per questo il I grado prende il nome “tonica”. Tuttavia, spesso si
trascura di notare come il I abbia questa funzione solo se, dal punto di vista metrico, cade in una
posizione opportuna, mentre, in altri casi, non conserva tale caratteristica.
Esempio 9.1, da T. Albinoni, Sonata da chiesa per violino e b.c., n. 1 in re min., Largo
Il largo di questa sonata di Albinoni per violino è in Fa mag. e, nel corso delle 16 battute, viene toccato
il fa, I grado della scala, diverse volte; tuttavia, intonando la melodia appare chiaro che solamente
una volta, ovvero nell'ultima battuta, il fa rispetta pienamente la funzione che in genere si assegna al
I grado della scala, ovvero quella di suono stabile ed efficace per concludere. Altrove, nel corso di
questa melodia, la funzione conclusiva del fa è in alcuni casi indebolita dalla posizione metrica
(quando cade sul tempo debole della battuta, a b. 3, 5, 9); in un caso il fa ha una chiara funzione di
slancio in avanti (b. 1; e si noti che anche l'armonia, essendo quella di tonica, dovrebbe confermare
la qualità stabile della tonica); mentre in un altro caso ha una chiara funzione di ripartenza (b. 6).
L’osservazione di questo esempio ci dice che il I grado solo in alcuni, specifici casi funziona da tonica,
mentre negli altri il nome “tonica” non dovrebbe essere usato.
La funzione di un grado della scala, a livello melodico e armonico, è quindi il risultato di un incontro
di forze. Nel comporre si può fare in modo che la tendenza espressa da un fattore – per esempio
quello melodico – si combini a tendenze analoghe degli altri fattori per rinforzare un certo fine che si
vuole raggiungere: una cadenza perfetta alla fine di una frase, con l’accordo sul I che cade sul tempo
forte e col primo anche nella melodia è il modo migliore per chiudere la musica, o una parte di essa.
Non allineando i parametri, si ottengono articolazioni più sfumate. Immaginiamo il finale di una sin-
fonia classica: sarebbe mai possibile concluderla in modo credibile con una tonica alla fine di una
frase, ma sul quarto tempo della battuta?
Per comprendere meglio la sintassi armonica tonale è quindi necessario dare uno sguardo a qualche
elemento di ritmica e metrica.
0
6
Ritmo libero
Nella nostra tradizione la musica ha impiegato il ritmo in modo differente; per questo si distingue la
musica a ritmo libero, nella quale il flusso melodico è ottenuto tramite addizione di battiti più o meno
uguali, da quella a ritmo misurato, dove un certo numero di battiti viene organizzato entro unità
maggiori, chiamate misure.
Gli esempi più significativi di musica a ritmo libero si trovano nel repertorio gregoriano. L’antifona
in stile sillabico che segue è efficace per esemplificare il concetto:
Esempio 9.2.
Le note con il puntino accanto hanno una durata maggiore delle altre. L’interpretazione del ritmo
libero consente elasticità nell’assegnare la durata alle note; le sillabe, corrispondenti ai battiti, sono
pronunciate con riferimento alla parola e alla sua accentuazione; sarebbe quindi inappropriata
un’esecuzione in cui i singoli suoni dovessero essere rigidamente scanditi come battiti regolari.
Ipertesto 9.1: aspetti del ritmo libero e della costruzione della frase nel canto cristiano liturgico
Ritmo misurato
Nella musica a ritmo misurato vi è un’unità che contiene i battiti, ordinandoli gli uni rispetto agli altri.
L’insieme che contiene i battiti si chiama misura, mentre il battito è l’unità di durata. Il battito è per-
cepito da chi ascolta una musica, al di là della durata delle note che si ascoltano. Il battito, infatti,
viene normalmente suddiviso in valori inferiori, secondo un principio binario (l'unità è divisa per
due), o ternario (l'unità è divisa per 3); a loro volta le suddivisioni possono essere ulteriormente
suddivise.
Nell'esempio seguente, il famoso inizio della Carmen, si percepisce l'unità di tempo corrispondente a
una semiminima, anche se non compare mai tale valore nelle prime battute:
Esempio 9.3, da G. Bizet, Carmen, Preludio
1
6
In sintesi:
battito: unità di durata
tempo: il tempo è la velocità con cui viene scandito il tempo; i tempi sono cosanti nella durata, ma
non nell'intensità; vi sono infatti tempi accentati e tempi non accentati.
metro: uno schema ripetuto che combina tempi accentati e non accentati si chiama metro;
battuta/misura: la battuta, o misura, è un metro di tempi accentati e non accentati;
accento metrico: l'accento metrico è sul primo tempo della battuta;
sincope: lo spostamento di accento ritmico sul tempo debole si chiama sincope; tale artificio è co-
munemente usato nella musica.
ipermetro: il metro conseguente l'allineamento di un certo numero di battute, che, analogamente a
battiti interni alla battuta, tendono a distinguersi tra battute con maggiore e minore forza (in genere
la prima battuta ha maggiore forza della seconda).
Il tipo di ritmo iniziale può essere:
tetico: quando si inizia in battere
anacrusico: quando si inizia in levare
acefalo: quando inizia in battere, ma con una pausa.
Il tipo di ritmo finale può essere
tronco (anche detto “maschile”), quando finisce in battere
piano (anche detto “femminile”), quando finisce su un tempo successivo al primo della battuta.
Ipertesto 9.2, Ipermetro
Costruzione per antecedenti-conseguenti nella musica a ritmo misurato
Alcuni aspetti della libertà con cui nel Medioevo si trattava il ritmo sono sopravvissuti a lungo, ben
dentro l’epoca moderna. La mancanza di articolazioni chiare all'interno delle frasi, la mancanza di
simmetrie e corrispondenze tra porzioni di frase, la mancanza di un ordine tra le battute che consenta
di considerarle in relazione a un ipermetro, così come l'impiego delle cadenze sui diversi gradi della
scala per articolare dinamicamente il discorso, sono fatti che caratterizzano anche il mottetto cinque-
centesco, per esempio.
Pian piano maturò tuttavia un gusto musicale differente, che ha marcato profondamente lo stile della
musica moderna; infatti, dal periodo galante in poi, si preferì sviluppare un discorso musicale a par-
tire da cellule ritmico-melodiche distinte e raggruppate in modo da formare frasi che si confrontano
tra loro creando simmetrie o asimmetrie, contrasti e ripercussioni secondo il principio elementare
che a un antecedente segue un conseguente tendenzialmente di analoghe dimensioni.
Nella tradizione scolastica si distinguono:
Inciso, figura ritmico-melodica dell’estensione approssimativa di una battuta;
nell’analisi moderna l’unità minima è il “gruppo ritmico”;
Semifrase insieme di 2/3 incisi;
Frase insieme di 2/3 semifrasi
Periodo insieme di 2/3 frasi
Doppio (triplo) periodo insieme di due/tre periodi
Le unità inferiori si combinano quindi secondo una logica binaria o ternaria per formare l'unità di
livello superiore. Di qui il fatto che le frasi e i periodi possano presentarsi a volte con dimensioni assai
differenti.
2
6
Uso delle lettere nell’analisi musicale
L’analisi musicale si serve delle lettere dell'alfabeto per segnalare uguaglianze (nel caso di due fram-
menti uguali si userà la stessa lettera) o differenze (in questo caso le lettere saranno differenti). Con
numeri posti in apice alle lettere si segnano via via i frammenti più o meno differenti da quello di
riferimento. Analizzando la musica in questo modo, si possono distinguere i gruppi ritmici, le frasi, o
i periodi o tutte queste cose utilizzando tipi di lettere differenti (minuscole, maiuscole, lettere dell'al-
fabeto greco, ecc.).
Nell’esempio seguente è riportato un Lied di Brahms; le lettere e le parentesi quadre sono usate per
rilevare la relazione tra le frasi. Si tratta di un componimento assai semplice, e le quattro frasi di cui
si compone sono sostanzialmente simili l’una all’altra; tuttavia, costatata l’identità della prima, se-
conda e quarta frase (segnate tutte con “a”), ho ritenuto opportuno notare con la lettera “b” la terza
frase, che ha un profilo melodico e una funzione armonica differente dalle altre (è l’unica frase orien-
tata sul V della tonalità).20 Un altro fatto che ho segnato nell’esempio è il modo di susseguirsi delle
figure musicali all’interno di ognuna delle frasi: le linee senza lettere, al di sotto delle parentesi qua-
dre, mostrano un procedimento assai frequente nella musica del passato e del presente: la ripetizione
del un breve inciso iniziale satura il ritmo della frase generando l’energia da cui scaturisce l’insieme
successivo, di durata doppia dell’inciso (contando le battute sarà quindi 1+1+2); tale procedimento
nella musicologia internazionale prende in genere il nome inglese di sentence.
Esempio 9.4, J. Brahms, Deutsche Volkslieder, Erlaube mir
L’esempio 9.4 mostra con grande evidenza quanto sia importante in questo tipo di musica il motivo
iniziale, ovvero quella cellula melodica (in entrambi i casi ha l’estensione di una battuta) che imprime
il carattere alla pagina, avviando il gioco delle successioni di antecedenti-conseguenti.
Ipertesto 9.3. Motivo, frasi periodi; uso delle lettere nell’analisi musicale
Dal motivo al periodo
Nel far musica e nell’analizzarla è importante inquadrare motivi (per questo elemento si rimanda
all’ipertesto 9.4), frasi e periodi. Comunemente si dice che la frase ha una durata di quattro battute e
il periodo di otto; ciò spesso è vero, ma capitano frequentemente altre cose. Si deve guardare alla
cadenze; sono loro a segnare anche percettivamente il confine delle frasi e dei periodi.
20
Tra parentesi segnalo il modello formale di riferimento, a-a-b-a, che nella tradizione teorica si identifica come
“forma BAR”, assai frequente nella liederistica ottocentesca.
3
6
I due esempi che seguono, tratti dalla stessa sonata di Mozart, rappresentano due casi opposti: nel
primo, le frasi che costituiscono il primo periodo durano quattro battute l’una, mentre nel secondo
bisogna attendere l’ottava battuta per avere la prima cadenza sul V del tono, e con essa la fine della
prima frase:
Esempio 9.5, W.A. Mozart, Sonata in Do mag. KV 309, Andante, un poco Adagio
I
V
Esempio 9.6, da W.A. Mozart, Sonata in Do mag. KV 309, Allegretto grazioso
V
È opportuno ribadire che alla fine della frase la cadenza può essere sia sul V che sul I; la sospensione
sul V alle fine di una frase o di un periodo lascia il percorso in bilico (infatti, come abbiamo visto, si
chiama cadenza sospesa), tendente spontaneamente a proseguire in avanti e a trovare un punto di
chiusura nella frase successiva. L’effetto “aperto-chiuso” è una strategia compositiva assai comune e
antica nella nostra cultura musicale (nella lirica trobadorica era “ouvert-clos”); tecnicamente si può
realizzare facendo leva sull’alternanza V-I, oppure chiudendo entrambi le frasi sulla tonica, ma la
prima volta senza confermare l’effetto finale con la prima posizione melodica della parte superiore.
Ecco i due casi:
Esempio 9.7.a-b
4
6
Guardiamo un esempio di composizione basata sul principio di successione antecedente-conse-
guente:
Il notturno op. 32, n. 1 di Chopin inizia con questo motivo:
Esempio 9.8 da F. Chopin, Notturno op. 32, n. 1
Una volta inventata la prima figura, il processo compositivo basato sul meccanismo di successione di
antecedenti e conseguenti, dà tre possibilità:
a. ciò che segue rispetto alla premessa è uguale o simile ad essa;
b. ciò che segue è differente;
c. ciò che segue è in parte simile o uguale, in parte differente.21
Chopin sceglie di proseguire ripetendo la figura inziale e inserendo piccole variazioni ornamentali
nella melodia; alla fine della frase si troverà quindi sul V della tonalità (accordo di Fa♯magg.):
Esempio 9.9 ibidem
V
La ripetizione della semifrase “satura” la frase e la obbliga a proseguire con qualcosa di diverso, esat-
tamente come prima abbiamo visto nel Lied di Brahms (esempio 9.4); è un procedimento comune e
frequente: la ripetizione di un frammento genera pressione e sviluppa energia di uscita dalla ripe-
tizione. In effetti Chopin avvia la seconda frase usando lo stesso ritmo melodico della prima
(semiminima, croma puntata, semicroma, semiminima), ma su una base armonica che contraddice
la linearità della prima: tramite una dominante applicata22 va sul III di Si mag., Re# min., e prosegue,
nella stessa battuta, con l’accordo di Do# min.; è un accordo estraneo alla tonalità provvisoria di Re#
min., perciò sorprendente; e Chopin accentua la sorpresa, trasformandola in sospensione tramite il
punto coronato. L’accordo di Do# min. e il punto coronato sono un artificio retorico raffinatissimo;
abbiamo l’impressione di una pausa nel corso dei pensieri, un attimo di smarrimento prima del rien-
tro rapido in Si mag. Si noti l’ultima semifrase, nella quale il movimento discendente re# - do# - si
riprende il motivo di avvio della prima semifrase (si vedano le note sul primo e sul terzo tempo della
prima battuta, sul primo tempo della seconda battuta, appunto re# - do# - si); anche questo è un fatto
21
N.B. Nella valutazione della similitudine o meno di quel che segue rispetto all'antecedente si guarda il ritmo
melodico: se il ritmo della melodia è uguale, benché le altezze melodiche o l'armonia siano differenti, si dirà che
il conseguente è uguale o simile all'antecedente.
22
Sulla dominante applicata (o “transitoria”) si tornerà all’interno del capitolo dedicato alla modulazione. Qui basta
dire che, il passaggio da un accordo all’altro della stessa tonalità si effettua passando dal primo sulla dominante
del secondo.
5
6
ricorrente: per rinforzare il senso di conclusione di qualcosa - una frase, un periodo, una parte della
musica, una musica intera - non c’è nulla di meglio da fare che richiamare l’inizio di quella cosa.
Esempio 9.10
I
Chopin ci ha insegnato un paio di cose da ricordare: nel dar forma alla musica si inventano alcune
cose, poi è essenziale saper ripetere e saper dove collocare le ripetizioni; all’inizio del Notturno in Si
mag. ha usato la ripetizione due volte, con finalità opposte: la prima per generare energia, la seconda
per trovare un punto di quiete.
Ipertesto 9.4, approccio compositivo e articolazione della musica
6
6
CAPITOLO X
Accordi dissonanti
Una della caratteristiche più importanti dello stile tonale – e anche della musica attuale - è la valoriz-
zazione del contrasto tra consonanza e dissonanza, con la tensione generata dalla dissonanza e la
quiete ritrovata nella consonanza.
Gli unici accordi consonanti sono la triade maggiore e quella minore; tutti gli altri accordi sono dis-
sonanti.
Ricapitolazione indicazioni sul trattamento della dissonanza
Le norme indicate nel capitolo dedicato al contrappunto a due restano inalterate con riguardo all’ar-
monia tradizionale. Ricordo quindi che la nota dissonante ha obblighi che riguardano la condotta
delle parti; in breve:
• nel contrappunto tradizionale le dissonanza di 5a diminuita e 4a aumentata possono essere
raggiunte liberamente mentre quelle di 2a 4a 7a e 9a vanno preparate (vedi sopra, nel ca-
pitolo dedicato alla condotta delle parti); benché tale prescrizione venga frequentemente su-
perata nella pratica, conviene tenerla presente soprattutto nella composizione vocale. Nello
stile tonale non si deve preparare la dissonanza all’interno degli accordi che hanno fun-
zione di dominante.
• La dissonanza deve scendere per grado congiunto nel passare all'accordo successivo; riso-
luzioni differenti si incontrano, ma solo per eccezione.23
Alcuni accordi dissonanti con funzione di dominante
Gli accordi con funzione di dominante sono i seguenti:
accordi cotruiti accordi costruiti
sul V sul VII
- Triade di dominante - Triade di sensibile
- Settima di dominante - Settima di sensibile
- Nona di dominante
Ipertesto 10.1, Perché gli accordi sul VII funzionano da dominante?
N.B Gli accordi dissonanti di dominante hanno più di una nota obbligata, ovvero la sensibile che sale
e le dissonanze che scendono. Le obbligate non si possono raddoppiare, dal momento che il rad-
doppio comporta necessariamente l’errore di ottave parallele.
a. Triade di sensibile: triade diminuita costruita sulla sensibile del modo mag. e di quello min.
• La triade di sensibile si trova usata quasi unicamente allo stato di primo rivolto, con il basso
che si muove per grado congiunto nella risoluzione sulla tonica:
• Avendo funzione di dominante, risolve sulla tonica.
• Sono note con risoluzione obbligata la fondamentale, ovvero la sensibile, che sale.
• La triade diminuita presenta un caso particolare, che tuttavia non è possibile considerare
eccezione per la frequenza con cui si presenta: la 5ª dim., quando l’accordo è in primo
rivolto, può salire in risoluzione, per questo può essere raddoppiata (vedi qui sotto le
soluzioni “più frequenti”); comunque deve risolvere per grado congiunto. La triade
diminuita viene costruita e risolta con riferimento alla prassi contrappuntistica antica, nella
quale l’armonia era risultato della sovrapposizione di intervalli sul basso; nell’accordo di re-
fa-si (che noi vediamo come rivolto di si-re-fa) il fa è 3a sul basso, quindi nota consonante.
23
Ricordo che la dissonanza nel contrappunto classico deve cadere sul tempo forte o accentato e risolvere sul tempo
debole successivo; tale indicazione cade per gli accordi di 7a, che si possono trovare sia sul tempo forte che su
quello debole.
7
6
Esempio 10.1
b. Accordi di 7a e 9a con funzione di dominante
b.1. 7ª di dominante (7ª di 1ª specie), costruita sul V del modo mag. e min (con la sensibile).
• Costruzione: In quanto accordo di dominante, è 7ª principale e la 7ª non va preparata.
• risolve sulla tonica o in cadenza evitata, compatibilmente con la necessità di risolvere
adeguatamente la dissonanza.
• Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (sale), la settima dell'accordo (scende).
Esempio 10.4 poco efficace migliore ecc. di Bach
N.B. Per avere una risoluzione efficace del V sul I allo stato fondamentale di entrambi, è necessario
costruire la settima incompleta (si toglie la 5ª, si raddoppia la fondamentale); in alternativa, si deve
ricorrere all’eccezione di Bach.
N.B. Gli accordi di 7ª si costruiscono sempre completi quando sono allo stato di rivolto.
b.2. 9ª di dominante
Gli accordi di nona di dominante si presentano differentemente nel modo maggiore e nel minore (con
la sensibile). Nell’esempio qui sotto, il primo accordo si definisce “9ª di dominante mag.”; il secondo
“9ª di dominante min.”. Data la frequenza con cui nel modo maggiore si usa alterare in senso discen-
dete il sesto suono della scala, la 9ª di dominante minore si considera accordo anche normalmente
utilizzabile nel modo maggiore.
22 esempi1 1
Esempio 10.5 a. b.
www b www
762
9
b9 b. Nona di dominante min.
? ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
7 7
w w
9ª di dominante maggiore (nona di 1ª specie), costruita sul V del modo mag.
& ∑accordo ∑di dominante,
∑ è ∑ 9ª principale:
∑ la ∑ 9ª dell’accordo
∑ ∑non va
770
• Costruzione: In quanto
preparata, purché si rispettino gli obblighi qui sotto indicati.
? ∑
• Nella costruzione la 9ª deve essere disposta sopra alla fondamentale almeno a distanza di 9ª
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
e sopra la 3ª dell’accordo (ovvero sopra alle note con cui forma la dissonanza di 9ª e di 7ª).
Nel caso non si riesca a mantenere la distanza di 7ª con la terza dell’accordo, è necessario
preparare la 9ª; la distanza di 9ª con la fondamentale va comunque mantenuta:
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
778
&
8
6 ? ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
Esempio 10.6
• Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (3ª dell'accordo) che sale; la 7ª e la 9ª, che scen-
dono essendo dissonanti.
• Come mostrato nella parte b. dell'esempio seguente, la 9ª dell'accordo può scendere anche all'in-
terno dell'accordo di dominante (“risoluzione anticipata della nona di dominante”), trasformando
la 9a in una 7ª di dominante.
Esempio 10.7, a- b
a.
b.
9ª di Dominante minore (9ª di prima specie), costruita sul V del modo minore e del modo maggiore col
sesto della scala abbassato (cosiddetta scala armonica maggiore)
• Costruzione: quel che si è detto per la 9ª di dominante maggiore
• Costruzione: resta valido per la 9ª di dominante minore quanto detto per la 9a di dom. mag.; cade
l'obbligo di disporre la 9ª dell'accordo sopra la sensibile; quindi, come si vede nell'esempio se-
guente, la 9ª deve essere sempre sopra la fondamentale almeno a distanza di 9ª, ma può anche essere
posta sotto la sensibile. Infatti, disponendo la 9ª sotto la sensibile, si forma un intervallo di 2ª au-
mentata, enarmonicamente equivalente a una 3ª minore; le due note, quindi, pur vicine tra loro, non
creano urto.
• Risoluzione: vedi 9ª di dominante maggiore (anche la 9ª di dominante minore ha la cosiddetta ri-
soluzione anticipata).
Dal momento che la 9ª di dominante minore è identica alla 9ª di dominante maggiore (fatto salvo il parti-
colare di costruzione accennato), presento solo alcuni casi di risoluzione sulla tonica; nel primo caso, la
sensibile è disposta sopra la 9ª dell'accordo (naturalmente avrebbe potuto essere messa anche sopra la sen-
sibile).
Esempio 10.8
9
6
Accordi di 7ª sulla sensibile
Gli accordi costruiti sul VII del modo maggiore e minore si considerano, secondo una certa tradizione
teorica, accordi di 7a derivati dalla 9a di dominante; in Do mag. l’accordo si-re-fa-la, secondo tale
tradizione, sarebbe l’accordo sol-si-re-fa-la senza la fondamentale.24
7ª di sensibile (7ª di 3ª specie), costruita sulla sensibile del modo mag.
• in quanto accordo con funzione di dominante si classifica come 7a principale: la 7a non va
preparata, purché sia posta sopra la fondamentale.
• Risolve sulla tonica; la condotta obbligata delle voci impedisce la risoluzione in cadenza
evitata.
• Sono note con risoluzione obbligata: la sensibile (fondamentale dell'accordo, sale), la 5a dim.
e la 7a che, in quanto dissonanti, scendono.
Esempio 10.9
• La 7a può scendere sulla nota di risoluzione ancora prima dell'arrivo dell'accordo di tonica;
in questo modo la 7a di sensibile diventa una 7a di dominante (risoluzione anticipata)
Esempio 10.10
7a diminuita (settima di 5ª specie), costruita sul VII del modo min. e, per estensione, del modo mag.
con il VI della scala abbassato
• In quanto accordo di dominante, si classifica come 7a principale: non ha alcuna limitazione
nella costruzione.
• risolve sulla tonica.
• sono note con risoluzione obbligata la sensibile (fondamentale, sale); la 7a dim. e la 5 a dim.,
che, in quanto dissonanti, scendono.
Esempio 10.11
• La 7a può scendere sulla nota di risoluzione ancora prima dell'arrivo dell'accordo di tonica;
24
Questa degli accordi derivati (ricordo che, oltre gli accordi di 7a costruiti sul VII, si considerano analogamente
quelli di 7a costruiti sul IV della scala maggiore e minore, derivati dalla 9a sul II) sembra una visione bizzarra
delle cose; tuttavia la teoria ha avuto un certo seguito e si deve conoscere. Detto questo, non si può far a
meno di notare che l’accordo di 7a di sensibile risolve sulla tonica perché ci sono le note obbligate che
glielo fanno fare, non perché sia derivata dalla 9a di dominante; è decisivo inoltre considerare che gli
accordi di 7a hanno cominciato a essere usati molto prima che quelli di 9a fossero ipotizzati; e le cose
che vengono prima nel tempo è difficile che derivino da quelle che vengono dopo. Questo è il classico caso
in cui la teoria si fa prendere la mano.
0
7
in questo modo la 7ª diminuita diventa una 7ª di dominante (risoluzione anticipata).
Esempio 10.12
Alcuni accordi dissonanti che precedono la dominante (pre-dominante)25
Triade diminuita sul II della scala minore
• Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante (quindi quelli la cui fondamentale
poggia sul V e sulla sensibile);
• È nota con risoluzione obbligata la 5ª diminuita che, come dissonanza, scende o resta legata
temporaneamente all'unisono, rimanendo dissonante, per scendere in un secondo
momento26 (vedi risoluzione su 7ª dim.):
Esempio 10.13
7ª sul II della scala maggiore (settima di 2ª specie; ... minore settima, ad es. “D min.7”).
• In quanto settima secondaria, la 7ª va preparata legandola all'unisono da una nota
dell'accordo precedente.
• Risolve sugli accordi che hanno funzione di dominante.
• È nota con risoluzione obbligata la 7ª, che scende.
Esempio 10.14, a-b
a.
b.
Attenzione alla risoluzione del secondo rivolto della 7ª sul II sulla dominante: per evitare la falsa
relazione di unisono o 8ª si deve armonizzare il V con 5 (come accade nell'esempio 10.14.b) o con 46.
Ciò vale anche per il modo minore. Ecco l'errore da evitare:
25
N.B. Tra gli accordi dissonanti che si usano frequentemente prima della dominante c’è la triade diminuita sul II
della scala minore, già descritto nel paragrafo dedicato agli accordi di triade diminuita.
26 Vale per tutti gli accordi dissonanti: la dissonanza scende nella risoluzione sull'accordo successivo, o resta
legata all'unisono, diventando un ritardo (la dissonanza può restare legata, anziché scendere, purché resti la nota
resti dissonante).
1
7
Esempio 10.15
27
Per quel che riguarda il fatto di classificare la 7a sul IV come accordo derivato, ripeto quanto scritto nella nota a
piè di pagina 24.
2
7
Presento solo esempi nel modo maggiore; tuttavia gli stessi esempi possono valere anche per il modo
minore, inserendo le opportune alterazioni:
Esempio 10.18
ERRATO
Altri accordi di 7ª secondari
Gli accordi di 7ª non descritti sopra hanno norme di comportamento comuni:
• Secondo la prassi tradizionale si costruiscono con preparazione della 7ª, in quanto settime
secondarie;
• risolvono secondo la propria funzione (vedi tabella sulle funzioni tonali degli accordi nel
Capitolo VIII - Tonalità e cadenze), che è conseguenza della necessità di risolvere
adeguatamente dissonanza;
• è nota con condotta obbligata la dissonanza, che scende.
Ecco alcuni esempi:
Esempio 10.19.a-b
a.
b.
Accordi dissonanti e funzioni tonali
È interessante notare come l’applicazione delle regole dell’armonia dissonante tenda rinforzare le
funzioni dello stile armonico tonale; le successioni accordali che consentono l’uso regolare della dis-
sonanza coincidono di fatto con quelle dello stile tonale. Nell’esempio che segue sono mostrate le
possibilità che dà l’uso della 7a di seconda specie su Re, indipendentemente dalla tonalità in cui po-
trebbe essere inserito; come si vede, le successioni armoniche sono facilmente inquadrabili in una
tonalità che contiene l’accordo.
Esempio 10.20
3
7
Va inoltre considerato che dalla seconda metà del ‘500 fu comune realizzare la cadenza con una dis-
sonanza in sincope di 7a sul II (il II poteva trovarsi anche nella parte del tenore, oltre che del basso),
e che fu questa circostanza, più di qualsiasi altro motivo spiegato attraverso sofisticati apparati teo-
rici, a cristallizzare la successione cadenzale più tipica della tonalità, quella II-V (dominante)-I.
Esempio 10.21 12 esempi1 1
7 - 6
Ó Ó
& ˙˙ œœ œ ˙˙ ˙˙ œœ œœ ˙˙ ˙˙ œœ œœ ˙˙ Ó ∑
392
˙ ˙ œ ˙ Ó ˙ œ œ ˙ Ó ˙ ˙ ˙
œ œ œ Œ Ó œ œ ˙
6
? ˙ ˙ ˙
6
˙ Ó Ó ∑
7 - 6
˙
7 3 5
II I II V I
˙ ˙˙ œ œ ˙ ˙
& ˙˙ œœœ œœœ ˙˙˙ ˙˙˙
399
˙ œœ œœ ˙˙ ˙˙ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
?œœœ œœœ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
œ w œ ˙ ˙
w w w ww ww w ww
ww ww ww ww ww
409
poco usate .................................................................................
& ww ww w
più frequenti .....................................................................
w w ww w ww w w w w
6 6 6 6
?
6
w w
5
w w w w w
6
w w w w
6
w
VII I II(VII) I II(VII) III(I) II(VII) I II(VII) III(I) II(VII) I
∑
421
&
? ∑
& b ww w w w ww w ∑ ∑
b9 b7 b5 4
6
?
7 6 3
w w w w ∑ ∑
5
w
4
w
I VII(V) I II(V) I
V
4
7
CAPITOLO XI
Note di fioritura
Le note di fioritura servono per caratterizzare e arricchire la condotta melodica delle voci; possono
essere reali o estranee.
a. Note di fioritura reali (o di arpeggio): fanno parte dell'accordo, sono raggiunte e/o lasciate per
salto superiore alla seconda. Nell’esempio gli asterischi indicano errori nei quali le note estranee
sono raggiunte per salto.
Esempio 11.1.
b. Note di fioritura estranee all’accordo: non fanno parte dell'accordo, sono collocate sulla suddi-
visione o su un tempo debole; nei compiti di scuola sono rigorosamente raggiunte e lasciate per grado
congiunto (possono essere “note di passaggio” o “note di volta”: cfr. di seguito in questo capitolo);
nella musica sono comuni anche note estranee solamente raggiunte o lasciate per grado congiunto
(possono essere note di volta incomplete, o anticipazioni).
Sono note dissonanti, non facendo parte dell’accordo, ma l’effetto dissonante non è percettivamente
in rilevo, proprio grazie al trattamento per grado congiunto, che ne fa emergere l’attitudine squisita-
mente melodica.
Ecco i diversi tipi di nostre estranee:
b.1. Note di passaggio, passano per grado congiunto da una nota dell'accordo a un'altra dello stesso
accordo o di un accordo differente; oltre che semplici, possono essere doppie, simultanee, diatoniche
o cromatiche. Nelle prime battute dell'esempio seguente le note di passaggio sono segnalate con un
asterisco:
Esempio 11.2
22 esempi1 1
www b www
762
w w ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
&
b
N.B. La nota di passaggio cromatica deve proseguire nel senso dell'alterazione (nell'esempio prece-
dente non si sarebbe potuto usare il sol♭ al posto del fa#).
9
9
? ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
7 7
b.2. Note di volta, si allontanano da una nota dell'accordo per grado congiunto e nello stesso modo
w w
tornano sulla stessa nota; l'accordo, al momento del ritorno sulla nota, può anche cambiare. Oltre che
semplici, possono essere doppie, simultanee, diatoniche o cromatiche (alcune sono esemplificate di
seguito, le altre si immaginano per analogia con le note di passaggio):
Ó œœ œœ œœ Ó Ó
770
Ó Ó Ó ∑
inferiore
w ˙ ˙ w
inferiore inferiori superiore
b.3., note di volta incomplete (sfuggite), sono solamente raggiunte o lasciate per grado congiunto.
∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
776
Comuni nella musica, non sono impiegate nello stile scolastico, se non con discrezione:
&
5
7
? ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑ ∑
* *
Esempio 11.4
b.4., Anticipazione, è una nota dell'accordo su cui si deve andare che viene anticipata, come suddi-
visione, nell'accordo in cui ci si trova. Nei compiti di scuola possono essere usate solo con discrezione.
Esempio 11.5. *
6
7
Capitolo XII
Ritardi e appoggiature
Ritardi
Si tratta di note estranee all'accordo che, cadendo sul tempo, sono percettivamente in rilievo come
note dissonanti. Derivano dall'antica tecnica della dissonanza in sincope. Nel seguente esempio lo
stesso passaggio armonico è realizzato prima senza, poi con ritardo della 3ª:
Esempio 12.1.
Il ritardo si articola in tre momenti:
1) preparazione: come ogni dissonanza percettivamente in rilievo (era così anche negli accordi
di 7ª per esempio), il ritardo ha bisogno di essere preparato con legatura all'unisono da una
nota reale dell'accordo precedente (può anche essere la 7ª dell’accordo che precede); la
preparazione deve durare almeno un tempo della battuta.
2) Percussione: il ritardo cade sul tempo forte o semi-forte della battuta (nel caso di una battuta
ternaria, può anche cadere sul secondo tempo). Nel momento della percussione la nota
estranea all'accordo entra in urto di 7ª o di 2ª con un'altra nota dell'accordo; senza questa
dissonanza, non si può fare ritardo. Nel momento della percussione la nota ritardata non può
coesistere con il ritardo; fa eccezione il ritardo della fondamentale, nel quale è apprezzata la
presenza della fondamentale stessa in un’altra parte, purché sia sotto al ritardo a distanza di
9a
3) Risoluzione: il ritardo, essendo dissonante, risolve per grado congiunto discendente sul
tempo debole successivo a quello di percussione (in una battuta ternaria, collocando la
percussione sul secondo tempo, la risoluzione cadrà sul terzo tempo della battuta), su una
nota consonante. Tale consonanza potrà essere all'interno dell'accordo in cui era caduta la
percussione, o in un altro accordo.
Non vi sono limiti nell'impiego dei ritardi, purché si tenga conto delle tre indicazioni date.
Esempio 12.2
Quando una dissonanza cade sul tempo, ma una o più delle regole ora indicate sono eccepite, si è in
presenza di un’appoggiatura (vedi oltre in questo capitolo).
Esempio 12.3
Qui di seguito mostro alcuni dei ritardi più frequenti nei compiti di scuola:
7
7
a. Ritardo della fondamentale al basso degli accordi sul I, sul II, sul V:
Esempio 12.4 Il secondo caso è errato perché,
quando si ritarda un qualsiasi suo-
no, non si può far sentire il suono
ritardato in una voce che sta sopra
al ritardo stesso
Esempio 12.5
Nei compiti di scuola a volte capita di incontrare il ritardo al basso della fondamentale del V; la rea-
lizzazione del passaggio è scomoda e musicalmente inefficace; per evitare l’errore segnalato
nell’esempio “c” qui sotto è necessario armonizzare il VI allo stato fondamentale (cosa che in altri
casi si evita; vedi esempio “a” qui sotto), oppure si deve ricorrere alla doppia risoluzione anticipata
della 7a di sensibile (soluzione “b” qui sotto):
Esempio 12.6
a. b. c.
b. Ritardo della 3ª sul I e sul V allo stato fondamentale:
Esempio 12.7
c. Ritardo della 3ª nel secondo rivolto degli accordi di 7ª sul V e sul II:
Esempio 12.8
I VI(II)
8
7
d. Ritardo della 3ª al basso:
Esempio 12.9
e. Ritardo della 5ª. normalmente il ritardo della 5ª non è ammissibile, poiché nel momento della
percussione, manca l'urto di 7ª tra il ritardo e un'altra nota dell'accordo; per eccezione si ammette il
ritardo della 5ª nella triade di dominante allo stato fondamentale del modo minore, in quanto l’ac-
cordo di 5ª aum. che ne deriva emula la sensazione di dissonanza. È normalmente utilizzato il ritardo
della 5ª al basso nell'accordo di 7ª (scolasticamente è frequente all’interno della 7a di dominante):
Esempio 12.10
Appoggiature
Si tratta di note estranee all'accordo che cadono sul tempo forte o sul tempo debole; simili ai ritardi,
ne rappresentano una versione più libera, meno scolastica.
Possono essere:
• diatoniche/cromatiche
• superiori/inferiori (la dissonanza può risolvere in senso ascendente)
L'appoggiatura prosegue sempre per grado congiunto; se si tratta di appoggiatura cromatica, nel
senso dell'alterazione.
Esempio 12.11
9
7
CAPITOLO XIII
Sequenze (progressioni)
Aspetti generali
Nel presente capitolo userò il termine sequenza, che nella teoria musicale è più attuale di ‘progres-
sione’, impiegato nella tradizione scolastica italiana.28 Nell’analisi musicale attuale il termine pro-
gressione è usato per indicare una successione tonale di accordi.
La sequenza consiste nella ripetizione a differente altezza di un modello armonico-ritmico-melodico.
Nei compiti di scuola si tratta di modelli essenzialmente armonici: data una successione di due ac-
cordi, tale successione si ripete a differente altezza.
Le sequenze possono essere:
• ascendenti/discendenti (se il modello viene ripetuto più in alto o più in basso):
• fondamentali/derivate (se vengono usati accordi allo stato fondamentale o anche solo
parzialmente allo stato di rivolto):
• tonali/modulanti (se rimangono nella stessa tonalità o il trasporto dell'armonia avviene
comprendendo la funzione degli accordi all'interno del primo modello):
fondamentale derivata tonale fond. modulante
discendente discendente ascendente ascendente
Esempio 13.1
Una sequenza è irregolare se qualcosa cambia nella ripetizione del modello; il caso più frequente è
quello in cui il modello si ripete a differente distanza, come avviene nel seguente esempio dove la
prima ripetizione è una 2ª sopra, mentre la seconda ripetizione è una 3ª sopra:
Esempio 13.2
Condotta delle parti nella realizzazione delle sequenze
• Deve essere rispettata la posizione melodica.
• Nel passaggio da un modello al successivo sono ammesse quinte per moto retto ed eventuali
false relazioni;
• Se tra gli accordi che costituiscono il modello della sequenze se ne trovano uno o più che
contengono settime, queste, nella prassi scolastica, vanno preparate e devono scendere per
grado congiunto nel passaggio all'accordo successivo.
28
Il termine “progressione”, nell’analisi musicale attuale, tende a essere impiegato con il significato che gli si dà in
inglese, ovvero “successione” di accordi.
0
8
non rispetta la la 7ª non è
Esempio 13.3 posiz. melodica la 7ª sale preparata
• Il collegamento degli accordi che costituiscono il modello della sequenza deve essere
corretto. Esistono diverse modi di vedere il passaggio da modello a modello; secondo alcuni
anche tale passaggio deve essere realizzato con una corretta condotta della parti, secondo
altri nel passaggio da modello a modello sono ammesse eccezioni anche piuttosto vistose
rispetto alle regole contrappuntistiche. Personalmente credo siano vere entrambe le
versioni, per il semplice fatto che non è possibile diversamente. Nel seguente esempio la
seconda realizzazione, pur corretta contrappuntisticamente, non è proponibile perché non si
rispetta il modello nella ripetizione;
Esempio 13.4
Nell’esempio qui di seguito la seconda realizzazione sarebbe addirittura la più corretta, dal
punto di vista della condotta delle parti; tuttavia si deve adottare la prima versione che,
nonostante presenti errori di condotta (tutte le voci si muovono per moto retto nel passaggio
da un modello al successivo), rispetta la posizione melodica del modello nelle sue ripetizioni:
Esempio 13.5
Nel corso della sequenza tonale si può evitare di indicare la funzione tonale dell’accordo attraverso
il suo grado; all’interno della sequenza la forza che lega gli accordi tra loro non dipende tanto dalla
tonalità, infatti, quanto dall’automatismo della ripetizione.
Poiché in progressione si sospendono le funzioni tonali, al suo interno si impiega la scala minore
naturale (non si usa la sensibile); la sensibile si deve usare solo alla fine della progressione, quando
questa si chiude con una successione dominante-tonica, sia allo stato fondamentale che di rivolto.
1
8
Alcuni modelli comuni di sequenza
1. Basso che scende di 5a e sale di 4a, tonale (fondamentale e derivate). La sequenza, nella sua ver-
sione tonale, inizia su un qualsiasi grado e si conclude in genere con la dominante che va a tonica.
Esempio 13.6
La stessa sequenza è presentata nella sua versione modulante, in cui ogni accordo funge da domi-
nante di quello successivo (sol dominante di do, che è dominante di fa, che è dominante di si♭ mag.,
ecc.). La sequenza viene nominata scolasticamente “progressione circolare modulante”. La derivata
mostrata come secondo caso dell’esempio qui di seguito serve come modello per l’armonizzazione
della scala cromatica discendente.
Esempio 13.7 N.B. scala cromatica discendente
al basso
La sequenza appena mostrata, sia tonale che modulante, può essere armonizzata anche con triadi o
alternando triadi e settime; allo stato fondamentale avviene raramente, mentre sono frequenti la se-
conda e la terza delle versione proposte nell’esempio seguente:
Esempio 13.8
Ecco la versione modulante del modello armonizzato con triadi:
2
8
Esempio 13.9
2. Basso che sale di 4ª e scende di 3ª. È una sequenza frequente; la derivata serve come modello per
l’armonizzazione del basso in sincope che sale di grado:
Esempio 13.10
La stessa figurazione, in un contesto modulante, si armonizza come successione di V-I (il V in genere
si armonizza come 7a di dominante; in alternativa si può armonizzare anche con sole triadi); la deri-
vata serve come modello per l’armonizzazione del basso che sale cromaticamente.
Esempio 13.11 N.B. scala cromatica ascendete
al basso
Basso che sale di 5ª; di questa progressione si usa in genere la versione con accordi allo stato fondamentale,
sia tonale, sia modulante:
Esempio 13.12
Nella realizzazione di questa sequenza si deve essere attenti a rispettare la posizione melodica del
modello iniziale, evitando di scendere con le parti superiori, mentre il basso sale:
Esempio 13.13
3
8
4. basso che scende di 4ª e sale di grado; è il modello noto come “basso di romanesca”, conosciuto e usato
già nel periodo barocco; è comune sia la versione allo stato fondamentale che la derivata presentata
nell’esempio qui di seguito:
Esempio 13.14
Nei compiti di scuola si presentano solo sequenze formate dalla successione di due accordi; nella
musica si possono incontrare anche progressioni più ampie, formate da tre e più accordi:
Esempio 13.15
Sequenze imitate (progressioni imitate)
Le sequenze imitate includono nel passaggio armonico del basso movimenti melodici elementari, che
devono essere imitati in una delle voci superiori.
La prima cosa da fare è di individuare il modello della sequenza nella sua versione elementare, senza
imitazioni. Qui sotto c’è un caso assai comune; il modello di armonizzazione del basso si trova esem-
plificato sopra (esempio 13.8) e la sequenza allo stato fondamentale è quella in cui il basso scende di
5ª e sale di 4ª.
Esempio 13.16
Il basso presenta un disegno di terza discendente, in cui dalla fondamentale del primo accordo si
scende per grado congiunto sulla 3ª del secondo accordo; l’imitazione si realizza facendo la stessa cosa
con la voce che, nel modello elementare, fa la stessa cosa; tale imitazione può essere collocata quindi in
una qualsiasi voce, a seconda della posizione melodica in cui ci si trova all’inizio della sequenza. Mostro
il caso proposto nell’esempio qui sopra con l’imitazione posta in una qualsiasi delle tre voci superiori.
Esempio 13.17
Lo stesso modello si può assumere come riferimento per la realizzazione di tutte le sequenze imitate
derivate dalla sequenza in cui il basso scende di 5ª e sale di 4ª. Ecco i casi più comuni:
4
8
Esempio 13.18
Attenzione alla seguente versione della stessa sequenza imitata:
Esempio 13.19
L’imitazione deve essere disposta nella parte del soprano; la collocazione in altra parte procurerebbe
inevitabilmente l’errore di fioritura dell’unisono, come mostrato nell’esempio di seguito; ricordo che
l’errore di fioritura dell’unisono si ha quando una voce raggiunge l’unisono con un’altra voce per
grado congiunto e che è corretto invece uscire dall’unisono per grado congiunto. Tutto ciò è mostrato
nell’esempio che segue:
Esempio 13.20
La sequenza imitata seguente si basa sul modello di basso legato che scende di grado, sempre deri-
vata dalla sequenza in cui il basso scende di 5ª e sale di 4ª:
Esempio 13.21
N.B. Alcuni insegnanti correggono l’errore di ottave parallele a distanza che si crea nell’avvio della
sequenza appena mostrata; l’errore è esemplificato qui di seguito. Si tratta di eccesso di zelo, origi-
nato da un fraintendimento piuttosto grave: l’errore procurato dai movimenti paralleli di ottave,
quinte o unisoni ha un’origine unicamente contrappuntistica e riguarda l’immediata successione da
nota su nota di due parti; ottave, quinte o unisoni paralleli a distanza , in considerazione del movi-
mento delle parti all’interno degli accordi, rappresenta quindi un indebito trasferimento sul piano
dell’armonia di una regola che riguarda il contrappunto. Una regola del genere non era conosciuta
né, conseguentemente, rispettata dai musicisti del passato.
5
8
esempio 13.22
Anche la sequenza imitata qui sotto è derivata dal basso che scende di 5ª e sale di 4ª:
esempio 13.23
In tutte le sequenze imitate viste fin qui, l’imitazione si realizza replicando quel che fa il basso anche
in relazione al ruolo che la nota svolge nell’accordo (se il disegno è realizzato con la fondamentale
che scende di terza sulla 3ª dell’accordo successivo, si farà altrettanto con la voce superiore); ciò è possi-
bile perché il modello di sequenza è formato da accordi che scendono di 5ª l’uno sull’altro e sicché ogni
movimento è in pratica replica di quello precedente.
Quando il modello di sequenza è diverso da quello appena studiato, per realizzare l’imitazione con-
viene andare per tentativi ed errori, piuttosto che servirsi di scorciatoie scolastiche (“imita la 3ª…”)
che funzionano solo a volte.
Ecco ora alcuni modelli di sequenza imitata che si basano sul basso che sale di 4ª e scende di 3ª, sia
nella versione allo stato fondamentale che nella derivata; sono i casi più frequenti nei compiti di scuola.
esempio 13.24
esempio 13.25
6
8
CAPITOLO XIV
Armonia cromatica, enarmonia. Modulazione
1. Armonia cromatica, enarmonia
Aspetti generali
Si possono alterare cromaticamente una o più note di un accordo costruito su un qualsiasi grado della
scala; le alterazioni possono essere sia in senso ascendente, che discendente.
La nota alterata è “sensibilizzata”: deve risolvere nel senso dell'alterazione.
1.1. Alterazioni relative o reali
L'uso dell'alterazione può comportare la formazione di nuovi accordi, non possibili in un contesto
diatonico. Ecco un esempio:
E' impossibile costruire una triade diatonica con 3ª mag. e 5ª dim.
Esempio 14.1 usando i suoni diatonici delle nostre scale ; di conseguenza, l’ac-
cordo qui a fianco contiene un'alterazione reale.
Le alterazioni sono “reali” se attraverso di esse si ottengono accordi non riconducibili nella forma a
quelli classificati facendo riferimento alla scala diatonica (cfr. capitolo III); sono “relative” se l'ac-
cordo che si forma, pur non facendo parte degli accordi diatonici della tonalità in cui ci si trova, po-
trebbe appartenere a un'altra tonalità ed essere normalmente classificato:
1.2. Effetto modulante o non modulante
Esempio 14.2
Nell’esempio appena proposto si mostra che l'alterazione può essere usata per spingere con mag-
giore forza un accordo sul successivo senza uscire dalla tonalità in cui ci si trova; o che, al contrario,
si può impiegare per cambiare di tonalità. In alcuni casi la distanza tra i due casi è minima, tanto da
non poter individuare un tratto di confine definitivo tra i due (come nel caso di alcuni usi della “do-
minante applicata”). Qui di sopra il IV aumentato s’impiega prima dentro la tonalità di Do, come IV
aumentato, la seconda per modulare in Sol mag.
1.3. Alterazioni più comuni
Le alterazioni più frequenti si trovano all’interno di accordi che risolvono sulla dominante (funzione
di pre-dominante). Per questo sono usuali:
a. IV aumentato;
b. VI abbassato nel modo maggiore (il VI del modo minore non può essere alterato in
senso discendente, poiché ciò lo farebbe equivalere enarmonicamente al V);
c. II abbassato.
È piuttosto frequente, inoltre, l’uso della
d. triade aumentata.
7
8
1.3.a. IV aumentato del modo maggiore e minore.
1.3.a.1. 7ª di prima specie in primo rivolto (dominante della dominante). Il IV che sale al V si
armonizza con 56; si mantiene la stessa armonizzazione quando il IV è aumentato. L’accordo che si
forma, nel modo maggiore, è una 7ª di prima specie in primo rivolto; anche nel modo minore co-
struire più comunemente quest’accordo come una 7ª di prima specie, aumentato la 5ª dell’accordo
(il la nell’esempio in minore qui sotto è ♮). Tale accordo, sia nel maggiore come nel minore, spesso
viene definito nell’analisi come “dominante della dominante”.
Esempio 14.3
1.3.a.2. 7ª dim. sul IV aum. del modo minore e maggiore
N.B. La 7ª dim. sul IV aumentato è indicata con asterisco nell’esempio:
Esempio 14.4
minore maggiore
La 7ª dim. sul IV aum. del modo mag. si costruisce alterando la fondamentale dell’accordo (il re#
nell’esempio qui sopra); il re# risolve correttamente salendo di grado.
A volte anche nel modo maggiore si usa scrivere la 7ª dim. sul IV aumentato come accordo allo stato
fondamentale. Si tratta di una scrittura di comodo, che favorisce la lettura; scolasticamente è meglio
evitarla, poiché la 7ª risolve salendo per grado congiunto, contraddicendo il movimento normale
della dissonanza:
Esempio 14.5
1.3.b. Dominante applicata (o di passaggio, o transitoria); tonicizzazione
La descrizione degli usi più frequenti del IV aumentato del modo maggiore e minore ci ha mostrato
come il passaggio da un accordo all’altro della stessa tonalità possa essere effettuato transitando per
la dominante del secondo accordo (ricordo che la 7a dim. fa parte del gruppo della dominante): è una
tecnica che si può impiegare in qualsiasi passaggio tra due accordi della stessa tonalità. In questo
consiste la cosiddetta “dominante applicata” (uso la locuzione oggi più di moda, traduzione dell’ori-
ginale inglese “applied dominant”); equivale a “dominante di passaggio” o “dominante transitoria”,
comuni fino a qualche tempo fa. Quello della dominante applicata è uno dei casi più frequenti di alte-
razione transitoria all’interno di una tonalità. Nell’esempio seguente lo stesso passaggio è prima pre-
sentato nella sua versione diatonica, quindi con l’uso delle dominanti applicate.
8
8
Esempio 14.5
La dominante applicata dà luogo alla “tonicizzazione”; con questo termine (italianizzazione dell’in-
glese “tonicization”) si intende dire che l’accordo raggiunto dalla sua dominante, quand’anche ci si
trovi in un’altra tonalità, viene momentaneamente sentito come tonica. La tonicizzazione quindi con-
siste nella presentazione di una tonica momentanea che non viene confermata. La tonica momenta-
nea può anche essere elusa, come avviene nel secondo caso di quelli presentati nell’esempio che se-
gue (in entrambi i casi la dominante applicata è indicata con asterisco):
Esempio 14.6
Il termine “tonicizzazione” oltre che essere brutto crea confusione e non tiene conto di quel che sente
l’orecchio: difficilmente una dominante applicata è in grado di far percepire come tonica l’accordo
che segue, a meno che non vi sia una realizzazione metrica che lo favorisca (valori lunghi dei momen-
tanei V e I, posizione del I sul battere), o una conferma di qualche tipo della nuova, momentanea
tonica; in questi casi, tuttavia, potrebbe essere opportuno parlare di modulazione transitoria. Direi
di prendere atto dell’esistenza del termine e di tener conto del suo significato nel caso si dovesse
incontrare; sia la definizione “dominante transitoria” che “dominante di passaggio” hanno una esten-
sione lessicale più morbida e, rispetto all’altra, guadagnano in buon senso.
1.3.c. VI abbassato del modo maggiore (spinge sul V):
Negli accordi costruiti che precedono la dominante (rivolto degli accordi costruiti sul IV e sul II), si
può alterare in senso discendente il VI della scala; l’alterazione discendente impegna la nota a
proseguire scendendo.
Esempio 14.7
1.3.d. Accordi di 6ª aumentata.
Gli accordi di 6ª aumentata si costruiscono sul VI del modo minore e sul VI abbassato del modo mag-
giore; nel maggiore e nel minore la 6ª aumentata si ottiene sovrapponendo al VI (VI abbassato del mag-
giore) il IV aumentato. Se ne classificano comunemente tre versioni:
sesta italiana #6 sesta francese #6 sesta tedesca #6
3 4 5 nel min./4# nel mag.
3 3
9
8
La 6ª tedesca si costruisce propriamente sul VI del modo min.; nel modo mag. si ottiene tramite enar-
monia: il re #, sovrapposto al la♭, forma un intervallo di 4ª più che aumentata, enarmonicamente
equivalente a una 5ª giusta.
6ª aumentata nel modo mag.
italiana francese tedesca
Esempio 14.8
6ª aumentata nel modo min.
italiana francese tedesca
Esempio 14.9
1.3.e. II abbassato: “6a napoletana”.
Il II abbassato, armonizzato come triade in primo rivolto (di qui il fatto che si chiama “6a” napole-
tana), mantiene la funzione propria del II, e risolve sulla dominante. Per ottenere lo stesso accordo
nel modo maggiore è necessario alterare in senso discendente, oltre il II, anche il IV:
Esempio 14.10
1.3.f. Triade aumentata
La triade aumentata si ottiene innalzando la 5ª di un accordo maggiore o abbassando la fondamentale
di un accordo minore. Quando musicalmente opportuno, è possibile usare un accordo di triade au-
mentata ovunque, nella scala mag. o min., si trovi una triade maggiore o minore.
Esempio 14.11
E’ opportuno ricordare che la triade aumentata non esiste come accordo diatonico; l’ipotesi di co-
struire sul III della scala minore “armonica” un accordo di triade aumentata è puramente accademica,
poiché la sensibile, come già spiegato, s’impiega correttamente solo all’interno di accordi di domi-
nante (quindi in cadenza, negli accordi costruiti sul V e sul VII). Come al solito, le eccezioni non fanno
regola, ma la confermano.
0
9
1.4. Enarmonia
Alcuni accordi alterati si prestano a interpretazioni enarmoniche che rendono possibili modulazioni
a tonalità anche assai distanti fra loro. Gli esempi più numerosi nella musica sono quello della sesta
aumentata “tedesca” e della settima diminuita.
1.4.a. Trasformazione enarmonica della 6ª tedesca in 7ª di dominante e viceversa
modo mag. modo min.
Esempio 14.12
VI(II) = V VI(IV) = V
N.B. Naturalmente la trasformazione enarmonica si può effettuare anche in senso inverso, trasfor-
mando la 7ª di dominante in 6ª aumentata, sia nel modo maggiore che in quello minore.
1.4.b. Trasformazione enarmonica della 7ª diminuita:
come mostra il seguente esempio, tre accordi di 7ª dim. esauriscono i dodici i suoni della scala croma-
tica; poiché ogni tonalità magg. e min. ha un accordo di 7ª dim. costruito sul VII della scala, tutti gli accordi
di 7ª dim. non sono che trasformazione enarmonica dei tre accordi riportati qui sotto:
Esempio 14.13
Ogni accordo di 7ª si può trasformare enarmonicamente in sei modi, eleggendo come suono fonda-
mentale della 7ª ciascuno dei quattro suoni di cui si costituisce l’accordo; alle quattro trasformazioni
che si ottengono in questo modo, se ne devono aggiungere altre due, considerando le tonalità enar-
moniche (ad esempio Fa# mag.-Sol♭mag.). Ecco dunque la trasformazione enarmonica del primo dei
tre accordi di 7ª dim. esemplificati sopra:
Esempio 14.14
1
9
2. Modulazione
Come accennato, l’introduzione delle alterazioni può servire a rinforzare i collegamenti all’interno di
una tonalità, come a uscire dalla stessa tonalità; in questo secondo caso avremo la modulazione. La
tonalità dipende dalla scala che la origina e su cui si basa; la forza dell’uso delle alterazioni è nella
loro implicita ambiguità: da un lato rinforzano le proiezioni accordali e i meccanismi tonali che ne
conseguono, dall’altro ne minano l’autorevolezza insidiando la chiarezza strutturale della scala dia-
tonica.
L’ambiguità del cromatismo di riflette nella difficoltà che spesso s’incontra quando si deve distin-
guere un semplice cromatismo da una modulazione transitoria o da una vera e propria modulazione.
Un confine determinato tra questi casi non esiste ed è rilevante, su tutti, l’aspetto metrico; ha una
certa importanza, inoltre, la scelta dell’interprete di enfatizzare un determinato passaggio all’interno
della musica in fase di esecuzione.
2.1. Aspetti generali
La modulazione consiste nel cambiamento di tonalità; una volta avvenuta, una nuova tonica sarà per-
cepita come luogo di proiezione delle melodie e delle armonie. Per “tonicizzazione” si intende la pre-
sentazione di una nuova tonica, che tuttavia ha durata inferiore a una frase o che non viene confer-
mata nella frase successiva.
Ipertesto 14.1, Unità formale e unità della forma
Fasi di esecuzione della modulazione (modello scolastico)
b) Stabilizzazione della tonalità; la stabilizzazione, che consiste nella proposizione di un giro
armonico concluso da cadenza, è necessaria affinché vi sia la percezione chiara di una to-
nica;
c) Modulazione secondo grado di affinità: consiste nell’uscita dalla tonalità in cui ci si trova
e la proiezione verso la nuova tonalità;
d) Conferma del tono raggiunto, ovvero stabilizzazione della nuova tonalità attraverso un giro
armonico concluso da cadenza.
Esecuzione di un compito di scuola
a. Stabilizzazione della tonalità: composizione di un giro armonico concluso da cadenza. Si
possono utilizzare le seguenti indicazione per fare i compiti di scuola:
• utilizzare il tempo due metà (come è nello stile prevalente del corale);
• percuotere entrambi i tempi della battuta cambiando accordo o rivolto dello stesso accordo;
il secondo rivolto della triade non si usa, se non nella cadenza finale perfetta composta
consonante.
• Iniziare collocando la tonica sul primo tempo della prima battuta.
• Sul primo o sul secondo tempo della terza battuta va collocata la dominante allo stato
fondamentale, per realizzare una cadenza tonale perfetta cadendo sulla tonica sul 1° tempo
della battuta successiva.
• Collegare la tonica iniziale con la dominante nella terza battuta seguendo lo schema delle
funzioni armoniche tonali (vedi tabella p. 17).
• Fino sulla dominante alla terza battuta, si dovrà preferire un movimento moderato della
parte del basso, che dovrà muoversi prevalentemente per grado congiunto o per piccoli salti;
a tal fine si potranno impiegare gli stati di rivolto degli accordi che sono stati scelti
precedentemente.
N.B. il secondo rivolto della triade non si usa. La 46 (quarta e sesta) si usa generalmente solo
sul V in cadenza composta consonante (cfr. capitolo sulle cadenze)
2
9
Esempio 14.15
2.2. Tecniche di modulazione
Le tecniche per modulare sono le seguenti:
• accordo in comune
• cromatismo
• enarmonia
• transizione / suono in comune
• modulazione in sequenza (progressione)
• modulazione per trasposizione o giustapposizione
Non esiste una tecnica migliore di un'altra; la tecnica impiegata può essere più o meno adeguata
all'effetto che si vuole raggiungere, considerando che la modulazione comporta un effetto di allonta-
namento/apertura. Se si vuol ottenere un effetto di spostamento violento, si dovranno scegliere to-
nalità distanti e si dovranno accostare senza tentare di avvicinarle. Al contrario, se si vuole ottenere
un effetto di momentanea proiezione al di fuori della tonalità in cui ci si trova, si dovrà optare per
una tecnica che renda il passaggio evidente, ma morbido.
Il passaggio da un tono all’altro può avvenire anche direttamente, per semplice giustapposizione
delle due tonalità; nei compiti di scuola in genere si cerca sempre di avvicinare le tonalità che si de-
vono collegare, quindi vengono preferite la tecnica dell’accordo in comune, del cromatismo o
dell’enarmonia.
Vediamo dunque alcuni esempi di modulazione comunemente accettati come compiti di scuola.
2.2.a. Tramite accordo in comune
Per accordo in comune si intende un accordo diatonico che appartiene a entrambi le tonalità che si
devono collegare, sebbene con funzioni tonali differenti. Nei casi di tonalità più distanti, si tratterà di
un accordo che appartiene a una tonalità intermedia tra le due tonalità che si devono collegare.
L'accordo di Do mag. ha funzione di tonica in Do mag., e di IV nella tonalità di Sol mag.; raggiunto
l’accordo di Do come I di Do mag., si prosegue considerandolo IV della tonalità di Sol:
Esempio 14.16
La tecnica dell’accordo in comune è efficace e largamente impiegata nella modulazione ai toni vicini;
ciò non toglie che possa essere efficace, a seconda dei contesti espressivi, anche per modulare ai toni
lontani. Nell’esempio che segue l’accordo di Do maggiore, tonica della tonalità iniziale, subito dopo
la stabilizzazione del tono è usato come V della nuova tonalità di Fa minore.
3
9
Esempio 14.17
La tecnica dell’accordo in comune può essere impiegata anche all’interno di percorsi più tortuosi,
immaginando tonalità transitorie che non vengono di fatto mai toccate: nell’esempio seguente questi
casi l'accordo di Fa mag., sul IV grado di Do mag., è considerato come V di Si♭ min, accordo che può
avvicinare efficacemente a diverse tonalità con i bemolli in chiave; per esempio Sol♭ mag. La tonalità
di Si♭ min. è quindi la tonalità virtuale, intermedia tra Do mag. e Sol♭ mag.; nell’eseguire il passaggio
da Do mag. a Sol♭ mag. non è necessario passare attraverso l’accordo di Si♭ Min.:
Esempio 14.18
2.2.b. Tramite cromatismo
Alterando cromaticamente e in modo opportuno un accordo collocato su un qualsiasi grado della
scala, è facile proiettarsi verso altre tonalità. Una tecnica utile per realizzare la modulazione di se-
condo grado di affinità (vedi oltre la modulazione secondo grado di affinità) consiste nel trasferirsi
su un accordo della tonalità iniziale che, alterato, possa essere interpretato come accordo di pre-
dominante della tonalità verso cui si deve andare; è particolarmente efficace alterare in senso discen-
dente la quinta di una triade minore, in modo da trasformarla in una triade diminuita o in un accordo
di 7ª di 3ª specie (semidiminuita); questo accordo quindi conterrà il VI naturale di una nuova tonalità
minore o il VI abbassato di una nuova tonalità maggiore. Nell’esempio che segue si è modulato da Do
mag. a Sol min, e da Do mag. a Re mag. nel modo descritto:
Esempio 14.19
Scivolamento cromatico (cromatismo esteso). L’uso del cromatismo come tecnica per modulare
è radicale nei casi in cui gli accordi vengono connessi per scivolamento cromatico, senza che tra essi
vi sia alcun tipo di relazione tonale; in questi casi, i movimenti per grado congiunto delle parti costi-
tuiscono la premessa indispensabile per un efficace accostamento delle armonie. Lo scivolamento
cromatico di fatto rende possibile collegare qualsiasi tonalità, anche le più distanti. La tecnica dello
scivolamento cromatico è più efficace (in genere suona meglio) quando l’accordo raggiunto è una
settima di dominante, o, comunque, un accordo dissonante con funzione di dominante; ciò, infatti,
consente un rapido recupero di coerenza dopo una situazione di potenziale caos tonale.
4
9
Esempio 14.20
N.B. Nelle successioni per scivolamento cromatico, gli accordi di 7ª si considerano come accordi cro-
matici; come abbiamo visto a proposito della trasformazione enarmonica della 7ª di dominante in 6ª
aumentata (o viceversa), la nota che in un accordo è dissonante, con tendenza a risolvere scendendo,
trasformata enarmonicamente diventa una nota aumentata e inverte la propria tendenza di movi-
mento. Sicché, in questa dimensione estesa del cromatismo, cade l'obbligo di risolvere le note come
dissonanze o secondo il senso dell’alterazione; resta altresì opportuno (ascoltando funziona meglio)
muovere le voci per grado congiunto.
In alcune modulazioni ai toni lontani è possibile il seguente passaggio, che con una certa fantasia a
volte si sente chiamare “formula del ventaglio”.
Esempio 14.21
ventaglio
˙ ˙ ˙ ˙
& ˙˙ ˙˙ ˙˙ ˙˙ ˙˙˙ ˙˙˙ www bbb ˙˙˙ ˙˙ ˙˙˙ b ˙˙˙ ˙˙˙ n ˙˙˙ www nnn
533
2.2.d. Modulazione per transizione
La modulazione tramite transizione consiste nel passaggio immediato da tonica a tonica; il presup-
posto è che tra i due accordi vi sia un suono in comune. In genere la transizione si fa da tonica mag-
? ˙ ˙ ˙ #˙ ˙ ˙ w ˙ ˙
*
b ˙ n ˙ nnn
*
bb ˙ ˙ w
giore a tonica maggiore, a distanza di 3ª mag. o min., sia superiore che inferiore. Nell’esempio, modu-
lazione da Do a La:
Esempio 14.22
˙ ˙˙˙ ˙˙ ˙ # ˙˙˙ #˙ ˙˙
& ˙˙˙ ˙˙˙ ˙˙ # ˙˙
Esempio 14.23 Do mag.
˙˙ # ˙˙ # ˙˙
Re mag.
# ˙˙
Mi mag.
˙ ˙ ˙
?˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ ˙ #˙ ˙ ˙ ˙ #˙
∑ ∑ ∑ ∑ ∑
558
5
9
&
Un esempio assai efficace e famoso ci viene da Wagner
Esempio 14.24, R. Wagner, Parisfal, Preludio [p. 7]
Troviamo una modulazione per trasposizione anche nel seguente minuetto di Mendelssohn:
Esempio 14.26, F. Mendelssohn B., Quartetto n. 3, Menuetto
La modulazione per giustapposizione è assai comune ed è il mezzo attraverso cui si imprime alla
composizione un cambio di rotta deciso e immediatamente percettibile. Nel primo tempo della So-
nata in Do mag. K 279 Mozart passa da Sol mag. a Sol min. per rendere chiaro il passaggio dall’espo-
sizione allo sviluppo:
6
9
Esempio 14.27, W.A. Mozart, Sonata in DO mag. K 279, primo movimento, Allegro
Ora possiamo tornare ai nostri compiti di scuola, descrivendo alcuni modi pratici per effettuare la
modulazione a seconda del grado di affinità.
2.3. Modulazione a seconda del grado di affinità; toni vicini/relativi, toni lontani
Il grado di affinità esprime il grado di distanza tra le tonalità; tale distanza aumenta man mano che
aumentano le alterazioni di differenza tra le due tonalità29: la distanza tra Do mag. e Sol mag., quindi,
è inferiore a quella tra Do mag. e La♭ min.
1° grado di affinità (toni vicini o relativi): fino a una alterazione di differenza
2° grado di affinità: due alterazioni di differenza
3° grado di affinità: tre alterazioni di differenza
4° grado di affinità: da quattro a sette alterazioni di differenza
La modulazione di 1° grado di affinità viene anche detta “ai toni vicini, o relativi”; tutti gli altri gradi
di affinità rappresentano modulazioni ai “toni lontani”.
2.3.a. Modulazione di 1° grado di affinità attraverso accordo in comune
L'accordo di tonica della tonalità iniziale è accordo anche della tonalità verso cui si deve andare; la
modulazione avviene all'interno dello stesso accordo di tonica, che viene interpretato con due fun-
zioni differenti, la prima relativa alla tonalità di partenza, la seconda relativa alla tonalità di arrivo.
Esempio 14.28
In pratica: finita la stabilizzazione della tonalità iniziale, dalla tonica ci si sposta
direttamente sulla 7a di dominante della nuova tonalità, allo stato di rivolto (sce-
gliendo quello che faccia muovere meno possibile il basso). Risolta la 7a di domi-
nante sulla tonica, si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità.
29 Il numero di alterazioni di distanza tra due tonalità viene calcolato algebricamente; tra Sol mag. e La mag. ci
sono due alterazioni di distanza, così come tra Sol mag. e Fa mag. (si deve prima togliere il diesis, quindi
aggiungere il bemolle).
7
9
2.3.b. Modulazione di 2° grado di affinità attraverso accordo in comune
In questo caso l'accordo in comune andrà cercato su un grado differente dalla tonica della tonalità
iniziale; quando le tonalità distano due alterazioni, ci sono sempre due accordi in comune; si deve
scegliere, dei due, l'accordo in comune che si usa più frequentemente nella tonalità di partenza. Se la
tonalità è minore, l'accordo in comune si deve cercare facendo riferimento alla scala naturale (tra Do
mag. e Sol min., gli accordi in comune sono Re min. e Fa mag.). Una volta raggiunto l'accordo in co-
mune, a questo verranno attribuite due funzioni, la prima relativa alla tonalità di partenza, la seconda
a quella verso cui si sta andando. Di lì si prosegue stabilizzando la stessa nuova tonalità.
Esempio 14.29.
In pratica: finita la stabilizzazione della tonalità iniziale, ci si sposta dalla tonica
sull'accordo in comune tra le due tonalità (scegliendo quello che si usa più nor-
malmente nella tonalità iniziale); di qui ci si sposta sul rivolto della 7a di domi-
nante della nuova tonalità che faccia muovere il basso meno possibile; infine,
risolta la 7a di dominante sulla tonica, si prosegue con la stabilizzazione della
nuova tonalità.
- Modulazione di 2° grado di affinità attraverso cromatismo
Nel paragrafo 2.2.b. più sopra è stato mostrato come gli accordi di triade diminuita e di 7a semidimi-
nuita ottenuti diminuendo la 5a di un accordo minore possano essere considerati come accordi di
pre-dominante di una nuova tonalità maggrado iore o minore.
2.3.c. Modulazione di 3° grado di affinità attraverso accordo in comune
Il caso più semplice è quello offerto dalle tonalità omologhe mag./min. e viceversa. L’accordo in co-
mune tra Do mag. e Do min. è quello di Sol mag., dominante di entrambe. Finita la stabilizzazione
della tonalità di partenza e raggiunta la dominante in comune, si proseguirà come se ci si trovasse
nella nuova tonalità:
Esempio 14.30
Negli altri casi di modulazione di 3° grado di affinità tramite accordo in comune, questo andrà cercato
facendo riferimento a una tonalità intermedia; dovendo andare da Do mag. verso Mi♭ mag., per esem-
pio, si potrà utilizzare la tonalità intermedia di Si♭ mag., facilmente raggiungibile da Do mag. attra-
verso l'accordo di Fa mag.:
Esempio 14.31
8
9
Modulazione di 3° grado di affinità attraverso enarmonia
N.B. Volendo evitare il passaggio per una tonalità intermedia nei compiti di scuola, anche per quel
che riguarda la modulazione di 3° grado di affinità conviene impiegare la tecnica della trasformazione
enarmonica; questa tecnica è descritta ed esemplificata di seguito, relativamente alla modulazione
di 4° grado di affinità.
2.3.d. Modulazione di 4° grado di affinità attraverso accordo in comune
Con il 4° grado di affinità diventa necessario in ogni caso servirsi di una tonalità intermedia. Conviene
impiegare un accordo maggiore collocato su un qualsiasi grado della tonalità in cui ci si trova e inter-
pretarlo come dominante di tonalità minore; facendo una cadenza evitata sul VI di questa tonalità
minore intermedia ci si avvicina alla tonalità da raggiungere.
Esempio: modulazione da Do a Re♭:
Esempio 14.32.
Modulazione di 4° grado di affinità attraverso scivolamento cromatico
Nel paragrafo 2.2.b. di questo capitolo è descritta in termini generali (ma facilmente applicabili al
caso in questione) la modulazione per scivolamento cromatico.
N.B. In pratica: terzo e quarto grado di affinità tramite enarmonia
L'enarmonia consiste nel chiamare con nome differente una o più note di cui si costituisce un ac-
cordo; il cambiamento di nome dà al suono una nuova funzione tonale, e ciò consente di considerare
l'accordo in cui si trova come appartenente a un'altra tonalità, più o meno distante da quella iniziale.
L'enarmonia si applica con ottimi risultati alla 6a aumentata tedesca e alla 7a diminuita.
a. Modulazione ai toni lontani tramite trasformazione enarmonica della 7a dim.
La trasformazione enarmonica è stata vista nel paragrafo dedicato all'armonia cromatica ed enarmo-
nica (vedi in particolare p. 83). Come già spiegato, esistono solamente tre insiemi di suoni che gene-
rano tutti gli accordi di 7a diminuita possibili:
Esempio 14.33
Va ricordato che la 7a diminuita si costruisce sul VII della scala min. cosiddetta armonica e sul VII
della scala mag. con il VI della scala abbassato; inoltre, come accordo cromatico, si costruisce sul IV
aumentato del modo mag. e min. (vedi sopra nel paragrafo sull'armonia cromatica).
In modulazione ai toni lontani, funziona meglio la 7a diminuita sul IV aumentato del modo mag. o
min.
Ecco come fare:
9
9
a. Stabilizzazione della tonalità iniziale
b. finito il giro armonico nella tonalità iniziale, si passa direttamente dalla to-
nica di questa tonalità sulla 7a diminuita costruita sul IV aumentato della nuova
tonalità; se nel passare da un accordo sull'altro dovessero esserci salti melodici
aumentati o diminuiti, la 7a diminuita verrà scritta in modo tale da evitare tali
salti; con note nere senza valore si indicherà la trasformazione enarmonica
della 7a diminuita. La 7a diminuita, in tempo tagliato, dovrà cadere sul secondo
tempo della battuta.
c. si risolve la 7a diminuita sul V della nuova tonalità armonizzato prima con 46,
quindi allo stato fondamentale (o come nell’esempio che segue).
Esempio 14.34
La trasformazione enarmonica non è sempre necessaria; ecco un esempio:
Esempio 14.35
b. Modulazione ai toni lontani tramite trasformazione enarmonica della 7a di dominante in 6a
aumentata “tedesca”.
La 6a aumentata, utilizzando le alterazioni in modo opportuno, si può trasformare enarmonicamente
in una 7a di dominante; si faccia attenzione alla differenza che c'è nella costruzione dell'accordo in
tonalità mag. e min. (l'esempio è fornito a p. 83).
La possibilità di trasformare enarmonicamente una 7a di dominante in 6a aumentata apre strade pro-
ficue per la modulazione ai toni lontani. Si consideri infatti che è possibile passare direttamente da
un accordo di tonica mag. o min. su una 7a di dominante costruita su uno dei sette gradi della scala
diatonica di quella stessa tonica; nel prossimo esempio si passa dalla tonica di Do mag. su una 7a di
dominante costruita allo stato fondamentale su ogni grado della scala di Do:
Esempio 15.14
00
1
Se il VI abbassato della tonalità maggiore verso cui dobbiamo modulare (ovvero il VI naturale della
tonalità minore verso cui dobbiamo modulare) coincide con uno dei sette gradi della scala diatonica
della tonalità in cui ci troviamo possiamo modulare usando questa tecnica, nelle seguenti fasi:
a. stabilizzazione della tonalità iniziale
b. dalla tonica della tonalità iniziale andare direttamente sulla 7a di dominante
costruita su quel grado della scala iniziale che coincide con il VI abbassato della
tonalità mag. verso cui dobbiamo andare (ovvero con il VI naturale della tonalità
min. verso cui dobbiamo modulare). La 7a di dominante sarà collocata sul se-
condo tempo di una battuta in tempo tagliato.
c. trasformare enarmonicamente la 7a di dominante nella sesta aumentata della
nuova tonalità (facendo attenzione alla differenza di scrittura dell'accordo nella
tonalità mag. e min.). La trasformazione enarmonica si effettua con note nere
senza valore.
d. si risolve la 6a aumentata sul V della nuova tonalità, effettuando una cadenza
perfetta composta consonante.
e. si prosegue con la stabilizzazione della nuova tonalità
Esempio: modulazione da Do a La♭ mag.:
Esempio 14.36
01
1
CAPITOLO XV
Tonalità e motivi, elementi di forma musicale
1. Tra regole e indicazioni di stile
Qualsiasi musica fatta per esprimere e comunicare scaturisce come fatto più o meno originale, sulla
base di usi sedimentati e condivisi. Tali usi riguardano la grammatica, il modo di procedere e di rea-
lizzare alcuni passaggi, lo stile di scrittura e di arrangiamento (per esempio contrappuntistico o ac-
cordale), il modello formale di riferimento, l’uso che si fa della musica e ancora molte altre cose. Al-
cuni usi hanno un valore normativo più stretto, altri, al contrario, restano piuttosto sullo sfondo,
come riferimenti generici; le condizioni più vincolanti sono quelle costituite dallo strato profondo
della grammatica e, all’estremo opposto, dai riferimenti di stile, che consentono di inquadrare d’ac-
chito la collocazione di genere di un certo prodotto, di capire a chi appartiene, di riferirlo a un certo
contesto culturale. I riferimenti di stile, nonostante abbiano una relativa volatilità, per chi fa musica
e chi la ascolta hanno importanza rilevante, perché aiutano a comprendere e anticipare i percorsi
della musica, perché consentono di apprezzare i tratti alternativi e il sorprendente; riguardo all’arte
le aspettative (con tutto quel che esse includono dal punto di vista degli oggetti prodotti, delle per-
sone che sono coinvolte dal momento della produzione a quello della fruizione, dal punto di vista dei
contesti e degli usi) costituiscono una base (in alcuni casi e a seconda dei punti di vista un ostacolo)
ineludibile del giudizio di gusto. Andare a Sanremo con una musica minimalista si può, ma si devono
contenere le speranze di essere presi sul serio; un po’ come all’opera prima della metà dell’Ottocento:
si sarebbe potuto evitare la cabaletta?
Lo stile si esprime in indicazioni, in tendenze più che attraverso regole; a meno di fatti specifici, le
indicazioni non hanno l’aspetto prescrittivo delle regole matematiche; funzionano piuttosto come
sintesi statistica di ciò che è comune nell’esperienza di un certo periodo, di un certo posto o di certi
autori. La domanda se venga prima il riferimento di stile o la sua applicazione riporta a quella più
famosa dell’uovo e della gallina: se i riferimenti sono espressione sintetica di quel che in genere si fa,
è chiaro che vengono dopo; ma è altrettanto chiaro che se mi chiamo Cimarosa e devo scrivere
un’opera seria le indicazioni di stile le ho già pronte nella mia mente e mi sono utilissime. L’equilibrio
si rompe se mi chiamo Beethoven, ho già scritto un po’ di musica nello stile del ‘700 e per una serie
di motivi voglio fare qualcosa di differente; le regole di stile che andavano bene prima ora non sono
più efficaci e se ne dovranno pian piano elaborare di nuove; cambiano i gusti, cambiano le indicazioni
che li sintetizzano. Un caso piuttosto complicato è quello in cui un’indicazione di stile è che si faccia
a meno per quanto possibile di indicazioni di stile: una situazione complicata nella quale pian piano
son sprofondati i musicisti (e gli artisti in genere) tra Otto e Novecento, con l’elezione dell’originalità
a condizione preliminare per l’elaborazione di un qualsiasi giudizio di gusto positivo. La situazione
s’è fatta poi drammatica quando si è deciso di fare a meno anche delle regole più profonde di gram-
matica, delle scale, della differenza tra consonanza e dissonanza: una vera battaglia a mosca cieca.
A volte non si considera con la dovuta attenzione il fatto che lungo il corso del tempo i riferimenti di
stile hanno guidato la mano dell’artista con maggiore o minore forza; in alcune epoche hanno assunto
l’aspetto di condizioni più che di orizzonti entro cui fare musica. Alla fine conta il dato di fatto: com-
porre un’opera nello stile di Paisiello è assai più semplice che farlo in quello di Puccini, perché i rife-
rimenti sono più stretti e i percorsi sono segnati con maggiore forza; anche scrivere una sinfonia
secondo le regole di stile del 1770 è assai più facile che farlo alla metà dell’Ottocento, quando si son
messe in discussione quelle stesse regole. Lo stile galante e quello classico sono stati caratterizzati
da indicazioni di stile efficaci, riconoscibili e forti che hanno comportato una evidente semplifica-
zione della composizione e che si tradusse, allora, in modelli riferiti ai differenti livelli del processo
compositivo: dal collegamento degli accordi (la regola dell’Ottava ne è la sintesi), alla condotta delle
parti (si veda il capitolo dedicato al contrappunto a due in questo testo), alla disposizione del per-
corso narrativo e delle parti di cui si costituisce. La consistenza dei riferimenti a procedure compo-
sitive di mestiere, la loro tendenza a tradursi in modelli ricorrenti e a consolidare i tratti caratteriz-
zanti dello stile, tutto ciò ha consentito lo sviluppo, nell’ambito della teoria musicale novecentesca,
di visioni sintetiche, in grado di ridurre il molteplice affiorante in superficie a principi unitari di
fondo.
02
1
Vale la pena di fare un esempio. Il confine tra regole di superficie e regole profonde, tra regole di
grammatica e regole di stile non è chiaro. Prendiamo come esempio il movimento conclusivo della
cadenza: io sarei per pensare che è una regola di grammatica il movimento della linea melodica verso
il I, preferibilmente per grado congiunto, alla fine di una melodia. In questo contesto il movimento
del basso che cade di quinta o sale di quarta sul I è un fatto di grammatica o di stile? Non si può fare
a meno di ricordare l’impegno che la teoria ha profuso dal Settecento a oggi per sviluppare un’idea
di linguaggio musicale tonale nella quale la relazione di quinta tra gli accordi è la premessa di qual-
siasi ulteriore discorso sulla grammatica - si potrebbe dire una premessa “naturale”, poiché tale re-
lazione conseguirebbe dalle stesse caratteristiche fisiche del suono, secondo l’impostazione organi-
cista della teoria di Schenker e Schönberg per esempio. Se andassimo tuttavia a ritroso nel tempo e
cercassimo di immaginare il modo di procedere nella composizione di un musicista fino alla metà del
Seicento, quella caduta di quinta non sarebbe una premessa, ma la semplice conseguenza, inevitabile
nel contrappunto a quattro o più voci, del movimento della clausola in cui le due voci guida vanno
dalla 6ª all’8ª (cfr. ipertesto 10.1). Sicché mi viene da pensare che la caduta di 5ª, più che rappresentare
un aspetto profondo e strutturale del linguaggio musicale, sia un fatto di stile, per quanto forte e
stabile, che riguarda la musica di alcuni secoli del nostro passato e, sebbene non così univocamente,
del nostro presente.
Il movimento cadenzale V-I, che rappresenta un modello comune e trasversale dello stile tonale, si
manifesta in superficie in differenti modi, aiutando a identificare tendenze ed evoluzioni; Nel Cin-
quecento, per esempio, era comune accompagnare la cadenza con la dissonanza in sincope 4-3; nello
stile di Mozart insieme alla stessa dissonanza si disporrà un trillo nella parte superiore per segnalare
le cadenze più importanti all’interno della forma musicale.
Insomma, regole di grammatica, fatti di stile, livello profondo e di superficie: la situazione è assai
complicata e non è il caso di andare oltre, considerati i fini di questo testo. Nella scuola tradizionale
- quella napoletana, innanzitutto - si risolvevano le cose con buon senso: gli esercizi servivano ad
acquisire i meccanismi più consolidati e stabilizzati nel tempo, mentre attraverso l’imitazione dei
modelli si acquisiva dimestichezza con stili e tendenze. È un’indicazione di buon senso che oggi più
che in passato conviene seguire.
Ipertesto 15.1, ”Fai come se…”: la musica e i contenuti extramusicali
Ipertesto 15.2, Tonalità: la via verso la semplificazione
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1
Esempio 15.1, M. Clementi, Sonata op 29 n. 3, Menuetto
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1
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Il minuetto di Clementi è nella tonalità di Do maggiore, come chiariscono l’assenza di alterazioni in
chiave e la cadenza conclusiva. Le figure ritmico melodiche di cui si costituisce la prima frase - qui
coincidono con quelle che scolasticamente si definiscono semifrasi – sono le seguenti:
esempio 15.2 a-b figura a. figura b.
.
La composizione del minuetto si basa sulla rielaborazione di queste due figure.
La forma, anche visivamente, è divisa in due parti, scandite dal segno di ritornello; la seconda di que-
ste parti è più estesa della prima.
Uso della tonalità
La prima parte (b. 1–10) del minuetto inizia in Do maggiore e termina in Sol maggiore. All’interno
di questa prima sezione distinguiamo due frasi.
Prima frase: va da b. 1 a b. 6 (ricordo che quando il tempo è in anacrusi la battuta numero 1 è la
prima completa), è tutta in Do maggiore e chiude con una cadenza sospesa sul V, accordo di Sol.
Seconda frase: prosegue dall’armonia di Sol, con cui finisce la prima frase, trattando Sol da subito
come nuova tonica.
Esempio 15.3 a-b
a. Prima frase in Do maggiore:
b. Seconda frase in Sol maggiore:
05
1
La prima parte del minuetto assolve a due funzioni dal punto di vista tonale:
• stabilizzazione della tonalità d’impianto, Do maggiore;
• uscita e stabilizzazione nuovo tono, con proiezione verso il V, Sol maggiore.
La lunghezza maggiore della prima frase rispetto alla seconda (6 battute a fronte di 4) è dovuta alla
sua funzione: Clementi ha ritenuto necessario rinforzare la stabilizzazione del tono iniziale ripetendo
la seconda semifrase (b. 5–6). Come accennato, e come comune nella letteratura musicale di questo
periodo, nella prima parte del Minuetto non esiste una vera e propria fase di modulazione da Do a Sol
mag., il passaggio è immediato e il V alla fine della prima frase diventa I all’inizio della seconda; nelle
musiche di maggiore estensione e soprattutto addentrandosi nel nuovo secolo l’uscita ha spesso
maggiore complessità e una sua autonomia a volte anche tematica all’interno della forma musicale.
La seconda parte (b. 11-36) si divide in due sezioni: la prima va da b. 11 a b. 22; la seconda da b.
23 alla fine.
Prima sezione: si articola in due sottosezioni: la prima a b. 11-17, la seconda a b. 18-22. La prima
sottosezione inizia con alcuni passaggi modulanti che possiamo definire “giro di toni” e che produ-
cono senso di smarrimento tonale: Do mag. b. 11-12; Fa mag. b. 13-14; Re min. b. 15-17. L’accordo di
Re min., su cui Clementi si sofferma maggiormente rispetto alle modulazioni precedenti, viene utiliz-
zato come accordo in comune per tornare alla tonalità iniziale; infatti, usato come II e transitando
per il IV aumentato (b. 17) proietta l’armonia sul pedale di dominante del tono di Do mag. (b. 18-22).
La prima sezione di questa seconda parte del minuetto si conclude con una fermata sul V del tono
d’impianto, al termine del pedale; si produce così una netta cesura prima di proseguire con la sezione
successiva.
Seconda sezione: sella seconda sezione della seconda parte del minuetto si ripete la prima sezione
della musica, con un diverso esito tonale tuttavia. Clementi mantiene il passaggio modulante a Sol
mag. (b. 29-30), ma lo trasporta immediatamente nel tono di Do (b. 31-32) per confermare il rientro
al tono d’impianto. Fa parte dello stile tonale classico il fatto che si inizi e finisca nello stello tono.
Nella seconda sezione quindi distinguiamo due funzioni sul piano della struttura tonale:
• giro di toni (zona di instabilità tonale), ovvero accostamento di modulazioni rapide in cui
il tono raggiunto non viene stabilizzato; riconduzione verso la tonalità d’impianto, qui rea-
lizzato attraverso il pedale e cesura;
• ricapitolazione (nei libri scolastici si parla di “ripresa”) nel tono d’impianto.
Ora che abbiamo individuato le complesse funzioni narrative che assolve questa seconda parte del
minuetto, sappiamo perché ha ampiezza maggiore rispetto alla prima.
Forma binaria o ternaria? Vale la pena di notare ancora un fatto rilevante e assai frequente nella
letteratura musicale classica; come abbiamo visto, la forma è articolata in due parti, la prima che
conduce l’armonia dalla tonica sul V, la seconda che riporta il V sul I. Tuttavia, al disotto di queste due
parti se ne trovano tre, poiché la ricapitolazione scandisce inequivocabilmente la seconda parte dal
punto di vista percettivo.
Uso dei motivi
La forma musicale prende corpo nella mente di chi ascolta grazie alla possibilità di stabilire una re-
lazione tra ciò che si sta ascoltando e ciò che si è ascoltato.
La forma viene articolata dai temi/motivi in due modi:
a. temi/motivi riconoscibili che tornano;
b. presentazione di temi/motivi contrastanti con quello o quelli ascoltati.
Due suggerimenti vengono dal buon senso: il primo è che dal momento che la mente ha possibilità di
contenere un numero limitato di immagini musicali, per favorire chi ascolta è bene evitare di pro-
durne in eccesso; il secondo, che il motivo (o il tema) iniziale ha un ruolo fondamentale, poiché tutto
quel che segue sarà confrontato con questo cogliendo, seppure inconsciamente, vicinanze e distanze.
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1
Per questo è bene che sia riconoscibile nella forma e nei contenuti espressivi e per questo veniva
considerato come tema principale dai musicisti di quel tempo.
Il minuetto di Clementi è un saggio di bravura su questo piano. Poco fa s’è detto che tutto il compo-
nimento si basa sulle due semifrasi riprese nell’esempio 15.2, e in effetti è così. Tuttavia gli adatta-
menti proposti da Clementi non sono casuali.
La testa del tema è assai riconoscibile, con la quartina discendente di sedicesimi:
Esempio 15.4
All’interno del minuetto si trova la stessa quartina e si trovano altre quartine, tutte trasformate nella
forma seguente:
Esempio 15.5
L’uso di quest’unica variante della quartina – tra b. 14 e b. 17 – rende immediatamente distinguibile
il ritorno della quartina nella forma originaria (b. 18). Riconoscere il ritorno del motivo iniziale di
una musica ha importanza nodale, perché il richiamo diventa per noi elemento di articolazione della
forma. E infatti, Clementi usa la quartina nella prima forma proprio per scandire la forma del Mi-
nuetto. Ecco come:
• nella prima sezione a b. 6, la troviamo trasportata in modo da produrre un’immediata modu-
lazione a Sol mag.;
• apre la seconda sezione (b. 11-13), alludendo a una ripresa che in realtà si manifesta come
avvio della fase di instabilità tonale;
• la troviamo due volte sul pedale di dominante (b. 18,20), trasportata all’acuto: l’effetto è di
perorazione e capiamo che a breve rientrerà la figura nella sua forma originale;
• a b. 22-23 avviene un fatto rilevante: la testa del tema ritorna nella sua forma originale e nella
tonalità iniziale per avviare una ripresa di tutto quel che abbiamo sentito nella prima parte
del minuetto: inizia da qui quella che in termini tecnici si chiama “ricapitolazione”.
• Dopo la ripresa a b. 28 di quel che c’era già stato nella prima parte della musica (modulazione
momentanea in Sol), a b. 30 la stessa figura ci conferma il rientro definitivo in Do mag.;
• a b. 32 lo troviamo per l’ultima volta, trasportato un’ottava sopra rispetto alla sua forma ori-
ginale: in questo modo produce l’effetto di rinforzare l’epilogo della musica.
Abbiamo così capito alcune cose fondamentali:
• Per scrivere un pezzo di musica non si deve continuamente inventare: è assai più importante
saper ripetere o variare, avendo chiaro il senso narrativo della forma, quindi a cosa servono
ripetizioni, variazioni, presentazioni di nuove figure/temi.
• L’uso di temi sufficientemente caratterizzati aiuta chi ascolta a farsi un’idea della forma.
• I temi definiscono la loro funzione narrativa combinandosi con la struttura tonale.
• Per questo, chi fa musica (come compositore o esecutore) deve essere attento all’uso dei temi
che si presentano, alle loro trasformazioni, alla collocazione tonale di ogni cosa.
Una sonatina
Facciamo un piccolo passo verso composizioni di maggiore estensione e complessità.
La prima sezione della Sonatina in Fa mag. op. 36 n. 4, ripresa qui sotto nell’esempio 15.6, è simile
alla prima sezione del minuetto che abbiamo visto. Sul piano della struttura tonale abbiamo lo stesso
spostamento dalla tonica sul V tonicizzato (difatti alla fine della prima sezione ci troviamo in Do
mag.). Analogamente a quanto accade nel minuetto, anche in questa prima parte della sonatina Cle-
menti mostra di conoscere l’argomento “economia dei mezzi”: il materiale tematico è fatto di poche
figure melodico ritmiche, che a volte, trasformate, assolvono a funzioni formali ed espressive diffe-
renti.
Concentriamoci sugli elementi più interessanti sul piano della forma.
07
1
La prima parte, quella dedicata all’esposizione del tema principale della composizione, occupa le
prime 12 b.. Alla prima frase, tutta appoggiata sul pedale di Fa, risponde la seconda frase che proietta
le armonie verso la cadenza sospesa sul V (b. 8); la terza frase ripete la prima. Ecco la prima cosa
nuova: questo tipo di ripetizione della frase assolve due funzioni opposte: la prima, di suggellare la
conclusione del primo tema; la seconda, di aprire alla prosecuzione; il ritorno della frase iniziale
serve a ripartire per andare altrove. Infatti a b. 13 si avvia una fase modulante (da b. 13 al battere di
b.18), stavolta tutta poggiata sul pedale di dominante (Sol) della tonalità che dobbiamo raggiungere
(Do mag.). In questo caso il pedale di viene concluso da una cadenza perfetta in Do (b. 17).
A b. 18 siamo quindi in Do mag.; rispetto al Minuetto che abbiamo visto c’è una novità: il tema propo-
sto non è semplicemente il trasporto di quello che avevamo sentito all’inizio, ma un vero e proprio
nuovo tema, che chiameremo “tema accessorio”. Il termine accessorio indica che il tema principale
della composizione resta il primo, e che questo è complementare a quello, in qualche modo ne integra
i valori espressivi nella prosecuzione del discorso.
A b. 28 termina il tema accessorio, con una cadenza perfetta in Do mag.; le due battute che seguono
servono a garantire l’arrivo nella nuova tonalità; queste due battute conclusive prendono il nome di
“coda”.
Esempio 15.6. M. Clementi, Sonatina op. 36, n. 4, primo movimento Con spirito
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1
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... ... ... ...giro di toni...
38
… prosegue
ricapitolazione
Riprendo gli elementi di un certo interesse che abbiamo notato e che tornano nella sonata, ovvero
nella versione estesa di questo stesso modello compositivo.
• nella sonata, chiusa l’esposizione del primo tema, spesso si riparte dallo stesso tema per av-
viare la fase di transizione che conduce al tema accessorio.
• l’uscita dal tono d’impianto, che in analisi si definisce "transizione", può avere una sua auto-
nomia formale. Nei libri di scuola, quando si descrive la sonata, si parla di “ponte modulante”;
il termine è accettabile, ma si deve tener conto del fatto che più spesso di quel che si creda
non si modula affatto in questa zona. A seconda delle intenzioni dell’autore, dell’estensione
della musica e della sua complessità, la transizione può avere una sua autonomia tematica;
nelle sonate di Beethoven spesso è così. Quando il compositore propone un tema nuovo nella
fase di transizione ci vuol dire che nella musica non contano solo i punti di partenza e di ar-
rivo, ma che spesso può avere importanza il senso dell’ “andare”; un po’come quando si cam-
mina. La transizione è una funzione trasversale, che s'incontra in diversi contesti formali as-
sumendo caratteristiche specifiche opportune; nella fuga, ad esempio, le parti di transizione
tra un soggetto e quello successivo si chiamano “divertimenti”.
• Al termine della prima parte della sonata, così come al termine della ricapitolazione, la stabi-
lizzazione della tonalità avviene ribadendo la cadenza conclusiva; questa parte prende il
nome di coda”; come per la transizione, anche la coda può avere autonomia tematica (nella
letteratura scolastica, quando si parla di “forma sonata”, si definisce questa parte conclusiva
della prima sezione del primo movimento “codette”; il plurale sta a significare che a volte
questa parte può avere una certa estensione e si può articolare al suo interno).
• Il discorso musicale può arricchirsi attraverso la proposizione d’idee tematiche diverse ri-
spetto alla prima; tali temi vengono chiamati “temi accessori” (nella trattatistica scolastica
quando si descrive la forma sonata si parla di “secondo tema” e di “elementi tematici” in cui
il secondo tema si articola). Nella sonata romantica motivi o temi dotati di caratteristiche
espressive rilevanti possono essere collocati all'interno di fasi di transizione o modulanti.
• La stabilizzazione della tonalità in conclusione di una musica o di una sua sezione importante
si chiama “coda”; come per la transizione, anche la coda può avere autonomia tematica (nella
letteratura scolastica, quando si parla di “forma sonata”, si definisce questa parte conclusiva
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1
della prima sezione del primo movimento “codette”; il plurale sta a significare che a volte
questa parte può avere una certa estensione e si può articolare al suo interno).
Qualche indicazione sulla forma sonata.
La sonata classica raggruppa gli elementi narrativi descritti in una forma simile a quella del primo
movimento di sonatina appena descritto. Ha caratteristiche complesse che scolasticamente si sinte-
tizzano attraverso la definizione “sonata bitematica, tripartita”; si tratterebbe quindi di una forma
basata sulle qualità espressive di due temi e articolata in tre parti. In questa forma la sonata è de-
scritta dai teorici già dai primi decenni dell’Ottocento; si può vedere per esempio Carl Czerny, School
of practical composition, volume I, pubblicato nel 1848.30 Il pianista e didatta austriaco pone la sonata
tra le forme più importanti del tempo, non solo perché la forma trova applicazioni simili nella sinfo-
nia, nella musica da camera e strumentale in genere, ma perché le sue caratteristiche ricorrono nelle
principali forme della musica strumentale.
La descrizione della sonata che troviamo nel trattato di Czerny ha fatto scuola ed è stata mantenuta
nella manualistica didattica fino a oggi. Va detto tuttavia che tale descrizione trova corrispondenze
significative soprattutto nella letteratura musicale del tempo di Mozart; già Beethoven ne mise in
discussione alcuni riferimenti rilevanti e più avanti, addentrandosi nel XIX secolo, il modello subì
adattamenti e trasformazioni importanti, anche sotto la pressione del processo di intellettualizza-
zione che investì il pensiero compositivo in quel tempo.
La sonata si era sviluppata lungo il corso del XVIII secolo nel segno della semplificazione e della con-
divisione; nel secolo successivo si esaurì sotto la spinta di una corrente contraria a questa, che la fece
diventare la forma musicale più complessa (anche complicata) nell’ambito del genere strumentale.
Tre furono, dal punto di vista tecnico, gli effetti più vistosi dell’aumento di complessità: il primo ebbe
luogo nell’ambito della tonalità, dove fu spezzato il legame strutturale dei toni relativi col guadagno
di spazio e attitudini funzionali da parte delle tonalità più distanti da quella d’impianto; il secondo fu
l’aumento di temi e motivi, disposti non più nei luoghi deputati della forma classica (tonica e domi-
nante/rel. mag.), ma nelle zone di transizione e di instabilità tonale; infine, la rinuncia al chiaro senso
delle articolazioni della forma. Un solo esempio: nel primo movimento del suo quartetto n. 3 in Mi
min. (1838), Mendelssohn fece a meno della grande cesura posta tra sviluppo e ricapitolazione e an-
ticipò la ripresa del primo tema sul pedale di dominante che in epoca classica era usato proprio per
chiudere la parte dello sviluppo.
Vale la pena di riprendere la descrizione della forma sonata di Carl Czerny; è una descrizione atten-
dibile, perché fu allievo di Beethoven e si formò nella Vienna dei primi anni dell’Ottocento, mentre
imperava il modello compositivo mozartiano; in più era un didatta e i suoi scritti sono volti a spiegare
quel che si fa nella pratica.
La forma sonata nella sintesi di Carl Czerny (op. cit., vol. I, p. 33)
La forma consiste di due parti, di cui la prima viene in genere ripetuta.
La prima parte comprende:
- Soggetto principale;
- La sua continuazione o amplificazione, insieme ala modulazione verso il tono relativo
più vicino;
- Il soggetto mediano nella nuova tonalità;
- Una nuova continuazione del soggetto mediano;
- Una melodia finale, dopo di che la prima parte chiude nella nuova tonalità
La seconda parte del primo movimento comincia con uno sviluppo del soggetto principale o del
soggetto mediano o anche di una nuova idea, passando attraverso diverse tonalità e tornando
30
Per Czerny la tripartizione della forma è implicita; di fatto continua a parlare di sonata bipartita.
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alla tonalità iniziale. Quindi segue il soggetto principale […] e si riprende interamente il sog-
getto mediano, ma nella tonalità inziale; dopo questo tutto ciò che seguiva il soggetto mediano
nella prima parte viene ripreso, ma nella tonalità d’impianto e così si arriva alla conclusione.
Nel presentarci la forma sonata, Czerny di fatto elenca una serie di funzioni compositive, che sono
comuni a molte delle forme del periodo classico romantico, anche se differenti dalla forma sonata.
Vale la pena confrontare la descrizione di Czerny con la letteratura sonatistica del periodo classico
per completare la definizione delle funzioni compositive indicate dal didatta austriaco.
a. Tema (soggetto nella descrizione di Czerny): è in una tonalità determinata, ha un’esten-
sione contenuta il cui confine è delimitato da una cadenza perfetta o sospesa; definisce il
carattere della musica anche nella relazione con gli eventuali altri temi.
b. Transizioni: sono fasi dinamicamente spinte in avanti; per ottenere questo fine, nelle tran-
sizioni si evita in genere l’uso delle cadenze (o sono spostate sul tempo debole della bat-
tuta); le transizioni possono anche essere modulanti, benché ciò non sia necessario. Si rea-
lizzano con passaggi tematicamente neutri, come scale o arpeggi o altri passaggi idiomatici
dello strumento; nelle sonate più complesse del periodo romantico le transizioni possono
avere autonomia tematica. La proiezione verso il tono che si deve raggiungere si può rinfor-
zare attraverso l’uso di un pedale di dominante della tonalità verso cui si va.
c. Coda: serve a chiudere una parte importante della composizione o l’intera composizione;
può avere una sua autonomia tematica nelle composizioni più complesse ed estese.
d. Giro di toni: è una fase interlocutoria di instabilità , che realizza una condizione di instabi-
lità tonale; nella sonata spesso in questa sezione vengono ripresi e “sviluppati” i temi ascol-
tati nell’esposizione; è anche possibile che in questa zona sia collocato un motivo tematico
autonomo.
e. Riconduzione e cesura: dopo una fase di instabilità tonale (si traduce in tensione, diso-
rientamento, servono a riportare al tono d’impianto, staccare da quanto si è appena ascol-
tato e preparare la ripresentazione del tema iniziale; a volte si realizzano attraverso un pe-
dale di dominante della tonalità verso cui si deve tornare; anticipano la ricapitolazione.
f. Ricapitolazione: consiste nella ripresa della prima sezione della musica nel tono d’im-
pianto.
Vorrei ancora mettere in rilevo un paio di cose che ci dice Czerny. La prima è che la forma viene
ancora indicata come “bipartita”; siamo alla metà dell’Ottocento, eppure si continua a descrivere la
sonata secondo la caratteristica formale essenziale e comune nel periodo barocco. Va aggiunto che,
pur descrivendo la sonata come articolata in due parti, Czerny allude a una tripartizione dal momento
che distingue nella seconda parte una prima sezione dedicata all’attraversamento di differenti tona-
lità (giro di toni) e una seconda sezione dedicata alla ricapitolazione. La seconda cosa da notare è che
Czerny preferisce il termine “soggetto” a “tema”, poi divenuto comune nei manuali scolastici; è una
fatto importante, che ci ricorda come la cosa principale della sonata sia il carattere espressivo dei
temi. Infine, non si deve dimenticare la natura narrativa, la dimensione di “racconto” della musica del
periodo classico e romantico; ridurre l’analisi musicale alla descrizione di fatti puramente tecnici (la
costruzione della frase, la trasformazione delle cellule, l’identificazione di una struttura tonale o di
quella profonda e via dicendo) si può, ma non si comprende il contenuto della musica e difficilmente
si diventa musicisti senza mettere in relazione tutto questo con contesti di senso pure immaginati in
una dimensione generica; perché questo è invece all’origine del processo creativo.
Una fuga
Vi sono distanze piuttosto notevoli tra le musiche che abbiamo visto e il procedimento impiegato
nella composizione di una fuga; ma le distanze non devono impedire di vedere le analogie che vi sono
rispetto agli strumenti di organizzazione della forma che abbiamo descritto fin qui. Nell’esempio che
segue riporto il Vivace dalla Sonata IV dell’op. 3 di Arcangelo Corelli; si tratta di una fuga, per come il
termine “fuga” viene impiegato tra gli ultimi decenni del ‘600 e la prima metà del ‘700, ovvero è una
composizione polifonica basata sul principio dell’imitazione. La fuga, nella definizione dei teorici del
‘600, è un tipo “regolare” di imitazione, nel quale la risposta si dispone a distanza di unisono, quarta
o quinta rispetto al soggetto, per conservarne le qualità strutturali. Sicché la fuga non è una forma,
ma un procedimento compositivo, quando si vuole parlare di fuga d’arte; altra cosa è quella di scuola
11
1
(ed è questa che in genere viene descritta come forma nei manuali scolastici, ma si tratta di una astra-
zione ottocentesca che pone parecchi ostacoli alla comprensione delle musiche reali).
Ecco in sintesi il piano seguito da Corelli:
4. Esposizione nel tono d’impianto, Si min. (prima parte della prima sezione; confrontando
questa musica con la sonatina di Clementi che abbiamo visto, l’esposizione prende il po-
sto del primo tema): le tre voci entrano su due soggetti (soggetto1: vl 1, basso a b. 5, vl 2
a b. 7; soggetto 2: vl 2 a b. 3, vl 1 a b. 9).
5. Uscita e stabilizzazione del tono relativo (Re mag.), b. 10-16. l’esposizione dei due sog-
getti prosegue con l’uscita dal tono d’impianto, che viene conclusa dalla prima cadenza
della fuga nel tono del relativo maggiore, ovvero Re.
6. Giro di toni; partendo con un’imitazione basata sul soggetto, si attraversano le tonalità
di Fa #min. e di Mi min. In questa parte della composizione Corelli usa materiale ritmico
melodico già impiegato precedentemente (anche lui conosce il concetto “economia di
mezzi”); si riconosce il controsoggetto, usato per intero (al basso, b. 19), o solo nella testa
(per esempio b. 22 e seguenti), e si riconosce il soggetto, ripercosso prima nel basso poi
nel vl 1 a b. 26-27 in Mi min.
7. Ripresa del soggetto nel tono d’impianto, a b. 30 nel basso, poi nel vl 2 a b. 31
8. Coda, b. 36-39.
Esempio 15.7, A. Corelli, Sonata IV, op. 3 n. 4, Vivace
6
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1
17
22
27
31
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Una piccola canzone in forma A-B-A
Gli strumenti per dare forma alla musica che sono stati descritti sopra sono una chiave di lettura utile
agile ed efficace per intendere la forma della musica in stile tonale. Come s’immagina, è una chiave
che pian piano si deve imparare a usare con elasticità; sarebbe inappropriato aprire una partitura di
stile tonale con l’intento di andare a rintracciare ognuno degli elementi descritti fin qui. In molti casi
alcuni di questi elementi possono mancare; in Volksliedchen, da Clavierstücke für die Jugend, Schu-
mann ha usato una forma ternaria, ABA, in cui la parte centrale, in Re mag., è semplicemente inter-
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posta a quella precedente e successiva, entrambe in Re min.; non esistono zone di transizione, di-
gressioni modulanti, riconduzione, coda. Il riferimento intuitivo è quello all’aria col da capo
dell’opera italiana del XVIII secolo.
Esempio 16.8, R. Schumann, Volksliedchen, da Clavierstücke für die Jugend
Infine, è da tenere in conto che quanto detto è utile a comprendere anche la musica moderna (la
musica da film, per esempio) di stile tonale o più genericamente modale; ed è utile per valutare e
comprendere meglio il valore innovativo di tanta musica attuale, costruita su loop (vale per tutti
come esempio La notte, bellissima canzone di Arisa).
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