PG 72956
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Title: L'onorevole
Language: Italian
ACHILLE BIZZONI
L’ONOREVOLE
VOLUME UNICO
MILANO
SOCIETÀ EDITRICE SONZOGNO
14 — Via Pasquirolo — 14
1896.
L’ONOREVOLE
CAPITOLO I.
Partenza!
Quasi tutta Miralto era accorsa alla stazione; fra gli intervenuti
molti elettori avversarî, adoratori del successo, passati per
la maggiore; pochi ritrosi eran rimasti alle loro case, sì che
all’entusiasmo dei vincitori si mischiava quello dei vinti... miracolo
non nuovo!
*
* *
— Chi ti accarezza più che non suole... con quel che segue, mormorò
la matura sottoprefettessa nell’orecchio del segretario di suo marito.
Troppe lacrime, per essere sincere.
CAPITOLO II.
Finalmente solo!
— Finalmente solo!
— Povera Adele!
— Finalmente solo!
*
* *
— Ah, li ha compiuti! Meno male! Ella mi leva una spina dal cuore.
Temevo fosse ineleggibile per l’età. Dopo nuova, lunga pausa il
sottoprefetto riprese di scatto:
lì tentatore non si diede per vinto, levò dalla tasca in petto del
burocratico palamidone un foglio che porse a Giuliano.
Giuliano lesse:
«MIRALTO.
«_Ministro_ LA FOSSA.»
— Che vuol dire tutto ciò e come mai posso essere io gradito al
Governo, io, che pur astenendomi dalle lotte politiche, ho sempre
e notoriamente professate idee democratiche?... E come c’entra il
ministro d’agricoltura in materia di elezioni?
«Se rifiuta, è un disastro. Ove trovare altro candidato che possa avere
la minima probabilità di riuscita?
— E così?
— Rifiuta?
— E se non accetta?
*
* *
In quella stessa ora Giuliano mentiva, la prima volta, alla sua Adele.
Ben presto Adele seppe la verità; non da Giuliano. Dalle amiche, dai
famigliari, chè tutta Miralto era tappezzata da manifesti raccomandanti
la candidatura di suo marito.
CAPITOLO III.
In viaggio.
Quell’incidente mutò corso alle idee tetre che gli avevano ingombrato
il cervello fin là. Sdrajandosi lungo il sedile fra gli scialli:
«_Roma_.
«GIULIANO.»
E si riavvoltolò fra gli scialli, per cadere in letargo, che non era
sonno, dormiveglia rassomigliante al sopore prodotto dall’_hascis_, una
specie di sonnambulismo, colla percezione vaga della realtà.
Preferiva farne colpa al caffè, per non convenire dello stato d’animo
suo, ingombro di incertezze e di tetri presentimenti.
Il telegramma soggiungeva:
Giuliano raggiò di gioja alla lettura, come se non avesse già prima
conosciuto, colle origini, il testo del dispaccio. Ma il giornale
avrebbe potuto rifiutarsi alla pubblicazione; ormai era impegnato
ed era da credere lo avrebbe sostenuto anche davanti la giunta delle
elezioni.
Il Tevere, Roma!
CAPITOLO IV.
Roma!!
— Dunque deputato tu pure, mio povero Giuliano? _Toi aussi dans cette
galère!_ E la tua Adele, il tuo piccino... e... e...
— Per tutti?
«Per altro, a te, felice, non consiglio tali rimedi eroici. Essi non
valgono che per noi, veterani di una generazione del sentimentalismo
morboso, figli di un secolo cominciato nel 1859, finito nel 1870.
I tuoi vent’anni in meno ti mettono a riparo dalle nostre peripezie
morali. Siete pratici voi; noi non siamo stati che dei sognatori.
Giovane, ricco, simpatico, munito, per di più, del titolo di conte, che
non guasta anche in piena democrazia, abbastanza spinto per difendersi
brillantemente in società, non abbastanza ingegno e carattere per osare
di spiccar solo il volo nelle alte sfere.
Il sottoprefetto trionfava.
Poveri provinciali, che cosa possono sapere essi, appena sbarcati nel
gran villaggio pomposamente intitolato la Città Eterna?
Inchinato dai due portieri sfolgoranti d’oro, da mezza dozzina di
fanciulli in berretto e giubba gallonati, l’onorevole conte Giuliano
Sicuri salì in carrozza gettando allo sbarbato cocchiere l’indirizzo
del giornale l’_Ordine_: Via del Bivio.
Una bazzecola! Se ne parlò per due giorni, poi le male lingue furono
messe al silenzio da una passeggiata in grande equipaggio, eseguita sul
Corso, nella evidente massima cordialità, della principessa col piccino
imprudente. Poverino! Il sangue non è acqua! Anch’egli aveva diritto
di essere molto perdonato per aver troppo amato... la contessa Silva,
che, generosa a sua volta, per l’intervento della questura, dovette
accontentarsi del pagamento, senz’altro, della lettera di cambio del
figlio col cambio delle lettere private della madre.
— Il signore, desidera?
— Oh! il conte Sicuri! Passi! passi! Son dolente che ella abbia dovuto
attendere.
— Stamattina.
— Oh, per ora, diecimila lire basteranno; per una elezione come quella
di Miralto non sono troppe. Tanto più che anche a noi, in Roma, la
lotta elettorale è costata assai; non tutti i nostri amici sono ricchi
e il Governo non contribuì nella dovuta misura.
*
* *
Per lui, il colpito, non una porta chiusa, non serrature abbastanza
resistenti: dagli sportelli delle banche agli uffici dei giudici
istruttori, ai gabinetti delle eccellenze d’ogni sorta e qualità,
fin nella coscienza dei giurati. Munito di non si sa qual talismano,
avrebbe fatto crollare le mura del più inaccessibile castello
incantato, come già seppe aprire breccie perfin nelle muraglie
dell’inviolabile Vaticano, il quale non sapendo sottrarsi ai di lui
ricatti, aveva finito per arrendersi, preferendo amico, possibilmente
strumento, un sì pericoloso avversario.
Un nemico odiato a morte, un uomo piccolo, come lui, che, come lui,
aveva esordito dalla carcere, per motivi non politici, s’intende, il
quale di venticinque anni più di lui attempato, e più di lui orientale,
era completamente riuscito. Vittorioso sempre, sterminatamente ricco,
potente senza vanità ed affettazione, eminenza grigia di tutti i
governi di Sinistra.
E poi, nelle ore tristi, quaudo la marea del disgusto gli saliva al
cervello, per la coscienza della propria abiezione, in presenza di
persone adorate, che avrebbe voluto mettere al livello morale di ogni
onesta famiglia borghese, lo invadeva un sentimento di invido furore,
nel vedere il nemico, l’odiato competitore, stimato e rispettato,
additato come esempio di patriotismo disinteressato o sapiente.
*
* *
— Sono un vecchio pazzo. Fortunati voi altri che non avete tante
fisime per la testa. Più pratici, valete meglio di noi, incontentabili
brontoloni... A proposito, sai che ora è? Le tre! Nientemeno. Tre ore a
tavola al mattino, non c’è male; io ti lascio... A domattina, adunque:
non dimenticare la colazione a Belvedere.
— Povero Ettore!
— Povera Stella!
*
* *
CAPITOLO VI.
Un racconto di Poe.
E Ruggeri impazziva.
Dopo quindici anni la piccola città aveva subìto ben pochi mutamenti:
le vie intatte; perfino i cartelli e le vetrine delle botteghe
immutati; non così gli abitanti, invecchiati o morti; i fanciulli erano
diventati uomini, i vecchî non erano più, sostituiti da altri, alla
partenza lasciati nel fiore dell’età.
L’amante, nella piena della gioja, non pensava quanto amaro doveva
essere il contrasto della propria felicità collo sconforto dell’amico.
Una esistenza che incominciava fra le più ridenti promesse; l’altra che
finiva nella solitudine, senza speranze, senza scopo.
— Sta bene! Almeno avrò un nipote, anzi due, perchè la tua sposa
necessariamente diverrà nipote mia il giorno del vostro matrimonio...
E mi darete presto dei bei nipotini. Avrò ancor io una famiglia nella
tua. Finirò per fissarmi a Miralto. Chi me l’avrebbe detto soltanto
jeri! Ed io, che meditavo un nuovo viaggio fra i miei buoni patagoni!
*
* *
La nuova nipote, Adele, divina nella sua bellezza bionda, dagli occhî
cupi, tutta previdenze e cortesie per lo zio nuovo, lo zio d’America,
di Patagonia, diceva essa adorabilmente gentile, andava man mano
presentandogli le amiche, che facevangli ressa intorno, per avere
particolari dei lunghi viaggi; domande ingenue o maliziose sui costumi
dei selvaggi, sui loro abbigliamenti, sui loro matrimonî. E risate
argentine che rallegravano l’aria, già sì lieta nella limpida serenità
primaverile.
— Appunto.
Ettore fece uno sforzo titanico per sembrar cortese e calmo, perchè si
sentiva impazzire... Un sogno! Un’allucinazione! Ada! Ada! Come l’aveva
conosciuta vent’anni prima. Ada morta da quindici anni, il cinque
dicembre 1873... Ada, la cui tomba aveva invano cercata al cimitero...
Non era rassomiglianza, identità.
— Mi ha detto l’Adele che lei è stato tanti anni fra i selvaggi. È vero?
— Tanti anni no, appena due. Fui assente alcuni anni dall’Italia; ma,
non sempre fra i selvaggi.
— E da Miralto?
— Che ci facevo? Non avevo più alcuno. Pochi amici, nessun parente.
Giuliano era un bambino...
— Tutti!
— Che ne dici, Ettore, della nostra festicciuola? Non sono le feste dei
saloni di Roma; ma il Ticino vale il Tevere.
— Trenta!
Ettore, ritornando al parapetto, nel punto più bujo per non essere
veduto, nè importunato, i gomiti appoggiati sul davanzale, stette
lungamente, lo sguardo perduto nell’oscurità.
— Quale rassomiglianza!
*
* *
Tale fede era piuttosto allo stato di superstizione, non mutando per
nulla le di lui convinzioni filosofiche e scientifiche. Un’aberrazione,
lo sapeva; pure, in tale aberrazione si cullava volontieri... Ed
ormai anche la giovinetta, convinta di aver ricordi d’oltre tomba,
rimembranze vaghe di una esistenza precedente, riamava il suo Ettore,
come se la morte non avesse interrotto il loro primo idillio; lo
riamava, come se egli non fosse invecchiato di quindici anni ed essa di
tanto non fosse ringiovanita.
Il sacrificio di entrambi.
CAPITOLO VII.
A Belvedere.
Chi sale la dolce erta di Monte Mario, il più elevato dei colli romani,
a mezzo del cammino per giungere alla chiesa, dalla pietà di un De
Rossi eretta alla Madonna del Rosario, incontra un edificio a foggia di
chalet.
Roma, grande non solo per le glorie antiche, per ciò ch’è pur sempre.
Non la Roma villaggio, sede di una dinastia transitoria, di un governo
anomalo, la terza Roma ingombra delle rovine dello recenti crisi
edilizie e bancarie, rovine materiali, morali e politiche; la Roma
dei papi, capitale della cattolicità... immensa quasi quanto il mondo
civile.
Roma Cosmopolis!
«Quale il mito che sorgerà dalla crisi celeste sugli altari abbattuti?
«Perchè gli uomini sono così fatti: eternamente in rivolta, non sanno
vivere senza padroni in terra, senza miti nelle nuvole.
«La Chiesa non è più eterna di ogni altra instituzione umana; ma,
duttile, malleabile come cera, ha la facoltà di trasformarsi a seconda
delle esigenze dei tempi. L’avvenire è della democrazia; ebbene, la
Chiesa precede le rivoluzioni sociali e lancia il verbo socialista.
«Se gli enciclopedisti del secolo XVIII potessero far capolino dai loro
sepolcri, sarebbero ben poco lusingati dall’effetto della loro opera
demolitrice.
— Il palazzo Farnese?
— No. Più oltre. Si distingue appena, coperto in parte della mole del
Farnese; è il palazzo Spada.
«Sai come si chiama la strada che abbiamo percorsa per recarci qui
e rifaremo tra poco? _Via trionfale!_ niente meno! Quale irrisione!
Nell’abbandono in cui è lasciata, presto non sarà neppur più
fiancheggiata dai radi alberi, non mai sostituiti.
«Noi, giacobini per atavismo, non sappiamo far distinzione fra Stato e
Patria. Una confusione sacrilega fra Patria e Governo.
— E quale incoerenza fra ciò che ho fatto e ciò che dico? Roma cesserà
forse di essere la Roma vagheggiata da Garibaldi, solo perchè il
Parlamento federale risiederà nel palazzo della Signoria a Firenze,
invece che a Montecitorio? Roma, sede dei grandi controlli federali,
Consiglio di Stato, Corte dei conti, Cassazione, sarà meno italiana?
L’Università romana sarà meno frequentata, ed il potere civile sarà
meno forte, non avendo più inciampi di ibride concessioni, come le
guarentigie, contratto unilaterale, disconosciuto dal papato; ma legge
per noi, che, volendolo imporre, ce lo siamo imposto? Sarà meno fervido
il senso di orgoglio e di affetto dell’intiera Italia per la grande
madre comune, solo perchè in Roma avremo ventimila burocratici di
meno, ed i vescovi di Roma non avranno più il pretesto di atteggiarsi a
prigionieri?
«Nuova York è menomata nella sua influenza nel nord degli Stati Uniti,
perchè il Parlamento e gli uffici risiedono a Washington?
«Tutto il mondo civile sfila per Roma: chi s’accorge del Quirinale? Il
grande zimbello è il cupolone di San Pietro, lo spegnitojo, e in fin
d’anno il papa ha benedetto più visitatori, che non abbiano passato in
rassegna soldati i monarchi della triplice alleanza. Togli il papa, e
dopo tante liquidazioni possiamo chiudere la bottega d’antiquarî che
c’è rimasta.
— Tu scherzi, Ruggeri...
«Credilo a me: due sovrani in Roma sono come due galli in un pollajo.
Uno, per lo meno, è di troppo. Come puoi credere durevole la biarchìa
giapponese in Roma, se anche nel Giappone ha messo capo alla guerra
civile ed alla rivoluzione?
«Malaria!
«Ed ora che, come era mio dovere, ti ho presentato alla vecchia nonna,
della quale sei e sarai ospite nella qualità di legislatore, scendiamo
per la via Trionfale e passiamo il Tevere. Più copioso d’acque del
Rubicone; ma, d’acque torbide; torbide come le due politiche delle due
Corti, nel torbido pescatori tutti, più o meno.
«Vi si fa della politica per dodici ore filate, dal tocco alla una dopo
mezzanotte. È il caravanserraglio di Roma giornalistica, parlamentare e
burocratica.
Giuliano sorrise.
— Sarebbe a dire? Che tu, mio povero Giuliano, in quella bolgia, mi fai
l’effetto d’un fanciullo caduto nella fossa dei leoni... Speriamo nel
miracolo di Daniele.
— Quali esagerazioni!
*
* *
CAPITOLO VIII.
Da Roma a Miralto.
È dei parlamentari come del vino: acquistano valore dal tempo, dal
numero delle legislature; la loro importanza è classificata dall’anno
della prima elezione, come il _cognac_ dagli anni di botte.
Per altro vi sono anche de’ giovani influenti ed ascoltati per il loro
ingegno e per la loro abilità nell’intrigo; ma, essi rappresentano, fra
i vecchi marescialli, gli ufficiali di stato maggiore, gli ajutanti
di campo; quelli della maggioranza, in attesa della promozione a
sottosegretarî di Stato; quelli delle opposizioni e sottocapigruppo,
spesso assai più prossimi dei loro avversarî ministeriali al bastone
di maresciallo, il portafogli. È facile a comprendersi; i primi, già
acquisiti al potere, del quale godono giornalmente i piccoli favori,
non occorre comprarli, dirò meglio, convertirli, coi favori grossi.
— Ah! siete là? Tanto meglio! Portatemi del caffè e del cognac.
«_Adele mia!_
Si rimise all’opera:
«_Mia cara Adele._»
Quando, una diversione inattesa mutò d’un tratto la corrente de’ suei
pensieri.
Fiore di spino:
Più furgida tu sei, più d’una stella,
Più candida tu sei d’un girsurmino...
e nel profondo silenzio notturno, l’eco luminosa dei taciti astri; alle
vibrazioni del canto romanesco sposavansi le vibrazioni di luce del
cielo stellato. Un bisbiglio di voci sommesse, il rumore di imposte
chiuse, i passi lenti de’ serenanti che s’allontanavano. Nel lontano,
come ultimo saluto, ancora una nota squillante del tenorino, una nota
prolungata d’addio, poi il silenzio.
*
* *
. . . . . . .
*
* *
Roma li....
«_Adele mia_,
«Non hai idea del tempo che si perde in questa Roma farraginosa...
Appena se jeri trovai modo di scrivere il telegramma, che avrai
ricevuto stamani. La mia giornata fu tutta assorbita da mille
faccende; ed a sera, rientrando, mi sentivo talmente affaticato che
non seppi rispondere alle tue care lettere, le quali mi attendevano
da parecchie ore, poste in evidenza dalla mano intelligente del
cameriere, sul tavolino, sovrapposte al plico della corrispondenza,
lettere, giornali che non ho peranco aperti.
«Ci ameremo ancor più! Tu, dolce, diletta suora di carità, sarai il
mio conforto nelle delusioni, che, pur troppo, prevedo grandi; mi
sarai consiglio.
«Tu vuoi saper tutto, non solo le mie azioni, le mie impressioni,
perfino i miei pensieri. Dalla buona volontà che metterò nel
soddisfare la tua legittima curiosità, dipenderanno, tu dici, le
tue decisioni future.
Per pudore, Giuliano, non aveva detto tutto alla sposa, alla nuova
alleata, come l’aveva chiamata. Costretto dalla riconoscenza, direi,
dalla complicità e dalla sua difficile situazione di contestato, a
servire un Governo che cominciava a disistimare, si sentiva menomato
nella propria stima, e preferì sorvolare.
Accorse Ruggeri.
— E di male non ve n’era infatti. Leggi ora che cosa stampa _Il
Ventriloquo_, il giornale tuo avversario...
«Leggi.
AMORE E POLITICA.
«Ma tu, che deputato sei? Non leggi i giornali del tuo collegio? Sì
dicendo, Ruggeri si alzò, e dal pacco di corrispondenze scelse un
giornale. Almeno il tuo l’avresti dovuto scorrere, e non ti sentivi
il coraggio di ingojarla tutta la prosa dei tuoi redattori?... Leggi
dunque: qui, in terza pagina.
QUESTIONE D’ONORE.
— Ed ora leggi, più sotto, le ultime righe dell’ultima colonna: lì, lì,
soggiunse Ruggeri, sotto al titolo _Comunicato_.
COMUNICATO.
«Riceviamo e di gran cuore pubblichiamo, rendendo omaggio alla
lealtà del nostro avversario:
— Vedi! vedi, qual uomo sei!? sclamò indispettito Ruggeri, che fra
l’altre aveva scoperta la lettera datata da Miralto, da Giuliano non
ancora aperta. Qui hai una lettera col timbro di Miralto, e non ti sei
neppure degnato di lacerarne la busta. Vedila subito; vi saranno altri
particolari.
«Un duello, e nessuno toglierà di testa alla gente che il Guglielmi sia
l’amante di tua moglie.
CAPITOLO IX.
Un dietroscena politico.
Qual vantaggio su Giuliano, che sarebbe giunto alle dieci del mattino?
«Il giorno? Quando verrà? Con questa maledetta nebbia sarà notte anche
a mezzodì.
— Sarò guardingo per non precipitare nel fossato... Per altro, come
imboccare lo stradone?
— Chi è là?
— L’onorevole Ruggeri?
— Avviamoci!
— Sta bene! disse Ettore un po’ contrariato, chè in cuor suo avrebbe
preferito l’altro albergo.
— Sicurissimo! Ne fui incaricato io. Con una notte simile sarebbe stata
imprudenza grave mandare l’omnibus od una carrozza qualunque. Chissà
quante disgrazie stanotte ai poveri carrettieri.
*
* *
Ma Ettore avrebbe voluto evitare quella locanda per altra più grave
ragione. Le finestre dell’albergo della _Croce di Malta_ prospettavano
l’appartamento abitato da Stella e dalla madre di lei, ed Ettore si era
proposto di non rivederla nel breve soggiorno a Miralto. Egli tentava
strapparsi dal cuore la fatale, insensata passione, da insuperabili
ostacoli inceppata. Egli invocava eroicamente l’oblio della giovinetta,
pur provando le più feroci torture della gelosia nella volontaria
lontananza da Miralto. In lui due esseri, due volontà, due desiderî
ardenti ed opposti. La ragione e la passione; ma, troppo spesso questa
aveva il sopravvento sull’altra; l’innamorato cedeva, si arrendeva.
Frattanto, colle sue guide, Ettore era giunto alla locanda ove, atteso,
trovò meglio di una buona camera, un’eccellente cena, servita da un
cameriere assonnato, ma premuroso per l’ospite illustre.
— Ah, onorevole, uno scandalo mai più veduto! Non si parla d’altro a
Miralto. L’autore dell’articolo, appena sconfessato dal signor Bertasi,
il nostro ex deputato, è scomparso, ed il signor Guglielmi, segretario
del sottoprefetto, ha presentato le dimissioni, perchè, dicono, avrebbe
saputo che l’avversario sparito è un agente della polizia, pagato
direttamente dallo stesso commendatore Cerasi. Non so quanto vi sia di
vero; ma lo dicono tutti.
— Sembra incredibile. Da chi l’avete voi saputo?
«Sono le cinque; fra due ore il giorno; chissà non ci si possa vedere
attraverso la nebbia maledetta!
— Il cuore deve averle detto ch’io son qui... a pochi passi da lei.
E tendeva ansioso l’orecchio nella illusione di una voce che lo
chiamasse.
Ettore, deluso, scese alla così detta sala di lettura, senza libri
e senza giornali, ove l’attendeva il sottoprefetto; in tutta la sua
babelica altezza, stava appoggiato al caminetto, nel quale avvampava
un incendio, riguardo speciale del cameriere _frondeur_ per la prima
autorità governativa di Miralto, odiata sì, ma servita con speciali
riguardi.
Ettore si sentì vinto dalla calma del suo interlocutore. Sorrise a sua
volta, e rimettendosi a sedere, soggiunse:
«Gli avversarî non hanno nulla di sacro; come mai il Governo, a sua
volta, potrebbe opporre armi cortesi agli agguati di ogni sorta e di
ogni momento?
«Le vittime siamo sempre noi funzionarî, capri espiatorî anche delle
colpe non nostre, ma del sistema. Havvi un solo governo che potrebbe
reggersi senza polizia segreta? senza agenti nei campi nemici?
— Spero non vorrà credere che io sia stato l’eccitatore della trista
polemica. Pur troppo gli arnesi dei quali qualche volta siamo costretti
a servirci, ci pigliano la mano. Ammonii spesso il Della Giovine
ad essere più misurato; egli si sentiva sospettato dai colleghi che
tradiva, e per dissipare i dubbî eccedeva in violenza. L’imbecille
attaccò anche il mio segretario, al quale, conosciuto l’autore
dell’articolo da noi deplorato, fu facile, negli uffici miei, per
le indiscrezioni di qualche altro impiegato, sapere ch’esso era
inscritto sul libro nero dei confidenti. Guglielmi, invece di chiedermi
consiglio, aggravò lo scandalo provocando la catastrofe. Fortunatamente
il male non viene tutto per nuocere. L’onorevole Sicuri può consolarsi,
pensando che il _Ventriloquo_, che gli diede tanto filo da torcere, ha
finalmente cessate le pubblicazioni.
«Ed io? Io, allo sbaraglio in ogni modo, colla spada di Damocle
sospesa sul mio capo, di un decreto che mi mandi a casa del diavolo
o in pensione. Per questo ultimo scandalo ormai sono incompatibile a
Miralto. Dopo tutto, ella vede che non merito il biasimo ch’ella voleva
infliggermi.
CAPITOLO X.
Eros.
Stella pure aveva letto nel cuore materno e per tentare di dissiparne
i sospetti simulava qualche volta allegrezze non sentite; ma se la
fanciulla sapeva tacere, non sapeva fingere. Se il nome di Ruggeri
veniva pronunziato davanti a lei, le vampe del rossore le salivano al
volto; guai se qualcuno si attentava di dirne meno che bene... La madre
le parlava spesso di matrimonio come di un’assoluta necessità.
— Tutti, o mia cara, dobbiamo morire, ed ogni cristiano, alla mia età,
deve essere preparato.
— Stella, non ridere così, mi fai paura. Sei impazzita? Per carità,
Stella... basta.
Il primo giorno che sedette a pranzo colla mamma, Stella con gravità
affettuosa la prevenne per l’avvenire.
*
* *
— Da chi aveva potuto sapere, Stella, il mio arrivo se non dalle voci
segrete del cuore? Misteri dell’amore, impenetrabili come i misteri
della vita. La ragione vi si perde. Ed io l’ho perduta, come la
volontà, come ogni energia!
— Si dimetterà poi. Se, come dice, l’accaduto è pretesto presso suo zio
per ritornare all’arte, di pretesti ne troverà sempre; ora non farebbe
che fomentare commenti e pettegolezzi su fatti che meglio è lasciar
morire nell’oblio.
«Se si trattasse soltanto del prestigio, così detto, del Governo e del
commendatore Cerasi, le direi d’accomodarsi; ma vi sono di mezzo amici
nostri, signore.
Le foglie ingiallite dei platani, dei faggi, dei larici giganti, dei
vetusti gelsi, nani grotteschi, delle quercie imponenti, illuminate
dai fulgidi raggi, tremolanti al soffio mite di una tramontana
purificatrice, avevano riflessi d’oro nel fondo azzurro, intraducibili
dal pennello del pittore, indescrivibili dalla penna del romanziere...
— Che farò di me, quando sarai partita? Qui, sola in questa triste
città, sarà la desolazione. Oh! i partenti non conoscono lo schianto di
coloro che restano!
— Stella, impazzisci!
— Forse...
— Il signor Ruggeri?
— Oh, signor Ettore! qual buon vento? chiese Adele accogliendo l’amico
col suo più bel sorriso biondo ed offrendogli entrambe le mani. È una
visita tanto più cara, quanto meno aspettata... E Giuliano?
— Stanotte.
— Per altro, la mia prima, la mia sola visita a Miralto fu per lei.
— Fosse vero!
— Più capriccioso che mai.... Ora dorme; fra un quarto d’ora andrò
a prenderlo, e vedrà, vedrà che amore. Tutto Giuliano; ma assai più
bello, disse con orgoglio, la giovine mamma.
— Anche noi abbiamo gli alberi sempre verdi, come loro nei dolci climi.
Vede? Il lauro s’è fatto rigoglioso quanto una quercia. Coi crisantemi
è il solo a protestare contro il triste inverno.
— Non per nulla l’alloro fu scelto per emblema della gloria, della
immortalità.
Ad un tratto, sovvenendosi:
*
* *
«Tu sei sublime nella tua innocenza della vita; sublime nella virtù del
sagrificio, nell’abbandono che fai di te stessa, della tua giovinezza,
del tuo avvenire. Ma posso, devo io accettarlo questo sagrificio?
Stella era sublime davvero nella sua pallida bellezza... Alle parole di
Ettore, con un sorriso etereo sulle labbra, andava scotendo la testina
gentile in atto di diniego...
— No, no, amico mio! Non è nulla. L’eccesso della felicità, l’emozione.
Il cuore ha palpitato troppo violentemente, e mi sentivo morire. Lo
sai, sono una povera inferma. Un bacio, ancora un bacio, prima che
giunga Adele... Poi chissà, i lunghi mesi di separazione... Un bacio,
ch’io faccia provvista di felicità per l’avvenire.
Ettore non rispose; assentì del capo, stringendo forte forte l’esile
braccio di Stella avvinghiato al suo. Stella, riavutasi dal passeggiero
malessere, era raggiante, sembrava ritornata ai giorni gaî della
fanciullezza, allorchè vispa, chiassosa, birichina, era tutta gioja e
sorriso.
L’amore di Stella, sopratutto mistico, non era per anco turbato dalle
febbri del desiderio. La certezza d’essere riamata le bastava. Il tempo
e la distanza non esistevano più.
Gli addìi erano «un arrivederci a ben presto, per non separarci mai!»
Come? Non lo sapeva, non curava saperlo; ne aveva la fede e le bastava.
CAPITOLO XI.
Nella bolgia.
Gli àuguri!
*
* *
Scesa la superba scalea del palazzo Braschi, sul cui pianerottolo era
avvenuta la conversazione, Ferretti e l’onorevole Sicuri si lasciarono,
dandosi ritrovo per il giorno seguente negli uffici di redazione
dell’_Ordine_... Ferretti, salito in carrozza, partì rapido, come
persona il cui tempo è prezioso; Giuliano riprese lentamente a piedi la
strada di Montecitorio, per Piazza Navona.
— Dimmi un po’, chi è quel deputato che sta leggendo là, all’estremità
della tavola?
— Bagarini?
«Non parlo del candidato, perchè è tuttavia allo stato di bruco, nelle
meravigliose metamorfosi parlamentari; mi occupo della crisalide,
uscita dal bozzolo elettorale, con tanta fatica, tanta cura e
sorprendente abilità tessile dal bruco tramato.
«Molti elettori rivedendo in Roma il deputato del loro cuore e del loro
collegio, non sanno riconoscerlo, tanto è trasformato; trasformazione,
la quale non può aver raffronto che in quella di certi cattivi mariti
latitanti dal tetto conjugale.
«Ha la mente foderata,» aveva detto di lui un collega, dopo una felice
replica al ministro dell’istruzione pubblica, il cui discorso non
avrebbe dovuto sentire, immerso come era stato, mentre il ministro
parlava, in una vivissima discussione archeologica col celebre medico
archeologo deputato Gloriosi.
— Perchè ridi?
«Ebbene, vedi quel deputato là, alto, snello, dal tipo distinto, dai
lineamenti fini, eleganti, dalla lunga chioma nera ricciuta, lo vedi
là, che sta osservando una carta geografica in rilievo, appesa alla
parete?
«L’ingenuo non pensava che le imposte dei ricchi sono i poveri che
le pagano. Non pensava che l’abolizione del lusso rappresenta la fame
degli operaî che ci vivono... Colpite la produzione, ed avrete rovinato
gli opificî, come l’imposta sulla proprietà fondiaria ha rovinata
l’industria agricola... Sempre i cenci che vanno alla cartiera! Lotta
di classe davvero; ma contro quella che si vorrebbe difendere!
Il deputato Lastri, ravvisatosi, tirò l’orologio dal taschino,
esclamando meravigliato:
— Verrò ancor io, chè anch’io sono fra i pochi ammessi all’onore dei
mercoledì e dei venerdì.
CAPITOLO XII.
Intrighi e amore.
L’oro usciva a fiotti dalle casse vaticanesche, che andavano man mano
riempiendosi di titoli, i quali franavano per la china del fallimento
nazionale colla violenza di una valanga alpina.
Gli uomini politici vecchi, sui quali era basata la di lei influenza
nelle sfere ufficiali, si spegnevano man mano, quindi il bisogno di
nuove reclute, uomini dell’avvenire. Essa aveva fede, ad onta delle
ultime prove disgraziate, nell’oculatezza di Ferretti, e questi,
giovando a sè stesso, avrebbe potuto, aumentando il patrimonio
dell’onorevole Sicuri, giovare alla di lui carriera politica. Per
accaparrarselo e mantenerselo fedele, la contessa aveva meditato un
piano che le sembrava dovesse essere infallibile.
*
* *
Un solo fanale era acceso, dei due simmetricamente eretti sui pilastri
del cancello d’ingresso; nessun lume splendeva dalle finestre, non
una carrozza stazionante nella strada e nel giardino che separava il
villino dalla via. Tutto era silenzio! Nel giardino, mal rischiarato
dall’unica fiamma del fanale, la penombra.
— Appunto!
In quel mentre dal tavolo dei giocatori, che fin là si eran passate
le carte silenziosi come automi, sorse un vero tumulto. La partita era
finita, evidentemente perduta da una parte per un grosso sproposito di
uno d’essi. Recriminazioni violente e clamorose del compagno perdente
che non sapeva rassegnarsi alla sconfitta.
— La scopa gliel’ha data lei... Del resto, come vincere? Non avevo
carte...
— Tre appena...
— Oh! e perchè?
— Si è messa in mente che a Roma l’avrei amata meno... Fisime di
fanciulla!
— I miei entusiasmi sono già un po’ sbolliti... Ma ormai devo dire come
Vittorio Emanuele: «Ci siamo, ci resteremo!» Se fosse da ricominciare,
ci penserei due volte... Troppe noje, troppi impegni, troppe
contrarietà...
— Farò attaccare.
— Oh, sarebbe lungo. E poi la tua gente deve essere a letto da due ore.
Manda a prendere una carrozzella alla stazione di Termini.
— Io non oso insistere. Il mio albergo è a due passi di qui... Farò una
passeggiata a piedi gradevolissima.
Intervenne la contessa:
*
* *
Fino a Piazza Termini non avevano scambiato che poche frasi. Giuliano
era commosso; quell’avventura impreveduta lo turbava. Un profumo
inebbriante si sprigionava dagli abiti della marchesa. L’alito caldo
della giovane signora sfiorava il viso di Giuliano, che sentiva
il sangue affluirgli al cervello... In Piazza Termini, poco lungi
dall’albergo, la corsa gli era sembrata troppo breve. Senza riflettere,
senza chiederne il permesso, abbassò il cristallo e gridò al cocchiere:
— Via di Ripetta!
— Dio mio! Dio mio! mormorò Giulia, rincantucciandosi nel fondo della
carrozza.
*
* *
— Che è avvenuto?
Non rispose, fece segno alla presenza del cameriere, e colla mimica
degli occhî fece comprendere che non avrebbe parlato davanti al
testimonio.
— Oh, signore, per me? È troppo... Non ho fatto che il mio dovere.
Giuliano pensava:
CAPITOLO XIII.
La seduta reale.
Dalle otto del mattino Roma, la Roma racchiusa nel circolo che ha per
centro, al palazzo Bonaparte, l’angolo del Corso e via del Plebiscito,
su cui prospetta l’antica fortezza di San Marco, altra terra irredenta;
per raggi, via Vittorio Emanuele, via Nazionale ed il Corso, presentava
animazione insolita.
Dall’alba gli stradini municipali avevano sparsa la inevitabile arena
gialla, dal palazzo del Quirinale, lungo la via omonima, la discesa
di Magnanapoli, il Corso, piazza Colonna, fino davanti l’ingresso di
Montecitorio.
L’arena gialla ha finito per essere emblema di festa. Nei tempi andati
si soleva spargere per le corse dei _barberi_, come per le solenni
apparizioni dei pontefici; ora, abolite le prime e rinchiusisi in
Vaticano i secondi, l’arena si profonde per le solennità politiche,
per le riviste militari, per gli ingressi ufficiali di principi, di
re, di imperatori, per il corso delle maschere, quelle del carnevale,
per il getto de’ _mazzettacci_, ai quali soltanto, ormai, il carnevale
del popolo è ridotto; per le periodiche messe funebri del Pantheon, per
la solennità inaugurale di ogni sessione parlamentare, per i funerali
ufficiali votati a spese dello Stato, del Comune o della Provincia, ad
alti personaggi. I buoni quiriti, alla visti dello strato giallognolo
d’arena, si schierano spontaneamente lungo i marciapiedi delle strade
insabbiate, come se ubbidissero ad una parola d’ordine, aspettando
rassegnati per lunghe ore la rappresentazione dello spettacolo
gratuito, qualunque sia per essere, funerale o trionfo imperiale, non
monta.
Per tale solennità, fino dal primo mattino le truppe sono schierate su
d’una fila sola lungo i marciapiedi del percorso reale, facendo siepe
alla folla curiosa che si addensa sempre più. La tramontana soffia
tagliente, ma il buon popolo di Roma non ci abbada. Quante patriottiche
bronchiti domani; chi ci pensa? La curiosità, che perdè la madre del
genere umano, è la dote culminante dei quiriti, in fatto di _circenses_
di qualunque genere, punto degeneri dagli avi.
*
* *
— Stella?
Il re!
Non più tre, sei berline d’oro, ed altre carrozze. Modesti _landeaux_
moderni, vergognosi della loro borghese semplicità; si sarebbero
scambiati per vetture di rimessa dietro sontuosi carri funebri... Altra
stonatura! Nove berline sono molte, ma non sufficienti a contenere le
due case, civile e militare, al prestigio regio. Altre ne occorrono!
_Provideant consules!_
Che è? Pare che la scelta fatta dalla Corona dei nuovi legislatori
vitalizî non garbi; perchè fra i motti sarcastici si intendono degli
oh! oh! irriverenti per la maestà del luogo e la solennità della
cerimonia.
Giurano i deputati; ma Giuliano non vide altro, non udì il discorso del
re, letto con voce fioca, non notò la freddezza glaciale colla quale il
discorso fu accolto, non avvertì i mormorii disapprovatori, quando la
Corona alluse alla necessità di esser pronti a nuovi sagrificî.
— Finalmente mi riconoscete!
Poi con un sospiro, che voleva parere da burla, ma troppo ben imitato
per non essere a due terzi sincero:
— Il giorno, forse non lontano, nel quale i miei elettori non volessero
più sapere di me, finirei per fare anch’io l’anima vagante negli
ambulatorî... Montecitorio diventa una necessità, la deputazione una
seconda natura... Principessa, vede quell’onorevole là? Quell’ex? È...
E Lastri a soggiungere:
Era il tocco.
— Non è una ragione per non far colazione, soggiunse Lastri. Spero si
mangerà anche in Patagonia...
«Il peggiore degli esilî è quello dagli ambulatorî, per l’ex deputato,
inasprimento feroce, l’incuranza sdegnosa del competitore in carica.
CAPITOLO XIV.
Intermezzo.
Sono scorsi circa due mesi dalla convocazione della Camera, ma ben
poche le sedute importanti.
Il Governo fa circolare, per mezzo de’ suoi amici, le liste de’ suoi
candidati; le opposizioni contrappongono i proprî.
*
* *
*
* *
«GIULIANO.»
Con tutto ciò non ho descritto nulla, e nessuno de’ miei lettori, che
non abbia conosciuta personalmente la marchesa Giulia ed ammirata da
vicino, può farsene un concetto.
Il lettore chiederà come mai tale fiore di virtù siasi tanto facilmente
lasciato cogliere da Giuliano, senza contrasto, senza pure la parvenza
di un assedio regolare, senza pretendere all’onore delle armi.
In casa della zia si era tanto parlato del giovine protetto del
commendatore Cerasi! Da prima la curiosità.... poi... poi chi può dire
che cosa siasi agitato nella testina capricciosa di Giulia, nel di
lei cuore ancora sanguinante per la chiassosa sventura domestica che
l’aveva colpita?
Giulia, che con tanta impazienza aveva lacerata la busta della lettera
di Giuliano, non la lesse immediatamente. Ristette, quasi avesse voluto
assaporare lentamente, con delizia maggiore, il buongiorno dell’amico
lontano.
— Miserabile!
CAPITOLO XV.
La farmacia.
Tale discorso era tenuto a bassa voce fra Lastri ed Ettore, mentre un
crocchio di deputati in circolo lambiccava fra i motti di spirito, le
osservazioni argute, le dichiarazioni ciniche, le maldicenze spietate,
tutta la politica parlamentare.
La farmacia della Camera è ormai una istituzione quanto gli ufficî e le
commissioni. Sola differenza che alla farmacia tutti i deputati possono
essere ammessi e partecipare alle maldicenze senza bisogno di speciale
elezione, senza differenza di cariche. Per altro vi sono i maggiorenti
anche là, i quali tengono il mestolo o la corda; vi sono gli assidui,
anzi gli immancabili ed i dilettanti periodici; vi sono i membri
temporarî ed i _leaders_ di tutti i partiti, quantunque nella farmacia,
nella grande fratellanza della maldicenza, non vi siano partiti.
La risata fu unanime!
Ruggeri non resse più; era venuto per cercarvi Giuliano, irreperibile
al suo appartamento. Chè Giuliano l’aveva affittato, l’appartamento; ma
la contessa attendeva invano il richiamo del marito. Ettore, acceso un
sigaro, per ingannare l’impazienza che lo rodeva si mise a passeggiare
a passi rapidi il lungo ambulatorio del pian terreno.
— Appunto!
— Giovinotto di merito!
— Dei conti.
— S’intende.
— Ma, allora, a che cosa serve la Corte dei conti? replicò il novellino
imbarazzato.
— Aspetto Sicuri.
— Bisogna fermarlo.
— Come va, Ettore? Non ti si vede più. Bisognerà andare alla stazione
per cercarti... Fai sempre i tuoi viaggi in ispirito?
— Devo parlarti a lungo, Giuliano, gli disse Ettore con dolcezza, come
avrebbe fatto con un fanciullo che si vuole ammonire e persuadere ad un
tempo...
— Sia... Dimmi almeno di che cosa si tratta. Hai un’aria tanto solenne,
che mi impensierisci...
— Lettere da Miralto?
Giuliano impallidì.
— Ne’ suoi ultimi anni abitò qui il sublime bohème, ospite della
presidenza della Camera; aveva dato tutto, nulla serbando per sè,
gloriosamente povero come Cristo. La gloria, nè lui, nè Garibaldi non
la potevano dare perchè apparteneva alla storia; ora la si svaligia per
glorificare i viventi.
Giuliano tacque.
— Disgraziato! Non pensavi che quei danari sono sacri, che non sono
tuoi, che sono di tuo figlio, di quella povera donna, che, fidente in
te, nel tuo amore, ti darebbe la vita? Giuliano, quale demonio ti ha
invaso?
Intervenne Lastri:
— Un’ipoteca.
— È affar lungo...
— Un sequestro conservativo...
«Poi c’è quella zia! Un’intrigante per istinto; affarista per avarizia.
Si buccina abbia delle intelligenze con Ferretti; l’hanno visto spesso
uscire dal villino Marcellin all’Esquilino; ed un giornale d’affari e
di scandali, il _Boulevard_, stampò in proposito insinuazioni molto
trasparenti, passate quasi inavvertite, per il silenzio successivo.
Evidentemente, silenzio non del tutto gratuito.
— Oh, certamente!
— Io ne dubito...
Lastri ebbe ragione; alla sera il bel Giuliano brillò per l’assenza, e
i due amici lo aspettarono inutilmente.
CAPITOLO XVI.
Delusioni. — Tristezze.
Anch’essa, Giulia, quando l’amante non era là, dinanzi a’ suoi occhî,
fra le sue braccia, era infelice.
E poi?
E poi?
Il suicidio? Facile scappatoja per chi non lascia affetti dietro di sè,
non ha doveri da compiere, il nome di un figlio da far rispettare.
E poi?
— Chè, un omnibus.
— Quanti?
— Quanto vuoi!
— Chiami banco?
— Sì!
— Mille?
— Mille!
— Parto!
Giuliano diè carte. Vinse, rivinse... Una serie di dodici colpi. Una
combinazione miracolosa al _baccara_, meno probabile di un terno al
lotto.
Il nome del deputato Sicuri non era stato stampato; per altro lo si
susurrava nei caffè, e lo si pronunziava ad alta voce nella farmacia
della Camera.
Adele impallidì. Che cosa mai poteva essere sopravvenuto? Perchè quel
mistero?
— Oh, dottore, non tema di parlare in presenza di Stella; è la mia
confidente. In ogni modo le ripeterei ciò ch’ella mi avrà detto. Per
essa non ho segreti.
«Da sei mesi tutto è mutato, ed io sento dovere, per l’affetto che ho
portato ai vostri genitori, per il bene che vi voglio, di intervenire.
— Tutto, figlia mia, perchè è necessario. Tutto ciò che so. Da giorni
avrei dovuto venire da te... Ma, la situazione non era come ora
allarmante, e poi io non sapevo del nuovo impiego della tua dote...
Perchè nascondermi la verità? L’Istituto Romano da tempo mi aveva
chiesto informazioni sulla condizione economica di tuo marito. Credendo
si trattasse dell’acquisto di qualche stabile, operazione mille volte
da me consigliata nel tuo interesse, le mandai eccellenti. Dissi la
verità... Ora, da Roma, mi si scrive... mi si scrive di consigliarti
a garantire la tua dote compromessa in operazioni di borsa, con una
ipoteca sugli stabili di tuo marito.
— Faccia ciò che crede nell’interesse del mio bimbo, signor dottore,
soggiunse la contessa, stringendo fra le braccia il piccino. Faccia
come vuole, e scriva lei; per carità, scriva a Giuliano di ritornare...
subito. Eravamo tanto felici! Troppo felici! Dio ci ha puniti...
CAPITOLO XVII.
Il crack.
*
* *
In quella sera la farmacia della Camera era più popolata del consueto;
si vociferava d’una interpellanza presentata alla presidenza sulle
voci di gravi irregolarità nella gestione degli Istituti d’emissione,
tutti egualmente accusati. Le accuse sarebbero state documentate dalle
relazioni di un’inchiesta avvenuta qualche anno innanzi. Relazioni
soffocate nel silenzio dai diversi ministeri che si erano succeduti, al
silenzio interessati.
— Qualcuno, lo ammetto...
— Ebbene, che tanti uomini di Stato onesti abbiano taciuto per sì lungo
tempo, se i fatti fossero veri, se il documento esistesse?
— Che hai, Sicuri? Passi e non saluti. Cosa è avvenuto? Si direbbe che
sei malato.
«Bisogna riparare subito alle tue follìe, prima che scoppii lo scandalo.
Quale indegnità politica per ciò? Pure sarebbe stato messo a fascio
coi corrotti, coi venditori di voti, coi colpevoli di imbrogli, coi
miserabili che avevan fatto della deputazione un lucroso mestiere,
della politica una speculazione.
Ritirare le cambiali...
— Finiranno in galera.
— C’è del grosso... Burrasca. Nei corridoî e nelle sale non si parla
che dell’Istituto Romano... Noi uscieri dobbiamo sempre aver l’aria di
non comprendere.
— Bono! Centomila lire al mese. Non c’è male! Una bella lista civile!
Giuliano non resse più. Pagò lo scotto e se n’andò, non senza aver
attirata l’attenzione dell’usciere, il quale riconoscendolo allibì.
CAPITOLO XVIII.
Solo chi fu colpito dai più grandi dolori morali può farsi idea della
terribile notte passata da Giuliano.
Le notti romane sono brevi nel tepente mese di giugno. Quattro ore
dopo, i primi bagliori illuminavano la camera da letto di Giuliano,
contrastando sinistramente colle fiamme rossiccie delle candele
quasi intieramente consunte. L’alba radiosa è conforto ai disgraziati
afflitti d’insonnia; l’alba confortatrice per tutti, per lui, come per
il condannato a morte, sorgerà annunziatrice del supplizio.
— Male? Io, no... Sì, un po’... Portami del _cognac_... una tazza di
caffè... E presto, presto, i giornali!
Nella serenità del cielo, nei palpiti giulivi della terra, l’allegrezza
umana!...
*
* *
Ruggeri era ritornato da Miralto, ove era accorso per salvare l’amico,
e dove un triste dramma l’attendeva.
Ma, un mattino, con sorpresa, gli impiegati della stazione non videro
il ferroviomane...
— Sarà malato.
Ruggeri alle otto antimeridiane del giorno seguente saliva non senza
ripugnanza la magnifica scalea del ministero dell’Interno.
«Ho qui la nota dei personaggi politici che ebbero affari colla
Banca, e dei maggiormente compromessi. Mi fu consegnata, non dagli
impiegati dell’Istituto, ma dalla Banca concorrente, la quale esercita
attivissimo spionaggio negli uffici dell’istituto rivale.
«Il cuore me lo diceva! La mia teoria non falla... Quegli occhi blu
mi avevano messo in sull’avviso. Ma chi poteva prevedere? Io non
ero a Roma. Quel furfante di Ferretti, cui bisognò ricorrere per la
convalidazione, l’ha divorato, come il gatto un topolino.
«Noti poi che Ferretti non fece nulla presso la giunta delle
elezioni... Senza di me l’onorevole Sicuri non sarebbe stato
convalidato... Ho dovuto intendermi coll’avvocato del competitore
Bertasi, perchè mandasse i reclami degli elettori avversarî non
autenticati.
Uscendo, mormorò:
— Per poliziotto, non c’è male. È vero che ciò che voleva ottenere l’ha
ottenuto... Venire a Roma...
*
* *
— Lei vorrebbe?
— E perchè no!
— Non dico questo, per domani basta... Oggi mi recherei a Milano per
depositare alla Cassa di risparmio i miei titoli, la somma mancante
me la darà lei domani. Dopo domani a Roma ritirerò le cambiali e
noi diverremo creditori del conte e della contessa per la somma
corrispondente. Ella poi stipulerà il contratto in piena forma e noi
avremo fatto una buona azione senza il minimo sacrificio, senza il più
piccolo rischio.
— Bisogna che sia in regola; farò stendere la minuta dai miei commessi;
ritorni fra un’ora e sarà pronta.
Ettore respirò...
Ettore, al fioco chiarore dei ceri non distinse che l’eburneo pallore
del volto della defunta. Era stesa sul letto coperto di fiori, composta
a pace serena, sonno profondo senza sogni.
Quando Stella diede un primo segno di vita, un grido di gioja gli uscì
dal petto...
— È viva! È viva!
La più anziana delle suore, che con pietosa indulgenza erasi commossa
allo strazio di Ettore, senza aver diviso i suoi allarmi per un
semplice svenimento, gli si avvicinò dicendogli:
— Impossibile! sclamò Adele con energia che Ettore non avrebbe mai
supposto in quella soave e mite creatura. Impossibile! Il mio amore
offeso, il mio orgoglio calpestato potrebbero perdonare; non perdonerò
mai a Giuliano di aver spogliato suo figlio... che ormai è tutto il
mio amore, tutto il mio orgoglio. Compio con entusiasmo quest’ultimo
sagrificio che lei mi chiede, ma più nulla di comune io posso avere
con quel disgraziato, che abbandono al suo nuovo amore, al suo destino
senza rimpianto.
— Signora Adele, ella spera nel tempo per me e per Stella; lasci ch’io
speri nel tempo per lei e per Giuliano...
— E devo dirgli?
— Nulla!
— A quando i funerali?
— Me lo promette?
«Tra noi si frappone il veto della morta; la nostra unione non sarebbe
soltanto ridicola: sacrilega...
— Signor Ruggeri!
CAPITOLO XIX.
L’interpellanza.
Lastri non aveva che rispondere; pur troppo tutte le apparenze erano
contro il suo protetto... In quel momento di eccitamenti e di passione,
le difese eran fiato al vento.
— Perchè, soggiunse a voce alta, io sono venuto non per chiedere, bensì
per pagare... Se il governatore è occupato, conducetemi da un altro
impiegato.
Uscendo respirò...
Che anche gli ex ci siano nella nota del senatore Arisi? disse qualcuno.
— Suicidato?!
— La contessa Adele...
— Da chi? Da chi mai, se non da te? Per carità, corri alla banca a
chiarire l’equivoco. Tutti i sacrifici di Adele sarebbero inutili.
Settantacinquemila lire, capisci! Eccoti il biglietto di preavviso...
— Chi mai?...
— Oh!... sclamò. Quale umiliazione! Giulia! non può essere stata che
lei... Essa ne sapeva qualche cosa; me ne parlò, io negai recisamente.
Giulia! Ettore, Ettore, è troppo!
— No, te lo giuro!...
— Buon Ettore!
— Egli ama riamato e felice! Felice anche nel delitto, ch’è delitto
l’abbandono della famiglia; felice nella vergogna per le sue colpe...
Riamato e felice!... A me l’amore nella disperazione. A che giova la
mia virtù?
Un lungo sospiro...
— Sta bene! Ora vattene alla Camera, vacci a testa alta... Per oggi il
tuo onore è salvo; non contare mai più su di me. Che Dio, il destino,
ti ajutino... Il mio còmpito di bambinaja è finito!
Fissò in volto l’amico, collo sguardo cerulo, del color del mare,
direbbe il poeta, sguardo attonito e impaurito, come quello di un
piccolo eroe de’ racconti di fate, minacciato dell’abbandono della
provvida guida in oscura, paurosa foresta...
— È vero... Ancora un favore ti debbo chiedere, poi farò ciò che vorrai.
CAPITOLO XX.
La bufera.
Un mattino, Roma, attonita, vide sfilare per le sue vie un lungo corteo
di carrozze, guardate da un nugolo di guardie e carabinieri, dirette
alle carceri di oltre Tevere... a Regina Cœli... Direttore, cassiere,
alcuni impiegati, perfino l’elegante banchiere Michelini, alcuni
funzionari dello Stato componevano il triste convoglio... E la folla
crudele ad insultare gli arrestati, in attesa del turno dei ministri,
dei senatori, dei deputati ritenuti complici.
Spinto alla Camera dalla volontà di Ruggeri, alla quale non sapeva
resistere, sotto la rispettata protezione dell’onorevole Lastri,
occupava ogni giorno il proprio banco di deputato, nell’atteggiamento
di colpevole piuttosto che di innocente.
«_Giuliano_,
Gli articoli invocati del Codice penale erano il 168, il 63, il 171, il
172 ed il 204; ognuno dei quali comminava più anni di carcere.
Dei due afflitti, in quei momenti di ansia, sarebbe stata Giulia la più
infelice, non udendo mai il proprio nome pronunziato dal febbricitante,
il quale nel delirio non invocava che Adele; più infelice sarebbe
stata, se Ettore non avesse portato in cuore ben altro tormento.
L’ultimo addio a Stella era stato dato sulla bara della madre.
CAPITOLO XXI.
Cospirazioni.
*
* *
— Fu il deputato De Respi.
— Impossibile...
Giuliano soggiunse:
— Spero di sì!
Poi con amorevolezza che non si sarebbe potuta supporre nel ruvido,
vecchio parlamentare:
«Tu, ricco, sei stato rovinato e per poco non sei morto disonorato.
Ed ora che ti manca anche l’indipendenza, la felice indipendenza
dell’agiatezza, vorresti ricominciare?
«Deciditi... Al ritorno, la calma nelle gioje della casa, che colla tua
indole, col tuo carattere, non avresti mai dovuto abbandonare.
«La tua malattia ritardò la sua partenza per Parigi... Ora deve
inesorabilmente recarvisi, e tu non sei in istato di accompagnarla...
Durante l’assenza vi imbarcherete. Ne hai il coraggio, te lo senti?
*
* *
CAPITOLO XXII.
In mare!
— Il conte Sicuri?
— Non lo so, signora marchesa... Qui alla stazione non l’ho veduto.
— Il conte Sicuri?
— Il conte Sicuri, signora marchesa? Non lo sa? Non abita più qui.
— Partito!...
— Partito?
— Partito!
Con uno sforzo sovrumano tentò dominare l’emozione, per chiedere, per
informarsi, per sapere, sapere tutto; ma impossibile... Il portiere,
che sospettò la tempesta agitantesi nel cuore della signora, le offerse
una seggiola e la invitò a sedersi dietro il suo casotto vetrato,
affinchè i passanti non potessero vederla.
«GIULIA.»
— Non mi ha amata mai... Bastarono sei giorni... Che dico! due giorni
d’assenza, e mi fuggiva coll’inganno... La sua ultima lettera era tutta
amore. Presentimenti tristi... Ma quando si ama, chi non è turbato al
pensiero dell’avvenire? I presentimenti suoi erano menzogne... Partirò
per Miralto! L’ho a me richiamato una volta, perchè non ora?
— Un primo Napoli.
Dopo dieci minuti il treno partiva, troppo lento per Giulia, torturata
dagli spasimi dell’impazienza.
*
* *
*
* *
— Il conte Sicuri?
— È in casa...
— Inutile il nome. Dite che una signora l’attende per cosa urgente.
— Che m’importa? disse Giulia. Ti amo!... Non partirai. Non è vero che
non partirai?
— No! no, non partirò... A te, per te, con te, oggi e sempre!
Perdonami, ero tanto infelice!
— Sempre!
*
* *
Questi, rimettendosi:
Giuliano non rispose; non sapeva come avvertire l’amico della sua nuova
decisione... Stette titubante...
*
* *
Non osava aprirlo, il coraggio gli veniva meno. Aveva troppo sofferto,
troppo soffriva.
Ettore impazziva.
— È troppo! È troppo!
— Io morto, essa sarò sciolta da ogni voto; potrà ritornare alla vita,
essere forse felice.
*
* *
— Un uomo in mare!
Le imbarcazioni furono calate, per due ore una ricerca affannosa, senza
risultato.
Ettore non era più... Degna tomba l’oceano all’immensità del suo dolore.
*
* *
*
* *
Un poscritto diceva: «Le lettere alle fiamme; le care treccie della mia
Stella adorata, con me nelle profondità dell’Atlantico.»
Alla notizia del triste dramma il commendator Cerasi ebbe una lacrima.
Fenomeno incredibile di sensibilità nel lungo funzionario.
FINE.
INDICE
CAPITOLO
I. Partenza! _Pag._ 5
II. Finalmente solo! » 17
III. In viaggio » 29
IV. Roma! » 38
V. Il sottoprefetto Cerasi e l’amico Ferretti » 45
VI. Un racconto di Poe » 62
VII. A Belvedere » 74
VIII. Da Roma a Miralto » 90
IX. Un dietroscena politico » 112
X. Eros » 127
XI. Nella bolgia » 145
XII. Intrighi e amore » 160
XIII. La seduta reale » 179
XIV. Intermezzo » 195
XV. La farmacia » 210
XVI. Delusioni. — Tristezze » 223
XVII. Il crack » 237
XVIII. I due voti di Stella » 250
XIX. L’interpellanza » 273
XX. La bufera » 289
XXI. Cospirazioni » 300
XXII. In mare! » 308
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