ALFIERI

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ALFIERI: VITA

Alfieri nasce ad Asti il 16 gennaio del 1749, da una famiglia della ricca nobiltà terriera, rappresentando il
tipo di intellettuale che può dedicare tutto il suo otium alla letteratura. Di fatti, grazie alla sua indipendenza
economica era libero da ogni forma di subordinazione e schiavitù. Sin dagli anni dell’infanzia, si rivelò in lui
una una tendenza alla malinconia e alla solitudine, unita ad una forte caparbia che si manifestava in impeti
ribelli.

- Nel 1758 fu mandato a compiere gli studi presso la Reale Accademia di Torino, in cui convenivano
molti giovani della nobiltà piemontese. Criticò però quell’educazione che si ispirava a modelli
culturali del tutto antiquati.
- Iniziò il suo gran tourdal 1767 al 1772, visitando le città italiane, poi Parigi, l’Inghilterra e infine
l’Olanda. I viaggi di Alfieri però non rientravano nello spirito cosmopolita e illuministico, il giovane
infatti non si spostava per la curiosità di vedere e di conoscere o accumulare esperienze, ma come
spinto da una smania di movimento, da un’irrequietezza continua, inappagabile ed era
accompagnato da un senso di noia e di scontentezza. Queste non avevano una causa ben precisa,
ma si riesce già a delineare l’animo tormentato, proteso verso qualcosa di grande. Più tardi, infatti,
nella Vita, interpreterà questa scontentezza con il bisogno di trovare un fine sublime intorno al
quale ordinare tutta l’esistenza.

ESPERIENZA DELL’ASSOLUTISMO

Tali viaggi hanno permesso allo scrittore di accumulare una concreta esperienza delle condizioni politiche
e sociali dell’Europa contemporanea. Si tratta dell’Europa dell’assolutismo in cui la ribelle tirannide
monarchica provoca reazioni negative.Il contrario invece lo vediamo nelle città dove sono maggiori le
libertà civili come l’Inghilterra e l’Olanda. Ma ciò che lo affascina di più sono i paesaggi orridi, selvaggi e
maestosi come le selve della Scandinavia che con il loro silenzio gli ispirano idee grandiose, o i deserti
dell’Aragonna.

TORINO

L’insofferenza per ogni legame e gerarchia gli impedisce di svolgere attività politiche e militari. Conducendo
così una vita da giovin signore, chiuso in una solitudine che ingigantisce la sua inquietudine e sollecita un
oscuro bisogno di uscire da quella dissipazione. La sua depressione è alimentata dalla storia con la
marchesa Gabriella Turinetti di Priè, che dal giovane è vista come la causa di numerose angosce ma dai
quali non riesce a liberarsi.
L’unica attività a cui si dedica è la letteratura. Leggendo gli illuministi francesi, che stanno alla base della sua
cultura, darà fondamenti filosofici alla sua istintiva avversione antitirannica. Un momento essenziale è
stata la lettura di Plutarco, che aveva sollevato in lui un trasporto di grida e di furori precisando nel suo
animo l’oscura ansia di magnanima grandezza.

- Nel 1772 a Torino, fonda una sorta di società letteraria per cui scrive alcune cose facete miste di
filosofia e di impertinenza.

CONVERSIONE LETTERARIA

Nel 1774 Alfieri ha abbozzato una tragedia “Antonio e Cleopatra” , dimenticandola subito dopo. Quando il
manoscritto gli tornò in mano per caso, egli scoprì la somiglianza tra la relazione con la Turinetti e quella di
Antonio e Cleopatra , e si rende conto di come proiettare i suoi sentimenti nella poesia costituisca l’unico
mezzo per trovare un superamento ai propri tormenti. Dopo il grande successo della messa in scena della
commedia, una volta portata a termine, Alfieri scopre la sua vocazione come poeta tragico, scrivendo nello
stesso anno altre due tragedie. Data però l’insufficienza dei suoi primi studi, con caparbia si immerge nella
letteratura dei classici latini e italiani, per impadronirsi di un linguaggio adatto alle tragedie che intende
scrivere.

- Tra il 1776 e il 1780, soggiorna a lungo in Toscana, a Pisa,a Siena e a Firenze, conoscendo Louise
Stolberg, contessa di Albany, trovando in lei il degno d’amore che può dare equilibrio alla sua vita.
- Nel 1778, per spiemontizzarsi e per rompere ogni tipo di legame con il re di Sardegna che aveva un
controllo oppressivo nei confronti della nobiltà sabauda, rinunciò ai suoi beni in favore della sorella.

Una volta a Parigi, lo scoppio della rivoluzione, eccita il suo spirito antitirannico e lo induce e salutare con
un’ode la presa della Bastiglia. Ma presto, gli sviluppi del processo rivoluzionario provocano in lui disgusto,
poiché egli ritiene che dietro questa falsa libertà ci sia una nuova tirannide borghese.

- Nel 1772, dopo l’assalto alle Tuileries, si stabilì a Firenze in cui muore nel 1803.

L’INSOFFERENZA VERSO IL RAZIONALISMO SCIENTIFICO

Nonostante le basi della formazione di Alfieri siano prettamente illuministiche e sensistiche, il poeta prova
nei confronti della sua cultura una sorda, confusa insofferenza.

 Ripudia il culto della scienza che secondo lui soffoca la violenza emotiva e passionale in cui egli
ritiene che consista la vera essenza, e spegne anche il fervore dell’immaginazione da cui nasce
la poesia.

L’illuminismo nella forma della filosofia sensistica, aveva anch’esso rivalutato l’importanza del mondo
passionale, degli impulsi spontanei che l’eccesso di civilizzazione finisce per inaridire. Ma la filosofia dei
lumi mirava ad un equilibrio della vita passionale e affidava alla ragione la guida degli impulsi profondi.
Alfieri esalta in tutto contrario, la dismisura, la passionalità sfrenata, senza limiti.

Ancora una volta l’illuminismo sottoponeva a una critica implacabile e corrosiva, la religione tradizionale,
approdando determinate volte a decisione atee. Alfieri, pur non essendo un uomo di grande fede è mosso
da uno spirito religioso che3 si manifesta in una oscura tensione verso l’infinito. Dunque le scoperte
scientifiche viste come inizio di un radioso futuro di progresso per l’umanità gli è estraneo, egli ha piuttosto
il senso dell’ignoto, del mistero che avvolge le ragioni dell’essere, ponendo la sua visione sulla miseria e
l’impotenza umane.

IL RIFIUTO DEL PROGRESSO ECONOMICO E DEI LUMI

Tanto meno lo alletta il progresso economico. Nel suo aristocratico rifiuto dello spirito borghese teso
all’interesse materiale, egli vede solo una massa di gente arida, incapace di alti ideali e forti passioni. Resta
freddo così all’idea della diffusione dei lumi, per cui la trasformazione per lui può avvenire solo grazie alle
passioni e all’entusiasmo, i lumi non hanno altro effetto che raffreddare gli animi. È dunque ostile anche ad
altri temi illuministici:

- Al cosmopolitismo oppone lo sdegnoso isolamento della sua individualità, che si sente ovunque
stranera
- Al filantropismo oppone il culto di un’umanità eroica
INDIVIDUALISMO

Anche le idee politiche possiedono una matrice illuministica, ma anche in questo caso lo scrittore si stcca
nettamente dalla cultura dei lumi. Anche in questo caso la lettura dei philosophes, non ha altra funzione
che consentirgli di portare alla luce un groviglio di impulsi profondo. L’esasperato individualismo e
l’egocentrismo, lo inducono a scontrarsi con la situazione storica e politica in cui vive.

ODIO CONTRO LA TIRANNIDE E IL POTERE

Alfieri, vagando nei vari paesi europei, entra a contatto con il clima opprimente dell’assolutismo
monarchico. Nell’ancien regime si muovevano delle forze nuove, le forze borghesi armate dal loro
dinamismo economico e di una cultura lucida e moderna. Alfieri però nel suo aristocratico individualismo,
sprezzante nei confronti di una mentalità pratica, utilitaristica e razionale della borghesia e perso dietro
sogni di grandezza eroica, non può identificarsi in quelle forze.
Si trova dunque in urto, sia con l’assolutismo, sia con ciò che è destinato a sostituirlo, l’assetto borghese,
proviene proprio da qui uno spaesamento totale, ma che viene rovesciato dal giovane in segno di di una
condizione di spirituale superiorità.

Le posizione politiche di Alfieri hanno alla base un groppo di avversioni e reazioni emotive. L’odio contro la
tirannide, che è il centro della sua riflessione, non è la critica di una forma in particolare di governo, ma il
rifiuto del potere in se.

LA LIBERTA’ ASTRATTA

Anche il concetto di libertà che egli esalta contro la tirannide, non ha connotazioni politiche, economiche e
giuridiche , non prende corpo in progetto definito di Stato, ma resta astratto e indeterminato.
La riprova di questa astrattezza dell’ideale di libertà, che non coincide con nessun ordinamento politico,
sta nel fatto che il poeta si entusiasma per le rivoluzioni del suo tempo che distruggono il vecchio ordine
dispotico, ma appena esse si assestano in un nuovo ordine assume atteggiamenti disillusi. Per esempio, per
celebrare la rivoluzione americana, scrive 4 odi, ma quando si accorge che la spinta rivoluzionaria non
derivava da un amore purissimo e ideale per la libertà, ma da ragioni materiali e economiche , ripiega l’ode
entro più amare riflessioni.

TITANISMO E PESSIMISMO

Nel pensiero di Alfieri non si scontrano due concetti politici, tirannide e libertà, ma due entità mitiche e
fantastiche, proiezione di forze che nascono dall’interno di Alfieri stesso, da un lato l’affermazione dell’io,
dall’altro la percezione di forze oscure che si oppongono all’espansione dell’io. Già nelle opere politiche si
delinea il titanismo alferiano, un’ansia di infinita grandezza che si scontra con tutto ciò che la ostacola.
Nell’immagine di un io gigantesco che vuole spezzare ogni limite, si proietta la stessa condizione storica di
Alfieri: il suo conflitto con una realtà politica e sociale mediocre, l’estraneità al suo secolo, la malinconia e
la volontà tesa verso un ideale di grandezza eroica quasi sovrumana.

In effetti lo scontro titanico tra l’io e la realtà esterna, il rifiuto del reale e il rifugio di un mondo a parte
creato da un’esasperata soggettività, collocano Alfieri al di fuori della cultura razionalistica e sensistica
dell’Illuminismo, introducendolo nella stagione romantica.
In questa tensione dell’io è però implicita l’inevitabilità della sconfitta e l’impossibilità di affermare la
grandezza al di la di ogni limite. Il Tiranno infatti non è la trasfigurazione mitica di una condizione storica
oppressiva, ma anche la proiezione di un limite che Alfieri trova in se stesso e che rende impossibile la
grandezza: come tormenti e angosce.

Al sogno titanico si accompagna la consapevolezza pessimistica dell’effettiva miseria e insufficienza


umana. Titanismo e pessimismo non sono altro che due facce della stessa medaglia, infatti la tensione
esasperata della volontà oltre i limiti umani, si accompagna inevitabilmente con la coscienza della propria
impossibilità e genera un senso di sconfitta e di impotenza. Inoltre, la volontà dell’affermazione dell’io reca
in sé il senso di trasgressione, che si manifesta con un oscuro senso di colpa.

OPERE POLITICHE

DELLA TIRANNIDE

La prima opera politica di Alfieri è il breve trattato “Della Tirannide”, steso nel 1777 e tutto pervaso di un
fremente impeto passionale.
Inizialmente Alfieri si preoccupa di definire la tirannide , identificandola con ogni tipo di monarchia che
ponga il sovrano al di sopra delle leggi e conduce una critica veemente contro il dispotismo illuminato e
riformatore del 700:

- Le tirannidi moderate che velano la brutalità del potere, tendono ad addormentare i popoli,
dunque sono preferibili quelle estreme e oppressive che con i loro abusi suscitano il gesto eroico
dell’uomo libero, provocando l’insurrezione del popolo e la conseguente conquista della libertà.

Lo scrittore individua le basi su cui si appoggia il potere tirannico, individuandole:

- Neella nobiltà,
- nella casta militare che soffoca ogni tentativo di ribellione
- nella casta sacerdotale che educa a servire con cieca obbedienza

Analizza inoltre il comportamento dell’uomo libero di fronte alla tirannide che per non farsi contaminare
dalla servitù, si ritira dalla vita sociale, chiudendosi nella solitudine e ricorrendo al gesto eroico del suicidio.
Le due figure del tiranno e del liber uomo, sono simili in quanto tese all’affermazione assoluta della loro
individualità superiore, proprio per questo si può cogliere da parte di Alfieri,una segreta ammirazione nei
confronti del tiranno che viene ad incarnare l’affermazione di una volontà possente, assoluta e illimitata.
A modo suo dunque, anche il tiranno è un uomo libero in quanto non conosce vincoli.

Da un punto di vista politico, Della tirannide, rappresenta con la sua critica all’assolutismo illuminato e al
riformismo, con la sua violenta requisitoria contro la nobiltà, il clero e l’esercito, rappresenta il momento
più radicale e rivoluzionario della riflessione politica alfieriana. Nella dedica alla libertà, lo scrittore afferma
che abbandonerebbe la penna per la spada, cioè per l’azione diretta, ma è consapevole che i tristi tempi
negano ogni possibilità di azione.

IL PANEGIRICO DI PLINIO A TRAIANO E DELLA VIRTU’ SCONOSCIUTA

Nelle opere più tarde questo impeto rivoluzionario si affievolisce notevolmente. Nel Panegirico di Plinio a
Traiano, Alfieri vagheggia un principe che depone spontaneamente il potere, facendo dono della libertà ai
cittadini e guadagnandosi gloria eterna. Nel dialogo Della virtù sconosciuta sviluppa il tema della necessità
per l’uomo libero di ritirarsi in sdegnosa solitudine. Qui però, non vi sono più i tratti combattivi e infiammati
che caratterizzavano il tratto giovanile: l’eroismo è rinuncia, scelta volontaria dell’oscurità, non azione.
DEL PRINCIPE E DELLE LETTERE

I tre libri del principe e delle lettere, compiuti nel 1786 sono dediti ad esaminare il rapporto tra lo scrittore
e il potere assoluto.

- Nella Tirannide Alfieri celebrava la superiorità dell’agire sullo scrivere e presentava la letteratura
come ripiego, con un amaro rimpianto per l’azione impossibile, ora invece proclama la superiorità
assoluta dello scrivere su ogni altra forma di attività. Il poeta incarna l’ideale di un’assoluta
indipendenza, si sottrae ad ogni funzione sociale e si dedica solo alla poesia, che è la suprema
realizzazione dell’essenza umana.

Dunque solo nelle lettere si manifesta la dignità eroica dell’individuo. La poesia è superiore all’azione
perche “il dire altamente alte le cose, è un farle in gran parte”. L’idea del diretto impegno viene
abbandonata ed è sostituita dalla difesa di un atteggiamento puramente contemplativo. In questo modo,
Alfieri recupera il prototipo di intellettuale umanista che è separato dalla realtà e chiuso nella dimensione
esclusiva dello scrivere, nella quale trova piena realizzazione.
Il poeta, assegna in ogni caso, al letterato, una funzione di guida e di illuminazione, ma è una forma di
profezia destinata alle generazioni future.
La tendenza a rinchiudersi nella fede letteraria, è sottolineata anche dal regredire di alcuni temi che erano
frequenti in età giovanile.

- Nella Tirannide lo scrittore scagliava una violenta requisitoria contro l’aristocrazia e la casta
sacerdotale, viste come pilastri del dispotismo monarchico, ora invece esalta la superiorità dei
nobili, la cui missione è farsi promotori di libertà e inoltre rivaluta la religione come ispiratrice di
magnanimità e di alto sentire.

ALFIERI E LA RIVOLUZIONE FRANCESE: IL MISOGALLO

La rivoluzione francese è la causa della crisi ideologica di Alfieri. Nello scontro con la realtà, si
ridimensionano gli astratti entusiasmi giovanili, e vengono alla luce i tratti aristocratici del suo libertismo.

- In un primo tempo Alfieri guardava la rivoluzione come affermazione di libertà, ma dinanzi al


precisarsi di alcune rivendicazioni sociali ed economiche e del nuovo assetto politico, che doveva
fare i conti con la durezza della realtà, si chiude in un atteggiamento di acredine esasperata,
ritiene che i rivoluzionari borghesi contaminino con la loro avidità di ricchezze il purismo ideale di
libertà e che alla vera libertà, riservata a pochi spiriti privilegiati, ne sostituiscano una falsa , sotto
cui si cela una tirannide peggiore di quella monarchica.

Questa violenta reazione alle tendenze della storia contemporanea si manifesta in scritti come il
MISOGALLO che mescola insieme prosa e versi. Esprime un odio furibondo per la Francia che in realtà è
odio per la Rivoluzione , contro i principi illuministici e lo spirito borghese che essa sta diffondendo in
Europa. Alfieri addirittura difende i privilegi della casta nobiliare e respinge con sdegno ogni turbamento
dell’ordine sociale , riservando solo ai nobili il pieno godimento dei diritti politici e l’esercizio del potere,
giungendo alla conclusione che la tirannide monarchica era un male minore rispetto a quella plebea e
borghese.

L’odio contro la Francia lo porta però ad acuire il suo patriottismo, portandolo ad auspicare che proprio il
dominio politico e culturale di questa porti il popolo italiano ad assumere coscienza nazionale, a difendere
la propria individualità e la propria libertà, inducendolo a sperare che un giorno l’Italia risorga virtuosa,
magnanima, libera e una. L’opera dunque assume, oltre che ad un carattere polemico, anche un carattere
profetico, ed è proprio da quest’opera che inizia ad affermarsi l’idea di nazione, che in antitesi al
cosmopolitismo illuministico, sarà una delle componenti principali della visione romantica.

LA POESIA TRAGICA

LE RAGIONI DELLA SCELTA TRAGICA

Alfieri, nell’assiduo impegno della poesia tragica, trova la catarsi della sua oscura inquietudine, individua lo
scopo che può dare senso alla sua vita che ricordiamo essere protesa verso qualcosa di ignoto e per questa
dominata da un senso di vuoto e di scontentezza.
Poiché la tragedia rappresentava figure umane eroiche ed eccezionali in forme di vertiginosa sublimità,
sembrava il genere più adatto ad esprimere il titanismo alfieriano, la tensione verso una grandezza senza
limiti, inoltre nel costruire i suoi eroi il poeta dava sfogo alle sue aspirazioni proiettando in essi se
medesimo.

Il cimentarsi nel genere tragico, per Alfieri non era un segno di grandezza, in quanto la tragedia nella cultura
italiana non aveva raggiunto una realizzazione soddisfacente, si riteneva infatti che in Italia mancasse un
poeta tragico degno dell’altezza della tragedia francese.
Questa era considerata il genere più sublime e difficile che esigeva di un perfetto dominio degli strumenti
espressivi. Fu proprio da li che Alfieri colse l’occasione per affermarsi e per soddisfare il proprio ardente
bisogno di gloria.

LA STRUTTURA DELLA TRAGEDIA ALFERIANA

Essendo consapevole della sia originalità, Alfieri si colloca in una posizione polemica nei confronti della
grande tragedia classica francese, rimproverando ai tragici francesi:

- le eccessive lungaggini che rallentano l’azione raffreddando l’interesse,


- il patetismo sentimentale
- Gli artificiosi espedienti romanzeschi dell’intreccio
- L’andamento monotono dei versi alessandrini a rima baciata

Per lo scrittore, alla base dell’ispirazione poetica vi deve essere un veemente slancio passionale, un
contenuto sentimentale ardentemente vissuto. Il meccanismo tragico deve recare l’impronta di questo
calore che si manifesta nel dinamismo dell’azione, nella tensione incalzante che precipita verso la
catastrofe senza mai essere rallentata, che porterebbe a noia e freddezza. A tal fine, il congegno
drammatico deve bandire ogni elemento superfluo, in modo da costituire un tutto unico compatto
dall’inizio alla fine, questo lo si fa evitando personaggi secondari e concentrandosi su coloro su cui si crea
un conflitto tragico.

La rapidità incalzante della struttura si traduce anche nello stile, che deve essere rapido, essenziale ed
esprimere tutto il calore drammatico nel nucleo drammatico.

- Le battute sono brevi con abbondanza di parole monosillabiche

Per Alfieri lo stile tragico deve ben differenziarsi da quello lirico e da quello epico, questi tendono al canto
mentre la tragedia esprime conflitti fra individualità, idee e passioni, dunque non può cantare.
Alfieri per questo, mira ad uno stile diametralmente opposto a quello della tragedia francese, evitando la
cantilena che per lui è indizio di caduta di tensione passionale e di freddezza e puntando su uno stile duro,
aspro e antimusicale. Utilizza dunque:

- Le continue variazioni di ritmo, per cui mai due ver5si successivi possono presentarsi con gli stessi
accenti
- La continua presenza di pause e fratture
- Inversioni nella costruzione sintattica
- Enjambements

LA DISCIPLINA CLASSICA

La violenta carica passionale che costituisce il nucleo della tragedia alfieriana rimanda ad un ambito
culturale già romantico, ma il poeta non si esprime in forme irregolari, caotiche o indefinite.
Al contrario Alfieri mira a disciplinare quei contenuti in forme rigorosamente classiche, ossequiose verso
le norme acquisite dalla tradizione, e rispetta puntualmente le tre unità aristoteliche di tempo, luogo e
azione, le sue tragedie infatti non superano un arco di tempo di 24 ore, hanno un’azione unitaria costituita
attorno ad un unico nucleo drammatico.

Tutte queste regole però sono personalmente sentite dal poeta:

1) In primis quello di dare ordine e disciplina al suo mondo interiore tormentato e magmatico
2) L’unità rigorosa dell’azione e la brevità dell’arco temporale sono in armonia con la necessità di una
struttura tragica tesa, rapida e incalzante.

Nella Vita egli spiega che l’elaborazione di ogni tragedia si articola in 3 momenti: ideare, stendere e
verseggiare:

- Il primo consiste nell’ideare il soggetto della tragedia, nel distribuirlo in forma riassuntiva in atti e in
scene e nel fissare il numero dei personaggi
- La seconda nello scrivere i dialoghi in prosa, obbedendo all’impeto e senza selezionare i materiali
- Verseggiare infine significa stendere i dialoghi in versi ma anche selezionare con “riposato
intelletto” tutti quei materiali che in un primo tempo erano stati buttati giù con impeto.

Si deduce quindi che tutto quel contenuto magmatico deve disciplinarsi in una forma rigorosa. La tragedia
per il poeta non può nascere se non con quel bollore iniziare, ma al contempo non può esistere se non
trova la sua perfetta organizzazione formale.

Si può dunque dire che Alfieri da un lato è tributario di una tradizione platonica risalente a Platone, che
vede la creazione poetica come un fatto irrazionale, una sorta di invasamento di furore, dall’altro fa
riferimento alla tradizione aristotelica del classicismo che concepisce la poesia come controllo razionale
dell’ispirazione attraverso strumenti tecnici.

TESTO TRAGICO E RAPPRESENTAZIONE

La tensione incalzante della tragedia che non deve avere momenti di fiacchezza si può desumere come
Alfieri concepisse questi testi come testi drammatici da recitarsi dinanzi ad un uditorio. Li destinò a delle
rappresentazioni private, tra gruppi di amici aristocratici.

Questa scelta privata nasceva da un rifiuto sprezzante del teatro contemporaneo, ritenuto frivolo e
volgare, degli attori dell’epoca e del pubblico comune, considerato insensibile. Egli infatti scriveva tragedie
proprio anche per allontanare il pubblico borghese che affollava i teatri per assistere a commedie giocose e
serie. Questa degradazione del teatro egli la colloca con i presenti regimi tirannici: per lui un teatro degno
di questo nome può vivere solo in un regime libero, con un popolo animato da nobili virtù civili, come erano
un tempo il popolo greco e quello romano.

Disdegnoso di questo teatro contemporaneo, Alfieri si rivolge utopisticamente ad un teatro futuro, ad un


Italia rinata e divenuta nazione, sorretta da magnanime virtù pubbliche. Al teatro tragico egli assegna
un’alta funzione civile. E nella concezione del teatro si affermano la concezioni politiche di Alfieri.

LA SCRITTURA AUTOBIOGRAFICA: LA VITA

La concentrazione sull’io, spingono Alfieri alla scrittura autobiografica. Nel 1790 Alfieri iniziò a scrivere la
Vita e nel 1797 iniziò la stesura della Parte seconda dedicata agli avvenimenti che vanno dal 1790 al 1803.

- La prima parte è divisa in 4 epoche, Puerizia, adolescenza, giovinezza e virilità,


- Mentre la seconda parte altro non è che la continuazione della quarta epoca

Il suo intento è quello di ricostruire il delinearsi di una vocazione poetica, il poeta ripercorre la sua vita alla
luce dell’opera tragica e la presenta protesa a raggiungere quella meta.
Lo schema su cui il racconto è costruito ricorda irresistibilmente la storia di una conversione religiosa:

- Prima vi è l’inquietudine oscura dell’animo proteso verso un oggetto ignoto


- Poi vi è il momento centrale della rivelazione a cui si ispira tutto il corso dell’esistenza successiva.

Alfieri ha un vero e proprio culto religioso della poesia, la scrittura poetica non è un esercizio tecnico,
retorico, ma una vera e propria realizzazione dell’essere.

TENSIONE EROICA

Insieme al maturarsi della vocazione tragica Il racconto di Alfieri si protende verso un ideale di magnanimità
sublime. Di fatti, la suprema realizzazione dell’eroico per Alfieri è la figura del poeta. Proprio per questo la
narrazione si concentra in maniera esclusiva sul protagonista, non dando spazio alla descrizione degli
ambienti, costumi, aneddoti, dunque prendono maggiore rilievo l’io del poeta e lo svolgimento della sua
vita interiore.

Lo scrittore sente in se la presenza di una sublimità che lo distacca dagli altri, che lo isola in una solitudine
che lo mette in conflitto con un mondo mediocre e banale.

I germi di questa sublimità sono colti nelle malinconie della fanciullezza solitaria, nell’insofferenza ostinata
dell’adolescente per la piattezza della vita dell’Accademia militare, negli studi pedanteschi e nelle
accessioni passionali furibonde. Queste forze latenti, sparse, frantumate e inconsapevoli, acquistano senso
solo quando sono indirizzate alla stesura delle tragedie , disciplinate dallo studio assiduo.

IMPOSSIBILITA’ DELL’EROICO

La tensione sublime ed eroica di Alfieri è sempre accompagnata da un amaro e scettico pessimismo. Nato
dalla consapevolezza dell’insufficienza umana che corrode ogni slancio magnanimo.
L’ansia titanica di grandezza si scontra sempre con il limite umano e reca in sé il senso di una sconfitta
inevitabile. Nella Vita questa consapevolezza è visibile ma non in chiave tragica: lo scrittore infatti
contempla a distanza se stesso e le proprie debolezze che compromettono la sublimità eroica.
Tra l’io narrante e l’io narrato si stabilisce un rapporto complesso, determinate volte l’Alfieri che scrive si
identifica con quel se stesso che è protagonista dei fatti narrati, in altri casi le due prospettive si
disgiungono e l’io narrante contempla il comportamento dell’io narrato con distacco e ironia, sottolineando
le sue incoerenze e le sue piccole miserie come l’avarizia, la passione per i cavalli, e la cura vanitosa per
l’aspetto esteriore. In un’opera che vuole essere il ritratto di una vocazione eroica, vi è una sottile e
amara consapevolezza dell’impossibilità dell’eroico.

LO STILE

Lo stile della vita è lontano dalle pesantezze classicheggianti di tanta prosa nel tempo. Lo scrittore stesso
dice di aver voluto lasciare fare alla penna e per un opera dettata dal cuore e non dall’ingegno. È uno stile
conversevole ma non piatto, il ritmo è nervoso e incalzante, il linguaggio coinciso ed essenziale costituito
da termini inusuali.

UGO FOSCOLO

STRUTTURE POLITICHE, SOCIALI ED ECONOMICHE

L’ingresso degli eserciti francesi nel 1796 segna in Italia una svolta storica, di fatti crollano i vecchi stati e si
formano organismi politici nuovi, dapprima le repubbliche giacobine, poi strutture più vaste come il Regno
di Italia. Con l’affermarsi del regime napoleonico, altri organismi passano sotto il dominio di Napoleone e
notevoli estensioni di territorio italiano sono annesse allo Stato Francese.

In tal modo nell’Italia napoleonica si forma un corpo di funzionari pubblici, di ufficiali, di insegnanti,
contribuendo a dare una fisionomia più moderna ai ceti medi italiani che erano privi di coscienza sociale, di
peso politico e culturale.

L’ECONOMIA

Il regime napoleonico contribuì a svecchiare le strutture economiche:

- Furono aboliti privilegi e istituti feudali


- Fu ridato impulso alla vendita di beni ecclesiastici

Il commercio e l’industria furono avvantaggiati dalla soppressione di barriere doganale, dalla creazione di
strade, ponti e canali, dal riordino del sistema fiscale e finanziario.
Queste spinte modernizzatrici furono però bloccate dalla politica imperiale di Napoleone, che considerava
gli Stati vassalli come zone di sfruttamento, non a caso i territori dell’Impero dovevano fornire materie
prime alle industrie francesi. Di conseguenza le potenzialità di espansione produttiva e di sviluppo sociale
furono ben lontane dal potersi attuare pienamente.

NASCITA DEL PATRIOTTISMO

Gli anni tra il 1796 e il 1799 sono definiti come il cosiddetto triennio giacobino, sono questi, anni di grandi
illusioni in un profondo rinnovamento politico.
All’interno dello schieramento dei patrioti vanno però distinte due tendenze diverse:

- Una democratica, che si ispira ad un radicale cambiamento economico, sociale ed economico, in


nome dei principi dell’uguaglianza
- Una di orientamento moderato, mira dunque a graduali riforme che salvaguardino la proprietà
privata e l’egemonia dei ceti superiori. Sarà questo l’indirizzo del regime napoleonico.

Le idee patriottiche circolavano solamente tra i ceti colti, mentre le masse popolari conservarono le
tradizioni politiche e religiose del passato.
Ma il regime napoleonico, se da un lato trovò consensi in numerosi strati sociali, si alienò i sentimenti degli
intellettuali.

La componente politicamente più avanzata, quella giacobina, vide nella dittatura napoleonica e nel
dominio imperiale francese un tradimento delle istanze di libertà e di democrazia, sorte nel primo
momento rivoluzionario. Dunque al triennio giacobino subentrò un diffuso senso di delusione e di
frustrazione.

IL TRIENNIO GIACOBINO

La necessità di coinvolgere un maggior numero di cittadini nel processo di rinnovamento democratico da un


impulso straordinario alla pubblicistica.
L’attività giornalistica aveva già avuto rilievo nel secondo 700, adesso però i giornali si moltiplicano
assumendo una spiccata impronta politica. Ad essi si affiancano opuscoli, libelli polemici, proclami,
manifesti in cui si dibattono problemi di attualità. Queste azioni di propaganda vengono svolti anche
mediante il teatro, uno strumento di diffusione. Si istituiscono teatri nazionali o patriottici, mettendo in
scena quanto del repertorio del passato può essere utile a sostenere le idee libertarie.

PROPAGANDA NAPOLEONICA

Il regime napoleonico continua a dare impulso a queste forme di comunicazione, piegandole a divenire
strumenti di creazione del consenso al dominio personale del dittatore.
Esse dunque passano dall’essere espressione del fervore democratico a forme di propaganda di regime.

Ciò implica la soppressione di ogni libertà di dissenso: ricordiamo infatti che la rappresentazione dell’Aiace
fu interrotta.
Un ruolo di propaganda viene svolto anche dalle feste, dalle cerimonie pubbliche e dalle parate militari,
organizzate con grande effetto scenografico per colpire il pubblico. Napoleone istituisce inoltre la scuola di
Stato, ispirata a concezioni laiche.

DALLA PARTECIPAZIONE ATTIVA AL RUOLO DI FUNZIONARIO

Nel triennio giacobino si delineò un ruolo sociale nuovo per l’intellettuale, quest’ultimo era colui che
elaborava e diffondeva le ideologie della trasformazione democratica e aveva il compito di creare il
consenso di massa intorno a tali idee.

Questo periodo di intensa partecipazione attiva alla vita politica fu vissuto dagli intellettuali con
entusiasmo, come se l’intellettuale fosse l’artefice primario del processo di rigenerazione del mondo.
Quando però questo entusiasmo fu spento dal regime napoleonico tornò in vigore la figura del poeta
cortigiano, o venne plasmata nel ruolo di fedele funzionario, nell’amministrazione, nella scuola, nel
giornalismo ufficiale.
LE PREMESSE DEL NEOCLASSICISMO

Nel classicismo dominante in Italia durante l’età napoleonica, nonostante le forme espressive continua una
tradizione secolare,sono visibili nuovi elementi.
Un classicismo archeologico si era diffuso all’interno della letteratura tardo arcadica con la predilezione per
argomenti mitologici, e con raffigurazioni linearmente nitide e armoniose. Si aggiunsero gli studi dell’arte
classica che suscitarono un vagheggiamento entusiastico della civiltà e delle bellezze antiche.

Alla base dell’estetica neoclassica, vi è il principio di imitazione teorizzato dall’archeologo tedesco


Winckelmann, secondo il quale l’arte autentica non può che nascere dall’ imitazione degli antichi, i quali,
rifacendosi alla natura, sono riusciti a dar forma a un ideale assoluto di bellezza che si identifica nella grazia,
essa è definita “il piacevole secondo ragione, che agisce nella semplicità e nella quiete dell’anima ed è
offuscata dal troppo fuoco e dalle violente passioni”.
Le teorie di Winckelmann forniscono all’estetica neoclassica i principi fondamentali:

- L’arte e la letteratura devono mirare al bello ideale, cioè trasfigurare la realtà contingente in forme
perfette, in cui non vi sia nulla di eccessivo o di grezzo, e in cui il calore delle passioni e dei
sentimenti si sublimi in un’armonia pacata di linee di forme e di suoni.

I VARI ASPETTI DEL NEOCLASSICISMO

Si aggiunse poi il classicismo rivoluzionario. Ricordiamo di essere negli anni della rivoluzione francese, i
protagonisti di quest’ultima, vedevano in Atene, Sparta e Roma un modello di vita repubblicana libera,
virtuosa, forte e sobria, che volevano far rivivere nel presente.

È un classicismo austero ed eroico che, è ben lontano dalla grazie del classicismo arcadico. Di fatti, questo
classicismo rivoluzionario nell’età napoleonica si trasforma in scenografia:

 Non si celebrano più le libertà repubblicane e libertarie, ma si tende ad assimilare il regime


napoleonico alla forme imperiali romane.

Al di la del classicismo scenografico e celebrativo, Il neoclassicismo in età napoleonica assume delle


motivazioni ben più profonde e nuove. È il caso di Foscolo, che nelle “Grazie” vede l’antico come un mondo
di armonia, bellezza, luminosa vitalità e serenità, contrapposto al presente inerte, oscuro e imbarbarito. Il
passato è dunque un Eden che viene vagheggiato nostalgicamente e in cui si trova rifugio dai traumi della
storia, un’alternativa alle delusioni politiche, al dispotismo e alla ferocia della guerra. Notiamo come alla
base di tale vagheggiamento dell’antico vi è una disposizione d’animo romantica.

Tuttavia per Foscolo l’antico non è un paradiso definitivamente perduto e che possa essere oggetto solo di
una nostalgia sterile e disperata. Per il poeta infatti la civiltà italiana ha raccolto l’eredita di quella greca
continuandone le forme; e in lui, che ricordiamo essere italiano e greco, persiste ancora quella fiducia di
poter rivivere quelle forme perfette nell’arcana armoniosa melodia pittrice dei suoi versi, in modo tale che
essa agisca con funzione purificatrice sulla feroce barbarie presente, ristabilendo i modi di vita più nobili e
umana. Questa nostalgia di Foscolo è ben diversa da quella romantica, in quanto è un continuo movimento
tra la fuga e il ritorno.

IL PREROMANTICISMO

Negli ultimi del 700 e nei primi dell’800 si riscontrano delle tendenze che appaiono opposte a quelle
neoclassiche.
 Il gusto neoclassico è caratterizzato dalla compostezza e dalla calma, dalla serenità e dal
dominio del mondo passionale, dalla contemplazione di un bello oggettivo e ideale,
dall’armonia delle linee e dalla luminosità levigata e nitida delle forme.
 Nelle opere di scrittori come Foscolo, Pindemonte e Monti, tali caratteristiche si manifestano
come esasperazione personale e soggettiva, concentrazione sull’io, amore per il primitivo e il
barbarico e per atmosfere malinconiche e lugubri, cupe e tenebrose, dominate dalla presenza
ossessiva per la morte

Il gusto del sentimentale, è legato soprattutto alla diffusione delle opere di Rousseau, di Richardson e di
Goethe.
Il romanzo goethiano, nasce da un movimento letterario chiamato Sturm und Drang, che costituisce un
preannuncio del futuro romanticismo. Si trattava di un cenacolo di Giovani intellettuali inquieti e ribelli;

- Il motivo dominante di questo movimento era la passionalità primitiva e selvaggia, un’ansia di


libertà assoluta che infrangesse ogni limite segnato dalla convenzioni sociali, di qui deriva anche il
culto del cosiddetto genio delle grandi individualità, insofferenti di ogni costrizione.
- Sul piano letterario ne scaturiva il rifiuto del classicismo, l’insofferenza di ogni regola mortificante,
l’idea dell’arte come libera espressione.

Dall’inghilterra si diffuse la moda della poesia cimiteriale, in cui si celebra il valore delle esistenze oscure
degli umili sepolti in un cimitero di campagna.

Forma Europea ebbero anche i Canti di Ossian, ovvero dei poemetti in prosa lirica, pubblicati per la prima
volta dallo scozzese Macpherson, come traduzioni dei poemi dell’antico bardp celtico Ossian. In realtà si
trattava di un abile falso, che rielaborava motivi di antichi canti popolari, inserendoli in una struttura epica.
Vi si mescolano:

- l’esaltazione della virtù guerriera e cavalleresca, secondo il mito rousseauiniano della bontà
originaria dell’uomo,
- le storie degli amori appassionanti e del destino infelice di alcune coppie di amanti,
- descrizioni di paesaggi cupi, desolate, di atmosfere tempestose
- visioni notturne e spettrali

PROBLEMATICITA’ DEL CONCETTO DI PREROMANTICISMO

I concetti di cui abbiamo parlato seppur vicini alla letteratura romantica, sono stato definiti come fenomeni
ancora del tutto interni alla cultura dell’Illuminismo. In realtà esse sono sintomi di una visione del mondo
e di una sensibilità nuove, sono infatti il riflesso delle inquietudini di un’età che avverte come stia crollando
un ordine secolare.

Nella seconda metà del 700, siamo alla soglia di due grandi rivoluzioni, quella francese e quella industriale.
Sarà proprio il romanticismo il frutto centrale di questi sconvolgimenti rivoluzionari.

RADICI COMUNI

Neoclassicismo e Preromanticismo, appaiono come due tendenze culturali antitetiche e inconciliabili.


Eppure coesistono, addirittura nello stesso poeta e talvolta in una stessa oprea. Lo vedremo con Foscolo,
nell’Ortis, caratterizzato da un’esasperata veemenza passionale, dalla concentrazione sull’io, dalla presenza
ossessiva della morte, e con le Grazie che è invece un capolavoro neoclassico.
In realtà, le due correnti pur essendo diversi, scaturiscono dalla stessa radice, sono infatti manifestazioni
complementari di una stessa crisi di fondo.

- Una prima crisi la notiamo con l’ancien regime nonché del riformismo illuministico, la seconda
invece quella delle illusioni rivoluzionarie, delle speranze in una rigenerazione totale del mondo.

In entrambi i momenti, si riscontrano sul piano culturale, dei contraccolpi omologhi, per cui gli scrittori
napoleonici seguono dei percorsi spirituali già seguiti dagli scrittori che avevano attraversato la crisi
dell’Illuminismo: delusione, distacco dall’attivo impegno civile, rifiuto della storia e fuga dal presente.

Entrambe dunque vanno viste come la ricerca di un’alternativa all’esistente che delude:

- Per il Neoclassicismo l’alternativa è l’ideale della bellezza e dell’armonia


- Per il preromanticismo l’alternativa è la profondità dell’io, il primitivo come sede di autenticità
vitale.

UGO FOSCOLO

Niccolò Foscolo, nasce nel 1778 a Zante, l’essere nato in terra greca rivestì molta importanza per il poeta,
che si sentì per questo motivo profondamente legato alla civiltà classica, e anche suo erede.

- Quando la famiglia si trasferì a Spalato, frequentò i primi studi presso il locale seminario.
- Alla morte del padre, per i gravi problemi economici, la madre si trasferì a Venezia e Foscolo la
raggiunse nel 1793. Conosceva poco la lingua italiana, si gettò quindi negli studi creandosi un vasto
bagaglio culturale, sia classico che contemporaneo.
- Era politicamente entusiasta dei principi della rivoluzione francese, assunse posizioni fortemente
libertarie.
- Ebbe tante noie con il governo oligarchico di Venezia, tanto che nel 1796 lasciò la città per
trascorrere del tempo sui colli Euganei
- Quando le armate napoleoniche avanzarono nell’Italia del Nord, il poeta fuggi a Bologna
arruolandosi nelle truppe della Repubblica cispadana e pubblico l’ode Bonaparte liberatore in cui
esaltava il generale francese come portatore di libertà.
- Formatosi a Venezia un governo democratico, vi fece ritorno impegnandosi nella vita politica, ma
quando Napoleone cedette la Repubblica Veneta all’Austria con il Trattato di campo formio, lasciò
nuovamente Venezia e si rifugiò a Milano.
Nonostante si sentì tradito, e mantenendo un atteggiamento critico verso Napoleone, continuò
sempre ad operare all’interno del suo sistema, con la consapevolezza che esso era un punto
obbligato di passaggio per la creazione di un’Italia moderna.

L’ETA NAPOLEONICA

A Milano, Foacolo conobbe Parini e strinse amicizia con Monti.

 Nel 1798 a Bologna era stato aiutante cancelliere al Tribunale militare


 Questi furono anche anni di passioni amorose, per Isabella Roncioni a Firenze e per Antonietta
Arese a Milano
 Nel 1808, ottenne la cattedra di Eloquenza all’Università di Pavia, ma fu presto soppressa dal
governo
 Nel 1811 fece rappresentare la tragedia Aiace dove, nella figura del tiranno Agamennone, furono
ravvisate allusioni a Napoleone.
 Una volta che venne sollevato dall’incarico di revisore degli spettacoli, si recò a Firenze, in un
periodo sereno, all’insegna di amori felici e dal fervore creativo.

L’ESILIO

Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia, Foscolo tornò a Milano. Dopo la sconfitta di Waterloo e il rientro
degli austriaci a Milano, il generale Bellegarde gli offrì la direzione di una rivista culturale: La biblioteca
italiana, con la quale il nuovo regime cercava di conquistare il consenso degli intellettuali. Ma Foscolo
rifiutò per coerenza con le sue idee. Esiliandosi dapprima in Svizzera e poi a Londra.

A Londra fu accolto con onori e simpatia, ma sorsero presto delle incomprensioni. Le sue condizioni
economiche si fecero sempre più gravi, e per alleviare tali difficoltà cercò delle collaborazioni con riviste
inglesi, pubblicando saggi sulla letteratura italiana del passato e del presente.
Negli ultimi anni fu costretto a nascondersi dai creditori andando a vivere nei sobborghi più poveri, l’unico
confortò che trovò fu la traduzione dell’Iliade.

LE COMPONENTI CLASSICHE, PREROMANTICHE E ILLUMINISTICHE

Nella formazione di Foscolo convergono le componenti della tradizione classica, le più moderne
sollecitazioni preromantiche e l’illuminismo settecentesco.

La formazione letteraria del giovane poeta avviene nel solco del gusto arcadico, ma a questa letteratura
evasiva, dalla perfezione solo formale e retorica si aggiunge il modello dei grandi classici latini e greci, oltre
quelli italiani come Dante e Petrarca.

- Foscolo, guarda con ammirazione al rigore morale e civile di Parini e alla fiera indipendenza e
all’ansia di liberta di Alfieri.

Al tempo stesso però, subisce le suggestioni del sentimentalismo di Rousseau e di Goethe, della grandiosa
cupezza barbarica di Ossian. Mentre i poeti cimiteriali sono da lui interpretati in chiave laica, civile e
patriottica.

- Rousseau gli suggerì delle concezioni democratiche ed egualitarie e lo spinse ad abbracciare le


posizioni giacobine. Sempre da Rousseau derivò il culto della natura come fonte di tutto ciò che è
autentico e definitivo, nonché il culto della passionalità intensa. La visione rousseauiniana della
società si basa sul presupposto dell’originaria bontà dell’uomo, che era stata corrotta dallo sviluppo
della civiltà.

Più tardi Foscolo si staccò da questi principi abbracciando le posizioni pessimistiche di Machiavelli e di
Hobbes, che lo inducevano a credere nell’originaria malvagità dell’uomo in perenne conflitto con gli altri
uomini per sopraffarli e imporre il suo dominio.

IL MATERIALISMO

Al pessimismo si aggiunge anche il materialismo che proviene della cultura illuministica del 700, con
l’apporto di pensatori classici come Democrito e Epicuro.
Il materialismo è la posizione di chi ritiene che tutta la realtà sia materia, ed esclude lo spirito, se non come
prodotto della materia stessa. Ne deriva la negazione del trascendente e della sopravvivenza dell’anima
dopo la morte. Il mondo quindi non è retto da una superiore intelligenza ma da una cieca forza meccanica.

Foscolo è consapevole che questo pessimismo possa trasformarsi in indifferenza, fatalismo e passività. La
visione generosamente attiva ed eroica della vita induce in lui insoddisfazione per queste posizioni e lo
spinge a cercare delle alternative, a recuperare la dimensione ideale dell’esistenza.

LA FUNZIONE DELLA LETTERATURA E DELLE ARTI

Un valore suprema per Foscolo è la bellezza, di cui sono depositarie la letteratura e le arti. Ad esse Foscolo
assegna il compito di:

- depurare l’animo dell’uomo dalle passioni che nascono dai conflitti della vita associata,
- di consolarlo dalle sofferenze e dalle angosce del vivere

Accanto a questo compito, alla letteratura e alle arti è assegnato un fine più alto:

- rasserenando e purificando l’animo dell’uomo lo rendono più umano, lo allontanano dalla


condizione feroce che continua a permanere in lui dai tempi primitivi e che lo spinge alla violenza e
alla guerra fratricida. Gli insegnano il rispetto per gli uomini e la compassioni per i deboli.

La letteratura e le arti dunque hanno per Foscolo una funzione civilizzatrice. Inoltre tramandano memorie
in cui consiste l’anima di un popolo e ciò che ne garantisce la coesione, che fa di esso una nazione e non un
miscuglio casuale di individui. Nel caso dell’Italia si collega alla funzione patriottica, necessaria per
trasformare un popolo diviso e arretrato a causa di secoli di decadenza.

LE ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS

Il capolavoro in prosa di Foscolo è il romanzo Le ultime lettere di jacopo Ortis. Già nel piano di studi del
1796 compare la menzione di un’idea per un romanzo epistolare a sfondo sentimentale, intitolato Laura-
Lettere.

Il primo nucleo del futuro Ortis risale al 1798, quando Foscolo ne manda una versione ancora incompleta
all’editore Marsigli di Bologna. Gli impegni politici e militari ritarda però la consegna della parte mancante e
l’editore incarica Sassoli di completarla. Il romanzo verrà dunque pubblicato senza il consenso di Foscolo
che lo ristamperà con il sottotitolo di Vera storia di due amanti infelici, aggiungendo 20 lettere.
Nel 1802, a Milano viene pubblicata la seconda edizione del romanzo, completa secondo l’autore.
Ma nel 1816 una terza edizione viene pubblicata in Svizzera con l’aggiunta della Notizia bibliografica e
dell’importante lettera del 17 marzo. L’ultima edizione verrà pubblicata a Londra nel 1817 diventando il
capostipite moderno del romanzo italiano.

Si tratta di un romanzo epistolare.


Il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista scrive all’amico Lorenzo Alderani.
Foscolo prende spunto da “I dolori del giovane Werther” di Goethe e dalla “Nuova Elosia” di Rousseau.

Ispirato al Werther, parla di un giovane che si suicida per amore di una donna che era già stata destinata ad
un altro uomo. Vi è però anche un altro nucleo profondo:

- quello della figura dell’intellettuale in conflitto con il contesto sociali in cui non può inserirsi
Goethe per primo aveva colto il conflitto tra intellettuale e società, e aveva avuto la geniale intuizione di
rappresentare il conflitto attraverso una vicenda privata e psicologica, sul terreno dei rapporti amorosi,
l’impossibilità, da parte del giovane protagonista, di avere una relazione con la donna amata.

Foscolo riprende questo nucleo tematico, sviluppandolo in relazione alle caratteristiche del contesto
italiano dei suoi anni.

LA DELUSIONE STORICA

Il conflitto sociale che nel Werther si misura solo sul piano personale, qui si trasferisce anche su un piano
politico.

 Il dramma di Werther è quello di non potersi identificare con la sua classe di provenienza, infatti lo
slancio del cuore, la passionalità veemente, la superiore sensibilità del giovane artista sono respinti
dal mondo borghese che si fonda sulla razionalità, sul calcolo e sull’ordine. D’altro lato l’artista
borghese è respinto dall’aristocrazia chiusa nella difesa dei suoi privilegi.
 Il dramma di Jacopo invece non riguarda tanto l’urto contro un assetto sociale ferreo che lo
respinge, quanto il senso angoscioso di una mancanza, il non avere una patria, un tessuto sociale e
politico degno di questo nome entro cui inserirsi.

Il fatto essenziale è che il Werther fu scritto, al contrario dell’Ortis, prima della Rivoluzione francese, quindi:

 Dietro il Werther c’è la Germania dell’assolutismo, caratterizzata dal dominio dell’aristocrazia e da


una borghesia vile
 Dietro il giovane Ortis invece c’è l’Italia napoleonica, con i suoi rivolgimenti e il regime oppressivo
del tiranno straniero.
 In Werther c’è la disperazione che nasce dal bisogno di un mondo diverso, senza però intravedere
alcune possibilità di trasformazione
 In Jacopo invece vi è la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite
tutte le speranze patriottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide. Quindi, non
essendovi alternative possibili, l’unica via che si offre ad Ortis per uscire da una situazione cosi
negativa e immodificabile, è la morte.
 Però, pur nascendo da una situazione così disperata e approdando ad una conclusione così
negativa, l’Ortis non è un’opera solo nichilista. Vi è infatti la ricerca di valori positivi, quali la
famiglia, gli affetti, l’eredità classica e la poesia. Il nichilismo dunque è solo uno dei poli della
dialettica, attiva in un momento dell’esperienza di Foscolo, e destinata ad avere diverse soluzioni.

L’ORTIS E IL ROMANZO MODERNO

Con l’Ortis, Foscolo trasferisce in Italia un modello di romanzo moderno. In esso non vi è interesse a
costruire un intreccio di eventi, ad evocare ambienti sociali, a dipingere personaggi e psicologie autonome
ma prevale la spinta litica, saggistica e oratoria. Più che un racconto appare come un monologo in cui
l’eroe si confessa con veemente pathos e si abbandona a una lunga serie di meditazioni filosofiche e
politiche.

L’opera è scritta in una prosa aulica, pervasa da una continua tensione al sublime. La sintassi è complessa,
sul modello classico e la linea del pensiero è caratterizzata da simmetrie e antitesi. Inoltre ha molto rilievo
l’enfasi retorica e il peso delle reminescenze libresche.
LE ODI E I SONETTI

Foscolo cominciò a scrivere odi, sonetti, canzoni di vario metro sin da ragazzo, queste sono testimonianze
di un apprendistato poetico.

LE ODI

Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo, e all’Amica risanata, risalgono al periodo della scrittura
dell’Ortis, ma rappresentano tendenze opposte:

 L’Ortis con il suo soggettivismo esasperato, con la figura dell’eroe sventurato ed esule, con il
rincorrere ossessivo della morte e le tonalità cupe, rimanda a tematiche preromantiche.
 Le odi invece rimandano a tendenze neoclassiche. Al centro vi è il vagheggiamento della bellezza
femminile, trasfigurata attraverso la sovrapposizione delle immagini di divinità greche, dalle forme
armoniose, in cui il poeta sembra voler far rivivere i canoni della scultura neoclassica. Ricorrono
inoltre molti rimandi mitologici e il lessico è aulico e sublime, mentre la struttura sintattica
riproduce le architetture del periodare classico.

Mentre l’ode a Luigia Pallavicini conserva un carattere di omaggio settecentesco alla bella donna, All’amica
risanata vuole proporsi come un discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto risanatore per
l’animo inquieto degli uomini e anche sulla funzione esternatrice della poesia.

Il neoclassicismo di Foscolo è quindi ben diverso da quello arcadico, puramente esornativo, il culto
foscoliano della bellezza esprime un’esigenza autentica e profonda che nasce da un rapporto problematico
con il momento storico e il bisogno di contrapporre ad esso valori superiori di cui la letteratura si deve fare
portatrice.

I SONETTI

I sonetti sono più vicini alla personalità dell’Ortis, sono infatti caratterizzati da un forte impulso soggettivo,
tuttavia sono fitte le reminescenze di Petrarca, dei poeti latini e in particolare di Alfieri.
Tra i sonetti più importanti ricordiamo: Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni.
Sono ripresi i temi centrali dell’Ortis, quali:

- La proiezione del poeta in una figura eroica sventurata e tormentata


- Il conflitto con il reo tempo e il nulla eterno
- L’esilio come unica condizione politica ed esistenziale
- L’impossibilità di trovare un rifugio stabile
- Il rapporto con la terra materna
- Il valore esternatore della poesia

Notiamo che oltre a comparire i motivi dell’Ortis, vi è ancora la ricerca di quei valori positivi al fine di un
superamento del nichilismo.

SEPOLCRI

I sepolcri sono un poemetto in endecasillabi sciolti sottoforma di epistola poetica indirizzata all’amico
Ippolito Pindemonte.
La meditazione sui Sepolcri è ispirata a Foscolo dalla discussione originata all’editto di Saint-Cloud, con cui,
per motivi igienici, si imponevano le sepolture fuori dalle mura cittadine.
Pindemonte, da un punto di vista cristiano, sosteneva il valore della sepoltura , mentre Foscolo da un punto
di vista materialistico, aveva negato l’importanza delle Tombe, poiché la morte produce totale dissoluzione
dall’essere.
Nel carme però, Foscolo riprese quella discussione, ribadendo inizialmente le tesi materialistiche sulla
morte, ma superandole poi con altre considerazioni che rivalutano il significato delle tombe.

Nei Sepolcri infatti si può scorgere più di ogni altro componimento, la ricerca di un superamento del
nichilismo. Anche il carme ha come nucleo centrale il tema della morte, ma è superata l’idea, derivante dal
materialismo settecentesco, che essa sia il nulla eterno.
Anche se Foscolo, sul piano filosofico non vede alternative a quella idea, le contrappone l’illusione di una
sopravvivenza dopo la morte. Tale sopravvivenza è garantita proprio dalla tomba, che conserva il ricordo.

- Dunque la tomba per Foscolo assume un valore fondamentale per la civiltà umana, è il centro degli
affetti familiari e dei valori civili, conservando la tradizione di un popolo e stimolando a mantenersi
fedele ad esse, tramanda la memoria dei grandi uomini e delle azioni eroiche spingendo alla loro
imitazione.

L’Ortis si chiudeva con il suicidio del protagonista, che escludeva ogni possibilità di intervento sul piano
storico. Ora invece, Foscolo arriva a proporre la possibilità dell’azione politica, ed introduce la prospettiva
di un riscatto dell’Italia dalla miseria, grazie alla funzione esercitata dalle memorie di un passato di
grandezza, tenute vive dal culto delle tombe.

CARATTERISTICHE DEL DISCORSO POETICO

I Sepolcri, non possono essere ridotti entro l’ambito della poesia cimiteriale. Il carme, a differenza della
poesia sepolcrale di Young e Gray, è poesia civile che si presenta come una meditazione filosofica e politica,
esposta non in forma argomentativa bensì attraverso una serie di miti. Foscolo stesso ci avverte di voler
offrire i suoi contenuti non mediante un sillogismo, ma con la fantasia:

- L’illusione che sofferma il defunto al di qua della morte suggerisce l’immagine del corpo avvolto nel
grembo materno della terra che lo ha accolto e nutrito

La tesi che le tombe siano indizio di civiltà si traduce nella rievocazione dei diversi tipi di civiltà ( Mondo
classico e Medioevo). L’affermazione che la poesia raccoglie l’eredità delle tombe nel conservare la
memoria richiama il mito della fondazione di Troia,del poeta Omero che si ispira alle tombe dei padri della
città per cantare gli eroi greci vincitori e l’eroe sconfitto, Ettore.

Il discorso del carme ha una struttura rigorosa e armonica; non volendo parlare con i sillogismi infatti
vengono lasciati nell’implicito molti passaggi intermedi. Dando così al carme un grande afflato lirico, ma
rende difficile la lettura.
Il poemetto è costruito mediante una sapiente orchestrazione di toni diversi, che va dall’inizio
problematico con continue interrogative, alla polemica veemente, alla pacata argomentazione, alla
grandiosità epica del mondo mitico di Troia.

La prospettiva spazio-temporale contribuisce a dare al carme una suggestione di estrema vastità, si passa
dallo spazio ristretto della tomba, alla prospettiva immensa della terra; si succedono spazi aperti e chiusi; si
passa dal mondo dell’aldilà all’età contemporanea del Medioevo e al mondo classico.
Il linguaggio è estremamente elevato ed aulico, con chiari riferimenti al lessico di Parini e Alfieri. La sintassi
varia dalla sentenza concisa al periodare complesso, ricco di subordinate e inversioni.

LE GRAZIE

In una lettera a Monti, nel 1803, Foscolo annunciava il progetto di un inno alle Grazie in cui dovevano
essere idoleggiate tutte le idee metafisiche sul bello.
Il progetto originario doveva essere articolato in tre inni dedicati a :

- VENERE dea della bella natura


- VESTA costode del fuoco che anima i cuori gentili
- PALLADE dea delle arti consolatrici.

Le Grazie sono delle dee intermedie tra cielo e terra, che hanno avuto il compito di suscitare negli uomini i
sentimenti più puri ed elevati attraverso il senso della bellezza, inducendoli a superare le loro ferocità
originaria portandoli alla civiltà. Hanno dunque la funzione di purificare e ingentilire le passioni e di
promuovere l’incivilimento ( tema caro alla cultura neoclassica) .

Il primo inno narra della nascita di Venere e delle Grazie dal mar Ionio:

 Gli uomini che vivono allo stato bestiale, subiscono la bellezza e percepiscono l’armonia
dell’universo, disponendosi a coltivare le arti civili

Nel secondo inno la scena è collocata sui colli di Bellosguardo, in cui il poeta immagina un rito in onore
delle Grazie celebrato da tre donne gentili, Eleonora Nencini, Cornelia Mattinetti e Maddalena Bignami,
che rappresentano rispettivamente musica, poesia e danza.

Il terzo inno è collocato nell’siola di Atlantide:

 Isola inaccessibile agli uomini, dove Pallade cerca rifugio quando le loro passioni fanno scatenare la
guerra. Atlantide rappresenta un mondo ideale di suprema armonia, lontano dai conflitti della
storia umana. Qui Pallade fa tessere ad una schiera di dee minori un velo che difenda le Grazie dalle
passioni degli uomini in modo tale da poter tornare tra essi a svolgere la loro funzione civilizzatrice.

Nel verso vi è la ricerca di un’estrema armoniosità musicale alla quale Foscolo vuole unire una grande forza
di suggestione visiva, la poesia tende ad evocare immagini vivide, plastiche e colorite, dalle linee
armoniche. Foscolo mira dunque ad una poesia allegorica, pensando che quest’ultima, personificando in
figure le idee astratte, agiscano facilmente sui sensi e sull’immaginazione.

POESIA CIVILE DELLE GRAZIE

Il vagheggiamento della bellezza, la ricerca di immagini squisite e di versi melodiosi non devono far
pensare che le Grazie rappresentino la fuga in un sogno di bellezza remoto dalla realtà. Foscolo infatti
anche se in forme diverse, non abbandona il suo ideale di poesia civile.

- Nel poema spesso affiorano rimandi alla realtà attuale, allo scatenarsi di passioni e di istinti
aggressivi in concomitanza con le guerre imperialistiche di Napoleone.

L’idoleggiamento della bellezza assume l’affermazione di un bisogno di un ordine più umano, libero da
tendenze feroci, dominato da sentimenti più miti.
Ora, le tendenze romantiche e neoclassiche che sembravano contrapporsi, vediamo che non sono poi così
contradditorie, ma scaturiscono dalla stessa radice e si pongono un posizioni complementari. L radice
comune è il reo tempo, la situazione storica,

- Le tendenze romantiche sono l’espressione diretta della delusione storica e dei conflitti
- Le tendenze neoclassiche invece sono il tenativo di opporre a tutto ciò un mondo alternativo di
equilibrio, armonia e bellezza.

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