FILOLOGIA ROMANZA

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FILOLOGIA

ROMANZA
A.A. 2024/25
I Lais di Maria di Francia:
“Lais” termine bretone = canto.
Bestiame = trattato tipicamente medievale che parla di bestie, anche fantastiche. Vengono descritti a livello morale e figurato (allegorico). Uno dei Lais racconta di
un lupo mannaro. La lingua di Maria di Francia è l’Anglo-Normanno, era la lingua di cultura e la prima letteratura francese è stata prodotta in questa lingua (la più
antica).
La linguistica romanza è un ramo specialistico della linguistica che studia in ogni loro aspetto tutte le parlate che hanno origine da una evoluzione della lingua
latina.
Lingue romanze = lingue neolatine, la linguistica romanza si occupa di una famiglia di lingue che hanno in comune le strutture linguistiche e grammaticali.
Formano una famiglia su una base genetica, sono imparentate perché derivano dalla stessa lingua. Lo studio di queste lingue avviene su un metodo di
comparazione, studia le lingue romanze confrontandole tra di loro e descrivendo i fenomeni che riguardano le loro strutture grammaticali nel tempo, specialmente i
fenomeni in comune, fino alla fine del medioevo. I grandi poeti italiani hanno scritto nella lingua letteraria di quel genere, la lirica per eccellenza in provenzale. Lo
stesso Dante leggeva il provenzale e ha scritto anche una canzone plurilingue. C’era una letteratura plurilingue. Nel periodo medievale con le lingue romanze
(francese e provenzale in Francia) iniziò la letteratura del continente. Queste diverse varietà romanze sono continuamente connesse tra di loro. Le storie di
Lancillotto vengono prodotte nei romanzi francesi e da lì lette in altre parti come in Italia, ma anche nei paesi germanofoni. Il mondo medievale è interconnesso
nel quale un lingue influenza l’altra in un modo che oggi sarebbe inimmaginabile.

LO STUDIO DELLA FILOLOGIA:


• diacronico, è uno studio di tipo storico, studia l’evoluzione nella storia, i fenomeni linguistici comparando le diverse lingue romanze;
• sincronico come lo studio della lingua di un testo in quel determinato periodo storico, e quindi si studia anche la grammatica sincronica;
• ecdotico-testuale, è uno studio che si concentra sui testi e sulla loro trasmissione, insegna come restituire i testi romanzi medievali.
Editore-edizione critica in filologia si intende lo studioso che si occupa di recuperare il testo secondo l’ultima volontà dell’autore. Nel caso degli autori
contemporanei è facilitato con il contatto più o meno diretto.
I testi medievali che abbiamo ad oggi sono delle copie su delle copie e di conseguenza non avremmo mai l’originale. Nel medioevo chi aveva a che fare con la
letteratura si sentiva anche libero di intervenire e modificare un testo. Se una lingua del testo avesse suonato antica, avrebbero introdotto delle modifiche per
adattare il testo. Anche di Dante non abbiamo la certezza che la commedia sia al 100% il poema come lo ha scritto lui. Di limitare i danni se ne occupa l’editore,
che riprende tutte le copie di un testo confrontandoli, cercando di restituire "l'originale".

Perché si dice “Romanzo”?


Il termine viene da questo avverbio latino roman[i]ce (pronuncia palatale) che si traduce come “alla maniera romana”.
Si intende con Impero Romano, uno dei più vasti e potenti di quel periodo, partito come una repubblica poi diventato un impero. Accresce i suoi confini fino alla
sua massima espansione nel secondo secolo, ma a interrompere la sua espansione ci furono dei popoli che premettero per entrare nel territorio come i germani, gli
slavi e gli arabi; di conseguenza piano piano l’impero inizia ad implodere (476d.C.). L’ultimo imperatore fu Romolo Augusto. Prima che arrivasse a questo,
l’impero ebbe modo di diffondere la propria cultura e la propria lingua. Essi partendo dall’Italia centrale hanno diffuso il latino in tutte le zone conquistate con
diversi tipi di rapporti (politici e civili), per questo, per molto tempo, ai popoli conquistati veniva imposto il latino anche se avevano una loro lingua madre
(diglossia). Progressivamente il latino ha finito per imporsi e le lingue che erano state sottomesse si erano perse, ma non del tutto. Esisteva un rapporto di
subordinazione dei romani rispetto ai popoli conquistati, di tipo politico e civile, perché i popoli conquistati non avevano la cittadinanza romana ed erano tenuti a
pagare delle tasse ma esonerati dai diritti che avevano i cittadini romani. C’erano i romani (penisola italica) e poi tutti gli altri, essi parlavano male la lingua dei
romani avendo un accento della lingua locale. I romani cominciarono a distinguere questa doppia parlata, distinguendo i due avverbi:
• Romanice (alla maniera romana);
• Romane (romanamente).
Questa differenza era anche di tipo politico:
• Romanicus (i conquistati);
• Romanus (romano che abitava nella penisola).
Esiste anche una distinzione tra romanice loqui (parlare alla romana) e latine loqui (parlare latino), anche con due verbi: parabolare e romanice.
Nel latino volgare la [i] di roman[i]ce sparisce e da qui deriva l’aggettivo “Romanzo” che significa “modo di parlare latino nelle zone dell’impero diverse
dall’Italia”. Una lingua romanza, alle origini, era una lingua latina con inflessioni locali.
Il territorio dove si parlavano le lingue romanze si chiamava “Romània”, era il territorio dei romani e dei romanici. Grazie all’editto del 212 d.C. di Caracalla,
concede la cittadinanza romana a tutto l’impero. C’erano situazioni di bilinguismo nella stessa Roma, perché si parlava anche il greco. Cicerone ci racconta le sue
abitudini linguistiche e distingue due tipi di latino, quello parlato e quello scritto. Quando parliamo di lingua latina non parliamo di una varietà fissa, ma di una
serie di varietà distinte sul piano diafasico e diastratico, a seconda della classe sociale. Ci sono quindi diverse variazioni di latino che ritorneranno nella
frammentazione linguistica come tratti diversi delle lingue romanze. Con la parola “Romagna” intendiamo il relitto discendente della parola “Romanìa”, dove
c’era una delle città più importanti dell'Impero bizantino cioè Ravenna. Romanìa, con cui si indica la nazione, è stato introdotto in epoca moderna, quando nel
1862 è nato lo stato rumeno, e a quel punto si è assunta come denominazione un nome che rimanda alle origini europee latine romane per maggiore prestigio,
favorendo l’entrata nella lingua romena una serie di francesismi (operazione di rilatinizzazione della lingua romena per avvicinare la nuova nazione all’Europa per
questioni politiche).

LA ROMÀNIA:
Il territorio, dove si parlano le lingue romanze, è delimitato da un confine
linguistico; si distingue in:
• La Romània continua = territorio dove sono parlate lingue romanze con un
continuo confine geografico (Portogallo, Spagna, Francia e Italia), mentre la
Romania è staccata da territori in cui si parlano altre lingue, rappresenta una
particolarità le cui motivazioni non sono chiare. I territori della Romània
continua, che sono latinofoni dall’antichità non hanno mantenuto sempre una
continuità nell’uso della lingua latina, pensiamo come zone della penisola
iberica e la Sicilia che per lunghi secoli sono state sotto il dominio di
popolazioni non latinofone e hanno perso l’uso del latino per secoli. Il latino
è stato reintrodotto come lingua libero romanza, ma era già diventato un
volgare.
• La Romània perduta = nella situazione antica, da quella moderna, si notano
delle zone perdute. In termini tecnici si parla delle zone che hanno perso il
latino nei secoli successivi alla caduta dell’impero. Queste zone sono l’Africa
settentrionale, i territori a nord oltre l’arco alpino, fino al Danubio e oltre il
Reno, e la parte meridionale del Regno Unito. Anche dopo la caduta
dell’Impero Romano, l’Egitto resta una zona di alta romanizzazione fino al
1476 ed è l’unica regione dell’Africa settentrionale che mantiene un'alta
cultura latina.
• La Romània nuova = mentre in Europa alcuni territori sono stati perduti, più tardi vengono conquistati altri territori. Dopo le esplorazioni e le conquiste (1492)
inizia un periodo di colonizzazione sia del nuovo continente, sia dell’Africa. Esse sono colonizzazioni che rappresentano un’azione di rapina, ma da un punto di
vista linguistico abbiamo l’esportazione della lingua latina. A partire dalla fine del 1400 inizia una romanizzazione moderna con i territori dove troviamo la
diffusione delle lingue neolatine.
• Africa: il francese è la lingua più diffusa e resistente dopo la fine del periodo coloniale. Lo spagnolo ha pochissima diffusione;
• Oceania e Asia: diffuse le lingue creole;
• America: lo spagnolo è la lingua più diffusa seguita dal portoghese.

Rapporto con le lingue locali:


Due tipi:
• ibridazione: i colonizzatori hanno imposto la propria lingua ibridandola con le lingue locali, a un livello elementare per la comunicazione nel commercio,
creando una lingua con un lessico limitato, con una grammatica elementare (Pidgins). Sono lingue che non hanno mai superato il livello di
comunicazione orale. Tuttavia, esistono alcuni Pidgins che hanno superato questa fase e sono diventate lingue creole con basi portoghesi e francesi,
cosa che non è successa con lo spagnolo. Un esempio di lingua creola è creyòl, parlata ad Haiti. Si è fondata dal XVIII secolo e si è evoluta fino ad
arrivare ad essere riconosciuta nel 1977 come lingua ufficiale di Haiti. Nel 2014 è stata adottata anche di un’accademia. Di solito le lingue creole non
arrivano a livello letterario ma rimangono orali.
• conflittuale: un esempio è dello spagnolo in Messico, la diffusione dello spagnolo in Messico è stata ostacolata. Si sono avuti periodi di bilinguismo e diglossia
perché hanno avuto contrasti con le lingue amerinde.
La storia delle lingue romanze in Europa è una storia di sopraffazione sulle lingue di minoranza. Questi conflitti sono ancora aperti come con il castellano e il
catalano.
Il modo in cui si indica una parlata può essere di 3 tipi:
• lingua: parlata che abbia un riconoscimento ufficiale da un’entità politica. Questo processo ha sempre un’origine politica.
• dialetto: contraddistinto dall’uso parlato, dalla mancanza fissazione grammaticale e ortografica e limitato a un’area geografica.
• varietà: può essere una lingua o un dialetto.

Varietà romanze in Europa:


Esistono 4 aree linguistiche romanze:
1. Ibero-romanza a ovest: si tratta della penisola iberica; portoghese, castigliano, catalano, gallego e basco (non è una lingua romanza). Le lingue che si
distinguono come lingue nazionali sono il castigliano e il portoghese. Il termine spagnolo è stato introdotto nel 1511 nella traduzione castellana di un
romanzo catalano. Il gallego e il catalano rappresentano due varietà non ufficiali della Spagna, avendo una cultura alle spalle, represse solo durante la
dittatura di Franco. Attualmente sono riconosciute a livello regionale;
2. Oltre i Pirenei troviamo l’area Gallo-romanza, che corrisponde ai confini politici dell’attuale Francia. La situazione linguistica è più compatta con una lingua
nazionale il francese e nessuna lingua con riconoscimento di lingua regionale. Nel medioevo la Francia era linguisticamente frammentata, troviamo la
varietà del franciano (1400) che si trovava intorno alla città di Parigi. Il franciano successivamente si trasformò in francese all’inizio del 500,
emarginando le altre varietà. Queste varietà venivano comunque usate come per esempio l’occitano a sud, che si chiama così da oc, ovvero come si
diceva si in quella lingua. Nel medioevo la Francia era caratterizzata da due famiglie linguistiche: famiglia settentrionale con le varietà d’oïl, che
comprendeva diverse varietà come il franciano e il piccardo, e una parte meridionale con le varietà d’oc. Troviamo anche qui un confine geografico,
ovvero il massiccio centrale, che divide le lingue d’oïl dalle lingue d’oc. La penisola bretone è ancora un territorio di lingue bretone (celtica, non
romanza);
3. Le Alpi sono un altro confine che staccano la terza area romanza cioè la Italo-romanza. Il sardo fa varietà a sé insieme alla Corsica. Il corso è una varietà italo-
romanza.
4. L’area romanza-orientale o balcano-romanza è occupata dalla Romania, con una struttura grammaticale simile a quella latina ma con un lessico fortemente
slavizzato.

Le Grandi aree Romanze:


Alla fine del XIX secolo, la linguistica romanza ha identificato quattro grandi aree all'interno del dominio romanzo nell'impero, suddividendole in base a tratti
fonetici comuni. Queste aree sono caratterizzate da varietà linguistiche che condividono caratteristiche fonetiche, e la classificazione si estende anche alle sotto-
varietà, come l’occitano e il provenzale. Le differenze fonetiche tendono a coincidere con isoglosse geografiche, influenzate dalla conformazione del territorio.
Infatti, la presenza di catene montuose come i Pirenei, il Massiccio Centrale e le Alpi ha spesso isolato tratti linguistici, creando aree linguistiche ben distinte.
Inoltre, si possono trovare varietà ibride in zone di confine, definite "varietà ponte", che presentano caratteristiche di entrambe le aree linguistiche. Ad esempio, il
catalano funge da lingua ponte tra la varietà ibero-romanza e quella gallo-romanza, e il dalmatico (quest'ultimo estintosi alla fine dell'Ottocento) mostrano elementi
sia dell’italo-romanza che della romanza-orientale. Presenta molte caratteristiche molto forti proprie e tratti che lo avvicinano alle varietà settentrionali orientali del
veneto, ma ha caratteristiche forti anche con il romeno.

AREA IBERO-ROMANZA:
L’area ibero-romanza comprende principalmente la Spagna e il Portogallo, al cui interno
troviamo diverse varietà linguistiche. In Spagna, molte di queste varietà sono
riconosciute a livello regionale, tra cui il gallego (Galizia), il navarrese, l’aragonese
(nella zona settentrionale), il catalano (in Catalogna) e il castigliano, che è la lingua
ufficiale. Da notare anche l’accento andaluso al sud. Le varietà varicano anche il confine
politico, infatti il catalano è riuscito a varicare il confine con la Francia (Roussillon).
Particolare attenzione merita il basco, una lingua antica che precede la diffusione delle
lingue indoeuropee. Situato tra Francia e Spagna, il territorio basco è un’isola linguistica
che ha generato tensioni sociali, culminate in atti di terrorismo da parte dell’ETA:

La situazione della penisola iberica nel medioevo:


La frammentazione linguistica nella penisola iberica è il risultato di un’evoluzione
storica movimentata, segnata dalla conquista araba nel 711. Gli arabi (berberi), guidati da
Taliq, conquistarono gran parte della penisola passando dallo stretto di Gibilterra,
spingendo le popolazioni neolatine a nord. Cercarono di sorpassare anche il confine
spagnolo e di andare in Francia, ma furono respinti nel 732 a Poitier da Carlo Martello.
Gli arabi si stabilirono con la popolazione locale di lingua neolatina con rapporti pacifici,
ci fu un avanzamento dal punto di vista culturale, soprattutto nella matematica, medicina
e filosofia. La penisola iberica fu dei centri culturali e di incontro e di traduzione delle
diverse lingue che si parlavano in quel momento, dall’arabo in latino al castigliano.
Questa interazione culturale ha dato vita a un’importante ibridazione linguistica,
culminata con la formazione del Mozarabico, un misto tra arabo e il romanzo locale,
lingua di comunicazione tra le culture. Le testimonianze letterarie liriche mozarabiche
risalgono al X secolo e sono caratterizzate da influenze arabe, ebraiche e neolatine.
Successivamente alla Riconquista, avviata per riprendere i territori spagnoli sotto il dominio arabo, abbiamo le prime entità politiche e linguistiche della penisola
iberica:
- La Galizia;
- Il Regno di León, con una sua varietà,
- Il Regno di Castiglia,
- Il Regno di Navarra,
- Il Regno di Aragona,
- La Contea di Barcellona, non si tratta di un regno, ma di un’entità di tipo feudale che avevano rapporti con i feudi francesi perché essi erano anche
feudatari della Provenza. La produzione scritta del catalano si avrà molto tardi con il maggior esponente Llull, che fondò il catalano scritto letterario.
Prima di questo, il catalano era una varietà parlata, perché per la poesia lirica si usava il provenzale, lingua dove era stata prodotta la grande lirica
volgare europea, e anche per questioni politiche.
Quando vennero riconquistati i territori iniziarono a instaurarsi rapporti tra questi regni, con l’imposizione politica e linguistica del Regno di Castiglia. Nella metà
del XIII secolo teniamo in considerazione due re castigliani, Ferdinando III e Alfonso X. La corte di Alfonso X ha sede a Toledo e diventa un importante centro di
traduzione di testi in castigliano.

Gallego-portoghese:
C’è un’altra varietà romanza che fa concorrenza, cioè il gallego-portoghese. Nel medioevo la zona del Portogallo era caratterizzata da un’unità linguistica molto
forte dove si parlava gallego-portoghese, che è una lingua letteraria usata soprattutto nella lirica. Essa veniva nominata anche come lingua koinè letteraria, cioè una
lingua a uso letterario e non parlato. Alla base della produzione del gallego-portoghese medievale troviamo il genere delle cantigas. Le cantigas sono
componimenti lirici di 3 tipi tematici e formali:
- Cantigas de amor, in cui l’io lirico maschile parla d’amore;
- Cantigas Escarno e Maldizer, poesie di scherno (offesa) e di maldicenza, sono delle poesie satiriche;
- Cantigas de amigo, canzoni di amico, ma bisogna intendere l’amico come l’amante. Sono liriche a voce femminile, dove l’io femminile si lamenta per
la lontananza dell’uomo. Rappresentano la produzione lirica europea a voce di donna.
Alfonso X compone delle cantigas religiose che parlano di Maria, cantigas narrative che raccontano i miracoli della vergine, composte in gallego-portoghese.
Con la formazione del Regno di Portogallo nel 1093, abbiamo una divisone linguistica tra gallego (nord), che continua come varietà, e una varietà linguistica (sud)
cioè il portoghese, che è l’esito moderno dell’antico gallego-portoghese. Il portoghese comincia a definirsi come lingua di stato quando si ha la formazione del
Portogallo nel 1139. Nel 1143 viene nominato un primo re di Portogallo, Alfonso Henriques, riconosciuto dal re di Castiglia. Da quel momento Lisbona comincia
a porsi come centro politico e culturale del regno.
Il gallego conosce un periodo di fioritura durante il romanticismo perché c’è la volontà di riportare in auge lingue cadute precedentemente, dopodiché conosce un
altro periodo di decadenza con la dittatura di Franco, fino a essere riconosciuto come lingua regionale dopo la caduta dei Franco (1975). Nel 1979 si crea la
Costituzione spagnola e, successivamente le lingue di minoranza sono riconosciute come lingue regionali. Si accompagna anche un porcesso di fissazione
grammaticale e ortografica (1983).
Il castigliano comincia a diventare la lingua principale, acquistando un ruolo importante dopo “La Reconquista”. In epoca moderna, nel 500, comincia anche la sua
fortuna extra europea, grazie a 2 canali di diffusione:
- La cacciata degli ebrei dalla penisola, che si diffondono in altre zone dell’europea e andando a diffondere la loro lingua ibero-romanza. Questa lingua,
mischiata all’ebraico, ha caratteri di arcaicità. È un tipo di castigliano che risalendo al tardo medioevo conserva tratti arcaici;
- La colonizzazione del continente americano, che ha portato lo spagnolo a essere la lingua romanza più parlata al mondo.

Il catalano, inizialmente fiorente nel Medioevo, conobbe un declino a partire dal Quattrocento, quando fu soppiantato dal castigliano. Tuttavia, durante il
Romanticismo, il catalano rivisse grazie a Pompeu Fabra, che ne promosse la normalizzazione grammaticale. Solo nel 1779 il catalano fu riconosciuto come lingua
regionale, parallelamente al castigliano.

Le varietà aragonese e navarrese, al contrario, sono rimaste prive di riconoscimento ufficiale e sono oggi considerate dialetti.

AREA GALLO-ROMANZA:

L’area gallo-romanza rappresenta un contesto storico e linguistico ricco e variegato,


caratterizzato dalla conquista dei popoli da parte di Giulio Cesare attraverso le guerre
galliche, avvenute alla metà del I secolo a.C. Per questioni geografiche e storiche si
distinguono:
- Una parte settentrionale, che comprende le varietà oitaniche o lingue
d’oil;
- Una parte meridionale, che comprende le varietà occitaniche;
- Delle aree di confine, da un punto di vista linguistico, con varietà ibride.
Particolarmente interessante è la penisola della Bretagna, che ospita il Bretone, una
lingua celtica considerata un relitto delle antiche parlate celtiche un tempo diffuse.
Mentre il celtico in Francia si estinse nel V secolo a.C., la sua evoluzione proseguì in
Irlanda e Scozia. Questa area è cruciale per la storia letteraria europea, poiché qui si
sviluppa una cultura scritta in volgare, con le prime testimonianze che risalgono alla
Francia settentrionale. Tra i più antichi monumenti letterari in volgare, troviamo:
- La “Sequenza di Santa Eulalia”, risalente alla seconda metà del IX secolo;
- Le “Formule dei giuramenti di Strasburgo”.
In questo periodo, le lingue regionali iniziano a guadagnare autonomia e si preparano
a un uso più ampio nella produzione scritta. Da un lato, a nord fiorisce la letteratura
narrativa (romanzi in volgare). Il romanzo getta le basi per un intero immaginario
poetico, letterario e narrativo, un esempio è Tristano e Isotta. Queste storie sono di
matrice Bretone, facendo si che si crei un incontro tra la cultura celtica e quella
latina. Successivamente al successo del romanzo, nasce la narrativa satirica, che in Italia viene intercettata da Boccaccio. Dall’altro lato, a sud si sviluppa una
grande tradizione lirica grazie ai trovatori, con una poesia che rappresenta temi e forme del tutto originali.
Il primo trovatore di cui abbiamo notizia è Guglielmo IX d’Aquitania (1071-1126), un feudatario di grande prestigio, più potente dello stesso re di Francia. È
considerato il primo poeta volgare e lirico della letteratura europea. Raccoglieva diversi titoli come:
- Duca d’Aquitania, perché possedeva il ducato della parte centrale della Francia;
- Conte di Poitiers. I primi testi lirici vanno sotto il nome di Coms de Peitieu.
Le sue poesie, caratterizzate da una metrica perfetta, esplorano l’amore in una forma che riflette la sottomissione e la tensione erotica. Questa concezione d’amore
si esprime attraverso una relazione feudale, dove la donna è vista come il signore e l’amante come il vassallo. In queste poesie, per parlare della donna, utilizza
l’appellativo di Midoms (mio signore). Guglielmo IX scrisse circa dieci poesie, contribuendo così a stabilire modelli metrici e stilistici che influenzeranno
profondamente la lirica europea nei secoli a venire.

Perché prevale la varietà settentrionale?


Alle origini vediamo le varietà oitaniche:
- Il Piccardo, che resta una varietà letteraria;
- Il Normanno, che non è una varietà germanica. La storia del normanno nasce quando un gruppo di questi arrivò nel 911 nel nord della Francia
(Normandia). Il principe Rollo, capo dei normanni, insieme al suo popolo acquisiscono la lingua locale abbandonando le abitudini e la religione
d’origine, convertendosi al cristianesimo (francesizzati). Questo normanno nei secoli successivi (X e XI) non ha lasciato nulla di scritto, ma ha avuto un
successo nei secoli a venire. Successivamente si trasforma in un ducato, ducato di Normandia. Ci troviamo in questa situazione quando alla fine dell’XI
secolo in Inghilterra c’è un problema di successione perché muore, nel 1066, il re inglese Edoardo il confessore e si apre una lotta di successione. Come
primo re venne eletto Aroldo. Non riconosciuto da tutti, si fa avanti il duca di Normandia Guglielmo. Nell’ottobre 1066 organizza una spedizione per
conquistare l’Inghilterra meridionale; batte gli inglesi a Hastings e dopo questa conquista prende il nome di Guglielmo il conquistatore. Dopo questa
francesizzazione, in quella zona viene parlato il francese normanno che diventa francese d’Inghilterra e produce una prima grande letteratura in lingua
francese (anglonormanno). Nell’anglonormanno è scritto un romanzo tristaniano “il Tistan di Thomas” chierico anglonormanno che scrive in questa
lingua. Per tutto il XII secolo e la fine del XIII secolo l’anglonormanno è la lingua più utilizzata, lasciando poi spazio ad altre lingue nei secoli
successivi.

Tuttavia, mentre le verità occitaniche continuano ad essere lingue attive nel sud della Francia, si verificano aventi storici che minacciano la loro esistenza. Tra il
1209 e il 1229, il papa Innocenzo III, in accordo con il re di Francia Filippo II, indice una crociata contro gli albigesi, accusati di eresia. Questa guerra di religione,
con forte carattere politico, porta alla devastazione delle corti e dei feudi meridionali, che erano già in conflitto con la corona francese. I poeti, in cerca di rifugio e
opportunità, si trasferiscono in altre corti europee, specialmente in Italia (Veneto), dando inizio a un fenomeno noto come Diaspora trovadorica. Questo
movimento non solo diffonde la poesia trovadorica, ma fa dell’Italia un centro di produzione lirica attivo in Europa. I territori conquistati vengono consegnati al re.
Da qui comincia il declino dell’occitania, perdendo importanza.

La situazione linguistica, prima di questa tragedia, era molto distinta con alcune varietà che avevano un prestigio letterario molto importante, come il Limosino.
Troviamo anche lingue di confine come il Pittadino, che condivide alcuni tratti con le varianti settentrionali e altri con le varianti meridionali. Per esempio, la
“canzone” veniva chiamata nella zona meridionale “canso”, mentre nella zona settentrionale “chanso”. Ed è per questo che nel Pittadino coesistono entrambe le
forme. Esiste un’altra varietà che si chiama Guascone, ma vinee subito accantonata perché ritenuta rozza.

Contemporaneamente, nel nord della Francia, la situazione linguistica subisce cambiamenti significativi. Con l’affermazione del franciano, promosso da Enrico IX
come lingua dell’amministrazione e della cultura, molte varietà regionali iniziano a essere marginalizzate. Il culmine di questo processo si ha con l’editto di
Francesco I nel 1539, che impone l’uso esclusivo del francese in tutti gli atti ufficiali, riducendo le altre lingue a semplici dialetti (Patois). La varietà
dell’anglonormanno cede le armi all’inglese, perché il ducato di Normandia e l’Inghilterra verranno divisi con la separazione anche delle lingue. Quasi l’80% della
lingua inglese ha radici nell’anglonormanno, una lingua di origine romanza. Questo ha portato a una significativa presenza di termini francesi, specialmente nel
campo giuridico, dove troviamo l’uso del Law-French.

Nel XIX secolo, ci fu un tentativo di riscoperta dell’occitano, guidato da un gruppo di scrittori come Frédéric Mistral. Questi letterati volevano portare l’occitano
alla ribalta come lingua della letteratura. Tuttavia, questo progetto incontrò molte difficoltà, principalmente a causa della diversità dei dialetti che caratterizzano la
lingua occitana. Per promuovere questa causa, venne fondato il movimento dei Félibres, il cui nome significa “succhiatori del latte delle muse”. I Félibres si
impegnarono a valorizzare la lingua e la cultura occitana, dando vita a opere letterarie e contribuendo a creare un tesoro linguistico. Nonostante i loro sforzi, il
movimento non ebbe il successo sperato, poiché mancava una cultura letteraria unitaria che potesse sostenere l’occitano. Tuttavia, la lingua riuscì a superare i
confini e a diffondersi anche in Italia. Un passo importante per la tutela delle lingue minoritarie si ebbe nel 1951 con l’introduzione della legge Deixonne, che
mirava a proteggere e valorizzare le lingue di minoranza in Francia.

Franco-Provenzale:
Un’altra varietà linguistica di grande rilevanza è il franco-provenzale, la cui esistenza non fu ufficialmente riconosciuta fino alla seconda metà dell’800. Questa
lingua, nonostante non avesse documenti storici antichi, possiede una produzione letteraria di notevole valore, con opere come il “Roman d’Alexandre” e “Girart
de Roussillon” oggi il franco-provenzale è tutelato dalla legge italiana con la legge 482/1999 per le minoranze linguistiche, rappresentando una parte importante
del patrimonio culturale.

GRAFIA DEL FRANCESE:


Infine, l’evoluzione della grafia del francese ha avuto un impatto profondo sulla storia della lingua. A partire dal V secolo, il francese ha attraversato diverse fasi:
- L’antico francese, con cui si intende il francese dalle origini fino alla fine del XIII secolo;
- Il medio francese, fino al XV secolo, dove abbiamo un importante cambiamento linguistico con l’abbandono della declinazione casuale;
- Il francese moderno, dal 500 fino ad oggi.
Questo processo ha comportato una progressiva normalizzazione grafica e grammaticale, fissando regole rigorose di ortografia e pronuncia. Questa rigidità è stata
accentuata da un’azione politica volta a creare una grafia etimologizzante, ispirata al latino e al greco (physique), con l’ambizione di conferire alla lingua una
dignità classica.
La scrittura, soprattutto nei contesti dei semi analfabeti, tende a restituire ciò che viene percepito nella comunicazione orale. Un esempio interessante è il
raddoppiamento fonosintattico, in cui la consonante iniziale di una parola viene raddoppiata quando la sillaba precedente è atona e termina in vocale. Negli scritti
medievali, gli autori cercavano di riflettere la pronuncia che percepivano, poiché non esisteva una norma grammaticale stabilita. Ciò porta ha una variazione
grafica dei fenomeni. Per esempio, le forme “Fille” e “Figlia” (palatale laterale) derivano entrambe dal latino “filia”, ma si scrivono in modi diversi. Questa varietà
grafica è una manifestazione di come i volgari romanzi abbiano creato segni per restituire il suono nel parlato. Non sorprende che la variabilità grafica persista
ancora oggi. Un copista non aveva problemi a scrivere suoni in modi diversi per riflettere la pronuncia. Un esempio di questa pratica si può trovare un’iscrizione
antica che riporta “A bboce”. Qui, chi ha scritto ha utilizzato quella forma perché, pronunciandola, sembrava che il suono fosse doppio, dando vita a un fenomeno
noto come betacizzazione dell’affricata. Infine, è importante notare che, fino alla fine dell’800, l’italiano non aveva una norma ortografica fissa, il che contribuiva
ulteriormente a questa variabilità.

AREA ITALO-ROMANZA:
L’Italia è un’area caratterizzata da una straordinaria frammentazione linguistica. Infatti, nessun’altra lingua romanza
presenta una varietà così ampia e differenziale come quella italiana. Le diverse parlate si differenziano notevolmente
l’una dall’altra e sono sostenute da tradizioni regionali molto attive e variegate. Nonostante ci sia un italiano standard,
la penisola non è ancora linguisticamente unificata. L’italiano standard è stato ufficialmente imposto dallo Stato nel
1861, in coincidenza con l’unità d’Italia. Questa decisione mirava a diffondere la lingua italiana così come era stata
concepita da intellettuali dell’epoca, come Manzoni. I primi manuali di ortografia sono stati pubblicati in questo
periodo, ma la vera diffusione della lingua è avvenuta solo attraverso i mezzi di comunicazione di massa, come la radio
e la televisione, che hanno scelto come base il fiorentino. Tuttavia, questo processo di unificazione ha avuto
conseguenze negative, alimentando conflitti tra le diverse regioni, in particolare tra nord e sud, e generando tensioni
autonomiste.
Le origini latine della lingua sono nel:
- Lazione meridionale;
- Campania settentrionale.
Queste zone sono state cruciali per lo sviluppo del latino, dando vita a differenze significative all’interno della lingua. L’Italia ha in sé una grande varietà di
sistemi fonetici delle lingue romanze, organizzati in quattro modelli principali, ognuno dei quali rispecchia il vocalismo di un’area. Tra questi, spiccano il sistema
vocalico del sardo e quello del siciliano, che si presentano come entità a sé stanti. Un aspetto interessante è rappresentato dalla linea La Spezia-Rimini, che divide
le varietà settentrionali dal resto della penisola.
- Questa linea evidenza differenze notevoli, soprattutto nei dialetti gallo-italici, che includono il piemontese, il lombardo e una parte dell’Emilia-
Romagna. Questi dialetti condividono tratti con le varietà gallo-romanze, come il francese, e presentano peculiarità come la mancanza di vocali finali
nelle parole (parole tronche), lessico composto da parole piane e sdrucciole e la “u” palatalizzata del francese.
- I dialetti veneti, invece, si caratterizzano per un forte fenomeno di lenizione delle consonanti intervocaliche (cavei = capelli), cioè l’indebolimento delle
consonanti intervocaliche.
- I dialetti toscani, in particolare il fiorentino, rappresentano una varietà di prestigio al centro di un’evoluzione linguistica.
- I dialetti centro-meridionali, che mostrano piccole differenze al loro interno, suddividendosi in mediani meridionali estremi.
- Nella penisola salentina, nella Calabria meridionale e in Sicilia, si riscontra un sistema vocalico simile che presenta vocali medie aperte (e, o).
Ci sono altre tre aree importanti:
- I dialetti della Sardegna e il corso hanno caratteristiche comuni con il sardo;
- Le varietà romanze, che comprendono il Romancio, il Ladino e il Friulano.

IL SARDO
Il sardo è una lingua affascinante che presenta un sistema fonetico caratterizzato da vocali medie chiuse (e, o). L’isola, linguisticamente e storicamente, ha
conosciuto diverse fasi di dominazione:
- La fase aragonese (Spagna) nel 1324;
- La fase italiana a partire dal XIII secolo, annessa al Ducato di Savoia e successivamente al Regno d’Italia.
Questa lingua ha mantenuto alcuni tratti molto conservativi rispetto al latino, rendendola una delle varietà romanze più vicine alle origini. Ad esempio, in alcune
varianti sarde si conservano i morfemi -t e -nt nella terza persona singolare e plurale dei verbi. Inoltre, la velare latina /k/ è stata preservata davanti a vocali
anteriori, come si può notare nelle parole “chentu” (cento) e “anghelu” (angelo), rispetto all’italiano. Un’altra particolarità è che alcuni sostantivi neutri
mantengono la -s latina. Ad esempio, mentre in italiano “corpo” ha perso la desinenza, in sardo si trova “corpus”. Queste caratteristiche rendono il sardo una
lingua unica, che ha goduto di una certa tutela grazie alla legge 482/1999, la quale consente l’insegnamento della lingua nelle scuole e nella pubblica
amministrazione.

È interessante notare che la situazione linguistica in Sardegna non è uniforme: il campidanese, parlato a Cagliari, è considerato la verità più autentica. Man mano
che ci si sposta verso il nord dell’isola, si notano maggiori influenze toscane, soprattutto nel logudorese, nuorese, gallurese e sassarese, che hanno subito
mutazione significative, perdendo alcune caratteristiche del vocalismo sardo (hanno medie, aperte e chiuse). Questa influenza del toscano si è consolidata a partire
dal Medioevo centrale, in particolare dopo la battaglia della Meloria nel 1284 tra pisani e genovesi, che segnò la fine del potere politico di Pisa. Curiosamente, i
più antichi testi scritti in volgare sono in pisano, mentre il fiorentino, che inizialmente aveva un’importanza minore, è diventato dominante grazie a figure come
Dante.

Infine, i dialetti corsi, che fanno parte dell’area italo-romanza, mostrano varietà toscanizzate nel nord e si collegano alle varietà della Sardegna nel sud.

NORME AREALI:
Nel 1925, Matteo Giulio Bartoli propose un’interessante teoria sull’evoluzione fonetica delle lingue, utilizzando le varianti sarde come punto di riferimento.
Bartoli si concentrò sulla cronologia e sulla distribuzione geografica dei fenomeni linguistici, suggerendo che ci sono delle norme che possono aiutarci a capire
come e perché certe forme linguistiche prevalgono su altre.
1. La prima norma è quella dell’area isolata, rappresentata dalla Sardegna. Secondo Bertoli, tra due forme, come “chentu” e “cento”, la forma più antica si
trova nell’area più isolata. In questo caso, “chentu” è considerata la forma originale, essendo rimasta in uso nell’isola;
2. La seconda norma riguarda le aree laterali, come il centro Italia. Bertoli sostiene che, tra due forme, quella delle aree laterali è più antica rispetto a
quella delle aree centrali. Questo perché i cambiamenti fonetici partono dal centro e le zone più periferiche tendono a mantenere le forme tradizionali.
Un esempio di questa norma è visto nel comportamento linguistico delle regioni dell’Italia settentrionale;
3. La terza norma è quella dell’area maggiore. Bartoli afferma che, tra due forme, la più antica è quella in uso in un’area più estesa. Un caso significativo
è quello di termini come “FRATER”, diffuso nell’area gallo- e italo-romanza e romeno, e “GERMANUS”, diffuso nell’area ibero-romanza, che
mostrano come le forme linguistiche cambino a seconda dell’ampiezza dell’area geografica;
4. La quarta norma è quella dell’area seriore, ovvero più tardo. Secondo questa norma, tra due forme, la più antica è quella in uso nelle zone romanizate
più recentemente. Per esempio, “COMEDERE”, “comer” in spagnolo e portoghese, e “MANDUCARE”, in fiorentino e “manger” in francese. Fra
queste due forme sappiamo che “comedere” è la forma più antica.

RETOROMANZO:
Il gruppo italo-romanzo è una definizione relativamente recente, introdotta da Ascoli. Questo gruppo comprende tre varietà linguistiche:
- Il Ladino;
- Il Romancio;
- Il Friulano.
Ascoli ha scelto di chiamare l’intero gruppo “Ladino”, ma attualmente si preferisce riferirsi a queste lingue come varietà del gruppo retoromanzo. Le parlate di
questo gruppo si trovano in due aree italiane e una svizzera. In Italia, il ladino è parlato tra Trentino e Veneto ed è riconosciuto come lingue di minoranza,
specialmente in provincia di Bolzano, dove è affiancato dal tedesco. Il friulano, invece, gode di una tradizione scritta consolidata.
In Svizzera, troviamo il romancio, che è parlato nel Canton Grigioni. Questa lingua ha dovuto affrontare la necessità di una fissazione grafico-grammaticale per
essere meglio strutturata e utilizzata. È interessante notare che queste varietà linguistiche sono spesso considerate ibride. In Svizzera troviamo quattro lingue
ufficiali e sono l’italiano, il romancio, il francese e il tedesco.

L’ITALIANO:
Nel corso del Quattrocento, la penisola italiana ha subito un significativo processo di toscanizzazione, che ha ridotto la presenza di dialetti autentici. Questo
fenomeno non è stato solo un cambiemento linguistico, ma ha influenzato profondamente l’identità culturale e nazionale degli italiani. Prima dell’unificazione,
l’idea di “Italia” come comunità geogrefica non era ancora definita; tuttavia, con la crescente affermazione della lingua fiorentina, si iniziava a concepire l’idea di
una nazione unita sotto un’identità linguistica condivisa.

L’importanza di Dante Alighieri:


Al centro di questa evoluzione di trova Dante Alighieri (1265-1321), figura chiave del Trecento. Dante affronta il problema di trovare una lingua letteraria in
un’epoca in cui il latino è ancora la lingua predominante per la cultura e la scrittura. Nel suo trattato “De vulgari eloquentia”, Dante esplora le varie lingue volgari
dell’epoca che hanno già trovato un’espressione nella letteratura, alcuni esempi sono il provenzale, il francese e volgari italiani che conosceva. Propone una lingua
poetica che si avvicina alla purezza del latino classico, rifiutando le forme ritenute “rozze”, come nel caso del volgare di Guittone d’Arezzo (aretino). Inoltre, è lui
che dà per la prima volta il nome alle varie verietà secondo un criterio grammaticale, ovvero come veniva pronunciata la parola “si”. A Firenze, negli ultimi anni
del 200, grazie alla presenza di importanti poeti come Dante e Cavalcanti, Dante propone il fiorentino come il volgare che può fare la letteratura. Lui stesso usa il
volgare in un modo che non era mai stato usato prima, come vediamo nella commedia dove troviamo parole nuove.
La fortuna ha voluto che, sul modello dei Dante, anche poeti successivi come Bocaccio e Petrarca utilizzassero il volgare, contribuendo così alla formazione della
lingua italiana. Boccaccio nonostante non fosse fiorentino, iniziò subito a scrivere in volgare e si impegnò a portare avanti il lascito di Dante, scrivendo persino
una biografia su di lui. Fu incaricato di consegnare alla figlia di Dante, monaca in convento, dei soldi come segno di pentimento da parte del comune di Firenze.
Dall’latra parte, Petrarca si pose in un atteggiamento di antagonismo verso Dante e Boccaccio. Nel suo famoso “Canzoniere”, Boccaccio adotta una lingua filtrata,
ma chiaramente fiorentina. L’emergere di questi tre autori nel. Trecento ha avuto un impatto duraturo sulla lingua italiana, creandoriferimenti essenziali per le
generazioni future, note come le “tre corone”. Un ruolo cruciale nel dibattito sulla lignua fu svolto da Pietro Bembo (1470-1547), un cardinale della corte romana.
Nel 1525 pubblicò le “Prose della volgar lingua”, dove propose che la lingua letteraria dovesse basarsi su una delle varianti toscane, dando vita a una competizione
tra il fiorentino e il senese. A questo punto, nei primi anni del Seicento, iniziò a prendere forma una vera e propria organizzazione per sostenere queste idee. Già
nel 500, un gruppo di intelletuali fondò l’Accademia della Crusca, dedicata a codificare il fiorentino sia dal punto di vista lessicale che letterario. Questa
accademia pubblicò nel 1612 il primo vocabolario italiano, un’opera storica che non solo raccoglieva le voci, ma includeva anche esempi d’uso presi da autori
prestigiosi. Tuttavia, l’Accademia della Crusca, pur avendo fornito una base per la lingua italiana, ha anche un effetto limitante. Ha creato una separazione tra la
lingua letteraria e quella parlata, a differenza di quanto accadeva in altri paesi, portando a un certo congelamento della lingua stessa. Arriviamo così all’800, un
periodo in cui autori come Manzoni cercavano di “pulire” la lingua del proprio romanzo tornando al fiorentino, mentre altri, i puristi, si aggrappavano all’ideadi
scrivere come le tre corone. Tra questi puristi spiccava Cesari, un fervente sostenitore della tradizione linguistica. Oggi, la lingua italiana che parliamo è il risultato
di un luogo processo di evoluzione, che ha mantenuto una forte vicinanza con la lingua aulica medievale. Questa contrasta fortemente ciò che accade in Francia,
dove la distanza tra la lingua del Medioevo e quella moderna è molto più marcata.

AREA ROMANZA ORIENTALE:

L’evoluzione delle lingue romanze è fortemente influenzata da eventi stroici che


ne hanno segnato lo sviluppo. Una delle linee più significativo in questo
conetesto è la linea La Spezia-Rimini, che funge da confine tra le varietà romanze
occidentalu e quelle orientali. Le varietà romanze occidentali includono l’area
ibero-romanza, l’area gallo-romanza e i dialetti italiani settentrionali. D’altro
canto, le varietà romanze orientali comprendono principalmente il romeno e le
varietà centro-meridionali. Quando ci concentriamo sull’area romanza orientale,
ci troviamo di fronte a una realtà linguistica unica. Qui, il romeno rappresenta
un’isola latina all’interno di un contesto geografico e culturale prevalentemente
germanico e slavo. Questa situazione di isolamento è il risultato di un processo
storico che risale alla romanicizzazione tardiva della regione. La dacia, l’odierna
Romania, venne conquistata dai romani nel 106 d.C. sotto l’imperatore Traiano.
Questo periodo segnò la massima espansione dell’Impero Romano. Tuttavia,
questa conquista si rivelò temporanea. L’Impero iniziò a entrare in crisi a causa
delle sue dimensioni enormi e delle pressioni esterne da parte dei popoli
barbarici. Tra il 271 e il 274 d.C., i romani furono costretti a ritirarsi dalla Dacia,
abbandonando la regione. Nonostante questo, alcuni coloni romani rimasero sul
territorio, continuando a parlare latino e contribuendo così alla persistenza della
lingua.

La continuità della lingua latina in questa regione è stata essenziale per lo


sviluppo del romeno. I coloni romani, che includevano agricoltori e artigiani, furono tra i principali responsabili della diffusione del latino. La lingue che si è
evoluta nel tempo ha mantenuto molte strutture grammaticali latine e ha conservato caratteristiche più antiche rispetto ad altre lingue romanze. Tuttavia, la
presenza di popoli slavi e altri gruppi etnici ha avuto un impatto significativo sul lessico romeno, rendendo più difficile l’intercomprensione con altre lingue
romanze. Il romeno, quindi, presenta una ricca mescolanza di influenze, pur mantenendo la sue radici latine.

Un altro aspetto interessante riguarda la documentazione del romeno. Le prime testimonianze scritte risalgono all’inizio del 500 d.C., con il primo documento
significativo rappresentato dalla lettera di un mercante del 1571. Questo ritardo nella documentazione è dovuto anche ai cambiamenti nellìalfabeto e nella scrittura.
Per molti secoli, il romeno fu scritto utilizzando l’alafabeto cirillico. Questa situazione cambiò a partire dal XIX secolo, quando ci fu una rioccidentalizzazione
della lingua. Nel 1840, con la formazione dell’attuale stato della Romania, vennero uniti i diversi principati locali e adottata una politica culturale e linguistica
volta a recuperare le radici latine del romeno. Fu in questo periodo che si riadattò l’alfabeto latino, permettendo così un maggiore contatto con le altre lingue
romanze, in particolare il francese, e contribuendo a una sorta di “rilatinizzazione” del lessico.

Dopo la caduta del regime comunista, anche nella refgione della Moldavia si tornò all’alfabeto latino, segnando un ulteriore passo verso l’integrazione con il resto
delle lingue romanze. È importante anche considerare le varietà minori del romeno, come il meglero romeno e l’istro romeno, che rappresentano importanti
varianti locali e arricchiscono il panorama linguistico della regione. In conlusione, la storia del romeno è caratterizzata da una complessa interazione tra fattori
storici, linguistici e culturali. Le sue radici latine si sono mescolate con influenze slave e latre, dando vita a una lingua unica continua a evolversi nel contesto
europeo contemporaneo.

DALMATICO:
Il dalmatico rappresenta una vairetà linguistica interessante, fungendo da ponte tra l’italo-romanzo e il balcano-romanzo. Si è sviluppato principalmente in Istria e
Dalmazia, con due località chiave: Veglia e Ragusa, oggi in Croazia. È importante notare che il dalmatico è considerato una lingua estinta. La sua sotria è molto
antica e documentata, con testi medievali che attestano la sua esistenza. Tuttavia, nel corso dei secoli, il dalmatico ha subito una progressiva erosione, in gran parte
a causa dell’influenza di ligue slave e del Veneto, fino a scomparire definitivamente alla fine del 1800. Uno degli ultimi parlanti di questa lingua è stato Matteo
Giulio Bartoli, che ha dedicato parte della sua vita allo studio del dalmatico. Prima della sua morte nel 1898, ha avuto l’opportunità di intervistare l’ultimo parlante
e ha prodotto una grammatica della lingua, pubblicata nel 1906. Dal punto di cista linguistico, il dalmatico presenta tratti arcaici molto interessanti. Ad esempio,
conservava l’occlusiva velare sorda e sonora davanti alle vocali anteriori, una caratteristica che possiamo ritrovare anche nel Sardo. Inoltre, a differenza di molte
altre varietà romanze orientali, il dalmatico non presenta lenizione delle intervocaliche e mostrava una dittongazione particolarmente ricca. In sintesi, il dalmatico
non è solo una lingua estinta, ma anche una testimonianza preziosa della storia linguistica dell’area adriatica e delle sue interazioni con le altre culture e lingue nel
corso dei secoli.

PARTE STORICO LINGUISTICA:


Durante il medioevo, la concezione delle lingue e delle famiglie linguistiche era estremamente limitata. La maggior parte degli studiosi, incluso Dante Alighieri,
considerava il latino come una lingua puramente scritta, creata dai dotti dell’antichità. Dante, in particolare, riteneva che i romani parlassero un volgare, una lingua
che era percepita come inferiore rispetto al latino. La sua idea era influenzata dalla storia biblica della Torre di Babele, in cui si credeva che le lingue fossero state
create come diversità da Dio. Dante si rese conto delle somiglianze tra il latino e le lingue romanze, ma le spiegava in termini di una sorta di filtraggio: il latino
sarebbe stato "contaminato" dalle lingue volgari. Credeva che la somiglianza tra le lingue si manifestasse solo nel lessico, non nelle strutture grammaticali, una
visione che limitava la comprensione delle lingue come sistemi complessi.
Il cambiamento significativo avvenne alla fine del XVIII secolo e all'inizio del XIX secolo, quando cominciarono a emergere teorie più sistematiche e scientifiche.
William Jones, un giudice britannico in India, fu uno dei primi a notare le affinità tra lingue diverse. Nel 1786, durante una conferenza, presentò le sue
osservazioni sulla somiglianza tra il sanscrito, il latino e il greco, suggerendo che queste lingue derivassero da una lingua comune ancestrale. Jones evidenziò non
solo le somiglianze lessicali ma anche elementi grammaticali e culturali, spingendo i linguisti a considerare la questione in un contesto più ampio. Le intuizioni di
Jones furono accolte da linguisti come Friedrich Schlegel. Nel 1808, Schlegel pubblicò “Über die Sprache und die Weisheit der Indier”, in cui tracciava le
relazioni tra le lingue indoeuropee. Sottolineò le affinità lessicali e grammaticali tra il latino, il greco, le lingue germaniche e le lingue orientali, come il persiano e
il sanscrito. Schlegel propose l’idea che alla base ci fosse un’origine comune, che in seguito sarebbe stata definita lingua indoeuropea.

Il passo successivo fu la formulazione del metodo storico-comparativo, che consentiva di studiare le lingue attraverso la loro evoluzione nel tempo. Franz Bopp,
pubblicando nel 1816 “Conjugationssystem”, affermò che il confronto tra le lingue dovesse basarsi su strutture grammaticali fondamentali, in particolare sulla
flessione. Bopp si concentrò sulle coniugazioni verbali e sulle differenze morfologiche tra le lingue. La sua opera non solo formalizzò l'approccio comparativo, ma
mostrò anche come le lingue indoeuropee, comprese le lingue romanze, conservassero elementi di una flessione molto più complessa rispetto a lingue come
l'inglese.

Le lingue romanze si svilupparono dal latino volgare, subendo un processo di semplificazione rispetto alle lingue indoeuropee antiche. Questo processo di
semplificazione portò a una riduzione della flessione e a una maggiore analiticità:

- Flessione: Mentre il latino possedeva un sistema flessivo molto complesso, con otto persone verbali e una marcata distinzione tra funzione sintattica
(soggetto, oggetto), le lingue romanze ridussero queste distinzioni. Ad esempio, l'italiano ha mantenuto alcune flessioni verbali ma ha semplificato
notevolmente la flessione nominale rispetto al latino.
- Semplificazione strutturale: Le lingue romanze hanno mantenuto alcune strutture flessive, ma hanno semplificato il sistema rispetto al latino, perdendo
le complesse declinazioni e riducendo il numero di forme verbali.

L’evoluzione della linguistica, dall’idea medievale del latino come lingua puramente scritta fino all’approccio scientifico del XIX secolo, ha permesso di
comprendere le lingue in modo più approfondito. La scoperta delle affinità tra le lingue indoeuropee ha trasformato il campo, portando a una nuova comprensione
delle origini e delle relazioni tra le lingue romanze e il latino. La linguistica storico-comparativa ha aperto la strada per la ricostruzione delle forme linguistiche
non attestate e ha reso possibile un approccio scientifico allo studio delle lingue, gettando le basi per le ricerche future nel campo.

L’aspetto affascinante della ricostruzione linguistica è il tentativo di riportare alla luce una lingua parlata milleni fa. Qeusto processo si basa sul metodo storico-
comparativo, che sfrutta la ricostruzione lessicale e analizza gli esiti di alcune parole nelle lingue documentate. Attravreso il confronto, si cerca di risalire alla
forma originaria delle frasi indoeuropee.una delle critiche mosse a questo approccio riguarda l’idea di ricostruire una lingua non documentata secondo una linea
verticale, come se fosse un albero geneaologico in cui le lingue si sviluppano in modo lineare. In realtà, è fondamentale considerare anche le influenze orizzontali.
Le lingue interagiscono tra loro attraverso prestiti e calchi, che sono forme di importazione di parole da una lingua all’altra. È quindi poco relistico pensare che
l’ipotesi indoeuropeista si sia evoluta senza alcun contatto tra le varie lingue della famiglia. Le differenze lessicali tra le lingue indoeuropee possono suggerire che,
all’interno di questa famiglia, alcune lingue abbiano trasmesso forme e vocboli ad altre. Con il passare del tempo, la visione di indoeuropeo è cambiata; mentre nel
XIX secolo si tendeva a considerarlo in modo rigido, oggi lo vediamo come un concetto più dinamico che rappresenta le affinità linguistiche delle varie lingue
indoeuropee.
Un momento cruciale nella storia della linguistica si è verificato agli inizi dell’Ottocento, quando gli studiosi si sono resi conto dell’importanza della famiglia
romanza. Questa famiglia, grazie alla sua ricca documentazione, ha fornito un banco di prova ideale per il metodo storico-comparativo. Con testi sia in latino che
nelle lingue romanze, si è iniziato a considerare il settore romanzo come privilegiato per verificare le teorie linguistiche.

FRANÇOIS RENOIR:
In questo contesto, François Renoir è riconosciuto come il primo ad aver studiato la linguistica romanza. Fino a quel momento, la letteratura medievale era stata
trascurata, soprattutto a partire dal Quattrocento, quando l’umanesimo si era concentrato sul classico. Surante il periodo moderno, c’era una certa avversione verso
la letteratura medievale, considerata inferiore. Persino figure come Dante erano cadute nell’oblio, a parte Petrarca, la cui lirica continuava a influenzare fino
all’Ottocento. La riscoperta delle lingue medievali è avvenuta grazie a questi linguisti dell’Ottocento, mossi da una passione per una letteratura ideale. Questo
amore per il passato ha contribuito a rivalutare opere e lingue che erano state sottovalutate.
L’amore per la poesia dei primi trovatori ha trovato una figura importante in Renoir, il quale ha dedicato gran parte del suo studio alla lingua dei trovatori. La sua
passione, però, lo ha portato a commettere alcuni errori nella cronologia linguistica. Renoi propose una sua ipotesi sullo sviluppo delle lingue romanze dal latino,
ipotesi che si rilevò errata. Oggi, per noi è scontato riconoscere il latino come la base delle lingue romanze, ma per i linguisti del passato questa affermazione non
era affatto così evidente. In effetti, non era chiaro che tutte le lingue romanze derivassero dal latino con lo stesso grado di discendenza. Renoir, ad esempio, cadde
nell’errore di pensare che il provenzale fosse l’anello di congiunzione tra il latino e le altre lingue romanze, basandosi sul fatto che i testi più antichi a lui noti
erano documenti occitani, in particolare la lirica trovadorica. Per approfondire la sua ricerca, Renoir si dedicò allo studio dell’occitanico e alla lettura della poesia
trovadorica. Tra le sue opere più significative vi è l’antologia “Scelta delle poesie originali dei trovatori”, pubblicata in sei volumi tra ol 1816 e il 1821. Questa
raccolta non solo comprende un’ampia antologia della poesia trovadorica, ma include anche la prima grammatica della lingua provenzale. Come già detto, elaborò
una teoria secondo cui l’occitano sarebbe stata la prima lingua volgare evoluta dal latino, dando avvio alle altre lingue romanze. Tuttavia, la lirica italiana delle
origini aveva tradotto i poeti provenzali, e questo potrebbe avre creato l’illusione che gli autori siciliani si fosse ispirati ai trovatori, un malinteso che ha ingannato
Renoir. Malgrado i suoi errori, va riconosciuto il merito di aver creato uno strumento fondamentale per lo studio delle lingue romanze: “Il lessico romanzo”,
pubblicato tra il 1836 e il 1844. Questo lavoro rappresenta il primo vocabolario comparato delle lingue romanze medievali maggiori e ha avuto un impatto
duraturo negli studi linguistici.

FRIEDRICH DIEZ:
Friedrich Diez è considerato il “padre” della grammatica delle lingue romanze, grazie ai suoi contributi fondamentali nello studio delle strutture linguistiche.
Utilizzando un rigoroso metodo storico-comparativo, Diez ha dimostrato quanto sia produttiva la famiglia delle lingue romanze. Tra le sue opere più importanti
troviamo la “Grammatik der romanischen Sprachen”, pubblicata tra il 1836 e il 1843. Questa grammatica comparata ha gettato le basi per il metodo delle
grammatiche storiche che utilizziamo ancora oggi. Un altro importante contributo di Diez è rappresentato dall’”Etymologisches Wörterbuch der romanischen
Sprachen”, pubblicato nel 1853. Questo vocabolario etimologico non solo offre l’etimo ricostruito di una parola, ma elenca anche tutti i suoi usi e significati nelle
lingue romanze, fornendo un panorama lessicale monumentale.
Diez ha anche innovato il campo della grammatica storica, introducendo la suddivisione in settori come fonetica, morfologia, sintassi e lessico. Ha avuto
l’intuizione fondamentale che non tutte le forme latine attestate sono le dirette antenate delle lignue romanze. Egli suggerì l’esistenza di una forma di latino non
documentata, segnalata con un asterisco, che avrebbe potuto essere la base per le lingue romanze. Inoltre, ha evidenziato che le lingue romanze si limitao a
derivare dal latino, ma includono anche elementi celtici, germanici e arabi. I germanismi, ad esempio, entrano nelle lingue romanze soprattutto nell’alto medioevo,
mentre in Francia ci furono prestiti dal celtico. Anche l’arabo ha lasciato un segno nelle varietà iberiche.
Tuttavia, le politiche culturali nazionaliste nel francese e nel castigliano hanno ostacolato lo studio delle varietà locali e medievali. Questo ha contribuito a
trascurare la ricchezza delle lingue romanze, limitando così la ricerca sul loro lessico storico.

NEOGRAMMATICI:
La vera svolta nello studio delle lingue romanze e indoeuropee si deve al gruppo dei Neogrammatici, capeggiato da Hermann Osthoff e Karl Brugmann. Nel 1878,
pubblicarono un’opera fondamentale dal titolo “Ricerche morfologiche nel dominio delle lingue indogermaniche”, che scatenò un vivace dibattito all’interno della
linguistica indoeuropea. Quetsa pubblicazione si concentrava sui cambiamenti nella morfologia e nella fonetica delle lingue indoeuropee, proponendo un metodo
evolutivo che doveva portare a una ricostruzione precisa delle forme originali. I Neogrammatici sostenevano che l’evoluzione linguistica seguiva meccanismi fissi
e immutabili, permettendo di tracciare un percorso chiaro dalla forma originaria a quelle che conosciamo oggi.
Un concetto centrale che emerse dal loro lavoro era che i cambiamenti fonetici all’interno di una lingua non sono casuali, ma seguono leggi costanti. Prima di
questa scoperta, si pensava che le alterazioni fonetiche potessero variare liberamente da parola a parola. I Neogrammatici, invece, dimostrarono che una volta
indetificata la legge che regola un cambiamenti fonetico da una lingua di origine A a una lingua derivata B, quella legge si applica sempre allo stesso modo a tutte
le parole di quella lingua. Questo approccio ha avuto un impatto significativo anche sulle lingue romanze, contribuendo a stabilire un modello linguistico più
stabile. Nonstante le limitazioni delle loro teorie, i Neogrammatici hanno lasciato un’eredità preziosa alla linguistica moderna, stabilendo che i mutamenti fonetici
seguono leggi rigorose e prevedibili.

LEGGE DI BARTZCH:
La prima formulazione di una legge fonetica per il francese è attribuita a Bartzch. Questa legge riguarda in particolare il passaggio della vocale tonica “A” quando
si trova in sillaba libera. Per capire meglio questo fenomeno, possiamo considerare alcuni esempi:
 CANTÀRE:
- It. cantare;
- Fr. chanter;
- Cast. cantar;
- Pr. cantar.
Qui notiamo che in tutte queste lingue romanze la vocale tonica è “A”. Tuttavia, in italiano troviamo la desinenza “-ARE”, mentre in francese appare “-ER”. Un
altro esempio è la parola:

 MARE
- It. mare;
- Fr. mer;
- Cast. mar;
- Pr. mar.
Anche in questo caso, la vocale tonica rimane “A”, ma il cambiamento nelle desinenze ci mostra come il francese si differenzi dalle altre lingue romanze. La legge
di Bartzch stabilisce che quando in latino abbiamo una “A” tonica in sillaba libera, questa si trasforma in “E” in francese. Tuttavia, questo passaggio è bloccato se
la sillaba è chiusa. Inoltre, la questa legge ha un’importante rilevanza nel distinguere le varietà meridionali del francese da quelle settentrionali.

Nonstante questa regola generale, ci sono alcune eccezioni. Prendiamo per esempio la parola:
 MÀ[NU
- It. mano;
- Fr. main.

 PLÀ[NU
- It. piano;
- Fr. plain.
Secondo la legge di Bartzch, dovremmo aspettarci che in francese avremmo “men” o “plen”, ma la presenza di una nasale modifica il risultato. Un aspetto
interessante è che quando abbiamo una “A” tonica seguita da una nasale in sillaba libera, si verifica una dittongazione che porta alla forma “AI”.

Un altro caso è quello di:


 CAPUT;
 CAPRA;
 CARU.
Ant. Fr.
- Ciep;
- Ciepr;
- Cier.

Qui, la “A” tonica che dovrebbe passare a “E” genera invece un dittongo ascendente “IE”, grazie alla presenza di consonanti palatalizzate. In sintesi, la legge di
Bartzch ci dice che, quando troviamo una “A” tonica in sillaba libera, essa si trasforma in “E” in francese, a meno che non sia seguita da una nasale, il che porta a
un dittongo “AI”; oppure preceduta da una consonante palatale, generando un dittongo “IE”.

DIFFERENZA TRA USO POPOLARE E USO CLASSICO DEL LATINO:


La legge di Bartzch riveste un’importanza fondamentale nello studio delle lingue romanze, poiché aiuta a differenziare il francese dalle altre lingue romanze.
Questo è particolarmente interessante perché si basa su fenomeni linguistici che variano a seconda del contesto fonetico, cioè a seconda dei suoni che lo
circondano. Negli studi linguistici, i neogrammatici si concentravano principalmente sulle lingue neoeuropee. Tuttavia, la linguistica romanza ha continuato a
esplorare come le diverse varietà di lingue romanze si siano distinte nel corso del tempo. Si è partiti dal presupposto che, pur essendo il latino una lingua di base,
non fosse sempre chiaro come alcune forme latine documentate non trovassero corrispondenza nel latino classico e come queste forme apparissero nelle lingue
romanze. Questo ha portato a considerare che le lngue romnaze deerivassero non dal latino classico, ma da un latino trado, utilizzato negli ultimi secoli
dell’Impero romano, ovvero tra il IV secolo e il VI secolo d.C. Questa ipotesi, conosciuta come “ ipotesi diacronica”, suggerisce che le lingue romanze si siano
evolute direttamente dal latino tardo, piuttosto che da un latino arcaico. Si possono distinguere diversi periodi del latio:
1. Latino arcaico: dalle origini fino alla metà del I secolo a.C.;
2. Latino classico: coicidente con l’età augustea, dalla metà del I secolo d.C. fino alla morte di Augusto;
3. Latino argenteo: dal momento della morte di Augusto fino al II secolo d.C.;
4. Latino basso/tardo dal III secolo d.C. fino al Medioevo.
Si vede però che in queste distinzioni il lessico e certe costruzioni sintattiche delle lingue romanze si trovano anche nel latino arcaico, come in Plauto. Nelle opere
di Plauto ci sono parole come:
- FICÀTUM, indica un piatto a base di fegato cucinato con i fichi. Questo termine ha influenzato la terminologia dell’organo umano, che ha mantenuto il
suo legame con il latino nel passaggio alle lingue romanze;
- IÈCUR, indica una voce colta del latino che oggi è andata perduta, un chiaro segno di come alcune espressioni riescano a sopravvivere nel tempo.

- LOQUI, infinito che proviene dal latino arcaico e che è entrato nelle lingue romanze come cultismo;
- FABULARE, utilizzata nei generi letterari minori del latino, è un esempio di come certe forme verbali continuino a influenzare le lingue moderne.
PARABOLARE, invece, è un prestito dal greco cristiano che ha dato origine, attraverso vari passaggi fonetici, alla forma francese “parler” e all’italiano
“parlare”.
Così è chiaro che le lingue romanze derivano dal latino tardo cominciò a sgretolarsi.
Inoltre, l’evoluzione della sintassi nel latino è evidenziata da un esempio di Cicerone, che scrisse “SCRIBERE AD FRATREM MEUM”. Qui possiamo notare
l’uso di una sintassi analitica, dove la preposizione chiarisce la funzione logica della parola seguente. Questo approccio si discosta dalla costruzione attesa, che
sarebbe stata “FRATRI MEO SCRIBERE”, un esempio di sintassi sintetica, tipica delle strutture nominali.
Nell’analizzare l’evoluzione del latino nelle lingue romanze, emerge chiaramente un passaggio segnificativo da un sistema analitico a uno più flessivo. Cicerone,
ad esempio, distingue tra due forme di latino:
- Il sermo urbanus, che rappresenta un latino più formale e colto;
- Il sermo rusticus, un tipo di latino parlato dalle classi meno istruite.
Alcuni scrittori dell’epoca documentato questa varietà di latino di registro più basso, caratterizzato da costruzioni sintattiche più semplici e un lessico meno
sofisticato. Questo contrasto ci permette di capire che il latino di alta qualità, grammaticalmente corretto, non era l’unica forma parlata.

A partire dalla fine del XIX secolo, i linguisti iniziano a esplorare nuove teorie per studiare l’evoluzione dal latino verso le lingue romanze. L’ipotesi diacronica,
che analizza i cambiamenti nel tempo, si dimostra insufficente, spingendo gli studiosi a considerare altre dimensioni. Tra queste emergono:
 Ipotesi diastratica, che riguarda le variazioni linguistiche in relazioni ai contesti sociali;
 Ipotesi diafasica, che si concentra sul constesto comunicativo stesso.
Si comprende quindi che il latino da cui derivano le lingue romanze non è semplicemente un latino tardo, ma è influenzato da entrambe le condizioni
comunicative. Questo latino include non solo la forma parlata delle classi sociali più basse, ma anche quello usato quotidianamente dai latini colti. Infine, si fa
strada il latino volgare, una varietà nemo formale e più accessibile, che si sviluppa all’interno di un sistema diastratico e diafasico. Questa varietà è cruciale per
comprendere l’evoluzione delle lingue romanze, poiché rappresenta una frase importante nella trascrizione da una lingua scritta e formale a forme parlate più
ricche e diversificate.

Hugo Schuchardt:
la definizione di latino volgare è stata fornita dal linguista tedesco Hugo Schuchardt, il quale, tra il 1866 e il 1868, scrisse un’opera dedicata al latino vocale. In
questo lavoro, Schuchardt analizzò il vocalismo delle lingue romanze e come queste si siano evolute dal latino. Egli descrisse il latino volgare come una forma
“bassa” del latino, caratterizzata da un sistema diastratico e diafasico, ossia influenzato da fattori sociali e situazionali.
Tuttavia, il termine “latino volgare” non è del tutto soddisfacente, poiché implica un riferimento al latino del popolo. Per questo motivo, si sono create altre
espressioni. Alcuni hanno suggerito termini come “romanzo comune” o “protoromanzo”. Alberto Varvaro, invece, ha proposto l’espressione “latino sommerso”,
mettendo in evidenza quel fondo di latino parlato che rimane inaccettabile e spesso trascurato nei documenti ufficiali. Questo tipo di latino era molto lontano dal
registro più alto, e le sue forme venivano persino censurate.

In termini di sintassi, il latino volgare mostrava una tendenza ad adottare costruzioni analitiche piuttosto che sintetiche. Questo segna un’evoluzione da un sistema
flessivo e sintetico a uno più analitico, in linea con l’evoluzione delle lingue romanze. Inoltre, nel lessico, si privilegiavano le forme regolari dei verbi, con una
tendenza a regolarizzare i verbi irregolari sulla base di forme analogiche, eliminando così le eccezioni. Per esempio, le forme irregolari come POSSE (potere) e
VOLLE (volere) si sono trasformate in forme volgari analogiche, come *POTERE e *VOLERE. Nella morfologia verbale e nominale, si cominciò a rimuovere le
forme irregolari e a sostituirle con quelle più regolari, portando a una riflessione sul fatto che le lingue romanze non si basassero tanto sul latino classico quanto su
queste forme coloquiali e partiche.

LE FONTI DEL LATINO VOLGARE:


 Nel Satyricon di Petronio, uno dei momenti più celebri è rappresentato dalla Cena Trimalchionis. Durante questa cena, assistiamo a un vivace racconto
dei personaggi che partecipano, caratterizzati da un uso del latino parlato. Questo brano offre uno spaccato interessante sulla vita quotidiana dell’epoca
e introduce alcuni termini e espressioni tipicamente volgari, che ci permettono di comprendere meglio il linguaggio della gente comune.
 Passando alla letteratura cristiana, notimao che si utilizzava un latino accessibile, definito sermo humilis. Questo tipo di linguaggio era pensato per
essere comprensibile a tutti e venica impiegato da grandi autori come Agostino e San Girolamo. Quest’ultimo in particolare, è noto per la sua
traduzione della Bibbia, la Vulgata, che ha stabilito un modello di scrittura religiosa e letteraria. Un esempio di questo uso è l’opera “Itinerarium
Egeriae ad loca sancta”, che riflette l’influenza del latino biblico.
 Le iscrizioni latine, in particolare quelle rinvenute a Pompei, rappresentano una fonte preziosa di informazioni. Queste iscrizioni, raccolte bel C.I.L:
(Corpus Inscriptionum Latinarum), forniscono uno spaccato della vita sociale e culturale dell’epoca. In esse possiamo trovare anche esempi di
liguaggio volgare, che ci offrono ulteriori spunti per comprendere l’evoluzione del latino come:
- La caduta dell -s finale nei complementi oggetti plurali. Questa -s, che originariamente serviva a segnare il plurale, non era già più utilizzata in Italia nel
I secolo d.C., come dimostrano le iscrizioni;
- Forme verbali in ci sono presenti errori di grammatica, come EAMUS (andiamo) che diventa IAMUS e HABEAT che diventa ABIAT;
- Riduzione dei dittonghi AE/OE in E e AU in O, com per esempio AURICULAS che diventa ORICLAS.
Le iscrizioni in Africa:
- SUM che diventa SO, “ANTIPATRA DULCIS TUA, HIC SO ET NON SO”
- “VALERIUS ANTONINUS ISPOSE RARISSIME FECIT”, anche qui invece di sponsae troviamo ispose;
- Riduzione di AE > E;
- Vocale protetica;
- Riduzione del nesso consonantico NS > S.

L’APPENDIX PROBI:
Il latino volgare, il linguaggio parlato e scritto dal popolo romano, è testimoniato attraverso le opere dei grammatici, che spesso registravano gli errori di scrittura e
pronuncia. Una delle fonti più significative per lo studio di questo fenomeno è l’Appendix Probi, nota anche come appendice di Probo. Questo documento è un
fascicolo di ortografia che contiene un elenco di 227 voci, in cui vengono indicate le forme corrette in latino accanto alle forme errate, risalente al periodo tra la
fine del VII secolo e l’inizio dell’VIII secolo, trascritto in un manoscritto composto nell’abbazia di Bobbio. Questo confronto ci rivela che già in quel periodo il
latino veniva prinunciato e scritto in modi differenti. Le forme sbagliate elencate nel manuale ci permettono di riconoscere l’emergenre delle lingue romanze.
Molte di queste forme errate sono caratterizzate dalla sincope, cioè la perdita di suoni, ma ci sono anche cambiamenti vocalici, come il passaggio dalla “E” latina a
una “I”.
Fenomeni che confermano i tratti fonetici del latino volgare dell’Appendix Probi:
 Sincope vocale postonica: SPECULUM non SPECLUM, VETULUS non VECLUS;
 Sviluppo di iod da E/I: CAVEA non CAVIA, VINEA non VINIA;
 Riduzione di AU > O: AURIS non ORICLA;
 Perdita di -M finale: NUMQUAM non NUNQUA, IDEM non IDE;
 Caduta di H iniziale etimol: HOSTIAE non OSTIE;
 Riduzione di NS > S: MENSA non MESA, ANSA non ASA;
• E l’ipercorrettismo: FORMOSUS non FORMONSUS;
 Caduta di V intervolcalica: RIVUS non RIUS, AVUS non AUS;
 Confusione tra B e V: PREBES no ìn PREVIS, BRAVIUM non BRABIUM.

LATINO VOLGARE E LE LINGUE DI SOSTRATO


Abbiamo già discusso su come sia emerso il latino volgare, una forma di latino parlato che si distingue dal latino sommerso. È fondamentae capire che le fonti
scritte ci aiutano a collocare nel tempo i vari fenomeni linguistici. Infatti, abbiao notato come alcuni cambiamenti fonetici, morfolpgici e sintattici non si trovassero
nel latino classico, ma iniziassero a emergere nel latino parlato. Nel corso del tempo si è creata una spaccatura tra la lingua latina letteraria e quella parlata. Questo
è evidenziato dalle osservazioni di Quintilliano, che nel II secolo d.C. evidenziava la differenza tra la lingua grammaticalizzata e la lingua che si parlava realmente.

Un aspetto importante da considerare è quello territoriale e geografico: possiamo davvero immaginare che il latino volgare fosse parlato allo stesso modo in tutte le
regioni dell’Impero Romano ? E’ difficile pensare che non si siano stati strumenti di diffusione della lingua originale. Infatti, la conoscenza del latino entrava in
contatto diretto con le popolazioni locali attraverso i coloni romani, generando fenomeni di bilinguismo iniziale, che poi si trasformavano in una situazione di
diglossia. In questo scenario, il latino veniva utilizzato per scopi ufficiali e formali, mentre le lingue locali continuavano a coprire la vita quotidiana, fino a cedere
gradualmente al latino in momenti diversi. Ad esempio, in Francia, il gallico, una varietà di celtico, si estinse nel V secolo, dimostrando quanto potesse essere
lungo e complesso questo processo.
Un interrogativo importante è: in che modo le lingue preromanze hanno influenzato il latino parlato ? Queste lingue hanno sicuramente lasciato delle tracce, sia
lessicali che strutturlai, nel latino e successivamente nelle lingue romanze. L’ipotesi del substrato, proposta dai linguisti romanzi alla fine del XIX secolo, in
particolare da Ascoli, suggerisce che le lingue preromanze hanno esercitato un’influenza sul latino parlato attraverso un contatto prolungato. Questa influenza è
diventata ancora più forte dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, quando le lingue locali hanno ripreso forza.
Oltre all’ipotesi del substrato, esistono anche quelle di superstrato e abstrato. Queste ultime si riferiscono alle lingue che entrano in contatto con il larino volgare e
le lingue romanze dopo la caduta dell’Impero, e possono spiegare le differenze tra le varie lingue romanze. Ad esempio, la pronuncia palatale della “u” latina è
assente nelle varietà settentrionali francesi e nelle varietà gallo-italiche; Ascoli propose che questa particolarità fosse un tratto celtico, legato a un substrato.
È importante notare che molte di queste ipotesi non sono verificabili, poiché le lingue preromane hanno una documentazione molto scarsa. Tuttavia, i fenomeni di
sostrato nel lessico sono stati confermati.

Infine, possiamo considerare le lingue di sostrato parlate nelle diverse zone della Romània:
• In Italia, troviamo un sostrato italico che comprende varie varietà preromane, come l’etrusce l’osco-umbro.
• In Gallia e nell’Italia settentrionale, è presente un sostrato celtico;
• Nella penisola iberica troviamo il sostrato basco e iberico.
• In Dacia (ggi Romania), il sostrato illirico, trace e daco (poco documentati).
• Si parla anche di un sostrato greco, il quale ha continuato a influenzare il latino anche dopo la colonizzazione romana, grazie al suo status di lingua
prestigiosa.

SOSTRATO ITALICO:
Le lingue preromane, in particolare l’osco-umbro, rappresentano un aspetto affascinante della storia linguistica dell’Italia antica. Questa lingua era parlata dagli
Oschi e dagli Umbri, popoli che abitavano l’Umbria e le zone circostanti. Durante i primi secoli della Repubblica romana, quando Roma iniziava a espandere il
suo territorio conquistando l’Italia centro-meridionale, ci fu un significativo contatto tra i Romani e queste popolazioni. Questo incontro culturale e linguistico è
fondamentale per comprendere l’evoluzione delle lingue italiane.
La documentazione della lingua Osco-umbra è limitata. Per l’umbro, abbiamo la fortuna di posedere le Tavole iguvine, che offrono importanti informazioni
linguistiche. D’altra parte, l’osco è attestato principalemente attraverso diverse iscrizioni. Questa scarsità di documentazione rende ancora più interessante l’analisi
dei fenomeni linguistici che si sono verificati. Uno dei fenomeni più interessanti legati al sostrato osco-umbro è l’assimilazione del nesso consonantico nasale-
dentale. L’assimilazione è un processo linguistico in cui un suono cambia per adattarsi a un suono vicino. Ad esempio, parole latine come “FRUCTUM” e
“NOCTEM” si trsformano in italiano in “frutto” e “notte”, dove il nesso consonantico viene semplificato. Questo processo avviene anche nelle varietà gallo-
romanze i ibero-romanze, dove si osserva una dittongazione. In francese troviamo “fruit” e “nuit”. Nelle varietà centro-meridionali, invece, si verifica un’ulteriore
assimilazine: le consonanti nasali (m e n) tendono a prevalere. Questa peculiarità linguistica è stata interpretata come una possibile influenza della pronuncia osco-
umbra, suggerendo l’esistenza di un sostrato linguistico. A supporto di questa idea, il linguista Ascoli ha proposto la “prova conografica”, che mette in evidenza la
corrispondenza tra fenomeni linguistici e aree geografiche specifiche, come la “u” palatale. Un altro ineterssante fenomeno è la spirantizzazione delle occlusive
sonore, come si osserva nella trasformazione di “BUGURCUS” in “bifolco”. Le iscrizioni antiche mostrano come queste occlusive sonore venissero pronunciate in
modo diverso nell’osco-umbro, risultando in un suono “f”. Inoltre, c’è la dissimilazione vocalica, in cui due vocali identiche si differenziano. Un esempio è dato
dalla parola “bifolco”, che deriva da un termine volgare che avrebbe altrimenti dovuto essere “bigolco”.
Infine, vale la pena di menzionare alcuni prestiti linguistici. Prendiamo, ad esempio, la parola “scarabeo”, che deriva dal latino come cultismo “SCARABEUS”.
Tuttavia, il suo esito volgare sarebbe stato “scarafaggio”, originato dal latino volgare “*SCARAFARU”, non attestato ma ipotetico.

L’etrusco rappresenta un importante sostrato della lingua italiana, ma la sua storia è complessa. Sebbene abbiamo una documentazione su questa lingua, il suo
destino è segnato da una “dannatio memoriae”, cioè una condanna all’oblio. Questa pratica era usata dai romani per cancellare la memoria di figure o lingue
storiche scomode, e in modo simile, hanno cercato di estinguere l’uso dell’etrusco.
Il contatto tra etruschi e romani risale agli inizi della fondazione di Roma, tra l’VIII e il IV secolo a.C. L’etrusco continuò ad esere parlato fino al I secolo a.C., e
anche l’imperatore Claudio mostrava un certo interesse per questa lingua, scrivendo una grammatica etrusca, che è andata perduta. Le fonti che conosciamo
riguardo all’etrusco provengoo principalmente da iscrizioni funerarie, come quella di Volterra, e da documentazione amministrativa. Tuttavia, manca
completamente una tradizione letteraria. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) ha avviato un progetto per la creazione di un dizionario etrusco, ma si
concentra solo su alcuni settori della comunicazione.
Dal punto di vista lessicale, ci sono alcuni prestiti dell’etrusco al latino. Parole come “persona”, “istrione” e “aruspice”. Inoltre, l’etrusco ha influenzato anche
l‘ingresso di alcuni termni greci nel latino. Tra i prestiti più interessanti, possiamo citare “sporta” e “chisterna”, oltre a vari toponimi come Volterra, Cortona,
Padova e Vicenza.
Passando a un altro argomento, c’è stata un’ipotesi che collegava la gorgia toscana a un sostrato etrusco. Questo fenomeno, che riguarda l’aspirazione di certe
come le dentali “d” e “t”, è stato proposto alla fine dell’800 dal linguista Heinrich Nessen. Egli notò che la gorgia era diffusa in tutta la Toscana, tranne che nelle
zone meridionali-orientali come Arezzo e Cortona. Tuttavia, questa ipotesi è stata smentita. Infatti, la gorgia non è documentata prima del 500, e la prima
testimonianza scritta di questo fenomeno risale a un manoscritto del periodo, in cui Prisciano descrive la pronuncia fiorentina. Questo indica che, in epoche
precendenti, come quella di Dnte, non si usava la gorgia. Inoltre, esistono prove linguistiche che dimostrano come l’aspirazione non fosse una caratteristica
dell’etrusco. Ad esempio, consideriamo la parola “pace”, derivante dal latino “PACEM”. Se l’etrusco avesse aspirato le velari, ci aspetteremmo che anche in
toscano si riscontrasse questa caratteristica. Tuttavia, qunado la gorgia si afferma nel volgare fiorentino, vediamo che il fenomeno si sviluppa in modo diverso,
ssenza riprodurre le stesse caratteristiche delle consonanti latine.

SOSTRATO CELTICO:
La parte meridionale della Francia è stata conquistata dai romani intorno alla fine del II secolo a.C., i romani consolidarono il loro dominio sulla Gallia
meridionale, segnando un importante passo nella loro espansione territoriale. Successivamente, tra il 57 e il 52 a.C., si svolgono le celebri compagne di Cesare, che
portano alla conquista totale della Gallia in un arco di cinque anni. Dopo la conquista, tra il 27 e il 14 a.C., sotto il governo dell’imperatore Augusto, il territorio
viene riorganizzato amministrativamente. Questa organizzazione porta alla suddivisone della Gallia in province, ciascuna con caratteristiche proprie:
• Gallia Belgica: comprende una parte dela Francia settentrionale e una porzione del moderno Belgio;
• Gallia Celtica: rappresenta la parte centro-meridionale del territorio;
• Gallia Narbonese: un’area strategica che si affaccia sul Mediterraneo;
• Gallia Cisalpina: conquistata dai Romani nel II secolo a.C., che comprende anche l’Italia settentrionale.
Il contatto tra Romani e Celti si è sviluppato gradualmente nel tempo. È importante notare che le popolazioni celtiche non avevano una tradizione letteraria
consolidata, il che ha portato a una mancanza di documentazione scritta. Ciò significa che la maggior parte delle informazioni che conosciamo sui Celti si basa su
ipotesi e ricostruzioni, in particolare attraverso l’analisi dei fenomeni linguistici. Le lingue parlate nei territori celtici si suddividevano in due principali categorie:
• Celtico continentale: rappresentato dal galluco, una lingua parlata in Gallia;
• Celtico insulare: comprendeva il gaelico e il britannico, parlato nelle isole britanniche.

Il contatto prolungato tra Romani e Celti ha lasciato un’impronta significativa sulle lingue romanze, in particolare nei tratti fonetici. Glu studiosi hanno identificato
vari fenomeni fonetici che possono essere attribuiti al sostrato celtico, inclusi:
• Presenza del fonema /y/ e la pronuncia palatalizzata della “u”: queste caratteristiche sono riscontrabili nella Francia settentrionale e nei dialetti
dell’Italia settentrionale.
• Vocalizzazione del nesso consonantico velare dentale: questo fenomeno, che porta alla formazione di dittonghi, si osserva nel francese, nell’occitano e
nel ligure.
• Trasfromazione della “a” latina a “e”: un esempio notevole si riscontra nel francese moderno.
• Lenizione dlle sorde intervocaliche: questo è un tratto destintivo del francese, che riflette le influenze celtiche.

Quando si parla di prestiti linguistici, è evidente che molte parole celtiche sono entrate nel lessico delle lingue romanze, in particolare in francese, dove si riscontra
il numero maggioere di celtismi. Tra i termini celtici più significativi, possiamo citare:
• “CABALLUS”: è un prestito dal celtico, perché in latino di diceva “EQUUS”, rimasto come cultismo.
• “CARRUM”: ha sostituito il latino “CURRUM” nel linguaggio comune.
• Termini legati all’abbigliamento: parole come “BRACA” e “CAMISIE” non potevano essere latinismi, dati che i Romani non utilizzavano tali
indumenti.
Altri termini significativi includono “LANG”, “CHEN”, “SOMON” e “BRASE”, che arricchiscono il vocabolario delle lingue romanze grazie all’eredità celtica.
I toponimi, cioè i nomi di luoghi, rappresentano un’altra area in cui l’influenza celtica è evidente. Esempio noti includono “BOUVER”, “POITIERS” e “PARIS”,
che si riferiscono ai nomi di tribù celtiche che abitavano quelle terre. Inoltre, alcuni suffissi toponimici, come “-magus” e “-acum”, sono frequentemente utilizzati
per formare nomi di luoghi associati a un altro sostantivo, contribuendo così a una comprensione più profonda della geografia culturale celtica e romana.

SOSTRATO BASCO-IBERICO:
Siamo molto meno informati sulle popolazione iberche che abitavano la Spagna e il Portogallo prima della conquista romana. Si parla di 2 sostrati:
• Basco;
• Iberico, che viene dalle lingue degli Iberi. Non abbiamo nessuna documentazione.
Mentre per il Basco possiamo fare qualche ipotesi, per il sostrato iberico non abbiamo niente. Per quanto riguarda il sostrato basco abbiamo qualcosa, che è tipico
della zona ibero-romanza, ovvero il passaggio dalla fricativa sorda iniziale “f” all’aspirata “h”. Si può apprezzare in queti esiti:
• Lat. Ferrum > cast. Herro;
• Lat. Fabulare > cast. Hablar;
• Lat. Hermosus > cast. Hermoso;
Il passaggio è regolare, tranne quando c’è qualcosa che lo blocca, ovvero quando c’è il dittongo “ue” e davanti a consonanti.
• Lat. Focum > cast. Fuego.
È stato facile attribuirlo al sostrato basco, perché quella fricativa manca nella fonetica basca, e i prestiti che prende il basco, esso li risolve con un’aspirata o
un’occlusiva sonora. Per quanto riguarda il sostrato iberico abbiamo poca dcumentazione, ma comunque possiamo trovare delle parole che fanno riferimento a
questo sostrato. Queste parole sono quelle che contengono -rr o -rd all’interno della parola stessa e sono molto comuni, come izquierda, barro, cama, perro, zorro.

SOSTRATO ILLIRICO, TRACE E DACO


Nella nostra analisi delle varietà linguistoche parlate lungo la costa adriatica, in particolare nell’area corrispondente all’attuale Croazia, ci riferiamo a un contesto
storico che risale all’antica Illiria. In questo territorio, ci sono state conquiste, sebbene di breve durata, che hanno creato un collegamento tra la parte adriatica e i
territori a est. Per comprendere le lingue parlate in quest’area, si sono formulate delle ipotesi riguardanti varietà linguistiche ricostruite. Queste ipotesi si fondano
su nomi di popolazioni storiche documentate, ma è importante notare che le ricerche sul sostrato linguistico si limitano a pochi tratti distintivi, escludendo altre
possibilità di interpretazione.
Un esempio significativo di questo approccio si trova nello studio della lingua romena, che presenta una situazione linguistica particolarmente complessa. Infatti, il
romeno ha subito influenze dal germanico e dallo slavo, che hanno alterato il suo patrimonio latino. Gli studiosi hanno quindi adottato diverse metodologie per
ricostruire i prestiti lessicali, confrontando il romeno con altre lingue, in particolare con le varietà albanesi, per evidenziare il fenomeni di sostrato. Uno degli
aspetti più interessanti di questo studio riguarda i prestiti lessicali. Si stima che circa 80 termini legati al sostrato daco-tracio siano stati identificati, molti dei quali
riguardano il lessico quotidiano. Attraverso l’analisi e l’esclusione di altre influenze, gli studiosi hanno potuto formulare delle ipotesi più solide. In particolare, si è
ipotizzato che i suffissi -esc e -este, utilizzati per la formulazione di aggettivi o nomi di luogo, possano risalire al sostrato daco-tracio. Tuttavia, la sfida consiste
nell’escludere possibili contatti con il greco, poiché il greco utilizza suffissi simili -iscus e -iskos, ma con funzioni grammaticali diverse rispetto al romeno.

SOSTRATO GRECO
La lungua di sostrato si riferisce alla varietà linguistica preromana parlata in un territorio che è stato romanizzato. Questa lingua, originariamente presente nella
regione, viene gradualmente sostituita dal latino a causa del contatto tra le due lingue. D’altro canto, si parla di lingua abstrata per descrivere quelle lingue che
continuano a interagire anche dopo la piena conquista romana.
Un esempio significativo di questo fenomeno si trova nei rapporti tra latino e greco. La conquista romana della Grecia, avvenuta nel II secolo a.C. (con la
definitiva conquista nel 168 a.C.), non segnò semplicemente la supremazia del latino sul greco, ma creò invece uno scambio culturale profondo. Il greco, infatti,
godeva si un prestigio letterario e culturale superiore a quello del latino, e i romani, riconoscendo questo valore, si avvicinarono alla cultura greca. Dopo la
conquista, i greci iniziarono a trasferirsi a Roma, dove divennero insegnanti e modelli per i romani. Questo portò a una massiccia grecizzazione della cultura
romana. Anche se ci furono tentativi di resistenza a questo processo, i romani si lasciarono sedurre dalla cultura greca, e cominciò a diffondersi l’abitudine di
parlare greco, soprattutto tra le classi colte. In questo contesto, si sviluppò una situazione di bilinguismo in Italia. Questa coesistenza linguistica non si esaurì con
la caduta dell’Impero Romano, poiché il greco continuò a essere presente come lingua dei bizantini, contribuendo così al contatto continuo tra le due lingue.
Oggi, l’eredità di questa interazione è ancora visibile, in particolare nel sud Italia, dove esistono isole linguistiche in Calabria e Puglia. Qui, il greco è parlato in
comunità come a Bova, vicino a Reggio Calabria, e a sud di Lecce. La varietà di greco attualmente in uso è il neoellenico, ma presenta anche tracce di greco
arcaico risalente al periodo romano. Il sostrato greco è stato quello più invasivo per il latino.
- Vasto lessico di sostrato di parole comuni della quotidianità come: camera, oliva e oleum, machina, balneum, gubernare e gubernatum, spatha,
apotheca, talentum, theios (> it. zio e sp. tio vs AVUNCULUM > fr. oncle);
- Termini colti di influenza classica come: idea, poesis, comoedia, persona, musica, philosophia, schola, grammatica, athleta, palaestra, gymnasium;
- Termini che sono entrati in competizione con il latino, una serie di grecismo a “scalzare” il latino colto nella lingua parlata. Il latino aveva assimilato
questo lessico nella lingua di tutti i giorni come: PETRA (it. pietra, fr. pierre, cast. piedra) mentre in latino ha SAXUM (sasso) o LAPIS (lapide); e
PLATEA (it. piazza, fr. place, cast. plaza), mentre in latino si diceva FORUM, passato come cultismo giuridico;
- Esistono anche i grecismo passati nel romanzo attraverso il latino cristiano, ovvero: ECCLESIA, EPISCOPUS, DIABOLUS, ANGELUS,
PARABOLARE;
- A livello morfologico sono suffissi verbale -IZARE o -IDIARE (cfr. it. -izzare; -eggiare);
- A livello sintattico la costruzione OTI + verbo finito > QUOD + verbo finito. In questo caso si parla di calco, perché quello che viene importato nella
lingua d’arrivo è la costruzione, ma non la forma.

LINGUE DI SUPERSTRATO
Il concetto di lingue di superstrato si riferisce alle lingue che sono entrate in contatto con il latino dopo il crollo dell’Impero Romano. Queste lingue, parlate dai
popoli che conquistarono vari territori, si sono imposte come lingue dei vincitori, ma non hanno sostituito completamente il latino. In altre parole, si tratta di lingue
che hanno preso piede in un situazione di contatto, senza riuscire a prevalere sulla lingua già esistente. Un aspetto fondamentale di questo fenomeno è il rapporto
tra vincitori e vinti. Ad esempio, i Germani erano già stati in contatto con i Latini prima della caduta dell’Impero, ma questo non ha portato a un reale sostrato
linguistico, dato che l’influenza germanica sul latino era stata minima.
L’ipotesi di superstrato è stata introdotta da Walther von Wartburg nel suo saggio del 1950, “La frammentazione linguistica della Romània”. Wartburg era un
linguista di grande rilevanza, noto anche per aver lavorato al dizionario etimologico del francese (F.E.W.). nel suo lavoro, affermava che la differenzazione delle
varie lingue romanze era il risultato dell’influsso delle popolazione germaniche, che avevano colonizzato diverse regioni. Secondo Wartburg, c’era una relazione
meccanica tra l’influsso delle lingue germaniche e le varietà romanze locali. Ad esempio, lingue come:
- Il fràncone (parlata dai Franchi);
- Il burgundo;
- Il visigoto
Avrebbero avuto un impatto sulle differenze osservabili tra il francese, il francoprovenzale e il provenzale, corrispondenti ai territori occupati da queste
popolazioni germaniche. Le lingue germaniche di superstrato sono state così individuate per il loro influsso su singole aree romanze:
- Gotico dei Visigoti (Francia meridionale e Spagna);
- Gotico degli Ostrogoti e Longobardo (Italia);
- Fràncone dei Franchi (Francia settentrionale);
- Svevi (Spagna nord-occidentale);
- Vandali (Africa settentrionale e Sardegna)
Questa ipotesi è stata contestata, ed è impossibile stabile questa corrispondenza. La differenza delle lingue varia da molti fattori antropologici che ci sfuggono.
Wartburg ha individuato i germanismi sicuri, prestiti del gemanico sia a livello lessicale, sia a livello morfologico. Come per esempio:
- *WANKJA > it. guancia,
- *SKINA > it. schiena.
Per quanto riguarda il gotico abbiamo una fase documentata, ovvero la traduzione dei Vangeli da parte del vescovo Wulfila nel IV secolo. Si trovano una serie di
fenomeni che riguardano il superstrato germanico ovvero un importante fenomeno fonetico e prestiti lessicali. Per quanto riguarda la fonetica abbiamo il
fonema /w/, che è alla base del corrispettivo fonema inglese. Questo fonema non esisteva in latino, ma si forma nel latino volgare in due direzioni:
- Prestito dal germico ed entra attraverso alcuni prestiti lessicali; *WARDON (stare in guardia), *WAIDANJAN (guadagnare), *WARJAN (guarire),
*WERRA (guerra). Gli esiti di questo fonema sono idversi nelle diverse lingue romanze, il gruppo occidentale tende a velarizzare questo fonema,
mentre in italiano si ha una labiovelare.
- Si forma in latino anche per via autonoma da basi latine, come dalla vicinanza dalla “u” latina con una vocale. Ad esempio, la parola “quattro”, nel
latino volgare questa vicinanza genera questo fonema semiconsonantico.
- Suffisso -HART, che in germanico formava i nomi propri maschili,a ci sono anche derivati nelle lingue romanze come “Bernardo”, “Riccardo”,
“Edoardo”, che poi andavano a creare anche aggettivi che avevano un significato diverso come “bastardo”, “codardo”
- Una parte di lessico comune: *BLANK vs ALBUS, *BLUND e *BRUN;
- Termini feudali: FEHU; BARO; MARQUIS;
- Termini comuni: fr. honte, orgueil, riche, hardi, laid, robe, écharpe, danser, harpe;
- Sintassi: impersonale ON fr. < MAN germanico. Anche questo è un calco, ovvero HOMO.

SUPERSTRATO ARABO
Il suo influsso si esercita nell’Africa settentrionale. Nel 711 comincia la conquista delle pensiola iberica; l’avanzata degli arabi fu contrastata dai re franchi, a
partire dalla celebre battaglia di Poitiers (732), con la quale Carlo Martello ferma la loro espansione verso la Francia; parte del territorio spagnolo fu conquistato
dal nipote Carlo Magno (formazione della Marca Hispanica nell’801). Successivamente gli arabi sono via via ricacciati dal territorio spagnolo (battaglia di Las
Navas de Tolosa, 1212 dove a vincere è il re Alfonso VIII di Castiglia) fino a perdere l’ultimo caposaldo, il regno di Granada, nel 1492. Ci fu anche una conquista
della Sicilia nel 827, che resta araba fino alla riconquista dei Normanni nell’XI secolo. Gli influssi dell’arabo sono massicci per il territorio iberico. Il castigliano
ha fatto da tramite ed è stata la varietà romanza che ha assorbito più lessico arabo, infatti conta 4000 arabismo, e da qui poi alcuni sono passati alla famiglia
romanza. Anche il siciliano è stato interessato dalla dominazione araba e sono bastati tre secoli per far passare alcuni paradismi che non sono passati nella lingua
italiana. Questi paradismi sono arabismi che riguardano le tecniche agricole.
Per quanto riguarda il castigliano si parla di influssi dell’arabo come:
- Nella morfologia con il prefisso a-; al- e il suffisso aggettivale -í come tunecí, alfonsí;
- Nel lessico comune come: azafran, algodón, alcachofa, azúcar, arroz, naranja, aduana;
- Arabismi scientifici: it. algebra, zenit, chimica, cifra, zero (questi ultimi entrambi dalla stessa parola araba, sifr “vuoto” usato dai matematici arabi per
inidicare zero (ma la trafila è interessante: è il matematico italiano Leonardo Fibonacci, inizio XIII secolo, a tradurre l’ar. Sifr con zephirum, da cui l’it.
zero, passato dall’italiano alle altre lingue romanze).

SUPERSTRATO SLAVO
Dopo la ritirata dei romani (271.274) la Dacia è occupata da goti, visigoti, unni; a partire dal VI secolo inizia l’insediamento degli slavi. Mentre del superstrato
germanico non rimane nulla, sul romeno è lo slavo a esercitare l’influsso maggiore, nel lessico in particolare, per la pressione dello slavo ecclesiastico, anche nella
scrittura (con l’abbandono dell’alfabeto latino). Anche in questo caso, però, la lingua di superstrato non è riuscita a sostituirsi al latino, che persiste nel lessico
comune e nelle strutture grammaticali del romeno.

RAPPORTI TRA LE LINGUE ROMANZE E IL LATINO


L’evoluzione fonetica delle vocali è un aspetto fondamentale per comprendere le lingue romanze, poiché riflette fenomeni generali e comuni a queste lingue. In
particolare, si può osservare come il cambiemento linguistico si realizzi in modo meccanico, come sostenuto dalla legge fonetica dei neogrammatici. Queste legge
afferma che un fenomeno di cambiamento si manifesta sempre nella stessa maniera, e ciò è evidente nel passaggio delle vocali dal latino alle lingue romanze.
Inizialmente, il latino e il greco presentavano un sistema vocalico basato sulla quantità. Questo sistema non solo prevedeva la lunghezza vocalica, ma anche vari
aspetti della loro pornuncia, come timbro e intensità. Il timbro si riferisce alla maggiore apertura o chiusura delle vocali, mentre l’intensità è legata all’accento
tonico, ovvero a come la voce si appoggia sulla vocale.

Nel sistema vocalico occidentale, si distingue tra vocali medie, posteriori e anteriori, il che porta a variazioni significative come nel caso delle vocali /e/ e /o/. per
esempio:
- Bòtte;
- Bótte.
Cambia completamente il significato a seconda dell’apertura e chiusura delle vocali. Oltre a queste caratteristiche, è importante considerare la quantità vocalica, un
elemento fondamentale nelle lingue antiche. In latino, la quantità si riferisce alla lunghezza delle vocali, con vocali linghe che hanno una pronuncia prolungata e
vocali brevi che si pronunciano in un tempo minore. Questa distinzione non solo influenzava la metrica delle poesie, creando un ritmo musicale, ma anche il
significato delle parole. Infatti, parole omografe come:
- Ōs = bocca;
- Ŏs = osso.
Questo tipo di parole venivano distinte proprio attraverso la quantità vocalica.
Quando il latino si diffuse al di fuori della penisola italica, entrò in contatto con altre lingue che non possedevano un sistema di quantità vocalica. Di conseguenza,
questo elemento cominciò a perdere importanza perché non tutti i popoli conquistati avevano questa distinzione di quantità, mentre il timbro e l’intensità delle
vocali divennero più rilevanti. In sostanza, il sistema vocalico latino, che comprendeva 10 vocali distinte per quantità, subì una trasformazione significativa, dando
origine alle peculiarità fonetiche delle lingue romanze che conosciamo oggi.
Da questo sistema vocalico derivano 4 sistemi vocalici:
- Il sistema vocalico del romanzo occidentale, che raggruppa quasi tutte le varietà romanze;
e tre sistemi minori, ovvero:
- Il sistema vocalico del sardo;
- Il sistema vocalico del siciliano;
- Il sistema vocalico del romanzo orientale.

Vocalismo tonico del romanzo occidentale


Il sistema vocalico dell’italiano e delle sue varietà si
distingue per il numero di vocali toniche che presenta, il
quale è maggiore ad altri sistemi linguistici. In italiano
abbiamo sette vocali /a, ɛ, e, i, ɔ, o, u/. Questo insieme di
vocali deriva direttamente dal latino. Le vocali estreme,
cioè /Ī/ e /Ū/, mantengono una pronuncia chiusa nelle
lingue romanze che era probabilemente presente nel latino.
Per esempio, prendiamo la parola latina MŪRUS, che si è
trasformata in “muro” in italiano e “mur” in francese. Qui, il francese introduce una leggera distinzione, in uqnato dalla /ū/ latina si genera una “u” palatale.
Quando consideriamo le trasformazioni delle vocali, notiamo che le vocali brevi e le vocali lunghe in latino si evolvono in modi differenti nelle lingue romanze.
Ad esempio:
- Lat. CRĒDERE > It. Credere, cast. Creer;
- Lat FĬDEM > It. Fede, cast. Fe.
Questo processo implica che una “e” breve latina si traduce in una “e” aperta nelle lingue romanze. Inoltre, le vocali medie brevi, in un secondo stadio di
evoluzione, tendono a trasformarsi in dittonghi.
Si ritiene che il sistema a 7 vocali sia emerso in Campania, per poi diffondersi in altre regioni dell’Impero. Per spiegare come si è giuntia questo sistema, i lingusti
hanno proposto 2 ipotesi:
La prima ipotesi parla di un sistema a 9 vocali, in cui si mantiene una distinzione tra suoni aperti e chiusi basata sulla lunghezza delle vocali. In questo sistema,
tranne per la “a”, alle vocali lunghe corrispondeva un suono chiuso, mentre le vocali brevi si accompagnavano a suoni aperti. Ad esempio, una “e” breve
diventerebbe una “e” aperta. La “a” non mostra variazioni timbirche, mentre per la “u” si prevede una distinzione timbrica tra “u” breve, molto aperta, e la “u”
italiana. È importante notare che questa ipotesi rimane non testimoniata e perciò è puramente teorica. Inoltre, anche le vocali posteriori avrebbero potuto subire
una trasformazione simile a quella delle vocali medie. Questo ci aiuta a comprednere l’evoluzione complessa delle vocali nel passaggio dal latino alle lingue
romanze.

Vocalismo tonico sardo

La seconda ipotesi riguardo all’evoluzione del sistema vocalico latino


suggerisce che le caratteristiche più antiche possano essere ancora
conservare in una varietà romanza, ovvero nel sardo. Questa varietà
presenta un sistema delle vocali toniche composto da 5 vocali. Sebbene ci
sia stata una riduzione della quantità vocalica, il sardo si è evoluto in una
direzione differente rispetto ad altre lingue romanze, in particolare per
quanto riguarda la distinzione timbrica delle vocali medie. Infatti, nel sardo non troviamo questa distinzione, poiché si utilizzano soltanto suoni chiusi. Questa
struttura potrebbe essere alla base del sistema vocalico delle lingue romanze, e l’ipotesi trova supporto nel confronto con il romanzo orientale, che mostra una
situazioen ibrida tra il romanzo occidentale e il sardo.

Secondo vocalismo
Un elemento curioso è rappresentato dalla zona Lausberg, un’isola linguistica situata in italia, che si estende dalla
Calbria, alla Lucania e arriva fino al golfo di Taranto. Qui, sorprendentemente, si riscontra lo stesso sistema
vocalisco del sardo. Quato ha portato a 2 principali ipotesi:
- Potrebbe rappresentare una semplificazione più marcata del sistema vocalico occidentale;
- Potrebbe essere una conservazione del sistema vocalico più antico.

Sistema vocalico tonico romanzo orientale

Un terzo sistema, corrisponde ad una fase successiva a quella dei primi due, è
invece quello del romanzo orientale. Il sistema vocali in esame è composto da
6 vocali toniche e presenta un aspetto ibrido. Nella parte delle vocali anteriori,
infatti, rispecchia il vocalismo occidentale, mntre per le vocali posteriori si
allinea con il sardo. Questa situazione ha portato a considerare che il sitema
sardo possa essere più antico, poiché il suo riflesso delle vocali posteriori
sembra più primitivo. Secondo l’ipotesi, il sistema del romanzo orientale è il
risultato di una mutazione progressiva. In questo contesto, lo stadio più antico
sarebbe rappresentato dall’esito delle vocali posteriori, mentre l’evoluzione successiva riguarderebbe le vocali anteriori. In questo modo, il cambiamento fonetico
che ha portato all’espansuone da 6 a 7 vocali avrebbe inizialmente coinvolto le vocali anteriori, un fenomeno più diffuso e radicato. Solo successivamente questo
cambiamento avrebbe raggiunto l’area orientale, in particolare la Dacia. Tuttavia, è importante notare che i cambiamenti che interessano le vocali posteriori di
sarebbero verificati in un momento successivo, limitandosi alla diffusione nella parte occidentale, partendo dall’Italia. La Dacia, essendo stata occupata solo per un
breve periodo, non ha avuto il tempo necessario per assimilare queste modifiche fonetiche.
Vocalismo tonico siciliano
Il sistema vocale del siciliano è caratterizzato dalla presenza di cinque vocali. A
differenza del sardo, nel siciliano le vocali estreme e le vocali lunghe medie si sono
chiuse in un suono più avanzato, portando a una modifica nel modo in cui queste vocali
vengono pronunciate. Tuttavia, il siciliano ha mantenuto le vocali aperte, il che lo
distingue ulteriormente.
È interessante notare che, sebbene questo sistema possa sembrare arcaico a prima vista,
in realtà rappresenta una fase più evoluta del romanzo occidentale. Questo significa che
il siciliano non è un sistema statico, ma piuttosto una manifestazione linguistica che ha
subito cambiamenti e adattamenti nel tempo.

17/10/24
È importante conoscere questi fenomeni perché il sistema fonetico delle lingue romanze è basato su fenomeni di vocalismo tonico e forti fenomeni del
consonantismo. L’aspetto fonetico delle lingue romanze, ovvero come funzionano i dittonghi, alcuni fenomeni tipici delle varietà italiane, è legato al vocalismo
tonico, che rispetto ad altre zone del sistema linguistico sono anche quelle più esposte alla regolairtà della legge fonetica. Perché sono luoghi forti della parola
(pronuncia) tengono maggiormente la legge fonetica.

È da questo sistema del vocalismo tonico occidentale che si sviluppano alcune caratteristiche più interessanti nella fonetica delle lingue romanze. È un sistema a 7
vocali, in cui alla “E” breve latina e alla “O” breve latina, corrispondono la “E” aperta e la “O” aperta romanze, mentre nelle parti estreme dell’articolazione
vocalica abbiamo la convergenza della “I” breve latina in una “E” chiusa, e una “O” lunga e una “U” breve in una “O” chiusa, “I” e “U” restano tali anche nelle
lingue romanze. Possiamo verificare l’eficacia di questo schema, in questi esempi:
- Lat. FĪNEM > it. fine
- Lat. FĬDEM > it. fede

- Lat. RĪPAM > it. riva


- Lat. NĬVEM > it. neve

- Lat. CRĒDERE > it. credere


- Lat. TĔMPUS > it. tempo

- Lat. PĂTREM > it. padre

- Lat. PŌRTUM > it. pòrto


- Lat. SŌLEM > it. sóle

- Lat. GŬLA > it. gola


- Lat. MŪRUM > it. muro

A questo sistema intervengono a bloccare alcuni di questi esiti alcuni contesti fonetici. Può riguardare singole varietà, come il francese che è molto più evolutiva
rispetto al latino. Lo si vede già a partire da questo sistema, perché presenta due esiti particolari, che riguarda le varietà oitaniche e le varietà minori che fanno
gruppo con il francese, ovvero il retoromanzo e i dialetti gallo-italici.
1. L’esito della “Ū” latina che viene palatalizzata, e quindi si ha la tipica pronuncia della “U” francese;
2. L’esito della “A” tonica in sillaba libera. Questa “A” in francese, senza condizionamenti, passa a “E”. La presenza di un fonema che crea
condizionamento blocca questo passaggio. Questi elementi sono una nasale, che determina la formazione di dittongo in “AI”, e una consonante
palatale, che determina la palatalizzazione della velare iniziale.

Esiti della “A” in francese:


Bisogna fare una distinzione tra esiti spontanei ed esiti condizionati. Gli esiti condizionati si intendono quelli che sono condizionati dal contesto fonetico, esiti non
attesi, ma che in realtà no lo contraddicono ma lo blocca. I contesti condizionanti della “A” in francese sono:
- Presenza di una consonante palatale nel romanzo:
1. Lat. CAPUT > afr. chièf > fr. chef;
2. Lat. CAPRA(M) > afr. chièrre > fr. chèrre;
3. Lat. CANEM > afr./fr. chien.
Dobbiamo pensare che dal momento che entrambi gli esiti del francese, la formazione di questo dittongo, che in antico francese era ascendente (accento sulla “e”),
e la consonante palatale era un’affricata, quindi veniva pronunciata [tʃ]. In francese moderno è stata fricativizzata, anche quel dittongo si è semplificato,
diventando una “e” aperta. Quel dittongo è stato determinato da un suono palatale, ci porta a pensare che il fenomeno più antico è stato la palatalizzazione di
questa velare, perché sennò non avremmo avuto il dittongo. Questa palatalizzazione riguarda tutte le varietà romanze, anche in italiano:
- Lat. C[k]ENTU > it. cento.
La particolarità del francese è che, il francese palatalizza anche davanti a vocale centrale e posteriore, cosa che non succede nel romanzo orientale e nelle altre
varietà occidentali. Lo stesso provenzale e l’occitanico non ha questo passaggio. Per esempio:
- Lat. CANTIO > viene conservata la velare sia nel provenzale “canso” sia in italiano “canzone”, ma in francese troviamo “chanson”.
Ma anche davanti a una vocale più avanzata posteriormente, ovvero: Lat. CAUSA, che ha il tipico dittongo “AU” latino, che viene sempre monotongato al
romanzo. Fenomeno esteso che riguarda sia i dittonghi che hanno l’accento sia quelli atoni, come AURICOLA che diventa “orecchio”. Tranne il porvenzale, il
catalano e il portoghese, che fanno gruppo a sé, perché conservano quel dittongo, mentre il portoghese si ha la conservazione del dittongo con una piccolo
cambiamento di timbro, infatti viene leggermente chiuso e troviam il dittongo “OU”. Sono 3 varietà che hanno un trattamento a parte dei dittonghi.
L’italiano ha anche un altro esito. Uno è quello volgare “cosa”, e uno che ha conservato il dittongo (cultismo) “causa”, ha conservato questa forma perché nel
latino era una voce filosofica. Il francese si distingue con la velare che si trasfoma in antico francese in un’affricata palatale “chose”, e poi successivamente
fricativizza e diventa “chose”, il francese mostra una palatalizzazione più spinta. Anche in questi casi, i fenomeni di cambiamneto investono le vocali anteriori e
poi le vocali posteriori. Queste differenze indicano anche che il fenomeno più esteso è quello più antico, mentre le varietà più avanzate, come il francese, mostrano
fenomeni più recenti.
Tornando alla “a” francese, in quel caso il contesto fonetico condizionante è la presenta di una palatale.
- Lat. PLANUM > afr. plàin, l’elemento condizionante è la nasale.
Per alcune parole, semplicemente, il passaggio non ha avuto luogo perché ci troviamo in presenza di cultismi, come
- Lat. PÀPA > fr. pape;
- Lat. AVÀRU > fr. avare.
Altra modifica al vocalismo tonico è determinata, ancora per il francese, da consonanti nasali e quindi si ha un processo di nasalizzazione delle vocali. Sappiamo
queste cose perchè abbiamo uno strumento affidabile, ovvero lo studio dei testi in rima. Sappiamo che il dittongo “AI” ha cominciato a essere pronunciato come
una “e”, nel momento in cui nei testi inversi poteva formare una parole con quel dittongo e una parola con la “e”. Per la nasalizzazione delle vocali, in alcuni casi
nel francese, si potevano trovare parole che si scrivevano in “-an”, parole scritte che finivano con “-on”. Questo ha fatto pensare che il suono fosse lo stesso, e chi
scriveva percepiva la pronuncia di questi due suoni uguali. Oppure ha permesso, sempre per la presenza della nasale, di ipotizzare anche una pronuncia chiusa,
spura della “a” tonica in occitanico. Probabilmente questa “a” era pronunciata in modo molto chiuso quasi come una “o”. (52:50).

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