FILOLOGIA ROMANZA
FILOLOGIA ROMANZA
FILOLOGIA ROMANZA
ROMANZA
A.A. 2024/25
I Lais di Maria di Francia:
“Lais” termine bretone = canto.
Bestiame = trattato tipicamente medievale che parla di bestie, anche fantastiche. Vengono descritti a livello morale e figurato (allegorico). Uno dei Lais racconta di
un lupo mannaro. La lingua di Maria di Francia è l’Anglo-Normanno, era la lingua di cultura e la prima letteratura francese è stata prodotta in questa lingua (la più
antica).
La linguistica romanza è un ramo specialistico della linguistica che studia in ogni loro aspetto tutte le parlate che hanno origine da una evoluzione della lingua
latina.
Lingue romanze = lingue neolatine, la linguistica romanza si occupa di una famiglia di lingue che hanno in comune le strutture linguistiche e grammaticali.
Formano una famiglia su una base genetica, sono imparentate perché derivano dalla stessa lingua. Lo studio di queste lingue avviene su un metodo di
comparazione, studia le lingue romanze confrontandole tra di loro e descrivendo i fenomeni che riguardano le loro strutture grammaticali nel tempo, specialmente i
fenomeni in comune, fino alla fine del medioevo. I grandi poeti italiani hanno scritto nella lingua letteraria di quel genere, la lirica per eccellenza in provenzale. Lo
stesso Dante leggeva il provenzale e ha scritto anche una canzone plurilingue. C’era una letteratura plurilingue. Nel periodo medievale con le lingue romanze
(francese e provenzale in Francia) iniziò la letteratura del continente. Queste diverse varietà romanze sono continuamente connesse tra di loro. Le storie di
Lancillotto vengono prodotte nei romanzi francesi e da lì lette in altre parti come in Italia, ma anche nei paesi germanofoni. Il mondo medievale è interconnesso
nel quale un lingue influenza l’altra in un modo che oggi sarebbe inimmaginabile.
LA ROMÀNIA:
Il territorio, dove si parlano le lingue romanze, è delimitato da un confine
linguistico; si distingue in:
• La Romània continua = territorio dove sono parlate lingue romanze con un
continuo confine geografico (Portogallo, Spagna, Francia e Italia), mentre la
Romania è staccata da territori in cui si parlano altre lingue, rappresenta una
particolarità le cui motivazioni non sono chiare. I territori della Romània
continua, che sono latinofoni dall’antichità non hanno mantenuto sempre una
continuità nell’uso della lingua latina, pensiamo come zone della penisola
iberica e la Sicilia che per lunghi secoli sono state sotto il dominio di
popolazioni non latinofone e hanno perso l’uso del latino per secoli. Il latino
è stato reintrodotto come lingua libero romanza, ma era già diventato un
volgare.
• La Romània perduta = nella situazione antica, da quella moderna, si notano
delle zone perdute. In termini tecnici si parla delle zone che hanno perso il
latino nei secoli successivi alla caduta dell’impero. Queste zone sono l’Africa
settentrionale, i territori a nord oltre l’arco alpino, fino al Danubio e oltre il
Reno, e la parte meridionale del Regno Unito. Anche dopo la caduta
dell’Impero Romano, l’Egitto resta una zona di alta romanizzazione fino al
1476 ed è l’unica regione dell’Africa settentrionale che mantiene un'alta
cultura latina.
• La Romània nuova = mentre in Europa alcuni territori sono stati perduti, più tardi vengono conquistati altri territori. Dopo le esplorazioni e le conquiste (1492)
inizia un periodo di colonizzazione sia del nuovo continente, sia dell’Africa. Esse sono colonizzazioni che rappresentano un’azione di rapina, ma da un punto di
vista linguistico abbiamo l’esportazione della lingua latina. A partire dalla fine del 1400 inizia una romanizzazione moderna con i territori dove troviamo la
diffusione delle lingue neolatine.
• Africa: il francese è la lingua più diffusa e resistente dopo la fine del periodo coloniale. Lo spagnolo ha pochissima diffusione;
• Oceania e Asia: diffuse le lingue creole;
• America: lo spagnolo è la lingua più diffusa seguita dal portoghese.
AREA IBERO-ROMANZA:
L’area ibero-romanza comprende principalmente la Spagna e il Portogallo, al cui interno
troviamo diverse varietà linguistiche. In Spagna, molte di queste varietà sono
riconosciute a livello regionale, tra cui il gallego (Galizia), il navarrese, l’aragonese
(nella zona settentrionale), il catalano (in Catalogna) e il castigliano, che è la lingua
ufficiale. Da notare anche l’accento andaluso al sud. Le varietà varicano anche il confine
politico, infatti il catalano è riuscito a varicare il confine con la Francia (Roussillon).
Particolare attenzione merita il basco, una lingua antica che precede la diffusione delle
lingue indoeuropee. Situato tra Francia e Spagna, il territorio basco è un’isola linguistica
che ha generato tensioni sociali, culminate in atti di terrorismo da parte dell’ETA:
Gallego-portoghese:
C’è un’altra varietà romanza che fa concorrenza, cioè il gallego-portoghese. Nel medioevo la zona del Portogallo era caratterizzata da un’unità linguistica molto
forte dove si parlava gallego-portoghese, che è una lingua letteraria usata soprattutto nella lirica. Essa veniva nominata anche come lingua koinè letteraria, cioè una
lingua a uso letterario e non parlato. Alla base della produzione del gallego-portoghese medievale troviamo il genere delle cantigas. Le cantigas sono
componimenti lirici di 3 tipi tematici e formali:
- Cantigas de amor, in cui l’io lirico maschile parla d’amore;
- Cantigas Escarno e Maldizer, poesie di scherno (offesa) e di maldicenza, sono delle poesie satiriche;
- Cantigas de amigo, canzoni di amico, ma bisogna intendere l’amico come l’amante. Sono liriche a voce femminile, dove l’io femminile si lamenta per
la lontananza dell’uomo. Rappresentano la produzione lirica europea a voce di donna.
Alfonso X compone delle cantigas religiose che parlano di Maria, cantigas narrative che raccontano i miracoli della vergine, composte in gallego-portoghese.
Con la formazione del Regno di Portogallo nel 1093, abbiamo una divisone linguistica tra gallego (nord), che continua come varietà, e una varietà linguistica (sud)
cioè il portoghese, che è l’esito moderno dell’antico gallego-portoghese. Il portoghese comincia a definirsi come lingua di stato quando si ha la formazione del
Portogallo nel 1139. Nel 1143 viene nominato un primo re di Portogallo, Alfonso Henriques, riconosciuto dal re di Castiglia. Da quel momento Lisbona comincia
a porsi come centro politico e culturale del regno.
Il gallego conosce un periodo di fioritura durante il romanticismo perché c’è la volontà di riportare in auge lingue cadute precedentemente, dopodiché conosce un
altro periodo di decadenza con la dittatura di Franco, fino a essere riconosciuto come lingua regionale dopo la caduta dei Franco (1975). Nel 1979 si crea la
Costituzione spagnola e, successivamente le lingue di minoranza sono riconosciute come lingue regionali. Si accompagna anche un porcesso di fissazione
grammaticale e ortografica (1983).
Il castigliano comincia a diventare la lingua principale, acquistando un ruolo importante dopo “La Reconquista”. In epoca moderna, nel 500, comincia anche la sua
fortuna extra europea, grazie a 2 canali di diffusione:
- La cacciata degli ebrei dalla penisola, che si diffondono in altre zone dell’europea e andando a diffondere la loro lingua ibero-romanza. Questa lingua,
mischiata all’ebraico, ha caratteri di arcaicità. È un tipo di castigliano che risalendo al tardo medioevo conserva tratti arcaici;
- La colonizzazione del continente americano, che ha portato lo spagnolo a essere la lingua romanza più parlata al mondo.
Il catalano, inizialmente fiorente nel Medioevo, conobbe un declino a partire dal Quattrocento, quando fu soppiantato dal castigliano. Tuttavia, durante il
Romanticismo, il catalano rivisse grazie a Pompeu Fabra, che ne promosse la normalizzazione grammaticale. Solo nel 1779 il catalano fu riconosciuto come lingua
regionale, parallelamente al castigliano.
Le varietà aragonese e navarrese, al contrario, sono rimaste prive di riconoscimento ufficiale e sono oggi considerate dialetti.
AREA GALLO-ROMANZA:
Tuttavia, mentre le verità occitaniche continuano ad essere lingue attive nel sud della Francia, si verificano aventi storici che minacciano la loro esistenza. Tra il
1209 e il 1229, il papa Innocenzo III, in accordo con il re di Francia Filippo II, indice una crociata contro gli albigesi, accusati di eresia. Questa guerra di religione,
con forte carattere politico, porta alla devastazione delle corti e dei feudi meridionali, che erano già in conflitto con la corona francese. I poeti, in cerca di rifugio e
opportunità, si trasferiscono in altre corti europee, specialmente in Italia (Veneto), dando inizio a un fenomeno noto come Diaspora trovadorica. Questo
movimento non solo diffonde la poesia trovadorica, ma fa dell’Italia un centro di produzione lirica attivo in Europa. I territori conquistati vengono consegnati al re.
Da qui comincia il declino dell’occitania, perdendo importanza.
La situazione linguistica, prima di questa tragedia, era molto distinta con alcune varietà che avevano un prestigio letterario molto importante, come il Limosino.
Troviamo anche lingue di confine come il Pittadino, che condivide alcuni tratti con le varianti settentrionali e altri con le varianti meridionali. Per esempio, la
“canzone” veniva chiamata nella zona meridionale “canso”, mentre nella zona settentrionale “chanso”. Ed è per questo che nel Pittadino coesistono entrambe le
forme. Esiste un’altra varietà che si chiama Guascone, ma vinee subito accantonata perché ritenuta rozza.
Contemporaneamente, nel nord della Francia, la situazione linguistica subisce cambiamenti significativi. Con l’affermazione del franciano, promosso da Enrico IX
come lingua dell’amministrazione e della cultura, molte varietà regionali iniziano a essere marginalizzate. Il culmine di questo processo si ha con l’editto di
Francesco I nel 1539, che impone l’uso esclusivo del francese in tutti gli atti ufficiali, riducendo le altre lingue a semplici dialetti (Patois). La varietà
dell’anglonormanno cede le armi all’inglese, perché il ducato di Normandia e l’Inghilterra verranno divisi con la separazione anche delle lingue. Quasi l’80% della
lingua inglese ha radici nell’anglonormanno, una lingua di origine romanza. Questo ha portato a una significativa presenza di termini francesi, specialmente nel
campo giuridico, dove troviamo l’uso del Law-French.
Nel XIX secolo, ci fu un tentativo di riscoperta dell’occitano, guidato da un gruppo di scrittori come Frédéric Mistral. Questi letterati volevano portare l’occitano
alla ribalta come lingua della letteratura. Tuttavia, questo progetto incontrò molte difficoltà, principalmente a causa della diversità dei dialetti che caratterizzano la
lingua occitana. Per promuovere questa causa, venne fondato il movimento dei Félibres, il cui nome significa “succhiatori del latte delle muse”. I Félibres si
impegnarono a valorizzare la lingua e la cultura occitana, dando vita a opere letterarie e contribuendo a creare un tesoro linguistico. Nonostante i loro sforzi, il
movimento non ebbe il successo sperato, poiché mancava una cultura letteraria unitaria che potesse sostenere l’occitano. Tuttavia, la lingua riuscì a superare i
confini e a diffondersi anche in Italia. Un passo importante per la tutela delle lingue minoritarie si ebbe nel 1951 con l’introduzione della legge Deixonne, che
mirava a proteggere e valorizzare le lingue di minoranza in Francia.
Franco-Provenzale:
Un’altra varietà linguistica di grande rilevanza è il franco-provenzale, la cui esistenza non fu ufficialmente riconosciuta fino alla seconda metà dell’800. Questa
lingua, nonostante non avesse documenti storici antichi, possiede una produzione letteraria di notevole valore, con opere come il “Roman d’Alexandre” e “Girart
de Roussillon” oggi il franco-provenzale è tutelato dalla legge italiana con la legge 482/1999 per le minoranze linguistiche, rappresentando una parte importante
del patrimonio culturale.
AREA ITALO-ROMANZA:
L’Italia è un’area caratterizzata da una straordinaria frammentazione linguistica. Infatti, nessun’altra lingua romanza
presenta una varietà così ampia e differenziale come quella italiana. Le diverse parlate si differenziano notevolmente
l’una dall’altra e sono sostenute da tradizioni regionali molto attive e variegate. Nonostante ci sia un italiano standard,
la penisola non è ancora linguisticamente unificata. L’italiano standard è stato ufficialmente imposto dallo Stato nel
1861, in coincidenza con l’unità d’Italia. Questa decisione mirava a diffondere la lingua italiana così come era stata
concepita da intellettuali dell’epoca, come Manzoni. I primi manuali di ortografia sono stati pubblicati in questo
periodo, ma la vera diffusione della lingua è avvenuta solo attraverso i mezzi di comunicazione di massa, come la radio
e la televisione, che hanno scelto come base il fiorentino. Tuttavia, questo processo di unificazione ha avuto
conseguenze negative, alimentando conflitti tra le diverse regioni, in particolare tra nord e sud, e generando tensioni
autonomiste.
Le origini latine della lingua sono nel:
- Lazione meridionale;
- Campania settentrionale.
Queste zone sono state cruciali per lo sviluppo del latino, dando vita a differenze significative all’interno della lingua. L’Italia ha in sé una grande varietà di
sistemi fonetici delle lingue romanze, organizzati in quattro modelli principali, ognuno dei quali rispecchia il vocalismo di un’area. Tra questi, spiccano il sistema
vocalico del sardo e quello del siciliano, che si presentano come entità a sé stanti. Un aspetto interessante è rappresentato dalla linea La Spezia-Rimini, che divide
le varietà settentrionali dal resto della penisola.
- Questa linea evidenza differenze notevoli, soprattutto nei dialetti gallo-italici, che includono il piemontese, il lombardo e una parte dell’Emilia-
Romagna. Questi dialetti condividono tratti con le varietà gallo-romanze, come il francese, e presentano peculiarità come la mancanza di vocali finali
nelle parole (parole tronche), lessico composto da parole piane e sdrucciole e la “u” palatalizzata del francese.
- I dialetti veneti, invece, si caratterizzano per un forte fenomeno di lenizione delle consonanti intervocaliche (cavei = capelli), cioè l’indebolimento delle
consonanti intervocaliche.
- I dialetti toscani, in particolare il fiorentino, rappresentano una varietà di prestigio al centro di un’evoluzione linguistica.
- I dialetti centro-meridionali, che mostrano piccole differenze al loro interno, suddividendosi in mediani meridionali estremi.
- Nella penisola salentina, nella Calabria meridionale e in Sicilia, si riscontra un sistema vocalico simile che presenta vocali medie aperte (e, o).
Ci sono altre tre aree importanti:
- I dialetti della Sardegna e il corso hanno caratteristiche comuni con il sardo;
- Le varietà romanze, che comprendono il Romancio, il Ladino e il Friulano.
IL SARDO
Il sardo è una lingua affascinante che presenta un sistema fonetico caratterizzato da vocali medie chiuse (e, o). L’isola, linguisticamente e storicamente, ha
conosciuto diverse fasi di dominazione:
- La fase aragonese (Spagna) nel 1324;
- La fase italiana a partire dal XIII secolo, annessa al Ducato di Savoia e successivamente al Regno d’Italia.
Questa lingua ha mantenuto alcuni tratti molto conservativi rispetto al latino, rendendola una delle varietà romanze più vicine alle origini. Ad esempio, in alcune
varianti sarde si conservano i morfemi -t e -nt nella terza persona singolare e plurale dei verbi. Inoltre, la velare latina /k/ è stata preservata davanti a vocali
anteriori, come si può notare nelle parole “chentu” (cento) e “anghelu” (angelo), rispetto all’italiano. Un’altra particolarità è che alcuni sostantivi neutri
mantengono la -s latina. Ad esempio, mentre in italiano “corpo” ha perso la desinenza, in sardo si trova “corpus”. Queste caratteristiche rendono il sardo una
lingua unica, che ha goduto di una certa tutela grazie alla legge 482/1999, la quale consente l’insegnamento della lingua nelle scuole e nella pubblica
amministrazione.
È interessante notare che la situazione linguistica in Sardegna non è uniforme: il campidanese, parlato a Cagliari, è considerato la verità più autentica. Man mano
che ci si sposta verso il nord dell’isola, si notano maggiori influenze toscane, soprattutto nel logudorese, nuorese, gallurese e sassarese, che hanno subito
mutazione significative, perdendo alcune caratteristiche del vocalismo sardo (hanno medie, aperte e chiuse). Questa influenza del toscano si è consolidata a partire
dal Medioevo centrale, in particolare dopo la battaglia della Meloria nel 1284 tra pisani e genovesi, che segnò la fine del potere politico di Pisa. Curiosamente, i
più antichi testi scritti in volgare sono in pisano, mentre il fiorentino, che inizialmente aveva un’importanza minore, è diventato dominante grazie a figure come
Dante.
Infine, i dialetti corsi, che fanno parte dell’area italo-romanza, mostrano varietà toscanizzate nel nord e si collegano alle varietà della Sardegna nel sud.
NORME AREALI:
Nel 1925, Matteo Giulio Bartoli propose un’interessante teoria sull’evoluzione fonetica delle lingue, utilizzando le varianti sarde come punto di riferimento.
Bartoli si concentrò sulla cronologia e sulla distribuzione geografica dei fenomeni linguistici, suggerendo che ci sono delle norme che possono aiutarci a capire
come e perché certe forme linguistiche prevalgono su altre.
1. La prima norma è quella dell’area isolata, rappresentata dalla Sardegna. Secondo Bertoli, tra due forme, come “chentu” e “cento”, la forma più antica si
trova nell’area più isolata. In questo caso, “chentu” è considerata la forma originale, essendo rimasta in uso nell’isola;
2. La seconda norma riguarda le aree laterali, come il centro Italia. Bertoli sostiene che, tra due forme, quella delle aree laterali è più antica rispetto a
quella delle aree centrali. Questo perché i cambiamenti fonetici partono dal centro e le zone più periferiche tendono a mantenere le forme tradizionali.
Un esempio di questa norma è visto nel comportamento linguistico delle regioni dell’Italia settentrionale;
3. La terza norma è quella dell’area maggiore. Bartoli afferma che, tra due forme, la più antica è quella in uso in un’area più estesa. Un caso significativo
è quello di termini come “FRATER”, diffuso nell’area gallo- e italo-romanza e romeno, e “GERMANUS”, diffuso nell’area ibero-romanza, che
mostrano come le forme linguistiche cambino a seconda dell’ampiezza dell’area geografica;
4. La quarta norma è quella dell’area seriore, ovvero più tardo. Secondo questa norma, tra due forme, la più antica è quella in uso nelle zone romanizate
più recentemente. Per esempio, “COMEDERE”, “comer” in spagnolo e portoghese, e “MANDUCARE”, in fiorentino e “manger” in francese. Fra
queste due forme sappiamo che “comedere” è la forma più antica.
RETOROMANZO:
Il gruppo italo-romanzo è una definizione relativamente recente, introdotta da Ascoli. Questo gruppo comprende tre varietà linguistiche:
- Il Ladino;
- Il Romancio;
- Il Friulano.
Ascoli ha scelto di chiamare l’intero gruppo “Ladino”, ma attualmente si preferisce riferirsi a queste lingue come varietà del gruppo retoromanzo. Le parlate di
questo gruppo si trovano in due aree italiane e una svizzera. In Italia, il ladino è parlato tra Trentino e Veneto ed è riconosciuto come lingue di minoranza,
specialmente in provincia di Bolzano, dove è affiancato dal tedesco. Il friulano, invece, gode di una tradizione scritta consolidata.
In Svizzera, troviamo il romancio, che è parlato nel Canton Grigioni. Questa lingua ha dovuto affrontare la necessità di una fissazione grafico-grammaticale per
essere meglio strutturata e utilizzata. È interessante notare che queste varietà linguistiche sono spesso considerate ibride. In Svizzera troviamo quattro lingue
ufficiali e sono l’italiano, il romancio, il francese e il tedesco.
L’ITALIANO:
Nel corso del Quattrocento, la penisola italiana ha subito un significativo processo di toscanizzazione, che ha ridotto la presenza di dialetti autentici. Questo
fenomeno non è stato solo un cambiemento linguistico, ma ha influenzato profondamente l’identità culturale e nazionale degli italiani. Prima dell’unificazione,
l’idea di “Italia” come comunità geogrefica non era ancora definita; tuttavia, con la crescente affermazione della lingua fiorentina, si iniziava a concepire l’idea di
una nazione unita sotto un’identità linguistica condivisa.
Un altro aspetto interessante riguarda la documentazione del romeno. Le prime testimonianze scritte risalgono all’inizio del 500 d.C., con il primo documento
significativo rappresentato dalla lettera di un mercante del 1571. Questo ritardo nella documentazione è dovuto anche ai cambiamenti nellìalfabeto e nella scrittura.
Per molti secoli, il romeno fu scritto utilizzando l’alafabeto cirillico. Questa situazione cambiò a partire dal XIX secolo, quando ci fu una rioccidentalizzazione
della lingua. Nel 1840, con la formazione dell’attuale stato della Romania, vennero uniti i diversi principati locali e adottata una politica culturale e linguistica
volta a recuperare le radici latine del romeno. Fu in questo periodo che si riadattò l’alfabeto latino, permettendo così un maggiore contatto con le altre lingue
romanze, in particolare il francese, e contribuendo a una sorta di “rilatinizzazione” del lessico.
Dopo la caduta del regime comunista, anche nella refgione della Moldavia si tornò all’alfabeto latino, segnando un ulteriore passo verso l’integrazione con il resto
delle lingue romanze. È importante anche considerare le varietà minori del romeno, come il meglero romeno e l’istro romeno, che rappresentano importanti
varianti locali e arricchiscono il panorama linguistico della regione. In conlusione, la storia del romeno è caratterizzata da una complessa interazione tra fattori
storici, linguistici e culturali. Le sue radici latine si sono mescolate con influenze slave e latre, dando vita a una lingua unica continua a evolversi nel contesto
europeo contemporaneo.
DALMATICO:
Il dalmatico rappresenta una vairetà linguistica interessante, fungendo da ponte tra l’italo-romanzo e il balcano-romanzo. Si è sviluppato principalmente in Istria e
Dalmazia, con due località chiave: Veglia e Ragusa, oggi in Croazia. È importante notare che il dalmatico è considerato una lingua estinta. La sua sotria è molto
antica e documentata, con testi medievali che attestano la sua esistenza. Tuttavia, nel corso dei secoli, il dalmatico ha subito una progressiva erosione, in gran parte
a causa dell’influenza di ligue slave e del Veneto, fino a scomparire definitivamente alla fine del 1800. Uno degli ultimi parlanti di questa lingua è stato Matteo
Giulio Bartoli, che ha dedicato parte della sua vita allo studio del dalmatico. Prima della sua morte nel 1898, ha avuto l’opportunità di intervistare l’ultimo parlante
e ha prodotto una grammatica della lingua, pubblicata nel 1906. Dal punto di cista linguistico, il dalmatico presenta tratti arcaici molto interessanti. Ad esempio,
conservava l’occlusiva velare sorda e sonora davanti alle vocali anteriori, una caratteristica che possiamo ritrovare anche nel Sardo. Inoltre, a differenza di molte
altre varietà romanze orientali, il dalmatico non presenta lenizione delle intervocaliche e mostrava una dittongazione particolarmente ricca. In sintesi, il dalmatico
non è solo una lingua estinta, ma anche una testimonianza preziosa della storia linguistica dell’area adriatica e delle sue interazioni con le altre culture e lingue nel
corso dei secoli.
Il passo successivo fu la formulazione del metodo storico-comparativo, che consentiva di studiare le lingue attraverso la loro evoluzione nel tempo. Franz Bopp,
pubblicando nel 1816 “Conjugationssystem”, affermò che il confronto tra le lingue dovesse basarsi su strutture grammaticali fondamentali, in particolare sulla
flessione. Bopp si concentrò sulle coniugazioni verbali e sulle differenze morfologiche tra le lingue. La sua opera non solo formalizzò l'approccio comparativo, ma
mostrò anche come le lingue indoeuropee, comprese le lingue romanze, conservassero elementi di una flessione molto più complessa rispetto a lingue come
l'inglese.
Le lingue romanze si svilupparono dal latino volgare, subendo un processo di semplificazione rispetto alle lingue indoeuropee antiche. Questo processo di
semplificazione portò a una riduzione della flessione e a una maggiore analiticità:
- Flessione: Mentre il latino possedeva un sistema flessivo molto complesso, con otto persone verbali e una marcata distinzione tra funzione sintattica
(soggetto, oggetto), le lingue romanze ridussero queste distinzioni. Ad esempio, l'italiano ha mantenuto alcune flessioni verbali ma ha semplificato
notevolmente la flessione nominale rispetto al latino.
- Semplificazione strutturale: Le lingue romanze hanno mantenuto alcune strutture flessive, ma hanno semplificato il sistema rispetto al latino, perdendo
le complesse declinazioni e riducendo il numero di forme verbali.
L’evoluzione della linguistica, dall’idea medievale del latino come lingua puramente scritta fino all’approccio scientifico del XIX secolo, ha permesso di
comprendere le lingue in modo più approfondito. La scoperta delle affinità tra le lingue indoeuropee ha trasformato il campo, portando a una nuova comprensione
delle origini e delle relazioni tra le lingue romanze e il latino. La linguistica storico-comparativa ha aperto la strada per la ricostruzione delle forme linguistiche
non attestate e ha reso possibile un approccio scientifico allo studio delle lingue, gettando le basi per le ricerche future nel campo.
L’aspetto affascinante della ricostruzione linguistica è il tentativo di riportare alla luce una lingua parlata milleni fa. Qeusto processo si basa sul metodo storico-
comparativo, che sfrutta la ricostruzione lessicale e analizza gli esiti di alcune parole nelle lingue documentate. Attravreso il confronto, si cerca di risalire alla
forma originaria delle frasi indoeuropee.una delle critiche mosse a questo approccio riguarda l’idea di ricostruire una lingua non documentata secondo una linea
verticale, come se fosse un albero geneaologico in cui le lingue si sviluppano in modo lineare. In realtà, è fondamentale considerare anche le influenze orizzontali.
Le lingue interagiscono tra loro attraverso prestiti e calchi, che sono forme di importazione di parole da una lingua all’altra. È quindi poco relistico pensare che
l’ipotesi indoeuropeista si sia evoluta senza alcun contatto tra le varie lingue della famiglia. Le differenze lessicali tra le lingue indoeuropee possono suggerire che,
all’interno di questa famiglia, alcune lingue abbiano trasmesso forme e vocboli ad altre. Con il passare del tempo, la visione di indoeuropeo è cambiata; mentre nel
XIX secolo si tendeva a considerarlo in modo rigido, oggi lo vediamo come un concetto più dinamico che rappresenta le affinità linguistiche delle varie lingue
indoeuropee.
Un momento cruciale nella storia della linguistica si è verificato agli inizi dell’Ottocento, quando gli studiosi si sono resi conto dell’importanza della famiglia
romanza. Questa famiglia, grazie alla sua ricca documentazione, ha fornito un banco di prova ideale per il metodo storico-comparativo. Con testi sia in latino che
nelle lingue romanze, si è iniziato a considerare il settore romanzo come privilegiato per verificare le teorie linguistiche.
FRANÇOIS RENOIR:
In questo contesto, François Renoir è riconosciuto come il primo ad aver studiato la linguistica romanza. Fino a quel momento, la letteratura medievale era stata
trascurata, soprattutto a partire dal Quattrocento, quando l’umanesimo si era concentrato sul classico. Surante il periodo moderno, c’era una certa avversione verso
la letteratura medievale, considerata inferiore. Persino figure come Dante erano cadute nell’oblio, a parte Petrarca, la cui lirica continuava a influenzare fino
all’Ottocento. La riscoperta delle lingue medievali è avvenuta grazie a questi linguisti dell’Ottocento, mossi da una passione per una letteratura ideale. Questo
amore per il passato ha contribuito a rivalutare opere e lingue che erano state sottovalutate.
L’amore per la poesia dei primi trovatori ha trovato una figura importante in Renoir, il quale ha dedicato gran parte del suo studio alla lingua dei trovatori. La sua
passione, però, lo ha portato a commettere alcuni errori nella cronologia linguistica. Renoi propose una sua ipotesi sullo sviluppo delle lingue romanze dal latino,
ipotesi che si rilevò errata. Oggi, per noi è scontato riconoscere il latino come la base delle lingue romanze, ma per i linguisti del passato questa affermazione non
era affatto così evidente. In effetti, non era chiaro che tutte le lingue romanze derivassero dal latino con lo stesso grado di discendenza. Renoir, ad esempio, cadde
nell’errore di pensare che il provenzale fosse l’anello di congiunzione tra il latino e le altre lingue romanze, basandosi sul fatto che i testi più antichi a lui noti
erano documenti occitani, in particolare la lirica trovadorica. Per approfondire la sua ricerca, Renoir si dedicò allo studio dell’occitanico e alla lettura della poesia
trovadorica. Tra le sue opere più significative vi è l’antologia “Scelta delle poesie originali dei trovatori”, pubblicata in sei volumi tra ol 1816 e il 1821. Questa
raccolta non solo comprende un’ampia antologia della poesia trovadorica, ma include anche la prima grammatica della lingua provenzale. Come già detto, elaborò
una teoria secondo cui l’occitano sarebbe stata la prima lingua volgare evoluta dal latino, dando avvio alle altre lingue romanze. Tuttavia, la lirica italiana delle
origini aveva tradotto i poeti provenzali, e questo potrebbe avre creato l’illusione che gli autori siciliani si fosse ispirati ai trovatori, un malinteso che ha ingannato
Renoir. Malgrado i suoi errori, va riconosciuto il merito di aver creato uno strumento fondamentale per lo studio delle lingue romanze: “Il lessico romanzo”,
pubblicato tra il 1836 e il 1844. Questo lavoro rappresenta il primo vocabolario comparato delle lingue romanze medievali maggiori e ha avuto un impatto
duraturo negli studi linguistici.
FRIEDRICH DIEZ:
Friedrich Diez è considerato il “padre” della grammatica delle lingue romanze, grazie ai suoi contributi fondamentali nello studio delle strutture linguistiche.
Utilizzando un rigoroso metodo storico-comparativo, Diez ha dimostrato quanto sia produttiva la famiglia delle lingue romanze. Tra le sue opere più importanti
troviamo la “Grammatik der romanischen Sprachen”, pubblicata tra il 1836 e il 1843. Questa grammatica comparata ha gettato le basi per il metodo delle
grammatiche storiche che utilizziamo ancora oggi. Un altro importante contributo di Diez è rappresentato dall’”Etymologisches Wörterbuch der romanischen
Sprachen”, pubblicato nel 1853. Questo vocabolario etimologico non solo offre l’etimo ricostruito di una parola, ma elenca anche tutti i suoi usi e significati nelle
lingue romanze, fornendo un panorama lessicale monumentale.
Diez ha anche innovato il campo della grammatica storica, introducendo la suddivisione in settori come fonetica, morfologia, sintassi e lessico. Ha avuto
l’intuizione fondamentale che non tutte le forme latine attestate sono le dirette antenate delle lignue romanze. Egli suggerì l’esistenza di una forma di latino non
documentata, segnalata con un asterisco, che avrebbe potuto essere la base per le lingue romanze. Inoltre, ha evidenziato che le lingue romanze si limitao a
derivare dal latino, ma includono anche elementi celtici, germanici e arabi. I germanismi, ad esempio, entrano nelle lingue romanze soprattutto nell’alto medioevo,
mentre in Francia ci furono prestiti dal celtico. Anche l’arabo ha lasciato un segno nelle varietà iberiche.
Tuttavia, le politiche culturali nazionaliste nel francese e nel castigliano hanno ostacolato lo studio delle varietà locali e medievali. Questo ha contribuito a
trascurare la ricchezza delle lingue romanze, limitando così la ricerca sul loro lessico storico.
NEOGRAMMATICI:
La vera svolta nello studio delle lingue romanze e indoeuropee si deve al gruppo dei Neogrammatici, capeggiato da Hermann Osthoff e Karl Brugmann. Nel 1878,
pubblicarono un’opera fondamentale dal titolo “Ricerche morfologiche nel dominio delle lingue indogermaniche”, che scatenò un vivace dibattito all’interno della
linguistica indoeuropea. Quetsa pubblicazione si concentrava sui cambiamenti nella morfologia e nella fonetica delle lingue indoeuropee, proponendo un metodo
evolutivo che doveva portare a una ricostruzione precisa delle forme originali. I Neogrammatici sostenevano che l’evoluzione linguistica seguiva meccanismi fissi
e immutabili, permettendo di tracciare un percorso chiaro dalla forma originaria a quelle che conosciamo oggi.
Un concetto centrale che emerse dal loro lavoro era che i cambiamenti fonetici all’interno di una lingua non sono casuali, ma seguono leggi costanti. Prima di
questa scoperta, si pensava che le alterazioni fonetiche potessero variare liberamente da parola a parola. I Neogrammatici, invece, dimostrarono che una volta
indetificata la legge che regola un cambiamenti fonetico da una lingua di origine A a una lingua derivata B, quella legge si applica sempre allo stesso modo a tutte
le parole di quella lingua. Questo approccio ha avuto un impatto significativo anche sulle lingue romanze, contribuendo a stabilire un modello linguistico più
stabile. Nonstante le limitazioni delle loro teorie, i Neogrammatici hanno lasciato un’eredità preziosa alla linguistica moderna, stabilendo che i mutamenti fonetici
seguono leggi rigorose e prevedibili.
LEGGE DI BARTZCH:
La prima formulazione di una legge fonetica per il francese è attribuita a Bartzch. Questa legge riguarda in particolare il passaggio della vocale tonica “A” quando
si trova in sillaba libera. Per capire meglio questo fenomeno, possiamo considerare alcuni esempi:
CANTÀRE:
- It. cantare;
- Fr. chanter;
- Cast. cantar;
- Pr. cantar.
Qui notiamo che in tutte queste lingue romanze la vocale tonica è “A”. Tuttavia, in italiano troviamo la desinenza “-ARE”, mentre in francese appare “-ER”. Un
altro esempio è la parola:
MARE
- It. mare;
- Fr. mer;
- Cast. mar;
- Pr. mar.
Anche in questo caso, la vocale tonica rimane “A”, ma il cambiamento nelle desinenze ci mostra come il francese si differenzi dalle altre lingue romanze. La legge
di Bartzch stabilisce che quando in latino abbiamo una “A” tonica in sillaba libera, questa si trasforma in “E” in francese. Tuttavia, questo passaggio è bloccato se
la sillaba è chiusa. Inoltre, la questa legge ha un’importante rilevanza nel distinguere le varietà meridionali del francese da quelle settentrionali.
Nonstante questa regola generale, ci sono alcune eccezioni. Prendiamo per esempio la parola:
MÀ[NU
- It. mano;
- Fr. main.
PLÀ[NU
- It. piano;
- Fr. plain.
Secondo la legge di Bartzch, dovremmo aspettarci che in francese avremmo “men” o “plen”, ma la presenza di una nasale modifica il risultato. Un aspetto
interessante è che quando abbiamo una “A” tonica seguita da una nasale in sillaba libera, si verifica una dittongazione che porta alla forma “AI”.
Qui, la “A” tonica che dovrebbe passare a “E” genera invece un dittongo ascendente “IE”, grazie alla presenza di consonanti palatalizzate. In sintesi, la legge di
Bartzch ci dice che, quando troviamo una “A” tonica in sillaba libera, essa si trasforma in “E” in francese, a meno che non sia seguita da una nasale, il che porta a
un dittongo “AI”; oppure preceduta da una consonante palatale, generando un dittongo “IE”.
- LOQUI, infinito che proviene dal latino arcaico e che è entrato nelle lingue romanze come cultismo;
- FABULARE, utilizzata nei generi letterari minori del latino, è un esempio di come certe forme verbali continuino a influenzare le lingue moderne.
PARABOLARE, invece, è un prestito dal greco cristiano che ha dato origine, attraverso vari passaggi fonetici, alla forma francese “parler” e all’italiano
“parlare”.
Così è chiaro che le lingue romanze derivano dal latino tardo cominciò a sgretolarsi.
Inoltre, l’evoluzione della sintassi nel latino è evidenziata da un esempio di Cicerone, che scrisse “SCRIBERE AD FRATREM MEUM”. Qui possiamo notare
l’uso di una sintassi analitica, dove la preposizione chiarisce la funzione logica della parola seguente. Questo approccio si discosta dalla costruzione attesa, che
sarebbe stata “FRATRI MEO SCRIBERE”, un esempio di sintassi sintetica, tipica delle strutture nominali.
Nell’analizzare l’evoluzione del latino nelle lingue romanze, emerge chiaramente un passaggio segnificativo da un sistema analitico a uno più flessivo. Cicerone,
ad esempio, distingue tra due forme di latino:
- Il sermo urbanus, che rappresenta un latino più formale e colto;
- Il sermo rusticus, un tipo di latino parlato dalle classi meno istruite.
Alcuni scrittori dell’epoca documentato questa varietà di latino di registro più basso, caratterizzato da costruzioni sintattiche più semplici e un lessico meno
sofisticato. Questo contrasto ci permette di capire che il latino di alta qualità, grammaticalmente corretto, non era l’unica forma parlata.
A partire dalla fine del XIX secolo, i linguisti iniziano a esplorare nuove teorie per studiare l’evoluzione dal latino verso le lingue romanze. L’ipotesi diacronica,
che analizza i cambiamenti nel tempo, si dimostra insufficente, spingendo gli studiosi a considerare altre dimensioni. Tra queste emergono:
Ipotesi diastratica, che riguarda le variazioni linguistiche in relazioni ai contesti sociali;
Ipotesi diafasica, che si concentra sul constesto comunicativo stesso.
Si comprende quindi che il latino da cui derivano le lingue romanze non è semplicemente un latino tardo, ma è influenzato da entrambe le condizioni
comunicative. Questo latino include non solo la forma parlata delle classi sociali più basse, ma anche quello usato quotidianamente dai latini colti. Infine, si fa
strada il latino volgare, una varietà nemo formale e più accessibile, che si sviluppa all’interno di un sistema diastratico e diafasico. Questa varietà è cruciale per
comprendere l’evoluzione delle lingue romanze, poiché rappresenta una frase importante nella trascrizione da una lingua scritta e formale a forme parlate più
ricche e diversificate.
Hugo Schuchardt:
la definizione di latino volgare è stata fornita dal linguista tedesco Hugo Schuchardt, il quale, tra il 1866 e il 1868, scrisse un’opera dedicata al latino vocale. In
questo lavoro, Schuchardt analizzò il vocalismo delle lingue romanze e come queste si siano evolute dal latino. Egli descrisse il latino volgare come una forma
“bassa” del latino, caratterizzata da un sistema diastratico e diafasico, ossia influenzato da fattori sociali e situazionali.
Tuttavia, il termine “latino volgare” non è del tutto soddisfacente, poiché implica un riferimento al latino del popolo. Per questo motivo, si sono create altre
espressioni. Alcuni hanno suggerito termini come “romanzo comune” o “protoromanzo”. Alberto Varvaro, invece, ha proposto l’espressione “latino sommerso”,
mettendo in evidenza quel fondo di latino parlato che rimane inaccettabile e spesso trascurato nei documenti ufficiali. Questo tipo di latino era molto lontano dal
registro più alto, e le sue forme venivano persino censurate.
In termini di sintassi, il latino volgare mostrava una tendenza ad adottare costruzioni analitiche piuttosto che sintetiche. Questo segna un’evoluzione da un sistema
flessivo e sintetico a uno più analitico, in linea con l’evoluzione delle lingue romanze. Inoltre, nel lessico, si privilegiavano le forme regolari dei verbi, con una
tendenza a regolarizzare i verbi irregolari sulla base di forme analogiche, eliminando così le eccezioni. Per esempio, le forme irregolari come POSSE (potere) e
VOLLE (volere) si sono trasformate in forme volgari analogiche, come *POTERE e *VOLERE. Nella morfologia verbale e nominale, si cominciò a rimuovere le
forme irregolari e a sostituirle con quelle più regolari, portando a una riflessione sul fatto che le lingue romanze non si basassero tanto sul latino classico quanto su
queste forme coloquiali e partiche.
L’APPENDIX PROBI:
Il latino volgare, il linguaggio parlato e scritto dal popolo romano, è testimoniato attraverso le opere dei grammatici, che spesso registravano gli errori di scrittura e
pronuncia. Una delle fonti più significative per lo studio di questo fenomeno è l’Appendix Probi, nota anche come appendice di Probo. Questo documento è un
fascicolo di ortografia che contiene un elenco di 227 voci, in cui vengono indicate le forme corrette in latino accanto alle forme errate, risalente al periodo tra la
fine del VII secolo e l’inizio dell’VIII secolo, trascritto in un manoscritto composto nell’abbazia di Bobbio. Questo confronto ci rivela che già in quel periodo il
latino veniva prinunciato e scritto in modi differenti. Le forme sbagliate elencate nel manuale ci permettono di riconoscere l’emergenre delle lingue romanze.
Molte di queste forme errate sono caratterizzate dalla sincope, cioè la perdita di suoni, ma ci sono anche cambiamenti vocalici, come il passaggio dalla “E” latina a
una “I”.
Fenomeni che confermano i tratti fonetici del latino volgare dell’Appendix Probi:
Sincope vocale postonica: SPECULUM non SPECLUM, VETULUS non VECLUS;
Sviluppo di iod da E/I: CAVEA non CAVIA, VINEA non VINIA;
Riduzione di AU > O: AURIS non ORICLA;
Perdita di -M finale: NUMQUAM non NUNQUA, IDEM non IDE;
Caduta di H iniziale etimol: HOSTIAE non OSTIE;
Riduzione di NS > S: MENSA non MESA, ANSA non ASA;
• E l’ipercorrettismo: FORMOSUS non FORMONSUS;
Caduta di V intervolcalica: RIVUS non RIUS, AVUS non AUS;
Confusione tra B e V: PREBES no ìn PREVIS, BRAVIUM non BRABIUM.
Un aspetto importante da considerare è quello territoriale e geografico: possiamo davvero immaginare che il latino volgare fosse parlato allo stesso modo in tutte le
regioni dell’Impero Romano ? E’ difficile pensare che non si siano stati strumenti di diffusione della lingua originale. Infatti, la conoscenza del latino entrava in
contatto diretto con le popolazioni locali attraverso i coloni romani, generando fenomeni di bilinguismo iniziale, che poi si trasformavano in una situazione di
diglossia. In questo scenario, il latino veniva utilizzato per scopi ufficiali e formali, mentre le lingue locali continuavano a coprire la vita quotidiana, fino a cedere
gradualmente al latino in momenti diversi. Ad esempio, in Francia, il gallico, una varietà di celtico, si estinse nel V secolo, dimostrando quanto potesse essere
lungo e complesso questo processo.
Un interrogativo importante è: in che modo le lingue preromanze hanno influenzato il latino parlato ? Queste lingue hanno sicuramente lasciato delle tracce, sia
lessicali che strutturlai, nel latino e successivamente nelle lingue romanze. L’ipotesi del substrato, proposta dai linguisti romanzi alla fine del XIX secolo, in
particolare da Ascoli, suggerisce che le lingue preromanze hanno esercitato un’influenza sul latino parlato attraverso un contatto prolungato. Questa influenza è
diventata ancora più forte dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, quando le lingue locali hanno ripreso forza.
Oltre all’ipotesi del substrato, esistono anche quelle di superstrato e abstrato. Queste ultime si riferiscono alle lingue che entrano in contatto con il larino volgare e
le lingue romanze dopo la caduta dell’Impero, e possono spiegare le differenze tra le varie lingue romanze. Ad esempio, la pronuncia palatale della “u” latina è
assente nelle varietà settentrionali francesi e nelle varietà gallo-italiche; Ascoli propose che questa particolarità fosse un tratto celtico, legato a un substrato.
È importante notare che molte di queste ipotesi non sono verificabili, poiché le lingue preromane hanno una documentazione molto scarsa. Tuttavia, i fenomeni di
sostrato nel lessico sono stati confermati.
Infine, possiamo considerare le lingue di sostrato parlate nelle diverse zone della Romània:
• In Italia, troviamo un sostrato italico che comprende varie varietà preromane, come l’etrusce l’osco-umbro.
• In Gallia e nell’Italia settentrionale, è presente un sostrato celtico;
• Nella penisola iberica troviamo il sostrato basco e iberico.
• In Dacia (ggi Romania), il sostrato illirico, trace e daco (poco documentati).
• Si parla anche di un sostrato greco, il quale ha continuato a influenzare il latino anche dopo la colonizzazione romana, grazie al suo status di lingua
prestigiosa.
SOSTRATO ITALICO:
Le lingue preromane, in particolare l’osco-umbro, rappresentano un aspetto affascinante della storia linguistica dell’Italia antica. Questa lingua era parlata dagli
Oschi e dagli Umbri, popoli che abitavano l’Umbria e le zone circostanti. Durante i primi secoli della Repubblica romana, quando Roma iniziava a espandere il
suo territorio conquistando l’Italia centro-meridionale, ci fu un significativo contatto tra i Romani e queste popolazioni. Questo incontro culturale e linguistico è
fondamentale per comprendere l’evoluzione delle lingue italiane.
La documentazione della lingua Osco-umbra è limitata. Per l’umbro, abbiamo la fortuna di posedere le Tavole iguvine, che offrono importanti informazioni
linguistiche. D’altra parte, l’osco è attestato principalemente attraverso diverse iscrizioni. Questa scarsità di documentazione rende ancora più interessante l’analisi
dei fenomeni linguistici che si sono verificati. Uno dei fenomeni più interessanti legati al sostrato osco-umbro è l’assimilazione del nesso consonantico nasale-
dentale. L’assimilazione è un processo linguistico in cui un suono cambia per adattarsi a un suono vicino. Ad esempio, parole latine come “FRUCTUM” e
“NOCTEM” si trsformano in italiano in “frutto” e “notte”, dove il nesso consonantico viene semplificato. Questo processo avviene anche nelle varietà gallo-
romanze i ibero-romanze, dove si osserva una dittongazione. In francese troviamo “fruit” e “nuit”. Nelle varietà centro-meridionali, invece, si verifica un’ulteriore
assimilazine: le consonanti nasali (m e n) tendono a prevalere. Questa peculiarità linguistica è stata interpretata come una possibile influenza della pronuncia osco-
umbra, suggerendo l’esistenza di un sostrato linguistico. A supporto di questa idea, il linguista Ascoli ha proposto la “prova conografica”, che mette in evidenza la
corrispondenza tra fenomeni linguistici e aree geografiche specifiche, come la “u” palatale. Un altro ineterssante fenomeno è la spirantizzazione delle occlusive
sonore, come si osserva nella trasformazione di “BUGURCUS” in “bifolco”. Le iscrizioni antiche mostrano come queste occlusive sonore venissero pronunciate in
modo diverso nell’osco-umbro, risultando in un suono “f”. Inoltre, c’è la dissimilazione vocalica, in cui due vocali identiche si differenziano. Un esempio è dato
dalla parola “bifolco”, che deriva da un termine volgare che avrebbe altrimenti dovuto essere “bigolco”.
Infine, vale la pena di menzionare alcuni prestiti linguistici. Prendiamo, ad esempio, la parola “scarabeo”, che deriva dal latino come cultismo “SCARABEUS”.
Tuttavia, il suo esito volgare sarebbe stato “scarafaggio”, originato dal latino volgare “*SCARAFARU”, non attestato ma ipotetico.
L’etrusco rappresenta un importante sostrato della lingua italiana, ma la sua storia è complessa. Sebbene abbiamo una documentazione su questa lingua, il suo
destino è segnato da una “dannatio memoriae”, cioè una condanna all’oblio. Questa pratica era usata dai romani per cancellare la memoria di figure o lingue
storiche scomode, e in modo simile, hanno cercato di estinguere l’uso dell’etrusco.
Il contatto tra etruschi e romani risale agli inizi della fondazione di Roma, tra l’VIII e il IV secolo a.C. L’etrusco continuò ad esere parlato fino al I secolo a.C., e
anche l’imperatore Claudio mostrava un certo interesse per questa lingua, scrivendo una grammatica etrusca, che è andata perduta. Le fonti che conosciamo
riguardo all’etrusco provengoo principalmente da iscrizioni funerarie, come quella di Volterra, e da documentazione amministrativa. Tuttavia, manca
completamente una tradizione letteraria. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (C.N.R.) ha avviato un progetto per la creazione di un dizionario etrusco, ma si
concentra solo su alcuni settori della comunicazione.
Dal punto di vista lessicale, ci sono alcuni prestiti dell’etrusco al latino. Parole come “persona”, “istrione” e “aruspice”. Inoltre, l’etrusco ha influenzato anche
l‘ingresso di alcuni termni greci nel latino. Tra i prestiti più interessanti, possiamo citare “sporta” e “chisterna”, oltre a vari toponimi come Volterra, Cortona,
Padova e Vicenza.
Passando a un altro argomento, c’è stata un’ipotesi che collegava la gorgia toscana a un sostrato etrusco. Questo fenomeno, che riguarda l’aspirazione di certe
come le dentali “d” e “t”, è stato proposto alla fine dell’800 dal linguista Heinrich Nessen. Egli notò che la gorgia era diffusa in tutta la Toscana, tranne che nelle
zone meridionali-orientali come Arezzo e Cortona. Tuttavia, questa ipotesi è stata smentita. Infatti, la gorgia non è documentata prima del 500, e la prima
testimonianza scritta di questo fenomeno risale a un manoscritto del periodo, in cui Prisciano descrive la pronuncia fiorentina. Questo indica che, in epoche
precendenti, come quella di Dnte, non si usava la gorgia. Inoltre, esistono prove linguistiche che dimostrano come l’aspirazione non fosse una caratteristica
dell’etrusco. Ad esempio, consideriamo la parola “pace”, derivante dal latino “PACEM”. Se l’etrusco avesse aspirato le velari, ci aspetteremmo che anche in
toscano si riscontrasse questa caratteristica. Tuttavia, qunado la gorgia si afferma nel volgare fiorentino, vediamo che il fenomeno si sviluppa in modo diverso,
ssenza riprodurre le stesse caratteristiche delle consonanti latine.
SOSTRATO CELTICO:
La parte meridionale della Francia è stata conquistata dai romani intorno alla fine del II secolo a.C., i romani consolidarono il loro dominio sulla Gallia
meridionale, segnando un importante passo nella loro espansione territoriale. Successivamente, tra il 57 e il 52 a.C., si svolgono le celebri compagne di Cesare, che
portano alla conquista totale della Gallia in un arco di cinque anni. Dopo la conquista, tra il 27 e il 14 a.C., sotto il governo dell’imperatore Augusto, il territorio
viene riorganizzato amministrativamente. Questa organizzazione porta alla suddivisone della Gallia in province, ciascuna con caratteristiche proprie:
• Gallia Belgica: comprende una parte dela Francia settentrionale e una porzione del moderno Belgio;
• Gallia Celtica: rappresenta la parte centro-meridionale del territorio;
• Gallia Narbonese: un’area strategica che si affaccia sul Mediterraneo;
• Gallia Cisalpina: conquistata dai Romani nel II secolo a.C., che comprende anche l’Italia settentrionale.
Il contatto tra Romani e Celti si è sviluppato gradualmente nel tempo. È importante notare che le popolazioni celtiche non avevano una tradizione letteraria
consolidata, il che ha portato a una mancanza di documentazione scritta. Ciò significa che la maggior parte delle informazioni che conosciamo sui Celti si basa su
ipotesi e ricostruzioni, in particolare attraverso l’analisi dei fenomeni linguistici. Le lingue parlate nei territori celtici si suddividevano in due principali categorie:
• Celtico continentale: rappresentato dal galluco, una lingua parlata in Gallia;
• Celtico insulare: comprendeva il gaelico e il britannico, parlato nelle isole britanniche.
Il contatto prolungato tra Romani e Celti ha lasciato un’impronta significativa sulle lingue romanze, in particolare nei tratti fonetici. Glu studiosi hanno identificato
vari fenomeni fonetici che possono essere attribuiti al sostrato celtico, inclusi:
• Presenza del fonema /y/ e la pronuncia palatalizzata della “u”: queste caratteristiche sono riscontrabili nella Francia settentrionale e nei dialetti
dell’Italia settentrionale.
• Vocalizzazione del nesso consonantico velare dentale: questo fenomeno, che porta alla formazione di dittonghi, si osserva nel francese, nell’occitano e
nel ligure.
• Trasfromazione della “a” latina a “e”: un esempio notevole si riscontra nel francese moderno.
• Lenizione dlle sorde intervocaliche: questo è un tratto destintivo del francese, che riflette le influenze celtiche.
Quando si parla di prestiti linguistici, è evidente che molte parole celtiche sono entrate nel lessico delle lingue romanze, in particolare in francese, dove si riscontra
il numero maggioere di celtismi. Tra i termini celtici più significativi, possiamo citare:
• “CABALLUS”: è un prestito dal celtico, perché in latino di diceva “EQUUS”, rimasto come cultismo.
• “CARRUM”: ha sostituito il latino “CURRUM” nel linguaggio comune.
• Termini legati all’abbigliamento: parole come “BRACA” e “CAMISIE” non potevano essere latinismi, dati che i Romani non utilizzavano tali
indumenti.
Altri termini significativi includono “LANG”, “CHEN”, “SOMON” e “BRASE”, che arricchiscono il vocabolario delle lingue romanze grazie all’eredità celtica.
I toponimi, cioè i nomi di luoghi, rappresentano un’altra area in cui l’influenza celtica è evidente. Esempio noti includono “BOUVER”, “POITIERS” e “PARIS”,
che si riferiscono ai nomi di tribù celtiche che abitavano quelle terre. Inoltre, alcuni suffissi toponimici, come “-magus” e “-acum”, sono frequentemente utilizzati
per formare nomi di luoghi associati a un altro sostantivo, contribuendo così a una comprensione più profonda della geografia culturale celtica e romana.
SOSTRATO BASCO-IBERICO:
Siamo molto meno informati sulle popolazione iberche che abitavano la Spagna e il Portogallo prima della conquista romana. Si parla di 2 sostrati:
• Basco;
• Iberico, che viene dalle lingue degli Iberi. Non abbiamo nessuna documentazione.
Mentre per il Basco possiamo fare qualche ipotesi, per il sostrato iberico non abbiamo niente. Per quanto riguarda il sostrato basco abbiamo qualcosa, che è tipico
della zona ibero-romanza, ovvero il passaggio dalla fricativa sorda iniziale “f” all’aspirata “h”. Si può apprezzare in queti esiti:
• Lat. Ferrum > cast. Herro;
• Lat. Fabulare > cast. Hablar;
• Lat. Hermosus > cast. Hermoso;
Il passaggio è regolare, tranne quando c’è qualcosa che lo blocca, ovvero quando c’è il dittongo “ue” e davanti a consonanti.
• Lat. Focum > cast. Fuego.
È stato facile attribuirlo al sostrato basco, perché quella fricativa manca nella fonetica basca, e i prestiti che prende il basco, esso li risolve con un’aspirata o
un’occlusiva sonora. Per quanto riguarda il sostrato iberico abbiamo poca dcumentazione, ma comunque possiamo trovare delle parole che fanno riferimento a
questo sostrato. Queste parole sono quelle che contengono -rr o -rd all’interno della parola stessa e sono molto comuni, come izquierda, barro, cama, perro, zorro.
SOSTRATO GRECO
La lungua di sostrato si riferisce alla varietà linguistica preromana parlata in un territorio che è stato romanizzato. Questa lingua, originariamente presente nella
regione, viene gradualmente sostituita dal latino a causa del contatto tra le due lingue. D’altro canto, si parla di lingua abstrata per descrivere quelle lingue che
continuano a interagire anche dopo la piena conquista romana.
Un esempio significativo di questo fenomeno si trova nei rapporti tra latino e greco. La conquista romana della Grecia, avvenuta nel II secolo a.C. (con la
definitiva conquista nel 168 a.C.), non segnò semplicemente la supremazia del latino sul greco, ma creò invece uno scambio culturale profondo. Il greco, infatti,
godeva si un prestigio letterario e culturale superiore a quello del latino, e i romani, riconoscendo questo valore, si avvicinarono alla cultura greca. Dopo la
conquista, i greci iniziarono a trasferirsi a Roma, dove divennero insegnanti e modelli per i romani. Questo portò a una massiccia grecizzazione della cultura
romana. Anche se ci furono tentativi di resistenza a questo processo, i romani si lasciarono sedurre dalla cultura greca, e cominciò a diffondersi l’abitudine di
parlare greco, soprattutto tra le classi colte. In questo contesto, si sviluppò una situazione di bilinguismo in Italia. Questa coesistenza linguistica non si esaurì con
la caduta dell’Impero Romano, poiché il greco continuò a essere presente come lingua dei bizantini, contribuendo così al contatto continuo tra le due lingue.
Oggi, l’eredità di questa interazione è ancora visibile, in particolare nel sud Italia, dove esistono isole linguistiche in Calabria e Puglia. Qui, il greco è parlato in
comunità come a Bova, vicino a Reggio Calabria, e a sud di Lecce. La varietà di greco attualmente in uso è il neoellenico, ma presenta anche tracce di greco
arcaico risalente al periodo romano. Il sostrato greco è stato quello più invasivo per il latino.
- Vasto lessico di sostrato di parole comuni della quotidianità come: camera, oliva e oleum, machina, balneum, gubernare e gubernatum, spatha,
apotheca, talentum, theios (> it. zio e sp. tio vs AVUNCULUM > fr. oncle);
- Termini colti di influenza classica come: idea, poesis, comoedia, persona, musica, philosophia, schola, grammatica, athleta, palaestra, gymnasium;
- Termini che sono entrati in competizione con il latino, una serie di grecismo a “scalzare” il latino colto nella lingua parlata. Il latino aveva assimilato
questo lessico nella lingua di tutti i giorni come: PETRA (it. pietra, fr. pierre, cast. piedra) mentre in latino ha SAXUM (sasso) o LAPIS (lapide); e
PLATEA (it. piazza, fr. place, cast. plaza), mentre in latino si diceva FORUM, passato come cultismo giuridico;
- Esistono anche i grecismo passati nel romanzo attraverso il latino cristiano, ovvero: ECCLESIA, EPISCOPUS, DIABOLUS, ANGELUS,
PARABOLARE;
- A livello morfologico sono suffissi verbale -IZARE o -IDIARE (cfr. it. -izzare; -eggiare);
- A livello sintattico la costruzione OTI + verbo finito > QUOD + verbo finito. In questo caso si parla di calco, perché quello che viene importato nella
lingua d’arrivo è la costruzione, ma non la forma.
LINGUE DI SUPERSTRATO
Il concetto di lingue di superstrato si riferisce alle lingue che sono entrate in contatto con il latino dopo il crollo dell’Impero Romano. Queste lingue, parlate dai
popoli che conquistarono vari territori, si sono imposte come lingue dei vincitori, ma non hanno sostituito completamente il latino. In altre parole, si tratta di lingue
che hanno preso piede in un situazione di contatto, senza riuscire a prevalere sulla lingua già esistente. Un aspetto fondamentale di questo fenomeno è il rapporto
tra vincitori e vinti. Ad esempio, i Germani erano già stati in contatto con i Latini prima della caduta dell’Impero, ma questo non ha portato a un reale sostrato
linguistico, dato che l’influenza germanica sul latino era stata minima.
L’ipotesi di superstrato è stata introdotta da Walther von Wartburg nel suo saggio del 1950, “La frammentazione linguistica della Romània”. Wartburg era un
linguista di grande rilevanza, noto anche per aver lavorato al dizionario etimologico del francese (F.E.W.). nel suo lavoro, affermava che la differenzazione delle
varie lingue romanze era il risultato dell’influsso delle popolazione germaniche, che avevano colonizzato diverse regioni. Secondo Wartburg, c’era una relazione
meccanica tra l’influsso delle lingue germaniche e le varietà romanze locali. Ad esempio, lingue come:
- Il fràncone (parlata dai Franchi);
- Il burgundo;
- Il visigoto
Avrebbero avuto un impatto sulle differenze osservabili tra il francese, il francoprovenzale e il provenzale, corrispondenti ai territori occupati da queste
popolazioni germaniche. Le lingue germaniche di superstrato sono state così individuate per il loro influsso su singole aree romanze:
- Gotico dei Visigoti (Francia meridionale e Spagna);
- Gotico degli Ostrogoti e Longobardo (Italia);
- Fràncone dei Franchi (Francia settentrionale);
- Svevi (Spagna nord-occidentale);
- Vandali (Africa settentrionale e Sardegna)
Questa ipotesi è stata contestata, ed è impossibile stabile questa corrispondenza. La differenza delle lingue varia da molti fattori antropologici che ci sfuggono.
Wartburg ha individuato i germanismi sicuri, prestiti del gemanico sia a livello lessicale, sia a livello morfologico. Come per esempio:
- *WANKJA > it. guancia,
- *SKINA > it. schiena.
Per quanto riguarda il gotico abbiamo una fase documentata, ovvero la traduzione dei Vangeli da parte del vescovo Wulfila nel IV secolo. Si trovano una serie di
fenomeni che riguardano il superstrato germanico ovvero un importante fenomeno fonetico e prestiti lessicali. Per quanto riguarda la fonetica abbiamo il
fonema /w/, che è alla base del corrispettivo fonema inglese. Questo fonema non esisteva in latino, ma si forma nel latino volgare in due direzioni:
- Prestito dal germico ed entra attraverso alcuni prestiti lessicali; *WARDON (stare in guardia), *WAIDANJAN (guadagnare), *WARJAN (guarire),
*WERRA (guerra). Gli esiti di questo fonema sono idversi nelle diverse lingue romanze, il gruppo occidentale tende a velarizzare questo fonema,
mentre in italiano si ha una labiovelare.
- Si forma in latino anche per via autonoma da basi latine, come dalla vicinanza dalla “u” latina con una vocale. Ad esempio, la parola “quattro”, nel
latino volgare questa vicinanza genera questo fonema semiconsonantico.
- Suffisso -HART, che in germanico formava i nomi propri maschili,a ci sono anche derivati nelle lingue romanze come “Bernardo”, “Riccardo”,
“Edoardo”, che poi andavano a creare anche aggettivi che avevano un significato diverso come “bastardo”, “codardo”
- Una parte di lessico comune: *BLANK vs ALBUS, *BLUND e *BRUN;
- Termini feudali: FEHU; BARO; MARQUIS;
- Termini comuni: fr. honte, orgueil, riche, hardi, laid, robe, écharpe, danser, harpe;
- Sintassi: impersonale ON fr. < MAN germanico. Anche questo è un calco, ovvero HOMO.
SUPERSTRATO ARABO
Il suo influsso si esercita nell’Africa settentrionale. Nel 711 comincia la conquista delle pensiola iberica; l’avanzata degli arabi fu contrastata dai re franchi, a
partire dalla celebre battaglia di Poitiers (732), con la quale Carlo Martello ferma la loro espansione verso la Francia; parte del territorio spagnolo fu conquistato
dal nipote Carlo Magno (formazione della Marca Hispanica nell’801). Successivamente gli arabi sono via via ricacciati dal territorio spagnolo (battaglia di Las
Navas de Tolosa, 1212 dove a vincere è il re Alfonso VIII di Castiglia) fino a perdere l’ultimo caposaldo, il regno di Granada, nel 1492. Ci fu anche una conquista
della Sicilia nel 827, che resta araba fino alla riconquista dei Normanni nell’XI secolo. Gli influssi dell’arabo sono massicci per il territorio iberico. Il castigliano
ha fatto da tramite ed è stata la varietà romanza che ha assorbito più lessico arabo, infatti conta 4000 arabismo, e da qui poi alcuni sono passati alla famiglia
romanza. Anche il siciliano è stato interessato dalla dominazione araba e sono bastati tre secoli per far passare alcuni paradismi che non sono passati nella lingua
italiana. Questi paradismi sono arabismi che riguardano le tecniche agricole.
Per quanto riguarda il castigliano si parla di influssi dell’arabo come:
- Nella morfologia con il prefisso a-; al- e il suffisso aggettivale -í come tunecí, alfonsí;
- Nel lessico comune come: azafran, algodón, alcachofa, azúcar, arroz, naranja, aduana;
- Arabismi scientifici: it. algebra, zenit, chimica, cifra, zero (questi ultimi entrambi dalla stessa parola araba, sifr “vuoto” usato dai matematici arabi per
inidicare zero (ma la trafila è interessante: è il matematico italiano Leonardo Fibonacci, inizio XIII secolo, a tradurre l’ar. Sifr con zephirum, da cui l’it.
zero, passato dall’italiano alle altre lingue romanze).
SUPERSTRATO SLAVO
Dopo la ritirata dei romani (271.274) la Dacia è occupata da goti, visigoti, unni; a partire dal VI secolo inizia l’insediamento degli slavi. Mentre del superstrato
germanico non rimane nulla, sul romeno è lo slavo a esercitare l’influsso maggiore, nel lessico in particolare, per la pressione dello slavo ecclesiastico, anche nella
scrittura (con l’abbandono dell’alfabeto latino). Anche in questo caso, però, la lingua di superstrato non è riuscita a sostituirsi al latino, che persiste nel lessico
comune e nelle strutture grammaticali del romeno.
Nel sistema vocalico occidentale, si distingue tra vocali medie, posteriori e anteriori, il che porta a variazioni significative come nel caso delle vocali /e/ e /o/. per
esempio:
- Bòtte;
- Bótte.
Cambia completamente il significato a seconda dell’apertura e chiusura delle vocali. Oltre a queste caratteristiche, è importante considerare la quantità vocalica, un
elemento fondamentale nelle lingue antiche. In latino, la quantità si riferisce alla lunghezza delle vocali, con vocali linghe che hanno una pronuncia prolungata e
vocali brevi che si pronunciano in un tempo minore. Questa distinzione non solo influenzava la metrica delle poesie, creando un ritmo musicale, ma anche il
significato delle parole. Infatti, parole omografe come:
- Ōs = bocca;
- Ŏs = osso.
Questo tipo di parole venivano distinte proprio attraverso la quantità vocalica.
Quando il latino si diffuse al di fuori della penisola italica, entrò in contatto con altre lingue che non possedevano un sistema di quantità vocalica. Di conseguenza,
questo elemento cominciò a perdere importanza perché non tutti i popoli conquistati avevano questa distinzione di quantità, mentre il timbro e l’intensità delle
vocali divennero più rilevanti. In sostanza, il sistema vocalico latino, che comprendeva 10 vocali distinte per quantità, subì una trasformazione significativa, dando
origine alle peculiarità fonetiche delle lingue romanze che conosciamo oggi.
Da questo sistema vocalico derivano 4 sistemi vocalici:
- Il sistema vocalico del romanzo occidentale, che raggruppa quasi tutte le varietà romanze;
e tre sistemi minori, ovvero:
- Il sistema vocalico del sardo;
- Il sistema vocalico del siciliano;
- Il sistema vocalico del romanzo orientale.
Secondo vocalismo
Un elemento curioso è rappresentato dalla zona Lausberg, un’isola linguistica situata in italia, che si estende dalla
Calbria, alla Lucania e arriva fino al golfo di Taranto. Qui, sorprendentemente, si riscontra lo stesso sistema
vocalisco del sardo. Quato ha portato a 2 principali ipotesi:
- Potrebbe rappresentare una semplificazione più marcata del sistema vocalico occidentale;
- Potrebbe essere una conservazione del sistema vocalico più antico.
Un terzo sistema, corrisponde ad una fase successiva a quella dei primi due, è
invece quello del romanzo orientale. Il sistema vocali in esame è composto da
6 vocali toniche e presenta un aspetto ibrido. Nella parte delle vocali anteriori,
infatti, rispecchia il vocalismo occidentale, mntre per le vocali posteriori si
allinea con il sardo. Questa situazione ha portato a considerare che il sitema
sardo possa essere più antico, poiché il suo riflesso delle vocali posteriori
sembra più primitivo. Secondo l’ipotesi, il sistema del romanzo orientale è il
risultato di una mutazione progressiva. In questo contesto, lo stadio più antico
sarebbe rappresentato dall’esito delle vocali posteriori, mentre l’evoluzione successiva riguarderebbe le vocali anteriori. In questo modo, il cambiamento fonetico
che ha portato all’espansuone da 6 a 7 vocali avrebbe inizialmente coinvolto le vocali anteriori, un fenomeno più diffuso e radicato. Solo successivamente questo
cambiamento avrebbe raggiunto l’area orientale, in particolare la Dacia. Tuttavia, è importante notare che i cambiamenti che interessano le vocali posteriori di
sarebbero verificati in un momento successivo, limitandosi alla diffusione nella parte occidentale, partendo dall’Italia. La Dacia, essendo stata occupata solo per un
breve periodo, non ha avuto il tempo necessario per assimilare queste modifiche fonetiche.
Vocalismo tonico siciliano
Il sistema vocale del siciliano è caratterizzato dalla presenza di cinque vocali. A
differenza del sardo, nel siciliano le vocali estreme e le vocali lunghe medie si sono
chiuse in un suono più avanzato, portando a una modifica nel modo in cui queste vocali
vengono pronunciate. Tuttavia, il siciliano ha mantenuto le vocali aperte, il che lo
distingue ulteriormente.
È interessante notare che, sebbene questo sistema possa sembrare arcaico a prima vista,
in realtà rappresenta una fase più evoluta del romanzo occidentale. Questo significa che
il siciliano non è un sistema statico, ma piuttosto una manifestazione linguistica che ha
subito cambiamenti e adattamenti nel tempo.
17/10/24
È importante conoscere questi fenomeni perché il sistema fonetico delle lingue romanze è basato su fenomeni di vocalismo tonico e forti fenomeni del
consonantismo. L’aspetto fonetico delle lingue romanze, ovvero come funzionano i dittonghi, alcuni fenomeni tipici delle varietà italiane, è legato al vocalismo
tonico, che rispetto ad altre zone del sistema linguistico sono anche quelle più esposte alla regolairtà della legge fonetica. Perché sono luoghi forti della parola
(pronuncia) tengono maggiormente la legge fonetica.
È da questo sistema del vocalismo tonico occidentale che si sviluppano alcune caratteristiche più interessanti nella fonetica delle lingue romanze. È un sistema a 7
vocali, in cui alla “E” breve latina e alla “O” breve latina, corrispondono la “E” aperta e la “O” aperta romanze, mentre nelle parti estreme dell’articolazione
vocalica abbiamo la convergenza della “I” breve latina in una “E” chiusa, e una “O” lunga e una “U” breve in una “O” chiusa, “I” e “U” restano tali anche nelle
lingue romanze. Possiamo verificare l’eficacia di questo schema, in questi esempi:
- Lat. FĪNEM > it. fine
- Lat. FĬDEM > it. fede
A questo sistema intervengono a bloccare alcuni di questi esiti alcuni contesti fonetici. Può riguardare singole varietà, come il francese che è molto più evolutiva
rispetto al latino. Lo si vede già a partire da questo sistema, perché presenta due esiti particolari, che riguarda le varietà oitaniche e le varietà minori che fanno
gruppo con il francese, ovvero il retoromanzo e i dialetti gallo-italici.
1. L’esito della “Ū” latina che viene palatalizzata, e quindi si ha la tipica pronuncia della “U” francese;
2. L’esito della “A” tonica in sillaba libera. Questa “A” in francese, senza condizionamenti, passa a “E”. La presenza di un fonema che crea
condizionamento blocca questo passaggio. Questi elementi sono una nasale, che determina la formazione di dittongo in “AI”, e una consonante
palatale, che determina la palatalizzazione della velare iniziale.