Storia Della Psicologia

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CAPITOLO 1

I sistemi filosofici i religiosi tradizionali hanno da sempre descritto la coscienza, i


costumi e il carattere delle persone. La psicologia come disciplina accademica è
comparsa solamente però negli ultimi decenni dell'Ottocento. Certamente il
razionalismo seicentesco e l'illuminismo 700 esco prepararono il terreno per la
Fondazione di una psicologia autonoma e la vulgata vuole Cartesio come una sorta
di punto di partenza per fondare il ragionamento sulla mente. Si può tracciare un
punto di partenza convenzionale per la nascita della psicologia nella seconda metà
dell'Ottocento e basarlo sull’apparizione di metodologie caratteristiche, insegnamenti
universitari anche sul riconoscimento sociale di questa nuova disciplina. Prima della
seconda metà dell'Ottocento nessuno aveva osato sfidare alcuni dogmi anti
psicologici rappresentati sia da Immanuel Kant secondo cui la matematica non poteva
essere applicata la psicologia come lo era alle altre scienze, sia dalla nota aporia della
psicologia che Kant aveva evidenziato insieme ad August Comte, per cui in psicologia
l'oggetto si identificava con il soggetto conoscente, sì all'antica e radicata convinzione
filosofica che non si poteva avere una scienza relativa agli individui. Secondo Comte
la psicologia occupava uno spazio tra la sociologia e la fisiologia del cervello. Per
Comte la frenologia poteva essere classificata fra le scienze, ma non la psicologia.
La frenologia si era sviluppata con il lavoro del medico Franz Joseph Gall sul finire
del 700. Utilizzando un metodo comparativo mise appunto una teoria organo logica
secondo la quale il cervello era composto da un insieme di organi a cui
corrispondevano differenti facoltà psicologiche. Elaborò così un sistema per la
descrizione del carattere delle persone collegato alla conformazione delle varie zone
del cranio. A ogni zona del cranio corrispondeva un organo del cervello sottostante
una facoltà mentale che se esercitata produceva una bozza cranica sul teschio,
mentre se non esercitata una depressione del cranio nella zona corrispondente.
Analizzando la calotta cranica, era dunque possibile scoprire il carattere delle
persone. Tale pratica venne chiamata da Gall con il nome di organologia e che fu
divulgate invece come frenologia. Essa fu uno dei precursori della psicologia
soprattutto per ciò che riguardava lo studio della personalità. tutta la tradizione di studi
fisiognomici e freno logici ha poi sviluppato un sistema concettuale che utilizzando
metodologie tecniche di analisi dell’esteriorità ha cercato di stabilire nessi con la
morale interiore degli uomini. quando ci si rese conto che le indagini craniologiche e
frenologiche erano fallaci si inventarono i test, poi si analizzò solo il comportamento
visibile, infine, oggi le teorie psicologiche vengono giustificate sulla scorta di
registrazioni delle attività elettrochimiche di specifiche zone del cervello, così come si
forniscono immagini funzionali tramite tecniche di imaging neurologico. Gall Mese
così in atto una serie di metodologie di studio del cranio che ebbero fortuna fino ai
primi anni del 900. Sulla scia della frenologia nel 1861 Paul Broca comunico di aver
scoperto che nell'emisfero cerebrale sinistro era situata l'area della parola,
osservando post-mortem il cervello di pazienti che soffrivano di afasia. Ciò permise di
descrivere mappe del cervello con specifici centri che determinavano funzioni
intellettive o emotive. Nel cuore dell'Europa, alla fine dell'Ottocento, una nuova
generazione di positivisti era pronta a fondare una psicologia scientifica autonoma e
a inaugurare delle tradizioni nazionali della ricerca psicologica. Si stava radicando
una filosofia positiva a rivale della tradizione filosofica idealista e spiritualista. Kurt
Danziger alla fine del secolo scorso ha fortemente sostenuto una concreta
discontinuità fra la psicologia filosofica e la psicologia dell’800 sviluppatasi nel clima
di un rinnovato positivismo, ritenendo dunque plausibile iniziare a trattare di storia
della psicologia sostanzialmente a partire dalla seconda metà del diciannovesimo
secolo. Solo con l'effettiva affermazione di un positivismo diverso da quello comtiano
è stata possibile la Fondazione della psicologia come disciplina a sé stante. Brentano
e Wundt sono stati considerati come i maggiori psicologi tedeschi dell’Ottocento. Il
primo formò tutti coloro che plasmavano la propria indagine sul metodo
fenomenologico che consentiva nel descrivere il fenomeno così come esso si
presenta alla coscienza del soggetto percipiente, il secondo divenne il più studiato e
conosciuto pioniere della psicologia sperimentale fino a esserne considerato come
l'unico genitore. A partire dal 1879 il laboratorio di Wundt promosse poi la psicologia
come disciplina accademica, divenendo il principale modello di formazione per i primi
psicologi ed ebbe un eccezionale successo. Il decennio 1870-1880 vide una serie di
eventi storici che favorirono direttamente la nuova nascita accademica della
psicologia. La riorganizzazione degli Stati europei portò anche alla ridefinizione delle
istituzioni e della formazione universitaria. I sistemi sanitario, giudiziario e soprattutto
educativo divennero centrali così come iniziarono a essere teorizzate le prime forme
di previdenza sociale e il problema dell'alfabetizzazione fu uno degli obiettivi principali
della politica del periodo.
LA TRADIZIONE TEDESCA
Il precursore più rilevante della tradizione moderna della psicologia tedesca fu
Christian Wolff che sistematizzò una psicologia razionale fondata sulla conoscenza e
priori e una psicologia empirica che invece si sarebbe dovuta costruire
sull’esperienza. La psicologia razionale era inserita in un discorso tutto filosofico che
apparteneva alla passata tradizione riguardante le facoltà dell’anima, la psicologia
empirica descriveva una scienza in grado di studiare fatti di coscienza specifici come
le sensazioni, le percezioni, i sogni, diffondendo l’idea di una gradazione dei fatti
percettivi che poteva condurre ad una psicometria ovvero un dominio particolare che
forniva una descrizione matematica e geometrica dei fatti psicologici. Fra gli immediati
precursori di Wundt, proponenti una visione alternativa al monito kantiano secondo
cui era impossibile applicare la matematica ai fenomeni del senso interno, ci furono
Johann Friedrich Herbart e Gustav Theodor Fechner. Herbart fu autorevole
sostenitore di una concezione della psicologia come scienza autonoma fondata sulla
“misurazione” delle idee potevano avere la capacità di agire sotto la soglia della
coscienza, influenzando così Sigmund Freud. Sarà però Fechner a ritenere fondato
lo studio dei fenomeni psicologici, nel quadro di un proprio e distino status
epistemologico, per mezzo di formule che legavano le sensazioni allo stimolo. Sulla
base delle indagini riguardanti la fisiologia delle sensazioni già svolte da Ernst
Heinrich Weber e dimostrò che i fatti psichici si potevano studiare come delimitato
oggetto di studio e che le sensazioni potevano essere ordinate secondo il tempo, la
loro posizione spaziale e le rispettive grandezze intensive. Fechner diede corpo a un
intenso e rigoroso programma di ricerche volto alla misurazione di variabili
psicologiche con il fine di poter dimostrare, mediante i metodi della ricerca
sperimentale, l’esistenza dell’”anima” come sostanza distinguibile da fenomeni di
natura fisica e chimica. La più importante concezione di Fechner fa riferimento al
“parallelismo psicofisico”, ovvero la convinzione che a ogni processo che si svolge
nel corpo corrispondesse un processo che si svolge nella mente e che i due domini
non possano però essere semplicemente ridotti l’uno all’altro. Da questo lavoro di
ricerca si realizzarono le condizioni necessarie alla fondazione della psicologia come
scienza sperimentale. La “legge di Weber-Fechner” è divenuta una delle più note della
psicologia a partire dalla concezione che accrescimenti relativi agli stimoli siano
proporzionali a eguali accrescimenti delle sensazioni. Questa legge diede la
possibilità di matematizzare i fenomeni mentali di base. Occorre ricordare anche altri
contributi scientifici che favorirono la nascita e lo sviluppo della psicologia scientifica.
In particolare, Friedrich W. Bessel fu il primo a introdurre il concetto di “equazione
personale” cioè la differenza di misurazione dei moti degli astri di uno specifico
osservatore rispetto a un altro. Diveniva così oggetto di studio il problema dei “tempi
di reazione” fra stimolo e risposta. Donders e von Helmholtz utilizzarono il metodo
sottrattivo dei tempi di reazione nelle loro indagini riguardanti la fisiologia della
sensazione al fine di studiare sperimentalmente i fenomeni psicologici relativi alla
percezione sensoriale. La misura del tempo giocò un ruolo chiave per lo sviluppo di
un metodo che fornisse alla psicologia una base scientifica. Donders riuscì ad
associare un parametro quantitativo a un fenomeno psichico dando così l’avvio alla
psicocronometria, tecnica di ricerca fondamentale nella tradizione della psicologia
sperimentale. Brentano già nel 1874 presentò le proprie tesi riguardanti i fenomeni
psichici, come il “percepire sentimenti” o il “pensare”. Per Brentano l’intenzionalità era
la caratteristica fondamentale di ogni atto psichico. Tale punto di vista influenzò
notevolmente diversi psicologi e filosofi. Persino Sigmund Freud, pur prendendone le
distanze, fu suo allievo e ne fu influenzato probabilmente rispetto alla questione
relativa alle relazioni oggettuali e all’importanza della dialettica odio-amore. Nella
psicologia brentaniana sosteneva che era una percezione interna a favorire una
descrizione degli accadimenti interni al soggetto esperiente; mentre secondo Wundt
si trattava di un’auto- osservazione sperimentale. Su questa linea Edward B.
Titchener avanzò l’importante distinzione: contraddistingueva la psicologia come
scienza empirica dalla psicologia come disciplina sperimentale. Il metodo scientifico
di Galileo Galilei consisterebbe nella dimostrazione dell’accorda fra l’ipotesi teorica,
formulata in termini matematici dallo sperimentatore, e l’esperienza empirica in un
contesto di misurazione del fenomeno preso in esame. Nell’idea wundtiana i fenomeni
mentali non si riducevano a quelli fisici, ma la registrazione dei fenomeni fisiologici
era metodologicamente utile per mettere in evidenza l’esistenza dei fenomeni
psichici. Wundt introdusse inoltre la nozione di “casualità psichica”. Costruì una teoria
elementista della psicologia in cui le sensazioni erano i costituenti primi che via via si
associavano secondo un processo scandito da vari processi psicologici come, ad
esempio, l’appercezione (atto riflessivo attraverso cui l’uomo diviene consapevole
delle sue percezioni) che era una delle funzioni centrali per portare alla comparsa di
funzioni psicologiche complesse, come il linguaggio o la volontà. Titchener fu il
personaggio di congiunzione fra gli Stati Uniti e la ricerca wundtiana. Nella psicologia
costruita in laboratorio da Wundt e dai suoi allievi, soggetto e oggetto era
interscambiabili. Wundt sosteneva che il metodo sperimentale non fosse appropriato
per studiare i fenomeni psicologici diversi da quelli sensoriali e percettivi, occupandosi
poco delle emozioni. Gli psicologi che in seguito allargarono il proprio raggio di azione,
diffondendo una concezione autonoma e applicativa della psicologia, aprendosi ad
ulteriori soggetti di ricerca, commisero così tutti una sorta di parricidio contro Wundt.
Hermann Ebbinghaus operò indipendentemente e ribaltò la concezione della
psicologia di Wundt, aprendo a pratiche di laboratorio che erano suscettibili di
applicazioni sociali. È considerato il primo studioso di laboratorio della memoria, lo
scopritore della curva dell’oblio. Sviluppò un test sulle abilità mentali dei bambini su
committenza politica. Il contributo di Ebbinghaus per la misurazione dell’intelligenza
derivava da un suo tentativo di determinare l’inizio della stanchezza mentale nei
bambini a scuola.
LA TRADIZIONE FRANCESE
Franz Anton Mesmer sosteneva che tutte le malattie fisiche o psichiche derivavano
da una distribuzione disarmonica del magnetismo animale e la nuova medicina di
Mesmer avrebbe redistribuito l’energia, guarendo le malattie. Le pratiche
mesmeriche erano attuate attraverso imposizione delle mani, lo scambio di energie
“invisibili” fra medico e paziente, l’uso delle terapie di gruppo mediante una tinozza
con acqua magnetizzata. Il mesmerismo sopravvisse alla morte di Mesmer, tuttavia,
in forma fortemente modificata. L’esistenza di una specifica forza magnetica animale
non poteva essere empiricamente dimostrata e i fenomeni di trance che si
sviluppavano nel corso delle terapie magnetiche non erano la prova dell’esistenza di
questa forza. Il magnetismo animale ebbe una riscoperta solo nella seconda metà
dell’Ottocento, in cui la psicologia francese iniziò a muovere i suoi primi passi
fondandosi sul metodo patologico. Le fonti e gli orientamenti della prima psicologia
francese si identificarono nella visione di Ribot (visione lontana dalla metafisica e
aperto al naturalismo). Egli volevo costruire una psicologia che superasse i limiti
dell’approccio psicofisiologico wundtiano che poteva indagare solo i fenomeni psichici
più elementari. Erano due le tematiche che costituirono i presupposti più generali della
ricerca psicologica francese:
1. l’indagine psicofisiologica ispirata all’evoluzionismo e all’empirismo inglese e
tedesco;
2. l’uso della patologia come fondamento metodologico dello sperimentalismo in
psicologia.
Dagli anni Ottanta dell’Ottocento, Ribot iniziò a pubblicare originali monografie sulle
malattie della memoria, della volontà, della personalità che caratterizzarono la
psicologia sperimentale francese come psicologia patologica. La psicologia di Ribot
si distinse per essere ad un tempo sperimentale e patologica secondo una
concezione della malattia come esperimento fornito dalla natura che consentiva allo
sperimentatore di indagare aspetti della vita psichica non altrimenti evidenziabili. Per
Ribot i fenomeni mentali sia nella specie che negli individui erano sottoposti ad una
legge evolutiva generale per cui da semplici diventavano complessi. La malattia
produceva una regressione di ciò che si era sviluppato. In Francia la nascente
psicologia si fondò anche su quello che Foucault ha chiamato modello evoluzionistico.
Tutti gli psicologi francesi condividevano l’idea secondo cui l’individuo era descritto
nei termini di un processo continuo di differenziazione e di espansione che andava
dall’unicellulare al pluricellulare fino ad arrivare all’associazione degli individui nella
società. Dall’altro, si riteneva che la mente fosse organizzata gerarchicamente,
secondo un movimento evolutivo d’integrazione dal semplice al complesso.
L’approccio francese della seconda metà del XIX secolo riscopriva il magnetico che
venne ridefinito come ipnosi o sonnambulismo provocato e utilizzato in primo luogo
come tecnica sperimentale privilegiata per studiare la mente delle pazienti che
soffrivano di “isteria”. Negli ultimi trent’anni dell’Ottocento la psicologia francese si
radicò soprattutto per opera di Pierre Janet e Alfred Binet. Janet studiò il
sonnambulismo provocato o ipnosi, iniziando a condurre esperimenti ipnotici su
giovani donne. Charcot era famoso in Europa perché riuscì a sistematizzare le
malattie neurologiche a partire dalla descrizione dei sintomi fino alla ricerca delle
lesioni cerebrali a loro correlate. La personalità nella teorizzazione janetiana risultava
una costruzione psicologica composta da livelli variabili di coscienza, tendenze ed
energie che nella malattia si disaggregavano. Le alterazioni della personalità
venivano considerate come una prova empirica della complessità e dei livelli della
persona e della coscienza. Le malattie disaggregavano e impoverivano la coscienza
che nella normalità funzionava in modo apparentemente unitario. Janet sosteneva
invece una teoria costruttivista per cui la personalità era l'esito di una sintesi
virgola di un'elaborazione e assimilazione di esperienze e funzioni
psicologiche. La psicoterapia di Janet era finalizzata a portare gli individui a
sintetizzare elementi ed esperienze psicologiche che nella patologia funzionavano in
modo disaggregato. Ellenberger l'ha definito come uno dei grandi padri della
psicoterapia dinamica. le, la ricerca di Binet e rimane ancora oggi poco nota fra gli
psicologi e gli storici. La letteratura storiografica si è spesso occupata di Binet solo
come padre dei test di intelligenza. In realtà egli fu una figura complessa ed
eterogenea. Nel 1899 giunsero al laboratorio di Binet due promettenti giovani:
Théodore Simon e Henri Piéron. Simon collaboro attivamente combine nell'indagine
di quei fenomeni che portarono i due studiosi a formulare il primo test capace di
misurare le facoltà psicologiche superiori. Binet cercò di formulare un metodo di
misurazione più preciso sulla base di un'indagine diretta con domande ai bambini che
implicavano il ragionamento oppure il completamento di testi o figure. il criterio di
selezione scelto dallo scienziato francese fu quello di considerare anormali bambini
che non si adattavano all'insegnamento e alla disciplina di una scuola ordinaria. I
candidati delle classi di perfezionamento (differenziate per sesso e annessi alle
scuole elementari pubbliche, che accoglievano bambini dai 6 ai 13 anni) dovevano
presentare un ritardo intellettuale di almeno due anni, diagnosticato dalla scala
metrica dell'intelligenza. La presa in carico dei bambini anormali rientrava in un
quadro politico più generale le cui radici potevano essere rintracciate nel progetto
solidarista che ebbe in Bourgeois uno dei massimi teorici. Binet Nel 1905 fu proprio
l'autore di un rapporto svolto da una sottocommissione pedagogica in cui descrisse
in modo ingegneristico luoghi, spazi, orari di lezione, composizione, principi
pedagogici delle classi di perfezionamento per gli anormali. Binet Riteneva che lo
sviluppo del bambino normale seguisse degli andamenti irregolari e parziali che
variavano da individuo ma che non escludevano la possibilità di sopperire alcune
funzioni psicologiche deficitarie con altre meglio sviluppate. Questa dottrina dello
sviluppo parziale fu sostenuta da Binet in dialettica con le dottrine che ritenevano
l'evoluzione degli anormali rallentata, arrestata o degenerata. Elabora una didattica
attiva che si adattasse meglio ai bambini con ritardo e che intervenisse a colmarne i
deficit e a svilupparne le potenzialità. Binet preconizzò una chiara teoria
dell'educabilità dell'intelligenza. Alla sua morte, divenne il padre di uno strumento
(quello dei test) usato per scopi molto differenti da quelli per cui fu creato; venne
estrapolato un punteggio generale di intelligenza, il quoziente intellettivo, che fu usato
per ridurre a un numero le caratteristiche intellettive individuali e fare previsioni sulla
qualità delle persone.
LA TRADIZIONE INGELSE
La psicologia empirica inglese stata uno dei pilastri fondamentali della psicologia
sperimentale radicatasi nella seconda metà dell'Ottocento. Una volta schiera di filosofi
inglesi e scozzesi pubblicarono lavori di interesse psicologico fino a lambire la nascita
della psicologia scientifica. In particolare, alcuni scozzesi settecenteschi si
occuparono delle facoltà morali, quelle qualità che successivamente Gall andrà a
ricercare sul cranio. A partire da David Hartley coloro che si interessarono
specificamente di temi psicologici accettavano l'idea che fosse possibile una
psicologia autonoma. Questi psicologi si occupavano soprattutto della percezione
sensoriale, della coscienza, delle associazioni di idee (associazionismo). Charles
Darwin ebbe una fondamentale importanza per la storia della psicologia. In primo
luogo, diffusi l'idea che l'evoluzione umana andava trattati in modo identico
all'evoluzione delle altre specie animali. Darwin sosteneva poi l'idea della selezione
naturale, che premiava le caratteristiche ereditate, in forma anche lievemente
modificata, che però avevano una maggiore probabilità di essere adattive. Lo studio
dell'evoluzione delle caratteristiche adattive dei fatti psicologici divenne uno degli
elementi tipici della psicologia evoluzionista, già a partire da Darwin. Ma fu tuttavia
Francis Galton che, promuovendo una concezione radicale del darwinismo, stressò
un'idea essenzialista degli individui iscrivendoli in insiemi omogenei sulla base della
misura della media statistica di certi caratteri da quelli fisici a quelli psicologici
elementari. In Galton le caratteristiche erano stabili e acquisite da una generazione
all'altra e potevano essere adattive o disadattive, desiderabili o indesiderabili, inferiori
o superiori. Galton inauguro una fortunata prospettiva anglosassone per lo studio
evoluzionista delle caratteristiche psicologiche che utilizzava la statistica. L'indagine
differenziale degli individui in base alla media e agli scostamenti dalla media divenne
una sorta di modo per comprendere quali caratteristiche dovesse possedere l'uomo
per avere una possibilità di sopravvivenza. Nacque così la psicometria. Galton in 20
o anche l'eugenetica intesa come una pratica per migliorare il genere umano, fondata
sulla conoscenza per mezzo delle misurazioni di quelle caratteristiche utili al
perfezionamento genetico delle popolazioni. Galton È stato definito apostolo della
quantificazione, in quanto diffuse nelle scienze umane un approccio finalizzato a
contare le frequenze per evidenziare come i fenomeni umani e rientrassero nel più
ampio dominio dei fenomeni naturali. Galton assimilò nel dominio psicologico il lavoro
di Adolphe Quetelet. in questo modo si inizio a parlare di distribuzione probabilistica
in cui su un piano geometrico era possibile rappresentare le frequenze dei fenomeni
constatando che in natura alcuni fenomeni si addensano con una frequenza maggiore
intorno alle misure medie. Gli allievi di Galton furono per la maggior parte statistici e
psicometristi, fra essi Karl Pearson e James McKeen Cattel, che fu uno dei promotori
del movimento psicologico americano.
CAPITOLO 2
LA GESTALT
L’influenza brentaniana nella storia della cultura europea del Novecento fu notevole.
L’approccio di Brentano portò alla fondazione di varie prospettive psicologiche e
filosofiche, fra queste la cosiddetta psicologia dell’atto di Stumpf a Berlino da cui prese
poi il via la psicologia della Gestalt, o della forma. In questa ottica occorreva studiare
i fenomeni psichici in modo unitario secondo le forme che essi assumevano e non
come se fossero la sommatoria di dati psicologici semplici. Christian von Ehrenfels fu
il precursore degli psicologi della Gestalt e studiò le “qualità formali” degli oggetti
psichici per cui sarebbe fondamentale indagare l’emergenza dei fenomeni totali
piuttosto che i dati sensoriali che costituiscono i fenomeni. Carl Stumpf sviluppò,
invece, la psicologia degli atti di coscienza dando particolare rilievo allo studio degli
stati transitivi che si presentavano al soggetto. La Gestalt divenne fonte di ispirazione
culturale per tutta la psicologia del centro Europa. I gestaltisti studiavano i fenomeni
psichici con l’idea che la percezione fosse la funzione principale dell’attività psichica
e che il metodo fenomenologico della tradizione brentaniana fosse il metodo
principale della psicologia. Max Wertheimer chiamò “fenomeno phi” il movimento
apparente secondo cui, illuminati 2 punti in un tempo ottimale e successivo, il
partecipante non li percepiva come statici ma in movimento. Altri gestalisti: Koffka si
occupò di diffondere i principi della ricerca secondo i presupposti teorici della Gestalt
e si occupò di sviluppo infantile; Koehler elaborò la nozione di Einsight per indicare
una sorta di intuizione creativa. Con l’avvento del nazismo la Gestalt subì una
persecuzione, poiché la maggior parte degli psicologi era ariano. Emigrati negli Stati
Uniti, i gestaltisti influenzarono l’ambito comportamentista, soprattutto Kurt
Lewin. Secondo Lewin la psicologia doveva passare ad un approccio galileano, che
proponeva un’indagine metodica del singolo caso che portava all’elaborazione di una
teoria capace di spiegare l’evento unico, e catturare i processi psichici nella loro
dinamicità. L’approccio topologico secondo Lewin avrebbe aiutato a oltrepassare la
rappresentazione del singolo caso come un evento puramente casuale e non
inquadrabile scientificamente. Una volta ipotizzato che il singolo evento sia esso
stesso regolata da una legge, l’evidenza scientifica poteva essere ricavata da casi
puri e concreti. Secondo Lewin, un’indagine sul singolo fenomeno attraverso il
controllo delle variabili che intervengono nell’esperienza, era la strada per
l’elaborazione di leggi generali che regolano il funzionamento del campo psicologico
individuale e sociale. Sviluppo, personalità, economia e società si ritenevano
intrecciati e interdipendenti. Nella teoria della personalità di Lewin l’ambiente
assumeva un valore fondamentale come specifico fattore determinante del
comportamento umano. Per ambiente intendeva il contesto reale percepito dal
soggetto. Lewin vedeva i fatti psichici e le persone come comportamenti del campo
fenomenologico- sperimentale che interessava al ricercatore in quanto totalità. Lo
psicologo doveva prestare attenzione alle reazioni dei soggetti, che modificavano il
loro comportamento rispetto alle motivazioni personali e alle interdizioni che
avvenivano nel campo ed erano rappresentata come barriere. L’eredità lewiniana,
nell’ibridarsi al comportamentismo americano ed evidenziando quelle componenti
situazionali che influenzano gli individui, si ritrovò in settori importanti della ricerca
contemporanea.
LA PSICOANALISI FRA CONSERVAZIONE E PROGRESSO
La psicoanalisi, creatura di Sigmund Freud, è stata certamente la più conosciuta,
diffusa e criticata teoria psicologica del Novecento. Lungo il Novecento prima
Sigmund, poi sua figlia Anna e infine il nipote Edward Bernays, con la loro attività
culturale avrebbero favorito lo sviluppo di una nuova soggettività. Erich Fromm e
Herbert Marcuse considerarono la psicanalisi uno strumento indispensabile per
comprendere la contemporaneità e per rivoluzionare la società. La psicoanalisi è
stata definita dallo stesso Freud come una parte della psicologia ma anche un nuovo
metodo di trattamento delle nevrosi. Tutto nacque dai suoi tentativi e dai suoi
insuccessi nel curare le nevrosi e l’isteria come neurologo. Oltre che da Charcot,
fu influenzato da Bernheim della scuola di Nancy soprattutto per quel che riguardava
la suggestione e l’importanza che rivestiva la relazione medico-paziente per lo
sviluppo delle prime forme di psicoterapia. Con Anna O., Freud e Breuer idearono il
metodo catartico, che prevedeva di parlare del passato per potersi liberare dai
disturbi. La paziente così riviveva quegli stati affettivi che erano legati ai ricordi di
particolari momenti nel proprio passato in cui l’emotività non era riuscita a esprimersi
e che rimanevano incistati nel presente. Questo è chiamato meccanismo
dell’abreazione. Nel Capitolo settimo dell’Interpretazione dei sogni, Freud presentava
il suo primo modello della mente (prima topica). Freud immaginava un apparato
psichico che era composto da un sistema inconscio, preconscio e dalla coscienza in
grado di elaborare i processi psicologici, dalla percezione all’azione. Essendo
interdetta l’azione durante il sonno, al sognatore non rimaneva che una soddisfazione
allucinatoria del desiderio e una progressiva elaborazione dei contenuti inconsci del
sogno che si sarebbero ritrovati trasformati e simbolizzati nel racconto da sveglio del
sognatore. Celebre è anche il complesso di Edipo. Freud perfezionò la sua teoria
della mente in una seconda topica. Attraverso la classificazione dei fenomeni,
raccoglieva fatti, elaborava teorie e modelli dei fenomeni psichici che esplorava,
autocorreggendosi di fronte a nuove evidenze. Elaborò anche la teoria dell’inconscio.
Con Freud diveniva cruciale il ragionamento intorno agli elementi dell’esperienza
umana fino ad allora considerati marginali. I sogni, i lapsus e gli atti mancati divennero
comportamenti da sottoporre ad analisi. Con determinismo intendiamo la nozione
secondo cui anche elementi apparentemente insignificanti potevano essere ricondotti
a cause psicologiche che sfuggivano alla coscienza. I tre saggi sulla teoria sessuale
fecero scalpore perché in essi per la prima volta si presentava l’idea che fin dalla
nascita i bambini avessero una sessualità che a partire da una situazione pregenitale
“perversa e polimorfa” e crescendo per fasi (anale, orale, fallica, latenza, genitale) si
sarebbe disciplinata in età adulta. La teoria pulsionale sarà l’elemento scismatico che
porterà alle prime divisione all’interno della psicoanalisi, prima Alfred Adler e poi Carl
G. Jung ruppero con Freud per una differente concezione dell’attività pulsionale
che per Freud rimaneva pregiudizialmente di natura sessuale (libido). La teoria
libidica è stata considerata il cuore che caratterizzava la prima psicoanalisi.
IL SECONDO MODELLO DELLA MENTE E L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA
PSICOANALISI
Nel primo decennio del Novecento, la psicoanalisi suscitava interesse soprattutto fra
psicologi e psichiatri, da altri era invece vista con diffidenza. Dopo la promozione da
parte degli americani, l’interesse per la psicoanalisi come terapia crebbe. Dopo la
Prima guerra mondiale, Freud cambiò profondamente la sua teoria, soprattutto il
principio libidico della ricerca del piacere venne affiancato all’idea che negli esseri
umani agiva anche un’altra pulsione la cui meta basilare era la morte. Le pulsioni
erotiche o di vita risultavano impastate con quelle di morte o distruttive, alla ricerca di
un difficile equilibrio. Lo studio degli investimenti pulsionali portò Freud a occuparsi
anche di psicologia sociale, influenzato dal pensiero di Gabriel Tarde e di Gustave Le
Bon. Tarde aveva notato che uno dei vincoli principali fra i membri di un gruppo era
l’imitazione. Tale concetto fu amplificato e riformulato da Le Bon, per il quale il collante
che teneva insieme gli individui nei gruppi sociali era un reciproco legame suggestivo.
Freud superò il primo modello della mente (prima topica) e descrisse un nuovo
modello in grado di contenere tutto il lavoro svolto nei primi decenni del Novecento.
Nel secondo modello descritto in l’Io e l’Es, vi era una tripartizione della mente in
istanze psichiche ognuna con i suoi obiettivi in perenne ricerca di un equilibrio
dinamico. L’ideale dell’Io divenne Super-Io, le pulsioni divennero le proprietà dell’Es,
mentre l’Io era l’istanza che cercava di trovare dei compromessi più o meno adattivi
fra le mete, i conflitti, gli equilibri instabili che intercorrevano fra Super-Io, Es e realtà.
In origine lo sviluppo del bambino sarebbe dominato dall’Es e dalle sue componenti
pulsionali. In seguito, con l’esperienza, l’Io si sarebbe differenziato per gestire le
pulsioni dell’Es, fino al sopraggiungere del complesso edipico. Il superamento o
tramonto del complesso edipico avrebbe condotto alla nascita del Super-Io, un
precipitato delle identificazioni con i due genitori, positive e negative. La
psicopatologia sarebbe stata determinata da adattamenti patologici dell’Io in relazione
alle altre istanze. Sulla scorta di questo secondo modello, Freud rielaborò e ridefinì la
tecnica psicoterapeutica tramite il lavoro interpretativo. La psicoanalisi ha avuto
almeno un duplice destino nel mondo della psicologia e della psichiatria. Il principale
è relativo ai modelli psicoterapeutici che si sono differenziati dal suo tronco, in
discontinuità o in continuità con esso.
LA PSICOLOGIA IN RUSSIA
I primi psicofisiologi russi fra Ottocento e Novecento erano stati allievi della scuola
fisiologica tedesca. Questa scuola ebbe una sua iniziale formulazione nel lavoro dello
psicofisiologo Ivan M. Secenov, famoso per l’intuizione che tutta la psicologia potesse
essere ridotta ai riflessi fisiologici del cervello. L’unità fisiologica fondamentale
approfondita in questa primissima psicofisiologia russa era l’arco riflesso, termine
coniato da Marshall Hall. L’arco riflesso era tipico delle reazioni semplici ed era
caratterizzato da un circuito di base che includeva: lo stimolo esterno, il passaggio
dello stimolo tramite una fibra nervosa afferente al midollo spinale, la conversione del
segnale nel midollo da afferente a efferente e l’impulso che dal midollo andava verso
la periferia e produceva un movimento muscolare. Nei primi decenni del Novecento
fu Vladimir M. Bechterev a sostenere che tutti i comportamenti complessi erano frutto
di associazioni di riflessi. Nella sua concezione i riflessi associativi erano disposti
gerarchicamente a partire dai condizionamenti di comportamenti automatici e istintivi
a quelli sociale e educativi. Diffuse una psicologia fondata sulla neurofisiologia.
Nonostante l’importanza della scuola di Bechterev, fu Ivan P. Pavlov ad essere
considerato il più importante riflessologo russo. Persino il comportamentismo si
basava paradossalmente proprio sugli esperimenti fisiologici di Pavlov. Fu conosciuto
soprattutto per i suoi esperimenti sull’apprendimento, che dimostravano come i riflessi
fossero risposte a degli stimoli che potevano essere apprese (condizionamento
classico). Esperimento cani-cibo- campanella. Veniva quindi codificata una teoria
relativa all’estinzione dei comportamenti appresi mediante la stimolazione
condizionata. Pavlov, a partire dal presupposto che ogni comportamento fosse
determinato dal sistema nervoso. Le proprietà del sistema nervoso responsabili delle
differenze individuali al condizionamento furono ritenute 4: forza dell’eccitazione,
forza dell’inibizione, bilanciamento e mobilità dei processi nervosi. Pavlov ha iniziato
una delle principali tradizioni novecentesche di studi sulla personalità in cui
risultavano centrali i seguenti presupposti:
1. I processi psicofisiologici interagivano con l’adattamento biologico;
2. Utilizzando il riflesso condizionato veniva introdotta una misura psicofisiologica
oggettiva che favoriva lo studio sperimentale della personalità;
3. Le indagini di laboratorio erano in grado di dimostrare una correlazione fra
comportamento, temperamento e un modello concettuale di sistema nervoso;
4. La nozione pavloviana di forza dell’eccitazione era considerata un antecedente
significativo rispetto alla moderna nozione di arousability (eccitabilità).
La riflessologia e la teoria dell’apprendimento pavloviana rappresentarono così la
base degli approcci psichiatrici nei Paesi sotto l’influenza russa. Nel frattempo a
Mosca, Konstantin N. Kornilov elaborò la reattologia, una teoria del comportamento
che studiava le reazioni globali di adattamento all’ambiente. Lev S. Vygotskij elaborò
una teoria storico- culturale. Per Vygotskij studiare i riflessi avrebbe eliminato gli stati
psichici superiori dall’orizzonte della psicologia, riducendo l’uomo ad un animale privo
di coscienza. Pensava che l’essere umano mostrasse una coscienza creativa
differente da quella animale che si costruiva in base all’esperienza e all’interazione
con l’ambiente. La teoria storico-culturale diveniva il tentativo di studiare l’interazione
fra uomo e ambiente sociale, evolutivo, culturale e lavorativo. Si occupò
sostanzialmente di due ambiti: la ricerca sullo sviluppo del pensiero e le applicazioni
psicologiche in campo evolutivo. Formulò il percorso che portava il bambino a
utilizzare strumenti e sviluppare il linguaggio attraverso il contatto e la relazione con i
genitori che gli indicavano i suoni relativi ai nomi delle cose e delle persone. Era
l’analisi della funzione degli strumenti psicologici che per Vygostkij rendevano
concreta un’idea, un progetto, uno scopo. Lo strumento mediava quindi il rapporto fra
interno ed esterno, l’individuo agiva sull’ambiente tramite gli strumenti, ma al tempo
stesso l’uso degli strumenti modificava i processi psichici, creava il linguaggio che a
sua volta diveniva un potente strumento per raffigurarsi e cambiare la realtà. Per lo
psicologo russo, al contrario che per Piaget, era fondamentale comprendere i
meccanismi di simbolizzazione e di interiorizzazione che facevano sviluppare il
linguaggio tramite l’interazione. In Pensiero e linguaggio vi era l’analisi dello sviluppo
in parallelo di pensiero/intelletto e linguaggio e poi del loro convergere nel corso dello
sviluppo del bambino. Vygostkij formulò il concetto di “area di sviluppo prossimo” in
cui mise a fuoco che la funzione educativa dipendeva dalla interazione del bambino
con l’insegnante che forniva al bambino gli strumenti e non da facoltà individuali in cui
il bambino era più o meno capace. L’area di sviluppo prossimo segnava il confine fra
la capacità attuale del bambino di risolvere un problema e le capacità che avrebbe
dimostrato ma che oltrepassavano la sua età. L’interazione con l’altro diveniva
cruciale. La conseguenza dell’inasprimento delle politiche dittatoriali fu che il lavoro
di Vygotskij venne censurato. La riflessologia e la psicofisiologia vennero così
preferite alla teoria storico culturale. Leont’ev, allievo di Vygotskij, si occupò a più
riprese del bambino in relazione alla memoria e alla interiorizzazione del linguaggio.
Egli sostenne che l’attività che il bambino metteva in atto in relazione al mondo
circostante, agli oggetti concreti, avrebbe determinato lo sviluppo dell’intelligenza.
Altro allievo di Vygotskij fu Lurija, che però si orientò verso la neuropsicologia. Si
occupò di approfondire la relazione fra strutture cerebrali, funzioni mentali e contesto
culturale di pazienti che avevano subito degli accidenti neurologici. Lurija immaginava
il cervello come un organismo olistico le cui funzioni erano controllate in modo
integrato a vari distretti fisici. Uno dei riferimenti in questa nuova teoria del cervello
era Kurt Goldstein. Lurija sviluppò una completa teoria neuropsicologica, in cui
sosteneva che l’organizzazione cerebrale fosse caratterizzata da sistemi funzionali in
interazione. Mise in luce 3 principali unità funzionali: una prima localizzata nelle
strutture più antiche del cervello, quelle del tronco encefalico, che regolavano le
attività vegetative di base come la veglia o il sonno, la fame o la sete, e quelle
sottocorticali che regolavano la vita emotiva. La seconda unità funzionale si occupava
di elaborare l’informazione e memorizzarla. L’ultima e la più evoluta unità funzionale
era caratterizzata dai lobi del cervello che regolavano le attività delle altre due unità
con la programmazione e il controllo dell’azione.
LA PSICOLOGIA NEGLI STATI UNITI
Negli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento si sviluppò una psicologia
scientifica influenzata soprattutto dalla psicologia tedesca e dalla psicologia inglese.
Furono fondate riviste scientifiche e l’American Psychological Association (APA).
Nella cultura accademica americana il pragmatismo, un’importante prospettiva
filosofica, svolse un ruolo di primo piano nella fondazione della psicologia scientifica
negli Stati Uniti. Il pragmatismo ebbe origine dal pensiero del filosofo Charles Sanders
Peirce e dal lavoro dello psicologo William James. Peirce si dedicò agli aspetti logici
della conoscenza; James si orientò verso valutazione di tipo utilitaristico dei processi
conoscitivi che lo portarono a considerare un asserto come valido in funzione delle
esigenze concrete a cui era capace di rispondere. Peirce volle differenziarsi da James
chiamando pragmaticismo la propria concezione filosofia e lasciando il nome
pragmatismo all’impostazione di James. Granville Stanley Hall fu il primo presidente
dell’APA, e diffuse un’idea applicata della psicologia soprattutto in ambito educativo e
favorì la diffusione della psicoanalisi. Peirce propose una concezione secondo la
quale ogni oggetto viene visto come una rappresentazione e la conoscenza
procederebbe non in maniera intuitiva, ma attraverso un processo logico inferenziale
che indagava gli oggetti nella loro qualità semiotica. Il valore di un’ipotesi teorica era
dato dalla sua capacità previsionale circa il fenomeno descritto, nel suo variare, anche
in riferimento al mutare delle circostanze. In Peirce era presente un’idea di modello
teoriche che prevedeva cause ed effetti, finalizzato alla previsione dei fatti in vista
della loro gestione. James fu quasi unanimemente considerato il fondatore
americano della moderna psicologia scientifica. Nel pragmatismo di James l’accento
era posto sull’attuazione, piuttosto che sulla previsione. James promuoveva una
concezione dinamica dei processi di pensiero in cui la coscienza non era suddivisa in
elementi, ma descritta come un flusso che scorre e che potrebbe essere colto solo
nell’immediatezza dell’esperienza vissuta. Elaborò anche una teoria della coscienza
del Sé, in cui il Sé era avvertito da ognuno nella propria percezione interna ed era
definito con il termine me. Egli postulava anche un Sé materiale ovvero tutto ciò che
è percepito come proprio e un Sé sociale costruito su come veniamo rappresentati
dagli altri; potevano così coesistere molti Sé sociali concepito come rappresentazioni
personali delle immagini che gli altri hanno di noi, in diversi contesti relazionali.
Postulava un Sé spirituale concepito come Sé centrale composto da tutte le attività e
le disposizioni psichiche individuale. Su questa linea, potevano presentarsi molti Sé
empirici che in particolari casi erano vissuti come alternativi e in conflitto. Importante
successore di James fu Edward Lee Thorndike che dimostrò che gli animali
imparavano a risolvere dei problemi per prove ed errori, secondo meccanismi di
feedback basati su premi o sulle punizioni. Thorndike sviluppò la cosiddetta “legge
dell’effetto” secondo cui un comportamento diventava più frequente se associato a un
soddisfacimento, mentre il comportamento sarebbe stato meno frequente se le
conseguenze fossero state spiacevoli. Aveva una visione dell’apprendimento
secondo cui più un comportamento veniva esercitato, maggiormente era appreso, al
contrario i comportamenti non utilizzati venivano dimenticati. Il principale allievo
americano di Wundt fu Titchener, che divenne il teorico americano dello
strutturalismo. Uno dei principali pragmatisti fu invece John Dewey, attivo
maggiormente in ambito pedagogico. Il suo allievo, James R. Angell divenne
l’esponente principale degli psicologi funzionalisti. Affermava che gli elementi di
una funzione psicologica non dovevano essere considerati come a sé stanti, ma
ritenersi intrinsecamente interrelati fra loro e correlati al contesto in cui apparivano.
La coscienza si sarebbe manifestata come attività differenziata dai comportamenti
automatici, con una funzione di adattamento agli stimoli con carattere di novità,
provenienti dal contesto ambientale. Comparve anche il manifesto riguardante il
comportamentismo, scritto da John B. Watson. Per Watson la psicologia doveva
essere una scienza naturale e oggettiva, ed era possibile solo studiando il
comportamento ed eliminando qualsiasi concetto non oggettivabile, come la mente,
la coscienza, ma anche l’inconscio. Watson faceva riferimento al “controllo” del
comportamento come uno dei compiti principali della psicologia.
L’apprendimento è stato il fenomeno maggiormente studiato dai comportamentisti che
si occuparono di tutte le tipologie di condizionamento a partire da quello classico. Tra
coloro che aprirono la strada alla teoria comportamentista vi fu Thorndike, ma
soprattutto Pavlov. Watson derivò da Pavlov l’idea che i comportamenti complessi
nascessero dai riflessi condizionati, ma rifiutava tutte quelle conseguenze simboliche
a cui l’associazione fra stimolo condizionato e risposta condizionata avrebbe
facilmente condotto. Watson era convinto che mediante specifiche tecniche di
apprendimento si sarebbe potuto indirizzare il comportamento delle persone, educare
i bambini. L’eredità intellettuale di Watson diede i suoi frutti dalla seconda metà degli
anni Trenta soprattutto con Skinner che approfondì i meccanismi legati al
condizionamento. Con Skinner si parla di condizionamento operante. Riteneva che i
comportamenti, soprattutto quelli complessi, non potessero essere appresi
utilizzando il paradigma del condizionamento classico o considerandoli delle mere
risposte condizionate a degli stimoli (condizionamento rispondente).
CAPITOLO 3
Durante la Prima guerra mondiale, i test Army Alpha e Army Beta, sviluppati da Robert
Yerkes, furono le misure d’intelligenza che presentarono la psicologia come una
scienza utile. Erano due versioni dello stesso test, la prima da somministrare alle
persone scolarizzate, la seconda da somministrare agli analfabeti. Dopo la Prima
guerra mondiale, la psicologia in America ebbe una notevole espansione. I test di
intelligenza in realtà si mostravano scarsamente utili in situazioni specifiche.
L’intelligenza, di per sé, risultava poco indicativa per predire la condotta. La
personalità sembrò essere una nozione più utile per prevedere il comportamento
umano e correlarlo ai contesti più vari. Il primo articolo di Gordon Allport dedicato alla
personalità fu pubblicato sullo “Psychological Bulletin”. Qui si descrivevano 3 aree di
interesse: il problema della definizione della personalità, la classificazione dei tratti e
la loro misura. Allport dava rilievo ai tratti come componenti empiriche da misurare
per individuare il modo in cui risultavano correlati, fornendo al settore una maggiore
precisione scientifica. Diede risalto alla quantificazione dei tratti, cercando di
sviluppare semplici questionari che misurassero caratteristiche personali come la
dominanza-sottomissione o l’introversione-estroversione. Allport sosteneva che il
tratto fosse l’elemento più semplice della personalità e che la psicologia dovesse
classificare i tratti, cercando di descriverli secondo delle possibili gerarchie. La
psicologia moderna della personalità ha fatto uso di questionari self report che
entrarono sul mercato a partire dagli anni Venti. In questa prospettiva metodologica,
la nozione di tratto ha assunto così una specifica rilevanza. I tratti, riguardanti il
sentire, il comportarsi, il pensare, furono considerati dimensioni relativamente
stabili e fondanti l’individualità. Secondo Hans J. Eysenck il tratto nella ricerca
contemporanea risulterebbe un elemento semplice, irriducibile, un fattore di primo
ordine che, per mezzo dello strumento statistico dell’analisi fattoriale, poteva essere
intercorrelato con altri fattori entro dimensioni gerarchiche di secondo ordine. Con la
Seconda guerra mondiale, si sviluppò un lavoro di équipe che indagava la personalità
non solamente con i test d’intelligenza, ma anche con lo studio approfondito dei tratti
tramite specifici questionari, con i colloqui clinici e mediante la collaborazione di più
tecnici che stilavano dei profili individuali. Fra gli psicometrici si diffuse l’idea che
l’analisi fattoriale potesse esser il mezzo per osservare scientificamente degli oggetti
psicologici invisibili a occhio nudo, ma tanto importanti da determinare la personalità.
L’approccio psicolessicale, affiancato dalla analisi statistica di questionari di
autovalutazione ha dato come esito un ulteriore modello basato su cinque super-
fattori di personalità (estroversione, gradevolezza, coscienziosità, stabilità emotiva,
apertura all’esperienza). Questa tradizione psicolessicale si è così coniugata
benissimo con la tradizione psicometrica della ricerca psicologica. La psicologia
umanistica o terza forza, i cui maggiori esponenti furono Carl R. Rogers e Abraham
H. Maslow, rifiutava una visione frammentata dell’individuo e criticava il determinismo
presente nelle altre teorie della personalità. Occorreva studiare la persona in modo
olistico e fenomenologico, fiduciosi nel potenziale umano e nelle capacità di
autorealizzazione degli individui.
I PRECURSORI DEL COGNITIVISMO
La psicologia cognitiva nacque e si sviluppò sulla base di esigenze culturali di
natura complessa e non come mero perfezionamento progressivo della ricerca. In
Europa, fra i precursori del cognitivismo occorre considerare Oswald Kuelpe. La
coscienza e le immagini mentali presero il posto delle sensazioni come suoi principali
oggetti di studio. La psicologia che faceva riferimento ai processi interni non fu
mai abbandonata, fino a riemergere nel cosiddetto neocomportamentismo; si trattava
di una serie di comportamentisti critici che dimostrarono come i fenomeni interni
fossero necessari per dar conto di esperimenti cruciali che non si spiegavano se non
facendo ricorso a concetti come gli schemi, i copioni o le cosiddette mappe
cognitive. I neocomportamentisti abbandonarono il paradigma semplicistico Stimolo-
Risposta; nella loro concezione fra S e R occorrevano delle variabili interne
organismiche (O), definite anche variabili intervenienti, in grado di dare conto dei
comportamenti molari e complessi. Edward C. Tolman definiva il suo
comportamentismo come finalizzato o intenzionale, in grado di mettere in evidenza
forme di apprendimento differenti da quelli classici e operanti. Altro neuro
comportamentista importante fu Clark L. Hull. La sua teoria includeva dimensioni
interne come bisogni, pulsioni, forza dell’abitudine, comportamenti finalizzati
all’adattamento. Hull prefigurò un sistema con centinaia di proposizione logico-
matematiche riguardanti il comportamento da verificare tramite esperimenti. Il suo
sistema non riuscì ad essere dimostrato. Fra i precursori europei del cognitivismo
occorre ricordare Piaget. Le linee di ricerca piagetiane furono
essenzialmente finalizzate a studiare l’evoluzione del bambino dal punto di vista
cognitivo nelle varie fasi della sua crescita e, in parallelo, lo sviluppo dal semplice al
complesso delle modalità di conoscenza nell’essere umano. Utilizzava il metodo
clinico (attenta osservazione del comportamento dei bambini). In Piaget il
dispositivo centrale dell’evoluzione del pensiero era un meccanismo di equilibrio fra
assimilazione a schemi cognitivi noti e accomodamento degli schemi interiorizzati
rispetto alle esperienze. Piaget immaginava un processo dinamico di “adattamento”
della mente del bambino come fosse un organismo. Il bambino, secondo una
prefissata periodizzazione, dimostrava di possedere delle modalità tipiche di
interazione con gli oggetti a cui corrispondevano schemi di azione interiorizzati,
tramite adattamento. Suddivideva in stadi i momenti di sviluppo del bambino con
tipiche capacitò per ogni periodo. Questa tassonomia imponeva dei vincoli allo
sviluppo del bambino. Questa teoria era fortemente decontestualizzata, poiché lo
sviluppo per stadi sarebbe stato valido per ogni cultura. Altri importanti precursori
europei della concezione cognitivista furono Frederic C. Bartlett e Kenneth Craik.
Bartlett fornì una descrizione di come funziona la memoria basata sulle idee di James
Ward. In questa visione c’era una critica verso un’idea associazionistica della
memoria, si ipotizzava che questa funzione presentasse delle modalità prototipiche e
soggettive che si potevano evidenziare tramite esperimenti. Bartlett dimostrava che i
ricordi erano ricostruiti con modalità personali. Fra le intuizioni di Craik si ricorda
l’enfasi con cui descriveva l’organismo come un sistema che si autoregola mediante
processi di retroazione. Con Alan Turing si prefigurava la cosiddetta Intelligenza
Artificiale e si intendeva la capacità di ragione e divenire del tutto simili e indistinguibili
dalla mente umana dei computer.
COGNITIVISMO E CERVELLO
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta nacque un nuovo indirizzo multidisciplinare
di studio della natura umana fondato sull’analogia mente/computer: la scienza
cognitiva. Si possono individuare alcuni presupposti essenziali che caratterizzano la
scienza cognitiva:
1. i ricercatori lavoravano con rappresentazioni simboliche della mente per
spiegare il comportamento e il pensiero umani;
2. si poteva studiare la mente con modelli costruttivi al computer;
3. non si occupava delle variabili affettive, culturali, contestuali e storiche;
4. approccio interdisciplinare;
5. gli scienziati cognitivi tentavano di reinterpretare i problemi classici della filosofia
occidentale relativi alla coscienza e alla mente.
Uno dei momenti iniziali dell’impresa cognitivista furono le critiche a Skinner da parte
di Chomsky. Chomsky affermava che per comprendere lo sviluppo di un organismo
complesso occorreva tenere presente i meccanismi interni e come venivano elaborati
gli input. Per Chomsky, lo sviluppo dei processi psicologici dell’organismo era
determinato dall’interazione di 3 fattori; la predisposizione innata, la maturazione
programmata geneticamente e l’esperienza passata. Dagli anni Sessanti, Chomsky
si è dedicato al linguaggio. Riteneva che i processi linguistici si sviluppassero perché
una sorta di strumento mentale del linguaggio, selezionato evolutivamente e
attivato durante l’infanzia dall’esperienza, predisponeva tutti gli individui.
Fra gli anni Cinquanta e Sessanta, ci fu una sequenza di teorie e modelli dei
cognitivisti che tentò di dare conto alla mente umana. In primo luogo, Jerome S.
Bruner operò un’ibridazione, inaugurando una nuova psicologia cognitiva dello
sviluppo. George A. Miller descrisse le capacità limitate delle elaborazioni della
memoria e negli anni ’60, con i suoi colleghi, modellizzò la mente come un sistema
computazionale che elaborava le informazioni secondo il modello Text-Operate-Text-
Exit (TOTE). Sulla stessa linea, George Sperling mise in luce sperimentale la
memoria a brevissimo termine. Nel 1968 Richard Atkinson e Richard Shiffrin
presentarono un modello multi-magazzino della memoria (multi-store model) in cui
l’informazione veniva elaborata attraverso vari passaggi: dal registro sensoriale a
brevissimo termine, al magazzino a breve termine a quello a lungo termine. In questi
stessi anni Allen Newell, John C. Shaw e Herbert A. Simon iniziarono a simulare, in
base a modelli computazionali, le modalità di risoluzione dei problemi degli esseri
umani (problem solving). Donald E. Hebb sviluppò una teoria connessionistica del
sistema nervoso; mise a fuoco la necessità di avere ambiti di ricerca che
connettessero la psicologia alla neurologia, utilizzando il termine neuropsicologia. Un
importante contributo in questo ambito fu dato da Wilder Penfield che, mediante
tecniche di elletrostimolazione del cervello per mezzo di elettrodi, riuscì a costruire
mappe delle funzioni sensoriali e motorie legate alla corteccia cerebrale. Importante
fu anche Roger W. Sperry che, studiando casi clinici in cui era stato scisso il corpo
calloso, gli emisferi erano stati disconnessi e coesistevano due coscienze
disconnesse.
PERCEZIONE, COGNIZIONE SOCIALE E TEORIA SOCIALE COGNITIVA
Dalla metà del Novecento un certo numero di psicologi statunitensi promossero una
ricerca percettologica, che condusse alla elaborazione di tipologie della personalità
fondate sulla differenziazione degli stili cognitivi delle persone. Goerge S. Klein
identificò individui accentuatori e individui livellatori; gli accentuatori avrebbero la
tendenza a rimarcare i contrasti e le differenze percepite negli oggetti; i livellatori ad
attenuare tali contrasti e ridurre le differenze. Herman A. Witkin propose una
distinzione fra personalità campo-dipendente e personalità campo- indipendente.
Descrisse individui in grado di risolvere semplici problemi spaziali basandosi sulle
proprie percezioni (indipendenza) e individui che invece si affidavano a elementi del
campo percettivo, esterni (dipendenza). Julian B. Rotter sviluppò una teoria della
personalità fondata sui concetti di locus of control e di fiducia interpersonale. Il locus
of control rappresentava quelle aspettative che attribuivano le ragioni del proprio
successo all’esterno o all’interno; la fiducia interpersonale era una misura della felicità
e del benessere psicologico. Al confine di questi studi percettologici si situava la
cosiddetta social cognition. Questo approccio fu seguito da Kurt Lewin, Leon
Festinger e Solomon Asch. Festinger evidenziò l’importanza che le cognizioni legate
alle credenze individuali rivestivano nel dare coerenza e influenzare le interpretazioni
di noi stessi e della realtà che ci circonda. Due cognizioni in conflitto creavano uno
stato di tensione (dissonanza cognitiva). Asch era interessato alla formazione del
pregiudizio fino a provare con una serie di esperimenti gli effetti della pressione del
gruppo sul giudizio del singolo individuo. Si parla, quindi, di un modello nuovo del
conformismo che si rifaceva all’idea che la presenza degli altri poteva pressare
l’individuo fino a metterlo in una situazione le portava a comportarsi in modi anche
palesemente errati e illogici. Stanley Milgram portò a termine una serie di esperimenti
pubblicizzati, come uno studio sulla memoria e l’apprendimento. Esperimento scosse.
L’apprendimento osservazionale fu evidenziato sulla scorta di un ulteriore importante
esperimento, condotta da Albert Bandura. Questi esperimenti dimostravano che i
comportamenti fossero stati appresi o evitati, osservando se negli altri tali
comportamenti fossero stati premiato o puniti. Le anticipazioni di quanto accade
alla persona osservata sono state considerata un rinforzo sostitutivo.
L’apprendimento osservazionale metteva in luce come i processi di modellamento
(modeling) costruivano la personalità sulla base delle regole di comportamento
memorizzate, selezionate e osservate negli altri. Bandura è divenuto uno dei
massimi teorici dell’approccio sociale cognitivo che si fondava sull’idea che la
personalità fosse il prodotto di un contesto di interazione fra comportamento, eventi
interni, sia di natura psicologica che biologica, e ambiente, e che l’individuo fosse
guidato dai propri obiettivi, aspettative, schemi cognitivi e sistemi di autoregolazione.
Insieme a Bandura, un altro dei personaggi più innovativi nel campo della teoria socio-
cognitiva è stato Walter Mischel. Esperimento dei marshmallow (autocontrollo ->
successo). La sua visione si fondava sull’analisi e l’individuazione dei particolari
contesti psicologici che favorivano o impedivano la messa in atto di uno specifico
comportamento da parte di uno specifico individuo. Philip G. Zimbardo dimostrò, con
l’esperimento della prigione di Stanford, che il “potere della situazione” era il concetto
chiave per comprendere e modificare i comportamenti. Questo esperimento può
essere considerato il prototipo di ciò che può accadere in contesti in cui agiscono
meccanismi quali etichettamento, la deindividualizzazione e la deumanizzazione.
Recentemente, Zimbardo ha parlato di “effetto Lucifero” per definire una situazione
tipica delle istituzioni in cui una persona normale attraversa il confine tra il bene
e il male e si impegna in un’azione maligna. Il male è considerato come
l’esercizio del potere di nuocere intenzionalmente, psicologicamente, fisicamente e
distruggere moralmente gli altri. Il nucleo del male è il processo di disumanizzazione
con cui sono raffigurate alcune persone o gruppi, come fossero meno umane o
inferiori rispetto ad altre. La disumanizzazione è uno dei processi centrali che
trasformano personale normali in feroci autori di comportamenti malvagi,
creando persone che percepiscono gli altri come nemici meritevoli di annientamento,
tormento, tortura.
LE CULTURE DELLA PSICOLOGIA CONTEMPORANEA
Gli psicologi già all’inizio del Novecento hanno in vario modo parlato di crisi della
psicologia (disciplina divisa), in molti hanno cercato unitarietà, tentando di costruire
modelli per quanto possibile universali. La realtà psicologica è da affrontare in
maniera transdisciplinare, secondo Piaget, secondo cui le relazioni tra le discipline
dovranno essere finalizzate a riconoscere i collegamenti tra di essere in un sistema
aperto e senza confini. La psicologia è piena di ibridazioni con la medicina, la filosofia,
con la sociologia, con la biologia. Da questo punto di vista, la psicoterapia è forse
stato il campo più importante in cui gli psicologi hanno esercitato la propria
professione. Proprio la storia della psicoterapia ci insegna che gli eventi accaduti tra
il 1960 e il 1980 sono stati fondamentali per comprendere l’interesse esploso nei
riguardi delle scienze umane e anche della psicologia. La sessualità divenne uno dei
principali argomenti di interesse transdisciplinare. Si affrontò, infine, la questione
relativa al regolamento della professione, soprattutto per l’ambito psicoterapeutico.
Con gli anni Ottanta si ha avuto un significativo ritorno alla ricerca. L’interesse negli
ultimi decenni per le neuroscienze ha trovato così una probabile giustificazione
proprio in questo generale movimento di disinvestimento della ricerca ingaggiata nei
problemi sociali, promuovendo piuttosto la ricerca oggettiva di laboratorio. Si sono
privilegiata le discipline che apparivano “sperimentali”, quelle cognitive e
neuroscientifiche, così come è promosso l’evidence based in psicoterapia, si sono
riorganizzati dipartimenti e facoltà sulla base di questa cultura, con una scarsa
consapevolezza dei suoi limiti.
CAPITOLO 4
Dopo l’Unità d’Italia, la psicologia si diffuse nel nostro Paese nel contesto del
positivismo e dell’evoluzionismo, come un settore di conoscenze teoriche, empiriche
e applicate sulla mente umana e come disciplina con proprie riviste specializzate e
associazioni.
IL METODO FILOSOFICO- CULTURALE
Una nuova generazione di filosofi e naturalisti riteneva di studiare i fenomeni mentali
con metodo positivo e sperimentale, sottraendoli dalla speculazione filosofica. La
fondazione di una scienza psicologica fu ispirata dall’evoluzionismo che condizionò
gli psicologi italiani. L’interesse per il positivismo in Italia si innestava in una cultura
profondamente cattolica, portando a una polarizzazione o a una ibridazione delle
posizioni dei ricercatori che presentava caratteri peculiari e ancora poco indagati.
Roberto Ardigò studiò i fenomeni mentali visti come categoria indipendente di fatti
dell’esperienza, da indagare con i metodi delle scienze positive. Giuseppe Sergi viene
ricordato per i suoi studi craniologici e per aver elaborato il concetto di stirpe
mediterranea. Sergi riteneva che i tratti caratteriali potessero essere modificati e
trasmessi, di generazione in generazione, per mezzo sia della mescolanza di diversi
bagagli genetici sia dell’influenza della cultura e dell’educazione, specialmente quella
scientifica. Per Sergi assai importante era “educare” anche i sentimenti e il carattere,
ma istruire anche l’intelletto. Una buona attività educativa risultava fondamentale per
forgiare buoni cittadini e per prevenire e recuperare le devianze. De Sanctis
(fondatore neuropsichiatria infantile) e Montessori furono allievi di Sergi, come anche
Giuseppe Montesano (psichiatria del bambino). Figura chiave della psicopedagogia
fu Luigi Credaro, secondo cui la psicologia tornava utile alla pedagogia. Con Cesare
Lombroso emerse in Italia l’antropologia criminale. Questa disciplina si occupava di
perizie e di personalità. Fondata sulla dottrina lombrosiana, nacque la “scuola positiva
del diritto penale” il cui rappresentante principale fu Enrico Ferri. Si proponeva l’idea
secondo cui la prigione non fosse un atto espiatorio, ma un mezzo per controllare la
pericolosità sociale dei criminali. Le idee di Lombroso e Ferri provocavano un’accesa
opposizione sia da parte dei marxisti che dei liberali riformisti, i quali rimproveravano
alla scuola antropologico-criminale di non prendere sufficientemente in
considerazione i fattori sociali del reato. Se le cause della criminalità fosse di natura
biologica, allora il reo non doveva essere imputato in quanto moralmente
“irresponsabile”. Ciò significò la promozione dei manicomi criminali, dove rinchiudere
i colpevoli a causa della propria natura psicopatologica.
LA PSICHIATRIA E LA PSICOLOGIA
Oltre alla spinta della biologia e dell’antropologia fisica, anche l’interesse degli
psichiatri fornì un forte impulso alla nascita della nuova psicologia sperimentale. La
psichiatria “organicistica” era legata a Wilhelm Griesinger e fu adottata dalla maggior
parte degli psichiatri italiani, fra i quali Gaspare Virgilio, Andrea Verga, Leonardo
Bianchi, Enrico Morselli e Augusto Tamburini. La psichiatria italiana insieme alla
ricerca delle cause neurologiche e alla classificazione della malattia mentale,
promosse anche indagini sperimentali sulle normali funzioni mentali con il fine di
coadiuvare la cura e la terapia psichiatrica classica. Gabriele Buccola avviò un
programma di ricerca sui tempi di reazione dei pazienti con malattie mentali. Buccola
chiamava le condizioni fisiche e mentali interne degli individui, determinando una
serie di variabili, i “modificatori” del tempo di reazione, tra cui spiccava in particolare
il ruolo dell’attenzione. Dal 1905 la psicologia viene considerata una scienza
autonoma, non subordinata né alla filosofia, né alla fisiologia o alla psichiatria, pur
conservando forti legami con tutti.
LA PSICOLOGIA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTO
I neoidealisti italiani, con in testa Benedetto Croce e Giovanni Gentile, classificavano
la psicologia come scienza della natura, ma la consideravano come una raccolta di
piccoli fenomeni che portavano a pseudoconcetti. Psicologo- filosofo più attento al
problema di una fondazione epistemologica della psicologia fu Francesco De
Sarlo. Sostenne la piena validità di una psicologia empirica o morfologica
fondata sull’osservazione e la sperimentazione di fatti mentali, a condizione di
integrarsi con una psicologia filosofica in grado di comprendere il significato e lo scopo
di atti mentali per mezzo di un’introspezione fenomenologica diretta. Antonio Aliotta
sosteneva che i fenomeni mentali, essendo elementi costitutivi della coscienza, non
avrebbero potuto essere sottoposti a una quantificazione diretta e ingenuamente
realistica. Giulio Cesare Ferrari condusse un’infaticabile attività di organizzazione e
diffusione della disciplina. Gli studi di psicologia svolti in Italia nei primi decenni del
XX secolo era effettuati in istituti universitari e laboratori. Figura di spicco della
seconda generazione degli psicologi italiani fu Sante De Sanctis. Istituì a Roma i
cosiddetti “Asili-Scuola” per i bambini con disabilità mentale. Queste scuole furono
create con l’obiettivo di migliorare le capacità di questi bambini. Assegnava alla
psicologia un chiaro statuto scientifico, basato sull’idea che il suo oggetto di indagine
fosse l’insieme di atti psico-fisici, vale a dire, di processi mentali osservati per mezzo
di introspezione, e della loro concomitante, successiva e antecedente attività fisico-
fisiologica. Il contributo di De Sanctis per la psichiatria e psicopatologia si legava
anche alla neuropsichiatria infantile, un settore specializzato di cui fu il pioniere a
partire dalla creazione degli asili per la riabilitazione di bambini con problemi mentali,
fino all’elaborazione di test per la valutazione della “insufficienza mentale”.
LA PSICOLOGIA ESCE DAL LABORATORIO
La nuova psicologia italiana per il suo aspetto clinico e applicativo fu certamente
influenzata dalla psicologia francese. L’età del positivismo era portatrice di nuove
soluzioni per i problemi educativi. Si doveva affrontare la scolarizzazione di massa
allo scopo di fornire un’educazione di base a tutti i cittadini. LA fiducia in
un’educazione in grado di diventare il motore del progresso sociale poneva il
problema di rifondare completamente la pedagogia, sia nel suo assetto teorico che
nei suoi ambiti applicativi, ancorando la nuova pedagogia al dato scientifico. Maria
Montessori aprì le Case dei Bambini, il luogo principale della sua sperimentazione
pedagogica. Mise a punto un originale sistema educativo basato su nuovi metodi
ispirati ai principi razionali. Il metodo Montessori si basava sull’idea che occorresse
promuovere un’educazione scalata sul bambino, ambienti a misura di bambino,
educatrici non intrusive, impostazione psicologica e integrazione nella pedagogia
di arti, musica, movimento, azione. Presto si tentò di applicare la psicologia anche ad
altri ambiti diverso da quello educativo. Si sviluppò la psicologia del lavoro e poi anche
la psicologia giudiziaria. Quest’ultima era una branca specialistica che proponeva lo
studio dal punto di vista psicologico di tutte le figure coinvolte nel processo, quindi
l’imputato, i testimoni, le vittime e i giudici, e che si occupava anche del problema
dell’affidabilità della testimonianza. In Italia si sviluppò poi la psicologia
sociale. La psicologia della folla di matrice lombrosiana e positivista rappresentò un
primo ambito di studio italiano relativo alla società. Scipio Sighele elaborò una sua
psicologia della folla, ponendo la questione della folla delinquente e delle cause che
determinavano i crimi durante gli incontri di massa o le proteste collettive. Pasquale
Calabrese scrisse alcuni pionieristici studi di “psicologia sociale” con lo scopo di
integrare la psicologia della folla della scuola positiva con l’idea che le dinamiche
psicologiche di gruppo non fossero necessariamente negative e causa di
criminalità,e che la collettività potesse essere moralmente e intellettualmente
educata.
GLI SVILUPPI E LE DIFFICOLTÁ DELLA PSICOLOGIA ITALIANA TRA LE DUE
GUERRE
Dal 1920 fino alla Seconda guerra mondiale, la psicologia italiana
non si sviluppò con il ritmo sostenuto che le premesse e le potenzialità dei primi
anni del Novecento facevano sperare. Alcuni storici hanno parlato di “crisi” o arresto
della psicologia italiana tra le due guerre mondiali, a causa di un clima filosofico-
culturale che era sfavorevole alla disciplina con l’egemonia del pensiero
neoidealista di Croce e Gentile. Vittorio Benussi indagò a fondo il processo di
percezione/apprensione dell’oggetto utilizzando sistematicamente l’introspezione e
sottoponendola a situazioni di controllo sperimentale. Alla fine della grande guerra,
trovò molti impedimenti nel continuare la carriera di ricercatore nell’Università di Graz.
Tornò così in Italia, a Padova. Benussi era convinto che quella mentale fosse una
realtà e che l’ipnosuggestione potesse servire per vivisezionare la mente, penetrarla,
comprenderla e modificarla. Le sue ricerche dimostrarono che nella relazione
ipnosuggestiva, la produzione delle emozioni dipendeva sia da particolari
caratteristiche del linguaggio usato, sia dalla specifica attitudine del soggetto a
produrre stati emotivi relativamente autonomi da altri, come accade nelle
allucinazioni. Anche per quanto riguardava gli studi di psicologia della testimonianza,
Benussi era perfettamente convinto di riuscire a trovare degli indici obiettivi in grado
di discriminare fra gli stati mentali della menzogna e gli stati mentali della sincerità.
Tali indici erano relativi alle curve respiratorie. Benussi fu una specie di pioniere nel
campo degli studi sulla cosiddetta “macchina della verità”. Musatti, allievo di Benussi,
identificò 4 modi di costruzione razionale della realtà esterna a cui fece corrispondere
4 forme di realtà interna. Musatti coltivò poi la psicoanalisi.
Edoardo Gemelli fondò l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo essere entrato
nel convento francescano di Rezzato, prese il nome di Agostino. Divenne uno dei
maggiori rappresentanti italiani della psicologia sperimentale. Nel laboratorio di
psicologia da lui diretto si svilupparono ricerche su percezione, linguaggio,
personalità, applicazioni della psicologia all’orientamento professionale e alla
selezione del personale. Si inaugurarono anche le prime forme di psicoterapia a
orientamento umanistico. Durante il fascismo ci troviamo di fronte ad una strana
situazione; mentre nelle altre università italiane la psicologia sperimentale arretrava
rispetto alle posizioni di prestigio acquisite durante l’epoca liberale, all’Università
Cattolica la psicologia godeva di una relativa autonomia e di un prestigio dovuto
anche ai particolari rapporti fra Stato fascista e Chiesa cattolica, dopo la firma dei
Patti Lateranensi del 1929. Il giudizio negativo sulle Case dei Bambini
montessoriane portò alla chiusura di esse. Alla fine della guerra, Gemelli rischiò
l’epurazione per collusioni con il fascismo e dovette rispondere di accuse di razzismo
contro alcuni studenti ebrei e socialisti denunciati alla polizia fascista. Una delle più
interessanti controversie finali legate alla sua figura riguardò la psicoanalisi, disciplina
che iniziò a preoccupare i teologi quanto Freud. Marxismo e psicoanalisi agli occhi
dei tradizionalisti e dei conservatori erano infatti considerate come il frutto
pericoloso del medesimo milieu culturale. Gli allievi di Gemelli non seguirono
l’atteggiamento conservatore del maestro. Nel corso degli anni immediatamente
precedenti la Prima guerra mondiale, l’eugenetica galtoniana era divenuta un settore
“applicativo” della ricerca biologica, psicologica e delle teorie evoluzionistiche. In Italia
ci fu sempre, anche durante il fascismo, una certa resistenza da parte degli psicologi
ad accettare la segregazione dei “diversi”, tanto più il rifiuto verso pratiche
eugenetiche che promuovevano la selezione sessuale o l’eliminazione dei
degenerati. L’approccio degli psicologi italiani rimase sempre più attento alla
promozione di pratiche pedagogiche, applicative e di medicina sociale, attenti
alla profilassi rispetto alla difesa della società dei “degenerati”. Nel periodo tra le due
guerre mondiali, gli psicologi italiani svilupparono gli aspetti più pratico- applicativi
della psicologia rispetto a quelli teorico- speculativi. La psicotecnica era un terreno di
applicazione pratica della psicologia a fini socialmente utili, soprattutto rispetto
all’educazione e al lavoro.
La Società Psicoanalitica Italiana fu fondata solo a partire dal 1920 da Marco Levi
Bianchini. La nuova “scienza dell’anima” si diffuse anche nei circoli letterari. Roberto
Assagioli iniziò a integrare la psicoanalisi con una sua originale visione umanistica ed
esoterica che chiamò “psicosintesi”. Fu solo dopo la Seconda guerra mondiale che
per la prima volta si cominciò a parlare di psicologia clinica. Cesare Musatti,
considerato nel dopoguerra uno dei punti di riferimento della psicologia accademica
italiana, espresse l’opinione che la psicologia clinica fosse essenzialmente la
psicoanalisi. Emerse successivamente una definizione dell’area di
competenza della psicologia clinica che riguardava la conoscenza e l’utilizzazione di
un complesso di teorie e metodi psicologici per la diagnosi di alcune forme di disturbo
psichico e per il trattamento psicoterapeutico. L’attività di applicazione di metodiche
psicologiche doveva essere praticata da un medico psichiatra con specializzazione in
psicologia clinica, mentre un non medico, uno psicologo con la stessa
specializzazione, poteva solo concorrere alla diagnosi utilizzando i test sotto la guida
di un medico e non poteva applicare una psicoterapia. Un primo distacco dal modello
di psicologia clinica, appiattito sulla psichiatria, fu compiuto da Adriano Ossicini che
diffuse un’altra visione della psicologia clinica e della psicoterapia. Nella concezione
di Ossicini le tecniche psicologiche, come i testi, i questionari e il colloquio, insieme
alla pratica psicoterapeutica, potevano essere la base per sviluppare una psicologia
clinica “rivoluzionaria” in grado di aprire i manicomi e rinnovare la vecchia psichiatria
organicistica. Ossicini considerava la psicologia clinica una scienza
autonoma che accumunava i contributi di vari campi della ricerca, i quali potevano
essere utilizzati per la diagnosi del disturbo mentale e per l’impostazione di una
psicoterapia senza l’uso di farmaci, ma anche per il sostegno psicologico di fronte al
distaccamento e al disagio sociale. In tal senso, la psicologia clinica e la psicoterapia
si prestava ad essere praticata anche da chi aveva una formazione di carattere
psicologico e non necessariamente di tipo medico o psicoanalitico. Le sue idee
iniziarono a far breccia solo sul finire degli anni Sessanta. Ossicini propose
l’istituzione della nuova professione, con un proprio corso di studi regolamentato e un
ordine professionale. Il rinnovamento della psicoterapia passò anche attraverso
gruppi di ricerca che dialogavano in modo critico sia con la tradizione psicoanalitica,
sia con la psichiatria, sia con la psicologia sperimentale e accademica. Il più
significativo tra questi gruppi fu quello organizzato a Milano da Pier Francesco Falli -
> Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia. Il gruppo milanese gettò le basi
di una psicoterapia “laica e critica”, staccata non solo dalle influenze della cultura
cattolica, ma soprattutto dal condizionamento delle istituzioni tradizionali della
psicologia italiana. La generazione post-bellica, la cultura della contestazione degli
anni Sessanta, le varie forme di psicoterapia, la nascita delle comunità terapeutiche
come alternativa al manicomio infine determinarono nel corso degli anni Sessanta
una situazione di “crisi” della tradizione psichiatrica italiana e una spinta a rinnovare
dottrine, terapie e istituzioni. Per riumanizzare la cura delle malattie mentali occorreva
ribaltare il rapporto fra medico e paziente, togliendo al primo il potere nei confronti del
secondo, e poi promuovere la cogestione dei luoghi di cura, favorendo nuovi contesti
per la terapia psichiatrica: in definitiva, bisognava smantellare il vecchio manicomio
e ogni trattamento obbligatorio e imposto da autorità, e sostituirlo con centri socio-
sanitari che avessero come obiettivo il benessere e la libertà del paziente. Lo slogan
divenne “la libertà è terapeutica”.

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