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CAPITOLO 1
I sistemi filosofici i religiosi tradizionali hanno da sempre descritto la coscienza, i
costumi e il carattere delle persone. La psicologia come disciplina accademica è comparsa solamente però negli ultimi decenni dell'Ottocento. Certamente il razionalismo seicentesco e l'illuminismo 700 esco prepararono il terreno per la Fondazione di una psicologia autonoma e la vulgata vuole Cartesio come una sorta di punto di partenza per fondare il ragionamento sulla mente. Si può tracciare un punto di partenza convenzionale per la nascita della psicologia nella seconda metà dell'Ottocento e basarlo sull’apparizione di metodologie caratteristiche, insegnamenti universitari anche sul riconoscimento sociale di questa nuova disciplina. Prima della seconda metà dell'Ottocento nessuno aveva osato sfidare alcuni dogmi anti psicologici rappresentati sia da Immanuel Kant secondo cui la matematica non poteva essere applicata la psicologia come lo era alle altre scienze, sia dalla nota aporia della psicologia che Kant aveva evidenziato insieme ad August Comte, per cui in psicologia l'oggetto si identificava con il soggetto conoscente, sì all'antica e radicata convinzione filosofica che non si poteva avere una scienza relativa agli individui. Secondo Comte la psicologia occupava uno spazio tra la sociologia e la fisiologia del cervello. Per Comte la frenologia poteva essere classificata fra le scienze, ma non la psicologia. La frenologia si era sviluppata con il lavoro del medico Franz Joseph Gall sul finire del 700. Utilizzando un metodo comparativo mise appunto una teoria organo logica secondo la quale il cervello era composto da un insieme di organi a cui corrispondevano differenti facoltà psicologiche. Elaborò così un sistema per la descrizione del carattere delle persone collegato alla conformazione delle varie zone del cranio. A ogni zona del cranio corrispondeva un organo del cervello sottostante una facoltà mentale che se esercitata produceva una bozza cranica sul teschio, mentre se non esercitata una depressione del cranio nella zona corrispondente. Analizzando la calotta cranica, era dunque possibile scoprire il carattere delle persone. Tale pratica venne chiamata da Gall con il nome di organologia e che fu divulgate invece come frenologia. Essa fu uno dei precursori della psicologia soprattutto per ciò che riguardava lo studio della personalità. tutta la tradizione di studi fisiognomici e freno logici ha poi sviluppato un sistema concettuale che utilizzando metodologie tecniche di analisi dell’esteriorità ha cercato di stabilire nessi con la morale interiore degli uomini. quando ci si rese conto che le indagini craniologiche e frenologiche erano fallaci si inventarono i test, poi si analizzò solo il comportamento visibile, infine, oggi le teorie psicologiche vengono giustificate sulla scorta di registrazioni delle attività elettrochimiche di specifiche zone del cervello, così come si forniscono immagini funzionali tramite tecniche di imaging neurologico. Gall Mese così in atto una serie di metodologie di studio del cranio che ebbero fortuna fino ai primi anni del 900. Sulla scia della frenologia nel 1861 Paul Broca comunico di aver scoperto che nell'emisfero cerebrale sinistro era situata l'area della parola, osservando post-mortem il cervello di pazienti che soffrivano di afasia. Ciò permise di descrivere mappe del cervello con specifici centri che determinavano funzioni intellettive o emotive. Nel cuore dell'Europa, alla fine dell'Ottocento, una nuova generazione di positivisti era pronta a fondare una psicologia scientifica autonoma e a inaugurare delle tradizioni nazionali della ricerca psicologica. Si stava radicando una filosofia positiva a rivale della tradizione filosofica idealista e spiritualista. Kurt Danziger alla fine del secolo scorso ha fortemente sostenuto una concreta discontinuità fra la psicologia filosofica e la psicologia dell’800 sviluppatasi nel clima di un rinnovato positivismo, ritenendo dunque plausibile iniziare a trattare di storia della psicologia sostanzialmente a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo. Solo con l'effettiva affermazione di un positivismo diverso da quello comtiano è stata possibile la Fondazione della psicologia come disciplina a sé stante. Brentano e Wundt sono stati considerati come i maggiori psicologi tedeschi dell’Ottocento. Il primo formò tutti coloro che plasmavano la propria indagine sul metodo fenomenologico che consentiva nel descrivere il fenomeno così come esso si presenta alla coscienza del soggetto percipiente, il secondo divenne il più studiato e conosciuto pioniere della psicologia sperimentale fino a esserne considerato come l'unico genitore. A partire dal 1879 il laboratorio di Wundt promosse poi la psicologia come disciplina accademica, divenendo il principale modello di formazione per i primi psicologi ed ebbe un eccezionale successo. Il decennio 1870-1880 vide una serie di eventi storici che favorirono direttamente la nuova nascita accademica della psicologia. La riorganizzazione degli Stati europei portò anche alla ridefinizione delle istituzioni e della formazione universitaria. I sistemi sanitario, giudiziario e soprattutto educativo divennero centrali così come iniziarono a essere teorizzate le prime forme di previdenza sociale e il problema dell'alfabetizzazione fu uno degli obiettivi principali della politica del periodo. LA TRADIZIONE TEDESCA Il precursore più rilevante della tradizione moderna della psicologia tedesca fu Christian Wolff che sistematizzò una psicologia razionale fondata sulla conoscenza e priori e una psicologia empirica che invece si sarebbe dovuta costruire sull’esperienza. La psicologia razionale era inserita in un discorso tutto filosofico che apparteneva alla passata tradizione riguardante le facoltà dell’anima, la psicologia empirica descriveva una scienza in grado di studiare fatti di coscienza specifici come le sensazioni, le percezioni, i sogni, diffondendo l’idea di una gradazione dei fatti percettivi che poteva condurre ad una psicometria ovvero un dominio particolare che forniva una descrizione matematica e geometrica dei fatti psicologici. Fra gli immediati precursori di Wundt, proponenti una visione alternativa al monito kantiano secondo cui era impossibile applicare la matematica ai fenomeni del senso interno, ci furono Johann Friedrich Herbart e Gustav Theodor Fechner. Herbart fu autorevole sostenitore di una concezione della psicologia come scienza autonoma fondata sulla “misurazione” delle idee potevano avere la capacità di agire sotto la soglia della coscienza, influenzando così Sigmund Freud. Sarà però Fechner a ritenere fondato lo studio dei fenomeni psicologici, nel quadro di un proprio e distino status epistemologico, per mezzo di formule che legavano le sensazioni allo stimolo. Sulla base delle indagini riguardanti la fisiologia delle sensazioni già svolte da Ernst Heinrich Weber e dimostrò che i fatti psichici si potevano studiare come delimitato oggetto di studio e che le sensazioni potevano essere ordinate secondo il tempo, la loro posizione spaziale e le rispettive grandezze intensive. Fechner diede corpo a un intenso e rigoroso programma di ricerche volto alla misurazione di variabili psicologiche con il fine di poter dimostrare, mediante i metodi della ricerca sperimentale, l’esistenza dell’”anima” come sostanza distinguibile da fenomeni di natura fisica e chimica. La più importante concezione di Fechner fa riferimento al “parallelismo psicofisico”, ovvero la convinzione che a ogni processo che si svolge nel corpo corrispondesse un processo che si svolge nella mente e che i due domini non possano però essere semplicemente ridotti l’uno all’altro. Da questo lavoro di ricerca si realizzarono le condizioni necessarie alla fondazione della psicologia come scienza sperimentale. La “legge di Weber-Fechner” è divenuta una delle più note della psicologia a partire dalla concezione che accrescimenti relativi agli stimoli siano proporzionali a eguali accrescimenti delle sensazioni. Questa legge diede la possibilità di matematizzare i fenomeni mentali di base. Occorre ricordare anche altri contributi scientifici che favorirono la nascita e lo sviluppo della psicologia scientifica. In particolare, Friedrich W. Bessel fu il primo a introdurre il concetto di “equazione personale” cioè la differenza di misurazione dei moti degli astri di uno specifico osservatore rispetto a un altro. Diveniva così oggetto di studio il problema dei “tempi di reazione” fra stimolo e risposta. Donders e von Helmholtz utilizzarono il metodo sottrattivo dei tempi di reazione nelle loro indagini riguardanti la fisiologia della sensazione al fine di studiare sperimentalmente i fenomeni psicologici relativi alla percezione sensoriale. La misura del tempo giocò un ruolo chiave per lo sviluppo di un metodo che fornisse alla psicologia una base scientifica. Donders riuscì ad associare un parametro quantitativo a un fenomeno psichico dando così l’avvio alla psicocronometria, tecnica di ricerca fondamentale nella tradizione della psicologia sperimentale. Brentano già nel 1874 presentò le proprie tesi riguardanti i fenomeni psichici, come il “percepire sentimenti” o il “pensare”. Per Brentano l’intenzionalità era la caratteristica fondamentale di ogni atto psichico. Tale punto di vista influenzò notevolmente diversi psicologi e filosofi. Persino Sigmund Freud, pur prendendone le distanze, fu suo allievo e ne fu influenzato probabilmente rispetto alla questione relativa alle relazioni oggettuali e all’importanza della dialettica odio-amore. Nella psicologia brentaniana sosteneva che era una percezione interna a favorire una descrizione degli accadimenti interni al soggetto esperiente; mentre secondo Wundt si trattava di un’auto- osservazione sperimentale. Su questa linea Edward B. Titchener avanzò l’importante distinzione: contraddistingueva la psicologia come scienza empirica dalla psicologia come disciplina sperimentale. Il metodo scientifico di Galileo Galilei consisterebbe nella dimostrazione dell’accorda fra l’ipotesi teorica, formulata in termini matematici dallo sperimentatore, e l’esperienza empirica in un contesto di misurazione del fenomeno preso in esame. Nell’idea wundtiana i fenomeni mentali non si riducevano a quelli fisici, ma la registrazione dei fenomeni fisiologici era metodologicamente utile per mettere in evidenza l’esistenza dei fenomeni psichici. Wundt introdusse inoltre la nozione di “casualità psichica”. Costruì una teoria elementista della psicologia in cui le sensazioni erano i costituenti primi che via via si associavano secondo un processo scandito da vari processi psicologici come, ad esempio, l’appercezione (atto riflessivo attraverso cui l’uomo diviene consapevole delle sue percezioni) che era una delle funzioni centrali per portare alla comparsa di funzioni psicologiche complesse, come il linguaggio o la volontà. Titchener fu il personaggio di congiunzione fra gli Stati Uniti e la ricerca wundtiana. Nella psicologia costruita in laboratorio da Wundt e dai suoi allievi, soggetto e oggetto era interscambiabili. Wundt sosteneva che il metodo sperimentale non fosse appropriato per studiare i fenomeni psicologici diversi da quelli sensoriali e percettivi, occupandosi poco delle emozioni. Gli psicologi che in seguito allargarono il proprio raggio di azione, diffondendo una concezione autonoma e applicativa della psicologia, aprendosi ad ulteriori soggetti di ricerca, commisero così tutti una sorta di parricidio contro Wundt. Hermann Ebbinghaus operò indipendentemente e ribaltò la concezione della psicologia di Wundt, aprendo a pratiche di laboratorio che erano suscettibili di applicazioni sociali. È considerato il primo studioso di laboratorio della memoria, lo scopritore della curva dell’oblio. Sviluppò un test sulle abilità mentali dei bambini su committenza politica. Il contributo di Ebbinghaus per la misurazione dell’intelligenza derivava da un suo tentativo di determinare l’inizio della stanchezza mentale nei bambini a scuola. LA TRADIZIONE FRANCESE Franz Anton Mesmer sosteneva che tutte le malattie fisiche o psichiche derivavano da una distribuzione disarmonica del magnetismo animale e la nuova medicina di Mesmer avrebbe redistribuito l’energia, guarendo le malattie. Le pratiche mesmeriche erano attuate attraverso imposizione delle mani, lo scambio di energie “invisibili” fra medico e paziente, l’uso delle terapie di gruppo mediante una tinozza con acqua magnetizzata. Il mesmerismo sopravvisse alla morte di Mesmer, tuttavia, in forma fortemente modificata. L’esistenza di una specifica forza magnetica animale non poteva essere empiricamente dimostrata e i fenomeni di trance che si sviluppavano nel corso delle terapie magnetiche non erano la prova dell’esistenza di questa forza. Il magnetismo animale ebbe una riscoperta solo nella seconda metà dell’Ottocento, in cui la psicologia francese iniziò a muovere i suoi primi passi fondandosi sul metodo patologico. Le fonti e gli orientamenti della prima psicologia francese si identificarono nella visione di Ribot (visione lontana dalla metafisica e aperto al naturalismo). Egli volevo costruire una psicologia che superasse i limiti dell’approccio psicofisiologico wundtiano che poteva indagare solo i fenomeni psichici più elementari. Erano due le tematiche che costituirono i presupposti più generali della ricerca psicologica francese: 1. l’indagine psicofisiologica ispirata all’evoluzionismo e all’empirismo inglese e tedesco; 2. l’uso della patologia come fondamento metodologico dello sperimentalismo in psicologia. Dagli anni Ottanta dell’Ottocento, Ribot iniziò a pubblicare originali monografie sulle malattie della memoria, della volontà, della personalità che caratterizzarono la psicologia sperimentale francese come psicologia patologica. La psicologia di Ribot si distinse per essere ad un tempo sperimentale e patologica secondo una concezione della malattia come esperimento fornito dalla natura che consentiva allo sperimentatore di indagare aspetti della vita psichica non altrimenti evidenziabili. Per Ribot i fenomeni mentali sia nella specie che negli individui erano sottoposti ad una legge evolutiva generale per cui da semplici diventavano complessi. La malattia produceva una regressione di ciò che si era sviluppato. In Francia la nascente psicologia si fondò anche su quello che Foucault ha chiamato modello evoluzionistico. Tutti gli psicologi francesi condividevano l’idea secondo cui l’individuo era descritto nei termini di un processo continuo di differenziazione e di espansione che andava dall’unicellulare al pluricellulare fino ad arrivare all’associazione degli individui nella società. Dall’altro, si riteneva che la mente fosse organizzata gerarchicamente, secondo un movimento evolutivo d’integrazione dal semplice al complesso. L’approccio francese della seconda metà del XIX secolo riscopriva il magnetico che venne ridefinito come ipnosi o sonnambulismo provocato e utilizzato in primo luogo come tecnica sperimentale privilegiata per studiare la mente delle pazienti che soffrivano di “isteria”. Negli ultimi trent’anni dell’Ottocento la psicologia francese si radicò soprattutto per opera di Pierre Janet e Alfred Binet. Janet studiò il sonnambulismo provocato o ipnosi, iniziando a condurre esperimenti ipnotici su giovani donne. Charcot era famoso in Europa perché riuscì a sistematizzare le malattie neurologiche a partire dalla descrizione dei sintomi fino alla ricerca delle lesioni cerebrali a loro correlate. La personalità nella teorizzazione janetiana risultava una costruzione psicologica composta da livelli variabili di coscienza, tendenze ed energie che nella malattia si disaggregavano. Le alterazioni della personalità venivano considerate come una prova empirica della complessità e dei livelli della persona e della coscienza. Le malattie disaggregavano e impoverivano la coscienza che nella normalità funzionava in modo apparentemente unitario. Janet sosteneva invece una teoria costruttivista per cui la personalità era l'esito di una sintesi virgola di un'elaborazione e assimilazione di esperienze e funzioni psicologiche. La psicoterapia di Janet era finalizzata a portare gli individui a sintetizzare elementi ed esperienze psicologiche che nella patologia funzionavano in modo disaggregato. Ellenberger l'ha definito come uno dei grandi padri della psicoterapia dinamica. le, la ricerca di Binet e rimane ancora oggi poco nota fra gli psicologi e gli storici. La letteratura storiografica si è spesso occupata di Binet solo come padre dei test di intelligenza. In realtà egli fu una figura complessa ed eterogenea. Nel 1899 giunsero al laboratorio di Binet due promettenti giovani: Théodore Simon e Henri Piéron. Simon collaboro attivamente combine nell'indagine di quei fenomeni che portarono i due studiosi a formulare il primo test capace di misurare le facoltà psicologiche superiori. Binet cercò di formulare un metodo di misurazione più preciso sulla base di un'indagine diretta con domande ai bambini che implicavano il ragionamento oppure il completamento di testi o figure. il criterio di selezione scelto dallo scienziato francese fu quello di considerare anormali bambini che non si adattavano all'insegnamento e alla disciplina di una scuola ordinaria. I candidati delle classi di perfezionamento (differenziate per sesso e annessi alle scuole elementari pubbliche, che accoglievano bambini dai 6 ai 13 anni) dovevano presentare un ritardo intellettuale di almeno due anni, diagnosticato dalla scala metrica dell'intelligenza. La presa in carico dei bambini anormali rientrava in un quadro politico più generale le cui radici potevano essere rintracciate nel progetto solidarista che ebbe in Bourgeois uno dei massimi teorici. Binet Nel 1905 fu proprio l'autore di un rapporto svolto da una sottocommissione pedagogica in cui descrisse in modo ingegneristico luoghi, spazi, orari di lezione, composizione, principi pedagogici delle classi di perfezionamento per gli anormali. Binet Riteneva che lo sviluppo del bambino normale seguisse degli andamenti irregolari e parziali che variavano da individuo ma che non escludevano la possibilità di sopperire alcune funzioni psicologiche deficitarie con altre meglio sviluppate. Questa dottrina dello sviluppo parziale fu sostenuta da Binet in dialettica con le dottrine che ritenevano l'evoluzione degli anormali rallentata, arrestata o degenerata. Elabora una didattica attiva che si adattasse meglio ai bambini con ritardo e che intervenisse a colmarne i deficit e a svilupparne le potenzialità. Binet preconizzò una chiara teoria dell'educabilità dell'intelligenza. Alla sua morte, divenne il padre di uno strumento (quello dei test) usato per scopi molto differenti da quelli per cui fu creato; venne estrapolato un punteggio generale di intelligenza, il quoziente intellettivo, che fu usato per ridurre a un numero le caratteristiche intellettive individuali e fare previsioni sulla qualità delle persone. LA TRADIZIONE INGELSE La psicologia empirica inglese stata uno dei pilastri fondamentali della psicologia sperimentale radicatasi nella seconda metà dell'Ottocento. Una volta schiera di filosofi inglesi e scozzesi pubblicarono lavori di interesse psicologico fino a lambire la nascita della psicologia scientifica. In particolare, alcuni scozzesi settecenteschi si occuparono delle facoltà morali, quelle qualità che successivamente Gall andrà a ricercare sul cranio. A partire da David Hartley coloro che si interessarono specificamente di temi psicologici accettavano l'idea che fosse possibile una psicologia autonoma. Questi psicologi si occupavano soprattutto della percezione sensoriale, della coscienza, delle associazioni di idee (associazionismo). Charles Darwin ebbe una fondamentale importanza per la storia della psicologia. In primo luogo, diffusi l'idea che l'evoluzione umana andava trattati in modo identico all'evoluzione delle altre specie animali. Darwin sosteneva poi l'idea della selezione naturale, che premiava le caratteristiche ereditate, in forma anche lievemente modificata, che però avevano una maggiore probabilità di essere adattive. Lo studio dell'evoluzione delle caratteristiche adattive dei fatti psicologici divenne uno degli elementi tipici della psicologia evoluzionista, già a partire da Darwin. Ma fu tuttavia Francis Galton che, promuovendo una concezione radicale del darwinismo, stressò un'idea essenzialista degli individui iscrivendoli in insiemi omogenei sulla base della misura della media statistica di certi caratteri da quelli fisici a quelli psicologici elementari. In Galton le caratteristiche erano stabili e acquisite da una generazione all'altra e potevano essere adattive o disadattive, desiderabili o indesiderabili, inferiori o superiori. Galton inauguro una fortunata prospettiva anglosassone per lo studio evoluzionista delle caratteristiche psicologiche che utilizzava la statistica. L'indagine differenziale degli individui in base alla media e agli scostamenti dalla media divenne una sorta di modo per comprendere quali caratteristiche dovesse possedere l'uomo per avere una possibilità di sopravvivenza. Nacque così la psicometria. Galton in 20 o anche l'eugenetica intesa come una pratica per migliorare il genere umano, fondata sulla conoscenza per mezzo delle misurazioni di quelle caratteristiche utili al perfezionamento genetico delle popolazioni. Galton È stato definito apostolo della quantificazione, in quanto diffuse nelle scienze umane un approccio finalizzato a contare le frequenze per evidenziare come i fenomeni umani e rientrassero nel più ampio dominio dei fenomeni naturali. Galton assimilò nel dominio psicologico il lavoro di Adolphe Quetelet. in questo modo si inizio a parlare di distribuzione probabilistica in cui su un piano geometrico era possibile rappresentare le frequenze dei fenomeni constatando che in natura alcuni fenomeni si addensano con una frequenza maggiore intorno alle misure medie. Gli allievi di Galton furono per la maggior parte statistici e psicometristi, fra essi Karl Pearson e James McKeen Cattel, che fu uno dei promotori del movimento psicologico americano. CAPITOLO 2 LA GESTALT L’influenza brentaniana nella storia della cultura europea del Novecento fu notevole. L’approccio di Brentano portò alla fondazione di varie prospettive psicologiche e filosofiche, fra queste la cosiddetta psicologia dell’atto di Stumpf a Berlino da cui prese poi il via la psicologia della Gestalt, o della forma. In questa ottica occorreva studiare i fenomeni psichici in modo unitario secondo le forme che essi assumevano e non come se fossero la sommatoria di dati psicologici semplici. Christian von Ehrenfels fu il precursore degli psicologi della Gestalt e studiò le “qualità formali” degli oggetti psichici per cui sarebbe fondamentale indagare l’emergenza dei fenomeni totali piuttosto che i dati sensoriali che costituiscono i fenomeni. Carl Stumpf sviluppò, invece, la psicologia degli atti di coscienza dando particolare rilievo allo studio degli stati transitivi che si presentavano al soggetto. La Gestalt divenne fonte di ispirazione culturale per tutta la psicologia del centro Europa. I gestaltisti studiavano i fenomeni psichici con l’idea che la percezione fosse la funzione principale dell’attività psichica e che il metodo fenomenologico della tradizione brentaniana fosse il metodo principale della psicologia. Max Wertheimer chiamò “fenomeno phi” il movimento apparente secondo cui, illuminati 2 punti in un tempo ottimale e successivo, il partecipante non li percepiva come statici ma in movimento. Altri gestalisti: Koffka si occupò di diffondere i principi della ricerca secondo i presupposti teorici della Gestalt e si occupò di sviluppo infantile; Koehler elaborò la nozione di Einsight per indicare una sorta di intuizione creativa. Con l’avvento del nazismo la Gestalt subì una persecuzione, poiché la maggior parte degli psicologi era ariano. Emigrati negli Stati Uniti, i gestaltisti influenzarono l’ambito comportamentista, soprattutto Kurt Lewin. Secondo Lewin la psicologia doveva passare ad un approccio galileano, che proponeva un’indagine metodica del singolo caso che portava all’elaborazione di una teoria capace di spiegare l’evento unico, e catturare i processi psichici nella loro dinamicità. L’approccio topologico secondo Lewin avrebbe aiutato a oltrepassare la rappresentazione del singolo caso come un evento puramente casuale e non inquadrabile scientificamente. Una volta ipotizzato che il singolo evento sia esso stesso regolata da una legge, l’evidenza scientifica poteva essere ricavata da casi puri e concreti. Secondo Lewin, un’indagine sul singolo fenomeno attraverso il controllo delle variabili che intervengono nell’esperienza, era la strada per l’elaborazione di leggi generali che regolano il funzionamento del campo psicologico individuale e sociale. Sviluppo, personalità, economia e società si ritenevano intrecciati e interdipendenti. Nella teoria della personalità di Lewin l’ambiente assumeva un valore fondamentale come specifico fattore determinante del comportamento umano. Per ambiente intendeva il contesto reale percepito dal soggetto. Lewin vedeva i fatti psichici e le persone come comportamenti del campo fenomenologico- sperimentale che interessava al ricercatore in quanto totalità. Lo psicologo doveva prestare attenzione alle reazioni dei soggetti, che modificavano il loro comportamento rispetto alle motivazioni personali e alle interdizioni che avvenivano nel campo ed erano rappresentata come barriere. L’eredità lewiniana, nell’ibridarsi al comportamentismo americano ed evidenziando quelle componenti situazionali che influenzano gli individui, si ritrovò in settori importanti della ricerca contemporanea. LA PSICOANALISI FRA CONSERVAZIONE E PROGRESSO La psicoanalisi, creatura di Sigmund Freud, è stata certamente la più conosciuta, diffusa e criticata teoria psicologica del Novecento. Lungo il Novecento prima Sigmund, poi sua figlia Anna e infine il nipote Edward Bernays, con la loro attività culturale avrebbero favorito lo sviluppo di una nuova soggettività. Erich Fromm e Herbert Marcuse considerarono la psicanalisi uno strumento indispensabile per comprendere la contemporaneità e per rivoluzionare la società. La psicoanalisi è stata definita dallo stesso Freud come una parte della psicologia ma anche un nuovo metodo di trattamento delle nevrosi. Tutto nacque dai suoi tentativi e dai suoi insuccessi nel curare le nevrosi e l’isteria come neurologo. Oltre che da Charcot, fu influenzato da Bernheim della scuola di Nancy soprattutto per quel che riguardava la suggestione e l’importanza che rivestiva la relazione medico-paziente per lo sviluppo delle prime forme di psicoterapia. Con Anna O., Freud e Breuer idearono il metodo catartico, che prevedeva di parlare del passato per potersi liberare dai disturbi. La paziente così riviveva quegli stati affettivi che erano legati ai ricordi di particolari momenti nel proprio passato in cui l’emotività non era riuscita a esprimersi e che rimanevano incistati nel presente. Questo è chiamato meccanismo dell’abreazione. Nel Capitolo settimo dell’Interpretazione dei sogni, Freud presentava il suo primo modello della mente (prima topica). Freud immaginava un apparato psichico che era composto da un sistema inconscio, preconscio e dalla coscienza in grado di elaborare i processi psicologici, dalla percezione all’azione. Essendo interdetta l’azione durante il sonno, al sognatore non rimaneva che una soddisfazione allucinatoria del desiderio e una progressiva elaborazione dei contenuti inconsci del sogno che si sarebbero ritrovati trasformati e simbolizzati nel racconto da sveglio del sognatore. Celebre è anche il complesso di Edipo. Freud perfezionò la sua teoria della mente in una seconda topica. Attraverso la classificazione dei fenomeni, raccoglieva fatti, elaborava teorie e modelli dei fenomeni psichici che esplorava, autocorreggendosi di fronte a nuove evidenze. Elaborò anche la teoria dell’inconscio. Con Freud diveniva cruciale il ragionamento intorno agli elementi dell’esperienza umana fino ad allora considerati marginali. I sogni, i lapsus e gli atti mancati divennero comportamenti da sottoporre ad analisi. Con determinismo intendiamo la nozione secondo cui anche elementi apparentemente insignificanti potevano essere ricondotti a cause psicologiche che sfuggivano alla coscienza. I tre saggi sulla teoria sessuale fecero scalpore perché in essi per la prima volta si presentava l’idea che fin dalla nascita i bambini avessero una sessualità che a partire da una situazione pregenitale “perversa e polimorfa” e crescendo per fasi (anale, orale, fallica, latenza, genitale) si sarebbe disciplinata in età adulta. La teoria pulsionale sarà l’elemento scismatico che porterà alle prime divisione all’interno della psicoanalisi, prima Alfred Adler e poi Carl G. Jung ruppero con Freud per una differente concezione dell’attività pulsionale che per Freud rimaneva pregiudizialmente di natura sessuale (libido). La teoria libidica è stata considerata il cuore che caratterizzava la prima psicoanalisi. IL SECONDO MODELLO DELLA MENTE E L’ISTITUZIONALIZZAZIONE DELLA PSICOANALISI Nel primo decennio del Novecento, la psicoanalisi suscitava interesse soprattutto fra psicologi e psichiatri, da altri era invece vista con diffidenza. Dopo la promozione da parte degli americani, l’interesse per la psicoanalisi come terapia crebbe. Dopo la Prima guerra mondiale, Freud cambiò profondamente la sua teoria, soprattutto il principio libidico della ricerca del piacere venne affiancato all’idea che negli esseri umani agiva anche un’altra pulsione la cui meta basilare era la morte. Le pulsioni erotiche o di vita risultavano impastate con quelle di morte o distruttive, alla ricerca di un difficile equilibrio. Lo studio degli investimenti pulsionali portò Freud a occuparsi anche di psicologia sociale, influenzato dal pensiero di Gabriel Tarde e di Gustave Le Bon. Tarde aveva notato che uno dei vincoli principali fra i membri di un gruppo era l’imitazione. Tale concetto fu amplificato e riformulato da Le Bon, per il quale il collante che teneva insieme gli individui nei gruppi sociali era un reciproco legame suggestivo. Freud superò il primo modello della mente (prima topica) e descrisse un nuovo modello in grado di contenere tutto il lavoro svolto nei primi decenni del Novecento. Nel secondo modello descritto in l’Io e l’Es, vi era una tripartizione della mente in istanze psichiche ognuna con i suoi obiettivi in perenne ricerca di un equilibrio dinamico. L’ideale dell’Io divenne Super-Io, le pulsioni divennero le proprietà dell’Es, mentre l’Io era l’istanza che cercava di trovare dei compromessi più o meno adattivi fra le mete, i conflitti, gli equilibri instabili che intercorrevano fra Super-Io, Es e realtà. In origine lo sviluppo del bambino sarebbe dominato dall’Es e dalle sue componenti pulsionali. In seguito, con l’esperienza, l’Io si sarebbe differenziato per gestire le pulsioni dell’Es, fino al sopraggiungere del complesso edipico. Il superamento o tramonto del complesso edipico avrebbe condotto alla nascita del Super-Io, un precipitato delle identificazioni con i due genitori, positive e negative. La psicopatologia sarebbe stata determinata da adattamenti patologici dell’Io in relazione alle altre istanze. Sulla scorta di questo secondo modello, Freud rielaborò e ridefinì la tecnica psicoterapeutica tramite il lavoro interpretativo. La psicoanalisi ha avuto almeno un duplice destino nel mondo della psicologia e della psichiatria. Il principale è relativo ai modelli psicoterapeutici che si sono differenziati dal suo tronco, in discontinuità o in continuità con esso. LA PSICOLOGIA IN RUSSIA I primi psicofisiologi russi fra Ottocento e Novecento erano stati allievi della scuola fisiologica tedesca. Questa scuola ebbe una sua iniziale formulazione nel lavoro dello psicofisiologo Ivan M. Secenov, famoso per l’intuizione che tutta la psicologia potesse essere ridotta ai riflessi fisiologici del cervello. L’unità fisiologica fondamentale approfondita in questa primissima psicofisiologia russa era l’arco riflesso, termine coniato da Marshall Hall. L’arco riflesso era tipico delle reazioni semplici ed era caratterizzato da un circuito di base che includeva: lo stimolo esterno, il passaggio dello stimolo tramite una fibra nervosa afferente al midollo spinale, la conversione del segnale nel midollo da afferente a efferente e l’impulso che dal midollo andava verso la periferia e produceva un movimento muscolare. Nei primi decenni del Novecento fu Vladimir M. Bechterev a sostenere che tutti i comportamenti complessi erano frutto di associazioni di riflessi. Nella sua concezione i riflessi associativi erano disposti gerarchicamente a partire dai condizionamenti di comportamenti automatici e istintivi a quelli sociale e educativi. Diffuse una psicologia fondata sulla neurofisiologia. Nonostante l’importanza della scuola di Bechterev, fu Ivan P. Pavlov ad essere considerato il più importante riflessologo russo. Persino il comportamentismo si basava paradossalmente proprio sugli esperimenti fisiologici di Pavlov. Fu conosciuto soprattutto per i suoi esperimenti sull’apprendimento, che dimostravano come i riflessi fossero risposte a degli stimoli che potevano essere apprese (condizionamento classico). Esperimento cani-cibo- campanella. Veniva quindi codificata una teoria relativa all’estinzione dei comportamenti appresi mediante la stimolazione condizionata. Pavlov, a partire dal presupposto che ogni comportamento fosse determinato dal sistema nervoso. Le proprietà del sistema nervoso responsabili delle differenze individuali al condizionamento furono ritenute 4: forza dell’eccitazione, forza dell’inibizione, bilanciamento e mobilità dei processi nervosi. Pavlov ha iniziato una delle principali tradizioni novecentesche di studi sulla personalità in cui risultavano centrali i seguenti presupposti: 1. I processi psicofisiologici interagivano con l’adattamento biologico; 2. Utilizzando il riflesso condizionato veniva introdotta una misura psicofisiologica oggettiva che favoriva lo studio sperimentale della personalità; 3. Le indagini di laboratorio erano in grado di dimostrare una correlazione fra comportamento, temperamento e un modello concettuale di sistema nervoso; 4. La nozione pavloviana di forza dell’eccitazione era considerata un antecedente significativo rispetto alla moderna nozione di arousability (eccitabilità). La riflessologia e la teoria dell’apprendimento pavloviana rappresentarono così la base degli approcci psichiatrici nei Paesi sotto l’influenza russa. Nel frattempo a Mosca, Konstantin N. Kornilov elaborò la reattologia, una teoria del comportamento che studiava le reazioni globali di adattamento all’ambiente. Lev S. Vygotskij elaborò una teoria storico- culturale. Per Vygotskij studiare i riflessi avrebbe eliminato gli stati psichici superiori dall’orizzonte della psicologia, riducendo l’uomo ad un animale privo di coscienza. Pensava che l’essere umano mostrasse una coscienza creativa differente da quella animale che si costruiva in base all’esperienza e all’interazione con l’ambiente. La teoria storico-culturale diveniva il tentativo di studiare l’interazione fra uomo e ambiente sociale, evolutivo, culturale e lavorativo. Si occupò sostanzialmente di due ambiti: la ricerca sullo sviluppo del pensiero e le applicazioni psicologiche in campo evolutivo. Formulò il percorso che portava il bambino a utilizzare strumenti e sviluppare il linguaggio attraverso il contatto e la relazione con i genitori che gli indicavano i suoni relativi ai nomi delle cose e delle persone. Era l’analisi della funzione degli strumenti psicologici che per Vygostkij rendevano concreta un’idea, un progetto, uno scopo. Lo strumento mediava quindi il rapporto fra interno ed esterno, l’individuo agiva sull’ambiente tramite gli strumenti, ma al tempo stesso l’uso degli strumenti modificava i processi psichici, creava il linguaggio che a sua volta diveniva un potente strumento per raffigurarsi e cambiare la realtà. Per lo psicologo russo, al contrario che per Piaget, era fondamentale comprendere i meccanismi di simbolizzazione e di interiorizzazione che facevano sviluppare il linguaggio tramite l’interazione. In Pensiero e linguaggio vi era l’analisi dello sviluppo in parallelo di pensiero/intelletto e linguaggio e poi del loro convergere nel corso dello sviluppo del bambino. Vygostkij formulò il concetto di “area di sviluppo prossimo” in cui mise a fuoco che la funzione educativa dipendeva dalla interazione del bambino con l’insegnante che forniva al bambino gli strumenti e non da facoltà individuali in cui il bambino era più o meno capace. L’area di sviluppo prossimo segnava il confine fra la capacità attuale del bambino di risolvere un problema e le capacità che avrebbe dimostrato ma che oltrepassavano la sua età. L’interazione con l’altro diveniva cruciale. La conseguenza dell’inasprimento delle politiche dittatoriali fu che il lavoro di Vygotskij venne censurato. La riflessologia e la psicofisiologia vennero così preferite alla teoria storico culturale. Leont’ev, allievo di Vygotskij, si occupò a più riprese del bambino in relazione alla memoria e alla interiorizzazione del linguaggio. Egli sostenne che l’attività che il bambino metteva in atto in relazione al mondo circostante, agli oggetti concreti, avrebbe determinato lo sviluppo dell’intelligenza. Altro allievo di Vygotskij fu Lurija, che però si orientò verso la neuropsicologia. Si occupò di approfondire la relazione fra strutture cerebrali, funzioni mentali e contesto culturale di pazienti che avevano subito degli accidenti neurologici. Lurija immaginava il cervello come un organismo olistico le cui funzioni erano controllate in modo integrato a vari distretti fisici. Uno dei riferimenti in questa nuova teoria del cervello era Kurt Goldstein. Lurija sviluppò una completa teoria neuropsicologica, in cui sosteneva che l’organizzazione cerebrale fosse caratterizzata da sistemi funzionali in interazione. Mise in luce 3 principali unità funzionali: una prima localizzata nelle strutture più antiche del cervello, quelle del tronco encefalico, che regolavano le attività vegetative di base come la veglia o il sonno, la fame o la sete, e quelle sottocorticali che regolavano la vita emotiva. La seconda unità funzionale si occupava di elaborare l’informazione e memorizzarla. L’ultima e la più evoluta unità funzionale era caratterizzata dai lobi del cervello che regolavano le attività delle altre due unità con la programmazione e il controllo dell’azione. LA PSICOLOGIA NEGLI STATI UNITI Negli Stati Uniti della seconda metà dell’Ottocento si sviluppò una psicologia scientifica influenzata soprattutto dalla psicologia tedesca e dalla psicologia inglese. Furono fondate riviste scientifiche e l’American Psychological Association (APA). Nella cultura accademica americana il pragmatismo, un’importante prospettiva filosofica, svolse un ruolo di primo piano nella fondazione della psicologia scientifica negli Stati Uniti. Il pragmatismo ebbe origine dal pensiero del filosofo Charles Sanders Peirce e dal lavoro dello psicologo William James. Peirce si dedicò agli aspetti logici della conoscenza; James si orientò verso valutazione di tipo utilitaristico dei processi conoscitivi che lo portarono a considerare un asserto come valido in funzione delle esigenze concrete a cui era capace di rispondere. Peirce volle differenziarsi da James chiamando pragmaticismo la propria concezione filosofia e lasciando il nome pragmatismo all’impostazione di James. Granville Stanley Hall fu il primo presidente dell’APA, e diffuse un’idea applicata della psicologia soprattutto in ambito educativo e favorì la diffusione della psicoanalisi. Peirce propose una concezione secondo la quale ogni oggetto viene visto come una rappresentazione e la conoscenza procederebbe non in maniera intuitiva, ma attraverso un processo logico inferenziale che indagava gli oggetti nella loro qualità semiotica. Il valore di un’ipotesi teorica era dato dalla sua capacità previsionale circa il fenomeno descritto, nel suo variare, anche in riferimento al mutare delle circostanze. In Peirce era presente un’idea di modello teoriche che prevedeva cause ed effetti, finalizzato alla previsione dei fatti in vista della loro gestione. James fu quasi unanimemente considerato il fondatore americano della moderna psicologia scientifica. Nel pragmatismo di James l’accento era posto sull’attuazione, piuttosto che sulla previsione. James promuoveva una concezione dinamica dei processi di pensiero in cui la coscienza non era suddivisa in elementi, ma descritta come un flusso che scorre e che potrebbe essere colto solo nell’immediatezza dell’esperienza vissuta. Elaborò anche una teoria della coscienza del Sé, in cui il Sé era avvertito da ognuno nella propria percezione interna ed era definito con il termine me. Egli postulava anche un Sé materiale ovvero tutto ciò che è percepito come proprio e un Sé sociale costruito su come veniamo rappresentati dagli altri; potevano così coesistere molti Sé sociali concepito come rappresentazioni personali delle immagini che gli altri hanno di noi, in diversi contesti relazionali. Postulava un Sé spirituale concepito come Sé centrale composto da tutte le attività e le disposizioni psichiche individuale. Su questa linea, potevano presentarsi molti Sé empirici che in particolari casi erano vissuti come alternativi e in conflitto. Importante successore di James fu Edward Lee Thorndike che dimostrò che gli animali imparavano a risolvere dei problemi per prove ed errori, secondo meccanismi di feedback basati su premi o sulle punizioni. Thorndike sviluppò la cosiddetta “legge dell’effetto” secondo cui un comportamento diventava più frequente se associato a un soddisfacimento, mentre il comportamento sarebbe stato meno frequente se le conseguenze fossero state spiacevoli. Aveva una visione dell’apprendimento secondo cui più un comportamento veniva esercitato, maggiormente era appreso, al contrario i comportamenti non utilizzati venivano dimenticati. Il principale allievo americano di Wundt fu Titchener, che divenne il teorico americano dello strutturalismo. Uno dei principali pragmatisti fu invece John Dewey, attivo maggiormente in ambito pedagogico. Il suo allievo, James R. Angell divenne l’esponente principale degli psicologi funzionalisti. Affermava che gli elementi di una funzione psicologica non dovevano essere considerati come a sé stanti, ma ritenersi intrinsecamente interrelati fra loro e correlati al contesto in cui apparivano. La coscienza si sarebbe manifestata come attività differenziata dai comportamenti automatici, con una funzione di adattamento agli stimoli con carattere di novità, provenienti dal contesto ambientale. Comparve anche il manifesto riguardante il comportamentismo, scritto da John B. Watson. Per Watson la psicologia doveva essere una scienza naturale e oggettiva, ed era possibile solo studiando il comportamento ed eliminando qualsiasi concetto non oggettivabile, come la mente, la coscienza, ma anche l’inconscio. Watson faceva riferimento al “controllo” del comportamento come uno dei compiti principali della psicologia. L’apprendimento è stato il fenomeno maggiormente studiato dai comportamentisti che si occuparono di tutte le tipologie di condizionamento a partire da quello classico. Tra coloro che aprirono la strada alla teoria comportamentista vi fu Thorndike, ma soprattutto Pavlov. Watson derivò da Pavlov l’idea che i comportamenti complessi nascessero dai riflessi condizionati, ma rifiutava tutte quelle conseguenze simboliche a cui l’associazione fra stimolo condizionato e risposta condizionata avrebbe facilmente condotto. Watson era convinto che mediante specifiche tecniche di apprendimento si sarebbe potuto indirizzare il comportamento delle persone, educare i bambini. L’eredità intellettuale di Watson diede i suoi frutti dalla seconda metà degli anni Trenta soprattutto con Skinner che approfondì i meccanismi legati al condizionamento. Con Skinner si parla di condizionamento operante. Riteneva che i comportamenti, soprattutto quelli complessi, non potessero essere appresi utilizzando il paradigma del condizionamento classico o considerandoli delle mere risposte condizionate a degli stimoli (condizionamento rispondente). CAPITOLO 3 Durante la Prima guerra mondiale, i test Army Alpha e Army Beta, sviluppati da Robert Yerkes, furono le misure d’intelligenza che presentarono la psicologia come una scienza utile. Erano due versioni dello stesso test, la prima da somministrare alle persone scolarizzate, la seconda da somministrare agli analfabeti. Dopo la Prima guerra mondiale, la psicologia in America ebbe una notevole espansione. I test di intelligenza in realtà si mostravano scarsamente utili in situazioni specifiche. L’intelligenza, di per sé, risultava poco indicativa per predire la condotta. La personalità sembrò essere una nozione più utile per prevedere il comportamento umano e correlarlo ai contesti più vari. Il primo articolo di Gordon Allport dedicato alla personalità fu pubblicato sullo “Psychological Bulletin”. Qui si descrivevano 3 aree di interesse: il problema della definizione della personalità, la classificazione dei tratti e la loro misura. Allport dava rilievo ai tratti come componenti empiriche da misurare per individuare il modo in cui risultavano correlati, fornendo al settore una maggiore precisione scientifica. Diede risalto alla quantificazione dei tratti, cercando di sviluppare semplici questionari che misurassero caratteristiche personali come la dominanza-sottomissione o l’introversione-estroversione. Allport sosteneva che il tratto fosse l’elemento più semplice della personalità e che la psicologia dovesse classificare i tratti, cercando di descriverli secondo delle possibili gerarchie. La psicologia moderna della personalità ha fatto uso di questionari self report che entrarono sul mercato a partire dagli anni Venti. In questa prospettiva metodologica, la nozione di tratto ha assunto così una specifica rilevanza. I tratti, riguardanti il sentire, il comportarsi, il pensare, furono considerati dimensioni relativamente stabili e fondanti l’individualità. Secondo Hans J. Eysenck il tratto nella ricerca contemporanea risulterebbe un elemento semplice, irriducibile, un fattore di primo ordine che, per mezzo dello strumento statistico dell’analisi fattoriale, poteva essere intercorrelato con altri fattori entro dimensioni gerarchiche di secondo ordine. Con la Seconda guerra mondiale, si sviluppò un lavoro di équipe che indagava la personalità non solamente con i test d’intelligenza, ma anche con lo studio approfondito dei tratti tramite specifici questionari, con i colloqui clinici e mediante la collaborazione di più tecnici che stilavano dei profili individuali. Fra gli psicometrici si diffuse l’idea che l’analisi fattoriale potesse esser il mezzo per osservare scientificamente degli oggetti psicologici invisibili a occhio nudo, ma tanto importanti da determinare la personalità. L’approccio psicolessicale, affiancato dalla analisi statistica di questionari di autovalutazione ha dato come esito un ulteriore modello basato su cinque super- fattori di personalità (estroversione, gradevolezza, coscienziosità, stabilità emotiva, apertura all’esperienza). Questa tradizione psicolessicale si è così coniugata benissimo con la tradizione psicometrica della ricerca psicologica. La psicologia umanistica o terza forza, i cui maggiori esponenti furono Carl R. Rogers e Abraham H. Maslow, rifiutava una visione frammentata dell’individuo e criticava il determinismo presente nelle altre teorie della personalità. Occorreva studiare la persona in modo olistico e fenomenologico, fiduciosi nel potenziale umano e nelle capacità di autorealizzazione degli individui. I PRECURSORI DEL COGNITIVISMO La psicologia cognitiva nacque e si sviluppò sulla base di esigenze culturali di natura complessa e non come mero perfezionamento progressivo della ricerca. In Europa, fra i precursori del cognitivismo occorre considerare Oswald Kuelpe. La coscienza e le immagini mentali presero il posto delle sensazioni come suoi principali oggetti di studio. La psicologia che faceva riferimento ai processi interni non fu mai abbandonata, fino a riemergere nel cosiddetto neocomportamentismo; si trattava di una serie di comportamentisti critici che dimostrarono come i fenomeni interni fossero necessari per dar conto di esperimenti cruciali che non si spiegavano se non facendo ricorso a concetti come gli schemi, i copioni o le cosiddette mappe cognitive. I neocomportamentisti abbandonarono il paradigma semplicistico Stimolo- Risposta; nella loro concezione fra S e R occorrevano delle variabili interne organismiche (O), definite anche variabili intervenienti, in grado di dare conto dei comportamenti molari e complessi. Edward C. Tolman definiva il suo comportamentismo come finalizzato o intenzionale, in grado di mettere in evidenza forme di apprendimento differenti da quelli classici e operanti. Altro neuro comportamentista importante fu Clark L. Hull. La sua teoria includeva dimensioni interne come bisogni, pulsioni, forza dell’abitudine, comportamenti finalizzati all’adattamento. Hull prefigurò un sistema con centinaia di proposizione logico- matematiche riguardanti il comportamento da verificare tramite esperimenti. Il suo sistema non riuscì ad essere dimostrato. Fra i precursori europei del cognitivismo occorre ricordare Piaget. Le linee di ricerca piagetiane furono essenzialmente finalizzate a studiare l’evoluzione del bambino dal punto di vista cognitivo nelle varie fasi della sua crescita e, in parallelo, lo sviluppo dal semplice al complesso delle modalità di conoscenza nell’essere umano. Utilizzava il metodo clinico (attenta osservazione del comportamento dei bambini). In Piaget il dispositivo centrale dell’evoluzione del pensiero era un meccanismo di equilibrio fra assimilazione a schemi cognitivi noti e accomodamento degli schemi interiorizzati rispetto alle esperienze. Piaget immaginava un processo dinamico di “adattamento” della mente del bambino come fosse un organismo. Il bambino, secondo una prefissata periodizzazione, dimostrava di possedere delle modalità tipiche di interazione con gli oggetti a cui corrispondevano schemi di azione interiorizzati, tramite adattamento. Suddivideva in stadi i momenti di sviluppo del bambino con tipiche capacitò per ogni periodo. Questa tassonomia imponeva dei vincoli allo sviluppo del bambino. Questa teoria era fortemente decontestualizzata, poiché lo sviluppo per stadi sarebbe stato valido per ogni cultura. Altri importanti precursori europei della concezione cognitivista furono Frederic C. Bartlett e Kenneth Craik. Bartlett fornì una descrizione di come funziona la memoria basata sulle idee di James Ward. In questa visione c’era una critica verso un’idea associazionistica della memoria, si ipotizzava che questa funzione presentasse delle modalità prototipiche e soggettive che si potevano evidenziare tramite esperimenti. Bartlett dimostrava che i ricordi erano ricostruiti con modalità personali. Fra le intuizioni di Craik si ricorda l’enfasi con cui descriveva l’organismo come un sistema che si autoregola mediante processi di retroazione. Con Alan Turing si prefigurava la cosiddetta Intelligenza Artificiale e si intendeva la capacità di ragione e divenire del tutto simili e indistinguibili dalla mente umana dei computer. COGNITIVISMO E CERVELLO Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta nacque un nuovo indirizzo multidisciplinare di studio della natura umana fondato sull’analogia mente/computer: la scienza cognitiva. Si possono individuare alcuni presupposti essenziali che caratterizzano la scienza cognitiva: 1. i ricercatori lavoravano con rappresentazioni simboliche della mente per spiegare il comportamento e il pensiero umani; 2. si poteva studiare la mente con modelli costruttivi al computer; 3. non si occupava delle variabili affettive, culturali, contestuali e storiche; 4. approccio interdisciplinare; 5. gli scienziati cognitivi tentavano di reinterpretare i problemi classici della filosofia occidentale relativi alla coscienza e alla mente. Uno dei momenti iniziali dell’impresa cognitivista furono le critiche a Skinner da parte di Chomsky. Chomsky affermava che per comprendere lo sviluppo di un organismo complesso occorreva tenere presente i meccanismi interni e come venivano elaborati gli input. Per Chomsky, lo sviluppo dei processi psicologici dell’organismo era determinato dall’interazione di 3 fattori; la predisposizione innata, la maturazione programmata geneticamente e l’esperienza passata. Dagli anni Sessanti, Chomsky si è dedicato al linguaggio. Riteneva che i processi linguistici si sviluppassero perché una sorta di strumento mentale del linguaggio, selezionato evolutivamente e attivato durante l’infanzia dall’esperienza, predisponeva tutti gli individui. Fra gli anni Cinquanta e Sessanta, ci fu una sequenza di teorie e modelli dei cognitivisti che tentò di dare conto alla mente umana. In primo luogo, Jerome S. Bruner operò un’ibridazione, inaugurando una nuova psicologia cognitiva dello sviluppo. George A. Miller descrisse le capacità limitate delle elaborazioni della memoria e negli anni ’60, con i suoi colleghi, modellizzò la mente come un sistema computazionale che elaborava le informazioni secondo il modello Text-Operate-Text- Exit (TOTE). Sulla stessa linea, George Sperling mise in luce sperimentale la memoria a brevissimo termine. Nel 1968 Richard Atkinson e Richard Shiffrin presentarono un modello multi-magazzino della memoria (multi-store model) in cui l’informazione veniva elaborata attraverso vari passaggi: dal registro sensoriale a brevissimo termine, al magazzino a breve termine a quello a lungo termine. In questi stessi anni Allen Newell, John C. Shaw e Herbert A. Simon iniziarono a simulare, in base a modelli computazionali, le modalità di risoluzione dei problemi degli esseri umani (problem solving). Donald E. Hebb sviluppò una teoria connessionistica del sistema nervoso; mise a fuoco la necessità di avere ambiti di ricerca che connettessero la psicologia alla neurologia, utilizzando il termine neuropsicologia. Un importante contributo in questo ambito fu dato da Wilder Penfield che, mediante tecniche di elletrostimolazione del cervello per mezzo di elettrodi, riuscì a costruire mappe delle funzioni sensoriali e motorie legate alla corteccia cerebrale. Importante fu anche Roger W. Sperry che, studiando casi clinici in cui era stato scisso il corpo calloso, gli emisferi erano stati disconnessi e coesistevano due coscienze disconnesse. PERCEZIONE, COGNIZIONE SOCIALE E TEORIA SOCIALE COGNITIVA Dalla metà del Novecento un certo numero di psicologi statunitensi promossero una ricerca percettologica, che condusse alla elaborazione di tipologie della personalità fondate sulla differenziazione degli stili cognitivi delle persone. Goerge S. Klein identificò individui accentuatori e individui livellatori; gli accentuatori avrebbero la tendenza a rimarcare i contrasti e le differenze percepite negli oggetti; i livellatori ad attenuare tali contrasti e ridurre le differenze. Herman A. Witkin propose una distinzione fra personalità campo-dipendente e personalità campo- indipendente. Descrisse individui in grado di risolvere semplici problemi spaziali basandosi sulle proprie percezioni (indipendenza) e individui che invece si affidavano a elementi del campo percettivo, esterni (dipendenza). Julian B. Rotter sviluppò una teoria della personalità fondata sui concetti di locus of control e di fiducia interpersonale. Il locus of control rappresentava quelle aspettative che attribuivano le ragioni del proprio successo all’esterno o all’interno; la fiducia interpersonale era una misura della felicità e del benessere psicologico. Al confine di questi studi percettologici si situava la cosiddetta social cognition. Questo approccio fu seguito da Kurt Lewin, Leon Festinger e Solomon Asch. Festinger evidenziò l’importanza che le cognizioni legate alle credenze individuali rivestivano nel dare coerenza e influenzare le interpretazioni di noi stessi e della realtà che ci circonda. Due cognizioni in conflitto creavano uno stato di tensione (dissonanza cognitiva). Asch era interessato alla formazione del pregiudizio fino a provare con una serie di esperimenti gli effetti della pressione del gruppo sul giudizio del singolo individuo. Si parla, quindi, di un modello nuovo del conformismo che si rifaceva all’idea che la presenza degli altri poteva pressare l’individuo fino a metterlo in una situazione le portava a comportarsi in modi anche palesemente errati e illogici. Stanley Milgram portò a termine una serie di esperimenti pubblicizzati, come uno studio sulla memoria e l’apprendimento. Esperimento scosse. L’apprendimento osservazionale fu evidenziato sulla scorta di un ulteriore importante esperimento, condotta da Albert Bandura. Questi esperimenti dimostravano che i comportamenti fossero stati appresi o evitati, osservando se negli altri tali comportamenti fossero stati premiato o puniti. Le anticipazioni di quanto accade alla persona osservata sono state considerata un rinforzo sostitutivo. L’apprendimento osservazionale metteva in luce come i processi di modellamento (modeling) costruivano la personalità sulla base delle regole di comportamento memorizzate, selezionate e osservate negli altri. Bandura è divenuto uno dei massimi teorici dell’approccio sociale cognitivo che si fondava sull’idea che la personalità fosse il prodotto di un contesto di interazione fra comportamento, eventi interni, sia di natura psicologica che biologica, e ambiente, e che l’individuo fosse guidato dai propri obiettivi, aspettative, schemi cognitivi e sistemi di autoregolazione. Insieme a Bandura, un altro dei personaggi più innovativi nel campo della teoria socio- cognitiva è stato Walter Mischel. Esperimento dei marshmallow (autocontrollo -> successo). La sua visione si fondava sull’analisi e l’individuazione dei particolari contesti psicologici che favorivano o impedivano la messa in atto di uno specifico comportamento da parte di uno specifico individuo. Philip G. Zimbardo dimostrò, con l’esperimento della prigione di Stanford, che il “potere della situazione” era il concetto chiave per comprendere e modificare i comportamenti. Questo esperimento può essere considerato il prototipo di ciò che può accadere in contesti in cui agiscono meccanismi quali etichettamento, la deindividualizzazione e la deumanizzazione. Recentemente, Zimbardo ha parlato di “effetto Lucifero” per definire una situazione tipica delle istituzioni in cui una persona normale attraversa il confine tra il bene e il male e si impegna in un’azione maligna. Il male è considerato come l’esercizio del potere di nuocere intenzionalmente, psicologicamente, fisicamente e distruggere moralmente gli altri. Il nucleo del male è il processo di disumanizzazione con cui sono raffigurate alcune persone o gruppi, come fossero meno umane o inferiori rispetto ad altre. La disumanizzazione è uno dei processi centrali che trasformano personale normali in feroci autori di comportamenti malvagi, creando persone che percepiscono gli altri come nemici meritevoli di annientamento, tormento, tortura. LE CULTURE DELLA PSICOLOGIA CONTEMPORANEA Gli psicologi già all’inizio del Novecento hanno in vario modo parlato di crisi della psicologia (disciplina divisa), in molti hanno cercato unitarietà, tentando di costruire modelli per quanto possibile universali. La realtà psicologica è da affrontare in maniera transdisciplinare, secondo Piaget, secondo cui le relazioni tra le discipline dovranno essere finalizzate a riconoscere i collegamenti tra di essere in un sistema aperto e senza confini. La psicologia è piena di ibridazioni con la medicina, la filosofia, con la sociologia, con la biologia. Da questo punto di vista, la psicoterapia è forse stato il campo più importante in cui gli psicologi hanno esercitato la propria professione. Proprio la storia della psicoterapia ci insegna che gli eventi accaduti tra il 1960 e il 1980 sono stati fondamentali per comprendere l’interesse esploso nei riguardi delle scienze umane e anche della psicologia. La sessualità divenne uno dei principali argomenti di interesse transdisciplinare. Si affrontò, infine, la questione relativa al regolamento della professione, soprattutto per l’ambito psicoterapeutico. Con gli anni Ottanta si ha avuto un significativo ritorno alla ricerca. L’interesse negli ultimi decenni per le neuroscienze ha trovato così una probabile giustificazione proprio in questo generale movimento di disinvestimento della ricerca ingaggiata nei problemi sociali, promuovendo piuttosto la ricerca oggettiva di laboratorio. Si sono privilegiata le discipline che apparivano “sperimentali”, quelle cognitive e neuroscientifiche, così come è promosso l’evidence based in psicoterapia, si sono riorganizzati dipartimenti e facoltà sulla base di questa cultura, con una scarsa consapevolezza dei suoi limiti. CAPITOLO 4 Dopo l’Unità d’Italia, la psicologia si diffuse nel nostro Paese nel contesto del positivismo e dell’evoluzionismo, come un settore di conoscenze teoriche, empiriche e applicate sulla mente umana e come disciplina con proprie riviste specializzate e associazioni. IL METODO FILOSOFICO- CULTURALE Una nuova generazione di filosofi e naturalisti riteneva di studiare i fenomeni mentali con metodo positivo e sperimentale, sottraendoli dalla speculazione filosofica. La fondazione di una scienza psicologica fu ispirata dall’evoluzionismo che condizionò gli psicologi italiani. L’interesse per il positivismo in Italia si innestava in una cultura profondamente cattolica, portando a una polarizzazione o a una ibridazione delle posizioni dei ricercatori che presentava caratteri peculiari e ancora poco indagati. Roberto Ardigò studiò i fenomeni mentali visti come categoria indipendente di fatti dell’esperienza, da indagare con i metodi delle scienze positive. Giuseppe Sergi viene ricordato per i suoi studi craniologici e per aver elaborato il concetto di stirpe mediterranea. Sergi riteneva che i tratti caratteriali potessero essere modificati e trasmessi, di generazione in generazione, per mezzo sia della mescolanza di diversi bagagli genetici sia dell’influenza della cultura e dell’educazione, specialmente quella scientifica. Per Sergi assai importante era “educare” anche i sentimenti e il carattere, ma istruire anche l’intelletto. Una buona attività educativa risultava fondamentale per forgiare buoni cittadini e per prevenire e recuperare le devianze. De Sanctis (fondatore neuropsichiatria infantile) e Montessori furono allievi di Sergi, come anche Giuseppe Montesano (psichiatria del bambino). Figura chiave della psicopedagogia fu Luigi Credaro, secondo cui la psicologia tornava utile alla pedagogia. Con Cesare Lombroso emerse in Italia l’antropologia criminale. Questa disciplina si occupava di perizie e di personalità. Fondata sulla dottrina lombrosiana, nacque la “scuola positiva del diritto penale” il cui rappresentante principale fu Enrico Ferri. Si proponeva l’idea secondo cui la prigione non fosse un atto espiatorio, ma un mezzo per controllare la pericolosità sociale dei criminali. Le idee di Lombroso e Ferri provocavano un’accesa opposizione sia da parte dei marxisti che dei liberali riformisti, i quali rimproveravano alla scuola antropologico-criminale di non prendere sufficientemente in considerazione i fattori sociali del reato. Se le cause della criminalità fosse di natura biologica, allora il reo non doveva essere imputato in quanto moralmente “irresponsabile”. Ciò significò la promozione dei manicomi criminali, dove rinchiudere i colpevoli a causa della propria natura psicopatologica. LA PSICHIATRIA E LA PSICOLOGIA Oltre alla spinta della biologia e dell’antropologia fisica, anche l’interesse degli psichiatri fornì un forte impulso alla nascita della nuova psicologia sperimentale. La psichiatria “organicistica” era legata a Wilhelm Griesinger e fu adottata dalla maggior parte degli psichiatri italiani, fra i quali Gaspare Virgilio, Andrea Verga, Leonardo Bianchi, Enrico Morselli e Augusto Tamburini. La psichiatria italiana insieme alla ricerca delle cause neurologiche e alla classificazione della malattia mentale, promosse anche indagini sperimentali sulle normali funzioni mentali con il fine di coadiuvare la cura e la terapia psichiatrica classica. Gabriele Buccola avviò un programma di ricerca sui tempi di reazione dei pazienti con malattie mentali. Buccola chiamava le condizioni fisiche e mentali interne degli individui, determinando una serie di variabili, i “modificatori” del tempo di reazione, tra cui spiccava in particolare il ruolo dell’attenzione. Dal 1905 la psicologia viene considerata una scienza autonoma, non subordinata né alla filosofia, né alla fisiologia o alla psichiatria, pur conservando forti legami con tutti. LA PSICOLOGIA ITALIANA DEL PRIMO NOVECENTO I neoidealisti italiani, con in testa Benedetto Croce e Giovanni Gentile, classificavano la psicologia come scienza della natura, ma la consideravano come una raccolta di piccoli fenomeni che portavano a pseudoconcetti. Psicologo- filosofo più attento al problema di una fondazione epistemologica della psicologia fu Francesco De Sarlo. Sostenne la piena validità di una psicologia empirica o morfologica fondata sull’osservazione e la sperimentazione di fatti mentali, a condizione di integrarsi con una psicologia filosofica in grado di comprendere il significato e lo scopo di atti mentali per mezzo di un’introspezione fenomenologica diretta. Antonio Aliotta sosteneva che i fenomeni mentali, essendo elementi costitutivi della coscienza, non avrebbero potuto essere sottoposti a una quantificazione diretta e ingenuamente realistica. Giulio Cesare Ferrari condusse un’infaticabile attività di organizzazione e diffusione della disciplina. Gli studi di psicologia svolti in Italia nei primi decenni del XX secolo era effettuati in istituti universitari e laboratori. Figura di spicco della seconda generazione degli psicologi italiani fu Sante De Sanctis. Istituì a Roma i cosiddetti “Asili-Scuola” per i bambini con disabilità mentale. Queste scuole furono create con l’obiettivo di migliorare le capacità di questi bambini. Assegnava alla psicologia un chiaro statuto scientifico, basato sull’idea che il suo oggetto di indagine fosse l’insieme di atti psico-fisici, vale a dire, di processi mentali osservati per mezzo di introspezione, e della loro concomitante, successiva e antecedente attività fisico- fisiologica. Il contributo di De Sanctis per la psichiatria e psicopatologia si legava anche alla neuropsichiatria infantile, un settore specializzato di cui fu il pioniere a partire dalla creazione degli asili per la riabilitazione di bambini con problemi mentali, fino all’elaborazione di test per la valutazione della “insufficienza mentale”. LA PSICOLOGIA ESCE DAL LABORATORIO La nuova psicologia italiana per il suo aspetto clinico e applicativo fu certamente influenzata dalla psicologia francese. L’età del positivismo era portatrice di nuove soluzioni per i problemi educativi. Si doveva affrontare la scolarizzazione di massa allo scopo di fornire un’educazione di base a tutti i cittadini. LA fiducia in un’educazione in grado di diventare il motore del progresso sociale poneva il problema di rifondare completamente la pedagogia, sia nel suo assetto teorico che nei suoi ambiti applicativi, ancorando la nuova pedagogia al dato scientifico. Maria Montessori aprì le Case dei Bambini, il luogo principale della sua sperimentazione pedagogica. Mise a punto un originale sistema educativo basato su nuovi metodi ispirati ai principi razionali. Il metodo Montessori si basava sull’idea che occorresse promuovere un’educazione scalata sul bambino, ambienti a misura di bambino, educatrici non intrusive, impostazione psicologica e integrazione nella pedagogia di arti, musica, movimento, azione. Presto si tentò di applicare la psicologia anche ad altri ambiti diverso da quello educativo. Si sviluppò la psicologia del lavoro e poi anche la psicologia giudiziaria. Quest’ultima era una branca specialistica che proponeva lo studio dal punto di vista psicologico di tutte le figure coinvolte nel processo, quindi l’imputato, i testimoni, le vittime e i giudici, e che si occupava anche del problema dell’affidabilità della testimonianza. In Italia si sviluppò poi la psicologia sociale. La psicologia della folla di matrice lombrosiana e positivista rappresentò un primo ambito di studio italiano relativo alla società. Scipio Sighele elaborò una sua psicologia della folla, ponendo la questione della folla delinquente e delle cause che determinavano i crimi durante gli incontri di massa o le proteste collettive. Pasquale Calabrese scrisse alcuni pionieristici studi di “psicologia sociale” con lo scopo di integrare la psicologia della folla della scuola positiva con l’idea che le dinamiche psicologiche di gruppo non fossero necessariamente negative e causa di criminalità,e che la collettività potesse essere moralmente e intellettualmente educata. GLI SVILUPPI E LE DIFFICOLTÁ DELLA PSICOLOGIA ITALIANA TRA LE DUE GUERRE Dal 1920 fino alla Seconda guerra mondiale, la psicologia italiana non si sviluppò con il ritmo sostenuto che le premesse e le potenzialità dei primi anni del Novecento facevano sperare. Alcuni storici hanno parlato di “crisi” o arresto della psicologia italiana tra le due guerre mondiali, a causa di un clima filosofico- culturale che era sfavorevole alla disciplina con l’egemonia del pensiero neoidealista di Croce e Gentile. Vittorio Benussi indagò a fondo il processo di percezione/apprensione dell’oggetto utilizzando sistematicamente l’introspezione e sottoponendola a situazioni di controllo sperimentale. Alla fine della grande guerra, trovò molti impedimenti nel continuare la carriera di ricercatore nell’Università di Graz. Tornò così in Italia, a Padova. Benussi era convinto che quella mentale fosse una realtà e che l’ipnosuggestione potesse servire per vivisezionare la mente, penetrarla, comprenderla e modificarla. Le sue ricerche dimostrarono che nella relazione ipnosuggestiva, la produzione delle emozioni dipendeva sia da particolari caratteristiche del linguaggio usato, sia dalla specifica attitudine del soggetto a produrre stati emotivi relativamente autonomi da altri, come accade nelle allucinazioni. Anche per quanto riguardava gli studi di psicologia della testimonianza, Benussi era perfettamente convinto di riuscire a trovare degli indici obiettivi in grado di discriminare fra gli stati mentali della menzogna e gli stati mentali della sincerità. Tali indici erano relativi alle curve respiratorie. Benussi fu una specie di pioniere nel campo degli studi sulla cosiddetta “macchina della verità”. Musatti, allievo di Benussi, identificò 4 modi di costruzione razionale della realtà esterna a cui fece corrispondere 4 forme di realtà interna. Musatti coltivò poi la psicoanalisi. Edoardo Gemelli fondò l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Dopo essere entrato nel convento francescano di Rezzato, prese il nome di Agostino. Divenne uno dei maggiori rappresentanti italiani della psicologia sperimentale. Nel laboratorio di psicologia da lui diretto si svilupparono ricerche su percezione, linguaggio, personalità, applicazioni della psicologia all’orientamento professionale e alla selezione del personale. Si inaugurarono anche le prime forme di psicoterapia a orientamento umanistico. Durante il fascismo ci troviamo di fronte ad una strana situazione; mentre nelle altre università italiane la psicologia sperimentale arretrava rispetto alle posizioni di prestigio acquisite durante l’epoca liberale, all’Università Cattolica la psicologia godeva di una relativa autonomia e di un prestigio dovuto anche ai particolari rapporti fra Stato fascista e Chiesa cattolica, dopo la firma dei Patti Lateranensi del 1929. Il giudizio negativo sulle Case dei Bambini montessoriane portò alla chiusura di esse. Alla fine della guerra, Gemelli rischiò l’epurazione per collusioni con il fascismo e dovette rispondere di accuse di razzismo contro alcuni studenti ebrei e socialisti denunciati alla polizia fascista. Una delle più interessanti controversie finali legate alla sua figura riguardò la psicoanalisi, disciplina che iniziò a preoccupare i teologi quanto Freud. Marxismo e psicoanalisi agli occhi dei tradizionalisti e dei conservatori erano infatti considerate come il frutto pericoloso del medesimo milieu culturale. Gli allievi di Gemelli non seguirono l’atteggiamento conservatore del maestro. Nel corso degli anni immediatamente precedenti la Prima guerra mondiale, l’eugenetica galtoniana era divenuta un settore “applicativo” della ricerca biologica, psicologica e delle teorie evoluzionistiche. In Italia ci fu sempre, anche durante il fascismo, una certa resistenza da parte degli psicologi ad accettare la segregazione dei “diversi”, tanto più il rifiuto verso pratiche eugenetiche che promuovevano la selezione sessuale o l’eliminazione dei degenerati. L’approccio degli psicologi italiani rimase sempre più attento alla promozione di pratiche pedagogiche, applicative e di medicina sociale, attenti alla profilassi rispetto alla difesa della società dei “degenerati”. Nel periodo tra le due guerre mondiali, gli psicologi italiani svilupparono gli aspetti più pratico- applicativi della psicologia rispetto a quelli teorico- speculativi. La psicotecnica era un terreno di applicazione pratica della psicologia a fini socialmente utili, soprattutto rispetto all’educazione e al lavoro. La Società Psicoanalitica Italiana fu fondata solo a partire dal 1920 da Marco Levi Bianchini. La nuova “scienza dell’anima” si diffuse anche nei circoli letterari. Roberto Assagioli iniziò a integrare la psicoanalisi con una sua originale visione umanistica ed esoterica che chiamò “psicosintesi”. Fu solo dopo la Seconda guerra mondiale che per la prima volta si cominciò a parlare di psicologia clinica. Cesare Musatti, considerato nel dopoguerra uno dei punti di riferimento della psicologia accademica italiana, espresse l’opinione che la psicologia clinica fosse essenzialmente la psicoanalisi. Emerse successivamente una definizione dell’area di competenza della psicologia clinica che riguardava la conoscenza e l’utilizzazione di un complesso di teorie e metodi psicologici per la diagnosi di alcune forme di disturbo psichico e per il trattamento psicoterapeutico. L’attività di applicazione di metodiche psicologiche doveva essere praticata da un medico psichiatra con specializzazione in psicologia clinica, mentre un non medico, uno psicologo con la stessa specializzazione, poteva solo concorrere alla diagnosi utilizzando i test sotto la guida di un medico e non poteva applicare una psicoterapia. Un primo distacco dal modello di psicologia clinica, appiattito sulla psichiatria, fu compiuto da Adriano Ossicini che diffuse un’altra visione della psicologia clinica e della psicoterapia. Nella concezione di Ossicini le tecniche psicologiche, come i testi, i questionari e il colloquio, insieme alla pratica psicoterapeutica, potevano essere la base per sviluppare una psicologia clinica “rivoluzionaria” in grado di aprire i manicomi e rinnovare la vecchia psichiatria organicistica. Ossicini considerava la psicologia clinica una scienza autonoma che accumunava i contributi di vari campi della ricerca, i quali potevano essere utilizzati per la diagnosi del disturbo mentale e per l’impostazione di una psicoterapia senza l’uso di farmaci, ma anche per il sostegno psicologico di fronte al distaccamento e al disagio sociale. In tal senso, la psicologia clinica e la psicoterapia si prestava ad essere praticata anche da chi aveva una formazione di carattere psicologico e non necessariamente di tipo medico o psicoanalitico. Le sue idee iniziarono a far breccia solo sul finire degli anni Sessanta. Ossicini propose l’istituzione della nuova professione, con un proprio corso di studi regolamentato e un ordine professionale. Il rinnovamento della psicoterapia passò anche attraverso gruppi di ricerca che dialogavano in modo critico sia con la tradizione psicoanalitica, sia con la psichiatria, sia con la psicologia sperimentale e accademica. Il più significativo tra questi gruppi fu quello organizzato a Milano da Pier Francesco Falli - > Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia. Il gruppo milanese gettò le basi di una psicoterapia “laica e critica”, staccata non solo dalle influenze della cultura cattolica, ma soprattutto dal condizionamento delle istituzioni tradizionali della psicologia italiana. La generazione post-bellica, la cultura della contestazione degli anni Sessanta, le varie forme di psicoterapia, la nascita delle comunità terapeutiche come alternativa al manicomio infine determinarono nel corso degli anni Sessanta una situazione di “crisi” della tradizione psichiatrica italiana e una spinta a rinnovare dottrine, terapie e istituzioni. Per riumanizzare la cura delle malattie mentali occorreva ribaltare il rapporto fra medico e paziente, togliendo al primo il potere nei confronti del secondo, e poi promuovere la cogestione dei luoghi di cura, favorendo nuovi contesti per la terapia psichiatrica: in definitiva, bisognava smantellare il vecchio manicomio e ogni trattamento obbligatorio e imposto da autorità, e sostituirlo con centri socio- sanitari che avessero come obiettivo il benessere e la libertà del paziente. Lo slogan divenne “la libertà è terapeutica”.
LA PSICOLOGIA RESA SEMPLICE - VOL 1 - Storia della psicologia scientifica. Dalla nascita della psicologia alla neuropsicologia e agli ambiti di applicazione più attuali.
Pendekatan sederhana terhadap Freud: Panduan untuk menjelaskan penemuan Sigmund Freud dan prinsip-prinsip psikologi mendalam dengan cara yang sederhana