FATA MORGANA
Quadrimestrale di cinema e visioni
Pellegrini Editore
Direttore Roberto De Gaetano
Comitato scientifico Dudley Andrew, Raymond Bellour, Sandro Bernardi, Francesco Casetti,
Antonio Costa, Georges Didi-Huberman, Ruggero Eugeni, Massimo Fusillo, Annette Kuhn,
Pietro Montani, Jacques Rancière, David N. Rodowick, Giorgio Tinazzi
Comitato direttivo Dario Cecchi, Francesco Ceraolo, Alessia Cervini, Massimiliano Coviello,
Daniele Dottorini, Michele Guerra, Angela Maiello, Stefano Oliva, Bruno Roberti, Antonio
Somaini, Luca Venzi, Dork Zabunyan
Caporedattore Alessandro Canadè
Redazione Daniela Angelucci, Samuel Antichi, Luca Bandirali, Simona Busni, Paolo Godani,
Andrea Inzerillo, Carmelo Marabello, Caterina Martino (coordinamento), Pietro Masciullo,
Alma Mileto, Emiliano Morreale, Alessio Scarlato, Giacomo Tagliani, Christian Uva, Francesco
Zucconi
Coordinamento segreteria di redazione Loredana Ciliberto
Segreteria di redazione Fabio Alcantara, Alessandro Calefati, Rosa Alba De Meo, Deborah
De Rosa, Gianfranco Donadio, Francesca Pellegrino, Gioia Sili, Nausica Tucci
Direttore Responsabile Walter Pellegrini
Redazioni
Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo
Sapienza Università di Roma - Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma
Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali
Università della Calabria - 87036 Rende (CS)
E-mail fatamorgana.rivista@gmail.com
Sito internet www.fatamorganaquadrimestrale.it
Amministrazione - Distribuzione
GRUPPO PERIODICI PELLEGRINI
Via Luigi Pellegrini editore, 41 - 87100 Cosenza
Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672
E-mail info@pellegrinieditore.it
Sito internet www.pellegrinieditore.it
ISSN 1970-5786 - ISBN 979-12-205-0172-9
Stampato in Italia nel mese di aprile 2023
Abbonamento annuale € 40,00; estero € 50,00; un numero € 18,00
(Gli abbonamenti s’intendono rinnovati automaticamente se non disdetti
30 gg. prima della scadenza) Monte dei Paschi di Siena intestato a
Luigi Pellegrini Editore SRL - IT82S0103088800000001259627
Pellegrini Editore - Via Luigi Pellegrini editore, 41 - 87100 Cosenza
Per l’abbonamento on line consultare il sito www.pellegrinieditore.com
2
FATA MORGANA
SOMMARIO
INCIDENZE
7
La rete come spazio di gioco.
Conversazione con Pietro Montani
a cura di Angela Maiello
FOCUS
23
Decostruire la rete
Martino Feyles
43
La rete dell’anamorfosi audiovisiva
Chiara Simonigh
61
Operare con le immagini e con i media in contesti
di apprendimento
Elio Ugenti
79
New Media Art: strategie conservative, musei e spazi virtuali
Raffaella Tartaglia
95
Fare rete con il vivente. Animismo, antropotecniche e cinema
a Fukushima
Alessandro Calefati
111
Testimonianze, immagini inarchiviabili e pratiche visive
dei popoli in rivolta
Giuseppe Previtali
FATA MORGANA
3
RIFRAZIONI
127
L’immagine e il velo. Riflessioni sulla protesta in Iran
Dario Cecchi
137
Sorveglianza e controllo: Black Mirror e le dinamiche digitali
Diego Maria Chece
153
L’uomo senza la macchina da presa. Le reti all’origine
di Roman National
Steven Stergar
161
Death Stranding. Un allegoritmo nodulare
Giuseppe Gatti
179
L’intelligenza della relazione: Kimi di Soderbergh
Angela Maiello
187
Abstract in inglese
4
FATA MORGANA
FATA MORGANA
5
6
FATA MORGANA
FATA MORGANA
21
22
FATA MORGANA
Decostruire la rete
Martino Feyles
In questo articolo vorrei mostrare che, anche se Derrida non ha mai scritto
niente di simile a una filosofia della rete, un approccio derridiano ai problemi
posti dal web può essere efficace e fecondo. Non è un caso che i più recenti
lavori di due pensatori che si richiamano direttamente a Derrida, Ferraris e
Stiegler, siano dedicati alla rete e alle tecnologie digitali. Cercherò, dunque,
di mostrare in che modo un pensiero “grammatologico” possa essere utile
per comprendere la rete, facendo riferimento prima a Derrida, poi a Stiegler
e successivamente a Ferraris. Nell’ultimo paragrafo cercherò di mostrare
cosa significa decostruire la rete, rileggendo un noto testo di Pariser: Il filtro.
La grammatologia e la rivoluzione informatica
Quando nel 1967 Derrida pubblica Della grammatologia, Microsoft e
Apple non sono ancora nate e la rivoluzione digitale muove i suoi primi passi
nel buio. Rileggendo oggi i primi paragrafi del più noto testo derridiano, non
si può evitare di notare una retorica un po’ oracolare: «L’avvenire non può
non anticiparsi che nella forma dell’assoluto pericolo. Esso è ciò che rompe
assolutamente con la normalità costituita e non può dunque annunciarsi,
presentarsi, che sotto la specie della mostruosità»1. Quale avvenire anticipa
qui Derrida? Quale pericolo intravede? Rispondere semplicemente che Della
grammatologia anticipa e prevede la rivoluzione informatica sarebbe un’ingenuità. Benché tra i derridiani vi siano degli adepti che ripetono le parole
del maestro con dedizione quasi religiosa, l’immagine di un Derrida profeta,
che preannuncia l’età dell’informatica, è più che altro comica. Tuttavia un
conto è quello che Derrida, in quanto scrittore e filosofo, può aver pensato
1
J. Derrida, Della grammatologia, tr. it., Jaca Book, Milano 2006, p. 22.
FATA MORGANA
23
Martino Feyles
effettivamente nel 1967, un conto è quello che rimane inscritto nel suo testo
e nella storia degli effetti di questo testo. Se Della grammatologia ha potuto
avere l’impatto che ha avuto, nella storia del pensiero del Novecento, se
ancora oggi si può leggere questo libro con un interesse che non è soltanto
storico, è anche perché il problema fondamentale che Derrida affronta ha un
legame necessario con la rivoluzione digitale e con la rete2. La grammatologia è un discorso filosofico sulla scrittura. Per la prima volta con Derrida
il problema della scrittura viene posto al centro della riflessione filosofica:
ma cosa sono i PC se non “macchine per la scrittura”?3
Si dirà che un PC non si limita a registrare le informazioni, ma le “elabora” in modi sempre più complessi. Ma l’idea che la scrittura sia sempre
un’alterazione e dunque anche un’elaborazione non è forse una delle idee
fondamentali di Derrida? La storia del computer, che lascia intravedere il
passaggio evolutivo dalla macchina da scrivere al PC (e la tastiera su cui
scrivo rende ancora visibile questa discendenza) conferma questa lettura.
Ma anche il sistema delle metafore che il linguaggio ha adottato per descrivere le operazioni informatiche conferma questa lettura: un file esiste
nel momento in cui è registrato e la registrazione è una “scrittura”, talvolta
una “sovra-scrittura”. D’altra parte cosa vuol dire che – come si dice – un
programma implica un “linguaggio di programmazione” ed è costituito da
“linee di codice”? Di che “linguaggio” e di che “codice” si parla in questi
casi?
Il primo paragrafo di Della grammatologia si intitola: «Il programma».
Derrida spiega, in quel paragrafo, che la scrittura non è un fenomeno solo
umano e che «tutto il campo coperto dal programma cibernetico […] sarà
campo di scrittura»4. Ma soprattutto Derrida spiega che la scrittura non è solo
la registrazione del linguaggio verbale. Ora, quali esempi vengono presentati nel testo per attestare l’esistenza di questa scrittura non dipendente dal
linguaggio verbale? «Abbiamo già fatto allusione alla matematica teorica:
la sua scrittura, […] non è mai stata assolutamente legata alla produzione
fonetica»5. Se la matematica teorica è una forma di scrittura non verbale,
allora anche un programma, che è un algoritmo complesso, è un procedi-
2
Uno dei primi a vedere un nesso tra la concezione derridiana della testualità e il problema
dell’ipertesto è Landow: cfr. G. Landow, Ipertesto. Il futuro della scrittura, tr. it., Baskerville,
Bologna 1993.
3
Cfr. M. Ferraris, Scienza nuova. Ontologia della trasformazione digitale, Rosenberg &
Sellier, Torino 2018, p. 19.
4
Ivi, p. 27.
5
Ivi, p. 28.
24
FATA MORGANA
Decostruire la rete
mento di scrittura. Infatti poco dopo Derrida allarga e precisa ulteriormente
l’orizzonte dei suoi esempi di riferimento.
Ma al di là della matematica teorica, lo sviluppo delle pratiche
dell’informazione estende ampiamente le possibilità del “messaggio”,
fino al punto che questo non è più la traduzione “scritta” di un linguaggio, il trasporto di un significato che nella sua integrità potrebbe
rimanere parlato6.
Non essendo un autentico profeta, Derrida non può sapere quale sarà
«lo sviluppo delle pratiche dell’informazione». Ma uno dei vantaggi della
concezione derridiana della scrittura è precisamente questo: al di là di ciò
che l’autore poteva sapere o non sapere, in un testo talvolta si può dare a
leggere persino il futuro. Proprio in virtù dei principi ermeneutici che sono
alla base dello stile decostruzionista, siamo autorizzati a leggere in questo
passaggio di Della grammatologia più di quello che lo stesso Derrida può
aver intuito a suo tempo. Possiamo leggere, cioè, che il più straordinario e
sconvolgente esempio di scrittura non sottomessa alle necessità della voce e
della parola, sono le “iscrizioni” informatiche, che sono testi anche se non
sono “leggibili” dagli uomini. Certamente un testo scritto in un linguaggio
binario è estremamente povero in termini di differenza e differimento, perché
è un testo la cui “lettura” è un’esecuzione univoca. Ma nello stesso tempo
è anche un testo strutturalmente non fonocentrico: è una scrittura che non
si può leggere ad alta voce.
In questa prospettiva alcune idee derridiane fondamentali appaiono in una
nuova luce e gettano una nuova luce sul nostro presente. Della grammatologia
si apre con l’annuncio un po’ oracolare di una nuova epoca della scrittura;
questa retorica del passaggio epocale è assai diffusa nella storia del pensiero
occidentale e Derrida la eredita in modo più diretto da Nietzsche e da Heidegger. Ma che cosa propriamente annuncia Della grammatologia? Il primo
capitolo è posto sotto la tutela di un titolo chiaro: «La fine del libro e l’inizio
della scrittura». Questo titolo non è affatto ovvio. In effetti il libro è un testo
scritto e nessuno può dubitare che la stampa sia una tecnologia di scrittura
molto evoluta. Dunque Derrida non sta annunciando la fine di un’epoca in cui
la scrittura non si dava; sta annunciando, invece, la fine di un’epoca in cui una
determinata tecnologia della scrittura si dava insieme a un determinato modo
di concepire la verità. Ma se è vero che in Della grammatologia la vecchia
concezione della scrittura, del rapporto tra significante e significato, tra pen-
6
Ibidem.
FATA MORGANA
25
Martino Feyles
siero e linguaggio, ecc., viene decostruita in modo puntuale, è altrettanto vero
che Derrida non dice mai nulla a proposito di ciò che dovrebbe venire dopo
il libro, dopo questa tecnologia della scrittura che ha condizionato la nostra
storia per almeno cinque secoli. Derrida non può dire nulla a questo proposito perché non è un profeta. Ma noi che rileggiamo Della grammatologia
quando la rivoluzione digitale è compiuta, non possiamo evitare di pensare
che il luogo in cui sempre di più si raccolgono le scritture non sia innanzitutto
la biblioteca, ma la rete; che il senso della parola “pubblicazione”, che un
tempo rimandava alla stampa, rimandi oggi innanzitutto alla condivisione
online; che l’organizzazione delle scritture in unità coerenti non si dia più
innanzitutto grazie ai libri, ma grazie ai siti web. Noi possiamo leggere in
Della grammatologia quello che Derrida non avrebbe potuto voler dire, cioè
che la fine dell’epoca del libro è l’inizio dell’epoca del sito.
Che questa interpretazione non sia una forzatura – o almeno non una
forzatura eccessiva – lo dimostra Papier Machine. Trent’anni dopo Della
grammatologia, Derrida ritorna sul problema della fine del libro, in occasione di una conferenza tenuta (insieme a Stiegler) alla Bibliothèque nationale
de France. Il titolo della conferenza è Le livre à venir, ma questa volta Derrida
non ha più bisogno del dono della profezia, per mettere in relazione la fine
dell’epoca del libro e la rivoluzione digitale:
«Quoi du livre à venir?» C’est donc aussi bien «quoi de la bibliothèque à venir?» […] Même si ce lieu continue à abriter tous les
livres possibles, et même si leur nombre ne faiblissait pas, comme
je crois qu’on peut le prévoir […], un tel lieu, pourtant, serait appelé
à devenir, de plus en plus, […] un espace de travail, de lecture et
d’écriture réglé ou dominé par des textes qui ne répondent plus à
la forme «livre»: des textes électroniques sans support de papier,
des textes qui ne seraient même plus corpus ou opus, œuvre finies
et délimitables, des ensembles qui ne formeraient plus des textes,
même, mais des processus textuels ouverts et offerts sur des réseaux
nationaux et internationaux sans limite, à l’intervention active ou
interactive du lecteur devenu coauteur, etc7.
I «testi elettronici» qui evocati non sono semplicemente libri digitalizzati. Certamente i testi digitali hanno un supporto tecnologico diverso: sono
«senza il supporto della carta». Ma questa trasformazione del supporto è
anche una modificazione di ciò che il supporto può veicolare. Era una delle
7
26
J. Derrida, Papier Machine, Galilée, Paris 2001, p. 19.
FATA MORGANA
Decostruire la rete
tesi di fondo di Della grammatologia: la struttura della forma significante
determina e condiziona il contenuto del significato. Dunque il passaggio
dal supporto cartaceo al supporto digitale implica la comparsa di «testi che
non rispondono più alla forma “libro”»; testi che forse non si possono più
nemmeno chiamare “testi”, perché non sono «opere finite e delimitabili» e
sono piuttosto dei «processi testuali aperti». Derrida non usa la parola “ipertesto” qui, ma è abbastanza chiaro che ciò che sta descrivendo è l’apertura
propria della scrittura ipertestuale (apertura di cui Wikipedia continua ad
essere l’esempio più straordinario).
Questo legame con il problema dell’apertura ipertestuale ha un effetto retroattivo sulla tesi più nota di Della grammatologia: non c’è fuori-testo. Derrida ha
avuto modo di spiegare a chiare lettere che questa tesi non implica la negazione
di ogni realtà, di ogni verità, di ogni oggettività8. Non c’è fuori-testo significa
che la realtà – che continua ad essere entro certi limiti oggettiva – si dà a noi
sempre già testualizzata, sempre già dentro una rete di differenze, significati,
rimandi. Derrida non sostiene che il referente non esiste e che il riferimento è
impossibile. Sostiene che il referente è sempre a sua volta un significante che
rimanda a un altro referente e che questa catena di rimandi è interminabile,
non ha un termine ultimo. Nell’epoca del libro questo essere nel testo della
realtà poteva ancora apparire come un’idea puramente teorica, dotata di una
scarsa intuibilità empirica. Era necessario, per comprendere il senso di questa
idea, prestare attenzione all’onnipresenza del linguaggio in ogni genere di
esperienza vissuta. Ma nell’epoca dell’ipertesto l’iper-testualizzazione della
realtà è un’evidenza sotto gli occhi di tutti. Il nostro rapporto con la realtà non
è più soltanto mediato dal linguaggio, ma è anche mediato, per la maggior
parte del tempo, da dispositivi digitali che lavorano leggendo e scrivendo testi
digitali. Sostenere che non c’è nulla di reale che non sia testualizzato, poteva
essere una tesi audace negli anni ’60. Ma sostenere oggi che non c’è quasi
nulla di reale che non sia in rete, è una ovvietà che nessuno si sognerebbe di
contestare. Oggi la tesi di Della grammatologia potrebbe essere riscritta, o
sovrascritta: non c’è (quasi) nulla fuori dall’ipertesto.
2. La rete e l’asservimento della sensibilità e del desiderio
Il concetto derridiano di scrittura viene rielaborato e riformulato da
Stiegler grazie alla nozione di «ritenzione terziaria». Le ritenzioni terziarie
8
Cfr. J. Derrida, Limited Inc, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 1997, p. 204 e M. Feyles,
Margini dell’estetica, Mimesis, Milano-Udine 2016, pp. 90 sgg.
FATA MORGANA
27
Martino Feyles
sono iscrizioni, tracce, che presuppongono una tecnologia della memoria.
La technique et le temps spiega che in età contemporanea si verifica un
cambiamento epocale perché le tecnologie della memoria diventano la
base strutturale di tutto il sistema tecnico9. In questa prospettiva la rete
appare come il più straordinario e inglobante sistema di memoria che sia
mai esistito.
La questione della tecnologia della memoria era già stata affrontata da
Derrida. La farmacia di Platone mostra che la tecnologia della memoria – nel
caso specifico la scrittura alfabetica – ha sempre una strutturale ambiguità,
registrata puntualmente dalla polisemia della parola greca pharmakon. Il
pharmakon è un rimedio, ma è anche un veleno10. L’invenzione della scrittura è un rimedio per supplire alle mancanze della memoria, che è sempre
limitata. Ma il rimedio può anche essere tossico. Tutte le medicine, se assunte nelle dosi sbagliate, provocano effetti negativi e Platone, attraverso
il mito, evidenzia in modo particolare il carattere deleterio della scrittura,
che distrugge la cultura orale basata sul dialogo in presenza. Abituandosi
ad usare la scrittura, gli uomini si disabituano a imparare a memoria. Il supplemento, sostituendosi, produce un’atrofizzazione di ciò cui si sostituisce.
Stiegler si appropria del discorso derridiano sviluppato ne La farmacia
di Platone suggerendo la necessità di adottare un approccio farmacologico nei confronti della tecnologia. Questo approccio farmacologico appare
particolarmente convincente in relazione all’inevitabile contrapposizione tra
apocalittici e integrati che sempre si ripropone quando si parla di tecnologia e
di media. È abbastanza sorprendente rilevare che il dibattito odierno sulla rete
è polarizzato esattamente come erano polarizzati i dibattiti sulla televisione,
sul cinema e prima ancora sulla fotografia. Gli apocalittici del XXI secolo
ripetono contro la rete i medesimi argomenti che Adorno e Horkheimer
usavano contro la radio e il cinema e che Debord usava contro la televisione
e lo spettacolo: oggi come allora la tecnologia è accusata di distruggere la
cultura e la soggettività. Gli integrati del XXI secolo rispondono ripetendo
i medesimi argomenti che già Benjamin aveva formulato quasi cento anni
fa: la cultura che la tecnologia distrugge è solo la cultura borghese, ma in
realtà questa distruzione apre nuovi orizzonti di democratizzazione.
Un approccio farmacologico alla rete può, almeno in parte, sfuggire
alla paralizzante e semplificatoria alternativa tra favorevoli e contrari. Se
9
B. Stiegler, La technique et le temps. Le temps du cinéma et la question du mal-etre, vol.
III, Galilée, Paris, 2001, p. 201. L’idea viene ripresa in B. Stiegler, Platone digitale. Per una
filosofia della rete, tr. it., Mimesis, Milano-Udine 2015, p. 36.
10
J. Derrida, La farmacia di Platone, tr. it., Jaca Book, Milano 1985, p. 59.
28
FATA MORGANA
Decostruire la rete
la tecnica interviene per supplire alle debolezze costitutive dell’umano, è
chiaro però che qualsiasi farmaco, al di fuori di una terapia, risulta semplicemente tossico. La terapia richiede sempre un sapere: nel caso dei farmaci in
senso stretto il sapere è quello della medicina, ma nel caso della tecnologia
il sapere è quello della filosofia. Il compito della filosofia, per Stiegler, è
di ricostruire un sapere condiviso che guidi lo sviluppo tecnologico in una
direzione positiva, di modo che la rete appaia infine come un farmaco e non
come un veleno: «Questo pharmakon è necessariamente tossico, fintanto
che nuove terapeutiche non vengano prescritte, vale dire fintanto che noi
non ci assumiamo le nostre responsabilità11».
L’ambiguità strutturale del pharmakon, che può curare o avvelenare,
spiega in modo convincente l’apparente contraddittorietà dei fenomeni che
si verificano in rete. Da una parte il web ha ospitato e continua a ospitare
forme di partecipazione che sono un modello per il futuro. Ne Il chiaroscuro
della rete Stiegler sottolinea in particolare il potenziale culturale e politico
di questa nuova dimensione partecipativa. La scrittura collaborativa che
l’ipertesto rende possibile e le pratiche di autopubblicazione che il web
promuove aprono un nuovo spazio pubblico in cui a tutti è concesso non
solo il diritto parola, ma anche il diritto di immagine. «Sono fenomeni che
hanno mostrato come la contributività resa possibile dal web ci proiettasse in
un’epoca assolutamente nuova, in cui le relazioni da pari a pari diventavano
centrali»12. Stiegler non manca di notare che «il modello delle comunità di
pari è quello che costituisce l’origine stessa e del sapere occidentale […]
e della cittadinanza»13. Il sapere occidentale, che ha nella Grecia antica la
sua origine non sarebbe mai nato senza questo modello di scambio tra pari.
In questo senso la nuova cultura partecipativa che la rete inaugura appare
come una «magnifica promessa».
In La società automatica questo tema è sviluppato in un’altra direzione.
La rete non è solo il luogo di un nuovo modello di cultura, ma anche il luogo
dove si intravede un nuovo modello di economia.
L’economia del software libero, esattamente come l’ambiente
tecnico costruito dalla norma IP che rende compatibili tutte le reti
11
B. Stiegler, La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro, tr. it., Meltemi,
Milano 2019, p. 84.
12
Id., Il chiaroscuro della rete, tr. it. a cura di P. Vignola, Youcanprint, Tricase (LE) 2014,
ePub, pos. 6.45.
13
Ivi, pos. 6.46.
FATA MORGANA
29
Martino Feyles
digitali e tramite cui può formarsi la rete delle reti chiamata Internet,
costituisce così un fattore di contribuzione dell’economia contributiva
che fornisce i concetti di un nuovo modello industriale14.
Questa nuova economia contributiva si rende necessaria nel momento in
cui l’automatizzazione di ogni impiego impone di ripensare il concetto di
lavoro. Bisogna notare che il fenomeno dei produttori di software liberi, che
mettono a disposizione di tutti gli strumenti tecnologici più fondamentali,
è esattamente l’opposto del primo dogma dell’economia capitalistica, che
implica, invece, che solo il capitalista possieda i mezzi di produzione. La
rete, dunque, sembra anticipare un modello di economia che viene inseguito
o sognato da due secoli dai critici del capitalismo.
Nello stesso tempo, essendo la tecnologia un pharmakon ambiguo, la rete
appare anche, paradossalmente, come la materializzazione della versione più
opprimente del capitalismo: «internet è un pharmakon che evidentemente,
e in maniera totalmente opposta, può divenire una tecnica di iper-controllo,
cioè di dissociazione, di di-integrazione e di proletarizzazione del sociale
stesso»15. Il giudizio di Stiegler sullo stato attuale della società è quasi
sempre pessimistico. Il «capitalismo integralmente computazionale», che
le tecnologie digitali e la rete hanno prodotto, appare in alcune pagine allarmanti come «una nuova forma di totalitarismo»16. L’unione tra la razionalità
economica capitalistica e il sistema tecnico fondato sulle tecnologie digitali
e sulla rete produce l’inquietante scenario del «nichilismo totale» «dove più
nulla ha valore – poiché tutto è divenuto calcolabile»17.
Stiegler sottolinea a più riprese che la società automatica che si realizza
quando la razionalità capitalistica si appropria della rete e delle tecnologie
dell’immagine è definita da una «proletarizzazione della sensibilità»18.
L’impoverimento della sensibilità degli individui che abitano la società
automatica si manifesta innanzitutto come «miseria simbolica». Le nostre
immagini e i nostri racconti sono sempre più meschini. Questa miseria
simbolica produce inevitabilmente una canalizzazione del desiderio e «le
esistenze individuali e collettive vengono così sottomesse al controllo per-
14
B. Stiegler, La società automatica, cit., p. 96.
Ibidem.
16
Ivi, p. 68.
17
Ivi, p. 111.
18
Ivi, p. 62. In Italia è soprattutto Montani che ha evidenziato il rischio di una crescente
«canalizzazione della sensibilità» (P. Montani, Bioestetica, Carocci, Roma, 2007, p. 9).
15
30
FATA MORGANA
Decostruire la rete
manente dei mass media»19. Le tecnologie dell’immagine e la rete risultano,
così, integralmente sottomesse all’esigenze del marketing20. Il marketing
funziona in modo tanto più efficiente quanto più il desiderio viene ridotto a
mera pulsione. La liquidazione del desiderio, che per Stiegler è anche una
distruzione dell’individualità psichica, è funzionale all’asservimento dei
consumatori alla logica del capitalismo computazionale.
La dis-integrazione degli individui psichici e degli individui
collettivi ha avuto inizio con lo sfruttamento delle pulsioni, nel momento in cui […] il marketing fu costretto a sollecitare e sfruttare
direttamente le pulsioni […]. La società automatica tenta oggi di
canalizzare, di controllare e di sfruttare quei pericolosi automatismi
che sono le pulsioni […]21.
Identificando in modo un po’ troppo rapido sogno e desiderio, Stiegler
spiega che la canalizzazione del desiderio è anche una distruzione della
capacità di sognare. L’utente, prigioniero della rete dei dispositivi audiovisivi22, non è più capace di immaginarsi. Avendo un’esperienza delle immagini
poverissima, non può che immaginare sé stesso in modo altrettanto misero.
Questa distruzione del desiderio in quanto immaginazione è precisamente
ciò che produce un individuo automatizzato23. Le pulsioni, infatti, sono dei
meri automatismi psichici, mentre i desideri, per Stiegler sono il frutto di
una «disautomatizzazione»24:
Ora, ciò in cui consiste il sogno, ciò per cui esso può nutrire la
proiezione futura di una qualunque consistenza tramite ciò che quel
sogno potrebbe operare, cioè pensare, è esattamente ciò che è non
solo imprevedibile, ma assolutamente improbabile, e in questo rigo-
19
B. Stiegler, La società automatica. 1, cit. p. 63.
Cfr. Id., La miseria simbolica, vol. 1: L’epoca iperindustriale, tr. it., Meltemi, Milano
2021, p. 29.
21
Id., La società automatica. 1, cit., p. 88.
22
Ardovino ha sottolineato l’ambiguità della metafora che utilizziamo per nominare internet:
“essere in rete” significa essere in contatto con il mondo e con gli altri, ma “cadere nella rete”
significa essere prigionieri di un dispositivo che intrappola (A. Ardovino, Raccogliere il mondo.
Per una fenomenologia della rete, Carocci, Roma 2011, p. 12).
23
Cfr. B. Stiegler, Platone digitale, cit., pp. 56-7, dove Stiegler spiega che la politica della
memoria (e la rete è un dispositivo di memoria) deve diventare anche una «politica del desiderio».
24
Cfr. Id., La miseria simbolica, vol. 2: La catastrofe del sensibile, tr. it., Meltemi, Milano
2022, pp. 72 sgg.
20
FATA MORGANA
31
Martino Feyles
rosamente il frutto di una disautomatizzazione […]25.
In particolare la rete rende possibile uno «smart marketing» che è basato
sulla «personalizzazione». Ma la logica perversa della personalizzazione,
in realtà, non consiste nell’adattamento dei contenuti ai desideri del consumatore, quanto piuttosto nell’adattamento dei desideri del consumatore
all’offerta che il capitalismo computazionale ha in serbo per lui26. È così
che la rete tradisce definitivamente le promesse da cui era nata.
3. La rete come “docusfera” e il problema del consumo
Ci sono diversi punti di convergenza tra Stiegler e Ferraris. Una delle
tesi di fondo di Documanità è che «l’umanità non costituisce un’entità definita una volta per tutte, bensì un progetto»27. Ferraris contesta la visione
essenzialista della natura umana, che pretende di stabilire una volta per tutte
che cos’è l’uomo. In realtà la specificità dell’uomo è proprio di non avere
una specificità data. Essendo costitutivamente disadattato e non avendo una
natura completamente definita, l’uomo ha sempre bisogno della tecnica.
L’umanità deve sempre di nuovo reinventarsi e questa reinvenzione è resa
possibile dalla tecnica. Ferraris riprende questa idea da Derrida, che a sua
volta la riceve da Leroi-Gourhan. La paradossale formula con cui si chiude
Della grammatologia, «il supplemento d’origine», implica una ridefinizione
del rapporto tra natura e artificio. Sostenere che il supplemento è nell’origine
significa sostenere che la tecnica è già da sempre installata nella natura
umana e che, di conseguenza, la natura umana non è affatto “naturale” e
non è affatto “originaria”. Questa idea era già stata sostenuta da LeroiGourhan, che aveva mostrato, partendo dalle evidenze della paleontologia,
che antropogenesi e tecnogenesi coincidono28. Ferraris riprende in modo
puntuale tanto il linguaggio di Derrida quanto quello di Leroi-Gourhan:
«[…] nel caso dell’umano assistiamo a una connessione sistematica con la
tecnologia che non ravvisiamo negli altri organismi. […] al punto che la
tecnologia deve essere considerata una parte dell’antropologia e, reciprocamente, l’antropologia è l’altro volto della tecnica»29.
25
26
27
28
29
32
B. Stiegler, La società automatica 1, cit., p. 157.
Ivi, p. 233.
M. Ferraris, Documanità, Laterza, Roma-Bari 2021, p. V.
Cfr. A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, vol I, tr. it., Einaudi, Torino 1977, p. 107.
M. Ferraris, Documanità, cit., p. 97.
FATA MORGANA
Decostruire la rete
Su questa originarietà della tecnica la concordanza con Stiegler è completa. Ma la convergenza è notevole anche quando si tratta di descrivere
quella particolare forma di tecnologia (il digitale e la rete) che definisce la
nostra epoca. Come si è visto, rielaborando la nozione derridiana di scrittura, Stiegler pensa la rete come un sistema di ritenzioni terziarie. Anche
Ferraris rielabora a modo suo la nozione derridiana di scrittura, coniando
un termine tecnico, «isteresi». Che cos’è l’isteresi? Potremmo dire che è la
registrazione nel senso più ampio del termine. E che cos’è la rete? Il più
grande sistema di isteresi che sia mai esistito, cioè, un immenso e potentissimo archivio30. Da qui deriva la polemica con Floridi: la rete non deve essere
pensata partendo dalla nozione ultimamente idealistica di “informazione”,
ma partendo dall’idea derridiana di scrittura. Internet per Ferraris è molto di
più una «docusfera» che non un’«infosfera»: «il web è innanzitutto isteresi,
e non solo comunicazione; funziona non come una televisione, bensì come
un archivio»31.
La convergenza tra Ferraris e Stiegler è significativa anche in relazione
al problema del lavoro. La società automatica distingue impiego e lavoro.
L’impiego è l’attività umana necessaria per la sopravvivenza. Il lavoro è
l’attività attraverso cui gli individui si autorealizzano: è, cioè, un prendersi
cura di sé e degli altri. Per Stiegler l’evoluzione della tecnologia conduce
a una progressiva automatizzazione della produzione che porta alla fine
dell’impiego. Le attività produttive necessarie per la sussistenza sono e
saranno sempre di più affidate alle macchine: all’uomo resta il compito
di reinventare il lavoro, cioè di reinventare tutte quelle attività (in primis
i saperi) che formano la personalità dell’individuo e le identità dei gruppi.
La posizione di Ferraris è diversa, ma parte dal medesimo assunto,
ovvero dalla constatazione che «l’automazione riduce progressivamente il
lavoro esplicito retribuito»32. La percezione della fine del lavoro così come
lo abbiamo sempre pensato va di pari passo – per Ferraris – con uno strano
«sentimento di iperoccupazione». In realtà mentre scompare il lavoro salariato, cioè il lavoro che si svolge in condizioni di costrizione, si moltiplica
una nuova forma di lavoro che è il consumo (in particolar modo il consumo
dei servizi diffusi dalla rete). L’idea di Ferraris è che bisogna «comprendere
come ‘lavoro’ ogni produzione di valore, a cominciare da quella proprietà
esclusivamente umana e non automatizzabile che è il consumo»33. Le grandi
30
31
32
33
Ivi, p. 6.
Ivi, p. 29.
Ivi, p. 66.
Ivi, p. 70.
FATA MORGANA
33
Martino Feyles
piattaforme del web sono in grado di trarre profitto da qualsiasi attività che
il consumatore svolge in rete, perché registrano tutti i suoi movimenti e li
utilizzano per creare dei profili monetizzabili grazie alla pubblicità. Si produce così una sorta di «plusvalore documediale»: il consumatore che naviga
in rete, senza saperlo, compie un’attività che è redditizia, anche se non è
lui a trarne i benefici. Per Ferraris questa attività non viene pensata come
un “lavoro” vero e proprio solo perché un antico pregiudizio ci induce a
riservare questo termine per le attività che implicano fatica e costrizione. Ma
la «documentalizzazione riesce a trasformare in attività e in utile anche ciò
che in precedenza era puramente passivo e inutile: il sonno, il divertimento,
il consumo, l’otium e non il negotium»34. È necessaria dunque una politica
di «webfare»35 che ridistribuisca ai consumatori gli utili che le piattaforme
ottengono vendendo i dati che acquisiscono tracciando le attività che si
svolgono nel web.
Anche se le proposte concrete di Stiegler e Ferraris sono differenti,
entrambi evidenziano la necessità di ripensare il lavoro ed entrambi sono
convinti che l’evoluzione tecnologica abbia già iniziato a decostruire l’antica opposizione tra attività libera e attività salariata, otium e negotium.
Tuttavia, nonostante questi elementi di convergenza, c’è una fondamentale
differenza tra la filosofia della rete di Ferraris e quella di Stiegler. Stiegler è
convinto che la rete stia evolvendo in una direzione pericolosa e individua
il pericolo principale nella distruzione del desiderio. Ferraris, al contrario
è dichiaratamente ottimista. Documanità è un libro scritto con l’evidente
intento di farla finita con il vittimismo degli apocalittici che vedono nella
rete la realizzazione del male assoluto.
Anche se questa critica è per molti versi condivisibile, l’ottimismo di
Ferraris è fondato su un argomento problematico, cioè sull’idea che l’uomo
sia sempre e in ogni caso «il fine ultimo di tutto l’immane apparato»36 della
tecnica. L’idea di Ferraris è che la rete in quanto docusfera, abbia senso
solo nella misura in cui è radicata su un livello più originale, che è quello
della «biosfera»: «la biosfera costituisce il mondo della vita fondamentale che conferisce finalità al web così come a qualunque altro apparato
tecnico»37. Cos’è la biosfera? La biosfera è l’insieme dei bisogni vitali e di
conseguenza la rete, come ogni altra tecnologia, ha senso solo nella misura
in cui è finalizzata a soddisfare dei bisogni che sono e restano umani. Poi-
34
35
36
37
34
Ivi, p. 319.
Ivi, p. 293.
Ivi, p. 54.
Ivi, p. 55.
FATA MORGANA
Decostruire la rete
ché il soddisfacimento di un bisogno è il consumo, si può dire che nessun
dispositivo tecnico ha senso se non nella misura in cui è uno strumento il
cui fine ultimo è il consumo.
La nozione di consumo è centrale in Documanità. Da una parte il ripensamento del lavoro passa per una riqualificazione delle attività libere che il
consumatore svolge su internet, dall’altra parte la differenza ontologica tra
l’uomo e la macchina è determinata dalla questione del bisogno e dunque
dalla possibilità del consumo come risposta al bisogno.
[…] il consumo, in quanto fatto propriamente umano, è ciò che
non può venir in alcun modo automatizzato, per ragioni non etiche ma
ontologiche. Il consumo non è solo la cooperazione degli utenti alla
produzione. È il fine ultimo di ogni produzione. Se di colpo l’umanità
si trovasse priva di bisogni da soddisfare attraverso il consumo, tutto
l’apparato documediale imploderebbe38.
Bisogna notare che in questo passaggio importante Ferraris sostiene
esattamente l’opposto di quello che sostiene Stiegler: il consumo è ciò che
non può essere automatizzato. Ma bisogna anche notare che il consumo
viene presentato come il fatto più «propriamente umano». Contraddicendo
parzialmente l’assunto per cui l’uomo non ha un’essenza definita, Ferraris
ripete più volte che «l’essenza dell’umano» sta «nel consumare ciò che
la macchina produce»39, che il consumo è «il proprio dell’uomo»40, che
bisogna «concepire il consumo come un carattere proprio della forma di
vita umana»41.
Contro questa antropologia che definisce l’uomo come l’animale che
consuma si può avanzare un’obiezione: è quanto meno dubbio che la
macchina non possa consumare. Ferraris propone l’esempio della macchina
per mangiare sushi: un apparecchio di questo genere non avrebbe senso,
perché lo scopo della macchina non è mai consumare, ma favorire in modo
più o meno mediato il consumo umano. «Una macchina perfetta, capace
non solo di produrre, ma anche di consumare, è teoricamente concepibile,
ma praticamente insensata: le macchine hanno un fine fuori di sé, che è
38
39
40
41
Ivi, p. X.
Ivi, p. 65.
Ivi, p. 270.
Ivi, p. 333.
FATA MORGANA
35
Martino Feyles
appunto rispondere ai bisogni degli umani»42. Ma questa contrapposizione
tra la sfera del consumo e la tecnicità delle macchine è davvero così netta?
Non si tratta di accreditare le ipotesi più inquietanti di quella letteratura e
di quel cinema di fantascienza che raccontano l’incubo della macchina che
si ribella all’uomo. Si tratta invece di comprendere che, essendo l’uomo un
animale tecnico, anche i suoi bisogni sono tecnicizzati.
Vorrei proporre un controesempio da contrapporre al caso della macchina mangia sushi. Prendiamo il caso del gas o del petrolio. Dal punto vista
naturale l’uomo non ha bisogno né dell’uno, né dell’altro. Un essere umano
per ragioni biologiche non può consumare né gas, né petrolio: anzi si tratta
in entrambi i casi di sostanze tossiche e pericolose. Eppure le nostre società
consumano gas e petrolio. Abbiamo talmente “bisogno” di queste sostanze
che le super-potenze mondiali combattono feroci guerre per accaparrarsi
queste risorse, mentre non le combattono (per ora) per l’acqua, il grano, o la
carne, che pure possiamo consumare, mangiando e bevendo. Che esista un
consumo di petrolio e di gas è un dato di fatto, ma la domanda interessante
è: chi è, o cos’è che ha “bisogno” di petrolio o di gas? La risposta non è né
semplicemente l’uomo, né semplicemente la macchina. L’uomo in quanto
ente naturale non ha bisogno di petrolio o gas, e la macchina in quanto ente
artificiale non avverte nessun bisogno. Solo l’individuo tecnico, cioè l’uomo
situato in un certo ambiente tecnico, può avere bisogno del petrolio o del
gas. Solo l’uomo associato ad una certa tecnologia può avere questo genere
di necessità. Nel mondo degli antichi Egizi petrolio e gas non hanno alcun
valore: perché? Perché gli antichi Egizi erano associati ad ambienti tecnici
diversi da quello a cui siamo associati noi e dunque avevano necessità
diverse dalle nostre.
Se ne deve concludere che, anche se è vero che allo stato attuale le
macchine che conosciamo non hanno bisogni, né desideri, perché non sono
macchine senzienti, non è vero che non consumano. Potremmo dire che le
macchine non hanno bisogni, ma hanno delle necessità. La mia automobile
consuma benzina e la mia caldaia consuma gas. Si può anche sostenere che in
realtà sono io che consumo benzina e gas, perché sono io che ho bisogno di
muovermi e di scaldarmi. Ma rimane il fatto che quando dico “io” in questo
caso non mi riferisco a un uomo allo stato di natura, ma a un individuo tecnico, cioè a un individuo che è situato in un certo ambiente tecnico (diverso
da quello degli antichi Egizi). Dunque la tecnologia interviene alterando la
sfera dei bisogni, ristrutturando ciò che Ferraris chiama «biosfera».
È precisamente a questo livello che si presentano quei processi di mo-
42
36
Ivi, p. 331.
FATA MORGANA
Decostruire la rete
dellamento dei bisogni che Stiegler denuncia a più riprese. Essere nella
rete significa anche essere all’interno di un sistema integrato di tecnologie
della scrittura e dell’immagine che modellano i nostri desideri. Questo modellamento il più delle volte avviene livellando la differenza tra pulsione
e desiderio e individuando delle risposte standardizzate (economicamente
redditizie) ai bisogni più elementari (mangiare, bere, vestire, fare sesso,
ecc.). Ma se questo modellamento dei bisogni è reale – ed è difficile contestare Stiegler su questo punto – non si può semplicemente sostenere che il
bisogno umano è il fine ultimo intorno a cui ruota l’immane apparato della
tecnica odierna. In realtà è vero piuttosto il contrario: sono i nostri bisogni
che sempre di più sono regolati dalle esigenze (principalmente economiche)
del «capitalismo algoritmico». I bisogni dell’individuo, in quanto potenziale
consumatore, appaiono così come un mezzo e non come un fine; un mezzo
di cui ci si serve per ottenere un fine – il profitto – che talvolta può apparire
quasi come uno scopo che si autogiustifica.
4. La bolla dei filtri e la canalizzazione del “mi piace”
Decostruire non significa semplicemente distruggere. Significa innanzitutto – come lo stesso Derrida spiega chiaramente43 – portare alla visibilità
le strutture di pensiero nascoste, le fondamenta teoriche non visibili, che
sono alla base di un edificio concettuale o di una costruzione testuale. È
indubbio che la decostruzione abbia una vocazione critica: ma il momento
critico è sempre preceduto da un lavoro di interpretazione che fa emergere
paradossi, contraddizioni, problematicità che altrimenti resterebbero occultati. Decostruire la rete significa in primo luogo portare alla luce le strutture
di pensiero occulte che sono alla base del web. In questo senso il libro di
Eli Pariser Il filtro può essere considerato come un momento importante di
decostruzione della rete, anche se l’autore non si riferisce nemmeno lontanamente a Derrida o al decostruzionismo.
Il libro di Pariser ha avuto un effetto notevole nel dibattito sulla rete
perché ha focalizzato l’attenzione sul fenomeno della cosiddetta «bolla dei
filtri», evidenziando una direzione dello sviluppo delle grandi piattaforme
del web (soprattutto Google, Amazon, Facebook) che sembra confermare le
preoccupazioni espresse da Stiegler. La tesi di fondo del libro è nota: i giganti
del web si stanno evolvendo seguendo la logica della personalizzazione dei
servizi, perché questa logica risulta particolarmente redditizia in termini di
43
Cfr J. Derrida, Psyché. Invenzioni dell’altro, vol. 2, tr. it., Jaca Book, Milano 2009, p. 10.
FATA MORGANA
37
Martino Feyles
efficacia della pubblicità; il problema è che un eccesso di personalizzazione
produce un effetto di filtraggio tale che il consumatore si ritrova in qualche
modo prigioniero all’interno di una bolla di informazioni e immagini che
non fanno altro che confermare quello che già pensava e quello che già
sentiva. Rinchiuso all’interno della propria bolla, l’individuo ignaro non si
rende conto che non può più incontrare in rete niente di nuovo e soprattutto
che non può più entrare in contatto con tutto ciò che altro o differente. Dal
momento che il buon funzionamento di un sistema democratico implica
necessariamente la capacità di mettersi al posto degli altri, o comunque
la capacità di entrare in dialogo con chi la pensa diversamente, la bolla
dei filtri è un problema politico rilevante, perché di fatto agisce come un
meccanismo di chiusura preconcetta nei confronti di ogni idea diversa e di
ogni punto di vista differente.
Poiché in questo articolo quello che mi interessa è di esplorare le possibilità
di una decostruzione della rete, devo innanzitutto notare che il lavoro di Pariser
ha il valore di una conferma empirica di una delle tesi fondamentali di Derrida.
Della grammatologia mostra che, il significato non è mai indipendente rispetto
al significante. Di conseguenza il contenuto è sempre condizionato dalla forma
significante, cioè dal sistema della scrittura. Mal d’archivio formula questa tesi
della non indipendenza del significato in un linguaggio che è particolarmente
efficace per descrivere la rete: «la struttura tecnica dell’archivio archiviante
determina anche la struttura del contenuto archiviabile nel suo stesso sorgere»44.
In effetti quello che il libro di Pariser dimostra è innanzitutto questo: la struttura
tecnica delle piattaforme più utilizzate nel web o dei motori di ricerca più noti,
pre-determina i contenuti che potranno apparire in queste piattaforme e predefinisce le informazioni che potranno essere trovate grazie a questi motori
di ricerca. Se è vero che la rete è un nuovo sistema di scrittura, la scrittura
essendo un supplemento nel senso derridiano, non si limita a registrare delle
informazioni già date, ma altera, modifica sostanzialmente, in un certo senso
istituisce queste stesse informazioni.
Vorrei sottolineare in modo particolare un aspetto di questo condizionamento che si ricollega direttamente al problema dell’automatismo pulsionale
evidenziato da Stiegler. Dal momento che la personalizzazione dei servizi
in rete si basa sulle nostre preferenze, si potrebbe pensare che i contenuti
in rete abbiano la tendenza ad adattarsi ai nostri desideri. In realtà, come
spiega bene Pariser, il meccanismo di selezione dei contenuti si basa su una
reattività che è legata alle pulsioni elementari molto più che non ai desideri
complessi:
44
38
J. Derrida, Mal d’archivio, tr. it., Filema, Napoli 1996, p. 26.
FATA MORGANA
Decostruire la rete
Di solito tendiamo a reagire a una gamma di stimoli molto limitata: leggiamo per prima una notizia che riguarda il sesso, il potere,
la violenza, una persona famosa, oppure che ci fa ridere. Questo è
il tipo di contenuti che entra più facilmente nella bolla dei filtri. È
facile cliccare su «Mi piace» e aumentare la visibilità del post di un
amico che ha partecipato a una maratona o di una ricetta della zuppa
di cipolle. È molto più difficile cliccare «Mi piace» su un articolo
intitolato «Nel Darfur è stato il mese più sanguinoso degli ultimi
due anni». […]
Come consumatori, non è difficile stabilire quello che per noi è
irrilevante o poco interessante. Ma quello che va bene per un consumatore non va necessariamente bene anche per un cittadino45.
Tre note sono necessarie a margine di questo passaggio che descrive
un’esperienza che qualunque utente di internet ha ben presente. In primo
luogo è importante sottolineare la differenza, che Pariser rileva en passant,
tra interesse del consumatore e interesse del cittadino: in questa contrapposizione si evidenzia la differenza tra la filosofia della rete di Ferraris e
quella di Stiegler. Quello che Il filtro ci mostra è che di fatto la profilazione
orientata sull’interesse del cittadino è diversa da quella orientata sull’interesse del consumatore; ma alle grandi piattaforme del web, per ovvie ragioni,
interessa molto la prima e poco la seconda. In secondo luogo è significativo
che Pariser parli qui di una «reazione» in risposta ad uno «stimolo». È chiaro
che il meccanismo del “like” implica un’interazione tendenzialmente irriflessa, immediata e basata sulla corrispondenza alle pulsioni più elementari:
mangiare, bere, dormire, ridere, fare sesso, aggredire, difendersi e poco altro.
Questa reazione immediata non è molto diversa dall’automatismo psichico
descritto da Stiegler. È una reazione prevedibile, statisticamente calcolabile:
si può sapere in anticipo che un utente maschio di una certa età metterà mi
piace su una foto che evidenzia le forme di una bella ragazza.
In terzo luogo è chiaro che questa reazione non è solo irriflessa, è anche
iper-semplificatoria. Di fatto il sistema di selezione dei contenuti rilevanti
basato sul like implica una pre-selezione che determina in anticipo che l’unica risposta pertinente dell’utente è il sentimento di piacere interessato. Di
fronte a un contenuto le risposte possibili del fruitore sono potenzialmente
infinite: noia, interesse, tristezza, gioia, ammirazione, scherno, disgusto, ecc.
Di tutta la gamma infinita dei possibili sentimenti che un testo o un’immagine
possono suscitare uno soltanto viene pre-selezionato: il piacere interessato,
45
E. Pariser, Il filtro, tr. it., il Saggiatore, Milano 2012, p. 21.
FATA MORGANA
39
Martino Feyles
cioè il piacere condizionato da una pulsione che rappresenta un bisogno
fisiologico elementare. Solo questo genere di risposta risulta pertinente
per la definizione della rilevanza di contenuto. Questa scelta linguistica
apparentemente marginale e irrilevante – ma è proprio Derrida che ci ha
insegnato quanto siano rilevanti le cose marginali – è in realtà una scelta
culturale e in un certo senso politica.
Che Facebook abbia scelto «Mi piace» piuttosto che, diciamo,
«Importante» è un piccolo dettaglio di progettazione che ha avuto
enormi conseguenze: le notizie che ricevono più attenzione sono
quelle che ottengono più «Mi piace», e quelle che ottengono più «Mi
piace» sono, ovviamente, quelle più piacevoli46.
Di fatto il like pre-orienta la reazione dell’utente, nel senso che stabilisce in anticipo che l’unico criterio in base a cui si deve giudicare un testo
o un’immagine è il piacere nella sua forma più basilare. Questo porta a
una saturazione dei contenuti che sono classificabili come “piacevoli” o
“spiacevoli” e ad una conseguente rarefazione dei contenuti che sono importanti in relazione ad altri parametri. Un testo sulla drammaticità guerra
nel Ucraina – per fare un esempio attuale – può suscitare in un lettore una
convinta approvazione: ma chi oserebbe mettere un like a un post che parla
di un massacro di civili o soldati? Come nota Pariser, Facebook non ha il
pulsante “mi importa” o “è importante”. Un testo o un’immagine può essere
importante dal punto di vista politico, anche se non è piacevole; può essere
convincente anche se è in tutto e per tutto spiacevole. Ma questa reazione
non è giudicata pertinente, non può essere inscritta a margine dell’immagine
o del testo e non contribuisce ad aumentare il valore in termini di ranking
di una pagina. A ciò bisogna aggiungere che quando si tratta di contenuti
politici, filosofici, religiosi, morali, la reazione di un lettore dotato di senso
critico non è mai semplicemente l’approvazione semplice o la disapprovazione semplice. Contenuti complessi richiedono nella maggior parte dei casi
reazioni emotive complesse. Di fatto il meccanismo del like iper-semplifica
la gamma delle reazioni pertinenti degli utenti della rete. In questo modo
la nostra bolla si riempie di ricette di cucina, donne dal seno prosperoso,
sportivi invincibili e si svuota di tutto ciò che è complesso, cioè di tutto ciò
che è significativo dal punto di vista filosofico, religioso, morale, politico.
46
40
Ivi, p. 121.
FATA MORGANA
Decostruire la rete
Uno degli effetti collaterali più inquietanti della sindrome del
mondo amico è la scomparsa di alcuni importanti problemi di interesse
pubblico. Ben poche persone vanno a cercare notizie sui senzatetto,
e meno che mai le condividono. In generale, le questioni complesse
che non hanno una rapida evoluzione e non ci coinvolgono personalmente, cioè quelle veramente importanti, non entrano nella bolla47.
Di fatto attraverso la personalizzazione dei servizi in rete e più nello
specifico attraverso il dispositivo del “like” quello che si verifica è una
canalizzazione dell’attenzione dell’utente. Il consumatore, preda della
“sindrome del mondo amico”, è invitato a provare un solo sentimento, il
più elementare: “I like it!”.
47
Ibidem.
FATA MORGANA
41
42
FATA MORGANA