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Decostruire la rete

2023, Fata Morgana

In questo articolo vorrei mostrare che, anche se Derrida non ha mai scritto niente di simile a una filosofia della rete, un approccio derridiano ai problemi posti dal web può essere efficace e fecondo. Non è un caso che i più recenti lavori di due pensatori che si richiamano direttamente a Derrida, Ferraris e Stiegler, siano dedicati alla rete e alle tecnologie digitali. Cercherò, dunque, di mostrare in che modo un pensiero “grammatologico” possa essere utile per comprendere la rete, facendo riferimento prima a Derrida, poi a Stiegler e successivamente a Ferraris. Nell’ultimo paragrafo cercherò di mostrare cosa significa decostruire la rete, rileggendo un noto testo di Pariser: Il filtro.

FATA MORGANA Quadrimestrale di cinema e visioni Pellegrini Editore Direttore Roberto De Gaetano Comitato scientifico Dudley Andrew, Raymond Bellour, Sandro Bernardi, Francesco Casetti, Antonio Costa, Georges Didi-Huberman, Ruggero Eugeni, Massimo Fusillo, Annette Kuhn, Pietro Montani, Jacques Rancière, David N. 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Conversazione con Pietro Montani a cura di Angela Maiello FOCUS 23 Decostruire la rete Martino Feyles 43 La rete dell’anamorfosi audiovisiva Chiara Simonigh 61 Operare con le immagini e con i media in contesti di apprendimento Elio Ugenti 79 New Media Art: strategie conservative, musei e spazi virtuali Raffaella Tartaglia 95 Fare rete con il vivente. Animismo, antropotecniche e cinema a Fukushima Alessandro Calefati 111 Testimonianze, immagini inarchiviabili e pratiche visive dei popoli in rivolta Giuseppe Previtali FATA MORGANA 3 RIFRAZIONI 127 L’immagine e il velo. Riflessioni sulla protesta in Iran Dario Cecchi 137 Sorveglianza e controllo: Black Mirror e le dinamiche digitali Diego Maria Chece 153 L’uomo senza la macchina da presa. Le reti all’origine di Roman National Steven Stergar 161 Death Stranding. Un allegoritmo nodulare Giuseppe Gatti 179 L’intelligenza della relazione: Kimi di Soderbergh Angela Maiello 187 Abstract in inglese 4 FATA MORGANA FATA MORGANA 5 6 FATA MORGANA FATA MORGANA 21 22 FATA MORGANA Decostruire la rete Martino Feyles In questo articolo vorrei mostrare che, anche se Derrida non ha mai scritto niente di simile a una filosofia della rete, un approccio derridiano ai problemi posti dal web può essere efficace e fecondo. Non è un caso che i più recenti lavori di due pensatori che si richiamano direttamente a Derrida, Ferraris e Stiegler, siano dedicati alla rete e alle tecnologie digitali. Cercherò, dunque, di mostrare in che modo un pensiero “grammatologico” possa essere utile per comprendere la rete, facendo riferimento prima a Derrida, poi a Stiegler e successivamente a Ferraris. Nell’ultimo paragrafo cercherò di mostrare cosa significa decostruire la rete, rileggendo un noto testo di Pariser: Il filtro. La grammatologia e la rivoluzione informatica Quando nel 1967 Derrida pubblica Della grammatologia, Microsoft e Apple non sono ancora nate e la rivoluzione digitale muove i suoi primi passi nel buio. Rileggendo oggi i primi paragrafi del più noto testo derridiano, non si può evitare di notare una retorica un po’ oracolare: «L’avvenire non può non anticiparsi che nella forma dell’assoluto pericolo. Esso è ciò che rompe assolutamente con la normalità costituita e non può dunque annunciarsi, presentarsi, che sotto la specie della mostruosità»1. Quale avvenire anticipa qui Derrida? Quale pericolo intravede? Rispondere semplicemente che Della grammatologia anticipa e prevede la rivoluzione informatica sarebbe un’ingenuità. Benché tra i derridiani vi siano degli adepti che ripetono le parole del maestro con dedizione quasi religiosa, l’immagine di un Derrida profeta, che preannuncia l’età dell’informatica, è più che altro comica. Tuttavia un conto è quello che Derrida, in quanto scrittore e filosofo, può aver pensato 1 J. Derrida, Della grammatologia, tr. it., Jaca Book, Milano 2006, p. 22. FATA MORGANA 23 Martino Feyles effettivamente nel 1967, un conto è quello che rimane inscritto nel suo testo e nella storia degli effetti di questo testo. Se Della grammatologia ha potuto avere l’impatto che ha avuto, nella storia del pensiero del Novecento, se ancora oggi si può leggere questo libro con un interesse che non è soltanto storico, è anche perché il problema fondamentale che Derrida affronta ha un legame necessario con la rivoluzione digitale e con la rete2. La grammatologia è un discorso filosofico sulla scrittura. Per la prima volta con Derrida il problema della scrittura viene posto al centro della riflessione filosofica: ma cosa sono i PC se non “macchine per la scrittura”?3 Si dirà che un PC non si limita a registrare le informazioni, ma le “elabora” in modi sempre più complessi. Ma l’idea che la scrittura sia sempre un’alterazione e dunque anche un’elaborazione non è forse una delle idee fondamentali di Derrida? La storia del computer, che lascia intravedere il passaggio evolutivo dalla macchina da scrivere al PC (e la tastiera su cui scrivo rende ancora visibile questa discendenza) conferma questa lettura. Ma anche il sistema delle metafore che il linguaggio ha adottato per descrivere le operazioni informatiche conferma questa lettura: un file esiste nel momento in cui è registrato e la registrazione è una “scrittura”, talvolta una “sovra-scrittura”. D’altra parte cosa vuol dire che – come si dice – un programma implica un “linguaggio di programmazione” ed è costituito da “linee di codice”? Di che “linguaggio” e di che “codice” si parla in questi casi? Il primo paragrafo di Della grammatologia si intitola: «Il programma». Derrida spiega, in quel paragrafo, che la scrittura non è un fenomeno solo umano e che «tutto il campo coperto dal programma cibernetico […] sarà campo di scrittura»4. Ma soprattutto Derrida spiega che la scrittura non è solo la registrazione del linguaggio verbale. Ora, quali esempi vengono presentati nel testo per attestare l’esistenza di questa scrittura non dipendente dal linguaggio verbale? «Abbiamo già fatto allusione alla matematica teorica: la sua scrittura, […] non è mai stata assolutamente legata alla produzione fonetica»5. Se la matematica teorica è una forma di scrittura non verbale, allora anche un programma, che è un algoritmo complesso, è un procedi- 2 Uno dei primi a vedere un nesso tra la concezione derridiana della testualità e il problema dell’ipertesto è Landow: cfr. G. Landow, Ipertesto. Il futuro della scrittura, tr. it., Baskerville, Bologna 1993. 3 Cfr. M. Ferraris, Scienza nuova. Ontologia della trasformazione digitale, Rosenberg & Sellier, Torino 2018, p. 19. 4 Ivi, p. 27. 5 Ivi, p. 28. 24 FATA MORGANA Decostruire la rete mento di scrittura. Infatti poco dopo Derrida allarga e precisa ulteriormente l’orizzonte dei suoi esempi di riferimento. Ma al di là della matematica teorica, lo sviluppo delle pratiche dell’informazione estende ampiamente le possibilità del “messaggio”, fino al punto che questo non è più la traduzione “scritta” di un linguaggio, il trasporto di un significato che nella sua integrità potrebbe rimanere parlato6. Non essendo un autentico profeta, Derrida non può sapere quale sarà «lo sviluppo delle pratiche dell’informazione». Ma uno dei vantaggi della concezione derridiana della scrittura è precisamente questo: al di là di ciò che l’autore poteva sapere o non sapere, in un testo talvolta si può dare a leggere persino il futuro. Proprio in virtù dei principi ermeneutici che sono alla base dello stile decostruzionista, siamo autorizzati a leggere in questo passaggio di Della grammatologia più di quello che lo stesso Derrida può aver intuito a suo tempo. Possiamo leggere, cioè, che il più straordinario e sconvolgente esempio di scrittura non sottomessa alle necessità della voce e della parola, sono le “iscrizioni” informatiche, che sono testi anche se non sono “leggibili” dagli uomini. Certamente un testo scritto in un linguaggio binario è estremamente povero in termini di differenza e differimento, perché è un testo la cui “lettura” è un’esecuzione univoca. Ma nello stesso tempo è anche un testo strutturalmente non fonocentrico: è una scrittura che non si può leggere ad alta voce. In questa prospettiva alcune idee derridiane fondamentali appaiono in una nuova luce e gettano una nuova luce sul nostro presente. Della grammatologia si apre con l’annuncio un po’ oracolare di una nuova epoca della scrittura; questa retorica del passaggio epocale è assai diffusa nella storia del pensiero occidentale e Derrida la eredita in modo più diretto da Nietzsche e da Heidegger. Ma che cosa propriamente annuncia Della grammatologia? Il primo capitolo è posto sotto la tutela di un titolo chiaro: «La fine del libro e l’inizio della scrittura». Questo titolo non è affatto ovvio. In effetti il libro è un testo scritto e nessuno può dubitare che la stampa sia una tecnologia di scrittura molto evoluta. Dunque Derrida non sta annunciando la fine di un’epoca in cui la scrittura non si dava; sta annunciando, invece, la fine di un’epoca in cui una determinata tecnologia della scrittura si dava insieme a un determinato modo di concepire la verità. Ma se è vero che in Della grammatologia la vecchia concezione della scrittura, del rapporto tra significante e significato, tra pen- 6 Ibidem. FATA MORGANA 25 Martino Feyles siero e linguaggio, ecc., viene decostruita in modo puntuale, è altrettanto vero che Derrida non dice mai nulla a proposito di ciò che dovrebbe venire dopo il libro, dopo questa tecnologia della scrittura che ha condizionato la nostra storia per almeno cinque secoli. Derrida non può dire nulla a questo proposito perché non è un profeta. Ma noi che rileggiamo Della grammatologia quando la rivoluzione digitale è compiuta, non possiamo evitare di pensare che il luogo in cui sempre di più si raccolgono le scritture non sia innanzitutto la biblioteca, ma la rete; che il senso della parola “pubblicazione”, che un tempo rimandava alla stampa, rimandi oggi innanzitutto alla condivisione online; che l’organizzazione delle scritture in unità coerenti non si dia più innanzitutto grazie ai libri, ma grazie ai siti web. Noi possiamo leggere in Della grammatologia quello che Derrida non avrebbe potuto voler dire, cioè che la fine dell’epoca del libro è l’inizio dell’epoca del sito. Che questa interpretazione non sia una forzatura – o almeno non una forzatura eccessiva – lo dimostra Papier Machine. Trent’anni dopo Della grammatologia, Derrida ritorna sul problema della fine del libro, in occasione di una conferenza tenuta (insieme a Stiegler) alla Bibliothèque nationale de France. Il titolo della conferenza è Le livre à venir, ma questa volta Derrida non ha più bisogno del dono della profezia, per mettere in relazione la fine dell’epoca del libro e la rivoluzione digitale: «Quoi du livre à venir?» C’est donc aussi bien «quoi de la bibliothèque à venir?» […] Même si ce lieu continue à abriter tous les livres possibles, et même si leur nombre ne faiblissait pas, comme je crois qu’on peut le prévoir […], un tel lieu, pourtant, serait appelé à devenir, de plus en plus, […] un espace de travail, de lecture et d’écriture réglé ou dominé par des textes qui ne répondent plus à la forme «livre»: des textes électroniques sans support de papier, des textes qui ne seraient même plus corpus ou opus, œuvre finies et délimitables, des ensembles qui ne formeraient plus des textes, même, mais des processus textuels ouverts et offerts sur des réseaux nationaux et internationaux sans limite, à l’intervention active ou interactive du lecteur devenu coauteur, etc7. I «testi elettronici» qui evocati non sono semplicemente libri digitalizzati. Certamente i testi digitali hanno un supporto tecnologico diverso: sono «senza il supporto della carta». Ma questa trasformazione del supporto è anche una modificazione di ciò che il supporto può veicolare. Era una delle 7 26 J. Derrida, Papier Machine, Galilée, Paris 2001, p. 19. FATA MORGANA Decostruire la rete tesi di fondo di Della grammatologia: la struttura della forma significante determina e condiziona il contenuto del significato. Dunque il passaggio dal supporto cartaceo al supporto digitale implica la comparsa di «testi che non rispondono più alla forma “libro”»; testi che forse non si possono più nemmeno chiamare “testi”, perché non sono «opere finite e delimitabili» e sono piuttosto dei «processi testuali aperti». Derrida non usa la parola “ipertesto” qui, ma è abbastanza chiaro che ciò che sta descrivendo è l’apertura propria della scrittura ipertestuale (apertura di cui Wikipedia continua ad essere l’esempio più straordinario). Questo legame con il problema dell’apertura ipertestuale ha un effetto retroattivo sulla tesi più nota di Della grammatologia: non c’è fuori-testo. Derrida ha avuto modo di spiegare a chiare lettere che questa tesi non implica la negazione di ogni realtà, di ogni verità, di ogni oggettività8. Non c’è fuori-testo significa che la realtà – che continua ad essere entro certi limiti oggettiva – si dà a noi sempre già testualizzata, sempre già dentro una rete di differenze, significati, rimandi. Derrida non sostiene che il referente non esiste e che il riferimento è impossibile. Sostiene che il referente è sempre a sua volta un significante che rimanda a un altro referente e che questa catena di rimandi è interminabile, non ha un termine ultimo. Nell’epoca del libro questo essere nel testo della realtà poteva ancora apparire come un’idea puramente teorica, dotata di una scarsa intuibilità empirica. Era necessario, per comprendere il senso di questa idea, prestare attenzione all’onnipresenza del linguaggio in ogni genere di esperienza vissuta. Ma nell’epoca dell’ipertesto l’iper-testualizzazione della realtà è un’evidenza sotto gli occhi di tutti. Il nostro rapporto con la realtà non è più soltanto mediato dal linguaggio, ma è anche mediato, per la maggior parte del tempo, da dispositivi digitali che lavorano leggendo e scrivendo testi digitali. Sostenere che non c’è nulla di reale che non sia testualizzato, poteva essere una tesi audace negli anni ’60. Ma sostenere oggi che non c’è quasi nulla di reale che non sia in rete, è una ovvietà che nessuno si sognerebbe di contestare. Oggi la tesi di Della grammatologia potrebbe essere riscritta, o sovrascritta: non c’è (quasi) nulla fuori dall’ipertesto. 2. La rete e l’asservimento della sensibilità e del desiderio Il concetto derridiano di scrittura viene rielaborato e riformulato da Stiegler grazie alla nozione di «ritenzione terziaria». Le ritenzioni terziarie 8 Cfr. J. Derrida, Limited Inc, tr. it., Raffaello Cortina, Milano 1997, p. 204 e M. Feyles, Margini dell’estetica, Mimesis, Milano-Udine 2016, pp. 90 sgg. FATA MORGANA 27 Martino Feyles sono iscrizioni, tracce, che presuppongono una tecnologia della memoria. La technique et le temps spiega che in età contemporanea si verifica un cambiamento epocale perché le tecnologie della memoria diventano la base strutturale di tutto il sistema tecnico9. In questa prospettiva la rete appare come il più straordinario e inglobante sistema di memoria che sia mai esistito. La questione della tecnologia della memoria era già stata affrontata da Derrida. La farmacia di Platone mostra che la tecnologia della memoria – nel caso specifico la scrittura alfabetica – ha sempre una strutturale ambiguità, registrata puntualmente dalla polisemia della parola greca pharmakon. Il pharmakon è un rimedio, ma è anche un veleno10. L’invenzione della scrittura è un rimedio per supplire alle mancanze della memoria, che è sempre limitata. Ma il rimedio può anche essere tossico. Tutte le medicine, se assunte nelle dosi sbagliate, provocano effetti negativi e Platone, attraverso il mito, evidenzia in modo particolare il carattere deleterio della scrittura, che distrugge la cultura orale basata sul dialogo in presenza. Abituandosi ad usare la scrittura, gli uomini si disabituano a imparare a memoria. Il supplemento, sostituendosi, produce un’atrofizzazione di ciò cui si sostituisce. Stiegler si appropria del discorso derridiano sviluppato ne La farmacia di Platone suggerendo la necessità di adottare un approccio farmacologico nei confronti della tecnologia. Questo approccio farmacologico appare particolarmente convincente in relazione all’inevitabile contrapposizione tra apocalittici e integrati che sempre si ripropone quando si parla di tecnologia e di media. È abbastanza sorprendente rilevare che il dibattito odierno sulla rete è polarizzato esattamente come erano polarizzati i dibattiti sulla televisione, sul cinema e prima ancora sulla fotografia. Gli apocalittici del XXI secolo ripetono contro la rete i medesimi argomenti che Adorno e Horkheimer usavano contro la radio e il cinema e che Debord usava contro la televisione e lo spettacolo: oggi come allora la tecnologia è accusata di distruggere la cultura e la soggettività. Gli integrati del XXI secolo rispondono ripetendo i medesimi argomenti che già Benjamin aveva formulato quasi cento anni fa: la cultura che la tecnologia distrugge è solo la cultura borghese, ma in realtà questa distruzione apre nuovi orizzonti di democratizzazione. Un approccio farmacologico alla rete può, almeno in parte, sfuggire alla paralizzante e semplificatoria alternativa tra favorevoli e contrari. Se 9 B. Stiegler, La technique et le temps. Le temps du cinéma et la question du mal-etre, vol. III, Galilée, Paris, 2001, p. 201. L’idea viene ripresa in B. Stiegler, Platone digitale. Per una filosofia della rete, tr. it., Mimesis, Milano-Udine 2015, p. 36. 10 J. Derrida, La farmacia di Platone, tr. it., Jaca Book, Milano 1985, p. 59. 28 FATA MORGANA Decostruire la rete la tecnica interviene per supplire alle debolezze costitutive dell’umano, è chiaro però che qualsiasi farmaco, al di fuori di una terapia, risulta semplicemente tossico. La terapia richiede sempre un sapere: nel caso dei farmaci in senso stretto il sapere è quello della medicina, ma nel caso della tecnologia il sapere è quello della filosofia. Il compito della filosofia, per Stiegler, è di ricostruire un sapere condiviso che guidi lo sviluppo tecnologico in una direzione positiva, di modo che la rete appaia infine come un farmaco e non come un veleno: «Questo pharmakon è necessariamente tossico, fintanto che nuove terapeutiche non vengano prescritte, vale dire fintanto che noi non ci assumiamo le nostre responsabilità11». L’ambiguità strutturale del pharmakon, che può curare o avvelenare, spiega in modo convincente l’apparente contraddittorietà dei fenomeni che si verificano in rete. Da una parte il web ha ospitato e continua a ospitare forme di partecipazione che sono un modello per il futuro. Ne Il chiaroscuro della rete Stiegler sottolinea in particolare il potenziale culturale e politico di questa nuova dimensione partecipativa. La scrittura collaborativa che l’ipertesto rende possibile e le pratiche di autopubblicazione che il web promuove aprono un nuovo spazio pubblico in cui a tutti è concesso non solo il diritto parola, ma anche il diritto di immagine. «Sono fenomeni che hanno mostrato come la contributività resa possibile dal web ci proiettasse in un’epoca assolutamente nuova, in cui le relazioni da pari a pari diventavano centrali»12. Stiegler non manca di notare che «il modello delle comunità di pari è quello che costituisce l’origine stessa e del sapere occidentale […] e della cittadinanza»13. Il sapere occidentale, che ha nella Grecia antica la sua origine non sarebbe mai nato senza questo modello di scambio tra pari. In questo senso la nuova cultura partecipativa che la rete inaugura appare come una «magnifica promessa». In La società automatica questo tema è sviluppato in un’altra direzione. La rete non è solo il luogo di un nuovo modello di cultura, ma anche il luogo dove si intravede un nuovo modello di economia. L’economia del software libero, esattamente come l’ambiente tecnico costruito dalla norma IP che rende compatibili tutte le reti 11 B. Stiegler, La società automatica. 1. L’avvenire del lavoro, tr. it., Meltemi, Milano 2019, p. 84. 12 Id., Il chiaroscuro della rete, tr. it. a cura di P. Vignola, Youcanprint, Tricase (LE) 2014, ePub, pos. 6.45. 13 Ivi, pos. 6.46. FATA MORGANA 29 Martino Feyles digitali e tramite cui può formarsi la rete delle reti chiamata Internet, costituisce così un fattore di contribuzione dell’economia contributiva che fornisce i concetti di un nuovo modello industriale14. Questa nuova economia contributiva si rende necessaria nel momento in cui l’automatizzazione di ogni impiego impone di ripensare il concetto di lavoro. Bisogna notare che il fenomeno dei produttori di software liberi, che mettono a disposizione di tutti gli strumenti tecnologici più fondamentali, è esattamente l’opposto del primo dogma dell’economia capitalistica, che implica, invece, che solo il capitalista possieda i mezzi di produzione. La rete, dunque, sembra anticipare un modello di economia che viene inseguito o sognato da due secoli dai critici del capitalismo. Nello stesso tempo, essendo la tecnologia un pharmakon ambiguo, la rete appare anche, paradossalmente, come la materializzazione della versione più opprimente del capitalismo: «internet è un pharmakon che evidentemente, e in maniera totalmente opposta, può divenire una tecnica di iper-controllo, cioè di dissociazione, di di-integrazione e di proletarizzazione del sociale stesso»15. Il giudizio di Stiegler sullo stato attuale della società è quasi sempre pessimistico. Il «capitalismo integralmente computazionale», che le tecnologie digitali e la rete hanno prodotto, appare in alcune pagine allarmanti come «una nuova forma di totalitarismo»16. L’unione tra la razionalità economica capitalistica e il sistema tecnico fondato sulle tecnologie digitali e sulla rete produce l’inquietante scenario del «nichilismo totale» «dove più nulla ha valore – poiché tutto è divenuto calcolabile»17. Stiegler sottolinea a più riprese che la società automatica che si realizza quando la razionalità capitalistica si appropria della rete e delle tecnologie dell’immagine è definita da una «proletarizzazione della sensibilità»18. L’impoverimento della sensibilità degli individui che abitano la società automatica si manifesta innanzitutto come «miseria simbolica». Le nostre immagini e i nostri racconti sono sempre più meschini. Questa miseria simbolica produce inevitabilmente una canalizzazione del desiderio e «le esistenze individuali e collettive vengono così sottomesse al controllo per- 14 B. Stiegler, La società automatica, cit., p. 96. Ibidem. 16 Ivi, p. 68. 17 Ivi, p. 111. 18 Ivi, p. 62. In Italia è soprattutto Montani che ha evidenziato il rischio di una crescente «canalizzazione della sensibilità» (P. Montani, Bioestetica, Carocci, Roma, 2007, p. 9). 15 30 FATA MORGANA Decostruire la rete manente dei mass media»19. Le tecnologie dell’immagine e la rete risultano, così, integralmente sottomesse all’esigenze del marketing20. Il marketing funziona in modo tanto più efficiente quanto più il desiderio viene ridotto a mera pulsione. La liquidazione del desiderio, che per Stiegler è anche una distruzione dell’individualità psichica, è funzionale all’asservimento dei consumatori alla logica del capitalismo computazionale. La dis-integrazione degli individui psichici e degli individui collettivi ha avuto inizio con lo sfruttamento delle pulsioni, nel momento in cui […] il marketing fu costretto a sollecitare e sfruttare direttamente le pulsioni […]. La società automatica tenta oggi di canalizzare, di controllare e di sfruttare quei pericolosi automatismi che sono le pulsioni […]21. Identificando in modo un po’ troppo rapido sogno e desiderio, Stiegler spiega che la canalizzazione del desiderio è anche una distruzione della capacità di sognare. L’utente, prigioniero della rete dei dispositivi audiovisivi22, non è più capace di immaginarsi. Avendo un’esperienza delle immagini poverissima, non può che immaginare sé stesso in modo altrettanto misero. Questa distruzione del desiderio in quanto immaginazione è precisamente ciò che produce un individuo automatizzato23. Le pulsioni, infatti, sono dei meri automatismi psichici, mentre i desideri, per Stiegler sono il frutto di una «disautomatizzazione»24: Ora, ciò in cui consiste il sogno, ciò per cui esso può nutrire la proiezione futura di una qualunque consistenza tramite ciò che quel sogno potrebbe operare, cioè pensare, è esattamente ciò che è non solo imprevedibile, ma assolutamente improbabile, e in questo rigo- 19 B. Stiegler, La società automatica. 1, cit. p. 63. Cfr. Id., La miseria simbolica, vol. 1: L’epoca iperindustriale, tr. it., Meltemi, Milano 2021, p. 29. 21 Id., La società automatica. 1, cit., p. 88. 22 Ardovino ha sottolineato l’ambiguità della metafora che utilizziamo per nominare internet: “essere in rete” significa essere in contatto con il mondo e con gli altri, ma “cadere nella rete” significa essere prigionieri di un dispositivo che intrappola (A. Ardovino, Raccogliere il mondo. Per una fenomenologia della rete, Carocci, Roma 2011, p. 12). 23 Cfr. B. Stiegler, Platone digitale, cit., pp. 56-7, dove Stiegler spiega che la politica della memoria (e la rete è un dispositivo di memoria) deve diventare anche una «politica del desiderio». 24 Cfr. Id., La miseria simbolica, vol. 2: La catastrofe del sensibile, tr. it., Meltemi, Milano 2022, pp. 72 sgg. 20 FATA MORGANA 31 Martino Feyles rosamente il frutto di una disautomatizzazione […]25. In particolare la rete rende possibile uno «smart marketing» che è basato sulla «personalizzazione». Ma la logica perversa della personalizzazione, in realtà, non consiste nell’adattamento dei contenuti ai desideri del consumatore, quanto piuttosto nell’adattamento dei desideri del consumatore all’offerta che il capitalismo computazionale ha in serbo per lui26. È così che la rete tradisce definitivamente le promesse da cui era nata. 3. La rete come “docusfera” e il problema del consumo Ci sono diversi punti di convergenza tra Stiegler e Ferraris. Una delle tesi di fondo di Documanità è che «l’umanità non costituisce un’entità definita una volta per tutte, bensì un progetto»27. Ferraris contesta la visione essenzialista della natura umana, che pretende di stabilire una volta per tutte che cos’è l’uomo. In realtà la specificità dell’uomo è proprio di non avere una specificità data. Essendo costitutivamente disadattato e non avendo una natura completamente definita, l’uomo ha sempre bisogno della tecnica. L’umanità deve sempre di nuovo reinventarsi e questa reinvenzione è resa possibile dalla tecnica. Ferraris riprende questa idea da Derrida, che a sua volta la riceve da Leroi-Gourhan. La paradossale formula con cui si chiude Della grammatologia, «il supplemento d’origine», implica una ridefinizione del rapporto tra natura e artificio. Sostenere che il supplemento è nell’origine significa sostenere che la tecnica è già da sempre installata nella natura umana e che, di conseguenza, la natura umana non è affatto “naturale” e non è affatto “originaria”. Questa idea era già stata sostenuta da LeroiGourhan, che aveva mostrato, partendo dalle evidenze della paleontologia, che antropogenesi e tecnogenesi coincidono28. Ferraris riprende in modo puntuale tanto il linguaggio di Derrida quanto quello di Leroi-Gourhan: «[…] nel caso dell’umano assistiamo a una connessione sistematica con la tecnologia che non ravvisiamo negli altri organismi. […] al punto che la tecnologia deve essere considerata una parte dell’antropologia e, reciprocamente, l’antropologia è l’altro volto della tecnica»29. 25 26 27 28 29 32 B. Stiegler, La società automatica 1, cit., p. 157. Ivi, p. 233. M. Ferraris, Documanità, Laterza, Roma-Bari 2021, p. V. Cfr. A. Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, vol I, tr. it., Einaudi, Torino 1977, p. 107. M. Ferraris, Documanità, cit., p. 97. FATA MORGANA Decostruire la rete Su questa originarietà della tecnica la concordanza con Stiegler è completa. Ma la convergenza è notevole anche quando si tratta di descrivere quella particolare forma di tecnologia (il digitale e la rete) che definisce la nostra epoca. Come si è visto, rielaborando la nozione derridiana di scrittura, Stiegler pensa la rete come un sistema di ritenzioni terziarie. Anche Ferraris rielabora a modo suo la nozione derridiana di scrittura, coniando un termine tecnico, «isteresi». Che cos’è l’isteresi? Potremmo dire che è la registrazione nel senso più ampio del termine. E che cos’è la rete? Il più grande sistema di isteresi che sia mai esistito, cioè, un immenso e potentissimo archivio30. Da qui deriva la polemica con Floridi: la rete non deve essere pensata partendo dalla nozione ultimamente idealistica di “informazione”, ma partendo dall’idea derridiana di scrittura. Internet per Ferraris è molto di più una «docusfera» che non un’«infosfera»: «il web è innanzitutto isteresi, e non solo comunicazione; funziona non come una televisione, bensì come un archivio»31. La convergenza tra Ferraris e Stiegler è significativa anche in relazione al problema del lavoro. La società automatica distingue impiego e lavoro. L’impiego è l’attività umana necessaria per la sopravvivenza. Il lavoro è l’attività attraverso cui gli individui si autorealizzano: è, cioè, un prendersi cura di sé e degli altri. Per Stiegler l’evoluzione della tecnologia conduce a una progressiva automatizzazione della produzione che porta alla fine dell’impiego. Le attività produttive necessarie per la sussistenza sono e saranno sempre di più affidate alle macchine: all’uomo resta il compito di reinventare il lavoro, cioè di reinventare tutte quelle attività (in primis i saperi) che formano la personalità dell’individuo e le identità dei gruppi. La posizione di Ferraris è diversa, ma parte dal medesimo assunto, ovvero dalla constatazione che «l’automazione riduce progressivamente il lavoro esplicito retribuito»32. La percezione della fine del lavoro così come lo abbiamo sempre pensato va di pari passo – per Ferraris – con uno strano «sentimento di iperoccupazione». In realtà mentre scompare il lavoro salariato, cioè il lavoro che si svolge in condizioni di costrizione, si moltiplica una nuova forma di lavoro che è il consumo (in particolar modo il consumo dei servizi diffusi dalla rete). L’idea di Ferraris è che bisogna «comprendere come ‘lavoro’ ogni produzione di valore, a cominciare da quella proprietà esclusivamente umana e non automatizzabile che è il consumo»33. Le grandi 30 31 32 33 Ivi, p. 6. Ivi, p. 29. Ivi, p. 66. Ivi, p. 70. FATA MORGANA 33 Martino Feyles piattaforme del web sono in grado di trarre profitto da qualsiasi attività che il consumatore svolge in rete, perché registrano tutti i suoi movimenti e li utilizzano per creare dei profili monetizzabili grazie alla pubblicità. Si produce così una sorta di «plusvalore documediale»: il consumatore che naviga in rete, senza saperlo, compie un’attività che è redditizia, anche se non è lui a trarne i benefici. Per Ferraris questa attività non viene pensata come un “lavoro” vero e proprio solo perché un antico pregiudizio ci induce a riservare questo termine per le attività che implicano fatica e costrizione. Ma la «documentalizzazione riesce a trasformare in attività e in utile anche ciò che in precedenza era puramente passivo e inutile: il sonno, il divertimento, il consumo, l’otium e non il negotium»34. È necessaria dunque una politica di «webfare»35 che ridistribuisca ai consumatori gli utili che le piattaforme ottengono vendendo i dati che acquisiscono tracciando le attività che si svolgono nel web. Anche se le proposte concrete di Stiegler e Ferraris sono differenti, entrambi evidenziano la necessità di ripensare il lavoro ed entrambi sono convinti che l’evoluzione tecnologica abbia già iniziato a decostruire l’antica opposizione tra attività libera e attività salariata, otium e negotium. Tuttavia, nonostante questi elementi di convergenza, c’è una fondamentale differenza tra la filosofia della rete di Ferraris e quella di Stiegler. Stiegler è convinto che la rete stia evolvendo in una direzione pericolosa e individua il pericolo principale nella distruzione del desiderio. Ferraris, al contrario è dichiaratamente ottimista. Documanità è un libro scritto con l’evidente intento di farla finita con il vittimismo degli apocalittici che vedono nella rete la realizzazione del male assoluto. Anche se questa critica è per molti versi condivisibile, l’ottimismo di Ferraris è fondato su un argomento problematico, cioè sull’idea che l’uomo sia sempre e in ogni caso «il fine ultimo di tutto l’immane apparato»36 della tecnica. L’idea di Ferraris è che la rete in quanto docusfera, abbia senso solo nella misura in cui è radicata su un livello più originale, che è quello della «biosfera»: «la biosfera costituisce il mondo della vita fondamentale che conferisce finalità al web così come a qualunque altro apparato tecnico»37. Cos’è la biosfera? La biosfera è l’insieme dei bisogni vitali e di conseguenza la rete, come ogni altra tecnologia, ha senso solo nella misura in cui è finalizzata a soddisfare dei bisogni che sono e restano umani. Poi- 34 35 36 37 34 Ivi, p. 319. Ivi, p. 293. Ivi, p. 54. Ivi, p. 55. FATA MORGANA Decostruire la rete ché il soddisfacimento di un bisogno è il consumo, si può dire che nessun dispositivo tecnico ha senso se non nella misura in cui è uno strumento il cui fine ultimo è il consumo. La nozione di consumo è centrale in Documanità. Da una parte il ripensamento del lavoro passa per una riqualificazione delle attività libere che il consumatore svolge su internet, dall’altra parte la differenza ontologica tra l’uomo e la macchina è determinata dalla questione del bisogno e dunque dalla possibilità del consumo come risposta al bisogno. […] il consumo, in quanto fatto propriamente umano, è ciò che non può venir in alcun modo automatizzato, per ragioni non etiche ma ontologiche. Il consumo non è solo la cooperazione degli utenti alla produzione. È il fine ultimo di ogni produzione. Se di colpo l’umanità si trovasse priva di bisogni da soddisfare attraverso il consumo, tutto l’apparato documediale imploderebbe38. Bisogna notare che in questo passaggio importante Ferraris sostiene esattamente l’opposto di quello che sostiene Stiegler: il consumo è ciò che non può essere automatizzato. Ma bisogna anche notare che il consumo viene presentato come il fatto più «propriamente umano». Contraddicendo parzialmente l’assunto per cui l’uomo non ha un’essenza definita, Ferraris ripete più volte che «l’essenza dell’umano» sta «nel consumare ciò che la macchina produce»39, che il consumo è «il proprio dell’uomo»40, che bisogna «concepire il consumo come un carattere proprio della forma di vita umana»41. Contro questa antropologia che definisce l’uomo come l’animale che consuma si può avanzare un’obiezione: è quanto meno dubbio che la macchina non possa consumare. Ferraris propone l’esempio della macchina per mangiare sushi: un apparecchio di questo genere non avrebbe senso, perché lo scopo della macchina non è mai consumare, ma favorire in modo più o meno mediato il consumo umano. «Una macchina perfetta, capace non solo di produrre, ma anche di consumare, è teoricamente concepibile, ma praticamente insensata: le macchine hanno un fine fuori di sé, che è 38 39 40 41 Ivi, p. X. Ivi, p. 65. Ivi, p. 270. Ivi, p. 333. FATA MORGANA 35 Martino Feyles appunto rispondere ai bisogni degli umani»42. Ma questa contrapposizione tra la sfera del consumo e la tecnicità delle macchine è davvero così netta? Non si tratta di accreditare le ipotesi più inquietanti di quella letteratura e di quel cinema di fantascienza che raccontano l’incubo della macchina che si ribella all’uomo. Si tratta invece di comprendere che, essendo l’uomo un animale tecnico, anche i suoi bisogni sono tecnicizzati. Vorrei proporre un controesempio da contrapporre al caso della macchina mangia sushi. Prendiamo il caso del gas o del petrolio. Dal punto vista naturale l’uomo non ha bisogno né dell’uno, né dell’altro. Un essere umano per ragioni biologiche non può consumare né gas, né petrolio: anzi si tratta in entrambi i casi di sostanze tossiche e pericolose. Eppure le nostre società consumano gas e petrolio. Abbiamo talmente “bisogno” di queste sostanze che le super-potenze mondiali combattono feroci guerre per accaparrarsi queste risorse, mentre non le combattono (per ora) per l’acqua, il grano, o la carne, che pure possiamo consumare, mangiando e bevendo. Che esista un consumo di petrolio e di gas è un dato di fatto, ma la domanda interessante è: chi è, o cos’è che ha “bisogno” di petrolio o di gas? La risposta non è né semplicemente l’uomo, né semplicemente la macchina. L’uomo in quanto ente naturale non ha bisogno di petrolio o gas, e la macchina in quanto ente artificiale non avverte nessun bisogno. Solo l’individuo tecnico, cioè l’uomo situato in un certo ambiente tecnico, può avere bisogno del petrolio o del gas. Solo l’uomo associato ad una certa tecnologia può avere questo genere di necessità. Nel mondo degli antichi Egizi petrolio e gas non hanno alcun valore: perché? Perché gli antichi Egizi erano associati ad ambienti tecnici diversi da quello a cui siamo associati noi e dunque avevano necessità diverse dalle nostre. Se ne deve concludere che, anche se è vero che allo stato attuale le macchine che conosciamo non hanno bisogni, né desideri, perché non sono macchine senzienti, non è vero che non consumano. Potremmo dire che le macchine non hanno bisogni, ma hanno delle necessità. La mia automobile consuma benzina e la mia caldaia consuma gas. Si può anche sostenere che in realtà sono io che consumo benzina e gas, perché sono io che ho bisogno di muovermi e di scaldarmi. Ma rimane il fatto che quando dico “io” in questo caso non mi riferisco a un uomo allo stato di natura, ma a un individuo tecnico, cioè a un individuo che è situato in un certo ambiente tecnico (diverso da quello degli antichi Egizi). Dunque la tecnologia interviene alterando la sfera dei bisogni, ristrutturando ciò che Ferraris chiama «biosfera». È precisamente a questo livello che si presentano quei processi di mo- 42 36 Ivi, p. 331. FATA MORGANA Decostruire la rete dellamento dei bisogni che Stiegler denuncia a più riprese. Essere nella rete significa anche essere all’interno di un sistema integrato di tecnologie della scrittura e dell’immagine che modellano i nostri desideri. Questo modellamento il più delle volte avviene livellando la differenza tra pulsione e desiderio e individuando delle risposte standardizzate (economicamente redditizie) ai bisogni più elementari (mangiare, bere, vestire, fare sesso, ecc.). Ma se questo modellamento dei bisogni è reale – ed è difficile contestare Stiegler su questo punto – non si può semplicemente sostenere che il bisogno umano è il fine ultimo intorno a cui ruota l’immane apparato della tecnica odierna. In realtà è vero piuttosto il contrario: sono i nostri bisogni che sempre di più sono regolati dalle esigenze (principalmente economiche) del «capitalismo algoritmico». I bisogni dell’individuo, in quanto potenziale consumatore, appaiono così come un mezzo e non come un fine; un mezzo di cui ci si serve per ottenere un fine – il profitto – che talvolta può apparire quasi come uno scopo che si autogiustifica. 4. La bolla dei filtri e la canalizzazione del “mi piace” Decostruire non significa semplicemente distruggere. Significa innanzitutto – come lo stesso Derrida spiega chiaramente43 – portare alla visibilità le strutture di pensiero nascoste, le fondamenta teoriche non visibili, che sono alla base di un edificio concettuale o di una costruzione testuale. È indubbio che la decostruzione abbia una vocazione critica: ma il momento critico è sempre preceduto da un lavoro di interpretazione che fa emergere paradossi, contraddizioni, problematicità che altrimenti resterebbero occultati. Decostruire la rete significa in primo luogo portare alla luce le strutture di pensiero occulte che sono alla base del web. In questo senso il libro di Eli Pariser Il filtro può essere considerato come un momento importante di decostruzione della rete, anche se l’autore non si riferisce nemmeno lontanamente a Derrida o al decostruzionismo. Il libro di Pariser ha avuto un effetto notevole nel dibattito sulla rete perché ha focalizzato l’attenzione sul fenomeno della cosiddetta «bolla dei filtri», evidenziando una direzione dello sviluppo delle grandi piattaforme del web (soprattutto Google, Amazon, Facebook) che sembra confermare le preoccupazioni espresse da Stiegler. La tesi di fondo del libro è nota: i giganti del web si stanno evolvendo seguendo la logica della personalizzazione dei servizi, perché questa logica risulta particolarmente redditizia in termini di 43 Cfr J. Derrida, Psyché. Invenzioni dell’altro, vol. 2, tr. it., Jaca Book, Milano 2009, p. 10. FATA MORGANA 37 Martino Feyles efficacia della pubblicità; il problema è che un eccesso di personalizzazione produce un effetto di filtraggio tale che il consumatore si ritrova in qualche modo prigioniero all’interno di una bolla di informazioni e immagini che non fanno altro che confermare quello che già pensava e quello che già sentiva. Rinchiuso all’interno della propria bolla, l’individuo ignaro non si rende conto che non può più incontrare in rete niente di nuovo e soprattutto che non può più entrare in contatto con tutto ciò che altro o differente. Dal momento che il buon funzionamento di un sistema democratico implica necessariamente la capacità di mettersi al posto degli altri, o comunque la capacità di entrare in dialogo con chi la pensa diversamente, la bolla dei filtri è un problema politico rilevante, perché di fatto agisce come un meccanismo di chiusura preconcetta nei confronti di ogni idea diversa e di ogni punto di vista differente. Poiché in questo articolo quello che mi interessa è di esplorare le possibilità di una decostruzione della rete, devo innanzitutto notare che il lavoro di Pariser ha il valore di una conferma empirica di una delle tesi fondamentali di Derrida. Della grammatologia mostra che, il significato non è mai indipendente rispetto al significante. Di conseguenza il contenuto è sempre condizionato dalla forma significante, cioè dal sistema della scrittura. Mal d’archivio formula questa tesi della non indipendenza del significato in un linguaggio che è particolarmente efficace per descrivere la rete: «la struttura tecnica dell’archivio archiviante determina anche la struttura del contenuto archiviabile nel suo stesso sorgere»44. In effetti quello che il libro di Pariser dimostra è innanzitutto questo: la struttura tecnica delle piattaforme più utilizzate nel web o dei motori di ricerca più noti, pre-determina i contenuti che potranno apparire in queste piattaforme e predefinisce le informazioni che potranno essere trovate grazie a questi motori di ricerca. Se è vero che la rete è un nuovo sistema di scrittura, la scrittura essendo un supplemento nel senso derridiano, non si limita a registrare delle informazioni già date, ma altera, modifica sostanzialmente, in un certo senso istituisce queste stesse informazioni. Vorrei sottolineare in modo particolare un aspetto di questo condizionamento che si ricollega direttamente al problema dell’automatismo pulsionale evidenziato da Stiegler. Dal momento che la personalizzazione dei servizi in rete si basa sulle nostre preferenze, si potrebbe pensare che i contenuti in rete abbiano la tendenza ad adattarsi ai nostri desideri. In realtà, come spiega bene Pariser, il meccanismo di selezione dei contenuti si basa su una reattività che è legata alle pulsioni elementari molto più che non ai desideri complessi: 44 38 J. Derrida, Mal d’archivio, tr. it., Filema, Napoli 1996, p. 26. FATA MORGANA Decostruire la rete Di solito tendiamo a reagire a una gamma di stimoli molto limitata: leggiamo per prima una notizia che riguarda il sesso, il potere, la violenza, una persona famosa, oppure che ci fa ridere. Questo è il tipo di contenuti che entra più facilmente nella bolla dei filtri. È facile cliccare su «Mi piace» e aumentare la visibilità del post di un amico che ha partecipato a una maratona o di una ricetta della zuppa di cipolle. È molto più difficile cliccare «Mi piace» su un articolo intitolato «Nel Darfur è stato il mese più sanguinoso degli ultimi due anni». […] Come consumatori, non è difficile stabilire quello che per noi è irrilevante o poco interessante. Ma quello che va bene per un consumatore non va necessariamente bene anche per un cittadino45. Tre note sono necessarie a margine di questo passaggio che descrive un’esperienza che qualunque utente di internet ha ben presente. In primo luogo è importante sottolineare la differenza, che Pariser rileva en passant, tra interesse del consumatore e interesse del cittadino: in questa contrapposizione si evidenzia la differenza tra la filosofia della rete di Ferraris e quella di Stiegler. Quello che Il filtro ci mostra è che di fatto la profilazione orientata sull’interesse del cittadino è diversa da quella orientata sull’interesse del consumatore; ma alle grandi piattaforme del web, per ovvie ragioni, interessa molto la prima e poco la seconda. In secondo luogo è significativo che Pariser parli qui di una «reazione» in risposta ad uno «stimolo». È chiaro che il meccanismo del “like” implica un’interazione tendenzialmente irriflessa, immediata e basata sulla corrispondenza alle pulsioni più elementari: mangiare, bere, dormire, ridere, fare sesso, aggredire, difendersi e poco altro. Questa reazione immediata non è molto diversa dall’automatismo psichico descritto da Stiegler. È una reazione prevedibile, statisticamente calcolabile: si può sapere in anticipo che un utente maschio di una certa età metterà mi piace su una foto che evidenzia le forme di una bella ragazza. In terzo luogo è chiaro che questa reazione non è solo irriflessa, è anche iper-semplificatoria. Di fatto il sistema di selezione dei contenuti rilevanti basato sul like implica una pre-selezione che determina in anticipo che l’unica risposta pertinente dell’utente è il sentimento di piacere interessato. Di fronte a un contenuto le risposte possibili del fruitore sono potenzialmente infinite: noia, interesse, tristezza, gioia, ammirazione, scherno, disgusto, ecc. Di tutta la gamma infinita dei possibili sentimenti che un testo o un’immagine possono suscitare uno soltanto viene pre-selezionato: il piacere interessato, 45 E. Pariser, Il filtro, tr. it., il Saggiatore, Milano 2012, p. 21. FATA MORGANA 39 Martino Feyles cioè il piacere condizionato da una pulsione che rappresenta un bisogno fisiologico elementare. Solo questo genere di risposta risulta pertinente per la definizione della rilevanza di contenuto. Questa scelta linguistica apparentemente marginale e irrilevante – ma è proprio Derrida che ci ha insegnato quanto siano rilevanti le cose marginali – è in realtà una scelta culturale e in un certo senso politica. Che Facebook abbia scelto «Mi piace» piuttosto che, diciamo, «Importante» è un piccolo dettaglio di progettazione che ha avuto enormi conseguenze: le notizie che ricevono più attenzione sono quelle che ottengono più «Mi piace», e quelle che ottengono più «Mi piace» sono, ovviamente, quelle più piacevoli46. Di fatto il like pre-orienta la reazione dell’utente, nel senso che stabilisce in anticipo che l’unico criterio in base a cui si deve giudicare un testo o un’immagine è il piacere nella sua forma più basilare. Questo porta a una saturazione dei contenuti che sono classificabili come “piacevoli” o “spiacevoli” e ad una conseguente rarefazione dei contenuti che sono importanti in relazione ad altri parametri. Un testo sulla drammaticità guerra nel Ucraina – per fare un esempio attuale – può suscitare in un lettore una convinta approvazione: ma chi oserebbe mettere un like a un post che parla di un massacro di civili o soldati? Come nota Pariser, Facebook non ha il pulsante “mi importa” o “è importante”. Un testo o un’immagine può essere importante dal punto di vista politico, anche se non è piacevole; può essere convincente anche se è in tutto e per tutto spiacevole. Ma questa reazione non è giudicata pertinente, non può essere inscritta a margine dell’immagine o del testo e non contribuisce ad aumentare il valore in termini di ranking di una pagina. A ciò bisogna aggiungere che quando si tratta di contenuti politici, filosofici, religiosi, morali, la reazione di un lettore dotato di senso critico non è mai semplicemente l’approvazione semplice o la disapprovazione semplice. Contenuti complessi richiedono nella maggior parte dei casi reazioni emotive complesse. Di fatto il meccanismo del like iper-semplifica la gamma delle reazioni pertinenti degli utenti della rete. In questo modo la nostra bolla si riempie di ricette di cucina, donne dal seno prosperoso, sportivi invincibili e si svuota di tutto ciò che è complesso, cioè di tutto ciò che è significativo dal punto di vista filosofico, religioso, morale, politico. 46 40 Ivi, p. 121. FATA MORGANA Decostruire la rete Uno degli effetti collaterali più inquietanti della sindrome del mondo amico è la scomparsa di alcuni importanti problemi di interesse pubblico. Ben poche persone vanno a cercare notizie sui senzatetto, e meno che mai le condividono. In generale, le questioni complesse che non hanno una rapida evoluzione e non ci coinvolgono personalmente, cioè quelle veramente importanti, non entrano nella bolla47. Di fatto attraverso la personalizzazione dei servizi in rete e più nello specifico attraverso il dispositivo del “like” quello che si verifica è una canalizzazione dell’attenzione dell’utente. Il consumatore, preda della “sindrome del mondo amico”, è invitato a provare un solo sentimento, il più elementare: “I like it!”. 47 Ibidem. FATA MORGANA 41 42 FATA MORGANA
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