RIVISTA DI STUDI
POMPEIANI
ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE AMICI DI POMPEI
XXXIII
2022
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
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Rivista di Studi Pompeiani, XXXIII - 2022
ASSOCIAZIONE INTERNAZIONALE AMICI DI POMPEI
PRESIDENTE
Antonio Varone
DIRETTORE
Massimo Osanna
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COMITATO SCIENTIFICO DELLA RIVISTA
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Anna Anguissola (Pisa); Luigi Cicala (Napoli); Marco Fabbri (Roma); Enrico Giorgi (Bologna);
Pietro Giovanni Guzzo (Roma); Annette Haug (Kiel); Nicolas Laubry (Roma);
Monica Livadiotti (Bari); Andrea Pane (Napoli); Fabrizio Pesando (Napoli); Eric Poehler (Amherst, Ma);
Rubina Raja (Aahrus); Paul Roberts (Oxford); Guy Stiebel (Tel Aviv)
COMITATO DI REDAZIONE
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Vincenzina Castiglione Morelli (coordinamento), Giuseppe Scarpati,
Grete Stefani, Luana Toniolo, Antonio Varone
Gli articoli monografici qui pubblicati, dopo una prima selezione della Direzione, sono stati sottoposti a doppio referaggio in anonimo, e corretti
poi dagli Autori in base alle indicazioni ricevute dai referees.
Agli Autori si ricorda di inviare alla Redazione eventuali contributi per i numeri successivi della Rivista entro il 31 dicembre di ogni anno, in due
copie (di cui una in pdf anonimo), complete di immagini, di un breve abstract, e una lista di 5 parole chiave, sia in inglese che in lingua originale.
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XXXIII
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RIVISTA DI STUDI
POMPEIANI
«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
Roma - Bristol
© 2022 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER
Via Marianna Dionigi, 57 - 00193, Roma - Italy
www.lerma.it
70 Enterprise Drive, Suite 2, Bristol, CT 06010 - USA
lerma@isdistribution.com
© Associazione Internazionale Amici di Pompei – Piazza Esedra, Pompei
Direttore responsabile della Rivista Angelandrea Casale
Sistemi di garanzia della qualità
UNI EN ISO 9001:2015
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Sistemi di gestione ambientale
ISO 14001:2015
ISSN 1120-3579
ISBN 978-88-913-2763-5 brossura
ISBN 978-88-913-2769-7 PDF
DOI: 10.48255/2240-9653.RSP.33.2022
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1. Associazione internazionale Amici di Pompei
CDD 20 397.005
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Rivista di studi pompeiani / Associazione internazionale Amici di Pompei. A. 1 (1987)-, - Roma: «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER, 1987.-, III.; 29 cm Annuale.
Periodico: Autorizzazione Tribunale di Torre Annunziata n. 34 del 26-11-1996
COPIA AUTORE
Indice
Joan Mut ArbÓs, Beautiful cruelty: the Pompeian Armoury of Alma-Tadema ...............
7
Domenico Russo, Il panificio VI 2, 6 di Pompei nelle vedute del XIX secolo.................
13
Grete Stefani, Per un aggiornamento dell’indirizzario di Pompei. Il caso dell’insula VI 2
27
Maria Carmela Monteleone, Considerazioni sulla quantità e qualità delle acque pervenenti alle fontane pubbliche di Ercolano e Pompei, del tipo “lacus semplice” ...............
49
Lorenzo Toscano, Il Santuario di Iside: trent’anni di ricerche 1988-2017. Nuovi materiali dall’Iseo pompeiano ...............................................................................................
61
Nikola D. Bellucci, Eleonora Voltan, Pygmaei cum clava. L’iconografia dei pigmei
con “bastoncini” nel repertorio dei Nilotica romana: alcuni spunti di riflessione ..............
77
Caitlin Eilis Barret, Nikola D. Bellucci, A “New” (Rediscovered) Nilotic Scene
from the Casa del Gemmario: Context, Iconography and Sub-elite Viewership ...............
89
Daniele Alessi, Paolo Baronio, La tecnica del Primo Stile a Pompei: nuove acquisizioni a partire dall’analisi degli stucchi della Casa della Nave Europa (I 15, 3) .................
111
Salvatore Ciro Nappo, Regio I. Pitture inedite di Terzo Stile ........................................
125
Federico Giletti, Vincenzo Amato, Dalle origini del paesaggio pompeiano alla città
di Pompei ........................................................................................................................
137
Mario Notomista, “A Stabbia vidi una bella stufa col suo tepidario accanto”. Winckelmann e i primi scavi borbonici nel Pianoro di Varano .....................................................
151
Gabriel Zuchtriegel, Pompei, una città densamente popolata? Nuove scoperte e analisi
GIS .................................................................................................................................
161
NOTIZIARIO
Pompei
Ufficio Mostre. Attività 2021 (S.M. Bertesago) ............................................................
173
Non solo uomini, donne e bambini, ma anche animali. L’intervento di restauro e
valorizzazione dell’equide nello stabulum I 8,12 a Pompei (L. Toniolo, S. Giudice,
C. Ciocchetti, L. del Verme, D. Fagiani, M. Flaminio, N. Pizzano, A. Spinosa) .....
174
Pompei I 17 (A. Coralini) .............................................................................................
184
Domus VI 11, 11-12/7 di Pompei. La campagna di scavo del Progetto «Modi d’abitare
a Pompei in età sannitica» (D. D’Auria, P. Ballet)).......................................................
192
La fullonica VI 16, 3-4 a sud-est della Casa degli Amorini dorati. Campagna di scavo
2021 (N. Monteix, E. Le Quéré) ................................................................................
196
Pompei Terme Stabiane (VII 1, 8). Campagna 2021, rapporto preliminare (M. Trümper,
M. Giglio, M. Robinson, A. Ferrandes, G. Parrini, A. Pegurri) .............................
198
“Pompei TransVrbs”. Il cippo della Via del Foro. Campagna 2021 (S. Zanella) ............
205
L’area funeraria di Porta Sarno e la tomba di Marcus Venerius Secundio a Pompei,
riflesso dell’impulso culturale dopo il terremoto del 62 d.C. (L. Alapont Martin,
G. Zuchtriegel, J. Alfonso, V. Amoretti, P. Mas, A. Miguelez, J.J. Ruiz López) ...
208
COPIA AUTORE
Boscoreale
Notiziario 2021. Attività Ufficio Scavi di Boscoreale (A.M. Sodo) .................................
214
Oplontis
Notiziario 2021. Attività Ufficio Scavi di Oplontis (G. Scarpati, A. Spinosa) ...............
215
Oplontis, 2021 Relazione di Scavo (I. van der Graaff, J.R. Clarke, M.L. Thomas,
Z. Schofield, J.L. Muslin, G. di Maio, N.K. Muntasser) ........................................
216
Stabia
Notiziario 2021. Attività Area Archeologica di Stabia (S. M. Bertesago) .....................
218
Torre del Greco
Villa Sora (Torre del Greco) Campagne 2017-219, 2021 (A. Coralini) .......................
219
Ercolano
Le attività del Parco Archeologico di Ercolano nel biennio 2021-2022 (F. Sirano, a cura
di; testi F. Sirano et al.) ..................................................................................................
227
DISCUSSIONI
Qualche riflessione sull’edificio dei triclini di Moregine (P. G. Guzzo) ...........
251
RECENSIONI
Antonio Varone, Iscrizioni parietali di Stabiae (Studi e Ricerche del Parco Archeologico di
Pompei), 2020 (Marco Buonocore†) ...........................................................................
257
Alessandra Cattaneo, Tutela, valorizzazione e manutenzione delle città morte esperienze
di management pubblico e privato in Italia. Roma 2020 (Antonio Varone)....................
259
Massimo Osanna e Luana Toniolo, Il mondo nascosto di Pompei. Il carro della sposa, la
stanza degli schiavi e le ultime scoperte, Milano, Rizzoli, 2022 (Andrea Augenti) ...........
261
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Parco Archeologico di Pompei / Ufficio Mostre / Stabulum I 8, 12
Non solo uomini, donne e
bambini, ma anche animali.
L’intervento di restauro
e valorizzazione dell’equide
nello stabulum I 8, 12
a Pompei
Il complesso intervento sull’equide conservato in situ nello stabulum I 8, 12 rientra in quella
strategia di musealizzazione diffusa che a Pompei
si sviluppa a partire dall’inizio del ’9001 e che il
Parco Archeologico di Pompei ha messo in campo
negli ultimi anni2 in vari punti nevralgici del tessuto urbano. Questo progetto può a ragione essere
definito “complesso” per la molteplicità di ambiti
di intervento che hanno coinvolto diversi specialisti, dall’archeologo all’ingegnere, dall’archeozoologo al restauratore, all’esperto di tecnologie digitali,
e ha avuto come esito un nuovo nodo nella rete
di valorizzazione del sito, studiando per la prima
volta il contesto con un approccio scientifico e
sperimentando metodologie di restauro nuove per
il sito vesuviano.
L’apertura al pubblico di questo spazio nel
giugno 2022 è coincisa con un’altra importante
riapertura, quella della prospiciente Casa di Cerere (I 9, 13), chiusa da decenni e che versava in un
forte degrado, restituendo così alla comunità un
importante settore della città, da tempo escluso
dalla fruizione3.
L’intervento sull’equide permette inoltre di comunicare al pubblico un altro importante aspetto
della vita quotidiana della città: siamo abituati
infatti a pensare ad una città brulicante di schiavi, liberti, liberi, donne e bambini, ma spesso di-
mentichiamo che all’interno delle mura cittadine
vivevano anche numerosi animali e non solo gli
animali “da compagnia” come i cani, pensiamo al
famoso calco di cane dalla Casa di Orfeo (VI 14,
20), ma anche animali funzionali alla vita produttiva della città, come i cavalli, che servivano per il
trasporto delle merci, delle derrate nonché degli
abitanti, così come gli asini utilizzati nel processo
di panificazione per far ruotare la macina. E gli
equini ormai iniziano ad essere sempre più conosciuti a Pompei4, sia nelle versioni “di razza” come
nel caso del calco e dei due scheletri dalla Villa di
Civita Giuliana5, dove ci si è trovati di fronte a
cavalli selezionati di grandi dimensioni, che dovevano appartenere ad un importante personaggio
dell’ultima fase di vita della città, ai più modesti
cavalli per le attività quotidiane, come quello rinvenuto nella Casa di Amaranto (I 9, 12). L’inserimento di questo contesto nel percorso di visita
della città antica permette dunque di avvicinare
175
Parco Archeologico di Pompei
2. Il primo allestimento realizzato da A. Maiuri,
1941-1942 (Archivio Parco Archeologico di Pompei).
il pubblico ad un altro aspetto della vita quotidiana di Pompei, quello appunto del rapporto tra
gli uomini e gli animali. Il progetto si è quindi
articolato in diversi interventi ed è stato il frutto di una lunga riflessione metodologica che ha
cercato di coniugare insieme le esigenze di tutela
e conservazione del contesto, con le istanze di valorizzazione e accessibilità. Alla base del progetto vi è stato chiaramente lo studio archeologico
del contesto, che ha ricostruito con un paziente
lavoro di ricerca d’archivio la storia dell’equide e
dello stabulum, sottoposto negli ultimi decenni
ad un lungo processo di degrado. Fin dall’inizio
è apparso evidente come l’intero contesto andava
ripensato, adattando l’allestimento progettato da
Maiuri alle necessità conservative e a quelle che
sono oggi le istanze dell’accessibilità. La semplice
rete metallica posta a protezione del manufatto e
la copertura in lamiera non apparivano più soluzioni oggi sostenibili ed è stato necessario rivederle con materiali più rispettosi del fragile contesto
archeologico. Sulla scorta dell’approccio inter e
multidisciplinare che ha caratterizzato i progetti
del Parco Archeologico di Pompei negli ultimi
anni, un architetto e un ingegnere6, sulla base di
un confronto continuo con i restauratori7, hanno progettato una nuova copertura che garantisse
innanzitutto un microclima costante in grado di
assicurare le migliori condizioni di tutela dell’equide, e che contemporaneamente permettesse di
esporlo al pubblico mediante una vetrata antiriflesso. La precedente copertura è stata sostituita
da una soluzione in tegole e travi in legno, così
da garantire omogeneità con le soluzioni recentemente adottate dal Parco e applicate nei vicini edifici. La parte più complessa, come sarà di
seguito illustrato e che ha costituito una vera e
propria sfida, è stata proprio il restauro delle ossa
dell’equide. Poco era noto delle tecniche utilizzate
per le integrazioni e il consolidamento delle ossa
nei decenni precedenti, a causa della quasi inesistente documentazione d’archivio, per cui nel
corso del lavori si sono dovute di volta in volta
sperimentare nuove soluzioni. Il restauro è stato
preceduto e costantemente accompagnato dallo
studio archeozoologico e dalla documentazione
digitale con laser scanner dello scheletro: si è visto
infatti che il cavallo non era stato rimontato correttamente dal punto di vista anatomico, con la
conseguente necessità di rivedere tutta la ricostruzione, così come molte ossa sono andate perdute
nel corso del tempo, come si evince chiaramente
dalla documentazione d’archivio. Sulla base dello
studio archeozoologico e delle esigenze conservative, si è evidenziata la necessità di garantire sia
la stabilità dello scheletro che la leggibilità per il
visitatore, e si è quindi provveduto a stampare
in 3D alcune ossa andate perdute. Al momento
dello smontaggio per il restauro, la situazione era
così compromessa che è stato necessario ripensare anche il supporto finale; la soluzione elaborata
è, come si vedrà, il frutto del lavoro veramente
sinergico tra restauratori, archeozoologo ed esperti di tecnologie digitali. La modellazione 3D ha
permesso inoltre di rendere questo allestimento
accessibile anche dal punto di vista “sensoriale”
per gli ipovedenti, mediante la realizzazione di
un pannello in braille e di un modellino tattile.
Un progetto, quindi, che si è configurato come
un vero e proprio cantiere multidisciplinare in cui
le conoscenze di ogni specialista sono divenute conoscenze condivise, connettendo tra loro le varie
competenze.
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1. L’equide al momento del suo rinvenimento nel
1938 (Archivio Parco Archeologico di Pompei).
Luana Toniolo
IL CONTESTO DELLO STABULUM
Lo stabulum I 8, 12, dove è stato rinvenuto
e venne successivamente esposto l’equide oggetto
dell’intervento, è stato scavato a più riprese tra il
settembre 1938 e il 1941, quando gli scavi si concentrarono nel riportare in luce il lato sud dell’insula. Il Giornale di Scavo, il 17 settembre 1938,
riporta così la scoperta del cavallo: “Nell’ambiente rustico a N-O del giardino, alla base della parte
settentrionale, si è scoperto un podio di muratura
(mangiatoia) sporgente m 0.45 e lungo per l’intera parete. Alla distanza di m. 1.10 dal muro E
e a pochi centimetri dalla mangiatoia, si è messo
in luce lo scheletro di un cavallo recante in giro
al muso un ferro tutto contorto (museruola?).
Dello scheletro affiora dal lapillo la testa, la spina
dorsale e il collo, il resto del corpo è ripiegato
sulle gambe poggianti sul pavimento originario
che trovasi a m 1.50 dal piano attuale. Intorno
allo scheletro, fra il lapillo, si sono raccolti alcu-
ni chiodi di ferro appartenenti probabilmente ad
un tavolato sovrapposto al podio (?). L’accesso
alla stalla deve trovarsi indubbiamente dal vicolo orientale.” (fig. 1). Il 27 settembre si torna a
parlare della scoperta del cavallo: “Si è proceduto
alla rimozione dello scheletro del cavallo scoperto
il 17; presso le ossa della testa si è rinvenuto: cerchietto a corpo tondo, diametro 0,11; registrato
con i tre cerchietti del giorno successivo.” Maiuri8
parla di questo ambiente come di un grande stabulum per bestie da tiro e da soma. Il Della Corte9 lo descrive come una rozza corte con pochi e
rustici ambienti ad occidente; vi si rinvennero anche resti organici come paglia, letame e carboni.
Da questa stalla non proviene alcuna iscrizione
che possa indicare a chi appartenesse il complesso. Solo il Della Corte10 parla di un deposito di
15 anfore vinarie rinvenuto nell’angolo nord-est
del cortile tra le quali una recava il titulus pictus
TI.C.P. (Ti. Claudio Polibio?)11. Maiuri, secondo le tecniche di musealizzazione che applicò nel
sito a partire dal 1924, riprendendo il modello
del suo predecessore Vittorio Spinazzola, decise
di lasciare in situ il cavallo, ricomponendone le
ossa e riproponendone la postura verticale, sotto
una tettoia metallica e protetto da una rete metallica (fig. 2). Sulla muratura alle spalle del cavallo
fissò cinque tavole in legno con elementi in ferro
di vario tipo: serrature, anelli, chiodi e borchie,
attrezzi agricoli. Questa scelta espositiva rientrava pienamente nella strategia di fruizione attuata
dal Maiuri, che in un’ottica estremamente moderna cercava di comunicare al visitatore quella
“umanità della vita e umanità della morte” che fu
il fil rouge della sua attività di valorizzazione nel
sito12 e nelle sue pagine da divulgatore13. Tranne
gli anelli, gli altri elementi in ferro non sono registrati negli inventari ed è possibile supporre che
forse vengano anche dalle abitazioni vicine come
la casa I 8, 14 (Casa di M. Epidius Primus), dove
sono stati rinvenuti molti strumenti da lavoro in
bronzo e in ferro.
I Giornali di Scavo riportano negli anni ’60 e
fino all’inizio degli anni ’70 attività di manutenzione della tettoia, con la sostituzione della carpenteria metallica. Le tavole in legno con i reperti
bronzei sono state esposte in situ fino al 2015,
quando per motivi di tutela sono state prelevate e
i reperti in ferro restaurati nell’ambito del Grande
Progetto Pompei14.
Luana Toniolo
LO STUDIO ARCHEOZOOLOGICO
COME BASE CONOSCITIVA PER IL
PROGETTO DI RESTAURO E DI NUOVO
ALLESTIMENTO
Premessa
Il cavallo, un mammifero appartenente alla
famiglia degli Equidae, è un animale entrato in
contatto precocemente con l’uomo. Apprezzato
per il suo valore, sia di natura bellica che civile e
religiosa, il cavallo è sinonimo di prestigio sociale
e di indiscusso potere politico.
Lo scheletro animale rinvenuto da A. Maiuri,
un esemplare equino probabilmente destinato alle
attività lavorative quotidiane, si presenta come un
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Parco Archeologico di Pompei / Intervento nello Stabulum I 8, 12
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Lo scheletro si presentava come un campione
particolarmente compromesso nella sua integrità
a causa delle azioni naturali del tempo e di taluni interventi di restauro effettuati anni addietro.
Analizzando il primo allestimento del 1941-42
(fig. 2), a confronto con i successivi, è stato possibile definire lo stato di conservazione dello scheletro “nel tempo”, elemento utile per comprendere,
ad esempio, quali porzioni ossee fossero oggettivamente più a rischio. La natura stessa del manufatto ha richiesto un’analisi attenta anche delle componenti utili alla ricollocazione in sede naturale
dello scheletro, di per sé lacunoso in alcune porzioni quali la cassa toracica, lo sterno, parte delle
singole vertebre della colonna vertebrale, uno zoccolo e le branche mandibolari, elementi necessari
per la ridefinizione della corretta postura nonché
per la stabilità stessa dell’apparato scheletrico.
Queste considerazioni hanno guidato il gruppo di ricerca nei processi decisionali che hanno
portato alla selezione degli elementi da riproporre
con la stampa 3D, in virtù anche del differente
peso oggettivo tra l’osso e la porzione riproposta.
Le singole ossa e porzioni scheletriche, oggetto di esami autoptici precedenti e successivi alla
rimozione degli interventi di restauro, nonostante
le forti manomissioni hanno permesso comunque
una discreta analisi necessaria per definire alcune
peculiarità dell’individuo animale.
I primi allestimenti del “Cavallo di Maiuri”
erano stati praticati con l’ausilio di cavi e supporti
metallici nel corso di almeno due distinti e importanti interventi. Le porzioni ossee presentavano
ingenti interventi di stuccatura con materiali discutibili per interventi di restauro su materia organica (Sintolit e colle aggressive), interventi accompagnati da numerose forature delle ossa, praticate
per consentire il passaggio dei supporti metallici
che, talvolta, hanno compromesso ulteriormente
sia lo stato di conservazione della materia organica, sia l’aspetto cromatico della stessa. È parso
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inoltre evidente che talune ossa abbiano risentito
del fattore “gravità” nei decenni di esposizione,
elemento da sommarsi ad una serie di altre componenti naturali e meccaniche, che hanno contribuito al lento degrado dell’apparato scheletrico.
Ci si riferisce principalmente alle vertebre toraciche, ovvero quelle del dorso che corrispondono
all’area della sella e che, a differenza di tutte le
altre vertebre, palesano uno stato di conservazione
particolarmente compromesso15.
Il dato sembra suggerire che lo stato di salute
della colonna vertebrale fosse di per sé compromesso da “stress meccanico” già durante la vita
dell’animale e che il tempo ne abbia solo aggravato la conservazione, essendo la colonna vertebrale formata da piccoli segmenti in serie costituiti
essenzialmente da tessuto spugnoso16. Nel primo
allestimento, infatti, è presente gran parte dell’apparato scheletrico: si noti lo stato di salute della
cassa toracica (vertebre e costole), la cui integrità
risulta fortemente danneggiata nell’allestimento
successivo che ha previsto, tra gli altri interventi,
anche la sostituzione dei supporti metallici.
Nel tempo sono andate perse numerose costole, parte del cranio, delle mandibole, delle scapole,
principalmente la sinistra, la falange distale posteriore destra (zoccolo), alcuni denti tra cui i canini mascellari e mandibolari, i sesamoidi e molti
processi spinosi e trasversi vertebrali, al pari della
metà dorsale dell’atlante e dell’epistrofeo. Inoltre,
l’assetto dello scheletro presentava una postura
fortemente scorretta: la lordosi cervicale, a partire dal primo allestimento, via via negli anni e
nei differenti interventi di restauro assume sempre
più una postura innaturale che ha privato l’animale della sua leggibilità e del suo riconoscimento
morfologico di massima, portando ad una sorta di
“stiratura” dello scheletro assile (fig. 3).
Tra gli interventi archeozoologici messi in
atto, dunque, per restituire “naturalezza” all’apparato scheletrico dell’equide, grande importanza
ha assunto ridefinire la naturale postura: questa
è stata garantita sia dalla corretta ricollocazione
delle ossa, che talvolta erano state invertite nella
sequenza, come nel caso di numerose vertebre della colonna, sia dalla riproduzione in stampa 3D
di alcune porzioni anatomiche che completano lo
scheletro (fig. 4).
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Lo stato di fatto dell’allestimento al 2021
3. A sinistra, la postura naturale di uno scheletro equino; a destra, la restituzione della scansione laser dello scheletro del nostro equide. La curvatura in grigio evidenzia la naturale lordosi della colonna vertebrale.
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campione in parte compromesso dalle azioni naturali del tempo, in parte da interventi e manipolazioni antropiche funzionali ai diversi momenti
allestitivi.
Lo studio ha previsto vari step di analisi, necessari per la comprensione di tutti quei meccanismi che hanno inciso sull’assetto attuale dell’animale, a partire dalle foto storiche in fase di scavo
(1937-1938) dalle quali si sono desunti alcuni
indizi preziosi relativi al sesso dell’animale che,
sulla base della presenza dei canini (scaglioni),
oggi non più in sede, è possibile attribuire con
buona probabilità al sesso maschile. La mappatura dello stato di conservazione è stata funzionale sia all’analisi dei singoli resti anatomici, sia
alla programmazione degli interventi di restauro
e conservazione, discussi di volta in volta in seno
all’équipe di studio. Questo ha consentito di tracciare i limiti tra l’osso originale ed il ricostruito,
le stuccature, le pluristratificazioni dei precedenti
restauri, la presenza di elementi di connessione
estranei all’osso nonché la valutazione dello stato
reale dei singoli segmenti anatomici, al netto di
tutte le manomissioni.
4. Sovrapposizione del modello 3D del cavallo allo
schema della postura naturale di uno scheletro equino.
Risultati dell’analisi archeozoologica
L’analisi archeozoologica condotta sullo scheletro del “Cavallo di Maiuri” è stata di tipo puntuale, ovvero indirizzata allo studio di ogni singolo segmento anatomico superstite. Nel complesso
sono stati conteggiati 129 resti scheletrici, annoverando però tutte le ossa del cranio fuse come
un unico elemento anatomico, dunque più della
metà di uno scheletro integro di perissodattilo che
conta circa 205 ossa, numero stimato sulla conta
singola delle porzioni craniali e dei sesamoidi.
Le singole ossa e porzioni scheletriche, oggetto di esami autoptici precedenti e successivi alla
rimozione degli interventi di restauro, sembrano
potersi attribuire alla specie domestica dell’Equus
Caballus L.17. L’analisi morfometrica è stata espletata sulla base del metodo di A. Von Den Driesch,
1976 e i rilievi biometrici sono stati utili anche
per valutare l’altezza al garrese dell’animale secondo gli indici Kiesewalter (1888). Dai coefficienti
di Kiesewalter, infatti, il dato certificato su numerosi elementi anatomici ha restituito sempre
un valore approssimativo che si aggira attorno ai
1400 mm, da cui la stima dell’altezza al garrese di
ca. 1,40 m.
Questi valori corrispondono alla statura media dei cavalli del periodo romano e tardoantico in Italia, valutata tra i 137 e 141 cm ca.18. Il
sesso, attribuibile con molta probabilità a quello
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Parco Archeologico di Pompei
cifico; l’altro, alla postura da assegnare, o riassegnare, all’apparato scheletrico complessivo.
Anche in questo caso, un confronto costante
tra le parti coinvolte ha portato a scelte oculate e
innovative messe in campo dal gruppo di progettisti, rilevatori e modellatori 3D21.
La quantità di ossa animali degradate era, difatti, notevole: alcune di esse hanno subito, nel
tempo, pesanti stuccature e azioni di incollaggio
(mandibole, cranio, vertebre, scapole, arti toracici
e pelvici), altre sono andate totalmente perse (gabbia toracica, falange distale dell’arto posteriore destro, osso ioide, sterno, coda ecc., fig. 7). È stato
quindi necessario sviluppare una soluzione, o più
soluzioni, che potessero coniugare le esigenze di valorizzazione e fruizione con quelle della tutela del
bene, il cui livello conservativo risultava fortemente
compromesso.
5. In alto, vista ventrale della mandibola; in basso,
vista ventrale del rilievo scanner dell’equide con ancora le staffe dell’allestimento in situ. Si noti come la
porzione della mandibola ispessita non è interessata
dal supporto.
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Natascia Pizzano
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L’APPLICAZIONE DI TECNICHE DI
RILEVAMENTO TRIDIMENSIONALE
PER UN INNOVATIVO PROGETTO
ESPOSITIVO
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Una delle conseguenze più significative dello
sviluppo di tecnologie per la modellazione tridimensionale è la possibilità di utilizzare gli strumenti digitali come mezzi per la documentazione e la condivisione della conoscenza. I modelli
virtuali, in campo archeozoologico, possono raggiungere potenzialità comunicative enormi attraverso creazioni di video ed animazioni complesse
per l’integrazione in ambienti immersivi di realtà aumentata che, in un futuro forse non troppo
lontano, potrebbero essere identificati, a giusta
ragione, come la sintassi di un nuovo linguaggio
museografico. In questo quadro, le nuove frontiere della tecnologia mettono a disposizione attrezzature sempre più precise e complesse per il rilievo dei reperti archeologici, siano essi riferibili alla
cultura materiale o, come nel nostro caso, a resti
archeozoologici. Questi dispositivi permettono di
registrare, nel quadro concettuale di una metodologia di rilevamento e di rilievo che segue precise
regole, i caratteri geometrici e spaziali di qualsiasi
oggetto, in un modo relativamente semplice22.
L’obiettivo primario della digitalizzazione
dell’equide è stato quello di crearne una replica
digitale mediante la fedele e accurata acquisizione di informazioni di tutte le parti dello scheletro ancora conservate (fig. 1). La creazione di tale
modello aveva l’obiettivo di restituire il dato di
partenza per la successiva fase di smontaggio e
restauro conservativo, mentre la definizione dei
diversi livelli di dettaglio, necessari sia alla stampa
delle integrazioni ossee, sia alla realizzazione di un
nuovo supporto espositivo e di un modellino tattile per ipovedenti, sono state programmate nella
fase di lavorazione contestuale al restauro; e questo anche per effettuare i necessari test preliminari
volti a verificare le effettive prestazioni del set di
tecnologie e metodologie di rilievo e modellazione
adottate. Per la scansione è stato utilizzato un laser
scanner che applica il sistema detto a triangolazione ottica, mentre per l’elaborazione dei dati è stato necessario l’utilizzo di più software: Metashape
6. L’intervento di ricollocazione della cresta nucale.
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maschile, è stato stimato sulla presenza dei canini
mandibolari e mascellari ancora visibili nelle foto
storiche di archivio, oltre che da alcune tracce
morfologiche ancora leggibili sui margini interalveolari delle mandibole e delle mascelle riconducibili alle bozze degli alveoli, nonostante le consistenti stuccature.
Dallo studio delle suture craniali, nello specifico da quella interfrontale, è stato possibile
stabilire che l’animale al momento della morte, avvenuta a causa dell’eruzione, avesse oltre i
sette anni di età. D’altronde, lo stesso stadio di
abrasione e usura dentaria palesa un’età adulta
dell’individuo.
L’osservazione autoptica del campione ha
consentito di riscontrare talune anomalie morfologiche e morfometriche da imputare, con molta
probabilità, a stress meccanici e/o a traumi durante la vita dell’animale, come nel caso della mandibola, che palesa un ispessimento del corpo mandibolare destro, associato ad una notevole rugosità,
certamente non imputabile alle staffe metalliche
utilizzate come supporto (fig. 5), ma ad un evento
pregresso, di origine traumatica probabilmente,
che ha condizionato anche la masticazione dell’animale durante le fasi di vita19.
Importanti interventi di reintegro incidono
su numerose porzioni anatomiche, soprattutto sul
cranio (occipitale, parietale, squama temporale,
nasale, processo zigomatico del frontale e orbitale).
La cresta nucale, non in asse con l’interparietale,
era ruotata verso destra. Una meticolosa attività di
rimozione delle stuccature e di riconnessione dei
segmenti, effettuata dai restauratori, ha riportato
in asse le porzioni anatomiche (fig. 6).
Anche per la colonna vertebrale è stato necessario, dopo la rimozione di collanti e stuccature,
ricollocare le singole vertebre in sede naturale. Lo
stato attuale della colonna non consente una efficace osservazione di eventuali patologie legate alla
vita dell’animale ma sembra evidente che almeno
due vertebre lombari, la L2 e la L3, siano tra loro
fuse, una deformazione patologica che suggerisce
uno stress meccanico in vita dovuto ad un’attività
lavorativa intensa e protratta nel tempo o ad una
prolungata cavalcatura20. Altri ingenti interventi
di reintegro interessavano le mandibole, lacunose
del ramo e del processo condilare.
Specifici esami e approfondimenti biologici potranno maggiormente definire le specificità
tassonomiche e genetiche relative all’individuo
equino, al suo stato di salute, alla sua alimentazione e alla sua qualità di vita, elementi che meglio
potrebbero chiarire anche l’utilizzo dell’animale
prima della sua morte.
Per pianificare le operazioni relative alla proposta delle ossa da integrare e riproporre in modellazione e stampa 3D, allo scopo di ricomporre
lo scheletro superstite, le problematiche affrontate
sono state di differente ordine e grado. Queste si
riferivano sia alle ossa isolate, sia alle ossa lacunose
da “connettere” alla porzione anatomica residua.
Due elementi hanno inciso fortemente sulla scelta dei segmenti da reintegrare che ricadeva, inevitabilmente, sulla stabilità della struttura
scheletrica da riproporre nel nuovo allestimento.
Il primo elemento si riferiva alla natura stessa del
prodotto da riprodurre ex-novo ed al suo peso spe-
7. Rappresentazione dello scheletro di equide su cui
sono evidenziate le porzioni scheletriche riproposte in
stampa 3D (in b/n).
(per l’elaborazione fotogrammetrica di immagini
digitali e per generare dati spaziali 3D), Zbrush
(per modellazione, texturizzazione e painting in
3D e 2.5D), Cinema 4D (per modellazione 3D,
animazione e rendering). A giocare un ruolo determinante nella scelta dei linguaggi e delle tecnologie da impiegare è stata la particolare natura
dell’oggetto da valorizzare. Fin dalle fasi iniziali di
progetto, la costruzione del percorso operativo per
la realizzazione del modello 3D e del supporto per
il nuovo allestimento si è caratterizzata come una
sfida complessa e impegnativa, scandita soprattutto dalla necessità di interagire con alcuni elementi
peculiari del reperto: lo stato di conservazione, la
lunga permanenza in una postura errata, la conclamata fragilità di alcune parti, la necessità di visualizzare anche le parti non visibili degli innesti
di cranio, vertebre, costole ed arti. Un ulteriore
elemento vincolante nella definizione delle carat-
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Parco Archeologico di Pompei / Intervento nello stabulum I 8, 12
11. Collaudo del prototipo in MDF: rimontaggio del
cranio e della parte superiore della colonna vertebrale
(sinecerastudio©).
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10. Modelli 3D dei supporti delle vertebre ricavati
con fotogrammetria (sinecerastudio©).
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8. Le attività tecnologiche di supporto al progetto di
valorizzazione: flusso di lavoro.
13. L’equide restaurato e rimontato con il nuovo supporto.
unico della lastra in plexiglass trasparente, assemblaggio con l’ausilio dell’archeozoologo, dei restauratori e degli artigiani digitali, dello scheletro.
fase, fondamentale è stato il supporto scientifico
dell’archeozoologo. In totale, sono state modellate
in 3D: le parti mancanti della mandibola (dx e
sn), l’atlante, l’epistrofeo, l’osso sacro, la falange
distale, le ossa della coda. Si sono inoltre modellati i quarantadue diversi sostegni per le vertebre,
le costole e la coda che, sagomati individualmente e sulla traccia della scansione in negativo della
parte di osso che avrebbero sostenuto, hanno una
funzione portante e sono stati pensati per essere
innestati sulle parti lineari del supporto in plexiglass. Disegnati come leggerissime selle e come
semicerchi penduli, risultano invisibili e facilmente smontabili, così da rispondere alle esigenze del
pubblico, che ha la necessità di vedere lo scheletro nella sua integrità, e quelle dello studioso, che
deve poter prelevare/smontare singole parti per le
proprie ricerche.
Si sono stampate in 3D le ossa progettate ex
novo e necessarie ad integrare il profilo dell’equide, i perni che dovevano reggere colonna vertebrale, costole e la struttura a sostegno di cranio
e mandibola, il modellino tattile da inserire nel
pannello espositivo in braille. Per le stampa di tutti questi elementi è stata utilizzata una stampante
a resina, con resina grigia fotosensibile, successivamente trattata con pigmenti con l’obiettivo di
riprodurre il colore originale.
Un discorso più complesso riguarda la progettazione e la stampa dei supporti necessari a
reggere il peso di cranio e mandibola; concepiti
come parte integrante dell’intelaiatura che ne
regge la struttura scheletrica, sono stati realizzati
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12. Il nuovo supporto espositivo in uno spazio virtuale 3D (Marco Flaminio©).
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9. Modello 3D dei supporti a sostegno della testa
dell’equide (sinecerastudio©).
teristiche del sistema portante della struttura ossea del cavallo è stata la scelta di dare la giusta
visibilità ad un reperto di grande valore, indicando come rigoroso vincolo, la realizzazione di un
supporto leggero e non invasivo che, a differenza
di quello smontato, interagisse con il reperto valorizzandone la singolarità. La procedura operativa
si è così articolata (fig. 8): acquisizione e combinazione di immagini provenienti da set differenti, modellazione dei reperti ossei da integrare e
dei supporti a sostegno delle parti fragili (figg. 9
e 10), progettazione dei supporti per il cranio e
le ossa della colonna vertebrale (fig. 11), stampa
3D dei materiali modellati (fig. 12), progettazione
preliminare del supporto espositivo (figg. 17-19),
realizzazione di prototipi sperimentali, in polistirolo e MDF (fig. 13), collaudo e correzioni sui
prototipi, progetto esecutivo per eseguire il taglio
Il percorso operativo
La scansione ha fornito una restituzione fedele
e relativamente veloce della morfologia della struttura ossea dello scheletro e del suo supporto espositivo nelle sue tre dimensioni spaziali (X,Y,Z), la
sua immediata misurabilità, la possibilità di una
sua georeferenziabilità e, sebbene nella modellazione 3D degli oggetti, siano possibili diverse
astrazioni, l’utilizzo del laser scanner e l’impiego
diretto delle nuvole di punti ha consentito la realizzazione di un rilievo preciso ed oggettivo, privo
di incertezze interpretative, che ha anche avuto il
merito di registrare le tante lacune causate dalla
lunga esposizione. L’elaborazione del modello ha
però necessitato di una serie di ulteriori scansioni
di dettaglio, che attraverso l’uso della fotogrammetria hanno permesso di completare l’esatta
morfologia dei singoli reperti ossei nei punti non
leggibili perché saldati, restaurati e/o semplicemente montati nella loro posizione naturale, ed
ha fornito il negativo dei reperti ossei per i quali
era necessario progettare un sistema portante di
appoggio, solido ma poco invasivo, da ancorare al
supporto espositivo.
Con la modellazione si sono riprodotte le ossa
necessarie alla stabilità delle varie parti conservate,
partendo dalla scansione di dettaglio; in questa
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Parco Archeologico di Pompei
Laura del Verme, Marco Flaminio
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14. Lo stato di avanzato degrado degli elementi ossei
e della struttura metallica.
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IL RESTAURO CONSERVATIVO
DELL’EQUIDE E IL NUOVO
ALLESTIMENTO MUSEALE
tessuto osseo delle vertebre toraciche ed il cavo
metallico). L’atlante e l’epistrofeo, infatti, privi
dell’arco dorsale ormai perduto, sono state le ossa
più interessate dalla stuccatura riempitiva, la quale
ne modellava in maniera grossolana la forma.
Lo stesso stucco era presente anche in parte
delle vertebre toraciche, soprattutto nelle lacune
del processo spinoso; numerose stuccature di
giunzione, invece, si rilevavano tra gli elementi ossei delle vertebre lombari, sacrali e caudali.
Sono state riscontrate due tipologie di stucco:
una sottostante realizzata con materiale più tenace, resinoso, di colore giallo (probabilmente
Sintolit) che riproponeva in modo arbitrario il
modellato mancante e teneva uniti i vari frammenti; un’altra posta sopra, più sottile e poco
tenace, probabilmente di gesso, di tonalità simile
al materiale osseo.
Infine, un adesivo molto forte, di probabile
origine animale, era stato impiegato per unire in
modo non naturale alcuni elementi, rivelandosi
nel tempo dannoso per il tessuto osseo, più fragile
e tendente a disgregarsi nei punti di giunzione.
La struttura di supporto che sosteneva lo
scheletro dell’equide e ne garantiva una posizione
eretta era stata realizzata interamente in metallo:
un tubo in ottone del diametro di circa 15 mm
era inserito all’interno dei fori vertebrali e si prolungava fino al cranio. In corrispondenza delle
vertebre coccigee il tubolare si interrompeva e un
cavo più sottile, sempre metallico, era incastrato
all’interno del primo, così da rendere più agevole
l’inserimento nelle più piccole ossa caudali.
In prossimità delle prime vertebre toraciche,
invece, e sotto quelle che compongono il sacro,
erano stati avvitati al tubolare due semicerchi metallici, saldati poi a due tripodi di ferro pieno. Il
proposito di impiegare una forma strutturale semicircolare ipotizza un più agevole posizionamento delle scapole e del bacino sul tubolare.
Ai tripodi, poi, erano vincolati i quattro arti:
tubolari in ferro di minor diametro passavano, infatti, all’interno del tessuto osseo con lo scopo di
sostenere il peso, mentre all’esterno era presente
del fil di ferro utilizzato come fascetta per il fissaggio al supporto metallico.
Le costole erano sostenute da sottili tubolari di rame che passavano all’interno del tessuto
spugnoso, celati in parte da numerose stuccature
riempitive.
La mandibola era perforata da un perno metallico orizzontale che permetteva di ancorarla al
cranio mediante fili di rame. Inoltre, due staffe
metalliche posizionate sotto la mandibola e collegate a fili ancorati ai tripodi contribuivano a sostenere il peso dell’intero sistema cranio-mandibola.
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con l’obiettivo di nascondere alla vista del visitatore le parti bullonate e funzionali all’equilibrio
statico di questa parte dell’equide. Anche i perni
delle vertebre e le staffe portanti delle costole sono
stati modellati uno per uno, facendo passare nei
punti meno visibili sottili fili di aggancio elastici, in modo da facilitarne l’estrazione in caso di
necessità.
Il nuovo supporto doveva essere leggero e non
invasivo e, a differenza di quello smontato, interagire con il reperto valorizzandone la singolarità,
tentando di collocare anche le parti scheletriche
più pesanti nella naturale postura. Questa visione
ha consigliato la progettazione preliminare di un
prototipo in MDF su cui montare supporti, stampe integrative di cranio, mandibola e colonna vertebrale, prima della realizzazione degli esecutivi,
così da determinare con una precisione millimetrica misure e posizioni. Il supporto espositivo è
stato dunque progettato prevedendo la sagomatura di un’unica lastra quadrata di 2 cm di spessore
e 2 m di lato che fungesse, grazie alla sua solidità,
anche da telaio portante per lo scheletro, e su cui
fissare, attraverso perni rettangolari in plexiglass
incollati ed avvitati al supporto, gli arti anteriori,
gli arti posteriori ed il bacino. Una struttura sagomata al millimetro, solida ed invisibile, ancorata
ad una base metallica con perni di fissaggio da 30
cm, incardinata nello spazio dello stabulum, mostra al pubblico un cavallo in posizione eretta con
l’attenzione rivolta al visitatore.
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Introduzione
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L’intervento di restauro conservativo, finalizzato al recupero e alla tutela dei reperti scheletrici
del cosiddetto “Cavallo di Maiuri”, ha interessato
sia lo scheletro che il locale stesso del ritrovamento, lo stabulum, dove è attualmente musealizzato.
Con il gruppo di lavoro è stato possibile affrontare le problematiche conservative del reperto
conducendo, contemporaneamente, un approfondito studio scientifico dello scheletro, non affrontato all’epoca del ritrovamento. Il lavoro sinergico
ha reso l’esperienza lavorativa un vero e proprio
intervento multidisciplinare: un momento di
studio ma anche di riflessione sulle corrette metodologie di intervento da applicare per rendere
il reperto pienamente fruibile e adeguatamente
valorizzato.
Stato di conservazione
Interventi precedenti
L’intervento manutentivo più invasivo risale probabilmente agli anni ’60 del secolo scorso,
quando, durante una manutenzione straordinaria,
le ossa della colonna vertebrale, in particolare le
vertebre cervicali, fortemente lacunose, furono integrate con uno stucco molto tenace che serviva
sia da protezione del tessuto spugnoso (in corrispondenza delle lacune), sia da riempitivo (tra il
Gli elementi ossei e il relativo supporto metallico versavano in un avanzato stato di degrado,
dovuto alla ripetuta esposizione agli agenti atmosferici e al naturale deperimento dei materiali costitutivi (tessuto osseo e metallo) compromessi ulteriormente da interventi manutentivi non idonei.
Le ossa erano fragili, disidratate e completamente ricoperte da depositi incoerenti, coerenti e
cosparse di guano di animale (figg. 14-15).
15. Lo stato di conservazione degli elementi ossei:
adesivi, stucchi non idonei e vincoli metallici degradati.
Residui di adesivo molto forte si presentavano
oltre i punti di giunzione delle ossa toraciche per
mantenere uniti dei piccoli frammenti. Le numerose lacune si presentavano in gran parte colme di
stucco. Inoltre, si riscontravano tracce di un vecchio protettivo ormai alterato.
Fessurazioni, esfoliazioni e lacune erano presenti su quasi la totalità delle vertebre, dove il tessuto spugnoso risultava molto fragile e impoverito
fino in profondità.
Numerose le mancanze nei processi spinosi:
quasi del tutto assenti quelli delle vertebre toraciche e lombari. La gabbia toracica dell’animale,
inoltre, era ormai quasi completamente perduta,
così come la terza falange destra posteriore e alcuni denti dell’arcata inferiore.
Interessante il riscontro di un differente stato
di conservazione tra la colonna vertebrale e i quattro arti, superiori e inferiori. Questi, infatti, erano
caratterizzati da un tessuto più resistente rispetto
a quello delle vertebre, con lacune di media entità
e un tessuto spugnoso più compatto. Erano pre-
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Parco Archeologico di Pompei / Intervento nello stabulum I 8, 12
Intervento di restauro
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16. Pronto intervento in situ prima dello smontaggio
di tutti gli elementi: fissaggio di piccoli frammenti in
pericolo di caduta e successiva velinatura.
Le prime riflessioni sono scaturite dalla necessità di liberare il materiale osseo dalla struttura
metallica di sostegno aggiunta in un precedente
intervento conservativo e non più idonea, contrastando così l’insorgere di fenomeni alterativi e dei
prodotti di corrosione del supporto metallico.
A queste, poi, è seguita una ponderata scelta
dei prodotti da impiegare, idonei alla materia e
selezionati per la loro durabilità ed efficacia.
Secondo aspetto fondamentale, la necessità di
realizzare un nuovo sostegno: una struttura non
invasiva come la precedente ma contenitiva, con
lo scopo di accogliere la fragile materia ossea, ristabilendo la corretta postura dell’animale e un calibrato scarico dei pesi, aspetto fondamentale per
la conservazione nel tempo.
Dopo uno studio preliminare della letteratura
presente nonché del materiale fornito dall’archeozoologia sulla morfologia dell’equide, è stato possibile individuare la corretta metodologia di intervento, in relazione anche alla complessità delle
vicende storiche e del naturale invecchiamento del
tessuto osseo.
La prima fase dell’intervento conservativo
ha previsto il rilievo in situ dello scheletro e del
suo supporto metallico con la tecnologia del laser scanner, in modo da acquisire informazioni e
disporre di una documentazione dettagliata dello
stato di fatto, sia del tessuto osseo sia della postura
non corretta relativa all’ultimo assemblaggio.
Lo scheletro è stato poi oggetto di un pronto
intervento in situ: dopo una prima spolveratura
preliminare è stato necessario, infatti, eseguire alcuni fissaggi23 di piccoli frammenti in pericolo di
caduta e una velinatura di protezione24 per le porzioni più fragili, come fratture o distacchi, in previsione del successivo smontaggio e del trasporto
in laboratorio.
La collaborazione e l’assistenza dell’archeozoologa è stata indispensabile già in questa fase
di smontaggio (fig. 16): è stato infatti necessario
tagliare in più punti il tubolare metallico poiché
risultava difficoltoso estrarlo da tutte le vertebre
semplicemente sfilandolo, in quanto incollato e
bloccato con lo stucco. In corso d’opera, quindi, si è deciso di tagliare i tripodi all’altezza dei
semicerchi e trasportare la colonna vertebrale col
cranio e parte del supporto in laboratorio.
Per primi sono stati scomposti gli arti: gli
elementi non erano incollati tra loro25 ma solo
vincolati da un filo metallico che correva al loro
interno. Il sistema di ancoraggio è risultato poco
complesso in quanto è bastato rompere i fili che
vincolavano le ossa ai tripodi e liberarle così dai
cavi interni che le irrigidivano. Una volta smontate le singole parti sono state ordinate in grandi
cassette predisposte con Teflon come strato ammortizzante.
A questo punto si è proceduto alla rimozione
dei semicerchi e all’estrazione del tubo in ottone
all’interno delle vertebre; questo è stato tagliato
partendo dalla zona delle vertebre caudali e ciò ha
consentito la rimozione del tubolare più piccolo.
Si è proseguito poi verso il cranio, tagliando in
più parti il cavo grande di ottone e sfilando tutte
le vertebre in maniera graduale. Purtroppo, molte
di queste erano state incollate tra loro nell’inter-
vento precedente, probabilmente per mantenerle
dritte e impedirne ogni movimento intorno al tubolare, poi stuccate e riempite con un materiale
sintetico26.
Svincolate le singole parti e separato da esse il
cranio, si è proceduto con il consolidamento della
materia (fig. 17): operazione meticolosa che si è
protratta nel tempo per rispettare i giusti tempi di
asciugatura delle superfici e di azione dei prodotti.
È stato escluso sin da subito l’utilizzo di una
resina acrilica in emulsione o micro emulsione; si
è pertanto ricercato tra i prodotti in commercio
quanto più possibile affini al tessuto osseo e capaci
di penetrare in profondità.
È stato scelto l’ammonio fosfato bibasico27,
utilizzato in più concentrazioni28 (fino a un massimo del 15%) disciolto in acqua demineralizzata;
il prodotto è stato applicato per infiltrazione con
ausilio di piccole siringhe di plastica e nei casi più
gravi, dove la porzione era fortemente compromessa e dopo test di prova, è stato applicato per
imbibizione fino a rifiuto.
Utilizzato per il consolidamento di materiale lapideo a matrice carbonatica, il trattamento si
basa sulla formazione all’interno dei pori di un
sale di calcio estremamente insolubile, inattaccabile anche da acidi e basi e capace di riformare
legami tra i granuli di calcite decoesi.
Le variazioni cromatiche e la riduzione di
permeabilità conseguenti al trattamento sono
minime e pertanto trascurabili. Ricreata così una
accettabile resistenza meccanica è stato possibile
procedere con la rimozione delle parti plastiche
di rifacimento. Vista la tenacità del materiale utilizzato si è operato con mezzi meccanici: l‘ausilio
del microtrapano ha permesso, infatti, una lenta
ma controllata rimozione dello stucco, liberando
definitivamente tutte le ossa e le loro superfici
compresi gli incollaggi tra le vertebre.
Per quanto riguarda la cresta occipitale del
cranio, non trovandosi nella corretta posizione, è
stata rimossa e riposizionata correttamente.
La pulitura si è articolata in una serie di operazioni effettuate in modo graduale e controllato,
tenendo conto delle possibili alterazioni del tessuto osseo (fig. 18). I trattamenti sono stati condotti
nel rispetto del materiale costitutivo e mirati anche al recupero delle qualità estetiche.
Per la rimozione dei depositi coerenti e dei
residui di protettivo alterato è stata utilizzata una
soluzione acquosa di ammonio citrato29 alternata
a solventi organici30: entrambi sono stati applicati a pennello e/o con piccoli tamponi di cotone,
controllando sempre la bagnabilità delle superfici.
Per la macchia verde sulla parte sinistra del
cranio, ormai compenetrata nel tessuto osseo, si è
deciso di provare la cisteina (già utilizzata nel settore lapideo per la rimozione delle macchie causate dagli ossidi di rame), mediante compresse di
cisteina e polpa di cellulosa31. Alla sperimentazione è stata comunque affiancata una metodologia
più tradizionale per rimuovere, o quanto meno
alleggerire, le macchie di colore verde sul cranio e
mandibola: sono state quindi applicate compresse
di soluzione salina al pH basico32 supportata in
polpa di cellulosa e sepiolite, e lasciate sul substrato fino a completa essiccazione.
A questo punto, osservando insieme all’archeozoologa, è emerso che alcune delle vertebre sono
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17. Sezione che mostra il tubo in ottone inserito nelle
vertebre con l’originale sistema di ancoraggio dei semicerchi in ferro di A. Maiuri.
senti fori di diverse dimensioni entro i quali passavano i fili di ferro di ancoraggio e sostegno che,
nel tempo, a causa di condizioni microclimatiche
inidonee, hanno rilasciato macchie di ossidazione
color arancio.
Il cranio sembrava essere stato rimaneggiato più volte, con ricostruzioni del modellato e
inserimento di perni e staffe di contenimento.
La cresta occipitale si trovava ruotata rispetto
alla reale postura e pertanto non si presentava in
asse. Il cavo in ottone, esteso all’interno del cranio e a contatto con il tessuto osseo, per effetto
dell’umidità aveva rilasciato dei sali di rame che
sono migrati sulla superficie, penetrando nella
porosità del materiale e determinando la grande macchia verde circoscritta nell’orbita oculare
sinistra.
Il supporto metallico, così come tutti gli elementi di vincolo, era ossidato; i fili di ferro, inoltre, fragili e ammalorati, non svolgevano più la
loro funzione di ancoraggio al supporto.
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Parco Archeologico di Pompei
19. Ricollocazione del cranio sul nuovo sistema di
sostegno.
Lo stucco è stato accordato cromaticamente
in fase di preparazione con l’aggiunta di pigmenti
in polvere39, fino al raggiungimento di un tono
simile alla colorazione originale delle ossa.
Sulla base del rilievo effettuato, sono stati progettati, modellati e stampati in resina con stampante 3D alcuni elementi ossei mancanti40 ma di
fondamentale importanza per la riproposizione
della corretta postura dell’animale, da inserire poi
nella successiva fase di rimontaggio dello scheletro.
La progettazione del nuovo supporto ha avuto
inizio contemporaneamente allo studio preliminare, propedeutico al restauro delle ossa: a seguito
delle informazioni acquisite con lo studio della
letteratura disponibile, è emersa fin da subito la
necessità di ideare un supporto meno invasivo e
più gradevole esteticamente. La progettazione del
supporto è stato un vero e proprio work in progress: nel procedere con l’intervento conservativo
sulle ossa, infatti, sono emerse via via varie problematiche sul successivo rimontaggio dello scheletro
nella corretta postura e sul nuovo supporto.
Si è scelto di creare una sagoma dell’equide in
materiale trasparente, così da indicare una ipotetica volumetria di ingombro; lo scheletro dell’animale non era così più semplicemente sostenuto e
vincolato internamente ad un supporto rigido, ma
collocato su un supporto resistente e funzionale
nell’insieme, oltre che gradevole dal punto di vista
estetico.
Come materiale per la sagoma è stato scelto
il plexiglass per l’elevato indice di trasparenza e
versatilità del modellato, per la resistenza agli
agenti atmosferici e semplicità nella realizzazione
di eventuali tagli o perforazioni.
La successiva fase del riassemblaggio dello
scheletro sul nuovo supporto è stata una operazione molto laboriosa, in particolare per il posizionamento degli arti, ancorati tramite fili trasparenti41 a piccole barrette orizzontali anch’esse in
plexiglass e poste perpendicolarmente al supporto
con lo scopo di agevolarne l’inclinazione.
Per favorire nel tempo la tenuta di alcune
porzioni di maggior peso, come l‘omero e la tibia,
sono stati inseriti dei magneti, sfruttando i fori
preesistenti nelle zampe (fig. 19).
Infine, la nuova esposizione è completata da
una pedana in metallo color grigio antracite, ideata per sorreggere e incastrare la sagoma trasparente.
Lo stabulum
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18. Rimozione meccanica tramite microincisore della
stuccatura resinosa nelle vertebre cervicali.
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state rimontate in posizione non corretta, come
anche la cresta occipitale del cranio. Dall’attenta
osservazione della documentazione d’archivio è
stato quindi possibile riposizionare alcuni frammenti (soprattutto dei processi spinosi) recuperati
nello stabulum e raccolti in un sacchetto, reincollandoli33 nella loro esatta posizione.
Sempre in presenza dell’archeozoologa e sotto
la sua direzione, è stata più volte verificata la presenza e la corretta sequenza di tutti gli elementi
ossei dello scheletro; ed è stata proprio la ripetuta
osservazione visiva e i colloqui intercorsi con la
Direzione Lavori ad indirizzare il successivo intervento di stuccatura. Operazione, questa, non
sempre di facile esecuzione, in quanto pone di
fronte a molteplici riflessioni: ristabilita la continuità delle superfici per l’aspetto conservativo ma
anche estetico, rimane sempre il difficile quesito
se sia corretto o no ripristinare le forme. Nel caso
dell’equide, infatti, vi sono numerosi elementi lacunosi, se non addirittura mancanti. E questo è
tra i motivi della postura non corretta in cui si
trovava lo scheletro nel precedente allestimento.
Definite quindi le linee guida per l’integrazione plastica e delle lacune degli elementi ossei, si è
proceduto con lo stuccare dapprima le numerose
fessurazioni presenti sulle superfici e, successivamente, alla ricostruzione plastica degli elementi
più importanti e maggiormente lacunosi, in modo
da ripristinarne la resistenza meccanica e la continuità visiva.
Diverse, invece, le considerazioni fatte sulla
metodologia di intervento per quelle parti che
presentavano a vista il tessuto spugnoso34, in corrispondenza del quale le cavità, seppur consolidate
fino in profondità, nel tempo restano zone fragili
e più soggette al degrado e agli scambi termoigrometrici.
Di fondamentale importanza per lo studio
scientifico del reperto, infatti, era necessario che
il tessuto spugnoso rimanesse ben visibile e senza
occlusioni da alcun tipo di stucco che, oltretutto,
vista la morfologia delle cavità, non avrebbe più
la caratteristica fondamentale di reversibilità nel
tempo. Si è deciso pertanto di intervenire trattando la superficie non come lacuna da colmare, ma
come zona di abrasione, ricoprendo soltanto in
modo superficiale le cavità e abbassando di tono
la cromia grigio scura. Pigmenti in polvere sono
stati stemperati in una soluzione acquosa di microemulsione acrilica35 e applicati a pennello sulle
parti con tessuto spugnoso a vista: la presenza della microemulsione acrilica, inoltre, ne ha aumentato la resistenza meccanica.
Anche la scelta del materiale per le stuccature
e integrazioni plastiche è stato argomento di discussione: partendo dal presupposto che non esistono in commercio prodotti specifici ideati per
questa operazione su materiali indeboliti strutturalmente, per evitare di interferire con un materiale estremamente tenace rispetto alla fragilità dei
corpi ossei è stato scelto un prodotto36 commerciale formulato per l’operazione di stuccatura e di
integrazione del legno, molto flessibile, elastico e
con resistenza fisico-meccanica bassa37.
Prima dell’applicazione dello stucco, come
strato di intervento, la superficie è stata protetta
con l’applicazione di una micro emulsione acrilica38 in soluzione acquosa.
Lo stabulum conservava un sistema espositivo
molto simile a quello realizzato dal Maiuri nel secolo scorso, fatta eccezione per la base in cemento,
la terminazione dei tripodi e i pannelli lignei per
l’esposizione degli strumenti non più presenti.
Era coperto da una semplice tettoia di lamiera
ondulata e chiuso frontalmente da una grata metallica di protezione.
Le pareti, costituite da pietrame locale, presentavano una notevole decoesione delle malte,
lacune di media e grave entità ed erano visibili stilature tra i giunti risalenti ad interventi precedenti. Nella parete di fondo erano presenti frammenti
di intonaco grezzo, alcuni dei quali in pericolo di
crollo.
Intervento di restauro e nuovo allestimento del sito
L’intervento ha mirato a limitare gli scambi
termo igrometrici con l’esterno e il possibile accesso di volatili o altri animali, nonché a valorizzarlo
per una più completa fruizione.
Per attenuare l’umidità proveniente dal terreno, presente in alte percentuali, è stato steso un
telo di materiale plastico ricoperto poi con lapillo
locale. La lamiera di copertura e la grata di recinzione sono state rimosse, mentre le pareti sono
state pulite dai depositi incoerenti con pennellesse
morbide.
Per risanare i difetti di adesione tra la muratura e l’intonaco della parete di fondo è stata
utilizzata una malta idraulica premiscelata42 applicata per infiltrazione con l’ausilio di siringhe di
plastica.
I difetti di coesione, invece, sono stati risanati
con nanocalce,43, applicata sulle superfici per impregnazione a pennello e fino a saturazione. Successivamente, per colmare i vuoti della muratura,
sono state eseguite le stuccature di profondità,
utilizzando malte fibrate44; le mancanze tra i giunti, invece, più superficiali, sono state colmate con
malta idraulica45 preparata in situ, selezionando
cariche e inerti per colore e granulometria, prediligendo materiali locali.
Nella nuova copertura una trave metallica è
stata inserita orizzontalmente sui muri perimetrali
a sostegno di tutto il tetto; è stata creata dapprima
una orditura di travi lignee con sezione maggiore,
182
Parco Archeologico di Pompei / Intervento nello stabulum I 8, 12
IA
O
P
Stefania Giudice, Debora Fagiani,
Cristiana Ciocchetti
DAL RESTAURO ALLA VALORIZZAZIONE
C
Fin dalle primissime fasi di progettazione
dell’intervento il team di tecnici incaricati ha posto
tra gli obiettivi da conseguire, vista l’eccezionalità
del reperto, quelli di un miglioramento della sua
fruizione e valorizzazione tale da raggiungere un
pubblico ampio e inclusivo.
La presenza dello scheletro di un equide, ancora conservato in situ dal momento dello scavo e
grazie ad una fortunata forma di musealizzazione,
ha rappresentato un momento di riflessione non
solo per come favorire una lettura completa e complessa di quanto conservato, ma anche di come
trasmettere una rinnovata conoscenza del reperto
in questione, anche alla luce delle nuove indagini
portate avanti in questo intervento.
In tal senso il restauro del “Cavallo del Maiuri” ha rappresentato una occasione importante
anche per sperimentare nuove forme di comunicazione e fruizione, rispetto ad un ripensamento
attualmente in corso sull’accessibilità dei luoghi
della cultura, a partire dal periodo postpandemico. In più, la concomitanza con la riapertura della
Casa di Cerere offre una interessante occasione
conservato, limitando così le sezioni e gli elementi
di collegamento, tale da avere una maggiore luce
libera per i pannelli in cristallo antisfondamento e
per garantire una lettura completa dello sviluppo
dello scheletro dell’equide.
Arianna Spinosa
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia il gruppo di lavoro per la continua
disponibilità e dedizione in tutte le fasi progettuali
e operative
Gruppo dei lavori: RUP: Dott.ssa Luana Toniolo, Direttore dei Lavori: Dott.ssa Stefania Giudice, Direttore Operativo Restauratore: Dott.ssa
Paola Sabatucci, Direttore Operativo Architetto:
Arch. Arianna Spinosa, Direttore Operativo Ingegnere: Ing. Armando Santamaria, Coordinatore
alla Sicurezza: Ing. Vincenso Calvanese, Supporto
Contabile Ales: Geom. Amedeo Mercogliano, Archeozoologo: Dott.ssa Natascia Pizzano, Rilievo
Laser Scanner e modellazione 3D: SineCeraStudio di Laura del Verme (Dott.ssa Laura del Verme
e Sig. Marco Flaminio).
Impresa appaltatrice: DF 1 – Restauro Beni
Culturali di Fagiani Debora: Dott.ssa Debora
Fagiani, Dott.ssa Cristiana Ciocchetti, Dott.
Massimiliano Massera, Dott.ssa Valeria Bertolani,
Geom.: Federicoluciano Antonini.
L. Toniolo (a cura di) et al.
E
R
Infine, è stata predisposta una vetrata antisfondamento all’interno di un serramento metallico con finitura a finto korten, con lo scopo di
proteggere il reperto e contenere il più possibile
un microclima interno idoneo alla sua conservazione. I cristalli, infatti, sono stati posizionati
all’interno del serramento lasciando aperture perimetrali per il ricircolo dell’aria.
La nuova musealizzazione dell’equide è stata
completata con il posizionamento di due pannelli
espositivi posti ai lati, uno bilingue e l‘altro con
testo in Braille (fig. 20), che ne raccontano le vicende storiche e ne descrivono l’intervento conservativo.
TO
al di sopra della quale sono stati posti i travetti
della seconda orditura, rispettando un interasse di
0,40 m. Successivamente sono stati posti in opera
gli embrici che, essendo tutti della stessa misura,
si posano tra i travetti incastrandosi perfettamente
tra di loro nelle ampie scanalature. Coppi ed embrici sono stati scelti con cura tra quelli realizzati
a mano in fornace e hanno una tonalità rosata
chiara che ben si integra al contesto architettonico
del Parco.
A
U
20. Il modello tattile per ipovedenti.
di visita, attraversando il vicolo tra l’insula 8 e
l’insula 9 della Regio I di due episodi, apparentemente minori per dimensione dei luoghi, rispetto
alle grandi domus e monumenti, ma eccezionali
per la particolarità del bagaglio di conoscenze che
mettono a disposizione del visitatore più curioso.
Tali interventi, dal punto di vista della fruizione
generale dell’intero sito di Pompei, contribuiscono inoltre a rendere “più porosa” la fruizione del
sito nell’attraversamento dei vicoli trasversali tra
Via dell’Abbondanza, divenuta oramai un asse di
percorrenza veloce, grazie all’intervento di miglioramento dei percorsi accessibili, con Via di Castricio, sull’asse oramai consolidato dall’Anfiteatro
verso le domus del Menandro e dell’Efebo.
L’intervento relativo alla pannellistica presenta un testo in Braille e un modello tattile tridimensionale dello scheletro, che rientra all’interno di un piano per l’eliminazione delle barriere
sensoriali messo in atto dal Parco Archeologico di
Pompei dal 2016, a partire dall’inaugurazione del
percorso facilitato “Pompei per Tutti”46. Infatti,
sulla scia di un solco già tracciato con l’intervento
“Pompei per Tutti” che ha migliorato il livello di
accessibilità fisica al sito con il superamento delle
barriere architettoniche, il Parco ha avviato, sulla base degli indirizzi della Direzione Generale
Musei e dei finanziamenti del PNRR, una serie
di progettazioni che mirano alla individuazione di
nuove forme e strategie di fruizione e valorizzazione, così da consentire il più ampio accesso ai siti
museali e partecipazione alla cultura.
Nelle progettazioni avviate ai percorsi senza
barriere si affianca l’impiego di supporti e guide facilitate (digitali e non), video, racconti con
linguaggi visivi e modelli tattili per le aree più
rappresentative del sito. Ciò consentirà a ciascun
visitatore di selezionare mano a mano i livelli di
approfondimento e di conoscenza della Pompei
antica.
In tal senso l’intervento di restauro appena
concluso rappresenta una prima sperimentazione che si ricollega ad un piano più ampio, in cui
confluiscono tutte le azioni in corso e in programmazione.
Infine, tra gli obiettivi posti alla base della
progettazione dell’intervento di restauro ricordiamo la particolare attenzione dedicata anche
al “contenitore”, l’ambiente stalla. Nell’ambito
dell’intervento della Messa in Sicurezza della Regio
I, terminata nel 2020, si era attuata una mera manutenzione ordinaria delle strutture di copertura
esistenti, al fine di eliminare le problematiche di
infiltrazione di acqua e di ossidazione dei profili di
ferro, posti a sorreggere un manto di copertura in
lamiera. L’intervento progettato invece ha previsto
un rinnovamento generale delle coperture con un
nuovo tetto a falda con struttura in travi di legno
di castagno e manto con tegole tipo “Pompei”,
secondo le tecniche tradizionali impiegate nel vicino intervento delle nuove coperture della Casa
di Cerere.
Con tale intervento, inoltre, si è migliorato
il sistema di raccolta e smaltimento delle acque
meteoriche, portandole al di fuori dell’ambiente
lungo il vicolo.
Alla struttura di copertura è collegato l’infisso di protezione del cavallo, a sostituzione di una
rete in ferro, ritenuta poco decorosa per il reperto
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Note
A
U
TO
1
Su questo tema si veda Toniolo 2021a; su
Maiuri si veda in dettaglio Osanna 2017.
2
Si veda ad esempio la Fullonica di Stephanus, la
Casa di Championnet, la Casa di Cerere, la Casa del
Larario fiorito, cfr. Toniolo 2021a, p. 162.
3
L’intervento di “Restauro degli apparati decorativi e delle aree di giardino della Casa di Cerere” è stato
avviato nel luglio 2020 e concluso nel luglio 2021, Responsabile Unico del Procedimento, architetto Arianna
Spinosa, Direzione dei Lavori architetto Anna Onesti,
direttori operativi archeologa Luana Toniolo, restauratrice Raffaella Guarino, ing. Alessandra Zambrano. La
progettazione architettonica è stata curata dalla R.P.A.
mentre il progetto strutturale dall’ing. Giovanni Cangi.
4
Oltre al caso qui presentato, cinque esemplari sono stati rinvenuti nella stalla dell’Insula dei Casti
Amanti (IX 12) e nella stalla della Casa di Amaranto(I
9, 12) e nella cucina della Casa del Giardino nella Regio
V, si veda Richardson, Thompson, Genovese 1997.
5
Si veda Osanna, Toniolo 2022, pp. 164-175;
Osanna et al. 2021, pp. 183-184; Toniolo 2021b, pp.
535-540.
6
L’arch. Arianna Spinosa, progettista e successivamente Direttore Operativo per gli aspetti architettonici
e l’ing. Armando Santamaria, progettista e Direttore
Operativo.
7
Dott.ssa Stefania Giudice, progettista per gli
aspetti di restauro e successivamente Direttore dei Lavori e la dott.ssa Paola Sabattucci, progettista per gli
aspetti di restauro e Direttore Operativo.
8
Maiuri 1954, p. 88.
9
Della Corte 1946.
10
Della Corte 1946.
11
CIL IV, 5808.
12
Osanna 2017.
13
Si veda ad esempio il volume Pompei ed Ercolano
fra case abitanti.
14
Intervento “Restauro dei calchi e reperti di Pompei
(GPP 34)”, RUP S. Vanacore; progettisti A. Capurso, L.
D’Esposito, S.M. Masseroli, S. Vanacore, con la collaborazione di S. Giudice, M. Valentini, N. Vitiello.
15
Il cavallo è un animale adattato alla corsa che
viene spesso utilizzato in attività fisicamente molto stressanti, sottoponendo le ossa e le articolazioni a stress e
traumi. Un ruolo molto importante in quest’ottica è rivestito dalla colonna vertebrale, che può essere soggetta
a diverse patologie.
IA
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E. Schmid, Atlas of animal bones for Prehistorians,
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16 Le vertebre toraciche sono molto superficiali e,
corrispondendo alla zona della sella, hanno la tendenza a soffrire di alcune patologie, come anche le vertebre
lombari, dove si trova la groppa del cavallo. Sarebbe
opportuno un approfondimento specifico per certificare
l’origine biologica di una tale regressione ossea.
17
Considerato lo stato di conservazione “alterato”
del campione, l’attribuzione alla specie dell’Equus Caballus L. è stata fatta con grande prudenza. Per avere
informazioni certe riguardo del taxon di appartenenza
sono necessarie e opportune indagini mirate di tipo genetico.
18
De Grossi Mazzorin, Riedel, Tagliacozzo
1998; Minniti 2005.
19
Conseguenza diretta della deformazione è lo stadio di abrasione dentaria che sembra palesare una masticazione irregolare e asimmetrica.
20
Cfr. anche Santini 2007.
21
Si veda infra il contributo di del Verme e Flaminio.
22
La diffusione delle tecniche laser a scansione è abbastanza recente e grazie alla disponibilità di strumenti
sempre più performanti ed economici ha avuto un notevole impulso negli ultimi dieci anni, si veda Bornaz
2006; Sgrenzaroli, Vassena 2007; Cundari 2012;
Angelini, Gabrielli 2013, Grosman 2014, Delpiano
2017, Barone 2018.
23
Mowital B60 al 5% in alcool etilico.
24
Mentolo al 10% in alcool etilico.
25
Ad eccezione di due piccole porzioni, la falange
mediana incollata alla falange distale (zoccolo).
26
Sintolit, stucco poliestere ampiamente utilizzato
negli anni ’60 del Novecento.
27
Ammonio fosfato bibasico (diammonio fosfato
DAP) della CTS Europe.
28
Si è partiti da una concentrazione del 5%, poi
del 10% e nei casi più degradati con una concentrazione
del 15%.
29
Saliva sintetica: ammonio citrato al 5% in acqua
demineralizzata.
30
Alcool isopropilico e acetone.
31
Soluzione di cisteina al 3% in acqua con tempo
di applicazione di 4 ore, che ha permesso di alleggerire
la cromia delle macchie e ridurre l’estensione degli aloni.
32
Carbonato d’ammonio in soluzione satura.
33
Movital al 5% in alcool etilico.
34
Fenomeno evidente soprattutto nelle vertebre
cervicali e toraciche.
35
Resina acrilica in amulsione Acrylic E411 in acqua demineralizzata al 15%.
36
La Balsite, una resina epossidica bicomponente
prodotta da CTS Europe.
37
Il valore di resistenza meccanica condiziona la
facilitò o meno di resistenza dello stucco.
38
Resina acrilica in emulsione Acrylic E411 in acqua demineralizzata al 15%.
39
Terra di siena naturale, terra d’ombra naturale,
nero, bianco di titanio.
40
Progettazione, modellazione e stampa delle parti
mancanti della mandibola (dx e sn), l’atlante, l’epistrofeo, l’osso sacro, la falange distale, ossa della coda.
41
Fili di lenza e fili elastici trasparenti di nylon.
42
PLM A prodotto dalla CTS Europe.
43
Nanorestore - dispersione di idrossido di calcio in
alcool isopropilico, prodotta da CTS Europe.
44
MM30-Fassa Bortolo.
45
PLM A prodotto dalla CTS Europe.
46
L’intervento “Pompei per tutti. Percorsi per
l’accessibilità e il superamento delle barriere architettoniche”, finanziato con fondi PON FESR 2007-2013,
è stato avviato nel giugno 2014 e concluso a dicembre
2016 (Direttore Generale del Grande Progetto Pompei:
184
Parco Archeologico di Pompei / Pompei I 17
che si è avvalso anche del supporto di Invitalia Attività Produttive spa. Gianluca Vitagliano ha coordinato il
gruppo che si è occupato della progettazione esecutiva
e della direzione dei lavori, costituito da U. Sansone, L.
D. Esposito, M. L. Iadanza, A. Martellone, A. Spinosa,
M.C. Lombardo, E. Tonnera. L’intervento è illustrato
in Sirano 2016 e in Filetici, Sirano, Vitagliano
2018.
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prima Giovanni Nistri, poi Luigi Curatoli; Soprintendente: Massimo Osanna). Francesco Sirano ne è stato
responsabile unico del procedimento, mentre Maria
Grazia Filetici ha coordinato il gruppo di progettazione