2021 | LXIV | 1
AquinAs
Rivista Internazionale di Filosofia
Facoltà di Filosofia
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Costruzione e ripercezione
Note sulla memoria in Husserl e Freud
MartiNo feyLeS
Nel Teeteto Platone offre al lettore due celebri immagini per descrivere la memoria. La prima immagine è quella del «materiale di cera di tipo
plasmabile»1. È questo materiale, che è un «dono di Mnemosyne», che ci permette di ricordare. Le percezioni e i pensieri lasciano una traccia su questo
supporto plasmabile «come se vi si imprimessero segni di sigilli»: finché
questa traccia si conserva, noi siamo in grado di ricordare; nel momento in cui
la traccia si cancella, il ricordo svanisce.
La seconda immagine, quella della «colombaia» è completamente diversa, ma è lo stesso Platone a collegarla alla prima2. Le esperienze vissute
appaiono, in questo caso, come dei volatili che il soggetto ha catturato. Egli
possiede queste esperienze in una parte della sua mente, un po’ come colui
che ha una grande colombaia al cui interno sono custoditi degli uccelli selvatici. Tuttavia, questa disponibilità non è veramente un possesso effettivo:
«in un altro modo potremmo invece dire che non ha nessun colombo». Per afferrare effettivamente i volatili, nonostante essi siano «disponibili all’interno
di un suo recinto», è necessario inseguirli di nuovo, “cacciarli” e fare molta
attenzione ad afferrare proprio il volatile che si stava cercando e non un altro
che gli assomiglia. Questa immagine spiega come sia possibile che qualcuno
abbia delle conoscenze di cui «era da tempo entrato in possesso, ma che non
aveva nella piena disponibilità della sua mente». Nello stesso tempo spiega
1
2
Platone, Teeteto, 191c, tr. it. e cura di F. Ferrari, Rizzoli, Milano 2011, p. 451.
Ibi, 197c, p. 467.
aqUiNaS, Anno LXIV, 2021/I, pp. 95-112
95
MartiNo feyLeS
anche come sia possibile l’errore: inseguire i volatili non è facile, sia pure
nello spazio ristretto di una colombaia, e a volte può capitare che si prenda un
ricordo al posto di un altro.
Le due immagini proposte nel Teeteto fissano in modo plastico due modi
di concepire il ricordo, due paradigmi, vorrei dire, che hanno segnato tutta
la storia della riflessione filosofica (ma anche scientifica) sulla memoria. Il
primo paradigma accentua le dimensioni dell’oggettività e della passività
della memoria: il ricordo in questo caso ha la fissità di un’impronta che si
imprime oggettivamente, lasciando la sua traccia nella mente. Il secondo paradigma, al contrario, evidenzia l’instabilità della memoria e il carattere attivo
del ricordo: l’immagine della colombaia ci suggerisce l’idea di una memoria
“volatile” fatta di ricordi difficili da “riafferrare”3.
Le teorie della memoria di Husserl e Freud si prestano bene ad esemplificare l’alternativa tra questi due paradigmi. Possiamo dire che la concezione
husserliana del ricordo rappresenta il più autorevole tentativo contemporaneo
di ribadire l’oggettività della memoria. D’altra parte, la psicoanalisi non cessa
di accumulare evidenze a proposito del carattere volatile dei nostri ricordi e
della difficoltà di riafferrare ciò che in qualche modo è già in nostro possesso.
Se Husserl moltiplica gli sforzi per garantire al soggetto la possibilità di cogliere la verità del passato, Freud non smette di inquietarci evidenziando il
carattere falsificante della memoria e la difficoltà di recuperare i ricordi. Si
potrebbe pensare, dunque, a due prospettive nettamente contrapposte: in realtà
io credo che la distanza tra queste due prospettive sia meno grande di quel che
si potrebbe immaginare. Senza voler negare le differenze di posizione, vorrei
mostrare che i punti di vista della fenomenologia e della psicoanalisi a proposito della memoria non sono in contraddizione e che un ponte, per colmare la
distanza tra le due, può essere costruito.
1. L’evidenza della ritenzione
Husserl affronta il problema della memoria in una prospettiva epistemologica e cognitiva. Poiché l’evidenza è il principio dei principi su cui tutto
l’edificio fenomenologico è costruito4, l’esperienza del passato pone un problema fondamentale. L’evidenza è data dalla “presenza” nell’intuizione e di
3
4
96
Cfr. P. Ricoeur, La mémoire, l’histoire, l’oubli, Éditions du Seuil, Paris 2000; tr. it. di D. Iannotta, La
memoria, la storia, l’oblio, R. Cortina, Milano 2003, pp. 18 e ss.
Cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie herausgegeben von Erstes Buch, Husserliana, Bd. III, Martinus Nijhoff, Den Haag 1976: “Allgemeine
CoStrUzioNe e riperCezioNe
conseguenza la percezione, intesa come percezione immanente, è il fondamento di ogni evidenza. Ma cosa accade quando abbiamo a che fare con un
dato di esperienza che non è più presente? è possibile un’esperienza evidente
anche in questo caso? su cosa si fonda l’evidenza del passato?
Il problema è molto serio e Husserl ne è del tutto consapevole:
«Sembra […] che, nei nostri enunciati fenomenologici, noi siamo legati mani
e piedi ai fenomeni attuali, ai fenomeni nella loro presenza reale». Finché il
fenomeno è attuale, finché è presente nella coscienza, siamo autorizzati ad
affermare che siamo certi di ciò che in esso possiamo cogliere, ma quando il
fenomeno è passato ogni «enunciato perde il suo sostrato di validità»5. Se davvero le cose stessero così, l’orizzonte della certezza fenomenologica sarebbe
un orizzonte quanto mai ristretto. Poiché ciò che è attualmente dato è sempre
una porzione minimale dell’esperienza vissuta, dovremmo concludere che l’evidenza è nella maggior parte dei casi impossibile: ma questo «è dunque poco
meno che scetticismo assoluto. Anzi, possiamo tranquillamente affermare che
è assoluto scetticismo»6.
La nozione di «ritenzione», che Husserl analizza nelle Lezioni sulla coscienza interna del tempo, risponde all’esigenza epistemologica di dare un
fondamento di evidenza all’esperienza passata. La ritenzione è senza dubbio
una forma di memoria, tanto è vero che Husserl nelle Lezioni sulla coscienza
interna del tempo ne parla come di un «ricordo primario». Tuttavia, il modo
in cui la ritenzione viene descritta in queste lezioni, lascia pensare che si tratti
più di un’estensione temporale del presente, che non di ritorno del passato. La
ritenzione è la capacità di «tenere in pugno» l’istante presente mentre «svanisce» e «impallidisce», e si presenta come una sorta di «coda di cometa» della
sensazione attuale. Attraverso la ritenzione, dunque, l’attualità del presente si
allarga oltre l’istante-ora, fino ad abbracciare gli istanti appena passati. La
ritenzione è ciò che permette la sintesi dell’appena passato e dell’istante-ora e
dunque è ciò che permette la percezione di qualsiasi oggetto che dura (ciò che
Husserl chiama «oggetto temporale»).
Quello che Husserl ci tiene a sottolineare è che questo allargamento
dell’orizzonte di attualità del presente non è dovuto a un atto riproduttivo. La
ritenzione si distingue chiaramente dalla «rimemorazione»:
5
6
Einführung in die reine Phänomenologie”; tr. it. di V. Costa, Idee per una fenomenologia pura e per
una filosofia fenomenologica, Libro primo, introduzione di E. Franzini, Einaudi, Torino, 2002, p. 52.
E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917, Husserliana, Bd. X,
Martinus Nijhoff, Den Haag 1966; tr. it. di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza interna
del tempo, Franco Angeli, Milano 2001, pp. 333-334.
Ibidem.
97
MartiNo feyLeS
«La modificazione della coscienza che tramuta un’“ora” originario in uno riprodotto è qualcosa di completamente diverso da quella modificazione che tramuta
sia l’“ora” originario, sia quello riprodotto in “passato”»7.
L’istante-ora trapassa nell’istante appena passato e questo “appena passato” viene mantenuto dalla ritenzione, accanto al nuovo istante-ora che si
presenta, insieme al nuovo “ora” originario. Ma questo mantenimento dell’appena passato, questa permanenza del ritenuto, non è una riproduzione. Questa
precisazione è fondamentale perché, se la ritenzione fosse una riproduzione,
non potrebbe avere lo stesso grado di evidenza che caratterizza l’impressione
originaria dell’istante-ora. Invece, Husserl è fermamente convinto che ciò che
è dato in una ritenzione sia del tutto evidente: «ciò che io ho ritenzionalmente
nella coscienza è assolutamente certo»8. La ritenzione prolunga l’evidenza
che è propria dell’istante-ora oltre l’istante-ora. L’istante appena passato, che
è dato in una ritenzione, ha dunque la stessa evidenza dell’istante-ora che è, in
senso stretto, attualmente presente.
Questa distinzione tra ritenzione e rimemorazione è fondamentale dal
punto di vista epistemologico. Nelle Lezioni sulla coscienza interna del tempo
il problema da cui le analisi husserliane prendono avvio è quello degli oggetti
temporali, che sono quegli oggetti la cui identità si costituisce in una durata determinata, per esempio una melodia. È chiaro, tuttavia, che in un senso più lato,
tutti gli oggetti si costituiscono in una durata, non solo gli oggetti temporali in
senso stretto. Anche la percezione di una semplice sedia è un processo temporale. La sedia appare sotto diversi profili, da diversi lati, e le diverse apparizioni
della medesima sedia che si susseguono nel tempo devono essere ritenute, per
poter essere mantenute insieme come apparizioni dello stesso oggetto. Dunque,
la ritenzione non è necessaria solo per la costituzione degli oggetti temporali,
ma è, in realtà, condizione di possibilità di ogni atto percettivo. Essendo la percezione sempre una sintesi temporale, nessun atto percettivo sarebbe possibile,
se la coscienza non avesse questa sorta di “memoria percettiva”. Il punto che
preoccupa Husserl è che, se questa “memoria” che interviene in ogni percezione fosse una riproduzione, l’evidenza della percezione verrebbe meno. La
percezione risulterebbe come una sintesi di qualcosa di dato in modo evidente,
cioè l’istante-ora attualmente presente nella sensazione, e di qualcosa di “riprodotto”, cioè l’istante appena passato ritenuto. Questa mescolanza di elementi
effettivamente dati ed evidenti e di elementi riprodotti comprometterebbe, dal
punto di vista epistemologico, l’originarietà della percezione. La riproduzione,
7
8
98
Ibi, p. 79.
Ibi, p. 81.
CoStrUzioNe e riperCezioNe
infatti, non può mai essere assolutamente certa: «qui, dunque, sono possibili
degli errori, e errori che scaturiscono dalla riproduzione in quanto tale»9. Se
l’atto percettivo fosse una sintesi di impressione originaria e riproduzione, la
percezione risulterebbe essere una mescolanza di originario e non originario,
il che equivarrebbe a dire che non esiste alcun atto che ci presenta davvero le
cose “originariamente”. Evidentemente Husserl, che non aveva intenzione decostruttive, non può accettare questo punto di vista10.
Ci sono delle ragioni di principio in questo rifiuto: se la ritenzione fosse
una riproduzione, cadrebbe la differenza tra percezione come atto originario e
fantasia come atto riproduttivo e dunque cadrebbe la possibilità di assicurare
al soggetto un criterio forte di discriminazione tra esperienza reale ed esperienza irreale. Ma ci sono anche, e soprattutto, delle ragioni di fatto a favore di
una distinzione forte tra ritenzione e rimemorazione. Effettivamente la sintesi
tra istante-ora e istante appena passato è una sintesi passiva, che non implica
alcun intervento attivo del soggetto, mentre la sintesi riproduttiva implica
sempre una attività soggettiva. La rimemorazione è «un libero percorrere»
che implica la possibilità, per il soggetto, di muoversi lungo la successione
delle fasi ora più velocemente o più lentamente, avanti e indietro, partendo da
un punto o da un altro11. La ritenzione al contrario non implica alcuna libertà.
È importante sottolineare che questa distinzione tra ritenzione e riproduzione allontana la ritenzione da ciò che nel linguaggio comune chiamiamo
“ricordo”. Il ricordo è la riproduzione di un’esperienza passata. Ma la ritenzione non è questo. Non bisogna, dunque, lasciarsi ingannare dall’espressione
“ricordo primario”. In realtà, la ritenzione non è il ricordo: è soltanto la condizione di possibilità del ricordo. La ritenzione ha una posizione di fondamento
duplice: è il fondamento della percezione, dal momento che rende possibile
la sintesi dell’appena passato e dell’istante-ora, ma è anche il fondamento del
ricordo, dal momento che rende possibile la riproduzione della percezione
passata in quell’atto intuitivo che Husserl chiama «rimemorazione».
In effetti, alcune caratteristiche che Husserl attribuisce alla ritenzione
sembrano quasi contraddire l’esperienza comune del ricordo. In primo luogo,
la ritenzione è concepita come una legge universale della coscienza: ogni
esperienza che viviamo viene ritenuta, nulla sfugge all’inesorabilità della
9
10
11
Ibidem.
Interpretando le lezioni sul tempo di Husserl, Derrida mette in discussione la contrapposizione tra
ritenzione e riproduzione proprio per contestare l’idea che la percezione sia un atto intuitivo che ci dà
a vedere le cose nella loro originarietà. Quello che Derrida sostiene è esattamente quello che Husserl
vuole evitare. Cfr. J. Derrida, La voix et le phénomène, Presses Universitaires de France, Paris 1967;
tr. it. di G. Dalmasso, La voce e il fenomeno, Jaca Book, Milano 1997, p. 101.
E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 80.
99
MartiNo feyLeS
modificazione ritenzionale. Ma questa universalità sembra contraddire una
delle caratteristiche più evidenti della nostra memoria, cioè la selettività. Basta
una piccola introspezione per rendersi conto che nella nostra esperienza quotidiana non tutto viene ricordato: ricordiamo solo le cose importanti e spesso
nemmeno quelle.
In secondo luogo, Husserl concepisce la modificazione ritenzionale come
un processo continuo e senza interruzioni. Il diagramma, che ci viene presentato nel paragrafo 10 delle Lezioni sulla coscienza interna del tempo, suggerisce l’idea di una «catena» ritenzionale. Supponendo di avere tre istanti
uno dopo l’altro, A, B, C, possiamo immaginare, seguendo le indicazioni husserliane, che, nel momento in cui la fase ora coincide con B, il vissuto A sia
ancora presente in una ritenzione, e nel momento in cui la fase ora coincide
con C sia presente la ritenzione di B, che a sua volta però contiene anche la
ritenzione di A. In questo modo «ogni fase, in quanto ha ritenzionalmente coscienza della precedente racchiude in sé, in una catena di intenzioni mediate,
l’intera serie delle ritenzioni trascorse»12.
Anche questa immagine dell’ininterrotta continuità della catena ritenzionale sembra in contrasto con l’esperienza comune del ricordo. Da una parte, la
nostra memoria ci appare come un insieme discontinuo e lacunoso di ricordi.
Dall’altra parte, è difficile pensare che non vi sia una discontinuità forte tra
il passato vero e proprio e l’appena passato, cioè tra le ritenzioni che contribuiscono alla costituzione dell’oggetto che sto percependo nel “presente” e le
ritenzioni che ci consentono di riprodurre una percezione passata. In effetti,
quando sento una melodia, le note appena passate sono ritenute e sono mantenute dalla coscienza “accanto” alla nota effettivamente presente nella fase
“ora”. Ma il carattere di passato di queste note ritenute sembrerebbe diverso
dal carattere di passato che è proprio delle note di una melodia che ho sentito
una settimana fa. Non bisogna dunque introdurre una discontinuità tra l’orizzonte del presente, come sintesi della fase “ora” e delle fasi appena passate
ritenute, e l’orizzonte del passato compiuto?
Infine, è particolarmente importante che Husserl sottolinei il carattere di
passività della ritenzione. La ritenzione
«è una modificazione intenzionale nell’ambito della pura passività; essa si svolge
secondo una regolarità assolutamente rigida senza alcuna partecipazione dell’attività irraggiantesi dal centro dell’io»13.
12
13
100
Ibi, p. 143.
E. Husserl, Erfahrung und Urteil, Classen Verlag, Hamburg 1948; tr. it. di F. Costa - L. Samonà, Esperienza e giudizio, Bompiani, Milano 1995, p. 100.
CoStrUzioNe e riperCezioNe
L’io non partecipa attivamente al processo ritenzionale. La modificazione
ritenzionale si produce automaticamente e necessariamente, che l’io voglia o non
voglia. Il soggetto non può decidere cosa ritenere e cosa non ritenere. È evidente
che questo è un altro aspetto di differenza sostanziale tra ciò che nel linguaggio
ordinario chiamiamo “ricordo” e la ritenzione. Ciascuno di noi può decidere se
abbandonarsi al dolce (o amaro) ricordo di un tempo perduto o se sforzarsi di
ritrovare i particolari di una certa situazione accaduta. Per tornare all’immagine
platonica iniziale: possiamo decidere quale volatile cercare di riacciuffare. La
ritenzione, invece, è del tutto indipendente dalle decisioni coscienti.
È chiaro, tuttavia, che insistere sull’universalità della modificazione ritenzionale, sulla continuità ininterrotta della catena ritenzionale e sulla passività
della coscienza ritenzionale significa dare un solido fondamento all’idea della
assoluta evidenza della ritenzione. Se tutto viene ritenuto, senza eccezioni,
e se la catena ritenzionale non ha interruzioni, né lacune, possiamo davvero
essere certi che vi sia un legame oggettivo tra ogni esperienza ritenuta e il
presente, che è il momento in cui l’evidenza si è data. D’altra parte, solo se la
ritenzione è una modificazione passiva, che si produce da sé, senza alcun intervento del soggetto che vuole, pensa o decide, solo in questo caso, possiamo
essere certi che non vi siano distorsioni, alterazioni, modificazioni di carattere soggettivo nella memoria ritenzionale. L’oggettività della ritenzione è il
fondamento della sua attendibilità dal punto di vista conoscitivo. Ma, poiché
anche la rimemorazione si fonda sulla ritenzione, questa attendibilità si trasmette anche al ricordo vero e proprio. L’evidenza totale della ritenzione è il
fondamento dell’evidenza parziale del ricordo.
2. “Non c’è garanzia dell’esattezza della nostra memoria”
L’approccio di Freud al problema della memoria è molto diverso da quello
di Husserl innanzitutto perché si tratta di un approccio terapeutico. Il fine primario della psicoanalisi è di curare il paziente, non di affrontare il problema
della verità della memoria. Tuttavia, le conseguenze a livello epistemologico
della teoria freudiana sono enormi. La psicoanalisi freudiana mette in crisi
ogni fiducia ingenua nell’attendibilità della memoria. Già nell’Interpretazione
dei sogni emerge chiaramente il problema:
«in genere non c’è garanzia dell’esattezza della nostra memoria; eppure cediamo
all’impulso di credere ai suoi dati molto più spesso di quanto sia giustificato»14.
14
S. Freud, Die Traumdeutung, Franz Deuticke, Leipzig-Wien 1900; tr. it. di A. Ravazzolo, L’interpretazione dei sogni, Newton Compton, Roma 2007, p. 380.
101
MartiNo feyLeS
La memoria appare agli occhi di Freud inesatta, inattendibile e, soprattutto, tendenziosa. La psicoanalisi evidenzia in modo incontestabile una paradossale inversione della relazione più ovvia tra potere e volere. A dispetto di
ciò che si potrebbe pensare, ciò che “possiamo” o “non possiamo” ricordare
dipende da ciò che “vogliamo” o “non vogliamo” ricordare. Non è semplice
capire di volta in volta chi è il “soggetto” di questo volere o non volere ricordare (l’Io? l’Es?): all’interno della personalità ci può essere un conflitto tra
le opposte istanze del voler dimenticare e del non voler dimenticare. In ogni
caso è certo che
«la funzione della memoria, che ci rappresentiamo di solito come un archivio
aperto a ogni desiderio di sapere, è […] soggetta a restrizione in forza di una
tendenza della volontà»15.
La memoria non è più compresa come una funzione conoscitiva “disinteressata”, imparziale, neutra. Il suo rapporto con il passato è essenzialmente
mediato da tendenze che non sono di natura esclusivamente conoscitiva.
Questo legame tra la memoria in quanto funzione conoscitiva e la volontà
nella sua relazione con i desideri e le pulsioni, ha una conseguenza fondamentale: viene in primo piano il problema del significato del ricordo. Il presupposto fondamentale della considerazione psicoanalitica della memoria è che
vi sia
«una relazione costante tra il significato psichico di un avvenimento e il suo
restare nella memoria. Ciò che appare importante per i suoi effetti diretti o immediatamente futuri, verrà ritenuto; le cose considerate non importanti verranno
dimenticate»16.
La regola che presiede al funzionamento “normale” della memoria è
semplice: ricordiamo ciò che è significativo, dimentichiamo ciò che è insignificante. Ma questa regola, che ciascuno di noi può verificare quotidianamente nella propria esperienza, si rovescia nel suo opposto quando entrano
in gioco i meccanismi di difesa della rimozione e della resistenza. In questo
caso vale il principio opposto: dimentichiamo ciò che è più significativo (negativamente significativo) e non dimentichiamo l’insignificante. Così, quando
15
16
102
S. Freud, Zum psychischen Mechanismus der Vergesslichkeit [1898], tr. it. di C.L. Musatti, Meccanismo psichico della dimenticanza, in Opere 1892-1899, vol. 2: Progetto di una psicologia e altri
scritti, Boringhieri, Torino 1968, p. 428.
S. Freud, Uber Deckerinnerungen [1899], tr. it. di C.L. Musatti, Ricordi di copertura, in Opere 18921899, vol. 2: Progetto di una psicologia e altri scritti, Boringhieri, Torino 1982, p. 435.
CoStrUzioNe e riperCezioNe
lo psicoanalista analizza il racconto di un sogno fornito dal paziente, molto
spesso si trova di fronte a una serie di particolari che sembrano del tutto secondari. Ma
«succede spesso che nel mezzo del lavoro di interpretazione venga alla luce una
parte del sogno omessa e si dica che fino a quel punto era stata dimenticata. Ora
una parte di un sogno che sia tratta dall’oblio in questa maniera è certamente la
parte più importante […]»17.
Quello che il paziente ha dimenticato è proprio ciò che era più significativo. La memoria è tendenziosa: in positivo, quando deve ricordare ciò che è
interessante, ma anche in negativo, quando deve dimenticare ciò che la ferisce.
È importante notare che le principali differenze tra l’approccio fenomenologico e quello psicoanalitico alla memoria dipendono da questa decisione teorica preliminare: Husserl considera la memoria come una facoltà conoscitiva,
Freud, invece, subordina la capacità conoscitiva del ricordo alle tendenze, ai
desideri, alle pulsioni del soggetto. Di conseguenza, Husserl è portato a concentrare le sue attenzioni soprattutto sul problema della qualità intuitiva del
ricordo. Le domande a cui la fenomenologia husserliana cerca di rispondere
hanno principalmente a che fare con la capacità della memoria di “mostrare”
il passato: che tipo di immagine è il ricordo? che rapporto c’è tra percepire
e ricordare? in che modo il passato si presenta intuitivamente? che garanzie
abbiamo che l’intuizione del passato sia certa? Queste domande non sono assenti in Freud. Ma il problema della qualità sensibile del ricordo è molto meno
importante in psicoanalisi del problema del suo significato esistenziale. Le
domande che si pone Freud sono diverse da quelle che si pone Husserl: perché
ricordiamo proprio un certo evento e non un altro? che significato ha questo
evento per il soggetto? e che significato hanno gli eventi che abbiamo voluto
dimenticare? Per rispondere a queste domande non è veramente necessario
porsi il problema della capacità intuitiva del ricordo.
Non sorprende dunque che il problema della distinzione tra fantasia e
ricordo assuma dal punto di vista della psicoanalisi un significato completamente diverso. Per Husserl questa distinzione è fondamentale ‒ anche se,
come dirò tra poco, problematica ‒ perché in una prospettiva fenomenologica
la realtà del passato deve poter essere salvaguardata nella sua oggettività e
dunque distinta dall’irrealtà del fantastico. Invece diversi elementi ci autorizzano a pensare che, dal punto di vista psicoanalitico, il problema della oggettiva realtà del passato sia un problema mal posto.
17
S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit., p. 382.
103
MartiNo feyLeS
Nel testo sui ricordi di copertura del 1899, Freud arriva a ipotizzare che
una parte significativa dei nostri ricordi sia in realtà costituita di immagini di
fantasia, immagini che il soggetto ha costruito molti anni dopo gli eventi che
sta cercando di ritrovare, sulla base delle tracce mnestiche che si sono conservate nel suo “archivio” cerebrale. In molti casi, quando un soggetto rivede
se stesso in una scena infantile, la prospettiva da cui si osserva è esterna e
non interna. Anche se la scena può essere ricostruita in modo fedele, il soggetto non la vede da un punto di vista “soggettivo”, cioè in prima persona,
ma “da fuori”, come se si osservasse dall’esterno. Immagini di questo genere
sono vissute dal paziente come ricordi, ma in realtà sono delle costruzioni di
fantasia in cui «nulla è pervenuto della riproduzione dell’impressione originaria». Non si tratta, cioè, della riproduzione di una percezione che il soggetto
ha effettivamente esperito in un tempo remoto (altrimenti le immagini avrebbero tutte un punto di vista interno, soggettivo), ma, al contrario, di immagini
di fantasia che rielaborano quel che resta del contenuto percettivo originario.
«Si direbbe che la traccia mnestica infantile sia stata ritradotta, in epoca successiva (cioè all’epoca della riattivazione mnestica), in una immagine plastica e
figurativa»18.
Per Freud, dunque, la maggior parte dei ricordi di infanzia sono costruzioni di fantasia, che si sono formate diversi anni dopo i fatti che sono oggetto
dei ricordi stessi, sia pure sulla base di tracce mnestiche oggettivamente inscritte nella mente del soggetto. I primi anni della nostra infanzia ci si presentano non come li abbiamo percepiti originariamente, ma come li abbiamo
immaginati molti anni dopo.
«I nostri ricordi infantili non emergono, come si è soliti dire, ma si formano, e
una serie di motivi estranei al benché minimo proposito di fedeltà storica contribuisce ad influenzare tanto la loro formazione, quanto la loro selezione»19.
Il complesso rapporto tra fantasia e ricordo è al centro anche di un altro
testo, che chiarisce notevolmente la posizione di Freud, Costruzioni dell’analisi. In questo testo il lavoro che lo psicoanalista effettua con la memoria del
paziente viene paragonato al lavoro dell’archeologo. Questa celebre metafora
rende conto in modo evidente dell’aspetto propriamente costruttivo della psicoanalisi (ma anche del suo fondamento su un livello di oggettività, come
18
19
104
S. Freud, Ricordi di copertura, cit., p. 451.
Ibi, p. 452.
CoStrUzioNe e riperCezioNe
dirò in seguito). L’archeologo, infatti, si trova sempre davanti a un insieme
di tracce intervallate da lacune e vuoti. Per ricostruire un edificio egli deve
necessariamente lavorare con l’immaginazione per colmare le mancanze. Non
si potrà mai essere sicuri che l’edificio ricostruito dall’archeologo corrisponda
“esattamente” all’edificio originale. Quello che si potrà valutare è solo se le
integrazioni e le ricomposizioni proposte si adattano alle tracce rimaste o no.
Nel caso del lavoro psicoanalitico le cose vanno esattamente allo stesso modo.
Quello che il paziente e lo psicoanalista ritrovano, al termine del lungo cammino dell’analisi, non è un vero e proprio ricordo, ma una «costruzione». Tuttavia se questa costruzione, che in ultima analisi è una costruzione di fantasia,
corrisponde in modo adeguato ai residui mnestici, il suo effetto per il paziente
è del tutto equivalente a quello di un ricordo vero e proprio. Freud lo dice in
modo molto esplicito:
«Ci capita abbastanza spesso di non riuscire a suscitare nel paziente il ricordo
del rimosso. In sua vece, grazie ad un corretto svolgimento della analisi, otteniamo da lui un sicuro convicimento circa l’esattezza della costruzione e tale
convincimento, sotto il profilo terapeutico, svolge la stessa funzione di un ricordo recuperato»20.
È chiaro, dunque, che dal punto di vista della psicoanalisi, o meglio «sotto
il profilo terapeutico», come dice Freud, la necessità di stabilire una contrapposizione oggettiva tra fantasia e ricordo cade. Nella maggior parte dei casi
questa distinzione non è possibile e comunque, se anche lo fosse, non sarebbe
davvero utile.
3. Costruzione e ripercezione
Questa sottolineatura dell’aspetto costruttivo della memoria ha un’importante conseguenza. Il passato dal punto di vista freudiano non è dato una
volta per tutte, ma è sempre aperto a una possibile riscrittura. Se è vero che
è nel presente dell’atto costruttivo del ricordo che il passato si costituisce, è
vero anche che la stessa scena passata può essere ricostruita in modi diversi
in diversi presenti, cioè in diverse operazioni di memoria. È chiaro che questa
apertura del passato è strettamente legata a quella prevalenza del problema
del significato del ricordo di cui parlavo in precedenza. L’“immagine” del
20
S. Freud, Konstruktionen in der Analyse [1937], tr. it. di R. Colorni, Costruzioni dell’analisi, Bollati
Boringhieri, Torino 2012, p. 83.
105
MartiNo feyLeS
passato non potrebbe veramente essere aperta a un’operazione di riscrittura.
Dobbiamo pensare che l’“immagine” intuitiva di un evento si conservi così
come è, più o meno efficacemente, più o meno dettagliatamente, al modo
di un sigillo che si imprime da qualche parte nella nostra mente: era questa,
infatti, la prima metafora platonica. Ma le cose vanno diversamente per il
significato di quella esperienza intuitiva. Il significato di un’“immagine” del
passato, il significato di qualcosa che abbiamo percepito, può certamente essere ricompreso in modo nuovo. In fondo, è qualcosa che ci capita spesso, al
di là delle situazioni patologiche descritte da Freud21.
Questa precisazione ci consente di comprendere in modo meno antihusserliano uno degli elementi più significativi della concezione freudiana
della memoria, la nozione di Nachträglichkeit. Ad una prima analisi potrebbe sembrare che questa nozione sia del tutto incompatibile con il punto
di vista husserliano. Il fatto che il paziente sia in grado di ricordare nel
presente qualcosa che non ha veramente esperito nel passato, qualcosa che
in passato non ha veramente percepito, sembra contestare il principio inflessibile stabilito da Husserl: ogni ritenzione è preceduta da una corrispondente
impressione originaria (e per questo è certa). In effetti, in alcuni passaggi
Husserl nega in modo del tutto esplicito la possibilità che qualcosa di inconscio venga ritenuto. Solo ciò che è cosciente o è stato cosciente nella fase
“ora” può essere ritenuto.
«È infatti un assurdo parlare di un contenuto “inconscio”, che solo in un secondo
momento diventerebbe conscio. Coscienza è necessariamente esser-conscio in
ciascuna delle sue fasi. […] È appunto questa coscienza originaria che trapassa
nella modificazione ritenzionale […]: se questa non ci fosse, non sarebbe neppure pensabile alcuna ritenzione; ritenzione di un contenuto di cui non si abbia
coscienza è impossibile»22.
Questo legame inscindibile tra ritenzione e coscienza sembrerebbe chiudere ogni possibilità di conciliare la fenomenologia husserliana e le osservazioni che la psicoanalisi propone a proposito di tutti quei casi in cui la presa
di coscienza avviene in “ritardo”, a “posteriori”. Se il ricordo è reso possibile dalla ritenzione e la ritenzione è sempre preceduta da un’impressione
21
22
106
Questa è l’idea di fondo anche di Proust: raccontare il proprio passato significa ricomprenderlo. Ma
allora, se il significato del passato emerge solo a posteriori, nel momento in cui lo ricomprendiamo in
un racconto, si può arrivare a sostenere che «la realtà non si forma che nella memoria» (M. Proust, À
la recherche du temps perdu, tr. it. di G. Raboni, Alla ricerca del tempo perduto, vol. 1, Mondadori,
Milano 2006, p. 224).
E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., p. 144.
CoStrUzioNe e riperCezioNe
originaria che è stata cosciente, non dovrebbe essere possibile, dal punto di
vista fenomenologico, ricordare un evento di cui non si ha avuto coscienza23.
In effetti, le cose proprio stanno così se parliamo di quella forma di ricordo che è la «rimemorazione», che per Husserl è la riproduzione di una
percezione precedente. L’idea di Nachträglichkeit non può essere compresa a
partire dalla nozione di rimemorazione. L’“uomo dei lupi” diviene cosciente
di qualcosa che non ha effettivamente percepito nel passato e che dunque non
può essere stato ritenuto. Ma se non è stato ritenuto, non può nemmeno essere
rimemorato. Tuttavia, anche in questo caso è essenziale precisare che quello
che l’uomo dei lupi cerca, e infine trova, non è una nuova “percezione” di un
evento del passato, ma un nuovo “significato” per quell’evento. La retroazione sulla memoria avviene solo a questo livello.
Anche l’analisi del rapporto tra «rimemorazione», percezione e fantasia
lascia intravedere una possibilità di dialogo con la psicoanalisi. Si è detto che
Husserl è preoccupato di assicurare un fondamento epistemologico al ricordo
e che la nozione di ritenzione serve in questo senso come una sorta di attestato
di garanzia. Le Lezioni sulla sintesi passiva ci fanno comprendere che la rimemorazione, che per Husserl è l’esperienza che facciamo quando ci sembra
quasi di “rivedere” una scena passata, scaturisce dal «riempimento intuitivo»
di una ritenzione vuota. La ritenzione, che è sprofondata nel passato e che è
ormai «un’intenzione memorativa vuota», si riempie di nuovo di contenuto
intuitivo grazie alla «rimemorazione intuitiva corrispondente»24. Questa coincidenza tra l’atto intuitivo della rimemorazione e la ritenzione assicura il legame con ciò che la coscienza ha percepito nel presente. Ciò che appare in
una rimemorazione è qualcosa che la coscienza “riconosce” come coincidente
con ciò che è ancora dato nella ritenzione ormai vuota. Di conseguenza la
rimemorazione si presenta come una forma di «ripercezione»25, cioè come la
riproduzione del contenuto di una percezione passata il cui senso si è conservato in una ritenzione.
Questa idea che la rimemorazione sia una ripercezione, il cui ideale sarebbe la ripetizione esatta dell’esperienza precedente, è certamente molto
lontana dalla concezione freudiana del ricordo. Tuttavia, nelle analisi di Husserl c’è un’importante e per certi versi sorprendente punto di contatto con
23
24
25
Su questo legame tra ritenzione e coscienza e sul rapporto tra ritenzione e inconscio si veda F.S.
Trincia, Husserl, Freud e il problema dell’inconscio, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 61 e ss.
E. Husserl, Analysen zur passiven Synthesis. Aus Vorlesungs-und Forschungsmanuskripten, 19181926, Husserliana, Bd. XI, Martinus Nijhoff, Den Haag 1966; tr. it. di V. Costa, Lezioni sulla sintesi
passiva, Guerini e Associati, Milano 1993, p. 125.
E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 160.
107
MartiNo feyLeS
le analisi freudiane: Husserl pensa che la rimemorazione sia una forma di
«presentificazione» intuitiva. Di fatto, questo significa che, dal punto di vista
intuitivo, la rimemorazione ha la stessa natura della fantasia ed è, invece, radicalmente diversa dalla percezione. La fantasia è una forma di presentificazione intuitiva; anzi, leggendo il corso su Fantasia e immagine si capisce che
è la forma per eccellenza di atto presentificante. La percezione, al contrario, è
una «presentazione» intuitiva. La differenza tra percezione e rimemorazione,
in termini di qualità intuitiva, è dunque molto più grande della differenza tra
rimemorazione e fantasia. Questo è talmente vero che una rimemorazione che
fosse sprovvista del suo ancoraggio in una ritenzione sarebbe a tutti gli effetti
indistinguibile da una pura fantasia. Viceversa, una fantasia che corrispondesse in modo adeguato a una ritenzione si presenterebbe come una «fantasia
tetica», cioè come una presentificazione che pone la realtà di ciò che rappresenta, e sarebbe vissuta dal soggetto come un ricordo26.
Evidentemente, seguendo Husserl su questa strada, ci si ritrova molto
più vicino di quanto si poteva supporre alle posizioni che Freud prospetta
in Costruzioni dell’analisi o nel testo sui ricordi di copertura che ho citato.
Freud concepisce il ricordo come una costruzione e ne sottolinea il carattere
necessariamente inesatto. Ma questa costruzione non è mai un arbitrio. La
metafora dell’archeologo dice due cose: che nel ricordo bisogna integrare,
riempire i vuoti, colmare le lacune, certo; ma anche che questa operazione di
integrazione deve seguire i contorni delle tracce che restano, i residui mnestici che sono rimasti impressi un po’ come il “sigillo” di cui parlava Platone.
La costruzione deve essere anche per Freud una “ri-costruzione” e dunque,
entro certi limiti, essa resta sottomessa ad un’istanza di oggettività. D’altra
parte, Husserl cerca di pensare il ricordo come la riproduzione oggettiva di
una percezione precedente. Questo però non gli impedisce di riconoscere
che la rimemorazione è un atto intuitivo che ha la stessa natura della fantasia
e che le immagini rimemorate sono piene di lacune che vengono integrate
dalla fantasia. Nelle Lezioni sulla sintesi passiva ci sono alcuni passaggi straordinari a questo proposito. Quando, per esempio, analizziamo la rimemorazione del volto di «una persona che avevamo conosciuto qualche tempo
fa» ci rendiamo conto, se guardiamo con attenzione, che «la fisionomia, la
barba riprodotta, gli occhiali, ecc. hanno il carattere effettivo del ricordo»,
26
108
«Nella fantasia ‒ il termine preso nel senso più ampio ‒ troviamo anche la rimemorazione. Nella fantasia in senso stretto manca il carattere della credenza […]». E. Husserl, Phantasie, Bildbewusstsein,
Erinnerung. Zur Phänomenologie der anschaulichen Vergegenwärtigung, Husserliana, Bd. XXIII,
Kluwer Academic Publishers, Dodrecht-Boston-London 1980; tr. it. di C. Rozzoni, Fantasia e immagine, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017, p. 138.
CoStrUzioNe e riperCezioNe
ma altri elementi dell’immagine invece, per esempio «il colore della barba»
o «il colore degli occhi» sono semplicemente «riempitivi intuitivi» costruiti
dalla nostra fantasia27.
Infine, è necessaria un’ultima annotazione importante. Husserl, come
abbiamo detto, concepisce la ritenzione come una modificazione della coscienza. La ritenzione è una forma particolare di intenzionalità e l’intenzionalità è il tratto caratteristico che definisce la coscienza. Attraverso la ritenzione la coscienza resta in contatto con il proprio passato, “intende” ancora i
vissuti ormai svaniti. Freud, invece, contrappone in modo del tutto esplicito
memoria e coscienza. Nella Nota sul Wunderblock, non a caso ampiamente
commentata da Derrida28, possiamo leggere: «l’inesplicabile fenomeno della
coscienza sorgerebbe nel sistema percettivo al posto delle tracce mnestiche»29.
Qualche anno prima, in Al di là del principio di piacere, Freud aveva espresso
in una formulazione più sintetica la stessa idea: «la coscienza sorge al posto
di una traccia mnestica»30. Ma in realtà la contrapposizione tra coscienza e
memoria era già chiara nell’Interpretazione dei sogni. La prima topica è costruita sull’idea che «nei sistemi Ψ la memoria e la qualità che caratterizza
la coscienza si escludono a vicenda»31. Questa contrapposizione dipende dal
fatto che Freud concepisce la memoria come un archivio di tracce mnestiche e
ipotizza una distinzione di principio tra il sistema che è adibito alla scrittura di
queste tracce mnestiche e il sistema che è adibito alla percezione e al rapporto
con la realtà32.
«Nel nostro apparato psichico resta una traccia delle percezioni che agiscono su
di esso. Possiamo chiamarla “traccia mnestica”; e alla funzione che ad essa si
riferisce diamo il nome di “memoria”. Se siamo impazienti di attribuire processi
psichici ai sistemi, le tracce mnestiche non sono altro che modificazioni permanenti degli elementi dei sistemi. Ma, come è già stato fatto rilevare altrove, ci
sono ovvie difficoltà nella supposizione che lo stesso sistema possa accurata27
28
29
30
31
32
E. Husserl, Lezioni sulla sintesi passiva, cit., p. 127.
Cfr. J. Derrida, Freud et la scène de l’écriture, in L’écriture et la différence, Seuil, Paris 1967; tr. it.
di G. Pozzi, Freud e la scena della scrittura, in Id., La scrittura e la differenza, introduzione di G.
Vattimo, Einaudi, Torino 2002.
S. Freud, Notiz uber den Wunderblock [1924], tr. it. di C.L. Musatti, Nota sul notes magico, in Opere 19241929, vol. 10: Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti, Bollati Boringhieri, Torino 1978, p. 64.
S. Freud, Jenseits des Lustprinzips [1920], tr. it. di A. Civita, Al di là del principio del piacere, Bollati
Boringhieri, Torino 2007, p. 43.
S. Freud, L’interpretazione dei sogni, cit. p. 398.
«The necessity of defining each psychical system in terms of a specific function, and of making
Perception-Consciousness the function of one system in particular (see ‘Consciousness’), leads to the
postulation of an incompatibility between consciousness and memory» (J. Laplanche – J.B. Pontalis,
The Language of Psychoanalysis, Karnac, London 2006, p. 247).
109
MartiNo feyLeS
mente conservare le modificazioni dei suoi elementi e tuttavia restare perpetuamente aperto alla ricezione di nuove occasioni di modifiche. Quindi, secondo
il principio che regola il nostro esperimento, distribuiremo queste due funzioni
a sistemi diversi. Supporremo che un sistema nella parte frontale dell’apparato
riceva gli stimoli percettivi ma non trattenga tracce di essi e quindi non abbia
memoria, mentre dietro di esso ci sia un secondo sistema che trasforma le eccitazioni momentanee del primo sistema in tracce permanenti»33.
Il sistema che rende possibile la percezione è senza memoria, mentre il sistema che rende possibile la memoria è senza coscienza. La memoria è sempre
una scrittura incosciente. Ma, paradossalmente, proprio la distanza tra questa
idea e l’idea di Husserl è ciò che rende possibile il dialogo tra fenomenologia
e psicoanalisi. Husserl e Freud in realtà parlano di due memorie diverse. La
ritenzione è la “memoria” che rende possibile la percezione e il costituirsi
di tutti i vissuti coscienti. Di questa memoria Freud non dice niente, anche
perché dal punto di vista terapeutico, che non è un punto di vista strettamente
cognitivo, essa non ha alcuna rilevanza. Infatti, la ritenzione non ha posto
nella topica proposta nell’Interpretazione dei sogni e – se proprio dovessimo
trovarle un posto – la dovremmo situare nel «sistema P», non nel sistema
delle tracce mnestiche (nella traduzione italiana: «Tmn1, Tmn2 ecc.»). D’altra
parte, Husserl non dice una parola sulle tracce mnestiche, che per Freud sono
il deposito della nostra memoria. Non ne dice niente perché la fenomenologia
si basa sulla riduzione dell’obbiettività trascendente. Le tracce mnestiche sono
al di fuori dello spazio della coscienza e, dunque, al di fuori del campo di pertinenza della fenomenologia. Quello che sappiamo delle tracce mnestiche lo
sappiamo grazie alle osservazioni della scienza sperimentale, perché si tratta
di una realtà obiettiva che può essere indagata solo con un metodo oggettivo.
Le tracce mnestiche non possono mai essere un dato intuitivo all’interno della
coscienza, non si presentano mai direttamente all’osservazione fenomenologica. Dunque da questo particolare punto di vista, nonostante l’equivocità
della parola “memoria”, non c’è un vera contraddizione tra la posizione di
Husserl e quella di Freud, perché l’oggetto del loro interesse, non è lo stesso.
La ritenzione husserliana può forse essere concepita come una sorta di “traccia
psichica”; ma non è in nessun modo la traccia mnestica di cui parla Freud (e di
cui parlano le neuroscienze).
Dunque, per quel che riguarda il versante passivo della memoria (ritenzione/traccia mnestica) la contraddizione non c’è, perché l’oggetto dell’indagine è diverso. Per quel che riguarda il versante attivo, invece (rimemorazione/
33
110
Ibi, p. 396.
CoStrUzioNe e riperCezioNe
costruzione), le somiglianze sono più delle differenze: la rimemorazione husserliana, nella misura in cui è concepita come una fantasia tetica, non è affatto
incompatibile con la concezione freudiana del ricordo34. Tuttavia, è vero che
una differenza di fondo resta. La memoria di cui parla Husserl è una memoria
intuitiva, iconica, che rappresenta il passato in una modalità percettiva e che
ha uno scopo prevalentemente cognitivo. La memoria su cui lavora Freud
è, invece, una memoria narrativa, che si rivolge al significato degli eventi e
che ha una funzione autobiografica più che cognitiva. Certamente queste due
modalità di ricordo non sono indipendenti e prive di relazioni, ma è legittimo
chiedersi se non si tratti di esperienze diverse35. La rimemorazione resta un
modo attraverso cui il soggetto conosce e riconosce intuitivamente la realtà.
Le costruzioni narrative di cui parla Freud sono un modo attraverso cui il soggetto comprende se stesso, ridisegnando la propria identità narrativa.
34
35
Sulla compatibilità tra la nozione husserliana di presentificazione (e dunque di rimemorazione) e la
posizione freudiana si veda R. Bernet, Unconscious consciousness in Husserl and Freud, in «Phenomenology and the Cognitive Sciences», 1(2002): «Hence a memory would be a phantasy in which
the phantasized object is at the same time incorporated into the past and thereby posited as a past
object. Before we move on to the characterisation of the difference between phantasy and memory
as two different types of reproductive modification, reference must be made to the fact that Husserl
by no means puts into question the similarity between these two acts. A comparable emphasis on
the kinship between phantasy and memory can also be found in Freud, in particular in the context
of his analysis of screen-memory and the experience of déjà vu in which phantasies and memories
are mixed in such a way that they can not be disentangled because of their structural similarity.
Phantasy and memory both seem to have the same special ability to lend themselves to a conscious
representation of unconscious desires. It is thus evident once again that reproductive consciousness
is characterised by a wholly unique affinity with the Unconscious and its presentifying appearance in
consciousness» (p. 339).
Sostengo questa tesi in Studi per la fenomenologia della memoria, Franco Angeli, Milano 2011, cap.
4, chiamando “rievocazione” il ricordo-racconto che ricostruisce un evento passato.
111
Aquinas, LXIV (2021), 95-112
Costruzione e ripercezione
Note sulla memoria in Husserl e Freud
Martino Feyles
Abstract
La concezione della memoria di Husserl sembra per molti versi agli antipodi rispetto
a quella di Freud. Se la fenomenologia husserliana concepisce il ricordo come una
ripercezione, cioè come la riproduzione di una percezione già vissuta, la psicoanalisi
mostra che vi sono esperienze che il soggetto non ha potuto veramente esperire nel
passato, che diventano coscienti solo “a posteriori”, in “ritardo”. D’altra parte, mentre
Husserl attribuisce alla ritenzione il carattere dell’evidenza assoluta, Freud sottolinea
in diversi luoghi l’inesattezza e la tendenziosità della nostra memoria. Tuttavia, nonostante le differenze, che restano notevoli, la concezione husserliana non contraddice
quella freudiana e la fenomenologia della memoria può dialogare in modo significativo
con la psicoanalisi.
Parole chiave:
fenomenologia; psicoanalisi; Freud; Husserl; memoria
Abstract
The Husserlian concept of memory is in many ways different from the Freudian one.
Husserl’s phenomenology describes recollection as a re-perception, that is, as the
reproduction of an already experienced perception; on the contrary, psychoanalysis
shows that there are events that the subject could not really experience in the past,
which become conscious only “a posteriori”, in a deferred time. Furthermore, while
Husserl attributes the character of absolute evidence to retention, Freud emphasizes
that memory is in many ways inaccurate and tendentious. However, despite the differences, which remain significant, the Husserlian view does not contradict the Freudian
view and the phenomenology of memory can significantly dialogue with psychoanalysis.
Keywords:
phenomenology; psychoanalysis; Husserl; Freud; memory