Bollettino Filosofico
XXXVI (2021)
DECOSTRUZIONE E PSICOANALISI
A PARTIRE DA DERRIDA
Bollettino Filosofico
XXXVI (2021)
DECOSTRUZIONE E PSICOANALISI
A PARTIRE DA DERRIDA
A CURA DI
SILVANO FACIONI E FABRIZIO PALOMBI
Pubblicata da:
FedOAPress - Università di Napoli “Federico II” Piazza Bellini 59-60
80136 Napoli
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ISSN: 1593 - 7178
E-ISSN 2035 - 2670
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BOLLETTINO FILOSOFICO
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Indice
Focus
7 Javier Agüero Águila
Trafic d’héritage: Freud avec Derrida et le principe du plaisir
19 Giustino De Michele
Comment le dénier: legs de Melanie Klein
34 Silvano Facioni
La cripta del paleontologo. Anasemie transfenomenologiche
47 Ruben Carmine Fasolino
Malgré les apparences: Derrida, Lacan y el círculo (vicioso) “hermenéutico”
60 Maurizio Ferraris
L’inconscio artificiale
69 Elias Jabre
La résistance à venir, pour une autre logique des frontières
80 Domenico Licciardi
Speculare sulla distruzione. Ontologie della pulsione di morte tra psicoanalisi, decostruzione e
plasticità
95 Fabrizio Palombi
La disgiuntura del tempo: sulla differænza derridiana tra spettro e spirito
108 Rafael Pérez Baquero
Los desafíos éticos del post-estructuralismo: Encuentros con el psicoanálisis a través de la teoría
del trauma
121 Caterina Resta
Jacques Derrida e l’a-venire della psicoanalisi
134 Elizabeth Rottenberg
Intimate Relations: Psychoanalysis Deconstruction / La psychanalyse la déconstruction
147 Kas Saghafi
Phantasms
161 Mario Vergani
L’a b c della psicanalisi. Il tema della telepatia in Derrida
172 Francesco Vitale
Al di qua della pulsione di potere. Derrida, Freud e la società delle pulsioni
Forum
186 Alberto Andronico
Al di là del diritto. Il “passo” di Jacques Derrida
202 Claudio D’Aurizio
Il pas di Derrida fra decostruzione e psicoanalisi
214 Michele Di Bartolo
Resistenza e interpretazione
222 Carmine Di Martino
Eteronomia ed elezione. Derrida e l’elogio della psicoanalisi
233 Martino Feyles
Metafore del piacere. Tra Freud e Derrida
245 Burt C. Hopkins
Derrida’s Criticism of Husserl Reconsidered: Historicity, Ideality and the Phenomenon of Voice
257 Matteo Mollisi
La lettera rubata e la decostruzione della storia. Derrida tra Heidegger, Lacan e Patočka
272 Bruno Moroncini
Giocare al fort/da. Lacan, Derrida, e la pulsione di morte
287 Alex Obrigewitsch
Between Narcissus and Echo: the Agony of the Subject
299 Felice Ciro Papparo
Ridisegnare la soggettività. Sulla lettura derridiana di Valéry
318 Adrian Switzer
A Morbid, Finite Bond: Derrida, Freud and Archival Technologies of Inscription
331 Francesco Saverio Trincia
La voce e il fenomeno: da Husserl a Derrida e oltre
MARTINO FEYLES
Metafore del piacere. Tra Freud e Derrida
Abstract: Metaphors of pleasure. Between Freud and Derrida
In the first part of the article some of Freud’s texts are analyzed to show that: (1) Freud’s analysis
of pleasure has an uncertain epistemological status, which lies between the fictional, the philosophical
and the scientific; (2) in Beyond the Pleasure Principle the thesis on the nature of pleasure, despite its
problematic epistemological legitimacy, takes on a metaphysical significance. In the second part of
the article, the interpretation proposed by Derrida in Spéculer – sur “Freud” is analyzed to show that:
(3a) Freud's analysis depends on a preliminary interpretation of the notion of pleasure that is not
critically questioned; (3b) because of this preliminary assumption, Freudian language always remains
metaphorical. Finally (4), starting from Spéculer – sur “Freud”, some general considerations on the
relationship between psychoanalysis and deconstruction are proposed.
Keywords: Deconstruction, Derrida, Freud, Pleasure, Psychoanalysis
1. La finzione del principio di dispiacere
Nel settimo capitolo de L’interpretazione dei sogni Freud affronta anche il problema del
piacere. La questione è introdotta dalla necessità di «chiarire la natura psichica dei
desideri»1. La vita psichica è interamente regolata dalla necessità di soddisfare il desiderio.
Il sogno stesso, come è noto, non è altro che un’articolata messa in scena che risponde a
questa esigenza originaria. Freud è convinto che la modalità con cui il sogno risponde agli
impulsi del desiderio sia una modalità «primitiva»2, ancora legata alle fase più arcaica dello
sviluppo psichico. In questa fase arcaica della vita psichica la soddisfazione del desiderio
è – così dobbiamo supporre – innanzitutto di natura allucinatoria: il soggetto è portato a
ripetere la percezione dell’oggetto collegato al desiderio, anche se l’oggetto in “realtà” non
è più presente. Ben presto, però, questa strategia di soddisfazione allucinatoria si rivela
«inefficace»3 e il soggetto è costretto a optare per una soluzione più complessa, ma anche
più redditizia in termini di soddisfazione, mobilitando il pensiero e agendo nella realtà
esterna. Questa strategia più mediata nella ricerca della soddisfazione viene
temporaneamente sospesa nel sogno che rappresenta, invece, una sorta di ritorno alla
regola arcaica della soddisfazione puramente immaginativa.
È importante notare che queste ipotesi sul funzionamento primitivo della psiche sono
presentate, ne L’interpretazione dei sogni, come dei costrutti teorici che non possono essere
validati e nemmeno contradetti dall’esperienza. Lo scienziato non ha modo di sapere quello
che accade effettivamente nelle fasi iniziali dello sviluppo della psiche umana, perché
questi sviluppi precedono la formazione del linguaggio e si sottraggono all’osservazione
analitica. Freud è ben consapevole del carattere puramente ipotetico delle sue
considerazioni a questo proposito. Anche le tesi di fondo di Al di là del principio di piacere
– che avrò modo di discutere tra poco – verranno presentate come delle «ipotesi
speculative»4, che non possono essere verificate empiricamente. Ma ne L’interpretazione
dei sogni Freud usa un termine ancora più significativo, nella prospettiva di un confronto
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
1
2
3
4
Freud (1989a), p. 416.
Ivi, p. 417.
Ivi, p. 418.
Freud (1977), p. 17.
Bollettino Filosofico 36 (2021): 233-244
ISSN 1593 -7178 - 00030
E-ISSN 2035 -2670
DOI 10.6093/1593-7178/8726
233
Martino Feyles
tra decostruzione e psicoanalisi: per indicare lo statuto epistemologico di queste ipotesi
puramente speculative viene utilizzata, infatti, la parola «finzione» [Fiktion]5.
Derrida ha più volte evidenziato il doppio legame che unisce la psicoanalisi alla finzione.
Da una parte Freud non può fare a meno di appoggiarsi sulla finzione letteraria e
sull’immaginazione metaforica; dall’altra parte il discorso teorico della psicoanalisi si situa
in una zona di confine tra la narrazione di finzione e la teoria scientifica: non è né
semplicemente finzione, né semplicemente scienza6. Da Edipo a Narciso, da Mosè alle
favole di Andersen, le tesi fondamentali della psicoanalisi vengono “illustrate” da Freud,
facendo ricorso, in modo apparentemente casuale, al mito e alla letteratura. In realtà
questo nesso non è affatto casuale dal punto di vista di Derrida7. Freud sembra considerare
la finzione come una riserva di esempi che si trovano là, «fortunatamente disponibili» per
lo scienziato, e che consentono di illustrare un corpus di verità che rimane di per sé
indipendente da questo insieme di testi mitologici e letterari. Derrida, al contrario,
suggerisce una coappartenenza strutturale tra la teoria psicoanalitica e il campo testuale del
mito e della letteratura8.
Questo intreccio costitutivo motiva anche il continuo ricorso alla metafora. Freud non
può fare a meno di utilizzare un linguaggio metaforico, sfruttando ancora una volta le
risorse del finzionale. Derrida ha evidenziato più volte (e non solo leggendo Freud) questa
necessità che è nello stesso tempo linguistica e teorica9. Probabilmente Freud e la scena
della scrittura è il testo più esplicito a questo proposito. Nelle diverse fasi dello sviluppo del
suo pensiero, Freud paragona la psiche: 1) a una rete di tracce neuronali; 2) a un sistema
di iscrizioni; 3) a una macchina ottica analoga al telescopio o al microscopio; 4) a uno
strumento di scrittura simile al celebre “Notes magico” con cui giocano i bambini. Per
Derrida questi paragoni, queste immagini, non hanno una funzione ornamentale o retorica,
ma corrispondono ad altrettanti «modelli metaforici»10, che hanno lo scopo di spiegare il
funzionamento della macchina psichica. Non si tratta semplicemente di illustrazioni che
danno visibilità a un’idea che potrebbe essere rappresentata altrimenti in modo più
proprio. C’è una necessità strutturale alla base della decisione di Freud di rappresentare
l’apparato psichico come una macchina di scrittura: da una parte perché la coscienza ha
la forma di un testo; dall’altra parte perché la scrittura – così come la concepisce Derrida
– è molto più simile all’inconscio freudiano, che non al segno della metafisica o della
semiotica.
Come vedremo, il legame tra psicoanalisi e finzione è al centro della lettura derridiana
di Al di là del principio di piacere. Ma prima di arrivare a questa lettura è necessario
evidenziare la tesi fondamentale che sorregge l’impalcatura della “finzione teorica”
presentata ne L’interpretazione dei sogni. Freud formula questa tesi in modo esplicito:
«Abbiamo già studiato la finzione di un apparato psichico primitivo le cui attività siano
regolate dal tentativo di evitare un’accumulazione di eccitazioni e di mantenersi per quanto
possibile privo di eccitazioni»11.
L’apparato psichico, stando all’ipotesi presentata ne L’interpretazione dei sogni, sarebbe
interamente soggetto al principio di piacere. Freud dà per scontato che non vi sia a questo
riguardo nessuna differenza tra il sistema primario e il sistema secondario: «il principio del
piacere regola evidentemente il corso dell’eccitazione nel primo come nel secondo
sistema»12. Anche la definizione preliminare del piacere viene data per scontata. Il
presupposto fondamentale su cui si basa la finzione speculativa presentata ne
L’interpretazione dei sogni è che l’accumulazione di eccitazione venga sperimentata dalla
5 Freud (1989a), p. 568. Freud utilizza lo stesso termine anche in una nota del saggio che riprenderò tra
poco, Precisazioni sui due princìpi dell’accadere psichico: cfr. Freud (1981), p. 455.
6 Derrida (1978), p. 19
7 Ivi, p. 16.
8 Cfr. Kofman (1991).
9 Cfr. in particolare Derrida (1997a), p. 275; Feyles (2018), p. 45 e ss.
10 Derrida (2002), p. 257.
11 Freud (1989a), p. 441.
12 Ivi, p. 443.
234
Metafore del piacere. Tra Freud e Derrida
psiche come un dispiacere e che, di conseguenza, il piacere consista in una liberazione
dallo stimolo. Lo scopo ultimo dell’apparato psichico sarebbe dunque mantenere
l’organismo il più possibile al riparo da ogni eccitazione13. Il quadro teorico è già quello che
verrà riproposto vent’anni dopo, in Al di là del piacere. Ma la formulazione linguistica che
Freud sceglie ne L’interpretazione dei sogni è per certi versi più chiara. La regola
fondamentale che presiede al funzionamento della psiche viene definita come «principio del
dispiacere» e non, come accadrà vent’anni dopo, come principio di piacere. Questa
formulazione mette in evidenza il carattere sostanzialmente negativo della definizione
freudiana dell’esperienza del piacere: il piacere è un non dispiacere, è la negazione o meglio
la risoluzione di uno stato di tensione psichica, che viene esperito come dispiacere14.
2. L’interpretazione nichilistica del piacere
Le tesi formulate nel settimo capitolo de L’interpretazione dei sogni vengono integrate nel
saggio intitolato Precisazioni sui due princìpi dell’accadere psichico. Accanto al principio di
piacere – che viene ancora chiamato «principio di piacere-dispiacere», con una formula che
segna il passaggio dalla terminologia de L’interpretazione dei sogni alla terminologia di Al
di là del principio di piacere – Freud pone un altro principio, altrettanto fondamentale: il
principio di realtà. Se il principio di piacere è la sola regola alla quale obbedisce l’inconscio,
al contrario le funzioni coscienti dipendono dal principio di realtà. La genesi stessa delle
principali funzioni psichiche coscienti – percezione, memoria, giudizio, attenzione, ecc. – è
legata alle esigenze del principio di realtà, che si industria di rendere sempre più efficace
la relazione tra il soggetto e il mondo esterno. L’introduzione di questo secondo principio
rende ragione delle differenti strategie di soddisfazione del desiderio messe in atto
dall’inconscio e dall’io cosciente. Ma in realtà l’assunto fondamentale che era alla base del
L’interpretazione dei sogni viene confermato: la vita psichica obbedisce a una sola regola,
la regola del piacere. Il principio di realtà è, infatti, subordinato al principio di piacere:
il sostituirsi del principio di realtà al principio di piacere non significa la destituzione del
principio di piacere, ma una miglior salvaguardia di esso. Un piacere, momentaneo e
incerto nelle sue conseguenze, viene abbandonato, ma soltanto per conseguirne in
avvenire, attraverso la nuova via, uno più sicuro15.
Il principio di realtà assicura una maggiore efficacia al principio di piacere. Certamente
può accadere – e di fatto accade quasi sempre – che il principio di realtà imponga di
abbandonare un piacere immediatamente disponibile o addirittura di attraversare uno
stadio intermedio di dispiacere. Ma il passaggio attraverso il dispiacere resta funzionale
nell’ottica di un calcolo, il cui fine ultimo è il raggiungimento del massimo piacere possibile.
La metafora economica, a cui Freud ricorre spesso, esprime in modo particolarmente
efficace la logica di questa relazione. La psiche si regola in base a un’economia del piacere
il cui fine ultimo è la “massimizzazione del profitto” – se così si può dire –, cioè l’ottenimento
13 La problematicità di questa assunzione è evidenziata in modo molto chiaro da Laplanche e Pontalis
che sottolineano la differenza fondamentale tra due interpretazioni del principio di costanza che Fechner
aveva sviluppato e che Freud assume come punto di partenza della sua analisi: da una parte il principio
può essere inteso come se lo scopo dell’organismo fosse di ritornare al grado zero della stimolazione, e
dunque inevitabilmente allo stato inanimato, dall’altra esso può essere inteso come se lo scopo
dell’organismo fosse di eliminare gli squilibri nella sua relazione con l’ambiente e dunque di mantenere una
relazione costante con il mondo. La seconda possibilità, tendenzialmente, esclude l’interpretazione
nichilistica del piacere. Ma «The definitions which Freud proposes are all ambiguous in that the tendency
towards an absolute reduction and the trend to constancy are treated as identical» (Laplanche,
Pontalis,1973, p. 346).
14 È opportuno ricordare a questo punto Burke, l’autore che per primo ha delineato una distinzione di
principio tra il piacere negativo, che consiste nella liberazione dal bisogno, e il piacere positivo, che non ha
alcuna relazione con uno stato precedente di dispiacere. Questa distinzione fenomenologica fondamentale
non ha un luogo nel pensiero di Freud, che tende a pensare ogni forma di godimento sulla base del modello
offerto dal piacere negativo. Cfr. Burke (2020), pp. 66-67.
15 Freud (1981), p. 458.
235
Martino Feyles
del massimo vantaggio possibile in termini di piacere. Il principio di realtà è dunque
semplicemente un “differimento” calcolato del principio di piacere.
Il quadro teorico presentato ne L’interpretazione dei sogni e sviluppato in Precisazioni
sui due principi dell’accadere psichico viene confermato e rafforzato anche negli scritti di
metapsicologia del 1915. Nel tentativo di assicurare alla psicoanalisi un linguaggio rigoroso
– dal momento che vi è «l’esigenza che una scienza sia costruita in base a concetti chiari
ed esattamente definiti»16 –, Freud cerca di definire il concetto di pulsione. La pulsione
viene concepita come un bisogno che mira al soddisfacimento e viene pensata in analogia
con il concetto fisiologico di stimolo. La stimolazione sensoriale è un’azione esercitata
dall’ambiente esterno sulla psiche; al contrario la pulsione è una sorta di stimolazione
interna – molto più costante, più impellente, più inevitabile – che si esercita sull’apparato
psichico. Freud ribadisce la sua idea a proposito di questa stimolazione interna: si tratta
di un’esperienza che l’organismo tende naturalmente ad evitare. L’esperienza che
corrisponde a questa stimolazione che proviene dall’interno è il dispiacere, dal momento
che ciò che viene percepito è uno stato di bisogno. Al contrario il piacere corrisponde a una
«riduzione dello stimolo»17. In questo modo il sistema nervoso dell’organismo vivente, che
è regolato dal principio di piacere, sembra perseguire un solo scopo: «eliminare gli stimoli
che gli pervengono» o comunque «ridurli al minimo»18. Questa ipotesi speculativa, che
definisce il fine ultimo del vivente, la sua «intenzionalità» originaria19, non viene presentata
in questo contesto come una finzione teorica, ma come un «postulato» (Voraussetzung)
fondamentale, «il più importante» dei postulati teorici su cui si fonda la metapsicologia. Lo
stesso Freud riconosce, dunque, che si tratta di un’asserzione non verificabile
empiricamente – poiché i postulati e i presupposti per principio non possono essere
verificati – ma nello stesso tempo fondante, dal momento che offre la base teorica su cui
tutto l’edificio della metapsicologia si regge.
In Al di là del principio di piacere il quadro teorico si complica notevolmente, ma l’ipotesi
fondamentale su cui si basa la speculazione freudiana – il piacere è una diminuzione
dell’eccitazione psichica – viene confermata e sviluppata fino alle sue conseguenze più
radicali. Come è noto, il problema fondamentale intorno a cui il saggio di Freud è costruito
è il problema del significato della coazione a ripetere. La questione è assai controversa ed
è stata oggetto di un interminabile lavoro di interpretazione e commento, tanto in ambito
psicoanalitico, quanto in ambito filosofico, anche perché lo stesso Freud presenta le sue
idee in modo ambiguo e talvolta contraddittorio. Nonostante queste ambiguità, sembra
chiaro che la riflessione sul significato della coazione a ripetere conduce a una
radicalizzazione della tesi che, come abbiamo visto, era presentata come il più importante
postulato alla base della metapsicologia. «Che tipo di connessione esiste fra la pulsionalità
e la coazione a ripetere?» si domanda Freud. La risposta è nota: la pulsione deve essere
concepita come una spinta regressiva, che mira a restaurare «uno stato precedente al quale
l’organismo ha dovuto rinunciare sotto l’influsso di forze perturbatrici provenienti
dall’esterno»20.
Questa tesi è del tutto coerente con il postulato presentato in Pulsioni e loro destini che
stabiliva come scopo ultimo del sistema nervoso l’eliminazione di ogni stimolo21. La
stimolazione è sempre un’alterazione di uno stato di quiete. Se la pulsione è una
stimolazione interna e se è vero che l’«intenzionalità» fondamentale dell’organismo è
definita dalla tendenza a ridurre allo zero ogni stimolazione, ne consegue che ogni pulsione
avrà un carattere regressivo, sarà, cioè, una spinta a ritornare allo stato di quiete che
precede lo stimolo. Ma Al di là del principio di piacere è più radicale, rispetto a Pulsioni e
loro destini, perché questa tesi diventa l’argomento fondamentale su cui si appoggia una
16
17
18
19
20
21
Freud (1978), p. 27.
Ivi, p. 31.
Ivi, p. 30.
Ibidem.
Freud (1977), p. 60.
Cfr. Caropreso, Simanke (2011), pp. 89-90.
236
Metafore del piacere. Tra Freud e Derrida
tesi metafisica di carattere universale. La tendenza regressiva non sarebbe solo «una
proprietà universale delle pulsioni» – il che era già implicito in Pulsioni e loro destini – ma
anche, «forse», una proprietà universale «di tutta la vita organica»22. In questo senso un
fenomeno psicologico, che emerge nel contesto dell’osservazione analitica, acquista un
significato filosofico generale, perché diventa la chiave interpretativa a partire da cui è
possibile intravedere «il fine ultimo degli sforzi di tutto ciò che è organico»23. Le celeberrime
tesi sulla morte – compendiate nella famosa formula: «la meta di tutto ciò che è vivo è la
morte»24 – che Freud presenta in Al di là del principio di piacere, non sono semplicemente
tesi psicologiche o metapsicologiche: sono tesi “metafisiche”, nel senso che implicano
un’interpretazione relativa al senso ultimo della realtà25.
Nonostante cerchi di nasconderlo, Freud è del tutto consapevole del carattere
schiettamente filosofico dell’interpretazione che sta proponendo26. Lo dimostra in modo
incontrovertibile l’insistenza con cui ribadisce che le tesi di Al di là del principio di piacere
sono: «una speculazione che si spinge molto lontano»27; «risultati che possono dare
un’impressione di falsa profondità o misticismo»28; una concezione «che manca di ogni
evidenza intuitiva, e fa addirittura un’impressione mistica»29; l’esito di una pura «curiosità
scientifica», interessata a «seguire una certa linea di pensiero», da «sviluppare fin dove è
possibile»30. Nelle pagine finali del saggio si assiste anche a una curiosa doppia
confessione. Prima Freud ammette: non so «se e in che misura sono io stesso convinto
della validità delle ipotesi che ho sviluppato in queste pagine»31. Poco dopo però – e sono
le ultime battute del testo – si corregge e, riguardando a cose fatte il suo saggio, conclude:
«non posso evitare di ammettere che alcune delle analogie, dei collegamenti, delle
connessioni che esso contiene mi sono sembrati degni di essere presi in considerazione»32.
D’altra parte, i rimandi a Schopenhauer, a Nietzsche e a Platone sono inequivocabili: Freud
sa di aver intrapreso un cammino che è quello della speculazione filosofica e proprio per
questo, da uomo di scienza, moltiplica le prudenze, professa un certo scetticismo nei
confronti delle sue stesse riflessioni, si scusa ripetutamente col lettore. La psicoanalisi di
Freud non è difficile da situare solo in relazione alla scienza e alla finzione, ma anche in
relazione alla filosofia33.
Freud (1977), p. 60.
Ivi, p. 63.
24 Ibidem.
25 In questo senso è significativo che la prima occorrenza del termine “metapsicologia” (Freud, 1982, p.
280) si presenti in un contesto in cui Freud prospetta la possibilità di una “traduzione” della metafisica in
termini di psicologia dell’inconscio. Le teorie sulla realtà soprasensibile – Freud in quel contesto pensa alle
superstizioni e alle religioni, ma nulla ci impedisce di pensare anche alle metafisiche filosofiche – devono
essere sostituite dalla psicologia dell’inconscio. La metapsicologia deve dunque prendere il posto della
metafisica.
26 Robert Grimwade ha analizzato l’ambiguo rapporto di eredità e nello stesso tempo di denegazione che
lega Freud a Nietzsche e Schopenhauer: «Philosophy is operating behind the scenes in Freud’s writings,
framing the unfolding of psychoanalysis from its origin. In Beyond the Pleasure Principle Freud is
“speculating.” He is traversing the very boundary he established between “philosophy” and
“psychoanalysis.” But rather than admitting that the official boundary has been transgressed, Freud
insulates a purely “scientific” psychoanalysis from purely “speculative” metaphysics». Grimwade (2012), p.
361.
27 Freud (1977), p. 41.
28 Ivi, p. 62.
29 Ivi, p. 87.
30 Ivi, p. 94.
31 Ibidem.
32 Ivi, p. 97.
33 Anche il fatto che Freud consideri la teoria psicoanalitica delle due pulsioni originarie e la teoria
cosmica di Empedocle due dottrine che per molti versi «sarebbero identiche» (Freud, 1989b, p. 60) conferma
il carattere metafisico della tesi fondamentale sostenuta in Al di là del principio di piacere. Su questo cfr.
Kofman (1991): «Moreover, in formulating his theory of the existence of a universal death instinct, one which
would be in existence prior even to life itself and which would be revealed by physical phenomena such as
the repulsion of bodies, Freud gives his own theory a cosmic dimension» (ivi, p. 25).
22
23
237
Martino Feyles
Ora, qual è l’argomento fondamentale su cui si appoggia questa speculazione che non è
propriamente filosofica, né rigorosamente scientifica, né semplicemente finzionale e che
conduce a una visione del mondo in cui la morte è il fine ultimo del vivente? È necessario
evidenziare la catena argomentativa che unisce i termini del ragionamento freudiano:
morte, ripetizione, pulsione, piacere. La morte è il fine ultimo di ogni vivente, perché la
struttura universale della pulsione è la ripetizione e la morte è il regresso assoluto, cioè il
ritorno allo stato inanimato che precede la vita. Ma perché la struttura della pulsione è
strutturalmente regressiva? Perché la pulsione è la percezione di una stimolazione interna
e la soddisfazione di una pulsione si ottiene solo facendo cessare questa stimolazione, cioè
ritornando al grado zero della stimolazione. Ma cosa vuol dire soddisfazione di una
pulsione? Quand’è che una pulsione viene soddisfatta? L’esperienza della soddisfazione di
una pulsione è il piacere, mentre la persistenza di uno stimolo pulsionale è avvertita a
livello psichico come un dispiacere. Che cos’è dunque un piacere?
Tutto il ragionamento dipende da questa domanda. Come abbiamo visto Freud aveva
già risposto a questo interrogativo ne L’interpretazione dei sogni e aveva più volte ribadito
la sua risposta. Al di là del principio di piacere ripete ancora una volta la tesi fondamentale:
l’apparato psichico si forza «di mantenere più bassa possibile, o quanto meno costante la
quantità di eccitamento presente nell’apparato stesso. Questa ipotesi non è che una
diversa formulazione del principio di piacere»34. Questa concezione negativa del piacere è
il fondamento ultimo di una catena argomentativa che è ancora implicita ne
L’interpretazione dei sogni e che viene progressivamente sviluppata da Freud, giungendo
fino alle sue conseguenze ultime solo in Al di là del principio di piacere. Non credo sia
sbagliato indicare questa interpretazione del piacere ricorrendo al termine “nichilismo”.
Dal punto di vista freudiano il piacere è un “annullamento” dell’eccitazione psichica, una
“nullificazione” dello stimolo pulsionale. La visione del mondo che viene prospettata in Al di
là del principio di piacere dipende in ultima analisi da un’interpretazione nichilistica del
piacere.
Se è così, la questione fenomenologica del piacere, il problema di descrivere l’esperienza
del piacere, acquista un significato strategico decisivo. Come abbiamo visto, Freud
presenta la sua interpretazione della nozione di piacere come una «finzione» (ne
L’interpretazione dei sogni), come un «postulato» (in Pulsioni e loro destini), come una
«ipotesi» e come una «speculazione» (in Al di là del principio di piacere). È chiaro però che
questa ipotesi, indipendentemente dal fatto che sia scientifica, filosofica o finzionale, deve
avere un suo radicamento nell’esperienza soggettiva. Nell’ultimo paragrafo di Al di là del
principio di piacere si trova un’indicazione fondamentale a questo proposito. Freud si
interroga sulla relazione tra pulsione di morte e piacere. Il principio di piacere, che è la
regola fondamentale della vita psichica, viene in qualche modo subordinato, quasi che
fosse «al servizio delle pulsioni di morte»35. A margine di queste osservazioni Freud nota:
«Abbiamo tutti sperimentato come il massimo piacere che possiamo attingere, il piacere
dell’atto sessuale, sia legato con la momentanea estinzione di un eccitamento
estremamente intenso»36.
Il godimento del sesso è dunque il prototipo che serve da riferimento per pensare
l’esperienza del piacere in generale37. Dal momento che il piacere sessuale consiste
nell’annullamento della “tensione” e dell’“eccitazione”, che sono alla base della pulsione
sessuale, bisogna supporre che ogni piacere debba avere la medesima struttura.
L’interpretazione nichilistica del piacere, con tutte le sue conseguenze, ha il suo
radicamento fenomenologico in questa osservazione: «Abbiamo tutti sperimentato…»38.
Ivi, p. 19.
Ivi, p. 101.
36 Ivi, p. 99.
37 Bencivenga (2012), p. 20.
38 È importante notare che, qualche anno dopo Al di là del principio di piacere, Freud ritorna sul problema
e sembra manifestare più di un dubbio sulle sue precedenti affermazioni. In Il problema economico del
masochismo a proposito dell’identificazione del principio di piacere con «il principio del nirvana», cioè con
la tendenza ad annullare ogni tensione e ogni stimolazione, Freud afferma a chiare lettere: «questa
34
35
238
Metafore del piacere. Tra Freud e Derrida
3. Il punto di vista economico e la qualità del piacere
La lettura di Al di là del principio piacere che Derrida propone si sviluppa in molteplici
direzioni. Per rendersi conto della varietà dei temi che si intrecciano in Speculare - su
“Freud” è sufficiente provare a elencare in modo schematico quelli che ricorrono in modo
più insistente. In ordine sparso e senza alcuna pretesa di completezza possiamo dire che
Derrida: a) evidenzia il singolare rapporto che lega psicoanalisi e finzione39; b) si interroga
sulla denegazione di Freud, che rifiuta la filosofia, ma nello stesso tempo propone una
speculazione filosofica, che si richiama a Platone, Nietzsche e Schopenhauer40; c) utilizza
la contrapposizione freudiana tra piacere e realtà, vita e morte, per situare la nozione di
différance al di là delle coppie concettuali classiche41; d) dimostra il ripiegamento su stesso
del testo di Al di là del principio di piacere, dal momento che Freud analizza il principio di
piacere e la coazione a ripetere, ma la sua analisi obbedisce inconsapevolmente alla logica
del piacere e della ripetizione, mettendo in scena performativamente i due principi che
intende tematizzare42; e) analizza il singolare rapporto che la psicoanalisi intrattiene con
la personalità del suo fondatore e con la firma di Freud, distinguendosi così da ogni scienza
oggettiva43; f) evidenzia la necessità inevitabile del ricorso alla metafora nel discorso
psicoanalitico44; g) analizza il complesso rapporto che Freud stabilisce tra la nozione di
piacere e la nozione di “costrizione” o capacità di “legare” (Bindung)45; h) individua nella
“pulsione di dominazione” il principio nascosto che si situa al di là del piacere46; i) dimostra
il carattere paradossale e autocontraddittorio delle nozioni di piacere e dispiacere utilizzate
in Al di là del principio di piacere47; l) riflette sul singolare modo di argomentare di Freud,
che ripetutamente afferma la necessità di muovere un “passo” ulteriore, approfondendo
l’analisi speculativa, ma in realtà sembra ritornare sempre allo stesso punto, segnando il
passo48.
Questo elenco è senza dubbio incompleto e parziale. Il suo scopo è solo di situare le
osservazioni che verranno proposte in questo paragrafo sullo sfondo di un contesto che –
non bisogna dimenticarlo – rimane più ampio. Tra i numerosi problemi analizzati in
Speculare – su “Freud”, ognuno dei quali richiederebbe una trattazione a parte, possiamo
qui analizzarne uno soltanto, che è particolarmente significativo nella prospettiva che viene
concezione non può essere esatta» (Freud, 1980, p. 6). Il piacere e il dispiacere non possono esse concepiti
semplicemente sulla base di «un fattore quantitativo», cioè come incremento o decremento dell’eccitazione
psichica, bensì a partire da un’altra «caratteristica che non possiamo fare altro che definire qualitativa»
(ibidem). Anche in questo contesto Freud ribadisce che la psicoanalisi non è in grado di dire quasi nulla su
questa misteriosa caratteristica qualitativa del piacere: «Se sapessimo dire in cosa consiste questa
caratteristica qualitativa del piacere, avremmo fatto un grande passo in avanti in psicologia» (ibidem).
Derrida menziona solo di sfuggita, in due note, questo testo di Freud, che però ha un’importanza
fondamentale nella prospettiva qui delineata. Il ripensamento freudiano conferma la problematicità della
questione relativa alla qualità del piacere. Evidentemente anche Freud deve aver avvertito una certa
insoddisfazione a proposito delle tesi prospettate in Al di là del principio di piacere e in particolare a proposito
della riduzione quantitativa dell’esperienza del piacere e della sua interpretazione nichilistica. In effetti in Il
problema economico del masochismo il principio di piacere viene considerato come una modificazione del
principio del nirvana operata dalla libido. In questo senso il piacere sarebbe legato essenzialmente alle
pulsioni di vita, mentre l’annullamento dello stimolo, l’effetto nirvana, sarebbe legato essenzialmente alle
pulsioni di morte. In questo differente quadro teorico il piacere non avrebbe più un intrinseco carattere
auto-distruttivo e dovrebbe cadere, di conseguenza, anche la catena argomentativa che in Al di là del
principio di piacere porta Freud a supporre che ogni organismo tenda naturalmente alla propria morte.
39 Derrida (2000), pp. 98; 130 e ss.
40 Ivi, pp. 5-9; 16.
41 Ivi, pp. 31-32.
42 Ivi, pp. 52; 72.
43 Derrida non cita Foucault, ma questo legame essenziale tra la psicoanalisi e la personalità di Freud
era stato evidenziato in Che cos’è un autore. Cfr. Foucault (2010), p. 19.
44 Derrida (2000), p. 145-146.
45 Ivi, pp. 168-169.
46 Ivi, pp. 170-172
47 Ivi, pp. 163-165.
48 Ivi, p. 30.
239
Martino Feyles
delineata in questo articolo. Si tratta del problema della qualità soggettiva – si potrebbe
dire: “fenomenologica” – del piacere.
Nelle prime righe di Al di là del principio di piacere Freud ribadisce il presupposto
fondamentale su cui, come abbiamo visto, si basa la sua teoria del piacere. Il piacere è
concepito partendo da un «punto di vista economico»49 come un abbassamento della
tensione prodotta da una stimolazione che viene avvertita come spiacevole. Derrida
evidenzia il carattere per certi versi dogmatico di questa assunzione:
La ricerca del piacere […] il piacere legato ad un calo di tensione, tutto questo presuppone
che si sappia almeno implicitamente che cosa sia il piacere, che si pre-comprenda il senso
di questa parola (piacere), visto che di per sé, quanto detto non lo chiarisce minimamente.
Nulla è detto dell’esperienza qualitativa del piacere. Che cos’è? In cosa consiste? […] La
definizione del principio di piacere è muta per quanto concerne il piacere, la sua essenza,
la sua qualità. Condotta dal punto di vista economico, la sua definizione non interessa
che relazioni quantitative50.
L’analisi di Freud prende le mosse da una precomprensione della nozione di piacere che non
viene mai analizzata in modo critico. Il presupposto da cui Freud parte – lo abbiamo ripetuto
più volte – è che il piacere sia un abbassamento di tensione. Questa idea dipende
dall’assunzione di un punto di vista oggettivante. «La scienza come conoscenza oggettiva
[…] non può formulare la questione della valutazione quantitativa di un effetto qualitativo,
diciamo per fare presto “soggettivo”»51. Poiché la scienza si deve occupare di quantità e
rapporti oggettivamente misurabili, la psicoanalisi – che vuole essere un discorso
scientifico e non semplicemente una speculazione filosofica – deve considerare il piacere
in termini puramente quantitativi, prescindendo dall’«esperienza qualitativa» del piacere.
In questo modo rimane enigmatico che cosa propriamente deve essere misurato, l’essenza
di ciò di cui si vuole stabilire una determinazione quantitativa. Lo stesso Freud sembra in
diversi luoghi riconoscere questa enigmaticità. «Sin dall’inizio – nota Derrida – Freud ha
riconosciuto che la sensazione di piacere-dispiacere resta misteriosa, stranamente
inaccessibile. Nessuno insomma ha saputo ancora dirne qualcosa, né lo psicologo di
professione, né il filosofo e neppure lo psicoanalista»52.
Piacere e dispiacere sono definiti da Freud in termini di aumento o diminuzione
dell’eccitazione psichica. “Aumento” e “diminuzione” sono determinazioni quantitative
contrapposte. Ma che cos’è che “aumenta” o “diminuisce” nell’esperienza del piacere e del
dispiacere? Nell’incipit di Al di là del principio di piacere Freud parla di un abbassamento
di «tensione» (Spannung). Ne L’interpretazione dei sogni si trattava invece di evitare il più
possibile l’«eccitazione» (Erregung). In Pulsioni e loro destini il piacere era definito come una
«riduzione dello stimolo» (Herabsetzung des Reizes). Cosa indica “esattamente” questa
terminologia? Che significa “eccitazione psichica”? Cosa vuol dire “tensione” psicologica?
Come si percepisce una “stimolazione” interna?
In realtà, secondo Derrida, questa terminologia descrive il piacere in un modo
irriducibilmente metaforico53. Come abbiamo visto, Freud, in diverse occasioni evidenzia la
necessità di fornire la psicoanalisi di un linguaggio rigoroso. Nonostante ciò «la deviazione
metaforica è qui particolarmente indispensabile»54. L’attività psichica che aumenta o
diminuisce nel caso del piacere non si lascia nominare “propriamente”, e dunque non si
mostra, se non indirettamente, attraverso le metafore della tensione, della stimolazione,
Freud (1977), p. 17.
Derrida (2000), p. 20.
51 Ivi, p. 35.
52 Ivi, p. 24.
53 Anche nel saggio dedicato a La scorza e il nocciolo di N. Abraham, Derrida ritorna su questa idea,
affermando la necessità di passare «attraverso le transposizioni tropiche» per descrivere l’inconscio. Derrida
(2008), p. 170.
54 Derrida (2000), p. 106.
49
50
240
Metafore del piacere. Tra Freud e Derrida
dell’eccitazione. Oppure attraverso la metafora del “legame”. L’analisi di questa metafora
particolare occupa uno spazio notevole in Speculare – su “Freud”. In effetti in Al di là del
principio di piacere, ma anche negli altri testi freudiani di metapsicologia, l’immagine del
“legame” gioca un ruolo strategico decisivo. I processi secondari, cioè i processi consci,
sono definiti da Freud come processi legati. I processi primari, cioè i processi inconsci sono
invece, slegati. Questo significa che nell’inconscio l’“energia” psichica circola liberamente,
senza costrizioni. Al contrario il compito principale della coscienza è di imbrigliare
quest’energia libera, di legarla. Il problema fondamentale dell’io è dunque «di dominare lo
stimolo, di “legare”, in senso psicologico, le masse di stimoli»55.
Ora, nel momento stesso in cui Freud parla di quanto di legame, di tensione e di controtensione o di tensione di contro-investimento, non sa di cosa sta parlando. E, del resto,
lo riconosce. Non sappiamo cosa in questo modo sia legato, slegato, messo in tensione,
contro-tensione, rilasciato. Come nulla sappiamo della natura del processo di eccitazione
del sistema psichico. Questo contenuto resta una grande “X” con la quale “operiamo”.
Quale che sia il loro ambito di provenienza, è al posto di questa cosa X che i Vorbilder, le
immagini, i modelli, i prototipi, i paradigmi vengono messi alla prova56.
L’esperienza del piacere, nella sua qualità fenomenologica, resta in qualche modo
inaccessibile. Le immagini che Freud usa descrivono i rapporti di forza che intercorrono
tra diverse quantità di energia psichica che aumentano o diminuiscono. Ma si tratta
sempre di una descrizione metaforica che raffigura le modificazioni che si producono nello
psichico utilizzando le immagini contrapposte della tensione e del rilascio, del legame e
dello slegamento, dell’eccitazione e della quiete, dell’investimento e del controinvestimento. Certamente alcune di queste immagini hanno una legittimità anche
all’interno di discorsi scientifici più obbiettivi. In fisica, per esempio, è possibile descrivere
lo “stato di eccitazione” di una particella. Allo stesso modo è lecito parlare di “tensione” e
“carica” dal punto di vista elettromagnetico, o di “legame” dal punto di vista chimico. In
altri casi, come abbiamo visto, la psicoanalisi prende in prestito la terminologia dal
linguaggio dell’economia. I rimandi metaforici di quest’ultima tipologia hanno un privilegio
particolare, perché consentono di impostare il problema del “calcolo” del piacere in termini
puramente quantitativi, cioè come un confronto tra quantità equiparabili. Per questo
Derrida, nel titolo del suo saggio, rimanda al doppio significato – filosofico, ma anche
economico – della parola “speculazione”. Infine, in diversi passaggi di Al di là del principio
di piacere ricorrono con insistenza le metafore belliche: Freud parla della necessità da parte
dell’organismo di costituire uno «scudo», che lo protegga dagli stimoli esterni; descrive il
trauma come una «breccia» che si produce nella «barriera protettiva»; analizza i «mezzi di
difesa» che l’organismo può mobilitare per difendersi; considera la possibilità che il
principio di piacere sia «messo fuori combattimento»57. Benché queste metafore differenti
abbiano una legittimità epistemologica diversa – più o meno scientifica –, quello che
Derrida evidenzia è che l’esperienza del piacere resta, per una necessità strutturale, senza
un nome “proprio”. Freud la descrive sempre e solo in modo figurato, utilizzando una
terminologia che è sempre “presa in prestito”.
4. Decostruire la psicoanalisi?
L’importanza di Freud per lo sviluppo del pensiero derridiano è nota e lo stesso Derrida ha
avuto modo di sottolinearla in più di un’occasione. In un dialogo del 1971, pubblicato nella
raccolta Positions, la questione viene posta in termini diretti: «est-il inutile de rappeler
d'abord» – si domanda Derrida ‒ «que depuis De la grammatologie et Freud et la scène de
l'écriture, tous mes textes ont inscrit ce que j’appellerai leur “portée” psychanalytique?»58.
55
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58
Cfr. Freud (1977), pp. 50; 58.
Derrida (2000), p. 106.
Freud (1977), pp. 49-50.
Derrida (1972), p. 110.
241
Martino Feyles
In effetti, nei tre testi del ’67, in cui vengono tratteggiate le linee fondamentali della
grammatologia e più in generale della decostruzione, il rimando a Freud è sempre
essenziale. In La voce il fenomeno la questione del «ritardo», la problematica freudiana del
nachträglich, è uno degli argomenti fondamentali utilizzati per decostruire il primato della
presenza59. In Freud e la scena della scrittura la psicoanalisi è presentata come il momento
inaugurale di un nuovo pensiero della scrittura: mentre tutta la tradizione metafisica
occidentale non ha mai smesso di dare credito alla nozione più familiare e più ovvia di
scrittura, «il gesto iniziato da Freud interrompe questa certezza e apre un nuovo tipo di
interrogazione»60. In Della grammatologia viene prospettato un metodo di lettura di «quello
che si chiama “storia delle idee”» che non obbedisce più alle regole della storiografia, della
filologia e della ricerca storica, ma a una logica paradossale in cui «gli incompatibili sono
simultaneamente ammessi»61. Ora, questa logica – Della grammatologia lo dice
esplicitamente – è stata descritta per la prima volta da Freud, anche se in relazione al
problema circoscritto del sogno. Anche nella nota conferenza sulla “différance” del ’68 –
senza dubbio un altro testo che segna in modo definitivo il percorso teorico derridiano –
Freud è chiamato in causa ripetutamente per descrivere il movimento dello spaziamento e
del temporeggiamento differenziale: «i due valori apparentemente differenti della différance
si intrecciano nella teoria freudiana: il differire come discernibilità, distinzione, scarto,
diastema, spaziamento, e il differire come deviazione, dilazione, riserva,
temporeggiamento»62.
Il debito di Derrida nei confronti della psicoanalisi63 è talmente rilevante che è naturale
che si sia imposta, tanto nella vulgata, quanto nella letteratura specialistica, l’idea che la
decostruzione sia una sorta di psicoanalisi dei testi filosofici. Per dirla con le parole di uno
dei più autorevoli interpreti italiani del pensiero derridiano, Maurizio Ferraris, «Derrida si
accosta alla filosofia per l’appunto come uno psicoanalista si rapporta al nevrotico»64.
Questa idea non è senza fondamento, ma non deve essere assunta in modo unilaterale. È
vero che il lavoro sui testi classici della filosofia che è tipico dello stile derridiano ha più di
un’analogia con la pratica psicoanalitica. In entrambi i casi si tratta di far emergere il
rimosso, attraverso un’operazione per certi versi violenta, che implica il superamento delle
resistenze che il paziente e il testo oppongono all’analisi. La stessa metafora che è alla base
del termine “decostruzione” suggerisce una certa parentela con l’attività dello
psicoanalista. Derrida lo spiega chiaramente in Resistenze. Sul concetto di analisi: «Ciò che
chiamiamo la “decostruzione” obbedisce innegabilmente ad un’esigenza analitica, allo
stesso tempo critica e analitica. Si tratta sempre di disfare, desedimentare, decomporre,
decostituire dei sedimenti, degli artefacta, delle presupposizioni, delle istituzioni»65. Non si
danno solo le resistenze psichiche individuali, che il paziente oppone al ritorno del rimosso.
Si danno anche le resistenze culturali, politiche e sociali che la filosofia oppone
all’emergenza di determinati problemi. Per questo le “parole chiave” della filosofia
derridiana – ma l’espressione va presa con la dovuta ironia – indicano sempre problemi
negati o rimossi: “scrittura”, “differenza”, “tecnica”, ecc.
Tuttavia, nonostante questa somiglianza di fondo, la decostruzione non è
semplicemente un’applicazione del metodo psicoanalitico nell’ambito della critica o
dell’ermeneutica dei testi filosofici66. Da questo punto di vista Speculare – su “Freud” è un
testo di fondamentale importanza. In primo luogo perché dimostra che anche il discorso
Derrida (2001), pp. 98-99.
Derrida (2002), p. 258.
61 Derrida (2006), p. 329.
62 Derrida (1997b), p. 46.
63 René Major, uno degli psicoanalisti francesi che per decenni ha intrattenuto un fecondo rapporto di
scambio teorico con Derrida, evidenzia in modo molto incisivo questo debito: «Certains, dont Derrida – et
pour lui de la façon la plus évidente et la plus éminente –, ne pensaient déjà pas ou déjà plus sans la
psychanalyse. […] La psychanalyse, c’est ce que Derrida, lui, n’oublie jamais». Major (2002), p. 166.
64 Ferraris (2003), p. 67.
65 Derrida (2014), pp. 88-89.
66 «Malgrado le apparenze, la decostruzione del logocentrismo non è una psicoanalisi della filosofia»
Derrida (2002), p. 255. Cfr. anche Vergani (2000), p. 106.
59
60
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Metafore del piacere. Tra Freud e Derrida
psicoanalitico può e deve essere decostruito67. I testi di Freud non possono sottrarsi al rigore
dell’analisi decostruttiva68. Questa analisi fa emergere le contraddizioni, i paradossi, le
resistenze, le denegazioni che sono nascoste nel testo freudiano, proprio come nei testi
classici della filosofia69. In secondo luogo Speculare – su “Freud” è un testo importante
perché ridefinisce i rapporti tra psicoanalisi e fenomenologia. La strategia che Derrida segue,
leggendo Al di là del principio di piacere, è l’immagine al rovescio di quello che accadeva nei
tre libri del ’67, che ho citato in precedenza. Nella prima fase del suo cammino di pensiero
Derrida usa la psicoanalisi contro le pretese idealistiche e soggettivistiche della
fenomenologia. Al contrario, come ho cercato di mostrare nel paragrafo precedente, in
Speculare – su “Freud” viene evidenziata la mancanza di un’adeguata descrizione
fenomenologica della nozione di piacere all’interno del discorso psicoanalitico. L’insistenza
con cui Derrida ripete che Freud non sa indicare “cosa” sia il piacere, dal punto di vista
“qualitativo” o dal punto di vista esperienziale, va in questa direzione. Questo non significa
assolutamente che Derrida “ritorna alla fenomenologia” e ancora meno che “rinnega” le
critiche che aveva sviluppato in La voce e il fenomeno, nell’introduzione a L’origine della
geometria e in Della Grammatologia. Significa, invece, che la decostruzione non si situa
semplicemente dalla parte della psicoanalisi e contro la fenomenologia, ma tre le due.
Da una parte «nulla appare in generale più irriducibilmente fenomenico, nella sua stessa
struttura, del piacere»70. In questo senso la psicoanalisi presuppone sempre una
fenomenologia, implicita o esplicita, che determini che cos’è il piacere dal punto di vista
esperienziale. Dall’altra parte questa fenomenologia rimane per Derrida impossibile. Freud
non può “mostrare” direttamente il fenomeno del piacere, ma solo indirettamente,
impropriamente, attraverso la deviazione metaforica. In realtà, dal punto di vista
derridiano, nemmeno una fenomenologia di impostazione husserliana potrebbe veramente
fare a meno delle metafore. La cosa stessa, il fenomeno del piacere, deve rimanere
accessibile solo grazie alla mediazione di una terminologia impropria. Per questo Speculare
– su “Freud” sostiene nello stesso tempo la necessità e l’impossibilità di una fenomenologia
del piacere. Il discorso teorico di Freud avrebbe bisogno di «una fenomenologia che
occorrerebbe evocare qui al di là dei limiti reali come degli interdetti che la escludono dalla
psicoanalisi»71. Eppure questa fenomenologia rimane, per Derrida, un compito che non è
possibile realizzare fino in fondo.
Dove si colloca dunque la decostruzione, in questa triangolazione che la vede
necessariamente in rapporto con la psicoanalisi, ma anche con la fenomenologia?
Possiamo “immaginare” che Derrida avrebbe risposto a questa domanda: “né con Husserl,
né con Freud”.
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67 Lo stesso Derrida ha espresso con un’immagine particolarmente felice il rapporto che lega il suo
pensiero a quello di Freud, un rapporto che è nello stesso tempo segnato da una filiazione, da un’eredità,
ma anche da un esigenza di critica: «J’aime l’expression “ami de la psychanalyse”. Elle dit la liberté d’un
alliance, un engagement sans statut institutionnelle. L’ami garde la réserve ou le retraite nécessaires à la
critique at la discussion, au questionnement réciproque, parfois le plus radical». Derrida, Roudinesco (2001)
p. 271.
68 Su questo cfr. Cabestan (2007). Cabestan nota che mentre «certains voudraient faire de J. Derrida un
avocat de la psychanalyse» (ivi, p 71), per Derrida i concetti della psicoanalisi appartengono tutti alla storia
delle metafisica e per questo devono essere decostruiti (ivi, p. 70).
69 Anche in Mal d’archivio Derrida sostiene che Freud «ha reso possibile il pensiero di un archivio
propriamente detto» […] «in quello che è già uno spaziamento psichico», ma, nello stesso tempo, è rimasto
per molti versi un «metafisico classico». Derrida (2005), p. 112.
70 Derrida (2000), p. 21.
71 Ivi, p. 142.
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