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Esemplarità e giudizio: note sull'estetica kantiana

2022, Aesthetica Preprint

In the first part of the essay, I will analyse the notion of exemplarity starting from the book of E. Garroni Estetica. Uno sguardo attraverso. I will try to show that, from Garroni's point of view, the work of art can be considered an exemplary object for two reasons: firstly because it has a normative value, in the sense that it establishes a new rule; secondly because the rule it establishes cannot be translated into conceptual terms. In the second part of the essay, I will use the notion of exemplarity to analyse some passages of the Critique of Judgment. I will argue that the distinction between reflective and determinative judgement can be rethought as a distinction between two different modes of exemplification. Finally, in the last part of the article, I will show that for Kant to present a concept means to exemplify it, and I will distinguish between the different modes of presentation (Darstellung) that are described in the First Critique and in the Third Critique. In particular, I will distinguish between: A) schematic presentation of a pure concept of the intellect; B) presentation of an empirical concept in an example; C) indirect presentation of an idea; D) schematic presentation of an empirical concept not yet known (exemplary case); E) aesthetic presentation of formal purposiveness of nature (in natural beauty); F) presentation (by the genius) of a rule of beautiful art.

Aesthetica Preprint, n. 119, gennaio-aprile 2022 ISSN 0393-8522 DOI: 10.7413/0393-8522098 Esemplarità e giudizio: note sull’estetica kantiana Martino Feyles* ABSTRACT In the first part of the essay, I will analyse the notion of exemplarity starting from the book of E. Garroni Estetica. Uno sguardo attraverso. I will try to show that, from Garroni’s point of view, the work of art can be considered an exemplary object for two reasons: firstly because it has a normative value, in the sense that it establishes a new rule; secondly because the rule it establishes cannot be translated into conceptual terms. In the second part of the essay, I will use the notion of exemplarity to analyse some passages of the Critique of Judgment. I will argue that the distinction between reflective and determinative judgement can be rethought as a distinction between two different modes of exemplification. Finally, in the last part of the article, I will show that for Kant to present a concept means to exemplify it, and I will distinguish between the different modes of presentation (Darstellung) that are described in the First Critique and in the Third Critique. In particular, I will distinguish between: A) schematic presentation of a pure concept of the intellect; B) presentation of an empirical concept in an example; C) indirect presentation of an idea; D) schematic presentation of an empirical concept not yet known (exemplary case); E) aesthetic presentation of formal purposiveness of nature (in natural beauty); F) presentation (by the genius) of a rule of beautiful art. KEYWORDS Kant, Garroni, Exemplarity, Aesthetics, Philosophy of Art 1. Esemplificazione ed esemplarità Come è noto, per Garroni l’estetica non è una “filosofia speciale”, che si occupa di analizzare un oggetto particolare, l’opera d’arte. Al contrario l’estetica coincide con la riflessione trascendentale nel senso più generale: coincide, cioè, con una analisi delle condizioni di possibilità dell’esperienza. L’espressione che indica questo carattere trascendentale della riflessione estetica è ripresa da Wittgenstein: “guardare-attraverso”. L’estetica è una riflessione filosofica che guarda-attraverso un’esperienza particolare, per co* Università Telematica eCampus, martino.feyles@uniecampus.it 165 gliere le condizioni dell’esperire in generale. L’oggetto particolare che mette in moto la riflessione e rende possibile il guardare-attraverso è l’opera d’arte.1 In termini heideggeriani si può dire, dunque, che l’opera d’arte non è semplicemente la comunicazione di questo o quel messaggio, ma è la messa in opera della verità: “Quell’opera d’arte si rivela allora come l’esempio non di una classe di oggetti, ma dell’apparire della verità, in quanto questa “si pone in opera”“ (Garroni 2020, p. 102). Ma cosa significa qui la parola “esempio”? L’esempio è un particolare che rappresenta un universale (Arendt 1990, p. 126; Condello e Ferraris 2015, p. 623). In questo senso tutto può essere esempio. Anzi, ogni cosa è necessariamente l’esemplificazione di una molteplicità aperta di universali. L’oggetto che ho in mano in questo momento – la mia copia di Estetica. Uno sguardo attraverso – può illustrare il concetto empirico “libro”, ma può anche illustrare il concetto geometrico di “parallelepipedo” o il concetto empirico di “superficie liscia”. Ma se ogni realtà individuale esemplifica un universale, allora che differenza c’è tra l’opera d’arte e un oggetto qualsiasi? Cosa vuol dire che l’opera d’arte è un esempio della verità? Non dobbiamo forse pensare che ogni esperienza sia un’esemplificazione delle condizioni generali dell’esperire? Per rispondere a queste domande bisogna prestare la massima attenzione alla nota che Garroni aggiunge a margine dell’affermazione heideggeriana che ho citato: Si potrebbe convenire – ma ci sembra non necessario, considerata la forza distinguente del contesto – di usare la coppia “esempio”-”exemplum” per distinguere i due significati, come fa spesso il tedesco filosofico utilizzando parole di diversa provenienza (per es. Exempel e Beispiel): “esempio” nel senso in cui un gatto è esempio della classe dei gatti, ed “exemplum” nel senso in cui Cristo è exemplum per gli uomini nell’imitatio Christi, cioè nel senso in cui qualcosa di concreto e determinato è portatore di una qualità o di una condizione non esprimibile altrimenti che attraverso il suo portatore (Garroni 2020, p. 102n). Un gatto qualunque può essere indicato come un esempio del concetto di gatto; ma non per questo un tale gatto è “esemplare”. Possiamo considerare esemplare il gatto che Renoir raffigura in Julie Manet con il gatto (1887, Musée d’Orsay). L’animale che si gode beatamente l’abbraccio della sua padrona, nella tela di Re1 Non è necessario che sia così. In seguito alla “caduta dell’esemplarità dell’arte” (Garroni 2020, p. 230; Montani 2007, p. 82) è possibile che altri oggetti, all’interno dei diversi ambiti della storia, della politica, dell’etica, della tecnica, assumano un significato esemplare (Feyles 2021). Lo stesso Garroni riconosce in modo esplicito questa possibilità (Garroni 2020, p. 110). 166 noir, rappresenta qualcosa che non è riconducibile a un semplice concetto empirico. Non è semplicemente “un” gatto: è un gatto che dice qualcosa di vero a proposito dell’insondabile temperamento dei gatti.2 Ma dice qualcosa di vero anche a proposito di Julie Manet e del suo rapporto con il pittore, a proposito della relazione tra l’uomo e gli animali domestici e forse anche a proposito dell’idea di beatitudine che doveva avere in mente Renoir. Non siamo in grado di esprimere in una formulazione unica tutto quello che il ritratto di Julie Manet “dà da pensare”. Proprio per questo il quadro di Renoir è un’immagine esemplare. Un’immagine è esemplare quando rappresenta qualcosa di “non esprimibile altrimenti”, cioè qualcosa che non è mai del tutto definibile in termini concettuali. Tuttavia, questa inesauribilità concettuale è solo uno dei tratti che definiscono la nozione di esemplarità. Bisogna prestare attenzione anche al secondo esempio che Garroni propone nella nota che ho citato. Evidentemente, la vita di Cristo non è semplicemente “una” vita tra le altre. È una vita che rappresenta un paradigma normativo per tutti i fedeli. La vita di Cristo è “esemplare” perché è il modello di riferimento per tutte le vite cristiane. Anche se Garroni non lo dice esplicitamente, l’esempio della vita di Cristo è kantiano. Ne La religione entro i limiti della sola ragione Kant spiega che Cristo – in una prospettiva puramente razionale3 – deve essere considerato come la “personificazione” della moralità vissuta (Kant 2001, pp. 62 e ss.). Ma quello che bisogna rilevare – andando oltre la lettera del testo del La religione entro i limiti… – è il carattere istitutivo, in un certo senso performativo, dell’exemplum. Cristo non rappresenta semplicemente un modo di vita, lo inaugura. L’exemplum ha un valore normativo, nel senso che introduce una norma nuova, in questo caso una norma morale ed esistenziale.4 Torniamo a questo punto alle opere d’arte. Per Garroni l’opera d’arte non è semplicemente un esempio, è un exemplum. Proprio questa esemplarità è la condizione che rende possibile il guardare-attraverso. Quando vediamo un gatto qualsiasi, la nostra percezione è un semplice guardare: vediamo qualcosa di determinato, 2 Heidegger (2008, p. 110) dice qualcosa di molto simile analizzando la lepre di Dürer: “qui il singolo è al tempo stesso la sua essenza”. 3 Ovviamente la prospettiva di Kant è molto diversa dalla prospettiva dell’uomo di fede che crede nel Cristo storico, che crede cioè che Gesù sia effettivamente il Figlio Dio morto e risorto per salvare tutti gli uomini. Per Kant Cristo è solo un esempio di umanità morale, per il fedele Cristo è effettivamente Dio incarnato. 4 Proprio per questo la distinzione tra esempio ed exemplum che analizzo in questo articolo coincide solo in parte con la distinzione tra “example”, “exemplar” e “case” analizzata da Summa e Mertens (2021) riprendendo Lipps (2015). 167 “un gatto”. Invece, quando guardiamo un’opera d’arte, accade qualcosa di diverso: questa esperienza-qui, in quanto esperienza esemplare della sua condizione, ma non determinabile nella sua esemplarità per via di tratti pertinenti, è qualcosa di empirico, un condizionato, che contiene, esibisce e in qualche modo è un’esperienza in genere, una condizione. (Gattoni 2020, p. 149) Questo è il senso di ciò che Garroni chiama “guardare-attraverso”. Attraverso quegli esempi esemplari che sono le opere d’arte, noi possiamo guardare ciò che non potrebbe mai essere osservato direttamente: le condizioni generali del nostro fare-esperienza. 2. Esemplificazione e giudizio Partendo dalla distinzione tra esemplificazione e esemplarità è possibile rileggere la Critica della facoltà di giudizio [KdU] gettando una luce nuova su alcuni passaggi fondamentali, che altrimenti rimarrebbero oscuri. Nel § IV dell’introduzione Kant spiega che il giudizio è l’operazione cognitiva che ci consente di “pensare il particolare come compreso sotto l’universale” (Kant 1999, p. 15). Esemplificare significa trovare un particolare che rappresenta un universale. In questo senso il giudizio è il rovescio dell’esemplificazione; o meglio, è la stessa operazione cognitiva, ma considerata da un’altra prospettiva. Quando giudico, affermando, per esempio, che l’animale rappresentato nel quadro di Renoir “è un gatto”, io applico un concetto che già possiedo a una percezione. In questo caso il punto di partenza è la rappresentazione percettiva e il riconoscimento fonda il giudizio: “questo è un gatto”. Se, invece, il punto di partenza è il concetto e si tratta di trovare un particolare che possa illustrare tale concetto, l’operazione che istituisce il collegamento tra l’universale e l’individuo è l’esemplificazione. Se dovessi spiegare a un extraterrestre cos’è un gatto, potrei cimentarmi in una definizione quanto più possibile articolata; ma probabilmente a un certo punto sarei costretto a ricorrere a un esempio: “ecco, questo è un gatto”. Kant, però, distingue due modi del giudizio: determinante e riflettente. Se è vero che l’esemplificazione è il rovescio del giudizio, dobbiamo pensare che esistano anche due modi differenti dell’esemplificare. Precisamente a questo punto diventa necessaria la distinzione tra esemplificazione e esemplarità proposta da Garroni. Il giudizio determinante è l’operazione cognitiva che ci consente di applicare un universale a un individuo, considerato come esempio 168 di quello stesso universale. Invece il giudizio riflettente è l’operazione che mettiamo in atto quando siamo di fronte ad un exemplum: quando siamo, cioè, di fronte ad un oggetto che istituisce una regola universale. Nel §IV della KdU Kant spiega che, in questo caso specifico, “è dato solo il particolare, per il quale essa [la facoltà di giudizio] deve trovare l’universale” (Ibidem). Il ricorso alla nozione di esemplarità chiarisce il senso di questa nota espressione kantiana. Nel caso del giudizio riflettente è l’oggetto individuale che apre la possibilità di pensare l’universale di riferimento. L’exemplum è esemplare proprio perché non è riconducibile a una regola già nota. L’esempio esibisce una regola data, l’exemplum istituisce una regola nuova (Ferrara 2008, p. 19). Si vede subito che questa logica dell’esemplarità si applica ai più diversi ambiti. Quando l’esploratore vede per la prima volta un ornitorinco – per riprendere un noto “esempio” (Eco 1997) – il misterioso animale si presenta come un nuovo “esemplare”, cioè come l’esempio di un concetto biologico che deve ancora essere definito. Quando esclama “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”, Cristo è un exemplum, perché istituisce una regola del perdono che prima non esisteva. Quando decide che un corpo può essere rappresentato simultaneamente da diversi punti di vista – come accade con le celeberrime Demoiselles d’Avignon –, Picasso istituisce una regola nuova, una regola che possiamo approssimativamente chiamare “cubismo”. In queste situazioni, pur così diverse, c’è un elemento comune: il caso precede la regola (Derrida 1981, 53). Kant non ha formulato in modo del tutto esplicito la distinzione tra esemplificazione e esemplarità che Garroni propone in Estetica. Tuttavia questa distinzione si può leggere tra le righe della KdU. Per la verità il problema dell’esemplificazione appare già nella Critica della ragion pura [KrV], per due volte. Nella prefazione della prima edizione, Kant ritiene necessario giustificarsi, di fronte al lettore, per una mancanza di “chiarezza intuitiva” nel suo lavoro. Un testo – spiega Kant – può essere considerato chiaro in due sensi: quando possiede una “chiarezza intuitiva” (che è una “chiarezza estetica”) e quando possiede una “chiarezza discorsiva” (Kant 1999b, p. 14). La chiarezza estetica dipende dall’abbondanza e dalla pertinenza degli esempi, mentre la chiarezza discorsiva dipende dalla coerenza e dalla cogenza dell’apparato concettuale. Kant ritiene di aver senza dubbio assecondato la giusta esigenza di chiarezza discorsiva; al contrario il suo testo gli appare difettoso quanto alla chiarezza intuitiva. In altre parole, giudicando il suo lavoro, Kant si accorge di una certa mancanza di esempi. La sua giustificazione per questa 169 mancanza è risoluta, ma finisce con l’apparire come la famosa excusatio non petita della saggezza popolare: gli esempi – che vengono esplicitamente identificati con le intuizioni – sarebbero veramente “necessari soltanto da un punto di vista popolare”, mentre “i veri conoscitori della scienza non hanno poi bisogno di questa facilitazione” (Kant 1999b, p. 14). Al di là della strana giustificazione di Kant, questa distinzione tra i due modi della chiarezza rimanda già implicitamente al problema del giudizio, poiché si tratta di trovare le giuste intuizioni per illustrare i concetti. Ma il legame tra questo problema e la facoltà di giudizio viene esplicitato ancora più chiaramente nel secondo passaggio della KrV in cui ritorna la questione dell’esemplificazione. Si tratta di un passaggio centrale nel paragrafo dedicato alla “capacità trascendentale di giudizio” che – come Garroni ha spiegato chiaramente – coincide con quella funzione cognitiva che nella terza Critica sarà chiamata “giudizio determinante”. Il paragrafo è di grande interesse per due ragioni. In primo luogo perché illustra, con una chiarezza che altrove non si riscontra, tutta l’ampiezza della problematica del giudizio. Quando il medico deve decidere se certi sintomi possono essere interpretati come la manifestazione di una determinata malattia, la sua diagnosi è un atto di giudizio. Quando il giudice deve decidere quale norma si applica a un particolare caso, il problema che si trova ad affrontare è un problema di giudizio. Infine, quando un uomo politico deve decidere come agire in un determinato contesto storico, il problema di interpretare correttamente le circostanze e valutare quale regola pratica è più “prudente” seguire è ancora un problema di giudizio. Dunque la facoltà di giudizio non regola soltanto l’ambito della scienza empirica e del gusto, come verrà detto nella terza Critica, ma anche l’intero ambito delle scienze applicate (come la medicina), l’ambito delle norme etico-giuridiche e persino l’ambito dell’agire storico-politico. In secondo luogo il paragrafo è interessante perché Kant sembra quasi affermare due tesi contradittorie. In un primo momento sembra che agli esempi venga attribuita la massima importanza. Dal momento che “capacità di giudizio è un talento particolare, il quale non può essere insegnato, ma può soltanto essere esercitato” (Kant 1999b, p. 215), l’unico modo concreto che esiste per favorire l’esercizio di tale facoltà è quello di ricorrere agli esempi. Infatti “questa è anche la sola e grande utilità degli esempi: il fatto cioè che essi acuiscono la capacità di giudizio” (Dieses ist auch der einige und große Nutzen der Beispiele, daß sie die Urteilskraft schärfen) (Ibidem). Ma subito dopo aver riconosciuto la “grande utilità degli 170 esempi”, Kant sembra avere un ripensamento e si ferma per sottolinearne il carattere deleterio. Dal punto di vista della chiarezza concettuale, infatti, “gli esempi recano di solito un certo danno” (Kant 1999b, p. 216), perché non sono mai veramente adeguati ai concetti che illustrano. Inoltre chi si abitua ad appoggiarsi sugli esempi, finisce col disabituarsi a pensare in modo rigorosamente concettuale, il che è sicuramente un male. Se ne deve concludere che gli esempi non sono altro che le “dande della capacità di giudizio” (Ibidem). Non c’è alcun dubbio sul valore sostanzialmente negativo dell’immagine che Kant usa in questo contesto. La medesima metafora era stata utilizzata, pochi anni prima, nel noto saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? (Kant 2003, p. 45). In quell’occasione Kant aveva rappresentato icasticamente la ragione che non ha il coraggio di rivendicare la propria autonomia, con l’immagine del bambino che non sa camminare da solo e che deve essere sostenuto da un tutore. In questa prospettiva l’esemplificazione non appare come il rovescio del giudizio, ma come una sorta di surrogato dell’autentico giudicare. Le cose, però, cambiano significativamente nella terza Critica. 3. Schemi, esempi, simboli Nella KdU l’immaginazione viene definita più volte come “la facoltà dell’esibizione” (das Vermögen der Darstellung aber ist die Einbildungskraft) (Kant 1999, p. 68, ma anche p. 80, p. 81, p. 124). Ma cosa significa “esibizione”? Nel § VIII Kant dà una definizione del termine: l’esibizione consiste nel “porre a lato del concetto un’intuizione corrispondente” (Kant 1999, p. 28). Come si è visto, nella KrV le intuizioni corrispondenti a un concetto vengono chiamate esempi. Esibire un concetto significa, dunque, esemplificarlo. Stando alla lettera dei testi kantiani, esistono diverse modalità dell’esibizione: A) esibizione schematica di un concetto puro dell’intelletto; B) esibizione di un concetto empirico in un esempio; C) esibizione indiretta di un’idea;5 D) esibizione schematica di un concetto empirico non ancora noto (caso esemplare); E) esibizione estetica della conformità a scopi formale (nella bellezza naturale); F) esibizione (geniale) di una regola di riferimento dell’arte bella. 5 A rigore bisognerebbe anche aggiungere – ma non ho lo spazio per argomentare questa ulteriore distinzione qui – il caso (C2) dell’esibizione negativa propria del sublime, che è simile, ma non uguale all’esibizione indiretta delle idee estetiche nelle rappresentazioni simboliche. 171 Nella nota che segue al § 57 della terza Critica, Kant spiega che i concetti dell’intelletto, a differenza delle idee della ragione, non sono pensieri vuoti perché “possono essere attestati da una intuizione empirica”, il che significa che “il loro pensiero può essere presentato (dimostrato, indicato) in un esempio” (Kant 1999, p. 177). Questa attestazione è però differente nel caso dei concetti puri e nel caso dei concetti empirici. Nel primo caso l’esibizione si realizza mediante un’intuizione a priori, mentre nel secondo caso mediante un’intuizione empirica. A) Esibire un concetto a priori “significa costruirlo” (Ibidem). Nella KrV Kant propone diversi esempi di costruzione di un concetto puro. Tutte le figure geometriche sono costruzioni a priori: sono, cioè, immagini particolari che hanno un valore universale: Io costruiscono un triangolo, così, rappresentando l’oggetto che corrisponde a questo concetto, o nell’intuizione pura, mediante una semplice immaginazione, oppure (in base all’intuizione pura) sulla carta, nell’intuizione empirica. (Kant 1999b, p. 714) Il triangolo che disegno sulla carta, o che immagino nella mente, deve essere necessariamente o acutangolo o rettangolo o ottusangolo. In questo senso esso è inadeguato al concetto generale di triangolo, che comprende, invece, tutte e tre queste possibilità: “nessuna immagine di triangolo potrebbe mai essere adeguata al concetto di un triangolo in generale” (Kant 1999b, p. 220). Essendo un’immagine determinata, il triangolo che mi rappresento ha sempre una sua particolarità. Ma questa particolarità non è un problema, proprio perché l’immagine che mi rappresento, o che disegno, è semplicemente un esempio: è, in altre parole, un particolare che viene considerato in quanto illustrazione di un universale e non in quanto individuo determinato. B) Invece, nel caso dei concetti empirici l’esibizione consiste nell’indicazione di un’intuizione empirica, cioè di un’esperienza percettiva, che corrisponde al concetto (ma sempre in modo parziale). Nella KdU Kant propone l’esempio dell’anatomista, che prima spiega ai suoi studenti il concetto di occhio, dandone una definizione discorsiva, e poi ne mostra il concreto funzionamento, dissezionandolo. La differenza fondamentale è che in questo caso non è possibile costruire l’intuizione a priori. Anche se non ho mai visto un triangolo rettangolo, posso comunque costruirne mentalmente la figura. Invece se non ho mai visto il cristallino dell’occhio, non posso in nessun modo anticiparne la forma a priori. Il § 59 formalizza la distinzione tra questi due modi dell’esibizione anche dal punto di vista linguistico. Le intuizioni che corrispondono ai concetti puri “si chiamano schemi”, le intuizioni che 172 corrispondono ai concetti empirici “si chiamano esempi” (Kant 1999, p. 185) Schematizzazione e esemplificazione sono, dunque, i due modi fondamentali dell’esibizione (Arendt 1990, p. 126). C) Nel § 59 Kant aggiunge un’ulteriore distinzione, considerando il caso delle idee della ragione. Le idee (per esempio l’idea di Dio) non possono essere schematizzate, come i concetti puri, e non possono nemmeno essere esemplificate, come i concetti empirici. In effetti, chi può dire di riuscire a immaginare Dio? Chi può indicare una percezione che corrisponda a tale concetto? Nonostante ciò, le idee non sono rappresentazioni del tutto vuote. A questo proposito la terza Critica modifica e in un certo senso corregge il quadro teorico che era stato presentato nella prima, perché introduce l’idea di esibizione simbolica. Kant dice chiaramente che il simbolico è “una specie dell’intuitivo” e definisce la presentazione simbolica come una “esibizione indiretta” (Kant 1999, p. 186). Si delinea così una tripartizione: gli esempi sono esibizioni dei concetti empirici, gli schemi sono esibizioni delle categorie, i simboli (che nel § 49 sono chiamati “idee estetiche”) sono esibizioni analogiche dei concetti soprasensibili.6 Così, per esempio, Dio non può essere percepito e tuttavia esistono delle immagini – nell’ambito dell’arte o della religione – che lo rappresentano in modo simbolico (Kant 1999, p. 187).7 4. Esemplarità e giudizio riflettente Torniamo alla distinzione tra schemi ed esempi. I casi A e B, che ho analizzato nel paragrafo precedente, possono essere ricondotti al giudizio determinante, dal momento che l’universale è in entrambi i casi dato. In realtà, come ha mostrato Garroni, l’applicazione di un concetto empirico all’esperienza richiede tanto la facoltà determinante di giudizio quanto la facoltà riflettente di giudizio (Garroni 1976, p. 34 e p. 43). Solo la schematizzazione dei concetti puri della natura, cioè solo l’esibizione a priori delle categorie, implica un giudizio puramente determinante (Garroni 1976, p. 40), cioè un giudizio per così dire “automatico”, che non richiede alcuna riflessione. Ma come funziona invece l’esibizione nell’altro caso, ovvero nel caso del giudizio puramente riflettente? 6 Altrove (Kant 2001, p. 68) questa esibizione delle idee soprasensibili viene chiamata “schematismo dell’analogia”. 7 Quello che vale per Dio, vale per tutti i concetti morali, ma in realtà vale anche per tutti i concetti astratti in genere. Nel § 59 Kant sostiene che tutti i concetti astratti presenti nel linguaggio ordinario – per esempio i concetti teorici “dipendere” e “base” (Kant 1999, p. 187) – possono essere esibiti solo in modo indiretto, cioè in ultima analisi solo metaforicamente. 173 D) Bisogna notare innanzitutto che la celebre espressione che compare nel § 35 – a cui lo stesso Garroni (1999, p. XLVIII) ha dato la massima importanza –, “schematizzare senza concetto”, (Kant 1999, p. 123) si presta in modo assai docile a una riformulazione nei termini che sto utilizzando. Se si intende l’espressione in senso letterale, bisogna ammettere che si tratta di una formula quasi auto-contraddittoria. Il § 59 afferma in modo esplicito che gli schemi sono le intuizioni che esibiscono i concetti puri dell’intelletto: come potrebbe esistere, dunque, uno schema a cui non corrisponde nessun concetto? Il problema si risolve se si ritorna alla distinzione tra esemplificazione ed esemplarità. In realtà schematizzare senza concetto significa considerare un caso come un exemplum, cioè considerarlo come l’esempio di una regola non data. Per Kant i concetti empirici, proprio perché sono empirici, devono essere scoperti o costruiti. L’operazione cognitiva che rende possibile la formazione di un nuovo concetto empirico è ciò che la KdU chiama “schematizzare senza concetto”. Le esperienze determinate che ci costringono ad elaborare nuovi schemi, e di conseguenza a costruire nuovi concetti, sono le esperienze esemplari. È bene precisare che i concetti che si tratta di costruire, nel caso della schematizzazione senza concetto, sono i concetti empirici e non i concetti puri. Anche se Kant non è del tutto esplicito a questo proposito, dobbiamo pensare che i concetti puri siano operanti anche nel caso del giudizio estetico (come mostra chiaramente Makkreel [1990, p. 52) e che siano operanti anche nel caso della riflessione induttiva su un caso esemplare. Per valutare una rosa, e dire “questa rosa è bella” non abbiamo bisogno del concetto determinato di “rosa”, ma abbiamo bisogno che la realtà che stiamo percependo si configuri almeno come una “qualcosa in generale” e questo ci induce a pensare che la categoria di “sostanza”, per esempio, debba essere coinvolta anche nel caso del giudizio di gusto. Allo stesso modo e a maggior ragione, per trovare la legge empirica che spiega la caduta dei gravi, è necessario senza ombra di dubbio poter osservare i casi empirici (la pallina che cade, la mela che cade, ecc), interpretandoli alla luce del principio di causalità. Dunque il concetto puro di causalità è dato per presupposto, anche quando, partendo dall’osservazione di casi empirici, generalizziamo (cioè riflettiamo), cercando il concetto empirico o la legge empirica adeguata per spiegare i fenomeni. Sfortunatamente Kant non concede al lettore nemmeno un esempio (!) a questo proposito. Nel §§ IV e V della KdU il problema centrale – come Garroni ha mostrato in modo magistrale 174 – è proprio quello della formulazione delle leggi empiriche e dei concetti empirici. Kant dice chiaramente che la facoltà di giudizio “è soltanto riflettente nei riguardi delle cose sotto leggi empiriche possibili (ancora da scoprire)” (Kant 1999, p. 19); ma non offre nemmeno un esempio della scoperta di una nuova legge empirica o della formulazione un nuovo concetto empirico: il povero lettore, forse, avrebbe preferito camminare ancora un po’ con le dande, in questo caso! E) Ad ogni modo, la scoperta o la costruzione di un nuovo concetto empirico implica il giudizio riflettente, ma non è l’esibizione del principio del giudizio riflettente. I giudizi puramente riflettenti, cioè i giudizi in cui viene esibito il principio della riflessione in quanto tale, sono i giudizi estetici (Garroni 1976, p. 61). Nel § VIII Kant spiega che “possiamo riguardare la bellezza naturale come esibizione del concetto della conformità a scopi formale (semplicemente soggettiva)” (Kant 1999, p. 28), Il concetto della conformità a scopi formale è un concetto a priori, ma non è un’idea e nemmeno una categoria. Infatti mentre l’esibizione delle idee e dei concetti puri è data sempre da un’intuizione, l’esibizione del concetto della conformità della a scopi formale è data da un sentimento, cioè da un sentire che non è rivolto all’esterno, ma all’interno. Questo sentimento è il piacere disinteressato e soggettivamente universale che proviamo quando troviamo bella una qualche realtà naturale. Kant dice chiaramente che il piacere estetico “non può esprimere nient’altro che l’adeguatezza dell’oggetto rispetto alle facoltà conoscitive” (Kant 1999, p. 25). Il sentimento di questa adeguatezza si produce quando l’immaginazione “viene messa in accordo inintenzionalmente” con l’intelletto. L’immaginazione è la facoltà delle intuizioni; l’intelletto è la facoltà dei concetti. L’accordo tra immaginazione e intelletto è, dunque, il sentimento della compatibilità generale tra le nostre esperienze intuitive e le nostre capacità di concettualizzare. Dunque che cosa viene propriamente “esibito” nell’esperienza della bellezza? Come ho già avuto modo di notare, per Kant esibire significa “porre a lato del concetto un’intuizione corrispondente”. Sentire la compatibilità generale tra intuizioni e concetti, significa dunque sentire che l’esibizione è in generale possibile. Significa sentire che le nostre esperienze intuitive possono essere concettualizzate e che i nostri concetti (puri ed empirici) possono essere schematizzati o esemplificati. La bellezza naturale appare, dunque, come l’esibizione del principio stesso dell’esibizione, o, in altre parole, come l’exemplum in cui si mostra il principio stesso dell’esemplificazione (e del giudizio). 175 La peculiarità dell’esibizione estetica della conformità a scopi formale emerge nel IV momento dell’Analitica, quando viene introdotta la nozione di “validità esemplare” (exemplarische Gültigkeit) (Kant 1999, p. 75) Kant spiega che ogni singolo giudizio estetico (“questa rosa è bella”, oppure “questo tramonto è bello”) vale come “l’esempio di una regola che non si può addurre” (Kant 1999, p. 72). Ma come può esistere una regola “che non si può addurre”? Nel IV momento Kant insiste sul carattere non concettuale del senso comune. Il sentimento della bellezza funziona come una regola, ma si tratta di una regola che non può essere formulata in termini concettuali, cioè, appunto, di una regola che non si può addurre. Come ho detto, questa impossibilità di formulare concettualmente la regola è una delle caratteristiche dei casi che appaiono esemplari. Come spiega Garroni, in questo caso (e solo in questo caso) “l’‘esempio’ è l’unico rappresentante della ‘regola’, cioè è la stessa regola nell’unica forma in cui possiamo averne coscienza e ne possiamo, a rigore, anche parlare” (Garroni 1976, p. 70). La regola – cioè il senso comune – non si può addurre, perché coincide con il caso esemplare che la attesta (Agamben 2008, p. 23). In questo caso l’esemplarità è massima, perché “l’esempio è anche nello stesso tempo la regola stessa” (Garroni 1976, p. 70). F) Infine è necessario analizzare il caso specifico dell’esemplarità dell’arte. La questione si presenta già nel §17, dove viene analizzato il problema dell’ideale della bellezza. La terminologia che Kant usa in quel contesto può indurre in errore. Generalmente la parola “ideale” viene associata a ciò che è concettuale. Kant, però, spiega chiaramente che l’ideale è “la rappresentazione di un singolo essere in quanto adeguato ad un’idea”. Trattandosi della rappresentazione di un ente singolare, non ci possono essere dubbi sul fatto che si tratti non di un’idea o di un concetto, ma di una realtà individuale che vale come esempio. Infatti Kant precisa che l’ideale della bellezza, che è anche un “archetipo del gusto”, “può essere rappresentato non mediante concetti, ma solo in una singola esibizione”. In altre parole l’ideale del gusto può essere definito solo a partire dagli esempi. Il problema viene ulteriormente sviluppato nei paragrafi dedicati più direttamente alla definizione della nozione di arte bella. Come è noto, per Kant l’arte bella è sempre necessariamente il prodotto del talento creativo del genio. Ma il genio è definito in relazione alla nozione di esemplarità. Certamente la prima caratteristica che il genio deve avere è l’originalità; ma per Kant l’originalità sarebbe pura stravaganza, sarebbe puro non senso, se non fosse anche esemplare. Il genio introduce “una regola del giudizio” nuova e questa regola 176 è davvero una regola solo se viene assunta come criterio anche da altri: in altre parole, solo se diventa un modello esemplare. Il § 47 stabilisce definitivamente in una serie di formule di chiarezza adamantina la logica dell’esemplarità che è alla base della produzione del genio: Dato che il dono naturale dell’arte (come arte bella) deve dare la regola, di che tipo è dunque questa regola? Essa non può servire, fissata in una formula, da precetto, ché altrimenti il giudizio sul bello sarebbe determinabile mediante concetti; ma la regola deve essere astratta da ciò che è stato fatto, cioè dal prodotto, rispetto al quale altri potranno mettere alla prova il loro proprio talento, per potersene servire come di un modello, non da copiare, ma da imitare. Come ciò sia possibile è difficile da spiegare (Kant 1999, p. 145). La differenza tra esemplarità ed esemplificazione emerge qui molto chiaramente. L’esempio, come si è visto, è un individuo che esibisce una regola universale già data. Nel caso dell’esperienza estetica, però, la regola non può mai essere data in partenza, perché altrimenti il giudizio di gusto “sarebbe determinabile mediante concetti”. Essendo un universale, la regola dovrebbe sempre essere concettualizzabile. Ma la regola del gusto che viene esibita nell’opera d’arte fa eccezione e Kant evidenzia questa eccezionalità lasciando risuonare un interrogativo: “di che tipo è dunque questa regola?” La sua risposta ribadisce il carattere non concettuale dell’esemplarità del genio: “come ciò sia possibile è difficile da spiegare”. Nonostante le difficoltà e nonostante la paradossalità di questa regola non formulabile, è molto chiaro che essa “deve essere estratta da ciò che è stato fatto”, cioè dall’opera d’arte. Le opere d’arte sono esemplari perché istituiscono regole di giudizio nuove. La normatività di cui Kant parla qui è del tutto peculiare, non solo perché la norma di riferimento non è formulabile in termini concettuali, ma anche e soprattutto perché in questo caso (a differenza di quello che accade con il caso E) la norma deriva dall’esempio, non lo precede (Velotti 2014, p. 343). Nel caso dell’arte è la singola opera, cioè il singolo esempio, che rimane vincolante, mentre non si può mai dire altrettanto nel caso dell’esemplificazione meramente illustrativa. Per esemplificare, io posso ricorrere indifferentemente a qualsiasi individuo che appartenga alla classe indicata dal concetto: qualsiasi gatto reale è un esempio adeguato del concetto di gatto. Al contrario un’opera d’arte è esemplare perché rimane insostituibile nella sua singolarità (Garroni 2005, p. 71). Per definire l’ideale classico di bellezza bisogna necessariamente fare riferimento al Doriforo – come lo stesso Kant fa nel § 17 – esattamente come 177 per definire il cubismo bisogna necessariamente partire da Les Demoiselles d’Avignon. La regola del gusto, che si declina in modo diverso nell’Atene dell’età classica e nella Parigi della prima metà del XX secolo, non può essere dimostrata: la si può soltanto indicare, suggerendo di prestare attenzione ad alcune opere che hanno un valore esemplare.8 Bibliografia Agamben, G. Signatura rerum, Bollati Boringhieri, Torino, 2008. Arendt, H. Lectures on Kant’s Political Philosophy, tr. it. Teoria del giudizio politico, il melangolo, Genova, 1990. Condello, A., Ferraris, M. La normatività esemplare: una prospettiva filosofico-giuridica, in “Politica del diritto”, XLVI/4, (2015), pp. 621-634. Derrida, J. La vérité en peinture, Flammarion (1978); tr. it. La verità in pittura, Newton & Compton, Roma, 1981. Eco, U. Kant e l’ornitorinco, Euroclub, Milano, 1997. Feyles, M., Guardare attraverso gli esempi, in “Syzetesis”, VIII (2021), pp. 417-435. Ferrara, A. La forza dell’esempio, Feltrinelli, Milano, 2008. Garroni E. Estetica. Uno sguardo attraverso, Castelvecchi, Roma, 2020. Garroni, E. Estetica ed epistemologia, Bulzoni, Roma, 1976. Garroni, E. ‘Introduzione’, in Kant, I. Critica della facoltà di giudizio, Einaudi, Torino. 1999. Garroni, E. Immagine, linguaggio, figura, Laterza, Roma-Bari, 2005. Heidegger, M., Übungen für Anfänger. Schiller Briefe über die ästhetische Erziehung des Menschen, (1936); tr. it di A. Ardovino, Introduzione all’estetica. Carocci, Roma, 2008. Kant I. Die Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft (1792); tr. it. La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, Roma-Bari, 2001. Kant, I. Kritik der Urteilskraft (1790); tr. it. a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Critica della facoltà di giudizio, Einaudi, Torino. 1999. Kant, I. Kritik der reinen Vernunft (1781); tr. it. di G. Colli, Critica della ragione pura, Adelphi, Milano 1999b. 8 Si danno dunque tre modi distinti dell’esemplarità: D) un caso è esemplare perché costringe a formulare un concetto empirico nuovo (ornitorinco); E) il giudizio di gusto puro che constata la bellezza della natura è esemplare perché esibisce un principio (senso comune) non concettualizzabile; E) un’opera d’arte geniale è esemplare perché istituisce una regola storica del gusto non concettualizzabile e non separabile dall’opera stessa. 178 Kant. I. Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (1784); tr. it. ‘Risposta alla domanda: cos’è l’illuminismo’, in Scritti di storia, politica e diritto, Laterza, Roma-Bari 2003. Kant, I. Erste Einleitung in Die Kritik Der Urteilskraft, tr. it. Prima introduzione alla Critica del giudizio, Mimesis, Milano-Udine 2012. Lipps, H. ‘Instance, example, case, and the relationship of the legal case to the law’, in Lowrie M., Lüdemann S. (eds.), Exemplarity and Singularity. 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