Il Kuzari Di Giuda Levita

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IL «KUZARI» DI GIUDA LEVITA: PROBLEMI E POSSIBILITA' INTERPRETATIVE


Author(s): Marina Cavarocchi
Source: Rivista di Storia della Filosofia (1984-), Vol. 43, No. 4 (1988), pp. 651-676
Published by: FrancoAngeli srl
Stable URL: https://www.jstor.org/stable/44025220
Accessed: 05-05-2020 12:47 UTC

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IL «KUZARI» DI GIUDA LEVITA:
PROBLEMI E POSSIBILITA' INTERPRETATIVE

di Marina Cavarocchi

SUMMARY: In his Sefer Ha Kuzari Jehudah Halevi differs from the


traditional Jewish medieval philosophy in his view of the relationship
between religion and reason.
For Jehudah Halevi , philosophical speculation, though able to discern
the existence of God, cannot lead to the perception of the true religion .
Only God as the Creator may reveal himself in an evident historical
manifestation to the human being - or, to be more specific: to the
people he has chosen. The Law, possessing absolute validity is the expres-
sion of this relationship. It is the moral activity which marks the es-
sential difference between the «religion» of the philosophers and the
religion of God who reveals himself in the course of history. This es-
sential difference also establishes the unique attitude of the Jewish people
towards the material sphere of life - or, in other words: introduces the
«vita activa» in opposition to the «vita contemplativa» of philosophy
with its tendencies to asceticism. Jehudah Halevi doesn't intend to devalue
philosophy itself. He stresses, however, the danger it may represent for
religion - a danger resulting from totally different origins , contents and
goals. And maybe just here we may understand the « esoterical » meaning
of Ha Kuzari, being designed by Jehudah Halevi for «those who are able
to understand.

Giuda Levita, o Jehudàh ben Samu'el ha-Levi (1086-1141 circa)


occupa un posto particolare nella storia del pensiero ebraico medieva-
le per via della sua originale interpretazione del rapporto tra religione
e ragione. Distinguendosi dai suoi contemporanei, dei quali alcuni
sostenevano si dovessero accettare i risultati della ragione come aventi
pari valori dei princìpi della religione, mentre altri proclamavano il
primato della religione, esigendo che ad essa andassero subordinati
i risultati raggiunti per via razionale, Giuda Levita affermava che tra
religione e ragione non sussiste alcun legame di dipendenza: ciò che
è determinante per giungere alle verità della fede non son certo le spe-
culazioni dei filosofi, bensì i fatti storici.

Rivista di storia della fdosofia n. 4, 1988

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652 Marina Cavarocchi

Una tanto recisa sva


diva però a Giuda Le
all'argomentazione, be
di una particolare fo
Sefer ha-kuzari, altrim
al-dhalil (in italiano:
la difesa della religion
bo e tradotto in ebraic
Redatto in forma di d
prima parte il re dei
nale convertitasi all'
delle questioni ad un f
chiarire un importan
infatti deciso di sotto
alla religione dei Kh
Insoddisfatto di quant
che lo convince a con
seconda parte, a conve
di diversi temi della t
buti di Dio e le profe
damenti del culto; n
Dio e dell'unicità e sup
zioni; nella quinta, inf
siderarsi superiore al
Il Kuzari è un'opera
difficoltà ed un probl
Levita appaiono ambig
- ad esempio - di opp
logia) e però è ben d
(teologo), sia pure su

1. In questo lavoro mi sono servita della traduzione italiana di Elio Piat-


telli, Il re dei Khàzari, ed. Boringhieri, 1960, per motivi di praticità confron-
tandola con k traduzione di Ibn-Tibbon, confrontata a sua volta sull'originale
arabo (commentata da A. Zifrinowitsch, Sofer ha Kuzari, Varsavia 1911) e
sulla traduzione tedesca con testo tibbonico a fronte, di David Cassel, Das
Buch Kuzari, Berlino 1909. Ho consultato anche, dove necessario, l'edizione
critica dell'originale arabo trascritta in caratteri ebraici di David Zvi Benet,
Kitab al-radd wa'l dalil fi'l din al dhalil, Gerusalemme 1977.
2. Sul termine «mutakallim», cfr. Isaac Husik, A History of Medieval Jewish
Philosophy , Filadelfia 1958, pp. 182-183 e Leo Strauss, The Law of Reason
in the Kuzari, estr. s.d., pp. 51-52, origin, in L. Strauss, Persecutions and the
art of writing, Glencoe 1952.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 653

speculazione intellettuale, e p
me hanno notato diversi stud
timento di ammirazione per l
scelto da Giuda si presta a più
di conversazioni costruita sec
tra discepolo e maestro (dove
trodurre gli argomenti poi sv
ripresa del modello offerto d
quest'ultima ipotesi, quale sar
A tal proposito si può pens
diversi personaggi per poter d
colari senza con ciò esser costr
ni personali. Il rapporto che
apparentemente dovrebbe fun
ambiguo, tanto da indurre g
ipotesi sul vero significato del
Aprendo il Kuzari , Giuda L
la religione ebraica ha preso s
della conversione del re dei
conto del suo ruolo di croni

«fra i ragionamenti del saggio


mente soddisfatto ed a cui la m
pensato di scrivere quei discor
genti li comprenderanno»6.

Parrebbe trattarsi dunque


convincenti, con cui, è presum

3. Cfr. L. Strauss, op. cit., n. 17


Giuda Levita come un filosofo in
suo tempo e dal desiderio di salva
Shlomo Pines, in: Al Leo Strauss
in «Molàd», nr. 37-38, 1976, p. 4
considerata con una certa cautela
compiuto senza sovrapporvi nessu
dello Strauss interpreta, però, an
to an Historic Challenge, in «Jew
Sul controverso rapporto tra il L
gore anche Leo Aryeh Motzkin, i
aplani («Sul Kuzari di Giuda Levi
«Ijjùn», nr. 23, 1978, pp. 209-219
4. Cfr. S.W. Baron, op. cit., p. 2
5. Cfr. n. 3; in partie., cfr. L.A
6. Il re dei Khàzari, cit., I, 1, pp

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654 Marina Cavarocchi

si considera la traduz
so, alla lettera, suona

«... tra gli argomenti


davano a genio e che
di scrivere quei discor
prenderanno»7.

Muovendo da questa
tenzione di Giuda Lev
tra il re ed il saggio e
con una parte di esse
del rabbino8. La for
inoltre esser intesa c
lettore, che l'opera co
dato scoprire9.
Questa formula enig
sia ¡nell'originale arab
tratta in realtà di una
la quale, nel contesto
ste parole sono oscu
10). Anche quest'ulti
l'ipotesi secondo cui
misura esoterica.
Il legame tra Giuda Levita e la mistica islamica è stato messo bene
in luce dagli studiosi12, ed è pensabile che in esso risieda la chiave
per comprendere l'intenzione esoterica del testo; non va però escluso
che il procedimento più idoneo per coglierne il significato riposto sia
quello di mettere semplicemente tra parentesi la tesi indicata dal-
l'autore come la principale e soffermarsi a valutare invece proprio quei
particolari che, ad una prima lettura, sembrano incongrui.
Esaminando l'andamento delle conversazioni tra il re ed il saggio
ebreo, si ha infatti l'impressione che l'autore non intenda esprimere

7. Sefer ha Kuzari , cit., trad, mia, I, 1, p. 16.


8. Cfr. Azarian de' Rossi (1513-1578), Me'or ha Enaim («Il lume degli oc-
chi»), cap. 12, riportato nel Sefer ha Kuzari , cit., p. 16, commento alla VII
riga.
9. Cfr. Motzkin, op. cit., p. 210.
10. Cfr. Kitab al radd..., cit., I, 1, fol. Ia, p. 3.
11. Motzkin, op. cit., p. 210.
12. Cfr. Israel Efros, Some Aspects of Yehudah halevi s Mysticism, in:
«Proceedings of the American Academy for Jewish Research», vol. XI, 1941,
p. 41.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 655

solo ed unicamente la tesi c


lasciare aperti degli spiragli
divergenti dall 'assunto centr
degli interventi del re, su cui
Ancora un cenno sul problem
tore. Si tratta di una serie di
le tre religioni monoteistiche
cui posizione rappresenta in
l'opera (e che ne rivela, per
Vediamo infatti che il re, d
assai ricettivo verso l'ebrai
venuto a trovarsi dopo un s
l'epoca in cui vive, caratter
monoteistiche13. Egli d'altra
gamente diffuso pregiudizio
persino di prendere in esame
«il loro basso stato» ed il fa
due ragioni sufficienti per no
L'opinione generale ed il d
principali che il saggio ebreo
smo sotto nuova luce e far e
«religione disprezzata» - il
portanti delle sue argomenta
monia dell'accortezza con c
argomentazioni di cui si è d
quanto sia felice la scelta de
della conversione all'ebraism
epoca posteriore alla diffus
Giuda Levita l'Islam doveva r
e l'avversario principale in
il momento, dalla polemica
Bisogna inoltre chiedersi p
figura del filosofo che, stand
alcun ruolo nella conversione
sito è importante ricordare c

13. Cfr. Strauss, op. cit., p. 54.


14. Il re dei Khazari, cit., I, 4,
15. Cfr. ivi , I, 25, pp. 30-31.
16. Cfr. Strauss, op. cit., p. 55.
17. Si confronti a questo propo
da S. Sohechter in «Jewish Qua
e ss.

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656 Marina Cavarocchi

sofia ed i rappresenta
si compie nella prima
riportano i dialoghi
sia convertito, è pur s
sorti, a quanto pare,
all'inizio, era alla ric
sogno, il re aveva sbr
però dopo essersi conv
versazioni con il saggi
un individuo natural
una religiosità che a
ricredersi ed accetta
anche bisogno di arg
Questo venir meno
capovolgimento di pro
della natura essenzia
in questione l'intenzio
samente antikalamista
mun (teologi)19.
La ragione, rappresen
un avversario che op
messi in atto dal sagg
dotto all'inizio del Ku
presente in ogni par
chiamata in causa: la f
culativa dei filosofi,
deve cimentarsi sul fr
interno, l'eresia cara
della speculazione inte
la religione rivelata.
Si tratta di due peric
mettendo in atto lo. s
confronto diretto tra
del primo con un Car
E' inoltre importan
trattazioni del rappor
quando prende la paro
mano e seguace delle t
do il saggio ebreo sv

18. Cfr. Il re dei Khàzar


19. Cfr. Strauss, op. cit., p. 51.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 657

sulla base delle teorie di Avic


un notevole lasso di tempo, c
a profitto dal re per approfo
e per acquisire gli strumenti
culazioni dei Caraiti. L'attac
cede dunque per gradi: prim
minarle, l'eresia caraita, poi
e di Avicenna. Tuttavia, il fa
dal saggio contro i caraiti e
antifilosofiche il re continu
«raggiungere la fede senza sp
minaccia costituita dalla riflessione filosofica nei confronti della reli-
gione rivelata. L'esclusione di un confronto diretto tra l'esponente
dell'ortodossia rabbanita, il filosofo ed il re si conferma dunque come
una misura di carattere preventivo, a tutela non solo della religione
rivelata, ma anche dei lettori meno avveduti22.
Ciò non esclude però l'ipotesi che Giuda abbia sostenuto proprie
posizioni differenti. Il passo in cui il saggio ebreo spiega le diffe-
renze di atteggiamento che contrappongono i filosofi ai seguaci delle
religioni rivelate, chiarisce quali problemi siano alla base del suo
intervento e di conseguenza illumina quelle che possono esser viste
come le sue «ragioni strategiche». Queste le sue parole:

«Molto differente è chi ha una religione dal filosofo, poiché colui che
professa una religione cerca Dio per ottenere un grande profitto, [che
va] oltre all'utilità di raggiungere la conoscenza di Lui; e il filosofo
[invece] non pretende altro che di conoscerLo veridicamente; (...) e
[crede che] -il non conoscere Dio non sia danno maggiore di non cono-
scere la terra e credere che sia piatta; e considera utile solo il posse-
dere la conoscenza veridica delle cose, in modo da rendersi simile al-
l'intelletto agente, e da identificarsi con esso, senza che gli importi di
essere giusto o epicureo, purché sia filosofo. Fra i fondamenti della
credenza filosofica vi è l'affermazione che 'Dio non fa né bene né male'
(...)»*.

Secondo il saggio ebreo i filosofi pertanto sono del parere che Dio
sia riducibile ad un oggetto della conoscenza, definibile ricorrendo al

20. Cfr. Shlomo Pines, Shi'ite terms and conception in Judah Halevi's Kuzari ,
in «Jerusalem Studies in Arabie and Islam», nr. 2, 1980, pp. 217-219.
21. Il re dei Khazari, cit., V, 1, p. 245.
22. Cfr. Strauss, op. cit., p. 65.
23. Il re dei Khazari , IV, 13, pp. 211-212.

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658 Marina Cavarocchi

medesimo criterio d
bili in natura; essi in
scenza di Dio e si lim
verità teoretica, avente ai loro occhi, lo stesso valore dei risultati
raggiunti nell'ambito della scienza della natura. Dalla conoscenza
filosofica di Dio non si ricava alcuna indicazione valida per la prassi;
cosa che del resto non rientra affatto nelle aspirazioni dei filosofi, i
quali sono solo contemplativi e mirano all'unione con l'intelletto
agente. I filosofi sono tanto indifferenti al problema morale quanto
10 è il Dio da essi concepito.
Il re Khàzaro mostra di aver compreso ciò che il saggio ha esposto
sulle differenze tra credenti e filosofi. Infatti poco dopo osserva:

«Vedo che biasimi i filosofi ed attribuisci loro il contrario di ciò che


si dice generalmente di essi, tanto che di ognuno di quelli che si sepa-
rano e si appartano dal mondo si dice di lui che si è fatto filosofo o
che segue la dottrina dei filosofi, mentre tu dici che nessuna loro opera
è buona»24.

In altre parole: chi vuole appartarsi dal mondo segue in ciò i filo-
sofi. Ma mentre l'opinione generale di allora considerava con favore
11 ritiro in romitaggio, il saggio ebreo è di tutt 'altro parere ed indica
il punto debole della concertazione filosofica precisamente nella man-
canza di una morale che possa trovare applicazione nella prassi.
Nella posizione del saggio, così come la riassume il re Khàzaro,
è contenuta in embrione l'intera apologetica ebraica, nella specificità
dei suoi contenuti (che ora si trovano sintetizzati nei due punti in
cui si articola la polemica antifilosofica): negazione del valore del-
l'ascetismo e rivendicazione del primato dell'azione, la quale ultima,
per porsi come prioritaria, deve trovare la sua legittimazione in una
fonte differente - com'è ovvio - dalla ragione speculativa.
Nell'intero arco delle conversazioni il saggio presenta l'ebraismo
come un sistema di vita e di valori caratterizzato dall'opposizione al-
l'ascetismo e giustificato dalla rivalutazione dell'aspetto materiale del-
l'esistenza, che in tal modo acquista un'importanza centrale, e ciò in
stridente contrasto con il ruolo marginale ch'esso aveva sia nel paga-
nesimo sia nel «deismo» dei filosofi25. Il Dio degli ebrei comunica con

24. Ivi, IV, 18, p. 219.


25. Cfr. S. Pines, Notes sur la doctrine de la prophétie et la réhabilitation
de la matière dans le Kuzari, in: «Mélanges de philosophie et de littérature
juives», nr. 1, 1957, pp. 256-258.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 659

gli esseri umani attraverso la


l'esperienza sinaitica, in cui il
poté assistere all'automanifest

«(...) e il fatto fu preceduto da


moti, e da un fuoco che circo
quaranta giorni, il popolo lo v
uscirne; e il popolo udì con pa

Al concetto filosofico di «n
creatore, che agisce direttam
rivela al profeta. Il profeta
umana poiché è depositario di
dal Principio divino ( al-am
ebraico) posatosi su di lui. Q
legato alle condizioni materia
di Palestina e dei paesi limitro
L'uomo può entrare in cont
lo mette in grado di innalza
precetti, che soli possono elev
L'unità psico-fisica caratteriz
gere l'acme della loro capacità
l'accettazione di determinate
Creatore stesso, che è l'unico
ciò che ha creato.
Il re dei Khàzari non dubita affatto dell'autorevolezza del sogno,
in cui un angelo gli era apparso comunicandogli la volontà di Dio
e si pone con ciò nello stesso ordine di idee del saggio ebreo28, il
quale fonda l'autorità della fede sul fatto, considerato incontroverti-
bile, del rapporto diretto tra Dio ed il popolo eletto. Questo presup-
posto giustifica il ruolo di arbitro conferito al re nella controversia
tra le tre religioni monoteistiche e la filosofia e spiega perché la scelta
del re non possa cadere altro che sull'ebraismo. I suoi dubbi circa la
possibilità che «il Creatore dei corpi e degli spiriti (...), che è subli-
mato, santificato ed esaltato più di quanto possano comprendere gli
intelletti, per non parlare dei sensi, comunichi con questa creatura
composta di materia tanto vile»29, sono sfruttati da Giuda Levita per

26. Il re dei Khàzari, cit., I, 87, p. 45.


27. Cfr. Pines, Notes..., cit., p. 258.
28. Cfr. P. Pines, Shi'ite terms..., cit., p. 165 e L. Strauss, op. cit., p. 67.
29. Il re dei Khàzari, cit., I, 68, p. 39.

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660 Marina Cavarocchi

mostrare che se vi è la
cezione greco-pagana
Convinto della veridi
mettere la possibilità
ciale, è pronto per r
problema delle «azioni
unico e di pari dignità
citamente la possibilit
dicità del sogno del re
l'azione, sia come cul
rifiuti il suo insegnam
e fondate, ma esse no
Sebbene mostri una d
il re ha però anch'eg
certo disprezzo per la
viva simpatia nei conf
l'altro, la vittoria fin
tata. Eppure il suo com
vicino, solleva degli in
quale dei due protago
re infatti non solo ha
quello di tener le redi
fo, al cristiano ed al m
ebreo, persino dopo c
dunque facoltà di intr
spiegazioni del saggio:
orizzonte di pensiero,
lo soddisfa, si dichia
induce a riesaminare
ha più volte il sospett
sta di una certa socratica ironia: si tratta di un caso o ciò rentra nel
carattere cifrato del messaggio più nascosto del nostro autore?
A questo punto si può far propria l'ipotesi proposta da diversi in-
terpreti, secondo cui al re spetterebbe la funzione di rappresentare
la «ragione naturale»32. Questa si misurerebbe con le tre scelte di

30. Il Khàzaro aveva ricevuto ripetutamente in sogno questo messaggio da


un angelo: «Le tue intenzioni sono bene accette al Creatore, ma le tue azioni
non lo sono» ( Kuzari , I, 1). Ibn Tibbon traduce con «ma'assé» il termine reso
in italiano con «azioni» e gli attribuisce un duplice significato: «comportamen-
to» ed «atto di culto».
31. Il re dei Khàzari, cit., I, 2, p. 23.
32. Cfr. Motzkin, op. cit., p. 213 e Pines, Notes..., cit., p. 254.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 661

fondo discusse nel Kuzari :


strada che si apre all'animo n
dall 'educazione ricevuta, 2) l
losofi, 3) la fede del credente
nosciuto l'insegnamento div
filosofia, o, in generale, dall'
mi due casi il Khàzaro può f
evidenza un'aporia: in quanto
na una scelta che si pone in c
ciato anche nel Kuzari) dell'
privilegiato dal fatto che solo
il principio divino. Se dunque
del suggello divino, come è
scende da coloro che, soli, lo
cutore emblematico in una serie di conversazioni in cui non oi si li-
mita ad affermare la superiorità dell'ebraismo, considerato nelle sue
generalità, ma ci si addentra nei dettagli, senza esitare a mettere in
luce gli aspetti più controversi?33 E ancora: come è possibile che un
pagano convertito assuma il ruolo di rappresentante anche di quegli
ebrei pii, che nonostante la loro devozione, sono (precorrendo l'espres-
sione maimonidea) «perplessi» a causa della filosofia?
Il Khàzaro si pone su di un piano di eguaglianza rispetto al suo
maestro ebreo e non si perita di celare le sue iniziali simpatie per
i Caraiti o le sue obiezioni contro Yaggadàh o «narrazione», la parte
descrittiva della Toràh. Il suo comportamento sembra testimoniare
con sufficiente efficacia la dignità riconosciuta da Giuda Levita al-
l'intelletto umano, alla «ragione naturale», indipendentemente dalle
circostanze accidentali, come, nel caso specifico, l'origine pagana.
Tuttavia ciò ancora non risolve l'aporia causata dal suo non esser
membro del popolo eletto.
Non è possibile in questa sede dedicare la dovuta attenzione alle
considerazioni espresse da Giuda sul tema della conversione all'ebrai-
smo (che peraltro sono rivelatrici rispetto a diverse tensioni proble-
matiche); l'analisi della sua difesa del particolarismo ebraico può
tuttavia esser d'aiuto per cogliere lo spessore degli interrogativi sol-
levati dal Kuzari , una volta accettato il presupposto che Giuda, ben-
ché fosse più noto come poeta che come filosofo, non fosse sprovvisto
di senso critico nella scelta dei suoi argomenti.
Nell'originale arabo viene attribuito al Khàzaro l'appellativo di
walivy (impropriamente reso nella versione in ebraico con chassid ,

33. Si veda, in particolare, tutta l'ultima parte della terza sezione del Kuzari.

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662 Marina Cavarocchi

pio), il quale designa i


Questo appellativo con
Kuzari secondo cui s
sere profeta. D'altro c
sivo retaggio del pop
ebraiche35. Il noto pa
usato da Giuda per v
tralità del popolo elet
illustrare la posizione
E' dunque lecito chied
che si avvale di argom
della consapevolezza
apologetico con cui s
per quale motivo deci
filosofia, nonostante
una chiara ammirazion
al falasifa (La distruz
modo sostanziale sul c
sono semplicemente d
Pur lasciando aperti q
dei motivi che può ave
ra apologetica qual'è
Il Guttmann sostiene
pretese della ragione
ruolo centrale: essa de
do spirituale e deve al
grazie alla «accettazion
senza però cambiare n
che dopo aver analizz
tica di Giuda alla relig

34. Cfr. H.A. Wolfson, T


valents in Hellevi, in: St
II, Harvard, London 1977
35. Ivi, p. 100.
36. Ivi, pp. 101-103.
37. Quest'ultima ipotesi è stata caldeggiata da Moise Ventura, Le Kalam
et le Péripatétisme d'après le Kuzari, Paris 1934, pp. 89-95, mentre il Baron
sostiene Finf lusso diretto di Al-Gazali sull'opera di Giuda Levita; cfr. Baron,
op. cit., p. 259.
38. Cfr. Julius Guttmann, Das Verhältnis von Religion und Philosophie bei
Jehuda Halevi, in «Festschrift zu Israel Lewy's 70 Geburtstag», Breslau 1911,
pp. 332-333.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 663

intellettuali», conclude che


come obiettivo centrale la d
assoluti39. Da questo punto
ragione e Tuso che di essa fan
ma in rapporto alla prasi. Que
convincente, soprattutto in f
specificità dei suoi contenuti
da essa per esaminare le tesi
del problema del rapporto t
proposito del problema del r
tematica, quest'ultima, tipic
Ritornando all'intervento de
si vede che la soluzione dat
triplice: i princìpi filosofici
scherata sotto la partecipazio
zione di un culto ad hoc , ch
trare però nel merito della s
negata dalla negazione dell
veridicità dell'apparizione ang
del re), o infine l'accettazion
filosofi40.
Per parte sua il filosofo, che pure prospetta le prime due soluzioni
come egualmente raccomandabili, propende evidentemente per la
terza, anche se non le conferisce un carattere di necessità.
Si può dire che la religione speculativa espressa dalla «fede» del
filosofo sia contenuta nella terza alternativa? E cosa si deve intendere
per «leggi intellettuali»? Si tratta solo delle leggi su cui si regge il si-
stema di vita dei filosofi o designano anche dell'altro? Partendo da
quest'ultimo interrogativo si può risalire al primo, dando conto, al
contempo, del quesito sull'essenza della religione filosofica e del suo
rapporto con la religione. Il termine «leggi intellettuali» ricorre sva-
riate volte nel Kuzari ed assume significati diversi a seconda dei con-
testi. E' dunque utile riferirsi alla terminologia ebraica, la quale è
più differenziata di quella araba, a vantaggio della chiarezza. Le
«leggi intellettuali» nel significato di nomoi sono rese in ebraico con
il termine nimussim sicheliin ; nel significato di jus naturale con
il termine chugim sichliin ; infine nel significato di «precetti intel-

39. Cfr. Strauss, op. cit., pp. 95-96.


40. Questa tripartizione (indifferenza religiosa, creazione di un culto «ad
hoc» e accettazione delle «leggi intellettuali») è stata messa in luce dallo Strauss,
op. cit., p. 68.

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664 Marina Cavarocchi

lettuali» con il termin


chiama le leggi stabil
termine è ripreso pi
l'ipotesi avanzata dal
alcuni individui, anim
essere la volontà di D
proseliti, da soli o g
che costringe il pop
lendosi della cooper
uomini che si riteng
( numussim sichliin)
con delle pretese ori
distingue per una car
samente quando Eg
Creazione del mondo»43.
Più oltre il saggio parla di «leggi intellettuali» ( Chugim sichliin)
attribuendo loro il significato di jus naturale : si tratta delle leggi che
servono ad ogni società - si tratti pure di una società di ladroni -
perché possa definirsi tale e, dunque, abbia la forza di sopravvivere.
Gli chugim sichliin sono la conditio sine qua non per l'osservanza
delle leggi rivelate da Dio. Il saggio fa l'esempio della società ebrai-
ca, ricordando che senza l'osservanza delle «leggi intellettuali» non
potrebbe esservi quella delle leggi divine. Parlando di queste ultime
usa tuttavia il termine torot sichliot , ossia «insegnamenti» o «precetti»
intellettuali. Il medesimo termine ricorre anche a proposito della
scelta di «osservare la giustizia e di riconoscere il bene [fattoci] dal
Creatore»44.
Sulla base della terminologia usata dal saggio ebreo si può suppor-
re che egli consideri possibili due tipi di comportamento umano a cui
possa esser attribuito il nome di 'società': la società retta dalla ra-
gione autonoma dell'uomo, che stabilisce leggi concernenti le moda-
lità di funzionamento dell'organismo sociale, e la società fondata sul-

41. Per quanto concerne la corrispondenza tra la terminologia tibbonica e


quella tratta dalla tradizione filosofica occidentale, si veda Jack Klatzkin, The-
saurus Philosophicus Linguae hebraicae et veteris et recentioris, 4 voli., Berlino
1933: Nimussim sichliim, vol. III, p. 31; Chugim sichliim, vol. I, pp. 323-324;
Torot sichliot, vol. IV, p. 185.
Per l'uso del termine «nimus» (plur. nimussim ) cfr. anche: G. Sermoneta,
Un glossario filosofico ebraico-italiano del XIII secolo, Roma 1969, p. 463.
42. Il re dei Khàzari, cit., I, 80, p. 42.
43. Ivi, I, 81, p. 42.
44. Ivi, II, 48, p. 98.

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Il «Kuzarì» di Giuda Levita 665

l'intervento diretto del Creat


tuale costituisce solo un mome
presenza della divinità, con gl
doversene ricavare, pertanto,
di elevarsi in modo autonom
stenza di Dio. Ad uno stadio a
il saggio afferma che:

«(...) Elohitn si comprende per


telletto insegna che il mondo
ed aggiunge: «e in questo mod
secondo la diversità del loro r
l'opinione dei filosofi»45.

La ragione autonoma, la ragi


l'esistenza della verità; tutta
quello della religione, quel D
gramma ed a cui si può arri
per la quale l'uomo si separ
specie angelica, ed entra in lu
la credenza nell'esistenza di
distinguono il filosofo dal c
diretto con la divinità (solo ap
per così dire, da spartiacque tr
za religiosa di chi ha «vissut
tale da far rinnegare senza a
autonoma; chi è in quello st

«(...) si burlerà delle speculazio


gere la [conoscenza della divin
Colui ch'egli serve C..)»48.

I filosofi, invece,

«non vedono nel culto divino se non una virtù, e considerano una verità
proclamarlo grande su tutte le cose, così come si conviene proclamare
grande il sole su tutte le altre cose visibili; e [affermano] che negare
Iddio non sia altro che un difetto dell'anima che ammette il falso»49.

45. Ivi, IV, 15, p. 216.


46. Ibidem.
47. Cfr. S. Pines, Notes..., cit., pp. 256-258.
48. Il re dei Khàzari , cit., IV, 15, p. 217.
49. Ibidem.

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666 Marina Cavarocchi

Il filosofo ha una c
me si è detto - ness
derazioni del saggio
«leggi intellettuali» s
[soltanto] degli ordin
necessità»50. La legg
ed ha altresì una re
stituire una eccezion
dunque obbligato, s
ad ammettere con lui: «Questa vostra scienza divina non dico che sia
falsa, ma dico che non l'intendo; però io sono saggio nella scienza
umana»52. Secondo il saggio ebreo le leggi, per esser tali, devono ave-
re valore assoluto. Invece i nomoi stabiliti dal filosofo sulla base dello
jus naturale hanno solo valore relativo e trovano il loro fondamento
ultimo nel fatto che chi le ha concepite l'ha fatto non in nome del-
l'amore, bensì del disprezzo del mondo53. Tuttavia - con ciò ri-
torniamo alla questione principale - è lecito chiedersi se la religio-
ne speculativa, o religione dei filosofi possa tradursi in quelle leggi.
A proposito della religione speculativa il saggio osserva:

«vi sono in essa grandi dubbi, e se interroghi su di essa i filosofi non


li troverai d'accordo su di una sola azione, su di una sola opinione;
perché tra le loro proposizioni ve ne sono di quelle che possono basarsi
su di una prova, altre di cui qualcosa può esser [reso] accettabile alla
mente, ed altre ancora che assolutamente non possono basarsi su di
una prova»54.

La religione speculativa - se ne conclude - non solo non è in


grado di fornire indicazioni autonome nell'ambito della prassi, ma si
rivela anche poco attendibile nell'ambito della teoresi55.
Il fine che motiva la religione speculativa dovrebbe tuttavia essere
di natura pratica, così ritengono sia il re che il saggio. Ciò che è es-
senziale a quella religione è infatti di natura sociale e politica, da
un lato, e di natura etica (in quanto richiede il governo delle pas-
sioni), dall'altro. Poste queste premesse, il fatto che essa ricorra a

50. Ivi, IV, 19, pp. 219-220.


51. Cfr. ivi, p. 220.
52. Ivi, IV, 13, pp. 212-213.
53. Cfr., ivi, V, 14, p. 271.
54. Ivi, I, 13, p. 29.
55. Cfr. ivi, IV, 25, p. 234: questa posizione ricalca quella di Al-Gazali, se-
condo quanto riferisce M. Ventura, op. cit., pp. 92-93.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 667

ragionamenti privi di un'effe


valore. E' però chiaro che il f
cosa d'altro: i nomoi risultan
sociale e politico di quell'in
l'altra faccia della religione s
to esoterico, nel quale i filo
mente credono56: l'unione con
l'ideale contemplativo57.
La critica del saggio alle «leg
l'aspetto normativo sia sotto
nerale critica contro le carenz
alla vita attiva nell'ambito d
non ne risulta però intaccata
gati, né risolti in modo diver
ratterizzato da una differente scelta di valori.
Nel suo Divan Giuda Levita esprime la convinzione che la sapien-
za greca «ha fiori, ma non frutti»59; come la maggior parte dei pen-
satori medievali, anch'egli mette al centro i «frutti», i quali, in ar-
monia con i dettami dell'ebraismo, sono rappresentati dalla possibi-
lità di costituire un codice di comportamento dotato di valore asso-
luto ed in grado di garantire una vita sociale attiva, nella quale possa
esser realizzata l'integrazione della sfera materiale con quella spiri-
tuale.
Alcuni interpreti hanno osservato che Giuda Levita può esser messo
in parallelo con il suo contemporaneo cristiano Pietro Abelardo60. Va
però subito detto che i due si distinguono nettamente per la diversa
valutazione che danno del ruolo della ragione e della filosofia, in
virtù di una diversa impostazione del problema della prassi. Una
disamina comparata dei due pensatori fuoriesce dai limiti del pre-
sente lavoro, ma è forse utile fermarsi su di un punto, che aiuta a
chiarire in che misura le differenze d'ordine culturale arrivino ad in-
cidere sul pensiero. Nel Dialogus tra un filosofo, un ebreo e un cri-
stiano Abelardo fa dire al filosofo che chi aderisce alla filosofia con-

56. Cfr. Strauss, op. cit., pp. 73-75.


57. Cfr. Il re dei Khàzari, cit., I, 1, p. 21 e IV, 19, p. 219.
58. Cfr. Il re dei Khàzari, cit., V, 16; IV, 13; V, 14; III, 1; IV, 15; V, 14;
IV, 3; v. Motzkin, op. cit., pp. 218-219.
59. Trad, mia, J. Halewi Divan (4 voll., Berlino 1894 e 1930), vol. III,
p. 164.
60. V. Motzkin, op. cit., p. 218 e Aryeh Grabois, Un chapitre de tolérance
intellectuelle dans la société occidentale au XII siècle: le ' Dialogus ' de Pierre
Abélard et le ' Kuzari ' de Yehudah Halévi, pp. 641-654.

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668 Marina Cavarocchi

cepisce il sommo ben


identifica con la realizzazione della morale. Il cristianesimo ha come
punto a suo favore l'aver saputo porre la filosofia morale in armonia
con l'insegnamento dei Greci, i quali «esigono da chi predica loro la
verità quelle prove razionali che rappresentano gli strumenti più si-
curi di questa sapienza»61. La predisposizione cristiana «si raccoman-
da specialmente per il fatto che ha saputo convertire alla fede uomini
che molto fidavano nei poteri della ragione e che erano capaci di
esercitare ampiamente questi poteri»62; il cristiano sembra ritenere
che la ragione sia una sorta di rivelazione, sia pure di grado inferiore
alla rivelazione vera e propria63; in questo contesto la filosofia può
considerarsi ancilla Theologiae6* . La soluzione di Abelardo sta dun-
que agli antipodi rispetto a quella di Giuda Levita, il quale considera
la «sapienza umana» come diametralmente opposta alla «sapienza di-
vina» e si vede costretto ad escluderla dall'orizzonte di chi predilige
i «frutti» dell'azione ai «fiori» della speculazione.
Al Khàzaro viene attribuita fin dall'inizio una posizione che si po-
trebbe quasi definire come «esistenziale»; egli infatti oppone al filo-
sofo questa constatazione:

«Trovo le tue parole giuste e fondate, ma esse non soddisfano la mia


domanda. So da me che la mia anima è pura e che le mie intenzioni
sono dirette verso la volontà del Creatore, e con tutto ciò mi fu rispo-
sto che queste azioni non erano bene accette, sebbene Pintenzione fosse
gradita [a Dio] »65.

Sulla base della sua storia personale e delle sue intenzioni politiche
(la conversione del suo popolo) il Khàzaro pertanto esclude la solu-
zione del filosofo, che però considera valida dal punto di vista in-
tellettuale. Per il suo dar credito al sogno avuto prima di iniziare la
ricerca, il Khàzaro si pone inconsapevolmente nella scia di una tradi-
zione che trae la propria origine ed autorità da un sapere fondato su
di una particolare «storia», la quale è affatto estranea a quella del fi-
losofo. In ragione di essa - come ricordava Abelardo - gli Ebrei
sono coloro che «signa petunt», mentre i Greci «sapientiam quaerunt»
Quella che per il Maestro palatino vale come una «diminutio capitis»

61. Pietro Abelardo, Dialogo tra un filosofo, un giudeo e un cristiano, intr.


tr. it. di passi scelti e commento a cura di G. Dotto, Bergamo 1976, VI, p. 63.
62. Ibidem.
63. Cfr. ivi, nota 27, p. 64.
64. Cfr. Motzkin, op. cit., p. 218.
65. Il re dei Khàzari, cit., I, 2, p. 23.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 669

assurge a pilastro portante de


la. E' infatti noto che l'ebrais
Rivelazione accolta come fatt
va» in grado di conferire v
La distanza tra Dio e l'uomo
perché la divinità concepita
con la divinità posta a fondam
Il saggio ebreo apre la sua
risulta la consapevolezza de
usate dai suoi rivali, sostenit
tacere di quelle usate dal filo

«Noi crediamo nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che fece


uscire i figli d'Israele con segni e con miracoli e con prove C..)»66.

Alle obiezioni d'ordine speculativo del re egli contrappone una


propria «verità» che le trascende in modo assoluto, precisamente per-
ché la testimonianza di fede legata all'esistenza dei Patriarchi ed al
loro rapporto con Dio vale come «dimostrazione»; di più: è «tale
che non ha bisogno né di dimostrazione né di prova»67. L'esempio
del re dell'India, richiamato dal saggio per spiegare il proprio punto
di vista religioso, mostra con chiarezza che le categorie dimostrative
non hanno presa quando sono riferite al Dio che si rivela nella storia,
visto che la sua realtà sfugge alle regole - ed alle aspettative - del
pensiero: egli comunica con l'uomo in modo immediato e si manifesta
come volontà che parla alla volontà. Conoscere questo Dio significa
volerne eseguire la volontà; ogni altra forma di conoscenza è inam-
missibile. Il volto della divinità resta celato all'uomo; per cogliere
la sua presenza ci si può solo incamminare lungo le «vie» che portano
a lui - come aveva detto anche il «razionalista» Maimonide nella
sua Da lalat al-ha'irin ( Guida dei perplessi). Il saggio non vuole certo
negare la legittimità della riflessione e della speculazione, ma poiché
il fulcro della fede risiede altrove, ne segue che esse ricevono il loro
senso vero solo quando sono poste al servizio di Dio e sono conformi
ai dettami dlela Legge (per mezzo della quale Dio si manifesta e si
mette in contatto con l'uomo)68.
Il Dio che si rivela al popolo ebraico, nominando sé per mezzo del-
l'ineffabile Tetragramma, trascende YElohim (concepibile per mezzo

66. Ivi, I, 11, p. 28.


67. Ivi, I, 15, p. 29.
68. Ivi, I, 98, p. 54.

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670 Marina Cavarocchi

della speculazione) ed
rebbe impossibile sen
del divino basata sull
principio divino se no
di opere comandate
l'uomo non può creare
ma deve fare appello
cessariamente negli e
vente accomunati ai f
tendere di «comprend
Parola divina, la Toràh
sulmani. E nemmeno
colarità dei precetti f
alla tradizione, il cui
con la «vista degli oc
decreti che abbiano l
fare solo a patto che i
tendo della loro autorità, come è stato nel caso dei dottori della
Mishnah e del Talmud11. Da ciò si ricava che il «fondamento della
fede» ed il «fondamento della miscredenza» poggia - come dice il
saggio - sull'accettazione (o sul rifiuto) della concezione secondo
cui solo Dio, in quanto è artefice e perfetto conoscitore di tutte le
cose, possa imprimere i «divina vestigia»72.
Muovendo da questi presupposti è evidente che i precetti che pos-
sono esser compresi per via intellettuale, e che regolano la sfera spi-
rituale e sociale (in ebraico: torot nafshiot ve minhagiot) acquistano
forza di legge solo a partire dall'accettazione dei «precetti d'autorità»
(in ebraico: torot elohio), quali quelli riguardanti l'osservanza del
sabato, la circoncisione, il culto del Tempio, ecc., che «l'intelletto
umano né accetta né respinge». Chi abbia assorbito sino a fondo l'in-
segnamento religioso acquisendo la capacità di arrivare ad una fede
incondizionata, non avverte ovviamente nessun bisogno di condurre
un'indagine razionale sul significato dei precetti. Chi invece non è
capace di arrivare a quello stadio di perfezione spirituale è bene si
limiti a fare appello alle «conclusioni della scienza»73, anziché restar

69. Ivi, I, 25, p. 31.


70. Cfr. ivi, II, 49; III, 22; III, 9; III, 22; III, 39 e III, 41.
71. Ivi, I, 79, p. 40.
72. Ivi, II, 48, p. 98.
73. Nel testo tibbonico, laddove la traduzione italiana del Piattelli rende
con «le conclusioni della scienza», si trova impiegata Impressione «mozzei ha

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 671

preda delle «cattive opinion


perdizione»74. La scienza di
che vedere con le teorie razio
dell 'osservazione storica, psic
Quanto questa posizione sia
gior parte dei pensatori ebre
che da un sommario confron
gione e la ragione e tra la rag
Saadyah Gaon (882-942 d.C
insegnare le verità «elemen
dimostrate), muovendo dall
credibilità della tradizione r
testimonianze profetiche che
racoli, contraddicono ai dati
Saadyah non è solo guida ne
anche a chiarire il significa
in conflitto con la religion
Rivelazione esprime la verit
bisogno della ragione per de
«ragion pratica» ha dunque p
anche se tra le due non vi è un contrasto essenziale. La concezione
di Saadyah dei rapporti tra religione e filosofia è dunque armonica e
mira ad un'integrazione; lo stesso vale per quel che concerne la di-
stinzione tra precetti razionali e precetti d'autorità: i primi rappre-
sentano il completamento ed il perfezionamento di ciò che la ragione
aveva stabilito autonomamente, cui si aggiunge l'indicazione, che solo
la Rivelazione può insegnare, della quantità, della proporzione e del
modo più adeguati. I secondi invece esulano dalla capacità di com-
prensione immediata della mente umana, nonostante sia possibile ad-
durre una motivazione di ordine pratico alla maggior parte di essi
e, quindi, comprendere la loro riposta utilità. Il criterio dell'utilità
è l'elemento che permette a Saadyah di creare una sorta di equili-
brio tra i due estremi dell'assoluta eteronomia dei precetti, predicata
dai Talmudisti, e l 'assoluta autonomia sostenuta dai filosofi: Dio ha
dato all'uomo sia la ragione sia i precetti per guidarlo alla piena fe-
licità ed al bene perfetto75.

chokhmàh», che viene tradotta dal Cassel con «die Resultaten der Weisheit»,
intesa come «speculazione filosofica». Nello stesso senso interpreta anche Isaac
Heinemann, La loi dans la pensée juive, Paris 1962, p. 69.
74. Il re dei Khàzari, cit., II, 26, p. 92.
75. Cfr. I. Heinemann, op. cit., pp. 51-56.

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672 Marina Cavar occhi

Per Bachyah ibn Pa


come si manifesta ne
non hanno avuto la p
Tunica ragione pia c
alla vita t religiosa in
sidera i o precetti di
sono un mezzo per r
hanno anche la funzi
e spirito. Essi gli imp
dell'esistenza, e contr
menti, si svilupperebb
ne di un bisogno prof
giosi e che, in quant
della Parola divina. A
precetti d'autorità, co
trascende le possibilit
to tra Dio ed il popo
aderire totalmente a
vazione spirituale ch
dove trova espression
religiosa è lo scopo de
dei cuori».
Nonostante le differenze che li separano, "Saadyah Gaon e Bachyah
ibn Paquda hanno in comune la negazione dell'ascetismo e l'ammis-
sione della possibilità di concepire ragione e religione rivelata come
complementari ed armoniosamente coesistenti: la speculazione filosofi-
ca indirizza verso la morale, la quale poi trova il proprio perfezio-
namento quando viene applicata nella prassi in accordo con i precetti
dati da Dio. Quesiti due pensatori mostrano dunque come anche la
tradizione di pensiero dell'ebraismo, pur rivendicando i propri conte-
nuti autonomi, possa integrarsi all'interno del filone generale del pen-
siero filosofico.
Diverso il caso di Giuda Levita, il quale invece radicalizza il con-
flitto tra mentalità religiosa e mentalità filosofica. Pur mostrando di
cogliere pienamente la portata della filosofia in tutta la sua ampiezza
ed autonomia, Giuda ne mette in evidenza la pericolosità per la reli-
gione rivelata, stabilendo così un'irriducibile opposizione, una sepa-
razione di origine, di contenuti e di fini tra le due sfere. Il «luogo»
deputato allo scontro è la vita morale, in cui l'uomo deve operare
una scelta: o seguire il proprio intelletto, o seguire l'autentica Parola
divina (che solo la tradizione ebraica è in grado di trasmettere senza
alterarne il contenuto e la portata - mentre le altre due religioni mo-

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 673

noteistiche, in mancanza di u
sull'intervento umano). Che la
di legge, prima ancora che
nel Kuzari fin dall'inizio, q
costretto a consultare i dotti
strazione e da prova a tutti c
che vi sia una legge del Crea
e all'unione con Dio può giu
alla legge (ed al conseguente
quella spirituale) si giunge s
Con questa sua concezione d
precorrere il pensiero - pu
Abraham ibn Daoud77. Quest'
resta legata ad un modo di l
tempo, dal luogo e dalla situ
solo la Legge divina, indipend
tere di assolutezza. Nelle relig
tutto espressione di dovere ci
gione rivelata esso diventa i
totale», che solo la Toràh, l'in
Diversamente da Giuda Lev
può e deve intervenire in ma
neutico che aiuta ad avvicinarsi alla Rivelazione (ma la Rivelazione
è anteriore alla ragione, nel tempo e nel grado). I tentativi di stabilire
un rapporto di complementarietà tra il piano della ragione e quello
della fede (pur tenendo fermo alla loro integrità) finiscono spesso
per dar luogo ad una sovrapposizione di piani, la quale confonde i ter-
mini della questione più di quanto non possa chiarirli79. Per la chia-
rezza delle scelte di fondo, la posizione di Giuda Levita invece si
sottrae - come si è visto - a questo pericolo.
Prima di chiudere è utile far cenno alla polemica anti-caraita, di
cui si parla nella terza parte del Kuzari 90 , e che funge in certo modo

76. Il re dei Khàzari, cit., I, 10, p. 78.


77. Cfr. Hermann Greive, Glaube und Einsicht, ļehuda Halevi und Abraham
ibn Ezra, in «Emunà», nr. 3, 1972, pp. 184-189.
78. Cfr. Erwin I.J. Rosenthal, Torah and Nomos in Medieval Jewish Phi-
losophy, in: «Studies in Rationalism, juda is m and universalism in memory of
Leon Roth», London 1966, pp. 215-230; in partie, pp. 218-219.
79. Ivi, pp. 220-221.
80. Cfr. Il re dei Khàzari, cit., III, p. 22 e segg.; la polemica anti-caraita
è strettamente collegata con la concezione della halakhà («leggi e regole; la
parte prescrittiva della Toràh) espressa da Giuda Levita con una certa origina-

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674 Marina Ca var o echi

da cerniera tra le part


definitivo alla filosofia
Levita l'avversario più
La polemica contro la
vista della problematic
si distinguevano dai fil
lando la complementari
stanza fedeli all'ortodo
islamica, ai quali nel K
culativa. Quella dei Car
da un lato faceva capo
l'altro faceva appello al
stessa tradizione. La ca
emerge con chiarezza
simpatia ad essa tribu
fondano le loro argom
rivelata e che inoltre s
zio di Dio81. Si può con
dei Caraiti come assai af
la fede, e per così dir
genza di provarla con a
cavano all'adesione all
quanto guida del camm
fendere l'ortodossia e q
mizzare l'eteronomia d
ciò egli si imbatte nece
no di far crollare l'edificio di evidenze messo insieme nelle conversa-
zioni con il re svolte nella prima e nella seconda parte del Kuzari,
e di conseguenza anche di incrinare la recente fede del re, la quale
si trova ad affrontare condizioni troppo opposte alla sua inclinazione
naturale82.
Le armi polemiche utilizzate dal saggio contro i Caraiti sono so-
stanzialmente le stesse già adoperate contro la religione speculativa:

lità di vedute. L'argomento esula dagli orizzonti di questo lavoro, per cui mi
limito a menzionare l'analisi di Nahum Ariaeli, che tratta l'aspetto halakhico
nel Nostro, evidenziandone le strutture di pensiero religiose in contrapposizione
a quelle filosofiche: N. Arieli, Tfissat ha Halakhàh ezzel Rav Yehudah ha Levi
(La concezione halakhica di Giuda Levita), in «Daat», nr. 1, 1978, pp. 43-52.
81. Cf>r. la (posizione di Abraham ibn Daoud, in Gerson D. Cohen, The
Book of Tradition (Sefer ha Qabbalah), Londra 1%7.
82. Il re dei Khàzari, cit., III, 22, p. 151.

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Il «Kuzari» di Giuda Levita 675

un'interpretazione «libera»
sé il moltiplicarsi dei pareri
bilità di stabilire una prassi
al culto religioso83. Di più: p
pletamente alla guida della re
lore che le loro azioni ed i l
(si ricordi che un'analoga situ
occasionante la conversione d
Giuda Levita trascura molti
mica rabbanita contro i Cara
i Caraiti, proprio per via de
cadono spesso nel medesimo
no anch'essi ai princìpi fonda
A Giuda interessa mettere i
fatto stesso della Rivelazion
sul Sinai, porta con sé la nece
come fonte di eguale autor
implica l'accettazione di nozio
umane capacità di comprensi
nianze esteriori tanto certe
avevano accompagnato il man
La tradizione fondata sul co
ebraico, parte integrante de
religiosa si contrappone alla
data dai dottori della Legg
Spirito Santo. Per questo m
la prima a favore della secon
La diversa connotazione di q
basta tuttavia a fondare e s
incompatibilità tra la libera
tazione garantita dallo Spirit
zione, Giuda deve accentuare
bagaglio apologetico del saggi
con estrema chiarezza la diffe
e religione rivelata ed anche
- delle ragioni che lo spingon

83. Cfr. ivi, III, 68 e ss.


84. Cfr. ivi, III, 38.
85. Cfr. ivi, I, 1 e III, 50.
86. Per i problemi connessi a questo aspetto del pensiero del Levita, cfr.
N. Arieli, op. cit., pp. 46-49.

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676 Marina Cavar occhi

Contrapponendosi ai
nevano fosse realizza
tra le due sfere in cu
richiede una netta s
rigoroso la differenz
scelta tra l'ambito re
riesce di risolvere d
partito: se sia possibi
lori tra la ragione e l
genti» con cui si apre

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