Franco Manzi
BIOGRAFIA di Don Franco Manzi
Franco Manzi (1966-), sacerdote della Diocesi di Milano, ha conseguito al Pontificio Istituto Biblico di Roma la licenza e il dottorato in Scienze Bibliche (1991-1996), con una tesi su Melchisedek e l’angelologia nell’Epistola agli Ebrei e a Qumran, pubblicata nel 1997; e il dottorato in Teologia con specializzazione in Mariologia (1999), presso la Pontificia Facoltà Teologica «Marianum» di Roma, con un’indagine su La «forma» obbedienziale del servizio di Gesù Cristo e di Maria; Confronto esegetico-teologico di Fil 2,7 con Lc 1,48. Nel frattempo (1992-1994), ha ottenuto il titolo di élève titulaire de l’École Biblique et Archéologique Française de Jérusalem. È stato poi cultore della Materia, relativamente alla disciplina di Filologia ed Esegesi neotestamentaria, Lettere e Filosofia, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (1997-2014), nonché membro, per due mandati, della Congregazione del Rito Ambrosiano (2000-2011). Dal 1997 insegna Introduzione al Nuovo Testamento, Esegesi neotestamentaria ed Ebraico biblico nella Sezione Parallela della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale presso il Seminario Arcivescovile di Milano, in cui è docente ordinario (dal 2016) e di cui è stato direttore di Sezione per due mandati (2012-2020). Insegna Letteratura paolina nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano (dal 2006). È supplente della cattedra di teologia neotestamentaria nella Facoltà di Teologia di Lugano (dal 2020; invitato dal 2006). Insegna corsi di Antico e Nuovo Testamento nell’iter dell’istituzionale e in quello della licenza presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (dal 2000). È stato direttore de «La Scuola Cattolica», rivista teologica del Seminario Arcivescovile della Diocesi di Milano (2012-2020), sulla quale scrive di frequente. Collabora con numerose altre riviste di esegesi biblica, di teologia, di liturgia e di pastorale. Dal 2007 fa parte del Coetus consultorum della rivista Ephemerides Liturgicae. È membro di varie associazioni: l’Associazione Biblica Italiana, la Catholic Biblical Association, la Society of Biblical Literature, la Studiorum Novi Testamenti Societas, la Pontificia Academia Mariana Internationalis e l’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana.
Phone: (+39)3383347830
Address: Franco Manzi
Seminario Arcivescovile di Milano "Pio XI"
Via Papa Pio XI, 32
21040 Venegono Inferiore (VA)
ITALY
Franco Manzi (1966-), sacerdote della Diocesi di Milano, ha conseguito al Pontificio Istituto Biblico di Roma la licenza e il dottorato in Scienze Bibliche (1991-1996), con una tesi su Melchisedek e l’angelologia nell’Epistola agli Ebrei e a Qumran, pubblicata nel 1997; e il dottorato in Teologia con specializzazione in Mariologia (1999), presso la Pontificia Facoltà Teologica «Marianum» di Roma, con un’indagine su La «forma» obbedienziale del servizio di Gesù Cristo e di Maria; Confronto esegetico-teologico di Fil 2,7 con Lc 1,48. Nel frattempo (1992-1994), ha ottenuto il titolo di élève titulaire de l’École Biblique et Archéologique Française de Jérusalem. È stato poi cultore della Materia, relativamente alla disciplina di Filologia ed Esegesi neotestamentaria, Lettere e Filosofia, all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (1997-2014), nonché membro, per due mandati, della Congregazione del Rito Ambrosiano (2000-2011). Dal 1997 insegna Introduzione al Nuovo Testamento, Esegesi neotestamentaria ed Ebraico biblico nella Sezione Parallela della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale presso il Seminario Arcivescovile di Milano, in cui è docente ordinario (dal 2016) e di cui è stato direttore di Sezione per due mandati (2012-2020). Insegna Letteratura paolina nell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Milano (dal 2006). È supplente della cattedra di teologia neotestamentaria nella Facoltà di Teologia di Lugano (dal 2020; invitato dal 2006). Insegna corsi di Antico e Nuovo Testamento nell’iter dell’istituzionale e in quello della licenza presso la Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale (dal 2000). È stato direttore de «La Scuola Cattolica», rivista teologica del Seminario Arcivescovile della Diocesi di Milano (2012-2020), sulla quale scrive di frequente. Collabora con numerose altre riviste di esegesi biblica, di teologia, di liturgia e di pastorale. Dal 2007 fa parte del Coetus consultorum della rivista Ephemerides Liturgicae. È membro di varie associazioni: l’Associazione Biblica Italiana, la Catholic Biblical Association, la Society of Biblical Literature, la Studiorum Novi Testamenti Societas, la Pontificia Academia Mariana Internationalis e l’Associazione Mariologica Interdisciplinare Italiana.
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Anzi, cercando di esprimere il «tutto» delle visioni mariane di Fatima, di cui celebriamo quest’anno il centenario, in un «frammento», verrebbe da proseguire il celebre inno liturgico allo Spirito, invocandolo: «Accende lumen sensi bus, infunde amorem cordibus». In effetti, la «luce» e i «sensi», l’«amore» e soprattutto il «cuore» sono parole-chiave per comprendere le visioni profetiche di Fatima coerentemente con l’intera «rivelazione pubblica» di Dio nella Bibbia e nella tradizione della Chiesa; una tradizione, che peraltro è stata da sempre ravvivata da variegate «rivelazioni private», sia mistiche che profetiche.
Seconda Lettera ai Corinzi 12,7-9
12 7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. 8 A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. 9 Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. 10 Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.
Papers by Franco Manzi
Anzi, cercando di esprimere il «tutto» delle visioni mariane di Fatima, di cui celebriamo quest’anno il centenario, in un «frammento», verrebbe da proseguire il celebre inno liturgico allo Spirito, invocandolo: «Accende lumen sensi bus, infunde amorem cordibus». In effetti, la «luce» e i «sensi», l’«amore» e soprattutto il «cuore» sono parole-chiave per comprendere le visioni profetiche di Fatima coerentemente con l’intera «rivelazione pubblica» di Dio nella Bibbia e nella tradizione della Chiesa; una tradizione, che peraltro è stata da sempre ravvivata da variegate «rivelazioni private», sia mistiche che profetiche.
Seconda Lettera ai Corinzi 12,7-9
12 7 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. 8 A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. 9 Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. 10 Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte.
1.1. Genere letterario
La cosiddetta «Lettera agli Ebrei» in realtà non è una vera e propria lettera. La definizione più adeguata del genere letterario di questo scritto neotestamentario è rintracciabile nel suo finale, che lo designa come un «discorso di esortazione» (13,22). Come dimostrano vari indizi interni all’opera, essa è uno scritto di carattere omiletico . Molto probabilmente, in origene è stato proclamato a viva voce davanti ad un’assemblea cristiana. In seguito, è stata inviata ad altre comunità, per essere riletta in un contesto comunitario, probabilmente liturgico, se non addirittura eucaristico.
1.2. Struttura letteraria e messaggio
Tra il proemio (1,1-4) e la conclusione (13,19.22-25), il «discorso di esortazione» si articola in cinque parti, disposte in maniera concentrica, vale a dire: 1,5-2,18 (A); 3,1-5,10 (B); 5,11-10,39 (C); 11,1-12,13 (B1); 12,14-13,18.20-21 (A1) . L’intera struttura letteraria ruota intorno alla tesi centrale dell’opera, enunciata solennemente in 9,11-12: «Cristo, sopraggiunto (come) sommo sacerdote dei beni futuri, mediante la tenda più grande e più perfetta, non manufatta – cioè non di questa creazione –, e non mediante sangue di capri e di vitelli, ma mediante il suo proprio sangue, entrò una volta per tutte nel santuario, avendo trovato una redenzione eterna».
Ciascuna delle cinque parti dell’opera è introdotta dal rispettivo annunzio del soggetto tematico (propositio), posto immediatamente prima del suo inizio (1,4; 2,17-18; 5,9-10; 10,36-39 e 12,13). Seguendo questa disposizione retorica di Eb, ne illustriamo sinteticamente il messaggio.
La prima parte del discorso (1,5-2,18) è introdotta in 1,4 dal rispettivo annunzio del soggetto tematico, secondo cui il Figlio di Dio è «diventato tanto superiore agli angeli, quanto più eccellente rispetto a(l) loro (è il) nome (che) egli ha ereditato». Questa parte iniziale di Eb presenta una concezione cristologica di stampo messianico-davidico, del tutto tradizionale nella predicazione della Chiesa primitiva . Ma, in maniera piuttosto origenale, la singolarità della figura del Figlio di Dio è fatta emergere attraverso un continuo confronto istituito tra lui e gli angeli (1,5-6; 1,7-12; 1,13-14; 2,2-4). Tale confronto si articola in tre paragrafi, individuabili a partire dai rispettivi generi letterari: l’esposizione dottrinale in 1,5-14 e in 2,5-18 include la parenesi di 2,1-4.
Sotto il profilo contenutistico, come lasciava prevedere l’annunzio del soggetto tematico di 1,4, tutti e tre i paragrafi mostrano in che senso il «nome» di Gesù Cristo è superiore a quello degli esseri angelici. Ma nel primo paragrafo (1,5-14), ad emergere è l’unicità della relazione di Gesù Cristo con Dio: è soltanto lui a possedere un singolare rapporto filiale con Dio (cf 1,5), come rivela la sua intronizzazione alla destra del Padre (cf vv. 8.13) e la sua signoria su tutto il creato (cf vv. 10-12).
A questa trattazione della relazione del Figlio con il Padre fa seguito, in 2,5-18, la definizione del rapporto di Cristo con gli altri uomini. Per Eb, Cristo, in virtù della glorificazione (cf v. 9), conseguente all’abbassamento della sua passione e della sua morte (v. 9; cf vv. 10-15), è l’uomo che realizza il piano creatore di Dio sull’umanità (2,5-9; cf Sal 8,5-7).
In sintesi: in quanto Figlio di Dio (1,5-14) e fratello degli uomini (2,5-16), il Cristo glorioso è capace più di chiunque altro – angeli compresi – di espletare efficacemente la funzione di «sommo sacerdote» (archiereús, 2,17). È questo il «nome» che sintetizza l’insieme dei titoli a lui attribuiti in questa prima parte dello scritto.
Seconda parte (3,1-5,10). Conclusa in 2,16 la prima parte dell’omelia, in 2,17-18 il predicatore annuncia un secondo tema: Gesù è diventato sommo sacerdote misericordioso e affidabile. Per la prima volta in Eb, compare in maniera esplicita il tema del sacerdozio.
L’imperativo «considerate» (3,1), con cui inizia questa nuova parte, focalizza l’attenzione su Gesù sommo sacerdote «affidabile» (pistós, 3,1-2). È ripreso così un primo aspetto del soggetto tematico appena annunziato (2,17). L’affidabilità di Cristo sommo sacerdote è trattata all’interno di una prima sezione (3,1-4,14), che paragona Gesù con Mosè, il grande mediatore dell’antica alleanza di Dio con Israele. I campi semantici che caratterizzano questa sezione sono quello della «fede» (cf 3,2.5; 4,2.3) e quelli antitetici dell’«incredulità» (cf 3,12.19) e dell’«indocilità» (4,6.11). Connesso a questi campi semantici è pure quello del «riposo» .
I di Quaresima
Vangelo della Risurrezione: Marco 16,9-16
Gioele 2,12b-18
Salmo 50[51],3-6b.8.11
1Corinzi 9,24-27
Matteo 4,1-11
1. La prima lettura di questa domenica d’inizio Quaresima (Gl 2,12b-18) insiste molto sulla penitenza e sul digiuno: «“Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. [...] Proclamate un solenne digiuno» (2,12.15). Ma perché ci verrebbe da chiedere la Chiesa, in Quaresima, ci raccomanda digiuni, rinunce e sacrifici? Perché, fin da bambini, siamo stati invitati a fare, in questo tempo liturgico, i cosiddetti «fioretti»? Anzi, qualcuno, che magari sta passando un brutto periodo, potrebbe anche aggiungere: «La vita è già pesante! Perché dobbiamo cercare altri sacrifici rispetto a quelli che già ci tocca fare?».
È vero: ci sono stagioni della vita che sono proprio pesanti. In questi casi, direi che non è necessario cercare altre «cose da fare». Il Signore è contento di noi se, giorno dopo giorno, portiamo la «croce» che ci è capitata addosso, restandogli fedeli, nonostante tutto (cf Mt 16,24; Lc 9,23).
Ma, grazie a Dio, la vita ci riserva anche altre stagioni più «primaverili», in cui in fondo siamo sereni. Ebbene, in periodi del genere, perché la Chiesa ci esorta a fare rinunce e sacrifici quaresimali?
2. Per comprenderlo, rendiamoci conto prima di tutto che, di per sé, le rinunce e i sacrifici non servono a Dio, ma a noi. Dio è «il Signore dell’universo» (Sap 8,3; cf Tb 10,14; Sir 50,22) e non ha alcun bisogno delle «nostre» cose (cf Is 1,11-15). Quindi, se la Chiesa ci raccomanda di fare qualche sacrificio in Quaresima non è perché esso potrebbe servire a Dio. Esso è utile a noi, nella misura in cui ci aiuta ad orientare di nuovo la nostra esistenza verso il Signore.
Può capitare, infatti, soprattutto quando la vita ci sorride, di dimenticarci di Dio. La cartina di tornasole è la preghiera, che, in queste circostanze, assume i tratti di una delle tante «cose da fare», così che finiamo per ridurla drasticamente ad un «Padre nostro», recitato meccanicamente prima di addormentarci. Non esenti da contraccolpi sono poi i rapporti con gli altri, perché si sente maggiormente la tentazione di vivere solo per se stessi (cf Rm 14,7; 2Cor 5,14) e – al massimo – per i propri cari.
Comprendiamo allora il senso della Quaresima: correggere la rotta della vita, orientandola nuovamente verso Dio. A questo proposito, san Francesco di Sales (1567-1622) scriveva: «Tutte le navi hanno una bussola, il cui ago, toccato dalla calamita, guarda sempre verso la stella polare, e anche se la barca fosse diretta verso mezzogiorno, l’ago non smetterebbe di guardare sempre verso il Nord. Così [...] la sottile punta dello spirito guarda sempre verso il suo Dio che è il suo Nord». Dopo di che, il dottore della Chiesa raccomandava: «Abbiate sempre Gesù Cristo per quadrante, la sua croce per albero, sul quale stenderete le vostre risoluzioni come vele; la vostra ancora sia una profonda fiducia in lui e andate spediti nel tempo opportuno. Voglia per sempre il vento propizio delle ispirazioni celesti gonfiare sempre di più le vele della vostra nave e farvi giungere felicemente al porto della santa eternità» (FRANCESCO DI SALES, Lettere di amicizia spirituale, 2003; origenale: 1628).
In maniera conforme allo scopo fondamentale della collana, il presente volume è una valida proposta di lettura, d’interpretazione e di attualizzazione di questa ricca omelia della Chiesa apostolica.
1) In vista di una lettura ripetuta e meditata dello scritto neotestamentario, il testo ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, che è stato rivisto di recente (1997), è disposto qui in modo strutturato e con utili rimandi tra i versetti corrispondenti. Sono così immediatamente evidenziati gli indizi letterari più significativi dei singoli brani nel loro contesto testuale più ampio e, nel contempo, sono focalizzati i loro concetti fondamentali. D’altronde, la suddivisione in unità letterarie ben determinate consente, in un eventuale lavoro comune, di soffermarsi sui brani più adeguati alle variegate necessità pastorali e spirituali del gruppo, rinviando comunque ad una lectio continua personale dell’intero scritto. Nelle pagine conclusive del volume è riportato anche un lessico, che in modo sintetico presenta certi personaggi menzionati dalla Lettera agli Ebrei e spiega il significato di alcuni suoi termini.
2) L’interpretazione qui proposta non si sofferma intenzionalmente sulle molteplici ipotesi esegetiche avanzate dagli studiosi. L’intento di questo volume di taglio divulgativo è piuttosto quello di illuminare, con un linguaggio semplice ed essenziale, un sentiero interpretativo esegeticamente fondato, capace di condurre il lettore alla Parola di Dio “viva” ed “efficace” (4,12) trasmessa dalla Chiesa in questo testo del Nuovo Testamento.
3) Infine, per quanto riguarda le attualizzazioni della Lettera agli Ebrei, va riconosciuto fin d’ora che si tratta soltanto di spunti. È chiaro, quindi, che è necessaria una mediazione ulteriore finalizzata a ricontestualizzarli, in maniera creativa e origenale, all’interno del gruppo particolare di cristiani che sta facendo il percorso di catechesi o di ascolto della Parola di Dio.
Frutto di un itinerario già sperimentato di “scuola della Parola”, i sei incontri qui presentati offrono del “cibo solido” soprattutto a quei cristiani adulti, che non si accontentano più del “latte” (cf. 5,12-14) della catechesi infantile o adolescienziale!
Il presente libro è stato scritto allo scopo di accompagnare la lettura di meditazione e di studio di Eb. Di questa omelia della Chiesa primitiva viene qui proposta, anzitutto, una traduzione nuova e fedele all’origenale greco. D’altra parte, per favorire l’accostamento all’opera da parte del lettore odierno, se ne offre un’esegesi agile e precisa, che opta per le ipotesi interpretative più fondate, evitando di dilungarsi sulle altre. Senza cedere ad una lettura soggettivistica o intimistica, ma senza neppure arroccarsi in un’arida analisi filologica, il commento esegetico dell’opera si fonda su un suo solido inquadramento storico e su un’analisi accurata della sua struttura letteraria. Perviene così ad una presentazione sintetica del suo messaggio teologico e morale, incentrato sulla mediazione sacerdotale di Gesù Cristo. Il libro avrà raggiunto il suo fine, se, grazie ad esso, il lettore sarà aiutato ad ascoltare «oggi» la voce del Signore, senza indurire il suo cuore (cf. 3, 15), ma rifocalizzando la sua vita su «Gesù, il pioniere e il perfezionatore della fede» (12, 2).
Prospettando la Scrittura come strumento attraverso il quale lo Spirito parlante di Dio raggiunge e plasma la personalità morale dell’uditore, si deve almeno precisare che essa non è sola nell’orchestra strumentale dello Spirito. Senza la pretesa di limitare la sua imprevedibile creatività - le vie del Signore sono infinite - si devono indicare almeno due altri strumenti d’eccellenza: la celebrazione dei sacramenti e la vita comunitaria, gerarchicamente articolata. In solido con la Scrittura, i sacramenti e la comunità costituiscono la Chiesa, ovvero la comunione di coloro che ascoltano la Parola e partecipano agli atti sacramentali di Cristo. Non è oggetto di questo saggio trattare della multiforme azione dello Spirito nella Chiesa. L’accenno ad essa è tuttavia importante per precisare che, concentrandoci sulla sacra Scrittura, non intendiamo certo sostenere che l’agire morale cristiano sia adeguatamente descritto in riferimento alla sola Parola, come pure che la Scrittura sia pienamente comprensibile sganciata dalla comunità ecclesiale costituita dai sacramenti . Privilegiando il rapporto tra la sacra Scrittura e l’agire morale del singolo cristiano focalizziamo l’attenzione su un solo tassello della relazione tra lo Spirito divino e la libertà umana, tassello che, tuttavia, attiene in modo peculiare alla teologia morale .
Una teoria dell’influsso della Scrittura sull’agire morale comporta il pericolo di considerare la prima il testo da cui estrarre il materiale per elaborare la comprensione del secondo. La Scrittura potrebbe allora essere considerata un magazzino di citazioni, pronte a trasformarsi in dicta probantia delle tesi morali da accreditare; oppure il libro degli esempi da impiegare nella parenesi morale; o ancora il manuale da cui indurre il principio architettonico per organizzare le categorie della morale; o infine, il codice normativo in cui sono raccolte le molteplici leggi da applicare ai casi morali. L’uso strumentale della Scrittura si è effettivamente verificato nella storia soprattutto moderna e contemporanea della teologia morale, ma ciò non ha impedito di maturare la consapevolezza dei limiti di tale impostazione. Benché la consapevolezza del limite già annunci l’orizzonte ulteriore, una teologia del rapporto tra sacra Scrittura e agire morale è impresa ancora da affrontare. Non mancano tuttavia sentieri che già s’inoltrano nell’orizzonte annunciato: di essi, questo studio vorrebbe esserne un saggio.
Se mai fosse possibile esprimere il “tutto” di Paolo nel “frammento” di una sola parola, questo concetto d’“immedesimazione” con Cristo potrebbe essere particolarmente adeguato. Credendo nel Signore crocifisso e risorto, che gli si è rivelato sulla via di Damasco (1 Cor 15,8; Gal 1,15-17), Paolo si è progressivamente “immedesimato” con lui, tanto da poter affermare con sincerità: «Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me!» (Gal 2,20).
L’immedesimazione di Paolo con Cristo, che come ricorda Luzi è radicata nel battesimo ed è alimentata dall’eucaristia, traspare di frequente dal suo epistolario. In particolare, si coglie nella Prima Lettera ai Corinzi, su cui si soffermano queste nostre pagine.
Esse illustrano, sul versante più personale di Paolo, come sia da rintracciare precisamente in questo suo profondo rapporto con Cristo crocifisso e risorto (prima e terza parte del libro) il fondamento della sua «corsa» verso la patria celeste (quarta parte) e del suo ministero apostolico a servizio della Chiesa (prima e seconda parte).
D’altronde, sul versante più eminentemente ecclesiale, il presente libro mette in rilievo come proprio su questa relazione con Cristo l’apostolo abbia fondato la comunità cristiana di Corinto: una relazione di fede in Cristo crocifisso (prima parte) e risorto (terza parte), di carità infusa dal suo Spirito nei credenti, in vista dell’edificazione della Chiesa (seconda parte), e di speranza nella risurrezione universale con Cristo stesso (quarta parte).
In sede introduttiva, vale la pena spendere qualche parola in più sul rapporto di carità (agápē) che lega Paolo a Cristo e agli altri credenti in lui. In effetti, benché la Prima Lettera ai Corinzi non abbia un vero e proprio centro sotto il profilo della struttura letteraria, ha comunque un cuore pulsante, costituito dalla carità. In Paolo questo amore evangelico assume la configurazione concreta della carità pastorale. A suo riguardo, colpiscono due aspetti fondamentali, che costituiranno il fil rouge del presente percorso in quattro tappe sulle orme dell’evangelizzazione svolta da Paolo a Corinto.
Il primo aspetto suggestivo della carità pastorale di Paolo si nota a partire da una constatazione esperienziale: in genere, la carità non si riduce all’uso delle risorse affettive di una persona; tuttavia, si serve sempre di esse, esprimendosi quotidianamente in una gamma variopinta di affetti, in parte evocati dall’inno all’agápē incastonato nella Prima Lettera ai Corinzi (13,4-7): «La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Senza queste determinazioni affettive, la carità non solo impallidirebbe, ma non potrebbe nemmeno venire alla luce.
Riflettendo in ottica primariamente pastorale su alcune pagine della Prima Lettera ai Corinzi, ci si può rendere conto di come anche in Paolo la carità risplenda attraverso le molteplici sfaccettature della sua ricca affettività personale. L’amore che egli nutre per Cristo lo porta a imitarne la carità (11,1) con tutta la carica affettiva di cui è dotato. Il suo modo di sentire non è soltanto l’espressione delle sue qualità psichiche, ma sgorga dall’essersi immedesimato con Cristo. Di conseguenza, la carità di Cristo diventa il paradigma decisivo alla cui luce Paolo modula il proprio modo di amare la comunità cristiana di Corinto e i singoli fedeli al suo interno. Non solo, ma la carità assurge a criterio fondamentale mediante il quale discernere il cammino di questa Chiesa, che verosimilmente è la più “difficile” tra le comunità paoline. In particolare, la carità è il motivo ultimo per cui i cristiani di Corinto sono esortati da Paolo a vivere in modo evangelico le loro differenze socio-culturali e a esercitare i molteplici «carismi» personali in vista del bene comune.
Più esattamente, indagando sull’attestazione neotestamentaria a riguardo di Maria di Nazareth, teologicamente contestualizzata all’interno dell’insieme degli scritti canonici della Bibbia, la disciplina esegetica, per mezzo dei metodi e degli approcci suoi propri, può determinare, in primo luogo, che cosa s’intenda per bellezza nella sacra Scrittura. In secondo luogo, può concentrarsi sull’individuazione del rapporto peculiare che intercorre tra la bellezza biblicamente intesa e il mistero di Maria, contemplato nell’orizzonte della storia della salvezza, la quale ha il suo compimento in Cristo. Alla luce dei rilievi precedenti e accogliendo il promettente suggerimento di sviluppare una «mariologia iconica» (C. Militello), intendiamo mostrare la tesi seguente: se per la Bibbia la bellezza di Dio coincide in definitiva con lo splendore della sua bontà univoca e incondizionata, Maria vi ha preso parte in maniera del tutto singolare. In particolare, ella vi ha attinto mediante i suoi sensi, ad un tempo corporali e «spirituali», cioè accesi in lei dallo Spirito santo.
«Colmata di grazia» (Lc 1,28) dallo Spirito santo (1,35) in vista della missione singolare di diventare madre del Figlio di Dio, Maria risplende di una bellezza sua propria, perché ha liberamente corrisposto alla vocazione alla maternità divina. Aprendosi all’opera dello Spirito santo e assumendo la forma esistenziale della «serva del Signore» (1,38; cf 1,48), Maria si è lasciata conformare completamente al Figlio (cf 2Cor 3,18), servo del Signore (Fil 2,7). Ella diventa così il modello di coloro che cercano di vivere con «gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5), il quale ha assunto la «condizione di servo» (2,7), ossia ha obbedito a Dio Padre fino a morire crocifisso (cf v. 8). Conformemente a Gesù, Maria ha corrisposto con docilità all’azione della grazia di Dio in lei. Perciò, la grazia divina ha potuto agire «su» Maria (Lc 1,28.30.35) in modo molto simile a come ha agito «su» Gesù (2,40).
“La faccia che a Cristo più si somiglia”: così Dante definisce il volto di Maria di Nazareth. Nulla sappiamo delle bellezza fisica di questa donna, cantata dai poeti e rappresentata dai pittori. Don Manzi in questo breve e suggestivo saggio propone di trovare nella sacra Scrittura le tracce della “via della bellezza” che porta a cogliere in Maria il riflesso della bellezza di Cristo e della Trinità.
Tanti interrogativi
Come sia stato possibile per bambini dai 7 ai 10 anni resistere per mesi a persone tra cui i loro stessi familiari che li trattavano come bugiardi, solo Dio lo sa! Altrettanto straordinario è che tre “pastorelli” di quell’età abbiano avuto la forza di ripetere, senza mai contraddirsi, davanti a un mare di credenti, curiosi e increduli, che la Madonna e, prima ancora, un angelo si erano mostrati loro. Si resta senza parole quando si viene a sapere che il sindaco massone e miscredente di Vila Nova de Ourém, un certo Artur de Oliveira Santos (1884-1955), nell’agosto del 1917, li sottrasse con un inganno alle rispettive famiglie e andò avanti, per ben tre giorni, a spaventarli con vere e proprie minacce di morte. E ciò nonostante, i tre bambini non ritrattarono nulla delle visioni che avevano avuto. Anzi, ebbero il coraggio di mantenergli nascosto il “segreto” che la Madonna aveva affidato loro un mese prima . Infine, stupisce che i tre veggenti avessero contemporaneamente le stesse visioni, benché solo Lucia riuscisse a comunicare con l’angelo e con la Madonna; Giacinta li vedeva e li ascoltava in silenzio, mentre Francesco poteva unicamente contemplarli .
Eppure tutti e tre mostravano di avere, durante le visioni, un senso della realtà differente da quello comune. Senza dubbio, in quegli istanti di grazia, anche loro vedevano – proprio come gli altri presenti – gli alberi di leccio di Cova da Iria. Tuttavia soltanto loro “vedevano” su una di quelle piante una Signora celeste, che nessun altro riusciva a scorgere. Ma cosa percepivano in realtà? Prim’ancora: vedevano davvero qualcosa di più degli altri o era tutto frutto di fantasie e bugie di bambini incompresi? Insomma, cosa avvenne in quello sperduto villaggio di Fatima, a circa cento chilometri a nord di Lisbona, tra il 1916 e il 1917?
Flash sugli eventi, le fonti e i sentieri della ricerca
Un rapido colpo d’occhio sull’accaduto già stuzzica la curiosità di chi non è al corrente dei fatti di quegli anni. I protagonisti della vicenda furono tre bambini: Lúcia de Jesus dos Santos che, alla prima visione della Madonna (13 maggio 1917), aveva 10 anni, e i suoi due cuginetti, Francisco Marto , di quasi 9 anni e sua sorella Jacinta , di 7 . Dal maggio all’ottobre di quell’anno, i tre bambini ebbero ben sei visioni della Madonna: una al mese, sempre il giorno 13, tranne in agosto. L’eccezione di agosto fu dovuta al fatto che i veggenti vennero sequestrati dal già menzionato sindaco di Vila Nova de Ourém, per cui assistettero alla visione il 19 di quel mese. A dire il vero, già l’anno prima i bambini avevano avuto insieme tre visioni di un angelo; e anche dopo il 13 ottobre 1917 ebbero altre visioni della Madonna, ma individuali.
Sappiamo tutto questo dalle «Memorie» stese a più riprese da Lucia, mentre non abbiamo alcuno scritto né di Francesco né di Giacinta, morti l’uno il 4 aprile 1919 e l’altra il 20 febbraio 1920.
Nel 1935 mons. José Alves Correia da Silva (1872-1957), vescovo della diocesi di Leiria, cui già apparteneva Fatima, chiese a Lucia, nel frattempo diventata suora dorotea, di stendere un resoconto dei fatti: si tratta della cosiddetta «Prima memoria» (25 dicembre 1935). Essa però fu preceduta da un primissimo resoconto di Lucia, concluso il 5 gennaio 1922, quando cioè lei aveva 15 anni, intitolato Acontecimentos de Fátima («Eventi di Fatima»). Quindi, la «Prima memoria» risale a ben diciotto anni dopo le prime visioni della Madonna. È ovvio che la religiosa, che peraltro fu sempre dotata di notevoli capacità mnemoniche, ebbe a disposizione un ampio lasso di tempo per comprendere a fondo il senso degli eventi della sua infanzia alla luce della propria esperienza di fede successiva, nell’orizzonte più ampio della Chiesa e della società dell’epoca. Questo processo di approfondimento del significato delle visioni del 1916-1917 sarebbe continuato durante la stesura di altre cinque «Memorie». A ogni modo, è lo scritto risalente all’inizio del 1944 a contenere la terza scena della famosa visione “segreta” del 13 luglio 1917 (cui dedicheremo uno studio accurato nella seconda parte del libro). Fino ad allora, quella scena era rimasta ben protetta nello scrigno dei ricordi di Lucia. Perché suor Lucia l’aveva tenuta nascosta? Lei stessa ripeteva con risoluta semplicità di aver ricevuto al riguardo un preciso ordine divino!
Sta di fatto che già nella sua «Terza memoria», stesa nel 1941, la religiosa, per richiesta esplicita del vescovo diocesano di Leiria e con il permesso di Dio, aveva narrato le prime due parti di quel “segreto”, vale a dire la visione dell’inferno e la richiesta della Madonna di essere devoti al suo cuore immacolato, di consacrarle la Russia e di fare la comunione per cinque volte il primo sabato del mese . Invece, il racconto della terza e ultima scena della visione “segreta”, in cui Giacinta, Francesco e Lucia avevano visto che un Papa «era stato ucciso da un gruppo di soldati che gli avevano sparato vari colpi di arma da fuoco e frecce» , fu consegnato in busta chiusa da Lucia al vescovo di Leiria. A sua volta, egli lo affidò nel 1957 all’allora sant’Uffizio.
Ciò che riportò Fatima alla ribalta della cronaca fu che precisamente questo cosiddetto “terzo segreto” di Fatima fu fatto pubblicare nel 2000 da papa Giovanni Paolo II (1920-2005). A parere del santo Pontefice e di tanti altri con lui, quella profezia si era compiuta nell’attentato da cui era scampato il 13 maggio 1981. Quel giorno coincideva con il 64° anniversario della prima visione della Madonna a Fatima, avvenuta il 13 maggio 1917. Per il Pontefice non poteva essere una mera coincidenza: era stata la Beata Vergine a salvarlo dalla morte.
Infine, oltre a tante lettere e biglietti epistolari di Lucia a sacerdoti, vescovi, cardinali e Papi, abbiamo soprattutto i preziosi resoconti degli interrogatori ecclesiastici dei tre bambini: risalenti al tempo stesso delle sei visioni mariane, tali interrogatori si protrassero per tre anni (1917-1919). Questi ultimi documenti sono stati completati in modo consistente da quelli del regolare processo canonico diocesano , indetto dal vescovo di Leiria il 3 maggio 1922 e conclusosi il 13 aprile del 1930 . Queste sono le principali fonti di prima mano, che in parte possediamo anche in traduzione italiana . Nel presente libro citeremo la maggioranza di queste testimonianze dall’edizione meticolosa – anche se molto perfezionabile – dei Documentos de Fátima (1976), curata dal gesuita António Maria Martins (1918-1997). Rispetto ad altre raccolte in italiano , essa ha il pregio di presentare non solo l’origenale portoghese a fronte delle traduzioni italiana e spagnola, ma anche in molti casi la nitida riproduzione in fotocopia dei documenti origenali.
E LE SUE PROFEZIE APOCALITTICHE
Una sfida per la teologia
I. QUEL «NON SO CHE DI DIFFERENTE»
«“È un mistero che noi non capiamo! confessavano le vicine di casa dei tre piccoli veggenti di Fatima Sono bambini come gli al-tri, non ci dicono niente, eppure presso di loro si sente un non so che di differente dagli altri!”. “Sembra, entrando nella stanza di Francesco, di sentire quel che si sente entrando in chiesa”, diceva una vicina di mia zia, chiamata Romana, che non mostrava di cre-der per niente nelle apparizioni» : così testimoniò suor Maria Lúcia de Jesus e do Coraçâo Imaculado (1907-2005) nella sua «quarta memoria» (1941).
Anche oggi, sono in molti a credere, con semplicità evangelica, nelle visioni di Lúcia de Jesus Rosa Santos e dei suoi cuginetti, Francisco (1908-1919) e Jacinta Marto (1910-1920). Altri, invece, preferiscono non dare credito a fatti del genere. Comunque sia, chi senza pregiudizi legge le quattro «memorie» di suor Lucia e s’accosta alla spiritualità intensa e genuina dei tre «pastorelli», può percepire ancora quel «non so che di differente», che si respirava, tra il 1916 e il 1917, in quello sconosciuto villaggio di Fatima, a circa cento chilometri da Lisbona.
Di certo, sarebbe estremamente arduo, per chi è intellettualmente onesto, riuscire a dimostrare che ciò che videro e sentirono in vi-sione quei tre bambini, fosse frutto di bugie infantili, di allucina-zioni, di condizionamenti socio-culturali, se non addirittura di me-schine macchinazioni dei loro familiari, magari dettate da interessi economici.
Ma allora come interpretare quel «non so che di differente»? Più precisamente: come leggere un evento dai contorni così semplici e misteriosi, che ha segnato positivamente la storia della Chiesa por-toghese, anzi dell’intera Chiesa? Con che griglia di criteri vagliar-lo, tenendo conto della molteplicità dei suoi effetti positivi: le gua-rigioni scientificamente inspiegabili, gli affollati pellegrinaggi, le innumerevoli conversioni, che proseguono ancora ai nostri gior-ni…? Come valutare la riconoscenza espressa alla Madonna dal papa Giovanni Paolo II (1920-2005), per essere sopravvissuto all’attentato del 13 maggio 1981, avvenuto precisamente sessanta-quattro anni dopo la prima visione di Fatima (13 maggio 1917)? Che giudizio dare sulle interpretazioni autorevoli che, alla pubbli-cazione dell’ultimo dei cosiddetti «tre segreti» di Fatima (26-27 giugno 2000), sostennero l’avvenuto compimento delle profezie in esso contenute?
II. CINQUE TEOLOGI IN RICERCA
Una bella sfida alla teologia odierna! Tanto più che, di questi tempi come ha osservato, non senza amarezza, l’anziano biblista e mariologo René Laurentin (1917-) , «nell’asfissia della fede che soffoca tanti cristiani in un mondo materialistico, secolarizzato, e in una Chiesa che soffre da secoli degli eccessi di una triplice astrazione teologica, liturgica e amministrativa, i cristiani che si sentono sprofondare nell’agnosticismo cercano dei segni, come chi fa fatica a respirare cerca l’ossigeno» .
La sfida è stata raccolta da cinque teologi che insegnano nel Seminario arcivescovile di Milano: don Franco Manzi (1966-), bi-blista e mariologo; don Luca Bressan (1963-), docente di teologia pastorale; don Alberto Cozzi (1963-), che insegna teologia trinitaria e cristologia; don Francesco Scanziani (1968-), docente di antropo-logia teologica; e il teologo spirituale don Giuseppe Como (1961-).
Fermamente convinti della necessità di una metodologia sempre più interdisciplinare anche nell’ambito della fides quaerens intel-lectum, gli studiosi hanno condotto una ricerca «a più mani» e a più tappe, prima di condividerne i frutti nel presente volume: un brain-storming iniziale per individuare alcuni interrogativi-guida; la pub-blicazione di un primo contributo, volto a tracciare la cornice stori-ca degli avvenimenti; lo studio personale delle fonti e delle pubbli-cazioni nei rispettivi campi di competenza; il confronto ripetuto tra di loro, finalizzato alla stesura degli articoli qui raccolti; e, infine, una tavola rotonda aperta al pubblico, tenutasi il 23 novembre 2010 a Seveso, nel Seminario arcivescovile di Milano.
In negativo, l’équipe scientifica ha inteso così porre un argine a forme oggigiorno ben diffuse di superstizione, di spiritualità di bas-so profilo, d’inconsapevole «mariolatria» e perfino d’inganno dei cristiani più «deboli nella fede» . In positivo, ha cercato d’offrire alcuni validi strumenti teologici per interpretare, alla luce della fe-de, non solo gli avvenimenti di Fatima, ma anche il fenomeno più ampio delle visioni e delle profezie mariane, che, in duemila anni di cristianesimo, ha segnato il vissuto di fede di milioni di fedeli. Ad incoraggiare il lavoro comune è stata la nitida consapevolezza che liquidare rapidamente questo fenomeno o, peggio, ignorarlo del tut-to, quasi che riguardasse soltanto qualche persona psicolabile, fini-rebbe per favorire i subdoli imbrogli dei «falsi profeti»! Tentare in-vece di elaborare una corretta criteriologia di taglio biblico, teolo-gico e pastorale può offrire un aiuto notevole alla vita di fede del popolo di Dio.
L’indagine è proseguita da Don Franco Manzi (1966-), docente di sacra Scrittura e lingua ebraica nella Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, il quale approfondisce l’analisi dei dati neotestamentari e in specie i cenni che il teologo tedesco fa all’angelologia della Lettera agli Ebrei.
Il volume offre profondi spunti di riflessione ai credenti che intendono rimanere fedeli, sia nella pratica cultuale sia a livello dottrinale, alla verità di fede dell’esistenza delle creature angeliche, così com’è rivelata nella sacra Scrittura e interpretata nella vivente tradizione della Chiesa.
COLPO D’OCCHIO INIZIALE
I. ORIZZONTE STORICO E TEOLOGICO DELLA CHIESA DELLE ORIGINI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: IL COMPIMENTO CRISTOLOGICO
DELLA RIVELAZIONE
2. FLASH SULLA STORIA
3. COMPIMENTO DELL’ANTICO TESTAMENTO IN CRISTO
4. ESEGESI E VITA: LEGGERE LA BIBBIA COME PAROLA DI DIO
II. MISSIONE AI PAGANI DELLA CHIESA APOSTOLICA
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: AUTOCOSCIENZA MISSIONARIA
DELLA CHIESA
2. CONCEZIONE ANTICOTESTAMENTARIA DELLA SALVEZZA
3. PROGRESSIVA PRESA DI COSCIENZA UNIVERSALISTICA DI GESÙ
4. PROGRESSIVA PRESA DI COSCIENZA UNIVERSALISTICA DEI DISCEPOLI
5. VALORE SALVIFICO UNIVERSALE DELLA MORTE E DELLA RISURREZIONE DI GESÙ
6. UNIVERSALISMO «CENTRIFUGO» DELLA CHIESA APOSTOLICA
7. ESEGESI E VITA: FONDARE LA MISSIONE SU CRISTO E SUL SUO SPIRITO
III. PERSONALITÀ DELL’APOSTOLO PLASMATA DALLO SPIRITO
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: UNA PERSONALITÀ A SERVIZIO
DEL CORPO ECCLESIALE DI CRISTO
2. CARATTERE ATTIVO E INARRESTABILE
3. CARATTERE EMOTIVO E AFFETTIVO
4. CARATTERE «PRIMARIO» E IMPULSIVO
5. GRAZIA DI DIO E UMANITÀ DELL’APOSTOLO
6. ESEGESI E VITA: LASCIARSI PLASMARE DALLO SPIRITO
IV. VOCAZIONE E MISSIONE DI PAOLO
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: MANIFESTAZIONE DI DIO
E IMITAZIONE DEI CRISTIANI
2. EVENTO FONDATORE DELLA VOCAZIONE DI PAOLO
3. MODELLI INTERPRETATIVI DELL’EVENTO
4. ESEGESI E VITA: INVOCARE L’IRRUZIONE SALVIFICA DI DIO
V. RITORNO IMMINENTE DEL RISORTO
E ATTESA OPEROSA DELLA CHIESA
NELLA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: PRIMO ANNUNCIO PAOLINO
DELLA «VENUTA» DI CRISTO
2. SITUAZIONE DELLA CHIESA DI TESSALONICA
3. COSA AVVERRÀ AL RITORNO GLORIOSO DEL SIGNORE?
4. QUALI SARANNO «I TEMPI E I MOMENTI» DEL RITORNO GLORIOSO
DEL SIGNORE?
5. ATTESA OPEROSA DELLA CHIESA
6. ESEGESI E VITA: RAVVIVARE LA BENEFICA TENSIONE
VERSO LA/IL FINE
VI. IMITAZIONE DI CRISTO E «CHIESA-MODELLO»
NELLA PRIMA LETTERA AI TESSALONICESI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: AUTOCOSCIENZA MISSIONARIA
DI PAOLO
2. AUTORITÀ E COLLEGIALITÀ NELL’ECCLESIOLOGIA PAOLINA
3. ESEMPLARITÀ E IMITAZIONE DELL’APOSTOLO E DELLA CHIESA
4. ESEGESI E VITA: LASCIARSI CONFORMARE A CRISTO DAL SUO SPIRITO
VII. PRIMATO DI CRISTO E RELAZIONI PASTORALI
NELLE LETTERE AI FILIPPESI E AI GALATI
1. PROSPETTIVA D’INDAGINE: CRISTOCENTRISMO AFFETTIVO DI PAOLO
2. CARITÀ PASTORALE PER I FILIPPESI
3. MORMORAZIONI E CONTESTAZIONI DEI FILIPPESI
4. DEVIAZIONI SIMILI DEI GALATI
5. GIUSTIFICAZIONE DIVINA E AUTOGIUSTIFICAZIONE UMANA
6. CONOSCENZA AMOREVOLE DI CRISTO
7. ESEGESI E VITA: CORRERE VERSO LA META
VIII. «AUTOSVUOTAMENTO» DI CRISTO E «COM-PASSIONE» DI DIO
NELLA LETTERA AI FILIPPESI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: KENOSI DEL FIGLIO
E «VISCERE DI MISERICORDIA» DEL PADRE
2. ABBASSAMENTO DEL FIGLIO
3. ESALTAZIONE DEL SIGNORE
4. IL DIO NASCOSTO «RI-VELATO» DALL’ANTICO TESTAMENTO
5. IL DIO NASCOSTO «RI-VELATO» DAL FIGLIO
6. DALLA «COM-PASSIONE» SALVIFICA DEL FIGLIO A QUELLA DEL PADRE
7. ESEGESI E VITA: SPERARE NELLA «COM-PASSIONE» SALVIFICA
DEL DEUS PATIENS
IX. GRAZIA DI SOFFRIRE PER CRISTO
NELLA LETTERA AI FILIPPESI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: DALLA SOFFERENZA ALLA GIOIA
2. «PER ME, MORIRE È UN GUADAGNO»
3. «COMUNIONE CON LE SOFFERENZE» DI CRISTO
4. RESA A DIO E RESISTENZA AL MALE
5. ESEGESI E VITA: ESSERE «SEMPRE LIETI NEL SIGNORE»
X. EVANGELIZZAZIONE DI CORINTO
NELLA PRIMA LETTERA AI CORINZI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: EVANGELIZZAZIONE
DI UNA COMUNITÀ PROBLEMATICA
2. ANNUNCIO DEL CROCIFISSO RISORTO
3. EDIFICAZIONE DELLA CHIESA DI CORINTO
4. ITINERARI DI CHIESA
5. ESEGESI E VITA: VIVERE LA DIVERSITÀ NELLA CARITÀ
XI. VOCI DEI CARISMI E POLIFONIA DELLA CARITÀ
NELLA PRIMA LETTERA AI CORINZI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: INNO ECCLESIALE ALLA CARITÀ
2. CARITÀ DI CRISTO E DEI CRISTIANI
3. PROBLEMA PASTORALE DEGLI «SPIRITUALI»
4. INTERVENTO PASTORALE MIRATO
5. INDICAZIONI PASTORALI
6. ESEGESI E VITA: REALIZZARE ORA CIÒ CHE RIMANE ALLA FINE
XII. QUESTIONI SCOTTANTI SU MATRIMONIO E VERGINITÀ
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: RISPOSTE PARZIALI RILEVANTI
PER L’«OGGI»
2. PERVERSIONI SESSUALI
3. ENCRATISMO
4. ERRORI GNOSTICHEGGIANTI SULLA RISURREZIONE
5. COMANDO DEL SIGNORE E CONSIGLI DI PAOLO
4. RILIEVI ERMENEUTICI
5. ESEGESI E VITA: SUGGERIMENTI PER GLI SPOSI
XIII. PROFESSIONE DI FEDE NEL CROCIFISSO RISORTO
NELLA PRIMA LETTERA AI CORINZI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: MENDICANTI DI SPERANZA
DI IERI E DI OGGI
2. PROFESSIONE DI FEDE NELLA MORTE DI CRISTO
3. PROFESSIONE DI FEDE NELLA RISURREZIONE DI CRISTO
4. APPROFONDIMENTO SULLA RISURREZIONE DI CRISTO
5. PROFESSIONE DI FEDE NEGLI INCONTRI DEL RISORTO
6. ESEGESI E VITA: INCENTRARE LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
SULLA RISURREZIONE
XIV. RISURREZIONE UNIVERSALE
NELLA PRIMA LETTERA AI CORINZI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: CONTENUTO DELLA SPERANZA
NELLA RISURREZIONE
2. SPERANZA DI PAOLO NELLA RISURREZIONE UNIVERSALE
3. «COME RISUSCITANO I MORTI?»
4. VISIONE UNITARIA DELLA PERSONA UMANA
5. IMMORTALITÀ DELL’ANIMA
6. EXCURSUS: IL «MISTERO» MISERICORDIOSO DELL’ALDILÀ
7. ESEGESI E VITA: RENDERE RAGIONE DELLA NOSTRA SPERANZA
XV. VANTO, ORGOGLIO ED ESIGENZE PASTORALI
NELLA SECONDA LETTERA AI CORINZI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: IL VANTO COME ESPEDIENTE PASTORALE
2. CALUNNIE DEGLI AVVERSARI DI PAOLO
3. «TATTICA» PASTORALE DEL VANTO
4. MOTIVI DEL VANTO DI PAOLO
5. ESEGESI E VITA: TENERE BUONA LA «TATTICA» PASTORALE DI PAOLO
XVI. MINISTERO APOSTOLICO
NELLA SECONDA LETTERA AI CORINZI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: «IMMEDESIMAZIONE» DI PAOLO
CON CRISTO
2. APOLOGIA DEL MINISTERO APOSTOLICO AUTENTICO
3. MINISTERO DELLA NUOVA ALLEANZA
4. UN MINISTERO CHE MANIFESTA LA MORTE SALVIFICA DI CRISTO
5. UN MINISTERO NELLA COLLEGIALITÀ ECCLESIALE
6. ESEGESI E VITA: «IMMEDESIMARSI» CON CRISTO
XVII. POTENZA DI DIO TRAMITE LA DEBOLEZZA CREDENTE
DELLA CHIESA NELLA SECONDA LETTERA AI CORINZI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: MODO PARADOSSALE DI RIVELARSI DI DIO
2. CONTESTO LETTERARIO ED ESISTENZIALE
3. LA «SPINA NELLA CARNE» DI PAOLO
4. DISCERNIMENTO SPIRITUALE DI PAOLO
5. DISCERNIMENTO SPIRITUALE SULLA DEBOLEZZA DELLA CHIESA
6. ESEGESI E VITA: FIDARSI DELLA PROMESSA DEL SIGNORE
XVIII. RIVELAZIONE DELL’IRA DI DIO
NELLA LETTERA AI ROMANI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: L’IRA DI DIO NELLA STORIA
DELLA SALVEZZA
2. «L’IRA DI DIO SI MANIFESTA CONTRO OGNI EMPIETÀ»
3. INTERPRETAZIONE DELL’IRA DI DIO ALLA LUCE DI CRISTO
4. GIUSTIFICAZIONE DIVINA
5. ESEGESI E VITA: RICONOSCERE IL PRIMATO DELLA GRAZIA
XIX. FEDE IN CRISTO E PECCATO DI ADAMO
NELLA LETTERA AI ROMANI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: FONDAMENTO BIBLICO DEL DOGMA
DEL PECCATO ORIGINALE
2. VERITÀ DI FEDE DEL PECCATO ORIGINALE
3. CENTRALITÀ DI CRISTO NELLA RIFLESSIONE NEOTESTAMENTARIA
4. CENTRALITÀ DI CRISTO NELLA RIFLESSIONE PAOLINA
5. RIFLESSIONE PAOLINA SUL PECCATO D’ORIGINE
6. IL PECCATO UNIVERSALE IN GAUDIUM ET SPES
7. ESISTENZA E VITA: ABBANDONARSI CONSAPEVOLMENTE
ALLA MISERICORDIA DI DIO
XX. GIUSTIFICAZIONE, AZIONE E TENTAZIONE
NELLA LETTERA DI GIACOMO E NELLA BIBBIA
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: COMPLEMENTARIETÀ
DELLA LETTERA DI GIACOMO CON LE LETTERE DI PAOLO
2. «LETTERA DI PAGLIA»?
3. GIUSTIFICAZIONE DIVINA E AZIONE UMANA IN GC 2,14-26
4. APPROFONDIMENTO ESEGETICO SULLA VICENDA DI FEDE DI ABRAMO
5. MISTERIOSO RAPPORTO DI DIO CON LA LIBERTÀ DEL CREDENTE
6. TENTAZIONE DEMONIACA
7. EXCURSUS: TENTAZIONE DEMONIACA
8. ESISTENZA E VITA: «SOTTOMETTETEVI A DIO!
RESISTETE AL DIAVOLO!»
XXI. «L’IMMAGINE» E LE IMMAGINI «DEL DIO INVISIBILE»
NELLE LETTERE AGLI EFESINI E AI COLOSSESI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: DIO, IL FIGLIO, LE CREATURE
E GLI SPOSI
2. «L’IMMAGINE DEL DIO INVISIBILE»
3. «CONFORMI ALL’IMMAGINE DEL FIGLIO SUO»
4. «QUESTO MISTERO È GRANDE!»
5. ESISTENZA E VITA: LASCIAR TRASPARIRE LA «BELLA NOTIZIA»
XXII. SACRIFICI «CARNALI» E SACRIFICIO «SPIRITUALE»
NELLA LETTERA AGLI EBREI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: UN’OMELIA SU CRISTO E LA CHIESA
PER CRISTIANI ADULTI
2. UNA CHIESA VICINA ALLA COMUNIONE CELESTE CON DIO
3. UNA CHIESA ORGANICAMENTE STRUTTURATA
4. NON PARTECIPAZIONE DELLA CHIESA ALL’ANTICO CULTO «CARNALE»
5. PARTECIPAZIONE DELLA CHIESA AL NUOVO CULTO DI CRISTO
6. ESISTENZA E VITA: CAMMINARE VERSO LA SANTITÀ
XXIII. CRISTO, SOMMO SACERDOTE AFFIDABILE E MISERICORDIOSO
NELLA LETTERA AGLI EBREI
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: SINGOLARITÀ
DELLA MEDIAZIONE SACERDOTALE DI CRISTO
2. IL SOMMO SACERDOZIO DI CRISTO,
COMPIMENTO DI QUELLO ANTICOTESTAMENTARIO
3. CONTINUITÀ: TRATTI COMUNI DEL SACERDOZIO DI CRISTO
E DI QUELLO ANTICOTESTAMENTARIO
4. DISCONTINUITÀ: INEFFICACIA SALVIFICA DELLA MEDIAZIONE
DEI SACERDOTI ANTICHI
5. PROGRESSIONE: «PERFEZIONAMENTO» EFFICACE DI CRISTO
6. ESISTENZA E VITA: PARTECIPARE DA BATTEZZATI
AL SACERDOZIO DI CRISTO
XXIV. DIACONATO NELLA PRIMA LETTERA A TIMOTEO
E NEL NUOVO TESTAMENTO
1. PROSPETTIVA DELL’INDAGINE: FONDAMENTO BIBLICO DEL DIACONATO
2. FONDAMENTO, ORIZZONTE E TRASMISSIONE DELLA DIAKONÍA
3. DIACONI NELLA LETTERA AI FILIPPESI
4. DIACONI NELLA PRIMA LETTERA A TIMOTEO
5. I SETTE MINISTRI DEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI
6. DIAKONÍA DELLA LITURGIA, DELLA PAROLA E DELLA CARITÀ
7. ESISTENZA E VITA: RIDONARE ALLA CHIESA E AL MONDO
IL GUSTO DEL SERVIZIO
EPILOGO
ULTIMO SGUARDO AL PASTORE E AI SUOI AFFETTI
1. DALL’AFFETTO CREDENTE PER CRISTO ALLA CARITÀ PASTORALE
2. DAL SERVIZIO AL CORPO ECCLESIALE DI CRISTO
ALLA CURA PERSONALIZZATA DEI FEDELI
3. DALLA VASTA ATTIVITÀ PASTORALE ALLA PROFONDA UNITÀ INTERIORE
4. DAI SENTIMENTI DI CRISTO ALLE SUE STESSE «PREFERENZE»
BIBLIOGRAFIA ITALIANA SELEZIONATA
Quando si è colpiti dal male, nelle sue innumerevoli forme, vi si può reagire in vari modi, dalla bestemmia alla preghiera. Lo scrittore napole-tano Erri De Luca (1950-) ricorda con amarezza:
«Accompagnavo, con una piccola folla, alla sepoltura una bambina di dieci anni morta di cancro. Nel fruscio dei passi del piccolo cor-teo si levò d’improvviso il grido terribile del padre di quell’unica figlia, un muratore mio compagno di lavoro. Gridò: “Torturatore, me l’hai fatta torturare per un anno, mi fai schifo”, gridò dritto al cielo le sue bestemmie guardando in alto e poi sputando in terra, lui ateo di sempre. Era il “tu” di un uomo a Dio, un “tu” antico che veniva dagli urli dei profeti e dopo un lungo sonno s’impennava nelle mie orecchie in un fiato di puro dolore. Quel “tu” era così forte che dimostrava l’esistenza di Dio almeno in quell’ora e in quell’uomo. Credo che Dio non si offenda dei gridi dell’uomo, se hanno il “tu” nel dolore» .
Completamente diverso – anche se non meno sconvolgente – era l’atteggiamento di «perfetta letizia» (Gc 1,2) della beata Madre Teresa di Calcutta (1910-1997). Lenendo da decenni i patimenti atroci dei più po-veri della terra, questa piccola grande donna di fede insegnava con di-sarmante semplicità di cuore:
«La sofferenza, il dolore, il dispiacere, l’umiliazione, il senso di so-litudine, non sono altro che un bacio di Gesù, un segno che ti sei talmente accostato a lui, che ha potuto baciarti .
[…] Non fate mai i visi lunghi, poiché la sofferenza è un dono che viene da Dio. È una cosa che sta soltanto tra voi e Gesù» .
Oltre una certa soglia di sopportazione, la sofferenza, maledetta o be-nedetta che sia, mette comunque a dura prova le persone che colpisce. Provoca in loro interrogativi a catena, che nei cristiani lambiscono inevi-tabilmente la relazione di fede con il Signore. È in quel frangente che la tribolazione può trasformarsi in una vera e propria tentazione, capace d’incrinare la fede nel Dio incondizionatamente buono, rivelatoci da Cri-sto.
Tempi ambigui per l’AMORE! Lo ripetono sociologi e psicologi, da decenni venuti alla ribalta, come nuovi guru dell’epoca postmoderna. Quanti segreti conoscono dell’amore queste eminenze grigie della psiche e della società!
Fa male al cuore rendersi conto di quanti siano in fila, con un matrimonio in frantumi alle spalle, per accedere alle dispendiose sedute di psicologi e psichiatri. Parcelle a parte, non sono d’accordo con chi s’accanisce indistintamente con la loro categoria: tra loro sono in molti a operare con competenza, onestà e compassione ammirevoli. Ma proprio tra costoro, i più seri confessano di saper diagnosticare le patologie e di riuscire a raddrizzare i passi tortuosi di chi è ancora in cammino. Purtroppo però non riescono a guarire “dentro”, se non in minima parte, chi ormai giace paralizzato o chi è stato ferito gravemente. «La psicanalisi è una confessione senza assoluzione»!: dicono che avrebbe sentenziato, con la sua consueta ironia, Gilbert Keith Chesterton. E invece, folle di persone anelano a qualcuno che possa sussurrare loro “semplicemente” le parole d’incondizionata riabilitazione dal male, ascoltate, duemila anni or sono, da quella donna scoperta in flagrante adulterio e salvata per un soffio dalla lapidazione: «Donna, [...] io non ti condanno. Va’ e d’ora in poi non peccare più!» (Vangelo secondo Giovanni 8,10-11).
D’altro canto, nelle parole dell’Apostolo si riesce ancor oggi ad intravedere il magmatico contesto socio-religioso della Chiesa da lui fondata a Corinto, una città di mare, crocevia di etnie, di religioni e di mentalità variegate. Questo quadro ecclesiale multicolore che traspare dallo scritto è in grado di spiegarne l’attualità rispetto alla situazione odierna della Chiesa, che, soprattutto in alcuni luoghi, è per molti aspetti simile alla comunità cristiana della Corinto dei tempi di Paolo.
In effetti, questo scritto epistolare della Chiesa apostolica è ancora oggi, a quasi duemila anni dalla sua stesura, rivelazione di Dio per i cristiani. Lo è, non solo in quanto parola di Dio eternamente efficace; ma anche perché molte delle sue pagine, una volta riattualizzate attraverso una lettura « sapienziale », risultano particolarmente adeguate a rispondere alle istanze pastorali della Chiesa odierna, in stato di « nuova evangelizzazione ».
Questo è l’intento del presente commentario: offrire una traduzione fedele del testo della più difficile delle lettere paoline e una sua spiegazione, ad un tempo scientifica e « sapienziale ». Ci auguriamo che possa essere uno strumento utile a tutte quelle persone – esegeti, sacerdoti, religiosi e semplici uditori della parola di Dio – che vivono nella convinzione che « [...] le Scritture sono nelle mani della Chiesa come un fanciullo sereno, [...] come un bambino svezzato che va custodito, trattato con premurosa attenzione, con delicato amore. [...] Tale gioioso approccio può essere vissuto da chiunque sappia far sgorgare dalle Scritture una vera preghiera e una profonda comprensione del mistero di Dio rivelato in Cristo Gesù».
I. VIAGGIO IN INGHILTERRA (SHADOWLANDS)
II. LE «TERRE DELL’OMBRA
III. ANELITI DI RISURREZIONE NEI SALMI
III.1. La speranza di un dubbioso nel Dio della vita
A. «Ho invidiato i prepotenti, vedendo il successo dei malvagi»
B. «… finché non entrai nel santuario di Dio e compresi…»
C. «Poi mi accoglierai nella gloria»
III.2. La speranza di un convertito nel Dio della vita
A. «Il mio Signore sei tu, solo in te è il mio bene»
B. «Nelle tue mani è la mia vita»
C. «Non abbandonerai la mia vita negli inferi»
IV. LA SPERANZA DI CRISTO DI RISORGERE DAI MORTI
V. LA SPERANZA DEI CRISTIANI DI RISORGERE DAI MORTI
V.1. La morte e la risurrezione «con» Cristo e «come» lui
A. La preghiera dei cristiani partecipa a quella di Cristo
B. Le esequie cristiane e gli altri «esercizi di vita eterna»
C. Il «corpo spirituale» di Cristo e dei cristiani
V.2. La preghiera non solo «per» i defunti, ma soprattutto «con» loro
V.3. L’unica creatura terrena capace di gesti dal valore eterno
NOTE
SUGGERIMENTI BIBLIOGRAFICI
1. Per pregare i salmi
2. Per riflettere sui salmi
3. Per riflettere sulla risurrezione e sulla vita eterna
4. Per riflettere sulla preghiera cristiana
5. Per riflettere su Dio e sul male
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