Le pareti della Camera d'Amore, che trova posto all'ultimo piano del mastio nel castello di Sabbionara d'Avio, vennero decorate nel Trecento con un ciclo di affreschi di tema profano. In gran parte danneggiati, nel corso del Novecento diversi studiosi hanno provato ad affrontarne le problematiche, quali la datazione, l'iconografia e l'attribuzione. Questo articolo tenta, attraverso una serie di nuovi confronti, di suggerire una nuova proposta di datazione e di confermare, in maniera ormai certa, l'orizzonte culturale da cui il Maestro del ciclo sarebbe provenuto.

The walls of the Camera d'Amore, which is located in the last floor of the keep in the castle of Sabbionara d'Avio, were decorated in the XIV century with a cycle of secular frescoes. Now mostly damaged, in the XX century several studies have tried to face issues like date, iconography and attribution. According to different comparisons, this paper tries to suggest a new dating solution and to confim, now beyond any doubt, the cultural horizon from which the Master of Avio should have come from.

Per secoli tenuta nascosta all’interno del complesso dell’abbazia cistercense di Chiaravalle della Colomba, la sagrestia, o meglio, i dipinti murali che decorano l’ambiente ottagonale aggiunto nel tardo Duecento alla struttura precedente, sono emersi all’attenzione del pubblico e degli studiosi solamente nel 1899, quando l’abate Guglielmo Bertuzzi fece demolire le strutture edilizie che ne occultavano le pareti da almeno un secolo.
Nonostante il ciclo sia stato più volte pubblicato e studiato, specie negli anni ’90 del secolo scorso, all’analisi della bibliografia esistente sono assai frequenti le lacune e le imprecisioni. Risultava quindi necessario un nuovo studio, che mettesse in discussione le posizioni precedenti e risolvesse molte problematiche lasciate in sospeso dalla critica.
Il mio lavoro si è strutturato in tre fasi: nei primi due capitoli mi sono occupato specificatamente del complesso abbaziale della Colomba e, in maniera ampia, del ciclo pittorico della sagrestia, ritenuto dalla critica essere stato realizzato nei primi decenni del XIV secolo.
In un secondo momento, per riuscire a rintracciare l’orizzonte culturale di provenienza del Maestro qui attivo, ho ritenuto necessario condurre un’ampia operazione di contestualizzazione. Individuato come termine post quem il ciclo francescano di Assisi (primi anni ’90 del Duecento) e come ante quem la cappella degli Scrovegni di Padova (terminata nel 1305), un lungo itinerario che mi ha portato da Napoli al Piemonte mi ha permesso di raccogliere sufficienti elementi relativi al successo della pittura giottesca-assisiate in terra italiana (in particolare nel nord-ovest della penisola), per giungere a nuove ed interessanti conclusioni, che costituiscono la terza – ed ultima – parte del mio lavoro.
Del Maestro di Chiaravalle, che rimane ancora anonimo, è stato possibile riconoscere il profilo culturale e l’ambito geografico di provenienza, nonché la traccia dei suoi aggiornamenti. Infine, grazie anche al supporto documentario, per il ciclo della sagrestia è stato possibile avanzare una datazione più precisa, in anticipo rispetto a quanto ipotizzato dalla critica, che ha comportato anche una nuova datazione del capitelli e dei telamoni che decorano il vicino chiostro.

Le Notizie di Clementino Vannetti sono un testo fondamentale per studiare il pittore Gasparantonio Baroni Cavalcabò: questo saggio vuole mettere in luce il ruolo che il maestro di Vannetti, Clemente Baroni Cavalcabò, svolse nella stesura del testo stesso grazie alla pubblicazione delle lettere che Baroni indirizzò all’allievo nel dicembre del 1780. La discussione dell’opera di Vannetti porta poi ad analizzare due problemi storico artistici relativi alle opere del pittore: le tele di Santa Maria del Carmine, a Rovereto, e i dipinti murali della cappella della Beata Vergine di Caravaggio, nella chiesa della SS. Trinità di Sacco.

Per secoli tenuti nascosti all’interno del complesso abbaziale di Chiaravalle della Colomba, i dipinti murali che decorano la cappella di pianta ottagonale posta a est della sagrestia sono emersi all’attenzione del pubblico e degli studiosi solamente nel 1899. Questo articolo vuole tornare sull’analisi della decorazione pittorica in questione, di cui verranno ridiscussi sia aspetti stilistici che di datazione.

La figura di Gaspare Antonio Baroni Cavalcabò (1682-1759) è ben nota alla critica. Pittore roveretano, nacque a Sacco nel 1682, si formò tra Venezia e Roma con Antonio Balestra e Carlo Maratti e, tornato in patria nel 1709, riempì la Val Lagarina di tele ed affreschi fino alla sua morte, avvenuta nel 1759. Consacrato da Clementino Vannetti nella celebre monografia stampata nel 1781, nel Novecento il pittore è stato ristudiato da Bruno Passamani, che gli dedicò una nuova pubblicazione, datata 1958. Da allora gli studi sul pittore non hanno ricevuto una particolare enfasi, tuttavia diversi sono stati gli apporti di numerosi studiosi, locali e non, che hanno contribuito a dare nuove datazioni alle sue opere e ad aggiungere importanti pezzi al suo corpus. A distanza di più di mezzo secolo dal contributo di Passamani, il convegno in esame si pone l’obiettivo di ridiscutere la figura del pittore e di analizzarne il contesto critico, storico e storico-artistico che ne caratterizzò l’operato.

Nel medioevo gli ambienti laici erano spesso decorati con stemmi, imprese ed emblemi araldici: regge, castelli, dimore private e edifici pubblici erano frequentemente “contrassegnati” da simboli ed emblemi di potere della casata o della signoria regnante, del comune, ma anche delle arti e delle corporazioni. Di questi vasti apparati decorativi il Nord Italia, specie per il Tre e Quattrocento, presenta un gran numero di testimonianze superstiti. Col procedere degli studi e col loro infittirsi, è diventato sempre più evidente quanto il solo studio materiale e monografico dei singoli brani pittorici non riesca a soddisfare numerose questioni: come venivano recepiti tali ambienti dai contemporanei? Quale era la loro funzione reale? C’era una connessione tra i temi dipinti e la funzione degli ambienti in cui questi erano visibili?

Con la recente riemersione di un vasto numero di tali occorrenze, è diventato necessario affrontare il fenomeno nella sua globalità e individuare le chiavi interpretative e i metodi di studio da seguire. Accanto a una lettura più tradizionalmente storico-artistica, risulta infatti sempre più importante la comprensione dei contesti storici e politici in cui queste manifestazioni pittoriche furono prodotte, per evitare che tali testimonianze vengano trattate come oggetti tra loro isolati.

Il convegno è dedicato all’analisi del fenomeno e coinvolgerà tutto il territorio dell’Italia settentrionale, dal Piemonte al Friuli, toccando quindi sia l’area alpina sia quella padana. Data la varietà tematica e regionale, il convegno è strutturato su due giornate, che vengono divise nel seguente modo: una prima sessione è dedicata al metodo e alle fonti, seguita da quattro sessioni regionali (territorio sabaudo e Lombardia viscontea; il Tirolo e il Trentino; la città di Verona; Ferrara e il Nord-est) e infine la conclusione.

Scorrendo la cospicua bibliografia dedicata a Gaspare Antonio Baroni Cavalcabò, solo una percentuale molto ridotta di studi è dedicata alla fase che ad oggi risulta essere la più problematica della biografia del pittore, ovvero la sua formazione. Come riportato da Clementino Vannetti, l'artista arrivò a Verona nel 1702 appena ventenne, dove incontrò Antonio Balestra.

Ferrara è tra le città del nord-Italia quella che conserva il maggior numero di testimonianze di pittura profana databili tra Tre e Quattrocento. Ben prima del più famoso cantiere quattrocentesco di Schifanoia, i palazzi estensi della città vennero interessati da ampi cicli decorativi di destinazione politica o di autocelebrazione dei signori. In questo saggio vengono analizzati alcuni casi di decorazione degli ambienti “signorili”, quindi dentro la corte, e quelli realizzati in dimore private, fuori la corte.

Il castello di Avio, che svetta sul versante occidentale della Vallagarina in Trentino, è un monumento di fama internazionale che, tuttavia, non è omaggiato da una adeguata fortuna critica. Attualmente, l’unica pubblicazione monografica di solido valore scientifico è Castellum Ava , testo di grande importanza edito nel 1987, ormai da molti anni fuori commercio. Tale volume, ad oggi, risulta però non poco antiquato rispetto agli aggiornamenti scientifici prodotti nel corso degli ultimi decenni. Negli ultimi decenni sono stati condotti importanti restauri e sono state effettuate interessanti scoperte archivistiche e artistiche, che hanno aggiunto numerosi nuovi elementi, risolto alcuni interrogativi e aperto nuovi problemi. In molti casi, l’interpretazione del castello e dei suoi storici abitanti è uscita stravolta e rinnovata. Tutto ciò, però, ha trovato spazio solamente in articoli di riviste scientifiche e in saggi in opere miscellanee, riflessi molto esigui e rivolti solo agli “addetti ai lavori”: manca una visione d’insieme del castello e dei problemi storici che questo pone, un’opera che getti sul maniero uno sguardo nuovo, svecchiato e più consapevole del suo contesto. Il progetto editoriale che qui si presenta vorrebbe soddisfare questa necessità.
Il termine “contesto” non è stato usato casualmente. Per indagare le strutture del castello e la loro storia è necessario non occuparsi del solo monumento, come fatto in passato. Nel presente volume lo studio del castello è inquadrato entro l’analisi del panorama storico e storico-artistico della Vallagarina tra il Trecento e la metà del Quattrocento. Ovvero tra la morte di Guglielmo II Castelbarco, detto il Grande (1320), fino alla dedizione della città di Rovereto alla Repubblica Serenissima di Venezia (1416): un periodo nel quale la Vallagarina è stata attraversata da eventi e personaggi che hanno contribuito a scrivere la storia e storia dell’arte locale. Ad oggi, uno studio accurato e completo di tale periodo per l’area in esame non esiste. Questo volume avrà un taglio polifonico: presenterà solide radici scientifiche, ma sarà scritto e composto col desiderio che il fruitore finale possa essere un pubblico adulto più ampio possibile: cittadini, studiosi, curiosi, visitatori, appassionati d’arte e di storia, studenti.

Un manoscritto inedito del tardo Ottocento
Uno degli elementi portanti del volume è la trascrizione ed edizione critica di un manoscritto tardo ottocentesco, finora poco conosciuto, conservato presso la Biblioteca Comunale di Ala e redatto dal monsignor Francesco de’ Pizzini. Il testo dell’erudito alense, dal titolo “Il castello di Avio”, è del tutto inedito e getta una luce completamente nuova sul castello. Il manoscritto trae spunto da una visita che l’autore fece al castello negli anni Settanta dell’Ottocento: di questa visita Pizzini lascia un’accurata descrizione, che ritrae un monumento alquanto diverso rispetto alla sua condizione attuale. Dopo il passaggio del monsignore il sito venne infatti più volte rimaneggiato, con l’abbattimento di alcune porzioni antiche e la ricostruzione arbitraria di diverse parti “in stile”: eventi che hanno alterato definitivamente le strutture che fino ad allora erano fortunatamente sopravvissute ai secoli. Questo testo ci permette quindi di fare un viaggio indietro nel tempo e di indagare con attenzione le vestigia di un edificio che a fine Ottocento preservava ancora molto della sua forma e aspetto medievale. Il manoscritto de’ Pizzini è arricchito da alcuni disegni a china che ritraggono porzioni del castello: elemento che aumenta notevolmente la preziosità del documento e il suo valore documentario.

Indice e progetto scientifico
Il progetto editoriale è stato pensato secondo il percorso storico e storico-artistico qui delineato.  L’opera si aprirà con un primo saggio di carattere storico, compito affidato al dott. Carlo Andrea Postinger, storico medievista di acclarata fama ed esperienza. Il panorama tracciato da Postinger servirà ad inquadrare l’area lagarina e il castello tra i due estremi cronologici sopra indicati (1320-1416).
Si passerà quindi al castello di Avio, di cui verranno indagate le strutture esistenti anche in base agli esiti dei più recenti interventi di restauro strutturale e storico-artistico. Troverà qui spazio l’edizione critica del manoscritto di cui sopra, il cui testo verrà trascritto integralmente nell’appendice finale del volume.
Il terzo argomento trattato nel dettaglio sarà la pittura in terra lagarina tra Tre e Quattrocento, in cui i dipinti del castello di Avio verranno studiati a confronto coi coevi affreschi di chiese e palazzi della Vallagarina, come ad esempio le chiese di S. Cecilia a Chizzola (Ala), S. Maria Maddalena (Terragnolo), S. Antonio Abate di Sabbionara (Avio), la cosiddetta casa del vicario di Avio e vari lacerti ancora conservati a Rovereto (il palazzo pretorio e gli affreschi recentemente emersi in via della Terra).
In ultima analisi, Marcello Beato si occuperà di tracciare dei paragoni tra le decorazioni del castello di Avio e quelle dei coevi castelli tirolesi e austriaci, con l’obiettivo di individuare continuità, rapporti e relazioni.

The rooms of the former Scientific Cabinet of the Episcopal Seminary of Mantova house one work of the artist Gaetano Giulio Zumbo (Syracuse 1656 - Paris 1701). The attribution to the most well-known wax modeller of the 17th century has been proposed by Rodolfo Signorini in 1987 and, nowadays, it finds new decisive acknowledgments thanks to the expanding of the studies on the artist in matter and on an iconographic comparison with one work preserved at the Victoria & Albert Museum in London.