Gabriele D’Ottavio
La lezione
della Grosse Koalition
In Italia il sistema politico tedesco viene spesso evocato come
un possibile modello da emulare,
mentre, secondo alcuni osservatori, la Germania pluripartitica si
sarebbe «italianizzata». La vicenda
della Grosse Koalition è sicuramente istruttiva per il dibattito di
casa nostra; ma lo è per ragioni
opposte a quelle di coloro che
vorrebbero trasferire acriticamente la formula consociativa tedesca
in Italia. La «grande coalizione»
è uno scenario che può essere
concepito in Germania, ma non
ovunque (e tanto meno in Italia),
poiché è legata a un particolare
assetto istituzionale e a una cultura politica consensuale consolidatasi nel corso di oltre quarant’anni.
Ai problemi di adattabilità e praticabilità della Grosse Koalition in
contesti dove tali caratteristiche
non sono date, si andrebbero ad
aggiungere le incognite e le incertezze politiche connesse ai fenomeni di coabitazione tra partiti appartenenti a schieramenti opposti.
Anche da questo punto di vista il
caso tedesco è istruttivo. Le due
esperienze consociative, quella
960
del periodo 1966-1969 e quella
conclusasi di recente (2005-2009),
sembrerebbero infatti designare
due momenti di passaggio nella
storia politica tedesca, a partire
dai quali il sistema politico appare evolversi in direzioni diverse,
se non opposte. La prima Grosse
Koalition fu un importante catalizzatore della transizione tedesca
verso una compiuta «democrazia
dell’alternanza», mentre la seconda sembrerebbe aver accentuato
i problemi che avevano accompagnato e in parte determinato
la sua nascita: la frammentazione
del sistema partitico e la crescente disaffezione degli elettori tedeschi nei confronti della politica.
La coabitazione al governo tra
cristiano-democratici e socialdemocratici iniziava a profilarsi
come un’opzione politica praticabile all’inizio degli anni Sessanta,
dopo che la Cdu/Csu aveva perso
la maggioranza assoluta dei seggi
e la Spd avviato quel processo di
riforma interno che l’avrebbe portata a trasformarsi da partito classista di orientamento marxista in
un «partito di centro-sinistra ideologicamente moderato». La proil Mulino 6/2009
La lezione della Grosse Koalition
spettiva di una «grande coalizione» divenne, quindi, concreta nel
1966, allorché i cristiano-democratici e i liberal-democratici non
riuscirono a risolvere le loro divergenze sulla strategia da adottare per coprire il deficit di bilancio.
Quest’ultima circostanza ebbe un
effetto immediato sulla nascita
della prima Grosse Koalition,
aprendo di fatto la strada ai negoziati tra la Cdu/Csu e la Spd. Sarebbe riduttivo però, se non addirittura fuorviante, ricondurre la
nascita della prima Grosse Koalition a una mera scelta politica.
Essa s’inscrive piuttosto nell’ambito di una più profonda trasformazione del sistema politico tedesco, segnata dall’affermazione
di una cultura politica consensuale e dalla strutturazione del sistema partitico su una logica maggioritaria di tipo bipolare.
Da un sistema «multipartitico moderatamente polarizzato», con
dieci partiti al Bundestag e due
dei quali «antisistema», emerLa Grosse Koalition, figlia
so dalle prime
di una cultura politica
elezioni
del
consensuale e madrina
1949, si passò in
poco meno di
della «democrazia
un decennio a
dell’alternanza»
un sistema con
soli tre partiti rilevanti, con due sulla soglia del
40%, definito anche «a due partiti
e mezzo». Storicamente, il consolidamento di una cultura politica
consensuale e l’evoluzione verso
un sistema partitico competitivo
il Mulino 6/2009
si presentano come due fenomeni strettamente interdipendenti
tra loro. In particolare, la presa di
distanza dalla tradizione marxista
da parte della Spd e la sua convergenza tra la fine degli anni
Cinquanta e i primi anni Sessanta su posizioni moderate favorirono l’ulteriore concentrazione
del voto a vantaggio della stessa
socialdemocrazia tedesca, dopo
che nel corso degli anni Cinquanta tale processo aveva visto
principalmente l’Unione cristiano-democratica riuscire ad assorbire al proprio interno gran parte
dell’elettorato delle forze politiche minori di centro e di centrodestra. Viceversa, la progressiva
strutturazione del sistema partitico su due grandi partiti agevolava una crescente moderazione da
parte dei principali attori politici,
contribuendo alla diluizione delle
differenze ideologiche tra i due
poli. Delle tante decisioni chiave
che concorsero a questa evoluzione del sistema politico tedesco
si possono ricordare: la decisione
di calcolare la clausola di sbarramento del 5% su scala nazionale
e non più all’interno dei singoli Länder (1953); la messa fuori
legge dei partiti nazista (1952)
e comunista (1956); la svolta di
Bad Godesberg della Spd (1959)
e il successivo discorso di Herbert Wehner sulla politica estera
tedesca (1960), con cui i socialdemocratici riconobbero il primato della scelta occidentale che,
per tutto il decennio precedente,
961
Gabriele D’Ottavio
era stata sostenuta con determinazione dall’avversato cancelliere Adenauer; infine, la decisione dei cristiano-democratici, per
nulla scontata, di appianare le
divergenze programmatiche con
la Spd e di dare vita a un governo di «grande coalizione» per
contrastare insieme la prima recessione economica del secondo
dopoguerra attraverso la messa a
punto di un ambizioso piano di
riforme (1966).
Non meno significative delle dinamiche che resero possibile la
prima Grosse Koalition tra la Cdu/
Csu e la Spd sono quelle che ne
caratterizzarono la fine: la radicalizzazione della protesta giovanile
nel ’68, la crescita dell’opposizione extraparlamentare, la ricomparsa di formazioni di estrema
destra e il terrorismo della banda
di Andreas Baader. Tali fenomeni
furono riassorbiti, sia pure a fatica, grazie alla stabilità dell’assetto
istituzionale, favorita da un diffuso
«patriottismo costituzionale» (Verfassungspatriottismus), alla tenuta delle forze politiche principali
e al ripristino di una corretta logica bipolare. Anziché distorcere, la
prima esperienza consociativa finì
infatti per agevolare l’andamento
sostanzialmente bipolare del sistema politico in direzione di una
compiuta democrazia dell’alternanza, consentendo ai socialdemocratici di acquisire lo status di
«legittima alternativa di governo»
e facilitando, contestualmente, lo
962
spostamento dei liberal-democratici al centro dello spazio politico.
Grazie al suo ruolo di partito pivot la Fdp fungerà nei trent’anni
successivi (1969-1998) da vero e
proprio «ago della bilancia» nel
processo di formazione dei governi.
D’altra parte, e questo è un aspetto peculiare del caso tedesco, il
bipolarismo in Germania avrebbe rivelato nel corso del tempo
un’inusuale elasticità, nel moLa Grosse Koalition
mento in cui
non è (solo) una
alle tre formascelta politica
zioni
storiche
del paese si sarebbero affiancati altri due attori
politici, i Verdi (Grüne) e il Partito del socialismo democratico
(Pds, oggi Die Linke), che erano
al contempo espressione di tendenze culturali e fenomeni sociali
di più ampie dimensioni, come
il post-materialismo e il post-comunismo, e che le contingenze
politiche suggerivano di includere invece che di escludere. Da
un bipartitismo costruito sui due
grandi partiti popolari, corretto
dalla presenza di un terzo partito
disposto a coalizzarsi a seconda
delle opportunità, si passò quindi a un sistema con cinque partiti stabilmente sopra la soglia del
5%. Su questo sfondo, l’approdo
alla seconda Grosse Koalition nel
novembre 2005 sembrerebbe designare un altro momento di passaggio nella storia politica tedesca, a partire dal quale, però, il
il Mulino 6/2009
La lezione della Grosse Koalition
sistema politico appare evolversi
in una direzione diversa da quella imboccata alla fine degli anni
Sessanta.
Le circostanze in cui è maturata
la seconda Grosse Koalition appaiono qualitativamente diverse
da quelle che avevano accompagnato la nascita della prima
esperienza consociativa alla metà
degli anni Sessanta. Lungi dal
rappresentare un’opzione politica
tra altre, l’accordo di governo tra i
cristiano-democratici e i socialdemocratici del novembre 2005 fu
un risultato per molti aspetti obbligato dopo le elezioni politiche
del settembre, dalle quali non era
uscita una maggioranza sufficiente né a formare una coalizione tra
i partiti che erano all’opposizione, né a confermare il governo
uscente. Da un punto di vista aritmetico, il venire meno della prospettiva dell’alternanza poneva il
sistema politico tedesco dinanzi a
quattro possibili scenari alternativi di governi di coalizione, tre
dei quali contemplavano, ai fini
della formazione e della tenuta
del governo, il coinvolgimento di
almeno uno dei partiti dell’altro
schieramento; laddove il quarto
prevedeva la costituzione di un
governo di coalizione di minoranza rosso-verde, eventualmente supportato dall’esterno dalla
Linke dei postcomunisti, che fino
a quel momento erano sempre rimasti al di fuori della politica di
coalizione a livello federale.
A poche ore dalla comunicazione
il Mulino 6/2009
dei dati ufficiali delle elezioni, le
esternazioni dei leader dei principali partiti politici contribuirono,
peraltro, ad alimentare il clima di
incertezza sulla futura composizione partitica del governo: se da
un lato Joschka Fischer (Grüne)
e Guido Westerwelle (Fdp) affermarono di non essere disposti
a formare delle coalizioni con i
partiti dello schieramento avversario, dall’altro lo «sconfitto-vincitore» Gerhard Schröder, con la
sua pretesa iniziale di non voler
rinunciare alla carica di cancelliere, suscitò forti perplessità sulla
effettiva praticabilità di una «grande coalizione». E, tuttavia, proprio
la decisione successiva del leader
della Spd di far cadere la «pregiudiziale Kanzler » aprì, nei fatti, la
strada ai negoziati di coalizione
tra la Cdu e la Spd.
Ma al di là delle scelte individuali delle singole personalità,
la Grosse Koalition si profilava
comunque come l’opzione più
praticabile. Le altre due opzioni
consociative «colorate» – la «coalizione semaforo» (rossa-giallaverde) e la «coalizione jamaica»
(nera-gialla-verde) – apparivano,
infatti, troppo instabili, mentre la
«coalizione di minoranza» (rossoverde con l’appoggio esterno dei
postcomunisti) addirittura irrealistica, considerata l’elevata distanza politico-programmatica sulle
issue economiche e sociali che
separava all’epoca la Spd dalla
sinistra antagonista. Né si poteva escludere l’eventualità che il
963
Gabriele D’Ottavio
Presidente federale Horst Köhler
(Cdu), dinanzi a un candidato
incapace di ottenere la maggioranza assoluta di voti alla Camera
bassa, potesse decidere – conformemente a quanto previsto dalla
Legge fondamentale – di decretare lo scioglimento del Bundestag
piuttosto che affidare l’incarico di
cancelliere a un candidato eletto
con la sola maggioranza relativa.
Tuttavia, a determinare la decisione finale della Spd di mettere da parte le proprie aspirazioni
sul cancellierato e di impegnarsi
in una Grosse Koalition a guida
cristiano-democratica sarebbe
stato un altro vincolo istituzionale: ovvero la consapevolezza che
i cristiano-democratici e i liberaldemocratici, disponendo di una
netta maggioranza alla Camera
dei Länder, avrebbero avuto gioco facile a ostacolare, attraverso
un uso strategico del potere di
veto del Bundesrat, l’attività legislativa del governo centrale.
Del resto, era questa una delle
ragioni principali che avevano
spinto il cancelliere Schröder, all’indomani della clamorosa sconfitta subita alle elezioni per il rinnovo dell’assemblea parlamentare
nel Nordreno-Vestfalia nel marzo
2005, a imboccare la strada delle
elezioni anticipate tramite l’uso
strategico del voto di fiducia (facendosi cioè deliberatamente rifiutare dalla propria maggioranza
parlamentare la fiducia che era
stata posta allo scopo di poter
chiedere, e poi effettivamente ot964
tenere, il ricorso anticipato alle
urne). Un elemento questo che
contribuisce a rendere ancora
più evidente la diversità dei due
contesti in cui la Grosse Koalition ha finora trovato concreta
applicazione. Nella fase culminata nella formazione della Grosse
Koalition guidata da Kiesinger e
poi proseguita fino all’ingresso al
Bundestag dei Verdi e della Pds,
le principali formazioni del paese
si trovarono ad approvare gran
parte della legislazione federale (anche se non la più rilevante) all’unanimità, mostrando una
notevole omogeneità di vedute.
La nascita della seconda Grosse
Koalition fu invece preceduta da
una fase segnata da una «coabitazione istituzionale inefficiente»,
con un’opposizione che non si
fece scrupoli a condizionare, e
in molti casi a bloccare, l’attività
del governo centrale attraverso
il potere di veto del Bundesrat,
contribuendo peraltro a snaturare
la funzione origenaria del Senato
federale come istituzione di raccordo tra il centro e la periferia.
D’altra parte, non solo la formazione ma anche la relativa tenuta
dei governi di Grosse Koalition
in Germania sembrerebbero in
buona parte dipendere da alcune
caratteristiche politico-istituzionali che sono proprie del sistema
politico tedesco.
In primo luogo, è possibile fare
affidamento su un raccordo governo-parlamento stabile e soprattutto su un sistema di goveril Mulino 6/2009
La lezione della Grosse Koalition
no (Kanzlerdemokratie) che
consente al capo dell’esecutivo di
esercitare realmente il suo potere
di indirizzo politico. A tale proposito, si ricordano i principali meccanismi di «razionalizzazione»
della forma di governo parlamentare cui si associa generalmente
anche l’idea del Cancellierato:
elezione parlamentare del Cancelliere, potere di revoca dei ministri, potere di scioglimento (tramite l’uso strategico del voto di
fiducia), sfiducia costruttiva.
In secondo luogo, è possibile
sperare in una corretta e in prospettiva duratura convivenza tra i
partiti che fanno parte della
La Grosse Koalition non
Grosse Koalition
(sempre) garantisce
alla luce delle
la stabilità politica
tante regole che
contribuiscono
a disciplinare i rapporti interni
alla coalizione. Tra queste rientrano sia le norme costituzionali che garantiscono l’autonomia
dei singoli ministri negli affari di
loro competenza (Ressortprinzip), da una parte, e il principio
della responsabilità collettiva del
governo (Kollegialitätsprinzip),
dall’altra, sia quelle consuetudini, consolidate nel corso di più
di quarant’anni, che definiscono
le modalità di distribuzione e di
assegnazione degli incarichi ministeriali, il numero degli incontri settimanali, così come la loro
composizione (Kabinettsrunden/
Koalitionsrunden). Lo stesso accordo di coalizione (Koalitionsil Mulino 6/2009
vertrag), una prassi che si riscontra regolarmente a partire
dal 1980, contribuisce, almeno in
parte, a disciplinare il comportamento dei membri del nuovo governo, dal momento che si tratta
di un accordo molto dettagliato,
di dominio pubblico e che è stato
approvato dai congressi dei due
partiti di governo.
A queste caratteristiche più propriamente istituzionali si aggiunga l’eredità di una cultura politica
consensuale che, come si è già
detto, ha saputo convivere con un
sistema politico strutturato su una
logica maggioritaria. È evidente
che laddove queste caratteristiche
non sono date la Grosse Koalition
è uno scenario impensabile, prima ancora che indesiderabile.
Un insegnamento si può, infine,
trarre anche dalle elezioni politiche del settembre 2009, alla vigilia delle quali nessuno poteva
realisticamente escludere la possibilità di una riconferma della
Grosse Koalition. Almeno per il
momento, l’eventualità ventilata da alcuni politologi e costituzionalisti allarmati che la Grosse
Koalition si trasformasse in una
necessità permanente, a discapito
della capacità dell’elettore di determinare con il suo voto la futura coalizione di governo e della
stessa stabilità del sistema politico nel suo complesso, non si è
verificata.
Non per questo, però, l’assunto
sul quale si fondavano tali preoc965
Gabriele D’Ottavio
cupazioni è stato smentito: ovvero, l’idea che in un sistema con
cinque partiti sopra la soglia del
5% e con una legge elettorale che
non aiuta la formazione di maggioranze politicamente omogenee
e coese, la Grosse Koalition, invece di risolvere, avrebbe finito per
accentuare i problemi che avevano accompagnato e in parte determinato la sua nascita: la frammentazione del sistema partitico
e la crescente disaffezione degli
elettori tedeschi nei confronti della politica. Da questo punto di vista, l’esito delle ultime elezioni è
difficilmente equivocabile: i due
grandi partiti continuano, sia pure
in maniera significativamente diversa, a perdere voti a vantaggio
dei partiti minori, mentre cresce
il partito dell’astensione. Tali dati,
che confermano due tendenze di
lungo periodo accentuatesi nel
periodo post-unitario, sono strettamente correlati, dal momento
che l’astensionismo penalizza
generalmente i partiti più grandi.
Ma, almeno in parte, i risultati ottenuti nel settembre scorso dalla
Fdp (14,6%), dalla Linke (11,9%)
e dai Grüne (10,7%) – rispettivamente il miglior risultato di sempre – e il modo significativamente
diverso con cui i due partiti dell’uscente coalizione di governo
sono stati sanzionati sembrerebbero esprimere un diffuso e manifesto malcontento degli elettori
nei confronti della formula consociativa in quanto tale. Né si può
dire con certezza che nel caso di
966
una riedizione della Grosse Koalition la Cdu/Csu e la Spd sarebbero riuscite, attraverso la via delle
riforme istituzionali, a spezzare
un circolo vizioso che avrebbe
potuto condannare i due grandi
partiti a una coabitazione permanente e sempre più penalizzante
in termini elettorali.
Tale consapevolezza era, infatti,
già presente nel 2005; tuttavia non
è approdata a una riforma organica del sistema politico tedesco,
nonostante in questo senso sembrasse dirigersi l’importante riduzione delle disposizioni soggette
all’approvazione del Bundesrat.
Più in generale, la politica di riforme che era stata annunciata
dalla Grosse Koalition anche in
altri settori, dal mercato del lavoro alla previdenza, è stata al di
sotto delle aspettative, soprattutto se si considera che per buona parte della legislatura (fino al
febbraio 2009) il governo guidato
da Angela Merkel poteva contare
su una maggioranza politica anche al Bundesrat. Questo successo incompiuto o, meglio, questo
parziale fallimento sembrerebbe,
d’altra parte, essere dipeso meno
dai tradizionali vincoli istituzionali e più dai difficili equilibri interni ai partiti della maggioranza.
Anche qui la configurazione della
Grosse Koalition non ha certamente agevolato i due grandi partiti
nel tentativo di risolvere la tensione tra le rispettive responsabilità
di governo e la necessità di contrastare l’emorragia di consensi.
il Mulino 6/2009
La lezione della Grosse Koalition
Le performance negative ottenute in alcune delle elezioni per
il rinnovo dei governi regionali
svoltesi durante la legislatura, e
da ultimo alle elezioni europee,
hanno spinto la Cdu e la Spd ad
affermare, e con maggiore forza
man mano che si avvicinava la
scadenza elettorale, le rispettive
linee di distinzione, a discapito
della coerenza della loro proposta di governo. Alla fine a pagare il prezzo più alto della coabitazione è stata la Spd (–11,3%
rispetto al 2005), junior partner
della coalizione, la quale si è trovata stretta tra due esigenze opposte, ovvero tra il tentativo di
portare avanti l’ammodernamento programmatico e culturale avviato con Schröder e il desiderio
di arrestare l’erosione di consensi
a sinistra a vantaggio dei postcomunisti della Linke. Nel caso della Cdu/Csu i danni provocati dal
matrimonio obbligato con la Spd
sono stati, invece, assai più limitati (–1,4% rispetto al 2005), e soprattutto compensati dalla grande
popolarità della cancelliera Angela Merkel, che in questi quattro
anni è riuscita a esprimere una
leadership autorevole e credibile
anche grazie alle importanti risorse politico-istituzionali di cui
dispone il capo dell’esecutivo in
Germania.
Sulla base di queste considerazioni, non è difficile immaginare
che in Italia, con un sistema dei
partiti e un sistema di governo
assai più fragili di quelli vigenti
in Germania e in assenza di una
cultura politica consensuale, i
problemi strutturali e le incertezze politiche legate ai fenomeni di
coabitazione tra partiti appartenenti a schieramenti normalmente contrapposti si ripresenterebbero con ben altra intensità.
Gabriele D’Ottavio è dottore di ricerca in Storia dell’Età contemporanea nei secoli XIX e XX e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia dell’Università di Bologna.
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