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(PDF) La lezione della Grosse Koalition (il Mulino nr. 6/2009)
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La lezione della Grosse Koalition (il Mulino nr. 6/2009)

2009

Gabriele D’Ottavio La lezione della Grosse Koalition In Italia il sistema politico tedesco viene spesso evocato come un possibile modello da emulare, mentre, secondo alcuni osservatori, la Germania pluripartitica si sarebbe «italianizzata». La vicenda della Grosse Koalition è sicuramente istruttiva per il dibattito di casa nostra; ma lo è per ragioni opposte a quelle di coloro che vorrebbero trasferire acriticamente la formula consociativa tedesca in Italia. La «grande coalizione» è uno scenario che può essere concepito in Germania, ma non ovunque (e tanto meno in Italia), poiché è legata a un particolare assetto istituzionale e a una cultura politica consensuale consolidatasi nel corso di oltre quarant’anni. Ai problemi di adattabilità e praticabilità della Grosse Koalition in contesti dove tali caratteristiche non sono date, si andrebbero ad aggiungere le incognite e le incertezze politiche connesse ai fenomeni di coabitazione tra partiti appartenenti a schieramenti opposti. Anche da questo punto di vista il caso tedesco è istruttivo. Le due esperienze consociative, quella 960 del periodo 1966-1969 e quella conclusasi di recente (2005-2009), sembrerebbero infatti designare due momenti di passaggio nella storia politica tedesca, a partire dai quali il sistema politico appare evolversi in direzioni diverse, se non opposte. La prima Grosse Koalition fu un importante catalizzatore della transizione tedesca verso una compiuta «democrazia dell’alternanza», mentre la seconda sembrerebbe aver accentuato i problemi che avevano accompagnato e in parte determinato la sua nascita: la frammentazione del sistema partitico e la crescente disaffezione degli elettori tedeschi nei confronti della politica. La coabitazione al governo tra cristiano-democratici e socialdemocratici iniziava a profilarsi come un’opzione politica praticabile all’inizio degli anni Sessanta, dopo che la Cdu/Csu aveva perso la maggioranza assoluta dei seggi e la Spd avviato quel processo di riforma interno che l’avrebbe portata a trasformarsi da partito classista di orientamento marxista in un «partito di centro-sinistra ideologicamente moderato». La proil Mulino 6/2009 La lezione della Grosse Koalition spettiva di una «grande coalizione» divenne, quindi, concreta nel 1966, allorché i cristiano-democratici e i liberal-democratici non riuscirono a risolvere le loro divergenze sulla strategia da adottare per coprire il deficit di bilancio. Quest’ultima circostanza ebbe un effetto immediato sulla nascita della prima Grosse Koalition, aprendo di fatto la strada ai negoziati tra la Cdu/Csu e la Spd. Sarebbe riduttivo però, se non addirittura fuorviante, ricondurre la nascita della prima Grosse Koalition a una mera scelta politica. Essa s’inscrive piuttosto nell’ambito di una più profonda trasformazione del sistema politico tedesco, segnata dall’affermazione di una cultura politica consensuale e dalla strutturazione del sistema partitico su una logica maggioritaria di tipo bipolare. Da un sistema «multipartitico moderatamente polarizzato», con dieci partiti al Bundestag e due dei quali «antisistema», emerLa Grosse Koalition, figlia so dalle prime di una cultura politica elezioni del consensuale e madrina 1949, si passò in poco meno di della «democrazia un decennio a dell’alternanza» un sistema con soli tre partiti rilevanti, con due sulla soglia del 40%, definito anche «a due partiti e mezzo». Storicamente, il consolidamento di una cultura politica consensuale e l’evoluzione verso un sistema partitico competitivo il Mulino 6/2009 si presentano come due fenomeni strettamente interdipendenti tra loro. In particolare, la presa di distanza dalla tradizione marxista da parte della Spd e la sua convergenza tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta su posizioni moderate favorirono l’ulteriore concentrazione del voto a vantaggio della stessa socialdemocrazia tedesca, dopo che nel corso degli anni Cinquanta tale processo aveva visto principalmente l’Unione cristiano-democratica riuscire ad assorbire al proprio interno gran parte dell’elettorato delle forze politiche minori di centro e di centrodestra. Viceversa, la progressiva strutturazione del sistema partitico su due grandi partiti agevolava una crescente moderazione da parte dei principali attori politici, contribuendo alla diluizione delle differenze ideologiche tra i due poli. Delle tante decisioni chiave che concorsero a questa evoluzione del sistema politico tedesco si possono ricordare: la decisione di calcolare la clausola di sbarramento del 5% su scala nazionale e non più all’interno dei singoli Länder (1953); la messa fuori legge dei partiti nazista (1952) e comunista (1956); la svolta di Bad Godesberg della Spd (1959) e il successivo discorso di Herbert Wehner sulla politica estera tedesca (1960), con cui i socialdemocratici riconobbero il primato della scelta occidentale che, per tutto il decennio precedente, 961 Gabriele D’Ottavio era stata sostenuta con determinazione dall’avversato cancelliere Adenauer; infine, la decisione dei cristiano-democratici, per nulla scontata, di appianare le divergenze programmatiche con la Spd e di dare vita a un governo di «grande coalizione» per contrastare insieme la prima recessione economica del secondo dopoguerra attraverso la messa a punto di un ambizioso piano di riforme (1966). Non meno significative delle dinamiche che resero possibile la prima Grosse Koalition tra la Cdu/ Csu e la Spd sono quelle che ne caratterizzarono la fine: la radicalizzazione della protesta giovanile nel ’68, la crescita dell’opposizione extraparlamentare, la ricomparsa di formazioni di estrema destra e il terrorismo della banda di Andreas Baader. Tali fenomeni furono riassorbiti, sia pure a fatica, grazie alla stabilità dell’assetto istituzionale, favorita da un diffuso «patriottismo costituzionale» (Verfassungspatriottismus), alla tenuta delle forze politiche principali e al ripristino di una corretta logica bipolare. Anziché distorcere, la prima esperienza consociativa finì infatti per agevolare l’andamento sostanzialmente bipolare del sistema politico in direzione di una compiuta democrazia dell’alternanza, consentendo ai socialdemocratici di acquisire lo status di «legittima alternativa di governo» e facilitando, contestualmente, lo 962 spostamento dei liberal-democratici al centro dello spazio politico. Grazie al suo ruolo di partito pivot la Fdp fungerà nei trent’anni successivi (1969-1998) da vero e proprio «ago della bilancia» nel processo di formazione dei governi. D’altra parte, e questo è un aspetto peculiare del caso tedesco, il bipolarismo in Germania avrebbe rivelato nel corso del tempo un’inusuale elasticità, nel moLa Grosse Koalition mento in cui non è (solo) una alle tre formascelta politica zioni storiche del paese si sarebbero affiancati altri due attori politici, i Verdi (Grüne) e il Partito del socialismo democratico (Pds, oggi Die Linke), che erano al contempo espressione di tendenze culturali e fenomeni sociali di più ampie dimensioni, come il post-materialismo e il post-comunismo, e che le contingenze politiche suggerivano di includere invece che di escludere. Da un bipartitismo costruito sui due grandi partiti popolari, corretto dalla presenza di un terzo partito disposto a coalizzarsi a seconda delle opportunità, si passò quindi a un sistema con cinque partiti stabilmente sopra la soglia del 5%. Su questo sfondo, l’approdo alla seconda Grosse Koalition nel novembre 2005 sembrerebbe designare un altro momento di passaggio nella storia politica tedesca, a partire dal quale, però, il il Mulino 6/2009 La lezione della Grosse Koalition sistema politico appare evolversi in una direzione diversa da quella imboccata alla fine degli anni Sessanta. Le circostanze in cui è maturata la seconda Grosse Koalition appaiono qualitativamente diverse da quelle che avevano accompagnato la nascita della prima esperienza consociativa alla metà degli anni Sessanta. Lungi dal rappresentare un’opzione politica tra altre, l’accordo di governo tra i cristiano-democratici e i socialdemocratici del novembre 2005 fu un risultato per molti aspetti obbligato dopo le elezioni politiche del settembre, dalle quali non era uscita una maggioranza sufficiente né a formare una coalizione tra i partiti che erano all’opposizione, né a confermare il governo uscente. Da un punto di vista aritmetico, il venire meno della prospettiva dell’alternanza poneva il sistema politico tedesco dinanzi a quattro possibili scenari alternativi di governi di coalizione, tre dei quali contemplavano, ai fini della formazione e della tenuta del governo, il coinvolgimento di almeno uno dei partiti dell’altro schieramento; laddove il quarto prevedeva la costituzione di un governo di coalizione di minoranza rosso-verde, eventualmente supportato dall’esterno dalla Linke dei postcomunisti, che fino a quel momento erano sempre rimasti al di fuori della politica di coalizione a livello federale. A poche ore dalla comunicazione il Mulino 6/2009 dei dati ufficiali delle elezioni, le esternazioni dei leader dei principali partiti politici contribuirono, peraltro, ad alimentare il clima di incertezza sulla futura composizione partitica del governo: se da un lato Joschka Fischer (Grüne) e Guido Westerwelle (Fdp) affermarono di non essere disposti a formare delle coalizioni con i partiti dello schieramento avversario, dall’altro lo «sconfitto-vincitore» Gerhard Schröder, con la sua pretesa iniziale di non voler rinunciare alla carica di cancelliere, suscitò forti perplessità sulla effettiva praticabilità di una «grande coalizione». E, tuttavia, proprio la decisione successiva del leader della Spd di far cadere la «pregiudiziale Kanzler » aprì, nei fatti, la strada ai negoziati di coalizione tra la Cdu e la Spd. Ma al di là delle scelte individuali delle singole personalità, la Grosse Koalition si profilava comunque come l’opzione più praticabile. Le altre due opzioni consociative «colorate» – la «coalizione semaforo» (rossa-giallaverde) e la «coalizione jamaica» (nera-gialla-verde) – apparivano, infatti, troppo instabili, mentre la «coalizione di minoranza» (rossoverde con l’appoggio esterno dei postcomunisti) addirittura irrealistica, considerata l’elevata distanza politico-programmatica sulle issue economiche e sociali che separava all’epoca la Spd dalla sinistra antagonista. Né si poteva escludere l’eventualità che il 963 Gabriele D’Ottavio Presidente federale Horst Köhler (Cdu), dinanzi a un candidato incapace di ottenere la maggioranza assoluta di voti alla Camera bassa, potesse decidere – conformemente a quanto previsto dalla Legge fondamentale – di decretare lo scioglimento del Bundestag piuttosto che affidare l’incarico di cancelliere a un candidato eletto con la sola maggioranza relativa. Tuttavia, a determinare la decisione finale della Spd di mettere da parte le proprie aspirazioni sul cancellierato e di impegnarsi in una Grosse Koalition a guida cristiano-democratica sarebbe stato un altro vincolo istituzionale: ovvero la consapevolezza che i cristiano-democratici e i liberaldemocratici, disponendo di una netta maggioranza alla Camera dei Länder, avrebbero avuto gioco facile a ostacolare, attraverso un uso strategico del potere di veto del Bundesrat, l’attività legislativa del governo centrale. Del resto, era questa una delle ragioni principali che avevano spinto il cancelliere Schröder, all’indomani della clamorosa sconfitta subita alle elezioni per il rinnovo dell’assemblea parlamentare nel Nordreno-Vestfalia nel marzo 2005, a imboccare la strada delle elezioni anticipate tramite l’uso strategico del voto di fiducia (facendosi cioè deliberatamente rifiutare dalla propria maggioranza parlamentare la fiducia che era stata posta allo scopo di poter chiedere, e poi effettivamente ot964 tenere, il ricorso anticipato alle urne). Un elemento questo che contribuisce a rendere ancora più evidente la diversità dei due contesti in cui la Grosse Koalition ha finora trovato concreta applicazione. Nella fase culminata nella formazione della Grosse Koalition guidata da Kiesinger e poi proseguita fino all’ingresso al Bundestag dei Verdi e della Pds, le principali formazioni del paese si trovarono ad approvare gran parte della legislazione federale (anche se non la più rilevante) all’unanimità, mostrando una notevole omogeneità di vedute. La nascita della seconda Grosse Koalition fu invece preceduta da una fase segnata da una «coabitazione istituzionale inefficiente», con un’opposizione che non si fece scrupoli a condizionare, e in molti casi a bloccare, l’attività del governo centrale attraverso il potere di veto del Bundesrat, contribuendo peraltro a snaturare la funzione origenaria del Senato federale come istituzione di raccordo tra il centro e la periferia. D’altra parte, non solo la formazione ma anche la relativa tenuta dei governi di Grosse Koalition in Germania sembrerebbero in buona parte dipendere da alcune caratteristiche politico-istituzionali che sono proprie del sistema politico tedesco. In primo luogo, è possibile fare affidamento su un raccordo governo-parlamento stabile e soprattutto su un sistema di goveril Mulino 6/2009 La lezione della Grosse Koalition no (Kanzlerdemokratie) che consente al capo dell’esecutivo di esercitare realmente il suo potere di indirizzo politico. A tale proposito, si ricordano i principali meccanismi di «razionalizzazione» della forma di governo parlamentare cui si associa generalmente anche l’idea del Cancellierato: elezione parlamentare del Cancelliere, potere di revoca dei ministri, potere di scioglimento (tramite l’uso strategico del voto di fiducia), sfiducia costruttiva. In secondo luogo, è possibile sperare in una corretta e in prospettiva duratura convivenza tra i partiti che fanno parte della La Grosse Koalition non Grosse Koalition (sempre) garantisce alla luce delle la stabilità politica tante regole che contribuiscono a disciplinare i rapporti interni alla coalizione. Tra queste rientrano sia le norme costituzionali che garantiscono l’autonomia dei singoli ministri negli affari di loro competenza (Ressortprinzip), da una parte, e il principio della responsabilità collettiva del governo (Kollegialitätsprinzip), dall’altra, sia quelle consuetudini, consolidate nel corso di più di quarant’anni, che definiscono le modalità di distribuzione e di assegnazione degli incarichi ministeriali, il numero degli incontri settimanali, così come la loro composizione (Kabinettsrunden/ Koalitionsrunden). Lo stesso accordo di coalizione (Koalitionsil Mulino 6/2009 vertrag), una prassi che si riscontra regolarmente a partire dal 1980, contribuisce, almeno in parte, a disciplinare il comportamento dei membri del nuovo governo, dal momento che si tratta di un accordo molto dettagliato, di dominio pubblico e che è stato approvato dai congressi dei due partiti di governo. A queste caratteristiche più propriamente istituzionali si aggiunga l’eredità di una cultura politica consensuale che, come si è già detto, ha saputo convivere con un sistema politico strutturato su una logica maggioritaria. È evidente che laddove queste caratteristiche non sono date la Grosse Koalition è uno scenario impensabile, prima ancora che indesiderabile. Un insegnamento si può, infine, trarre anche dalle elezioni politiche del settembre 2009, alla vigilia delle quali nessuno poteva realisticamente escludere la possibilità di una riconferma della Grosse Koalition. Almeno per il momento, l’eventualità ventilata da alcuni politologi e costituzionalisti allarmati che la Grosse Koalition si trasformasse in una necessità permanente, a discapito della capacità dell’elettore di determinare con il suo voto la futura coalizione di governo e della stessa stabilità del sistema politico nel suo complesso, non si è verificata. Non per questo, però, l’assunto sul quale si fondavano tali preoc965 Gabriele D’Ottavio cupazioni è stato smentito: ovvero, l’idea che in un sistema con cinque partiti sopra la soglia del 5% e con una legge elettorale che non aiuta la formazione di maggioranze politicamente omogenee e coese, la Grosse Koalition, invece di risolvere, avrebbe finito per accentuare i problemi che avevano accompagnato e in parte determinato la sua nascita: la frammentazione del sistema partitico e la crescente disaffezione degli elettori tedeschi nei confronti della politica. Da questo punto di vista, l’esito delle ultime elezioni è difficilmente equivocabile: i due grandi partiti continuano, sia pure in maniera significativamente diversa, a perdere voti a vantaggio dei partiti minori, mentre cresce il partito dell’astensione. Tali dati, che confermano due tendenze di lungo periodo accentuatesi nel periodo post-unitario, sono strettamente correlati, dal momento che l’astensionismo penalizza generalmente i partiti più grandi. Ma, almeno in parte, i risultati ottenuti nel settembre scorso dalla Fdp (14,6%), dalla Linke (11,9%) e dai Grüne (10,7%) – rispettivamente il miglior risultato di sempre – e il modo significativamente diverso con cui i due partiti dell’uscente coalizione di governo sono stati sanzionati sembrerebbero esprimere un diffuso e manifesto malcontento degli elettori nei confronti della formula consociativa in quanto tale. Né si può dire con certezza che nel caso di 966 una riedizione della Grosse Koalition la Cdu/Csu e la Spd sarebbero riuscite, attraverso la via delle riforme istituzionali, a spezzare un circolo vizioso che avrebbe potuto condannare i due grandi partiti a una coabitazione permanente e sempre più penalizzante in termini elettorali. Tale consapevolezza era, infatti, già presente nel 2005; tuttavia non è approdata a una riforma organica del sistema politico tedesco, nonostante in questo senso sembrasse dirigersi l’importante riduzione delle disposizioni soggette all’approvazione del Bundesrat. Più in generale, la politica di riforme che era stata annunciata dalla Grosse Koalition anche in altri settori, dal mercato del lavoro alla previdenza, è stata al di sotto delle aspettative, soprattutto se si considera che per buona parte della legislatura (fino al febbraio 2009) il governo guidato da Angela Merkel poteva contare su una maggioranza politica anche al Bundesrat. Questo successo incompiuto o, meglio, questo parziale fallimento sembrerebbe, d’altra parte, essere dipeso meno dai tradizionali vincoli istituzionali e più dai difficili equilibri interni ai partiti della maggioranza. Anche qui la configurazione della Grosse Koalition non ha certamente agevolato i due grandi partiti nel tentativo di risolvere la tensione tra le rispettive responsabilità di governo e la necessità di contrastare l’emorragia di consensi. il Mulino 6/2009 La lezione della Grosse Koalition Le performance negative ottenute in alcune delle elezioni per il rinnovo dei governi regionali svoltesi durante la legislatura, e da ultimo alle elezioni europee, hanno spinto la Cdu e la Spd ad affermare, e con maggiore forza man mano che si avvicinava la scadenza elettorale, le rispettive linee di distinzione, a discapito della coerenza della loro proposta di governo. Alla fine a pagare il prezzo più alto della coabitazione è stata la Spd (–11,3% rispetto al 2005), junior partner della coalizione, la quale si è trovata stretta tra due esigenze opposte, ovvero tra il tentativo di portare avanti l’ammodernamento programmatico e culturale avviato con Schröder e il desiderio di arrestare l’erosione di consensi a sinistra a vantaggio dei postcomunisti della Linke. Nel caso della Cdu/Csu i danni provocati dal matrimonio obbligato con la Spd sono stati, invece, assai più limitati (–1,4% rispetto al 2005), e soprattutto compensati dalla grande popolarità della cancelliera Angela Merkel, che in questi quattro anni è riuscita a esprimere una leadership autorevole e credibile anche grazie alle importanti risorse politico-istituzionali di cui dispone il capo dell’esecutivo in Germania. Sulla base di queste considerazioni, non è difficile immaginare che in Italia, con un sistema dei partiti e un sistema di governo assai più fragili di quelli vigenti in Germania e in assenza di una cultura politica consensuale, i problemi strutturali e le incertezze politiche legate ai fenomeni di coabitazione tra partiti appartenenti a schieramenti normalmente contrapposti si ripresenterebbero con ben altra intensità. Gabriele D’Ottavio è dottore di ricerca in Storia dell’Età contemporanea nei secoli XIX e XX e assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Politica, Istituzioni e Storia dell’Università di Bologna. il Mulino 6/2009 967








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