Istituto Teologico di Assisi
aggregato alla Facoltà di Sacra Teologia
della Pontificia Università Lateranense
Anno accademico 2016-2017
Elaborato per il seminario
“Conoscere l’Islam: un dialogo difficile e necessario”
LA FAMIGLIA NELL’ISLAM
Dal fidanzamento al matrimonio, il nucleo familiare,
sessualità, poligamia e divorzio
Candidato: Michele MARCONI (ITA1745)
Docente: Prof. Mariano BORGOGNONI
Assisi 2017
1
INDICE
INTRODUZIONE........................................................................................................................ 2
CAPITOLO PRIMO
LA FONDAZIONE DELLA FAMIGLIA
IL MATRIMONIO ...................................................................................................................... 3
I. IL FIDANZAMENTO ....................................................................................................... 4
II. LE NOZZE .................................................................................................................... 5
III. LA DOTE .................................................................................................................... 6
IV. INFEDELTÀ CONIUGALE ........................................................................................... 7
CAPITOLO SECONDO
LA ROTTURA DELLA FAMIGLIA
IL DIVORZIO ............................................................................................................................ 8
CAPITOLO TERZO
IL NUCLEO FAMILIARE
LA FAMIGLIA E I SUOI COMPONENTI ................................................................................... 10
I. IL PADRE E LA MADRE ............................................................................................... 10
II. FIGLI E PIETÀ FILIALE ............................................................................................. 11
III. FAMIGLIA E “CAUSA DI DIO” ................................................................................. 12
CAPITOLO QUARTO
LA FAMIGLIA GENERA
UNA NUOVA VITA .................................................................................................................. 14
CAPITOLO QUINTO
LA FAMIGLIA ALLARGATA
LA POLIGAMIA ...................................................................................................................... 18
BIBLIOGRAFIA ....................................................................................................................... 22
2
INTRODUZIONE
Addentrarci nel campo di studio delle componenti sociali e religiose del’Islam
senza avere una accurata preparazione a riguardo è sicuramente difficile e pericoloso,
perché si rischia di cadere in affermazioni errate che possono mettere in cattiva luce un
popolo e una religione assolutamente meritevole di rispetto. In questo lavoro di
approfondimento ci affidiamo a degli esperti, primo tra tutti il professor Bartolomeo
Pirone1, noto islamista, conoscitore della lingua, cultura, società e religione islamica,
cha ha trattato approfonditamente il tema della famiglia e del matrimonio islamico nel
testo che prenderemo come riferimento per la nostra esposizione2. Il nostro lavoro sarà
mirato ad evidenziare in maniera sintetica alcuni dei temi che riguardano la famiglia
islamica: fidanzamento, contratto familiare, rapporti sessuali, nascita ed educazione dei
figli, contraccezione, aborto, divorzio e poligamia.
1
Bartolomeo Pirone ha svolto attività didattica presso la Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del
Mediterraneo dell’Università di Napoli “L’Orientale” come professore ordinario di Lingua e Letteratura
araba; professore invitato presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, si interessa di manoscritti
arabo-cristiani.
2
B. PIRONE, Sotto il velo dell’islam. Famiglia, educazione, sessualità: una guida per comprendere,
Milano: Edizioni Terra Santa, 2014.
3
CAPITOLO PRIMO
LA FONDAZIONE DELLA FAMIGLIA
IL MATRIMONIO
Muhammad e le diverse scuole giuridiche ricorrono solitamente a due termini
per significare l’ambito religioso e sociale del matrimonio: con il termine zawāj si vuole
esprimere l’intenzione e la determinazione di due individui a formare una coppia per il
tramite del dono reciproco della propria individualità al fine di dar luogo a una realtà di
intenti e di atti; con il termine nikāḥ, invece, si indica il matrimonio come segno
identificativo della coppia nel suo momento di congiunzione carnale vero e proprio.
Ci sono molte interpretazioni che danno più definizioni del matrimonio islamico,
ma la più consona potrebbe essere quella data dal Dizionario Enciclopedico Italiano che
recita: «Il matrimonio musulmano è un contratto civile raccomandato dalla religione,
che aborre il celibato e il libero amore; non implica riti religiosi». Esso è innanzitutto un
impegno e un contratto, e di conseguenza, come ogni altro vincolo giuridico, è fondato
sul reciproco accordo dei contraenti, sull’esplicita formulazione di una domanda e di
un’accettazione, sulla presenza di testimoni e sul consenso dei genitori o di altre persone
in qualità di tutori, totalmente svincolato, quindi, da qualsiasi sfera sacramentale e
4
rituale, cosa invece molto facilmente associabile in ambiente occidentale, soprattutto per
l’influenza culturale e della religione cattolica.
I tre obiettivi principali che il matrimonio è chiamato a realizzare sono: la
procreazione di prole nel numero che a Dio piacerà concedere e che egli ha già
decretato; l’emissione dell’accumulo del liquido seminale che, se trattenuto
nell’organismo, potrebbe recarvi danno; la soddisfazione del desiderio sessuale e
godimento di ciò che di buono Dio ha assegnato alla creazione.
I. IL FIDANZAMENTO
Molto importante è la fase preparatoria al matrimonio vero e proprio, il
fidanzamento, il khiṭbah: si tratta di un atto con il quale un uomo (o chi per lui) chiede
formalmente di sposare una donna. Oggigiorno contempla una certa frequentazione tra i
giovani che si preparano alle nozze, così da potersi conoscere, anche se non sempre è
così, soprattutto in alcuni paesi dove i matrimoni vengono programmati e imposti. Tra i
comportamenti da tenere durante il fidanzamento ci sono alcuni comportamenti leciti e
altri no. Tra i leciti la facoltà dell’uomo di guardare in faccia la promessa sposa, di
osservarla per capire se potrà soddisfarla una volta sposati, anche dal punto di vista
sessuale (ed è proprio per questo che l’uomo può delegare alla madre o alla sorella il
compito di osservare il corpo della promessa sposa). Tra i comportamenti illeciti invece,
ad esempio, è vietato l’appartarsi e l’isolarsi in un angolo della casa o della strada,
perché la prossimità dei corpi può essere occasione di esposizione agli assalti del
maligno, per questo bisogna custodirsi ed evitare esposizioni di questo tipo.
5
Una volta maturata la decisione di chiedere la donna in sposa è necessario altresì
il consenso di costei. Questo aspetto è estremamente importante, anche se in alcuni
paesi la donna è costretta a sposarsi contro la sua volontà e quindi senza il suo consenso.
Prima ancora che la cerimonia del fidanzamento abbia inizio i membri delle rispettive
famiglie si riuniscono per leggere la prima sura del Corano, la Fātiḥah3, perché le
benedizioni in essa racchiuse siano di buon auspicio e concorrano alla realizzazione del
vero e proprio contratto matrimoniale. Inoltre nella cerimonia di fidanzamento è sempre
più utilizzata la consegna degli anelli, non come adeguamento alla cultura occidentale,
soprattutto cristiana, ma in linea col corano, in quanto il Profeta Maometto consigliò a
un giovane di donare in dote alla fidanzata un anello di ferro. Sia nell’uomo che nella
donna si richiedono piena capacità di scelta e di determinazione, accompagnate da
quella maturità fisica ritenuta indispensabile per la consumazione del rapporto sessuale.
La valutazione di questo aspetto oscilla da ambiente ad ambiente e a seconda delle
scuole giuridiche.
II. LE NOZZE
La cerimonia delle nozze è un evento di notevole importanza per la comunità
musulmana; scandisce la creazione di un nuovo nucleo familiare e la premessa
essenziale per concorrere formalmente al consolidamento e alla perpetuazione della
comunità musulmana. Si configura come l’inizio e il proseguimento di determinati
3
“Nel nome di Dio, clemente misericordioso! Sia lode a Dio, il Signore del Creato, il Clemente, il
Misericordioso, il Padrone del dì del giudizio! Te noi adoriamo, Te invochiamo in aiuto: guidaci per la
retta via, la via di coloro ai quali hai effuso la Tua grazia, la via di coloro coi quali non sei adirato, la via
di quelli che non vagolano nell’errore” (Sura I, 1-7).
6
approcci sessuali finalizzati non solo al godimento fisico ma innanzitutto alla
procreazione. Il corpo della donna deve essere per ciò preparato e predisposto, unto e
profumato, campo pronto al solco e alla seminagione. Di norma come da tradizione il
novello sposo offre inizialmente una bevanda fresca o una pietanza, in segno di
delicatezza e cortesia; segue la preghiera di ringraziamento e benedizione a Dio da parte
dell’uomo sulla donna e la preghiera di coppia (rak’ah, caratterizzata dal movimento del
corpo, da ritto a inchinato, fino al prostrarsi a terra); infine c’è il rapporto sessuale,
preceduto da una preghiera a Dio, atto di unione amorevole, dove gli sposi si trattano
con amorevolezza e delicatezza, amplesso eseguito solo nella vagina al termine del
quale si fa un’abluzione che ripristini lo stato di purità iniziale. Tra le osservanze da
rispettare nel rapporto sessuale è considerato lecito il coitus interruptus come
contraccettivo naturale ed è richiesto il raggiungimento del godimento sessuale sia
dall’uomo che dalla donna, quindi entrambi devono raggiungere l’orgasmo. A
compimento della stipula del patto nuziale si raccomanda allo sposo di allestire una
walīmah, un banchetto nuziale, che non deve durare più di tre giorni, deve essere
accessibile a tutti, anche poveri, e deve prevedere il servizio di un montone tra le varie
pietanze. Gli invitati che partecipano devono invocare la benedizione sugli sposi.
III. LA DOTE
Un altro elemento importante del matrimonio islamico è la dote, un simbolo di
onore e rispetto dell’uomo nei confronti della donna. Non è mai stata fissata una somma
precisa e può essere elargita sia prima che dopo il matrimonio, e diventa di proprietà
7
esclusiva della donna nel momento in cui la riceve, a maggio ragione dopo la
consumazione del matrimonio. È un diritto che viene riconosciuto e assicurato alla
donna, rappresenta una condizione ineludibile per la validità di ogni matrimonio.
IV. INFEDELTÀ CONIUGALE
Conseguente al matrimonio da affrontare è il tema dell’infedeltà coniugale, che
viene definito con il termine “turpitudine”, fāḥishah, e ha in tale contesto un significato
analogo, sotto l’aspetto di relazione sessuale e di disordine morale, alla relazione
omosessuale. Esprime di conseguenza una devianza rispetto all’ordine naturale che
configura il disciplinato esercizio del sesso nei limiti definiti dalla Legge rivelata.
L’adulterio è considerato, assieme alla sodomia, il vizio turpe per eccellenza. Ogni atto
di adulterio attenta all’integrità della comunità, la sminuisce e la mortifica, seminando
disordine e turbamento nelle coscienze. L’accusa deve essere provata dietro manifesta
testimonianza alla luce di prove positive e concrete. La sharī’ah punisce sia l’adulterio
dell’uomo che della donna, ma non più con lapidazioni, frustate pubbliche o tagli di
mani o piedi, questi sono eventi che sono quasi del tutto scomparsi, ancora vivi in
particolari ambienti radicalisti e fondamentalisti; oggi si risolve tutto in famiglia.
8
CAPITOLO SECONDO
LA ROTTURA DELLA FAMIGLIA
IL DIVORZIO
Il Corano non favorisce il libertinaggio sessuale. Non codifica passivamente e
con “licenziosità” la pratica del divorzio, anche se lo permette; sembra che nemmeno lo
consigli, se non in casi particolari. La tematica del divorzio, nel Corano, si svolge in una
similarità di contesto con l’atteggiamento assunto dal Deuteronomio e denunciato più
tardi dal Cristo come remissività da parte di Dio verso un popolo poco propenso a
un’elevata esperienza di vita religiosa.
Il valore teologico-morale dell’indissolubilità del matrimonio non trova motivo
di esistere in una teologia del matrimonio che contempla realtà quali la poligamia e il
concubinato. Tra le cause che possono provocare un divorzio è contemplata l’apostasia4,
comprovata dalla testimonianza di uno dei coniugi, la sterilità, l’infedeltà coniugale,
l’incompatibilità di carattere, la debolezza nella fede, la bassa educazione,
l’allontanamento dei cuori, difetti e malattie, scatti di collera, incapacità di soddisfare i
4
La giurisprudenza islamica considera l’apostata colui che di sua spontanea volontà nega l’assoluta
unità e unicità di Dio associandogli una falsa divinità; ricorre a falsi profeti o disconosce i profeti
presentati dal Corano; bestemmia; nega la realtà del mondo che verrà con la resurrezione; oltraggia la
ummah del Profeta o disdegna le direttive del Corano e della sunnah.
9
bisogni dell’altro, impotenza sessuale del partner. Il divorzio è dunque un mezzo per
rendere fruibile il bene per il quale ciascun individuo è stato creato.
C’è un’importante restrizione che dobbiamo citare circa il divorzio. Il corano
suggerisce un tempo di riflessione e di ripensamento per decantare che la decisione del
divorzio sia dettata da momenti di ira o gelosia:
«A coloro che giurano di separarsi dalle loro donne, è imposta un’attesa di
quattro mesi. Se ritornano sul loro proposito, ebbene Dio è indulgente e
5
perdona» .
Il Corano invita a una ponderata valutazione dell’opportunità o meno di
richiedere il divorzio, che ha comunque modi, ambiti legali e tempi propri. Qui è citato
come soggetto richiedente l’uomo, perché la donna non può ripudiare il marito: essa può
porre termine alla relazione coniugale soltanto col consenso del marito (nel caso di
ripudio consensuale) o ricorrendo al giudice quando esistono i presupposti per una
pronuncia di divorzio.
Ci sono due tipi di divorzio: raj’ī, revocabile, e il bā’in, irrevocabile. Il primo
sospende il matrimonio, consente al marito di riprendersi la moglie entro un tempo
stabilito senza richiedere il suo consenso, stipulare un nuovo contratto e versare una
nuova dote. Il secondo, invece, corrisponde al divorzio definitivo, quando al termine di
questo tempo non c’è stata intenzione di riconciliazione da parte dell’uomo, quindi nel
caso di un nuovo matrimonio con la stessa donna è necessario richiedere il suo
consenso, fare un nuovo contratto e consegnare una nuova dote.
5
Sura II, 226.
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CAPITOLO TERZO
IL NUCLEO FAMILIARE
LA FAMIGLIA E I SUOI COMPONENTI
La tematica riguardante le persone che compongono il nucleo familiare è assai
vasta e complessa nelle sue articolazioni. Una trattazione esauriente dei ruoli e degli
individui che costituiscono una famiglia diventerebbe una ricerca oltremodo dettagliata
e laboriosa, è di una complessità enorme. Pertanto delineeremo solo alcune delle
complesse implicazioni religiose e umane delle relazioni che regolano l’istituto
familiare nel suo farsi nucleo fondante della cosiddetta comunità islamica.
I. IL PADRE E LA MADRE
Il primo che affrontiamo, non a caso, è il padre, l’uomo, il signore della casa,
strettamente collegato con l’altra figura che è la madre, la donna, sua moglie. Egli sta al
di sopra della donna per disegno e volontà divina, un primato di ordine giuridico e
sociale sostenuto e affermato anche dallo stesso Corano che conferma il concetto della
superiorità naturale dell’uomo sulla donna. Il suo essere su un gradino più alto ha sia
una grande onorabilità, ma di riflesso comporta anche una maggiore responsabilità, in
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forza del fatto che ciò deriva loro per “scelta” divina. Questa superiorità dell’uomo sulla
donna, però, non è e mai dovrà essere un incentivo alla sopraffazione e all’ingiustizia.
La sottomissione della donna è funzionale al buon andamento dell’armonia familiare, è
considerata come adesione al volere divino nella specificità del ruolo che le viene
assegnato nel focolare domestico. L’autorità dell’uomo non è assoluta ma deve essere
costantemente subordinata all’osservanza della legge e, perciò, non essere mai
all’origene di azioni in contrasto con essa. Lo sposo deve essere uomo di pietà, non gli è
consentito umiliare, malmenare e disprezzare la donna. Proprio perché il più forte
l’uomo deve provvedere alle spese, prendersi cura della sposa, non imporle compiti
gravosi, proteggerla nei pericoli. Gli autori musulmani sono unanimi nel riconoscere
che il Corano ha rivalutato la donna nel suo insieme di persona, fanciulla, giovane,
sposa e madre, assegnandole più diritti ed elevandola ad un ruolo più importante e
sempre meno marginale sia nella famiglia che nella società.
II. FIGLI E PIETÀ FILIALE
L’altra figura all’interno del nucleo familiare è il frutto dell’unione dell’amore
dei due sposi, ovvero il figlio. Tratteremo meglio dopo alcuni aspetti circa la nascita di
una nuova vita nell’Islam; ora riportiamo soltanto l’aspetto relazionale dei figli nei
confronti dei genitori, ovvero la pietà filiale. Questa è fondata sul Corano6 ed è
6
«E Noi abbiamo prescritto all’uomo la bontà verso i suoi genitori: lo portò sua madre in seno a fatica
e lo ha partorito a fatica e trenta mesi durarono la gestazione e lo svezzamento, finché, quando abbia
raggiunto la maturità e abbia raggiunto i quarant’anni egli dice: “Signore! Permettimi ch’io Ti ringrazi per
il favore ch’hai concesso a me e ai miei genitori, e ch’io faccia del bene che Ti piaccia, e trattami con
bontà nei miei figli, ché io a Te mi rivolgo contrito, io sono di quelli che tutti a Te si danno» (Sura XLVI,
15).
12
speculare alla pietà che si ha nei confronti di Dio, è un atto di fiducia e sottomissione.
La preghiera che troviamo nella sura in cui si parla di pietà filiale pone in risalto
l’aspetto umano della pietà e dell’amore verso i genitori. La pietà non è soltanto un
sentimento ma un’azione. Si adora Dio con ogni atto umano che si regoli sulla fede e
sulla retta intenzione. È norma di fede, quindi, provvedere i genitori di ciò di cui hanno
costantemente bisogno, in ogni difficoltà e periodo della loro esistenza. E verso i
genitori, in particolare, la pietà addolcisce i cuori. La cura e la sollecitudine verso i
genitori devono stare in cima ai pensieri di ogni credente che si veda prossimo a morire.
Il testamento assicura ai genitori una continuità nell’amore e nella riconoscenza che il
figlio ha avuto per loro.
III. FAMIGLIA E “CAUSA DI DIO”
Il parallelismo fra Dio e i genitori comporta, come già accennato, gratitudine e
riconoscenza della prole nei confronti di chi le ha dato la vita. Tutto ciò che appartiene
ai credenti deve essere in funzione dell’Islam, dice il Corano, che è la religione di Dio e
non degli uomini o della società. Tutti i loro beni, le loro persone e i loro valori
appartengono in prima istanza all’Islam, perciò anche la famiglia viene subordinata alla
sua causa. La pietà familiare è di conseguenza da posporre sempre alla causa di Dio e al
servizio del Profeta e non deve mai essere messa al servizio di Satana.
«La fede, quindi, eleva la parentela e la sublima. Se i genitori o i figli
perdono la loro funzione di testimoni di fede, il sangue non ha nulla da
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reclamare. Se non si è fedeli alla causa dell’Islam non c’è luce che possa
illuminare le pareti domestiche»7.
I genitori sono canali di fede, i primi testimoni della fede in Dio. La famiglia si
conserva “una” nella collaborazione e nella comune tensione verso la salvezza
individuale e collettiva, la salvezza si cerca insieme, c’è questa visione spirituale:
bisogna essere uniti per la vita terrena e per la vita eterna.
7
B. PIRONE, Sotto il velo dell’islam. Famiglia, educazione, sessualità: una guida per comprendere,
Milano: Edizioni Terra Santa, 2014, 107.
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CAPITOLO QUARTO
LA FAMIGLIA GENERA
LA NASCITA DI UNA NUOVA VITA
La nascita di un bambino nella comunità islamica è motivo di grande gioia,
momento di intensa riconoscenza nei riguardi di Dio che effonde i suoi doni e la sua
munificenza come segni della sacralità del matrimonio.
È un dono da parte di Dio per cui esultare e gioire. È raccomandato che già dalla
nascita venga sussurrato all’orecchio destro del nascituro la formula dell’appello alla
preghiera, al-adhān, e l’annuncio alla preghiera, al-iqāmah, in quello sinistro. È inoltre
diffuso l’uso di sussurrargli la formula di fede, shahādah, come segno dell’introduzione
ufficiale del neonato nella comunità dei credenti attraverso il riconoscimento dell’unità
e unicità di Dio.
L’usanza vuole che sia inoltre strofinato il palato con dei datteri o che gli si
faccia assaggiare del miele come simbolo di pregustazione della dolcezza della fede e
della pietà che egli avrà poi nei confronti dei suoi genitori. La maggioranza dei giuristi
sostiene che è raccomandabile anche offrire in sacrificio un animale, che serve a
purificare il bambino e ad allontanare da lui le insidie del demonio, la cui carne viene
poi donata ai poveri.
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La scelta del nome solitamente spetta al padre se il figlio è maschio, alla madre
se invece è femmina.
Attorno alla gestazione e alla nascita di una nuova vita ruotano alcuni aspetti che
andremo adesso a vedere brevemente, ovvero: allattamento, circoncisione, escissione,
soppressione, aborto, contraccezione e adozione.
L’allattamento è un diritto e dovere della madre. Qualora non ne abbia la
possibilità per mancanza di latte o problemi di salute può affidare i propri figli a una
nutrice. La shrī’ah annovera l’allattamento al seno tra le cause d’impedimento al
matrimonio tra la nutrice e l’allattato, perché considerata come una consanguinea di
fatto. Se, al contrario, l’allattamento non avviene al seno ma si dovesse ricorrere a
preparati farmaceutici, latte di pecora o di capra o prodotti industriali, non subentra
alcun tipo di parentela acquisita e, quindi, nessun impedimento a un eventuale
matrimonio futuro.
La circoncisione dei bambini è considerata un obbligo religioso, anche se il
Corano non ne fa il minimo accenno. Questa pratica trova la sua giustificazione nella
tradizione fatta risalire ad Abramo. Non tutti i giuristi o tradizionalisti sono unanimi su
quando debba essere praticata: alcuni propendono per il giorno stesso della nascita, altri
a un mese o a un anno o addirittura a cinque o sei anni. In ogni caso resta una tradizione
fortemente raccomandata, con carattere di obbligazione, da celebrare come una festa
solenne pubblica.
L’escissione non è invece contemplata, la legislazione islamica lo annovera tra
le pratiche riprovevoli e maschiliste, perché impedisce alla donna di godere pienamente
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nell’amplesso. Infatti prevede un intervento mirato all’ablazione o asportazione di una
parte del clitoride nella donna.
La soppressione della prole era diffusa in età preislamica, dove si uccideva un
neonato per motivi di culto. Questa mentalità, però, non può essere tollerata, in quanto i
genitori tramite la procreazione cooperano al piano divino della creazione, quindi
devono generare vita, non eliminarla. Per questo la pratica dell’uccisione dei neonati
viene denunciata come un’aberrazione cultuale. Un Dio buono e misericordioso non può
comandare l’uccisione di esseri innocenti. La causa principale e determinante di questa
pratica sembra comunque essere stata quasi sempre la miseria, l’indigenza, la fame e la
povertà; ma Dio è provvidenza e il figlio che verrà sarà manifestazione della sua
grandezza, di un Dio che sorveglia e dirige la vita al di là delle logiche umane.
Altro aspetto da affrontare brevemente è l’aborto. Gli esegeti coranici ritengono
che il momento in cui si ha in effetti questa creazione nuova è quello in cui Dio insuffla
il suo spirito nel feto che avviene all’incirca nei primi dieci giorni del quarto mese di
gestazione secondo quanto detto da un ḥadīt8; in questo preciso istante l’embrione
diviene un vero e proprio essere vivente, in precedenza privo di vita. Alla luce di questo
è assolutamente illecito abortire una volta che l’embrione abbia ricevuto l’insufflazione
dello spirito, tranne quando la madre è in pericolo di vita. Ad ogni modo l’aborto è un
delitto se non necessario, anche qualora non fosse intervenuta l’insufflazione dello
spirito, al quale la madre deve rispondere versando il prezzo del sangue. Ci sono alcuni
giuristi che ritengono che sia consentito l’aborto nei primi quaranta giorni, ossia prima
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«Il corpo di ogni uomo permane per quaranta giorni a prender massa nel ventre della madre. Poi, per
un periodo di uguale durata, esso diviene un grumo di sangue. Poi, per altri quaranta giorni, diviene un
pezzo di carne ed è in tale fase che Iddio manda il suo angelo per insufflare in lui lo spirito vitale»
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che si formi l’embrione, ma è una posizione scarsamente condivisa. L’aborto è
vivamente sconsigliato ed è di per sé un crimine.
La contraccezione, ovvero l’impedire agli spermatozoi di fecondare gli ovuli,
crea alcuni problemi allo statuto stesso del matrimonio, il cui fine è appunto concorrere
alla procreazione. Procreare, però, non è un obbligo, è un invito, quindi si può
autorizzare il ricorso ai contraccettivi, non tutti leciti. I metodi contraccettivi che
possono essere utilizzati e applicati sono per la donna la pillola o il diaframma, per
l’uomo il coito interrotto o il preservativo, e per entrambi i coniugi poi si può tenere
sotto controllo i periodi in cui la donna non è feconda per non correre quindi il rischio di
un gravidanza indesiderata.
Ultimo elemento, anche se marginale, è l’adozione. Questa non comporta una
vera e propria figliolanza, il Corano ne ha revocato il vincolo e non ne fa un
impedimento al matrimonio. Inoltre l’adozione non è valida se l’adottato ha ancora una
propria famiglia.
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CAPITOLO QUINTO
LA FAMIGLIA ALLARGATA
LA POLIGAMIA
Sin dagli albori dell’Islam i musulmani nutrono nei confronti di questa
istituzione una considerazione estremamente positiva, la ritengono fondante della
struttura sociale islamica, alla stessa stregua del matrimonio. C’è da premettere però fin
da subito che la poligamia non è affatto diffusa e non riguarda tutti i livelli sociali,
infatti ad oggi i matrimoni poligamici sono meno del 4%, soprattutto per motivi
economici, dato che tutte le donne e i rispettivi figli devono godere dello stesso
trattamento; per questo è un lusso che possono concedersi solo i ricchi.
La poligamia parte dalla stessa istituzione matrimoniale: amplifica la
prevenzione contro la fornicazione e la dissolutezza di costumi di cui si fa disciplinatore
il matrimonio. La fornicazione che si intende scongiurare tollerando la poligamia
riguarda qualsiasi atto sessuale consumato al di fuori del matrimonio.
Essa esisteva già prima che sorgesse l’Islam. Muḥammad inizialmente la tollerò,
poi la permise rendendola quindi lecita, pur non avendola raccomandata né tantomeno
considerata obbligatoria. Così recita il Corano:
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«Se temete di non essere equi con gli orfani, sposate allora di tra le donne
che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non essere giusti con
loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso; questo sarà più atto a non farvi
deviare»9.
La deviazione è da considerarsi insita nello stesso superamento del numero
quattro. Il fondamento della bontà intrinseca della poligamia risiede proprio nel
principio che, essendo essa permessa, è da considerarsi buona, poiché nel Corano è
scritto: «(...) Vi sono lecite le cose buone»10.
Ci sono però casi in casi in cui la poligamia non è lecita e perciò non è permessa
perché contrasta con lo spirito generale delle disposizioni divine, soprattutto quando non
si è in grado di salvaguardare il principio di equità che ne sorveglia e condiziona
l’applicazione.
Sono quattro i vantaggi che la poligamia porta. Il primo è che la poligamia è
considerata un freno, una misura sia per disciplinare il sesso in sé ma anche per
distribuire giustizia tra le donne sposate, ovviando così anche alla prostituzione. Un
secondo vantaggio è che la poligamia si addice a un uomo che viaggia spesso, e in tal
caso potrebbe portare con sé una delle sue donne per accompagnarlo. Terzo aspetto è
che rappresenta una riforma dello stato della famiglia nell’ambito della quale più donnespose concorrono, grazie alle loro individuali personalità e differenze caratteriali, a
colmare al meglio gli orizzonti esistenziali dell’uomo. Quarto e ultimo vantaggio è
quello di garantire una lecita e dignitosa sistemazione alle vedove e alle giovani
soprattutto in casi di accentuata disparità numerica tra maschi e femmine, soprattutto in
casi di accentuata disparità numerica tra maschi e femmine ; è una sorta di armatura che
9
Sura IV, 3.
10
Sura V, 4.
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protegge vedove e anziane, per le quali è preferibile che siano la seconda, la terza o la
quarta moglie di qualcuno, anziché restare sole.
I comportamenti dell’uomo nei confronti delle proprie mogli devono essere i
seguenti: deve essere giusto ed equanime in tutto, nel trattamento, nelle spese, nella
coabitazione e, perché no, anche nei rapporti sessuali; deve provvedere, con estrema
dignità e adeguamento alle direttive canoniche, alle spese necessarie per il
mantenimento delle donne e dei figli che da esse vengono generati, senza distinzioni tra
il primo e i successivi matrimoni; deve vegliare sulle proprie spose e i rispettivi figli in
maniera impeccabile, trattandoli nel miglior modo possibile, provvedendo alla loro
tranquillità, all’educazione e alla formazione e facendo prevalere in tutto sentimenti di
giustizia, misericordia, amore e compassione, perché il proprio focolare sia un faro di
fede e di buone azioni per l’edificazione della comunità.
C’è da dire anche che l’uomo prende in sposa un’altra donna anche qualora la
prima moglie non fosse in grado di dargli figli maschi. Potrebbe in tal caso anche
ripudiarla, ma non lo fa, la trattiene con se alleggerendole così il fardello della sterilità.
La poligamia, quindi, è da preferirsi al divorzio anche là dove la moglie venga colpita
da malattie che impediscano di assolvere ai suoi doveri coniugali o la privino della sua
capacità di generare. Tra le altre giustificazioni, viene adottata una semplice
constatazione legata alla difficile realtà della vita tribale: le guerre decimano gli uomini
e rendono sproporzionato l’equilibrio numerico tra maschi e femmine. Un’ulteriore
giustificazione, particolare, è quella che presenta nella poligamia un’aperta sfida di
coscienza e coraggio alle ipocrisie dei monogami occidentali dediti all’adulterio e alla
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fornicazione con amanti e donne occasionali. Non sono molti, infine, coloro che
propongono la poligamia per il fatto che è stata praticata da Muḥammad.
C’è anche, d’altro canto, chi si oppone all’istituzione della poligamia. Primi tra
tutti i cosiddetti oltrazionisti che contestano la legittimità dell’istituzione poligamica in
nome della totale emancipazione della donna; altri riformisti moderni impugnano la
poligamia sostenendo come ci sia una strutturale impossibilità a osservare quelle
essenziali condizioni di imparziale equità e giustizia che la renderebbero lecita; infine
c’è una terza corrente che si pone a metà strada tra le due sopra citate, quella che forse
potrebbe essere la più valida, quella dei moderati, i quali sostengono che la poligamia
deve essere permessa solo in via eccezionale.
Un’ultima considerazione che vede tutti concordi è che la poligamia argina una
delle tante piaghe della società, molto diffusa in età preislamica, ovvero la prostituzione,
la tendenza a sfogare i desideri sessuali fuori dalla sfera di un matrimonio legale e
regolato da disposizioni venute dall’alto. Chi pratica la prostituzione è come se adorasse
un idolo, dissacrasse la propria sottomissione a un Dio uno e assoluto, rendendosi
impuro.
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BIBLIOGRAFIA
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