Disturbi Cognitivi in Eta
Disturbi Cognitivi in Eta
Disturbi Cognitivi in Eta
DSM 5 - Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (American Psychiatric Association,
2013).
ICD 10 - Classificazione delle sindromi e dei disturbi psichiatrici e comportamentali (World Health
Organization, 1992).
Classificazione 0-3 - National Center for Clinical Infant Programs di Washington, 1994.
Si tratta di sistemi diagnostici che, nel tempo, hanno iniziato ad interagire, possono, quindi essere
utilizzati anche in maniera integrata. Il DSM 5° è il più recente sistema diagnostico tassonomico, ma
nonostante lo sforzo impiegato in questa ultima edizione nel coniugare la diagnosi nosografica con
gli aspetti più dimensionali del disturbo, non è stato esente da CRITICHE. Tra le principali:
– I criteri diagnostici non tengono conto della mutevolezza dell’espressività clinica della
patologie in età evolutiva che risentono ovviamente dello sviluppo cognitivo emozionale.
– Manca un’adeguata presa in considerazione dell’ecosistema.
– Presente un’enfasi particolare su segni e sintomi e non sui sentimenti.
– Molti dei sintomi risentono della valutazione soggettiva dell’operatore.
– I criteri di inclusione/esclusione dalla diagnosi sono rigidi il che può portare a porre diagnosi
solo nei casi più gravi. (mancata diagnosi).
– La mancanza di possibilità di riflettere sulla contemporanea presenza di più quadri
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diagnostici in compresenza. (problema della comorbilità)
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D) QUESTIONARI E TEST
1. (ASEBA) (Achenbach System of Empirically Based Assessment) è un sistema
multiassiale di valutazione empirica, elaborato da Thomas Achenbach e dai suo
collaboratori nell'ambito di un paradigma valutativo interessato a ottenere informazioni
sull'adattamento, le competenze, i problemi comportamentali ed emotivi del bambino e
dell'adolescente, individuabili in situazioni diverse e derivate da fonti multiple (genitori,
insegnanti, educatori, bambino stesso ). Integra l’aspetto categoriale con quello
dimensionale. Gli strumenti valutativi utilizzati sono:
Questionari autodescrittivi compilati dall'adolescente SELF - REPORT
Questionari di valutazione REPORT FORM per raccogliere descrizioni sul
bambino e sull'adolescente fornite da persone familiari che conoscono
l'adattamento del soggetto nell'ambiente di vita condiviso (genitori, insegnanti) e
da altri osservatori esperti (clinici, educatori, operatori dei servizi sociali). È
possibile, quindi, effettuare un confronto incrociato dei risultati forniti dagli
strumenti self report e report form.
Per i bambini fino a 5 anni esistono solo due questionari (non esistendo un auto-somministrato
per questa fascia d'età):
- Il CHILD BEHAVIOR CHECKLIST (CBCL).
- IL CAREGIVER- TEACHER REPORT FORM
Per i bambini più grandi e per gli adolescenti si possono, invece, utilizzare, tre questionari:
- Il CHILD BEHAVIOR CHECKLIST 6-18 (CBCL)
- LO YOUTH SELF-REPORT (YSR)
- IL TEACHER’SREPORT-FORM (TFR)
Dai punteggi, confrontati con i valori normativi si ottengono due profili separati: un profilo di
competenze (attività, socialità, scuola) e un profilo psicologico e/o psicopatologico.
Le 8 sindromi individuate dalla CBCL sono:
- Ritiro
- Lamentele Somatiche,
- Ansia/Depressione ( Internalizzazione o problemi di Personalità),
- Problemi Sociali,
- Problemi di Pensiero,
- Problemi di Attenzione
- Comportamento Delinquenziale,
- Comportamento Aggressivo
Tali sindromi sono a loro volta raggruppabili in due scale globali:
- scala dei problemi internalizzanti (reattività emotiva, ansia, depressione, lamentele
somatiche, ritiro sociale, problemi del sonno) e
- scala dei problemi esternalizzanti (comportamento aggressivo, trasgressione delle
regole).
2. BATTERIA SAFA questionari autosomministrabili (maggiore sincerità) 8-18 anni; 6 scale:
- Ansia (presente in 3 versioni, distinte per fasce di età)
- Depressione
- Sintomi ossessivo-compulsivi
- Disturbi alimentari psicogeni
- Disturbi somatici
- Fobie
3. Q-PAD Questionario per la valutazione della psicopatologia in adolescenza 14-19 anni
4. MMPI-A (per gli adolescenti: 14-18 anni) l'MMPI-A composto da 478 items, 6 scale di
validità per cui è un questionario che permette di individuare eventuali profili non validi in
più c'è un indicatore di validità che non è una vera e propria scala, denominato “non so”,
che indica il numero totale di items che l'esaminato lascia in bianco o a cui non risponde sia
“vero” che “falso”. Poi abbiamo 10 scale cliniche di base, 15 scale di contenuto che
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riguardano problemi scolastici legati all'adolescenza, basse aspirazioni, l'alienazione,
problemi di condotta e poi l'ansia, l'ossessività, la depressione, la preoccupazione per la
salute, la bizzarria, la rabbia, il cinismo, la bassa autostima, il disagio sociale, problemi
familiari e indicatori di difficoltà di trattamento. Vi sono poi 6 scale supplementari quali:
- la scala dell'ansia,
- la scala della repressione,
- la scala dell'alcolismo,
- la scala dell'ammissione a problemi con alcol e droga,
- la tendenza all'abuso di alcool o droga
- l'immaturità.
BATTERIA SAFA La batteria SAFA è uno strumento diagnostico che si serve di questionari
autosomministrabili che permettono di valutare sintomi e stati psichici. La sua struttura è
organizzata in maniera tale da potersi adattare alle modalità di comprensione e di valutazione di
ogni fascia di età. La batteria è adatta alla fascia di età 6-18 e comprende 6 scale, somministrabili
sia congiuntamente che singolarmente, che valutano l'ansia, la depressione, i sintomi ossessivo-
compulsivi, i sintomi somatici e ipocondria, le fobie ed i disturbi alimentari psicogeni.
QIV: fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest, raggruppati nella SCALA
VERBALE che comprende compiti che sottendono: “Abilità verbali-educazionali e rappresenta le
acquisizioni cumulativamente ricavate dal soggetto dal sistema educativo e scolastico in cui è
cresciuto. Riguarda la capacità di apprendimento delle informazioni e delle abilità verbali e la loro
applicazione per la soluzione di nuovi problemi. Sono componenti del fattore QIV la capacità di
ritenzione (mantenere) e manipolazione di dati verbali nella memoria a breve e a lungo
termine e le abilità numeriche”.
QIP: Fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest raggruppati nella SCALA DI
PERFORMANCE che comprende compiti di tipo visuo-percettivo, meccanico e manuale che
sottendono: “Abilità spaziali-meccanico-pratiche. Rappresenta la capacità del soggetto di operare
cognitivamente con immagini visive e di manipolarle con fluidità e flessibilità. Sono componenti del
fattore QIP la capacità di riconoscimento e richiamo visivo, di analisi e sintesi visuo-
percettiva e di coordinazione visuo- motoria”.
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L’INTELLIGENZA SECONDO WESCHLER E SCALA
Weschsler (1944) ha definito l'intelligenza come capacità globale complessa di un individuo di
agire per uno scopo determinato, di pensare in maniera razionale e di avere rapporti utili con il
proprio ambiente, quindi un'abilità fatta di diverse sotto-abilità e orientata al raggiungimento di
scopi e obiettivi.
Secondo Wechsler l’intelligenza è multidimensionale e multideterminata comprende fattori
intellettivi, emotivi, affettivi, motivazionali. Egli parla di QUOZIENTE INTELLETTIVO TOTALE
costituito dalla somma di due fattori di intelligenza:
QIV: fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest, raggruppati nella SCALA
VERBALE che comprende compiti che sottendono: “Abilità verbali-educazionali e rappresenta le
acquisizioni cumulativamente ricavate dal soggetto dal sistema educativo e scolastico in cui è
cresciuto. Sono componenti del fattore QIV la capacità di ritenzione (mantenere) e
manipolazione di dati verbali nella memoria a breve e a lungo termine e le abilità numeriche”.
QIP: Fa riferimento alla prestazione ottenuta a specifici subtest raggruppati nella SCALA DI
PERFORMANCE che comprende compiti di tipo visuo-percettivo, meccanico e manuale che
sottendono: “Abilità spaziali-meccanico-pratiche. Rappresenta la capacità del soggetto di operare
cognitivamente con immagini visive e di manipolarle con fluidità e flessibilità. Sono componenti del
fattore QIP la capacità di riconoscimento e richiamo visivo, di analisi e sintesi visuo-
percettiva e di coordinazione visuo- motoria”.
WISC-IV (Weschler Intelligence Scale for Children) è la scala che permette di misurare
l’inteloigenza e che deriva da quella ideata da Weschsler .E’ uno strumento clinico costruito per
valutare le capacità cognitive dei bambini di età compresa tra i 6 anni e i 17 anni. Con la WISC-IV
si possono calcolare 5 punteggi compositi:
a) un Quoziente intellettivo totale (QIT) (capacità cognitive complesse del bambino);
b) l'indice di Comprensione verbale (ICV);
c) l'Indice di Ragionamento percettivo (IPR);
d) l'Indice di Memoria di lavoro (IML);
e) l'Indice di Velocità di Elaborazione (IVE)
È composta da 15 subtest: 10 principali e 5 supplementari:
Disegno dei cubi
SomiglianzeConcetti per immagini
Cifrario
Vocabolario
Riordinamento di lettere e numeri
Ragionamento con matrici
Comprensione
Ricerca di simboli
Completamento di figure
Cancellazione
Informazione
Ragionamento aritmetico
Ragionamento con le parole
È utile per:
Ottenere una valutazione complessiva del funzionamento cognitivo generale.
Valutare e identificare doti intellettuali.
Individuare difficoltà di apprendimento.
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Avere una guida nella pianificazione del trattamento.
Ottenere informazioni cliniche per la valutazione neuropsicologica del bambino.
INOLTRERE PERMETTE UNA VALUTAZIONE DI TIPO VERBALE.
WISC-IV (Weschler Intelligence Scale for Children) ideata da Weschsler è uno strumento
clinico costruito per valutare le capacità cognitive dei bambini di età compresa tra i 6 anni e i 17
anni. Con la WISC-IV si possono calcolare 5 punteggi compositi:
a) un Quoziente intellettivo totale (QIT) (capacità cognitive complesse del bambino);
b) l'indice di Comprensione verbale (ICV);
c) l'Indice di Ragionamento percettivo (IPR);
d) l'Indice di Memoria di lavoro (IML);
e) l'Indice di Velocità di Elaborazione (IVE)
È composta da 15 subtest: 10 principali e 5 supplementari:
Disegno dei cubi
SomiglianzeConcetti per immagini
Cifrario
Vocabolario
Riordinamento di lettere e numeri
Ragionamento con matrici
Comprensione
Ricerca di simboli
Completamento di figure
Cancellazione
Informazione
Ragionamento aritmetico
Ragionamento con le parole
È utile per:
Ottenere una valutazione complessiva del funzionamento cognitivo generale.
Valutare e identificare doti intellettuali.
Individuare difficoltà di apprendimento.
Avere una guida nella pianificazione del trattamento.
Ottenere informazioni cliniche per la valutazione neuropsicologica del bambino.
Inoltre permette una valutazione di tipo verbale
CONFRONTO TRA WISC 3 E WISC 4
WISC 4 rispetto alla terza versione presenta un'attenzione alla memoria di lavoro e alla velocità
di elaborazione. Inoltre :
abbandona il tradizionale raggruppamento dei subtest in scala verbale e di performance; vi è un
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aggiornamento delle norme; riformulazione ed eliminazione di alcuni item.
Vengono eliminati 3 subtest (Riordinamento di storie figurate, Ricostruzione di oggetti e
Labirinti); e introdotti 5 nuovi subtest (Ragionamento con le parole, Ragionamento con le
matrici, Concetti illustrati, Riordinamento di lettere e numeri, Cancellazione).
Presenta l’aggiunta di suggerimenti e domande per una più chiara comprensione del compito da
parte dell’esaminato e tavole di conversione dei punteggi grezzi in punteggi ponderati suddivise
in fasce di 4 mesi.
LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO
IL PROCESSO è attivato ogni volta che emerge un pericolo reale o supposto. Il neonato è dotato
di comportamenti di richiamo atti ad assicurarsi la vicinanza della figura di attaccamento
(COMPORTAMENTO DI ATTACCAMENTO). La disponibilità, le cure e il calore emotivo, la
protezione e il fornire conforto rappresentano i comportamenti più significativi del caregiver per lo
sviluppo della relazione di attaccamento. SCOPO: fornire una base sicura.
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I comportamenti di attaccamento sono specie-specifici, quindi ogni specie ha i suoi
comportamenti di attaccamento che sono diretti verso l’obiettivo di stabilire o ristabilire la vicinanza
con la madre.
Il SISTEMA DI ACCUDIMENTO, nella teoria di Bowlby, è l’esatto complementare del sistema di
attaccamento, ovvero è quel sistema che si attiva nella madre ( o care giver principale) quando i
comportamenti di attaccamento segnalano (con il pianto, sorriso, aggrapparsi) il bisogno di
vicinanza e sicurezza del bambino. Il sistema di accudimento include comportamenti appunto che
offrono vicinanza, aiuto e protezione dal pericolo. L’ATTACCAMENTO è un tema centrale
NELL’ARCO DELL’INTERO CICLO DI VITA. Le esperienze, infatti, vissute dall’individuo con
le figure di attaccamento durante i primi anni di vita rappresentano il modello in cui si
organizzano tutti i legami affettivi futuri. Le modalità in cui i bisogni di attaccamento sono
stati soddisfatti nel corso dell’infanzia rappresentano la base su cui si costruiscono le
aspettative future. L’individuo attraverso il legame di attaccamento, sviluppa dei modelli, delle
categorizzazioni delle esperienze che applica successivamente in età adulta, chiamati da Bowlby “
modelli operativi interni”. I MODELLI OPERATIVI INTERNI (MOI) comprendono la
rappresentazione delle figure di accudimento, del sé e della relazione tra sé e l’altro, sono
rappresentazioni mentali dei legami affettivi che hanno il ruolo di modulare la percezione e
l’interpretazione degli eventi e che determinano anche le aspettative future, Bowlby chiama
l’insieme dei MOI “mappa conoscitiva dell’ambiente”.
Successivamente Mary Ainsworth( allieva di Bwlby) e coll. mettono a punto una procedura
osservazionale, la STRANGE SITUATION attraverso la quale verifica sperimentalmente e
definisce i diversi stili di attaccamento del bambino
La Strange Situation è una procedura standardizzata di laboratorio che consta 8 EPISODI (il
primo di 1 minuto gli altri 7 di minuti per un totale di 22 minuti ) in cui emerge lo stile di
attaccamento del bambino alla figura principale di attaccamento ( spesso la madre), il
tutto registrato e sottoposto alla valutazione strutturata dei ricercatori. Le variabili
osservate sono comportamento esplorativo, orientamento visivo, pianto, risposta all’uscita
della madre dalla stanza, risposta al ritorno della madre, risposta all’ingresso dell’
estranea; risposta del bambino quando viene preso in braccio.
- PRIMO EPISODIO il bambino e la madre entrano in laboratori dove ci sono giocattoli e
due sedie. Il bambino gioca e la madre è seduta.
- SECONDO EPISODIO entra uno sconosciuto che scambia qualche parola con la madre e
cerca con discrezione di reagire con il bambino.
- EPISODI SUCCESSIVI si assiste a uscite e rientri della madre per osservare come il
bambino reagisce alla separazione.
In base ai risultati della ricerca l’Ainsworth ha individuato TRE stili di attaccamento:
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Successivamente Main introduce una quarta categoria quella dall’ATTACCAMENTO
DISORGANIZZATO in cui il B non presenta alcuna strategia coerente di attaccamento.
I FATTORI CHE PROMUOVONO UN ATTACCAMENTO SICURO sembrano essere:
- Un contatto fisico frequente e prolungato;
- La sensibilità della madre ai segnali del bambino;
- Un ambiente regolato in cui il bambino possa trarre un senso di efficacia delle proprie
azioni;
- La libertà di esplorare e imparare.
- Il piacere reciproco che la madre e il bambino ricavano dai loro scambi.
La funzione più importante dell’attaccamento di un bambino alla madre, o alla figura di
allevamento principale, è la sua capacità di ricorrere a essa come BASE SICURA
nell’esplorazione del mondo.
*Un attaccamento insicuro non è di per sé una psicopatologia o una causa di psicopatologia, ma
un fattore di rischio. Al contrario un attaccamento sicuro è un fattore di resilienza.
- Il sistema di attaccamento viene disattivato dalla vicinanza e/o dal contatto fisico o
psicologico con la figura di attaccamento quando questa risponde ai bisogni di
attaccamento del bambino in modo soddisfacente.
- Il sistema di accudimento del genitore viene disattivato dalla vicinanza fisica o psicologica e
segnala che il piccolo è confortato, appagato, soddisfatto.
- La modalità specifica e le varie possibilità di comportamenti di accudimento sono variabili in
relazione al contesto, all’età e alle esperienze del genitore o del bambino.
L’ATTACCAMENTO è un tema centrale NELL’ARCO DELL’INTERO CICLO DI VITA. Le
esperienze, infatti, vissute dall’individuo con le figure di attaccamento durante i primi anni
di vita rappresentano il modello in cui si organizzano tutti i legami affettivi futuri. Le
modalità in cui i bisogni di attaccamento sono stati soddisfatti nel corso dell’infanzia
rappresentano la base su cui si costruiscono le aspettative future. L’individuo attraverso il
legame di attaccamento, sviluppa dei modelli, delle categorizzazioni delle esperienze che applica
successivamente in età adulta, chiamati da Bowlby “ modelli operativi interni”. I MODELLI
OPERATIVI INTERNI (MOI) comprendono la rappresentazione delle figure di accudimento, del sé
e della relazione tra sé e l’altro, sono rappresentazioni mentali dei legami affettivi che hanno il
ruolo di modulare la percezione e l’interpretazione degli eventi e che determinano anche le
aspettative future, Bowlby chiama l’insieme dei MOI “mappa conoscitiva dell’ambiente”.
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impiega diversi mesi per svilupparsi a partire dalla nascita. Solo dopo i 6 mesi il bambino
comincia ad esibire la triade che contraddistingue il sistema di attaccamento:
A. ricerca di vicinanza;
B. effetto base sicura;
C. protesta alla separazione.
Si realizzza attraverso 4 fasi:
1. orientamento;
1. pattern di riconoscimento;
2. attaccamento orientato allo scopo della vicinanza;
3. relazione di reciprocità.
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ONTOGENESI DEL COMPORTAMENTO DI ATTACCAMENTO con l’espressione
comportamento di attaccamento si intende ogni comportamento finalizzato ad ottenere o a
mantenere la vicinanza ad un altro individuo differenziato e preferito. Comportamento innescato
dalla separazione o dalla minaccia di separazione dalla figura di attaccamento (FDA) e ridotto o
eliminato dalla vicinanza o vista della stessa. Alcuni esempi di tipi di comportamento che hanno
come risultato la vicinanza della madre: richiami vocali, pianto, movimenti motori ed altri che
Bowlby definisce in generale come comportamento di attaccamento.
Durante i primi mesi di vita il bambino identifica una determinata figura a cui desidera
principalmente essere vicino. Intorno al sesto mese la sua preferenza diventa inequivocabile.
Dalla seconda metà del primo anno fino al terzo anno si dimostra molto attaccato alla figura
privilegiata ed è sereno in sua presenza e profondamente turbato in sua assenza.
Dal primo anno possono diventare importanti anche altre figure.
BOWLBY è l’autore che ha teorizzato il SISTEMA E IL COMPORTAMENTO DI
ATTACCAMENTO. Con il termine attaccamento intende quel processo affettivo-relazionale
che porta il bambino a stabilire un legame significativo con la figura di accudimento, spesso la
madre, ma non solo.
Sulla base dei risultati degli esperimenti del primatologo Harlow, Bowlby arriva a stabilire che la
motivazione primaria degli esseri umani non è la ricerca del piacere, ma la ricerca di contatto,
di attaccamento con una figura di allevamento principale. Questa motivazione è innata, è
specie-specifica, si manifesta in comportamenti universali che rappresentano il sistema di
attaccamento (ricerca di vicinanza, la suzione, il sorriso, l’abbraccio, il pianto e il seguire).
L’attaccamento è definito come RICERCA DELLA SICUREZZA caratterizzata da:
1. FASE DI PROTESTA: La fase di protesta è quella iniziale, può cominciare subito o con un
certo ritardo, dura da alcune ore ad una settimana o più. Il bambino appare in preda a grave
disagio, spesso ha violente crisi di pianto, scuote il letto, si agita, etc... In tutto il suo
comportamento si manifesta l’intensa aspettativa del ritorno della madre. In tale fase egli
tende a rifiutare tutte le figure sostitutive che cercano di assisterlo, anche se alcuni bambini si
attaccano disperatamente ad un’infermiera.
2. FASE DI DISPERAZIONE: È ancora evidente l’interesse per la madre lontana, ma il bambino
mostra con il suo comportamento che va perdendo sempre più la speranza di ritrovarla. I
movimenti fisici attivi diminuiscono o cessano e il bambino può piangere ininterrottamente o a
intermittenza. Egli è chiuso e inattivo, non pone domande alle persone circostanti, sembra
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trovarsi in uno stato di profonda desolazione. Fase appparentemente tranquilla che a volte, in
modo errato, viene ritenuta segno di minore disagio.
3. FASE DEL DISTACCO: Il bambino mostra maggiore interesse per l’ambiente; tale fase viene
spesso accolta come segno di recupero. l bambino non rifiuta più le infermiere, accetta le cure,
il cibo e i giocattoli, può anche sorridere ed essere socievole. Però quando la madre finalmente
viene a trovarlo diventa evidente che le cose non vanno bene: colpisce l’assenza del
comportamento di attaccamento, lungi dal fare festa alla madre egli sembra a malapena
riconoscerla. Può capitare che rimanga distante ed apatico e invece di piangere si distolga da
lei svogliatamente. Sembra che il bambino abbia perso ogni interesse per la madre.
MOI
L’ATTACCAMENTO è un tema centrale NELL’ARCO DELL’INTERO CICLO DI VITA. Le
esperienze, infatti, vissute dall’individuo con le figure di attaccamento durante i primi anni di
vita rappresentano il modello in cui si organizzano tutti i legami affettivi futuri. Le modalità in
cui i bisogni di attaccamento sono stati soddisfatti nel corso dell’infanzia rappresentano la
base su cui si costruiscono le aspettative future. L’individuo attraverso il legame di
attaccamento, sviluppa dei modelli, delle categorizzazioni delle esperienze che applica
successivamente in età adulta, chiamati da Bowlby “ modelli operativi interni”. I MODELLI
OPERATIVI INTERNI (MOI) comprendono la rappresentazione delle figure di accudimento, del sé
e della relazione tra sé e l’altro, sono rappresentazioni mentali dei legami affettivi che hanno il ruolo
di modulare la percezione e l’interpretazione degli eventi e che determinano anche le aspettative
future, Bowlby chiama l’insieme dei MOI “mappa conoscitiva dell’ambiente”.
Sono strutture di conoscenza a partire dalle quali si attribuisce significato alle relazioni ed alle
emozioni percepite in sé e nell’altro.
Distinguiamo tre livelli gerarchici:
1. esito della relazione (accettazione/rifiuto);
2. rappresentazione di Sé e dell’Altro (amabile/non amabile; amato/non amato);
3. strategie interpersonali (modelli cognitivo-affettivi del Sé e del Sé con l’altro che verranno
attivati ogni qualvolta sarà necessario raggiungere la maggiore prossimità possibile
con la figura di attaccamento).
Se il bambino ha potuto sperimentare una relazione con un genitore sensibile, affettuoso e
disponibile, egli costruirà una rappresentazione del genitore come persona affettuosa pronta ad
aiutarlo e sostenerlo nei momenti difficili e di se stesso come persona piacevole e amabile.
Se il bambino ha sperimentato una relazione con un genitore inconsistente e poco attento
alle sue necessità costruirà una rappresentazione del genitore come persona insensibile, poco
presente o respingente e di se stesso come individuo poco amabile.
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osservate sono comportamento esplorativo, orientamento visivo, pianto, risposta all’uscita
della madre dalla stanza, risposta al ritorno della madre, risposta all’ingresso dell’
estranea; risposta del bambino quando viene preso in braccio.
- PRIMO EPISODIO il bambino e la madre entrano in laboratori dove ci sono giocattoli e
due sedie. Il bambino gioca e la madre è seduta.
- SECONDO EPISODIO entra uno sconosciuto che scambia qualche parola con la madre e
cerca con discrezione di reagire con il bambino.
- EPISODI SUCCESSIVI si assiste a uscite e rientri della madre per osservare come il
bambino reagisce alla separazione.
In base ai risultati della ricerca l’Ainsworth ha individuato TRE stili di attaccamento:
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sottoposto alla valutazione strutturata dei ricercatori. Le variabili osservate sono
comportamento esplorativo, orientamento visivo, pianto, risposta all’uscita della madre
dalla stanza, risposta al ritorno della madre, risposta all’ingresso dell’ estranea; risposta
del bambino quando viene preso in braccio.
- PRIMO EPISODIO il bambino e la madre entrano in laboratori dove ci sono giocattoli e
due sedie. Il bambino gioca e la madre è seduta.
- SECONDO EPISODIO entra uno sconosciuto che scambia qualche parola con la madre e
cerca con discrezione di reagire con il bambino.
- EPISODI SUCCESSIVI si assiste a uscite e rientri della madre per osservare come il
bambino reagisce alla separazione.
In base ai risultati della ricerca l’Ainsworth ha individuato TRE stili di attaccamento:
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decisamente non plausibili a proposito delle cause e delle conseguenze di eventi traumatici, quali
la perdita di una figura di attaccamento.
– Non classificabile (CC, cannot classify): utilizzata per descrivere i trascritti delle interviste che
non soddisfano pienamente i criteri per l’inserimento in una delle tre categorie “centrali”
dell’attaccamento.
I risultati dello studio della Main hanno mostrato una corrispondenza tra lo stile di attaccamento
genitoriale e quello del bambino, questa corrispondenza è stata definita: TRASMISSIONE
INTERGENERAZIONALE DELLO STILE DI ATTACCAMENTO.
La trasmissione intergenerazionale dell’attaccamento, secondo la Main, avviene attraverso:
- fattori genetici a parte qualche risultato sulla vulnerabilità genetica per lo stile di
attaccamento disorganizzato, non è chiaramente dimostrata la correlazione.
- fattori cognitivi dipendono dalla “cognizione materna” che include le attribuzioni della
madre sul comportamento e sulle emozioni provate dal bambino.
- fattori emozionali uno stile di attaccamento sicuro sembra essere caratterizzato dalla
capacità:
1) di provare e mostrare una ampia gamma di emozioni che siano positive o negative;
2) da un’attitudine positiva verso la richiesta di aiuto;
3) dall’abilità di regolare le proprie emozioni.
1º episodio. In una stanza apposita vengono fatti entrare, e successivamente lasciati soli, un
genitore (caregiver) con il figlio.
2º episodio. Nella stanza sono presenti dei giocattoli in un angolo, il bambino ha così la possibilità
di esplorare l'ambiente ed, eventualmente, giocare con lui.
3º episodio. Entra un estraneo che siede prima in silenzio, poi parla con il genitore e
successivamente coinvolge il piccolo in qualche gioco.
6º episodio. In questo episodio il genitore lascia di nuovo il bambino; è da notare che questa volta
lo lascia solo.
La sequenza osservativa di tutte le fasi della strange situation, permette di definire quattro tipologie
di attaccamento che legano il caregiver al bambino:
- stile "sicuro": il bambino esplora l'ambiente e gioca sotto lo sguardo vigile del caregiver
con cui interagisce. Quando il caregiver esce e rimane con lo sconosciuto il bambino è
visibilmente turbato. Al ritorno del caregiver si tranquillizza e si lascia consolare.
- stile "insicuro-evitante": il bambino esplora l'ambiente ignorando il caregiver, è
indifferente alla sua uscita e non si lascia avvicinare al suo ritorno.
- stile "insicuro-ambivalente": il bambino ha comportamenti contraddittori nei confronti del
caregiver, a tratti la ignora, a tratti cerca il contatto. Quando il caregiver se ne va e poi
ritorna risulta inconsolabile.
- stile "disorganizzato": il bambino mette in atto dei comportamenti stereotipici, ed è
sorpreso/stupefatto quando il caregiver si allontana.
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CAUSE I dati raccolti dimostrano che la disorganizzazione dell’attaccamento è fortemente
correlata alla presenza di lutti o traumi non risolti nella memoria del caregiver . La correlazione è
altresì forte tra la disorganizzazione dell’attaccamento nel bambino e stati mentali
del caregiver caratterizzati da ostilità e impotenza. È stato ipotizzato che la figura di attaccamento
possa provocare paura nel bambino mentre lo accudisce, attraverso atteggiamenti apertamente
aggressivi (solitamente legati a memorie traumatiche) finanche violenti diventando apertamente
spaventante. La paura può essere indotta anche da un atteggiamento spaventato del caregiver,
che inconsapevolmente può esprimere paura (connessa alle proprie memorie dolorose). Egli
perde la sintonia comunicativa e diventa spaventante indirettamente.
1.Madre sensibile vs madre insensibile La madre sensibile riesce a rispondere bene ai tentativi
comunicativi del bambino. E’ capace di assumere la prospettiva del bambino, di sintonizzarsi sui
suoi bisogni, coglie i segnali e risponde prontamente. La madre insensibile modella i suoi interventi
quasi esclusivamente in base al proprio volere. Non presta attenzione ai segnali di bisogno
mandati dal figlio ma scandisce le cure in base alle sue priorità senza considerare che il bambino
potrebbe avere bisogni in momenti differenti.
2. Madre accentante vs madre rifiutante. Ogni donna che diventa madre si ritrova a dover
gestire una grande frustrazione: il bimbo non è sempre facile da consolare, non sempre è facile
capire di cosa ha bisogno e questo potrebbe far insorgere sentimenti ambivalenti. Da un lato si
ama il bambino ma dall’altro può esserci l’intolleranza. La scala “Accettazione – Rifiuto” si riferisce
proprio all’equilibrio tra i sentimenti negativi e positivi che la madre nutre verso il bambino e
come è capace di integrarli e risolvere. La madre accettante tollera i comportamenti del bambino
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che altre madri troverebbero fastidiosi (pianto, difficoltà nell’imparare a usare il vasetto, bagnare il
letto, momenti di completa inconsolabilità, attacchi di rabbia, indifferenza alle cure materne…). In
questo contesto, la madre riesce a regolare e integrare i sentimenti contrastanti che innesca il figlio
abbracciando una piena accettazione. La mamma rifiutante vive spesso sentimenti di rabbia e
risentimento.
I bambini con uno stile di attaccamento sicuro sono cresciuti con madri che avevano alti
punteggi nelle scale di sensibilità, accettazione, cooperazione e disponibilità. Le madri dei
bambini con attaccamento evitante e ambivalente, invece, erano soprattutto di tipo
rifiutante, interferente o indifferente. Di solito, le madri dei bambini evitanti sono più
distaccate (o distanzianti) e tendono a ridurre al minimo il contatto con il figlio. Le madri dei
bambini ambivalenti sono le più ansiose e sopraffatte dal loro ruolo di madre, hanno
comportamenti più spesso contraddittori che interferiscono nelle attività del bambino e non sanno
gestire le richieste di contatto e consolazione.
23
-esperienza soggettiva delle emozioni;
-processi di condizionamento emozionale inconscio.
L’emisfero sinistro ha più rilevanza nel controllo delle risposte emozionali.
Da un punto di vista anatomico l’emisfero destro nei primi due anni di vita ha un volume maggiore
di quello sinistro, rispetto quale si sviluppa più velocemente. Questa crescita è modulata dalle
interazioni con l’ambiente, in particolare dalle comunicazioni emotive con la figura di attaccamento.
Inoltre, è in questa fase che, grazie all’attivazione dei sistemi limbici dell’emisfero dx gli
apprendimenti condizionati si stabilizzano (imprinting).
Modello gerarchico dello sviluppo dei circuiti limbici dell’emisfero destro
-Alla nascita solo l’amigdala è attiva; questa regola i processi olfattivi che gli permettono di
riconoscere l’odore del latte della madre;
-Intorno alle 8 settimane inizia un periodo critico per lo sviluppo del cingolato anteriore; questo
regola il sorriso, il pianto, il riconoscimento dei volti e la modulazione del sistema autonomo;
-durante il primo anno di vita maturano l’insula e la corteccia parietale; queste regolano
l’esperienza soggettiva delle sensazioni corporee e la capacità di distinguere sé stessi dagli altri;
-dai 9 mesi ai 2 anni si sviluppa la corteccia orbitofrontale; questa regola il sistema di
attaccamento.
La corteccia orbitofrontale si trova tra il sistema limbico e la corteccia prefrontale si espande
particolarmente nell’emisfero destro il suo sviluppo avviene in particolar modo tra i 10/12 mesi e la
fine del secondo anno di vita ; regola l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene associato alle reazioni agli
stimoli stressanti e al comportamento emotivo. E’ fondamentale per la regolazione dei
comportamenti emotivi e più nello specifico:
-nell’elaborazione dei volti;
-nelle risposte emozionali positive a stimoli tattili, gustativi e olfattivi;
-nelle risposte emozionali positive a stimoli musicali;
-nelle risposte emozionali negative a volti tristi e arrabbiati;
-nella regolazione degli stati di attivazione corporea;
-nell’anticipazione dei rinforzi positivi o negativi.
Sembra, infatti, che l’ossitocina, neuromediatore rilasciato dall’asse ipotalamo-iposi-surrene, sia in
grado di tradurre esperienze precoci quali, l’allattamento al seno e altri aspetti dell’interazione
madre-bambino, in modificazioni comportamentali a breve e a lungo termine. La mancanza delle
cure materne sembra alterare il normale sviluppo dei sistemi dell’ossitocina e della vasopressina
nei bambini piccoli.I livelli di ossitocina e vasopressina infatti sono aumentati dalle esperienze
sensoriali piacevoli di natura sociale come le carezze e gli odori. Studi in animali non primati hanno
dimostrato che, quando le concentrazioni di questi ormoni aumentano, gli animali incrementano le
loro interazioni sociali positive. L’ossitocina e i suoi recettori compaiono assai precocemente
durante l’ontogenesi e, nei primati, nelle prime due settimane dopo la nascita, ne è stata
riscontrata un’iperproduzione marcata in aree cerebrali limbiche. La localizzazione dei recettori
dell’ossitocina in aree cerebrali appartenenti al circuito della gratificazione quale il nucleus
accumbens sembra rivestire un ruolo determinante nel rendere piacevoli le interazioni.
Secondo Schore
Attaccamento sicuro determina uno sviluppo efficiente dell’emisfero dx e, dunque, salute
mentale
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Attaccamento insicuro/traumatico invece determina un alterazione dello sviluppo dell’emisfero
dx, alterazioni che vanno a condizionare la salute mentale.
Il termine “autismo” viene utilizzato per la prima volta nel 1911 dallo psichiatra Eugen Bleuler per
riferirsi ad alcune caratteristiche tipiche della schizofrenia quali lo scarso interessamento per il
mondo sociale, il ripiegamento su se stessi, la presenza di pensieri e comportamenti bizzarri e
ripetitivi.
Con la pubblicazione di un articolo Autistic disturbances of affective contact, lo psichiatra
tedesco Kanner (1943) che aveva condotto uno studio su 11 bambini di età compresa tra I 2 e gli
8 anni, separa definitivamente il termine schizofrenia da quello “autismo” e utilizza il termine
“autismo infantile precoce”. Kanner definì l’autismo come un “disturbo del contatto” ad un livello
profondo degli affetti e dell’istinto, identificando in particolare due caratteristiche fondamentali:
“l’estrema solitudine e l’ossessiva insistenza alla ripetitività”
Hans Asperger, nel 1944 (quasi contemporaneamente a Leo Kanner ma indipendentemente da
lui), descrisse una sintomatologia simile a quella descritta da Kanner (difficoltà nelle relazioni
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sociali, difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale) presente in alcuni bambini che, però,
presentavano capacità cognitive nettamente superiori. Fu però Lorna Wing (1981) ad utilizzare
per prima il termine “sindrome di Asperger” come categoria diagnostica. Più recentemente, data la
varietà di sintomatologie e la complessità nel fornirne una definizione clinica coerente e unitaria, si
è ritenuto opportuno parlare di Disturbi dello Spettro Autistico (DSM-5) comprendendo tutta una
serie di patologie o sindromi aventi come denominatore comune la compromissione
dell'interazione sociale e il deficit della comunicazione verbale e non verbale che è all’origine della
ristrettezza degli interessi e dei comportamenti ripetitivi. Distinguiamo, infatti in :
1. Disturbo Autistico;
2. Disturbo di Asperger;
3. Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia;
4. Disturbo di Rett;
5. Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non Altrimenti Specificato”.
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1. nell’ambito della teoria della mente e della metarappresentazione, e cioè la capacità di
rappresentarsi gli stati mentali dell’altro;
2. nella percezione e l’espressione delle emozioni,
3. nell’attenzione condivisa,
4. nell’orientamento sensoriale e nella regolazione dell’arousal,
5. nell’imitazione, e quindi una difficoltà nell’imitare gli altri;
6. nel gioco simbolico,
7. nella comunicazione e il linguaggio,
8. nell’attaccamento, e quindi una difficoltà nella capacità di chiedere aiuto, protezione nel caso di
bisogno
9. nel comportamento intenzionale o finalistico.
Ai fini della diagnosi bisogna, inoltre, specificare:
Con o senza deterioramento intellettivo;
Con o senza deterioramento del linguaggio;
Associato a fattori ambientali o condizioni mediche o genetiche conosciute (in questo caso si
utilizza un codice addizionale).
Relativamente all’aspetto epidemiologico abbiamo una prevalenza nel sesso maschile di 3 /4
volte più frequente rispetto al sesso femminile.
Eziologia è multifattoriale riconducibile a fattori genetici, fattori neurobiologioci: alcune aree del
cervello regioni frontali, temporali, cervelletto risultano sovradimensionate, cominciano ad
aumentare di volume tra i 2 e i 4 anni.
Comorbilita’ (soprattutto quando la diagnosi é di lieve entità non é la prima a essere formulata)
con :
▪ ADHD disturbo da deficit di attenzione e iperattività
▪ Disturbo specifico del linguaggio DSL
▪ DSA disturbo specifico dell’apprendimento, disgrafia, discalculia, disortografia
▪ Disturbo della coordinazione motoria
▪ Disturbo depressivi
▪ Disturbo d’ansia. I soggetti sono maggiormente predisposti anche a causa dell’elevata sensibilità
sensoriale e della difficoltà a regolare le emozioni
▪ DOC disturbi del sonno
Esordio: tra i 12 e i 24 mesi d’età. I primi sintomi evidenti sono nell’area del linguaggio e nell’area
degli interessi che risultano essere ristretti e ripetitivi (utilizzo di pochi giochi e in modo
stereotipato). Sono goffi, assente/incostante risposta al richiamo, assenza di attenzione
condivisa/scambi/imitazione, assenza di gesti deittici (indicare, mostrare, offrire)
TEORIE esistono più teorie che cercano di spiegare le cause dell’insorgenza dei disturbi dello
spettro autistico, nessuna delle quali, va sottolineato è in grado di fornire una spiegazione
esaustiva. Ricordiamo:
A) TEORIA DELLA MENTE
Con tale termine ci si riferisce alla capacità di attribuire a se stessi e ad altri stati mentali come
intenzioni, desideri e credenze, e di utilizzare tale conoscenza per prevedere il comportamento
proprio ed altrui (Premack e Woodrouf, 1978). Questa capacità emerge intorno ai 4 anni di vita e
sembra seriamente danneggiata in bambini con diagnosi di autismo (Baron-Cohen, 1995). Questa
teoria indica la presenza di PRECURSORI indicativi della futura insorgenza del disturbo, quali:
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- Mancanza della triangolazione dello sguardo (tra il bambino, l’adulto e l’oggetto);
- il gesto d’indicare per mostrare qualche cosa ad un’altra persona (pointing dichiarativo)
(Camaioni, 2001);
- assenza dell'imitazione del comportamento degli altri (Meltzoff e Gopnik, 1993);
- assenza del il gioco di finzione (“far finta di”, usare, ad esempio, un oggetto per
rappresentare un altro non esistente o non presente) (Leslie, 1991; Baron-Cohen et al.,
1996; Charman et al., 1997; Rogers et al., 2003).
I compiti utilizzati classicamente per valutare le competenze di teoria della mente sono i COMPITI
DI FALSA CREDENZA compiti di falsa credenza.
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• Ripetizione persistente di parole o frasi (ecolalia);
• Difficoltà ad accettare cambiamenti nelle routine;
• Interessi ristretti;
• Comportamenti ripetitivi (per esempio sfarfallare, girare su se stessi…)
• Reazioni intense e inusuali a suoni, sapori.
STRUMENTI DIAGNOSTICI
1.ADOS 2 ( Autism Diagnostic Observation Schedule ed. 2000) permette la valutazione
standardizzata e semi strutturata della comunicazione, dell’interazione sociale, del gioco e dell’uso
immaginativo di materiali. L’ADOS-2 è composta da 5 moduli:
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– Modulo Toddler per bambini fino ai 31 mesi;
– Modulo 1, dai 31 mesi modulo preverbale–parole singole;
– Modulo 2, linguaggio con frasi;
– Modulo 3, bambino/adolescente;
– Modulo 4, adolescente/giovane adulto.
TIPOLOGIE DI INTERVENTO
Nel trattamento dei disturbi dello spettro autisticoin età evolutiva si utilizzano:
- Interventi a supporto della comunicazione, come il linguaggio dei segni e le immagini a
supporto della verbalità, tra questi ultimi il più noto è il PECS (Picture Exchange
Communication System).
- Interventi a supporto della comunicazione sociale e dell’interazione, che prevedono
soprattutto un adattamento funzionale dell’ambiente.
- Programmi comportamentali: l’ABA (Applied Behavior Analysis), si è dimostrato efficace
nell’incrementare il punteggio di QI, nel promuovere il linguaggio e i comportamenti adattivi.
- La terapia cognitivo comportamentale é praticabile con soggetti aventi un QI non
inferiore a 69, è efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia e per promuovere strategie di
gestione della rabbia nei soggetti con autismo ad alto funzionamento.
Non è consigliabile applicare tecniche avversive volte a ridurre quelli che, in passato
(trascurandone l’aspetto funzionale), erano definiti “comportamenti devianti” come le stereotipie, le
ecolalie, l’auto e l’etero-aggressività. In molti casi i comportamenti devianti si riducono
spontaneamente via via che migliorano le abilità di comunicazione e di interazione con l’altro.
Quando ciò non avviene, l’intervento diretto su tali comportamenti prevede strategie più
complesse:
– il gesto stereotipato e l’uso bizzarro dell’oggetto, ad esempio, vengono inseriti in uno spazio di
condivisione, investiti di significato o integrati in una sequenza di attività ludica ove perdono la
caratteristica di devianza;
31
– i comportamenti auto ed etero-aggressivi invece vengono ridotti aiutando il bambino ad
esprimere il disagio e la rabbia attraverso modalità di comunicazione alternative tra cui la
verbalizzazione dei propri stati interni e l’attacco rivolto all’oggetto piuttosto che all’altro o a se
stesso.
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4) gioco
5) abilità motorie
SINDROME DI RETT
La sindrome di Rett è un disturbo neurodegenerativo con un’eziologia nota, cioè la mutazione di
un gene. Colpisce quasi soltanto le femmine ed esordisce fra 6 e 8 mesi dopo un periodo di
sviluppo normale. Presenta un quadro clinico di rallentamento nella crescita del capo, atassia,
tremori, perdita delle competenze prassiche, perdita della coordinazione motoria, perdita delle
competenze comunicative verbali e non verbali e delle competenze interattive.
Si differenzia rispetto al disturbo autistico, perché le mani presentano delle stereotipie
tipiche e la manipolazione finalistica degli oggetti è praticamente assente.
TRATTAMENTO
Nel trattamento dei disturbi dello spettro autistic in età evolutiva si utilizzano:
- Interventi a supporto della comunicazione, come il linguaggio dei segni e le immagini a
supporto della verbalità, tra questi ultimi il più noto è il PECS (Picture Exchange
Communication System).
- Interventi a supporto della comunicazione sociale e dell’interazione, che prevedono
soprattutto un adattamento funzionale dell’ambiente.
- Programmi comportamentali: l’ABA (Applied Behavior Analysis), si è dimostrato efficace
nell’incrementare il punteggio di QI, nel promuovere il linguaggio e i comportamenti adattivi.
- La terapia cognitivo comportamentale é praticabile con soggetti aventi un QI non
inferiore a 69, è efficace nel trattamento dei disturbi d’ansia e per promuovere strategie di
gestione della rabbia nei soggetti con autismo ad alto funzionamento.
Non è consigliabile applicare tecniche avversive volte a ridurre quelli che, in passato
(trascurandone l’aspetto funzionale), erano definiti “comportamenti devianti” come le stereotipie, le
ecolalie, l’auto e l’etero-aggressività. In molti casi i comportamenti devianti si riducono
spontaneamente via via che migliorano le abilità di comunicazione e di interazione con l’altro.
Quando ciò non avviene, l’intervento diretto su tali comportamenti prevede strategie più
complesse:
– il gesto stereotipato e l’uso bizzarro dell’oggetto, ad esempio, vengono inseriti in uno spazio di
condivisione, investiti di significato o integrati in una sequenza di attività ludica ove perdono la
caratteristica di devianza;
– i comportamenti auto ed etero-aggressivi invece vengono ridotti aiutando il bambino ad
esprimere il disagio e la rabbia attraverso modalità di comunicazione alternative tra cui la
verbalizzazione dei propri stati interni e l’attacco rivolto all’oggetto piuttosto che all’altro o a se
stesso.
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– Una difficoltà di gestione o di tolleranza di liquidi o prodotti alimentari;
– Una riluttanza o un rifiuto nel mangiare legato al gusto, alla consistenza o ad altri fattori
sensoriali;
– Una mancanza di appetito o interesse per il cibo;
– All'utilizzo di comportamenti alimentari con finalità differenti (calmarsi, stimolarsi, lenire la
sofferenza). Una percentuale compresa tra il 25% e il 45% di bambini con uno sviluppo normale
(che raggiunge anche l’80% se si includono bambini con un ritardo nello sviluppo) sperimenta
qualche tipo di problema di alimentazione nell’arco evolutivo; Molte difficoltà di alimentazione
precoce sono transitorie e si risolvono senza un intervento clinico significativo.
Nel DSM-5 (APA, 2013) la sezione sui disturbi alimentari è stata rinominata “disturbi della
nutrizione e dell’alimentazione” ed è definita come: “un persistente disturbo dell’alimentazione
oppure comportamenti inerenti l’alimentazione che hanno come risultato un alterato consumo o
assorbimento di cibo e che compromettono significativamente la salute fisica o il funzionamento
psicosociale”. Nella precedente versione del DSM erano specificate solo due forme principali di
disturbi alimentari: anoressia nervosa e bulimia nervosa, spesso, se non venivano soddisfati
pienamente i criteri per l’una o l’altra forma, si arrivava ad una diagnosi di “disturbo del
comportamento alimentare non altrimenti specificato” (EDNOS). L’applicazione dei criteri del
DSM-5 oggi ha ridotto la frequenza della diagnosi EDNOS, inoltre i criteri necessari per la
diagnosi di anoressia, bulimia e disturbo di alimentazione incontrollata sono diventati meno
restrittivi:
1. la diagnosi di anoressia nervosa non richiede più l’assenza del ciclo mestruale;
2. per la bulimia nervosa la frequenza media delle abbuffate e delle pratiche di compenso è stata
ridotta da almeno due episodi a settimana a uno, per tre mesi consecutivi;
3. la stessa frequenza è richiesta per le abbuffate nel disturbo di alimentazione incontrollata.
Il Dsm -5 individua 6 CATEGORIE DIAGNOSTICHE PRINCIPALI più 2 RESIDUE :
1. pica (pica);
2. disturbo di ruminazione o mericismo (rumination disorder);
3. disturbo alimentare evitante/restrittivo (avoidant/restrictive food intake disorder);
4. anoressia nervosa;
5. bulimia nervosa;
6. disturbo di alimentazione incontrollata (binge eating disorder).
Le due categorie residue sono destinate ad accogliere le sindromi parziali o sottosoglia e altre
forme di rapporto problematico con il cibo:
- altro disturbo della nutrizione o dell’alimentazione specificato (other specified feeding or
eating disorder). I casi più comuni sono forme incomplete o sottosoglia di anoressia nervosa,
bulimia nervosa o disturbo di alimentazione incontrollata; disturbo con condotte di eliminazione
(purging disorder); sindrome del mangiare di notte (night eating syndrome);
- disturbo della nutrizione o dell’alimentazione non specificato (unspecified feeding or eating
disorder). Questa categoria diagnostica si usa quando il clinico vuole segnalare la presenza di un
disturbo della nutrizione o dell’alimentazione ma non ne specifica le caratteristiche, per esempio
per mancanza di informazioni sufficienti come può accadere in un ricovero in pronto soccorso.
IN SINTESI le principali caratteristiche dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione:
- PICA ingestione abituale per almeno un mese di sostanze non alimentari. Può essere
legato a disturbi mentali o psicotici.
- DISTURBO DI RUMINAZIONE abitudine che dura da più di un mese di rigurgitare il cibo
deglutito per masticarlo di nuovo e sputarlo. Nell’età evolutiva può essere transitorio, ha
una prevalenza negli individui con disabilita intellettiva o nei neonati con funzione
autocalmante.
- DISTURBO EVITANTE RESTRITTIVO caratterizzato da un eccitamento basato sulle
caratteristiche del cibo (solo bianco es), preoccupazione per le conseguenze avversive del
mangiare. Non è presente la preoccupazione per il peso. Può essere legato ad una
situazione traumatica es maltrattamenti del caregiver.
- ANORESSIA NERVOSA disturbo caratterzzato dalla restrizione nell’ assunzione di calorie
con conseguente diminuzione del perso. E’ presente un’intensa paura di aumentare di peso
o di diventare grassi, un’eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di
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autostima, mancanza di riconoscimento della gravità della situazione. Non sono presenti
episodi di abbuffate o condotte di eliminazione
- BULIMIA disturbo caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate, sensazione di perdita il
controllo, ricorrenti manovre compensatorie come vomito autoindotto, abuso di lassativi,
diuretico, digiuno, esercizio fisico eccessivo.
- DISTURBO DI ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA caratterizzato da episodi ricorrenti di
abbuffate, non vi sono però comportamenti compensatori inappropriati e non si verifica
esclusivamente in presenza di anoressia o bulimia nervosa.
PICA: la Pica è l’ingestione abituale, per almeno un mese, di sostanze non nutritive e/o
considerate non alimentari nella cultura di appartenenza come carta (xilofagia), terra (geofagia),
feci (coprofagia), ghiaccio (pagofagia), sapone, capelli, ecc. Il termine “non nutritive” è stato
incluso perché la diagnosi di pica non va applicata quando sono ingeriti prodotti alimentari che
hanno un contenuto nutrizionale minimo. Tipicamente non c’è avversione nei confronti del cibo
in generale. Il comportamento può essere legato a insufficienze mentali o a disturbi psicotici
cronici con lunghe istituzionalizzazioni. A volte si associa ad anoressia o bulimia.
Una delle forme più comuni è la pagofagia, ingestione abituale e compulsiva di ghiaccio,
associata spesso a mancanza di ferro e anemia sideropenica.
Criteri diagnostici secondo il DSM-5 (APA, 2013)
a) Persistente ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili per un periodo
di almeno 1 mese.
b) L’ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili è inappropriata rispetto
allo stadio di sviluppo dell’individuo.
c) Il comportamento di ingestione non fa parte di una pratica culturalmente sancita o
socialmente normata.
d) Se il comportamento di ingestione si manifesta nel contesto di un altro disturbo mentale (per es.,
disabilità intellettiva – disturbo dello sviluppo intellettivo – disturbo dello spettro dell’autismo,
schizofrenia) o di un’altra condizione medica, decve essere sufficientemente grave da giustificare
ulteriore attenzione clinica.
Si indica in remissione se successivamente alla precedente piena soddisfazione dei criteri per la
pica, i criteri non sono stati soddisfatti per un consistente periodo di tempo.
Codici diagnostici: ICD-9: 307.52; ICD-10: F98.3 per bambini; F50.8 per adulti.
Prevalenza: i tassi di prevalenza non sono chiari. Tra gli individui con disabilità intellettiva, la
prevalenza del disturbo sembra aumentare con la gravità della condizione.
Sviluppo e decorso
• Può verificarsi in età infantile, in adolescenza o in età adulta.
• Nei bambini può verificarsi anche in condizione di sviluppo normale.
• Negli adulti è più probabile che si presenti in caso di ritardo intellettivo o di altri disturbi.
• In gravidanza possono verificarsi desideri incontrollati specifici di ingestione, per esempio di
gesso o di ghiaccio. Può essere posta diagnosi solo se l’ingestione comporta un rischio per la
salute.
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Il successo nella restrizione rafforza lo scopo di controllare l'alimentazione. Quest'ultimo
scopo probabilmente implica anche lo scopo di essere autonomi e dunque meno obbligati a
tener conto delle aspettative altrui, meno obbligati a essere oblative e compiacenti.
Un'altra motivazione di rinforzo alla restrizione è la dimensione interpersonale: mangiare
diversamente dagli altri e opporsi all’insistenza dei familiari serve a marcare un confine cioè ad
affermare la propria autonomia senza mettere a rischio i legami affettivi.
IPOTESI TRANDIAGNOSTICA
La teoria cognitivo comportamentale transdiagnostica dei disturbi alimentari considera i disturbi
alimentari un'unica categoria e non disturbi separati e mantenuti da meccanismi comuni. I
pazienti affetti da disturbi dell’alimentazione hanno, infatti, caratteristiche simili, inoltre migrano da
una diagnosi all’ altra.
La teoria sostiene che l’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo
dell’alimentazione è la psicopatologia specifica e centrale dei disturbi dell’alimentazione.
Mentre le persone si valutano generalmente in base alla percezione delle loro prestazioni in una
varietà di domini della loro vita (per es. relazioni interpersonali, scuola, lavoro, sport, abilità
intellettuali e genitoriali, ecc.), quelle affette da disturbi dell’alimentazione si valutano in modo
esclusivo o predominante in base al controllo che riescono a esercitare sul peso o sulla forma del
corpo o sull’alimentazione (spesso su tutte e tre le caratteristiche).
L’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione è di
primaria importanza nel mantenimento dei disturbi dell’alimentazione: la maggior parte delle altre
caratteristiche cliniche deriva, infatti, direttamente o indirettamente da essa. Per esempio, i
comportamenti di controllo del peso estremi (dieta ferrea, esercizio fisico eccessivo e compulsivo,
vomito autoindotto, uso improprio di lassativi o di diuretici, check ed evitamento del corpo,
sensazione di essere grassi) e perseguire il raggiungimento e il mantenimento di un grave
sottopeso sono comprensibili se una persona crede che il controllo dell’alimentazione, del peso e
della forma del corpo siano di estrema importanza per giudicare il suo valore. L’unico
comportamento, non strettamente legato a questo schema di autovalutazione disfunzionale
è l’abbuffata presente in un sottogruppo di persone affette da disturbi dell’alimentazione, sembra
essere la conseguenza del tentativo di restringere in modo ferreo l’alimentazione o, in taluni casi,
di modulare eventi ed emozioni associati all’ allentamento del controllo dell’alimentazione che si
verifica quando sono usati comportamenti di compenso (per es. vomito autoindotto, uso improprio
di lassativi e diuretici) dopo gli episodi bulimici. Le varie manifestazioni cliniche dei disturbi
dell’alimentazione a loro volta mantengono in uno stato di continua attivazione lo stato mentale del
disturbo dell’alimentazione e assieme ad esso formano i cosiddetti meccanismi di mantenimento
interni o specifici (perché sono presenti solo in questi disturbi).
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La teoria transdiagnostica propone che, in un sottogruppo di pazienti, siano presenti uno o più dei
seguenti meccanismi di mantenimento esterni o non specifici (perché sono presenti anche in
altre problematiche psicologiche).
- perfezionismo clinico;
- bassa autostima nucleare;
- difficoltà interpersonali e
- intolleranza alle emozioni.
I fattori di mantenimento esterni, se presenti, interagiscono con quelli interni nel perpetuare
il disturbo dell’alimentazione attraverso vari meccanismi.
A)la Diagnostic Classification of Mental Health and Developmental Disorders of Infancy and
Early Childhood-Revised: 0-3R (DC: 0-3R; Zero To Three, 2005) che prende in considerazione i
bambini dagli 0 ai 3 anni;
B)i Great Ormond Street Criteria che si riferisce ai bambini dagli 8 ai 14 anni. Nel sistema GOS
engono differenziati 7 quadri clinici, distinti per peculiarità sintomatologiche e differente gravità
clinica e diagnostica.
La DC:0-3R riconosce una particolare categoria diagnostica per i disturbi alimentari nei bambini
dagli 0 ai 3 anni definita Feeding Disorder (Zero to Three, 2005), che consiste in una “Difficoltà
del bambino a stabilire pattern regolari di alimentazione con un’adeguata immissione di cibo e a
regolare la propria alimentazione con gli stati fisiologici di fame e sazietà”.
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crescita. Va precisato che l’anoressia infantile non è dovuta ad un evento traumatico e non
ha una causa medica sottostante.
4. Avversione sensoriale per il cibo Nell’avversione sensoriale per il cibo, il bambino rifiuta
alcuni tipi di cibo a causa di alcune caratteristiche che li accomuna (sapore, odore e/o
consistenza) ma mangia senza problema i suoi cibi preferiti. Questo disturbo si presenta
solitamente quando si provano ad inserire nell’alimentazione cibi diversi. Le conseguenze
sono carenze nutrizionali specifiche e ritardi nello sviluppo orale-motorio.
A)la Diagnostic Classification of Mental Health and Developmental Disorders of Infancy and
Early Childhood-Revised: 0-3R (DC: 0-3R; Zero To Three, 2005) che prende in considerazione i
bambini dagli 0 ai 3 anni;
B)i Great Ormond Street Criteria che si riferisce ai bambini dagli 8 ai 14 anni. Nel sistema GOS
engono differenziati 7 quadri clinici, distinti per peculiarità sintomatologiche e differente gravità
clinica e diagnostica.
1. Anoressia Nervosa
2. Bulimia Nervosa
3. Disturbo emotivo di rifiuto del cibo
4. Alimentazione selettiva
5. Disfagia Funzionale
6. Iperalimentazione compulsiva
7. Rifiuto Pervasivo
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autostima, mancanza di riconoscimento della gravità della situazione. Non sono presenti
episodi di abbuffate o condotte di eliminazione.
2. BULIMIA disturbo caratterizzato da ricorrenti episodi di abbuffate, sensazione di perdita il
controllo, ricorrenti manovre compensatorie come vomito autoindotto, abuso di lassativi,
diuretico, digiuno, esercizio fisico eccessivo. Anche in questo caso i bambini hanno
eccessive preoccupazioni per il peso e/o la forma del corpo
3. DISTURBO EMOZIONALE CON EVITAMENTO DEL CIBO ( Food Avoidance Emotional
Disorder) secondo i criteri GOS, ha le seguenti caratteristiche:
- L’evitamento del cibo rappresenta il sintomo prevalente;
- presenza di una storia di evitamento del cibo o difficoltà nell’alimentarsi (ad es., fare
capricci per mangiare o restrizioni);
- Non totale corrispondenza con i criteri per Anoressia Nervosa;
- Assenza di disturbi cerebrali, psicosi, abuso di droghe, effetti collaterali dovuti
all’assunzione di farmaci. I bambini con questo disturbo: possono ritrovarsi in condizioni
fisiche molto precarie, con peso molto basso e difficoltà nella crescita. Rispetto a quelli
che sogffrono di AN e BN non hanno la stessa preoccupazione per il peso e la forma
del corpo e nemmeno presentano distorsioni dell’immagine corporea; sanno di
essere sottopeso e vorrebbero ingrassare ma non conoscono il motivo di questa difficoltà.
4. ALIMENTAZIONE SELETTIVA Great Ormond Street Criteria (GOS) Si riscontra in
bambini che limitano l’assunzione di cibo ad un numero molto ridotto di cibi “preferiti”.
Tipicamente, potrebbero mangiare solamente cinque o sei cibi differenti, a volte facendo
attenzione alle marche o a dove il cibo è stato acquistato. Sembrano non abbandonare la
normale fase di sviluppo delle “preferenze” del cibo. I tentativi di ampliare il repertorio
dei cibi di solito incontrano estrema resistenza e se costretti a mangiare cibi nuovi
sembrano essere sul punto di vomitare. La dieta è solitamente ricca di carboidrati e anche
le bevande potrebbero essere selezionate. I bambini spesso mantengono un peso e
un’altezza appropriati per la loro età (la loro crescita non sembra essere compromessa
dalle abitudini alimentari). È più frequente nei ragazzi rispetto alle ragazze. Ha
ripercussioni sul funzionamento sociale (la richiesta di aiuto da parte dei genitori è dovuta
prevalentemente all’impatto che questo problema ha sul gruppo). Nella maggior parte dei
casi, l’alimentazione selettiva è considerata come un problema sociale piuttosto che
fisico. Tende a risolversi con l’età spesso avviene attraverso il conformarsi al gruppo
di pari.
5. DISFAGIA FUNZIONALE Great Ormond Street Criteria (GOS) - (Nicholls, Chater, e
Lask, 2000). Questo disordine dell’alimentazione si riscontra in bambini che mostrano un
marcato evitamento del cibo (vengono evitati soprattutto cibi di un certo tipo o
composizione) a causa della paura di deglutire, soffocare o vomitare, ciò li rende ansiosi e
provoca in loro una resistenza a mangiare normalmente. In molti casi si osserva un fattore
precipitante quale un evento aversivo (un’indagine gastrointestinale traumatica, aver
mangiato un cibo avariato o aver sofferto di un attacco di diarrea e vomito dove il bambino
ha vomitato in pubblico; un incidente in cui un pezzo di cibo sia rimasto incastrato in gola).
I bambini con disfagia funzionale non hanno preoccupazioni legate al peso e alla
forma del corpo tipiche dell’AN e della BN.
6. IPERALIMENTAZIONE COMPULSIVA (Great Ormond Street Criteria (GOS) - (Nicholls,
Chater, e Lask, 2000) questo disturbo riguarda bambini che mangiano molto sin dalla prima
infanzia e persistono nella stessa modalità anche in epoche successive. I genitori
frequentemente raccontano ricordi di piccoli sempre affamati, estrema difficoltà a far
seguire una dieta e sovrappeso. Si distingue dalla bulimia perché vi è assenza di
vomito auto indotto, abuso di lassativi e condotte di eliminazione. I ragazzi mangiano
in modo eccessivo e non si preoccupano del loro peso o della forma del corpo.
Inoltre, non è presente il senso di perdita di controllo durante l’abbuffata né senso di colpa.
L’unico punto in comune con la bulimia è la tendenza a mangiare se stressati nei momenti
di disagio. È importante che sia compreso il meccanismo psicologico da cui dipende il
comportamento alimentare: in risposta ad arousal emozionale o in risposta a stimoli
ambientali. La differenza tra questi due meccanismi può suggerire una grande varietà di
strategie di intervento di tipo cognitivo per la gestione dell’alimentazione.
48
7. SINDROME PERVASIVA DI RIFIUTO Great Ormond Street Criteria (GOS) Termine
usato per descrivere un ridotto numero di bambini che presentano una condizione di vita
potenzialmente a rischio. Si manifesta con un profondo e pervasivo rifiuto di
mangiare, bere, camminare, parlare o prendersi cura di se stessi in alcun modo, per
un periodo di diversi mesi (Lask, Britten, Kroll, Magagna, & Tranter, 1991).I bambini con
questa particolare combinazione di sintomi e caratteristiche non rientrano in nessuna
categoria diagnostica esistente. Probabilmente tale condizione può essere spiegata come
un’estrema forma di disturbo post traumatico da stress. I bambini con questa “diagnosi”
presentano sottopeso e spesso disidratazione, rifiutano fermamente cibo e
bevandeDifferenza con un’anoressia nervosa acuta: il bambino tende a non essere
sufficientemente comunicativo e il rifiuto si estende a tutte le aree di funzionamento sociale
e personale.
Continuità tra problematiche alimentari in età evolutiva e disturbi alimentari in età adulta
L’insorgenza dei DCA solitamente avviene in adolescenza (Anoressia) o in tarda
adolescenza/prima età adulta (Bulimia). Alcuni studi longitudinali hanno dimostrato che esiste un
rapporto tra le problematiche alimentari in età evolutiva e quelle in età adolescenziale/adulta. Le
conclusioni a cui sono giunti questi studi sono che il comportamento alimentare nell’età adulta ha
continuato ad essere caratterizzato da:
- reattività disfunzionale alla sazietà,
- mancanza di piacere nel mangiare,
- crescita di meticolosità nella scelta dei cibi “mangiano pochi pasti, mangiano lentamente e
spesso sono selettivi e meno interessati al cibo”.
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DEPRESSIONE NEL BAMBINO E NELL’ADULTO
Fino agli anni ’70 si riteneva che i bambini non soffrissero di depressione, solo nel nel 1971
l’Unione degli Psichiatri Infantili Europei riconosce ufficialmente che la depressione poteva
manifestarsi anche nell’infanzia e nell’adolescenza e che potesse cronicizzare in età adulta. I
disturbi depressive hanno ripercussioni ed influenze profonde sulla crescita, sulle performance
scolastiche, sulle relazioni con i coetanei e con i familiari, sulla intera qualità della vita.
I sintomi depressivi associati a specifici sentimenti depressive come la tristezza, il senso di
inadeguatezza e di mortificazione, vergogna, paura di non essere amati, sensazione di esclusione
dal gruppo, senso di colpa, incapacità ad esprimere e a modulare l’aggressività.
I bambini depressi sono bambini tristi, consapevoli di esserlo, anche se possono negarlo o
esprimerlo in maniera paradossale o poco chiara:
- sono preoccupati, chiedono spesso se si vuol loro bene, ma non riescono ad esprimere il
proprio bisogno;
- non si divertono e/o non investono nel gioco e nelle attività previste per l’età. Nei I casi più
gravi, si può presentare una similitudine con la depressione melanconica dell’adulto,
caratterizzata da vera e propria anedonia.
- possono essere oppositivi e manifestare una compromissione delle prestazioni scolastiche;
frequentemente sono presenti preoccupazioni e fantasie sul tema della morte, che compaiono in
maniera eccessivamente precoce o atipica
Nel DSM-5 distinguiamo:
1. Disturbo da Disregolazione dell’Umore Dirompente
2. Disturbo Depressivo Maggiore (incluso episodio depressivo maggiore)
3. Disturbo Depressivo Persistente ( prima Distimia)
4. Disturbo Disforico Premestruale
5. Disturbo Depressivo indotto da sostanze/farmaco
6. Disturbo Depressivo dovuto ad altra condizione medica
7. Altri Disturbi Depressivi Specifici
8. Disturbo Depressivo non specificato
Il comune denominatore di questi disturbi è la presenza di tristezza, sensazione di vuoto o umore
irritabile, accompagnati da cambiamenti somatici e cognitivi significativamente interferenti con il
funzionamento dell’individuo.
Le differenze tra i disturbi fanno riferimento a durata, distribuzione temporale e presunta
eziologia.
I PRIMI TRE DISTURBI SONO QUELLI PIU’ TIPICI DELL’ETA’ EVOLUTIVA.
Quando parliamo di un disturbo in età evolutiva, è necessario fare delle distinzioni. Tutti noi
sappiamo che un bambino di tre anni ha capacità cognitive ed emotive diverse da un ragazzo di
dodici e di ciò si deve tener conto nell’effettuare una diagnosi. SINPIA (Società Italiana di
Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) ha pubblicato LINEE GUIDA(SINPIA, 2007)
che descrivono le principali manifestazioni comportamentali ed emotive del soggetto in base all’età
In ETA’ PRESCOLARE sono presenti sintomi specifici e stabili; inoltre sono stati rilevati correlati
biologici (elevata reattività dell'ormone dello stress) simili a quelli presenti nella depressione degli
adulti
I bambini piccoli incontrano spesso difficoltà nel descrivere i loro stati d'animo ne consegue una
maggiore frequenza di sintomi somatici quali:
- perdita di appetito,
- disturbi del sonno,
- scarsa crescita, disordini evolutivi .
Più frequentemente: ridotta attività psicomotoria, svogliatezza, sbalzi d'umore, irritabilità e
aggressività.
L'IRRITABILITA’, intesa come facilità a perdere la calma, essere particolarmente permaloso e
cronicamente arrabbiato, è un sintomo aspecifico che può presentarsi in una varietà di disturbi
della prima infanzia. Se si presenta insieme a ritiro sociale, anedonia e/o eccessivi sensi di
colpa deve essere presa in considerazione l'eventualità che si tratti di un disturbo depressivo.
55
I pensieri automatici negativi sono prodotti da schemi cioè modelli interpretativi di sé e
della realtà costituitisi in relazione alle esperienze, soprattutto precoci.
Questi schemi vengono immagazzinati e successivamente utilizzati per organizzare nuove
informazioni, dotandole di significato. Perciò, determinano il modo in cui gli eventi vengono
percepiti e interpretati. In sintesi gli schemi sono stabili, difficilmente modificabili, orientano i
processi cognitivi in modo confirmatorio, guidano il dialogo interno attraverso i pensieri
automatici negativi. Secondo Beck vengono appresi nell'infanzia a seguito di esperienze
negative di abbandono, di accudimento rifiutante, di trascuratezza, maltrattamenti e abusi e
di lutti. Probabilmente i fattori genetici hanno un peso nel contribuire alla traumaticità delle
esperienze negative. Gli schemi possono essere disattivati anche per tutta la vita. A seguito di
eventi stressanti gli schemi possono riattivarsi:
– reazione a catena, in cui la visione negativa di sé, degli altri e del futuro guida
l’attribuzione di significato agli eventi;
– tutto comincia ad essere valutato come perdita, prova del proprio disvalore, della propria
incapacità e impotenza, come negatività certa del futuro e come indisponibilità degli altri.
Il contenuto degli schemi dei pazienti depressi è quello della triade cognitiva.
Tutti i dati (genetici biochimici e di neuroimaging) provano che nei pazienti depressi è
compromessa la capacità di regolare le emozioni negative, e quindi c'è la tendenza a reagire in
modo più intenso disregolato agli eventi negativi
Gli schemi orientano i processi cognitivi in senso confirmatorio.
– Il senso di inutilità si traduce in senso di fatica che implica passività che a sua volta rafforza il
senso di fatica.
– La flessione dell’umore implica, soprattutto nelle persone tendenzialmente distimiche, un
aumento degli standard e quindi facilita insoddisfazione per i risultati.
– Gli stessi sintomi sono interpretati come conferma della visione negativa di sé.
– Il ritiro sociale può implicare allontanamento degli altri e dunque confermare la visione
negativa del mondo e di sé.
Esordio e decorso L’eta media di insorgenza del Disturbo d’Ansia Sociale e tra gli 8 ed i 15 anni
nel 75 % delle persone. Esso puo svilupparsi dopo aver avuto un’esperienza umiliante oppure
l’esordio puo essere lento e graduale. Alcuni cambiamenti di vita e di abitudini possono facilitare la
comparsa del disturbo, certe condizioni possono anche ridurlo temporaneamente per poi farlo
ripresentare. I soggetti giovani tendono a manifestare ansia sociale marcata ma focalizzata per
certe situazioni, mentre, con l’avanzare dell’eta, persone piu anziane hanno livelli piu bassi di
ansia, ma diffusa in svariati contesti. In soggetti con deficit fisici o malattie particolari la paura del
giudizio puo essere strettamente legata a questi fattori e generare un Disturbo d’Ansia Sociale.
Nella maggioranza dei soggetti, il 60 %, il disturbo non adeguatamente trattato va incontro a un
decorso della durata di anni.
Cause Le cause del Disturbo d’Ansia Sociale si collocano su piu livelli. Il temperamento stesso di
una persona può facilitare la comparsa del disturbo: individui con una forte tendenza a inibire certi
comportamenti o facilmente influenzabili dal giudizio altrui sono piu vulnerabili all’insorgenza del
disturbo. Maltrattamenti ed episodi traumatici nell’infanzia non rappresentano una causa del
disturbo, tuttavia sono stati riconosciuti come fattori di rischio per l’ansia sociale. I figli di genitori
ansiosi hanno possibilita da 2 a 6 volte maggiori di sviluppare un Disturbo d’Ansia Sociale.
Tuttavia la predisposizione genetica deve far fronte anche all’interazione ambientale: individui
molto predisposti possono non sviluppare alcun disturbo perche l’ambiente nel quale vivono non
ha manifestato le condizioni per crearlo.
A. Marcata paura o ansia rispetto a una o più situazioni sociali in cui l'individuo è esposto al
possibile giudizio degli altri. Gli esempi includono le interazioni sociali (nel corso di una
conversazione, conoscere persone non familiari), di essere osservato (mangiare o bere) e le
performance di fronte ad altri (un discorso). Nota: Nei bambini, l'ansia deve manifestarsi con
i coetanei e non solo durante le interazioni con gli adulti.
B. L’individuo teme di mostrare i sintomi di ansia e che verranno valutati negativamente
(umiliazione, imbarazzo).
C. Le situazioni sociali provocano quasi sempre paura o ansia Nota: Nei bambini la paura o
l'ansia può essere espressa piangendo, con scoppi di ira, freezing o stare in disparte in
59
situazioni sociali.
D. Le situazioni sociali vengono evitate o sopportate con intensa paura o ansia.
E. La paura o ansia è sproporzionata alla minaccia reale rappresentata dalla situazione sociale e
al contesto socio-culturale.
F. La paura, l'ansia o l'evitamento sono persistenti, di solito della durata di 6 mesi o più.
G. La paura, l'ansia o l'evitamento causano disagio clinicamente significativo o menomazione nel
funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti del funzionamento.
H. La paura, l'ansia o l'evitamento non è imputabile agli effetti fisiologici di una sostanza o di
un'altra condizione medica.
I. La paura, l'ansia o l'evitamento nonsono meglio spiegati con i sintomi di un altro disturbo
mentale, come il Disturbo di Panico, Disturbo da Dismorfismo Corporeo o da un Disturbo dello
Spettro Autistico.
J. Se è presente un’altra condizione medica (morbo di Parkinson, l'obesità o lesioni), la paura,
l'ansia o l'evitamento è chiaramente non correlata o eccessiva.
Specificare se solo legato alla performance: se la paura è limitata a parlare o esibirsi in
pubblico.
SVILUPPO E DECORSO
L’età media dell’esordio è l’adolescenza (13 a.), ma il disturbo è presente anche nei bambini a
partire dall’età di 8 anni.
75% dei soggetti insorgenza tra 8 e 15 anni
Può avvenire in seguito a un’esperienza stressante o umiliante (essere vittima di bullismo,
vomitare durante un discorso in pubblico), oppure in modo graduale, lento ed insidioso (più
esperienze ripetute nel tempo).
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caratteristiche comuni con il Disturbo d’Ansia Sociale. Nel disturbo evitante gli evitamenti sono
solitamente più marcati ed estesi rispetto all’ansia sociale e durano da molto più tempo;tuttavia
Disturbo Evitante di Personalità e Disturbo d’Ansia Sociale spesso si presentano insieme.
LA METAVERGONA
La vergogna ha una sua funzione adattiva. Diventare rossi avrebbe il senso di segnalare che la
persona è consapevole della propria inadeguatezza, di un proprio errore. L’aspetto manifesto
dell’emozione ( il rossore) rappresenterebbe una sorta di captatio benevolentia nei confronti
degli altri, di condivisione se non altro dei valori del gruppo ed in quanto tale, ha una valenza
positive.
La metavergogna è “la vergogna della vergogna”, descrive la situazione in cui la persona, il
metavergognoso, si vergogna di vergognarsi, attivando di fatto ansia sociale dovuta alla minaccia
e compromissione dello scopo della buona immagine: l’attivazione fisiologica (arrossire, sudare,
tremare) in situazioni sociali porta il metavergognoso a percepire la propria inadeguatezza
crescente e in lui si manifesta il timore che gli altri si accorgano di queste manifestazioni, andando
a minare lo scopo della buona immagine, crescera’ allora l’ansia fino a raggiungere livelli anche
altissimi.
Il timore nasce dal fatto che, per i suoi segnali di vergogna gli altri lo valuteranno come persona
debole, troppo dipendente dal giudizio altrui, questa emozione è alla base dell’Ansi Sociale .
L’ansia sociale-fobia sociale è un disturbo d’ansia che si manifesta in relazione all’esposizione a
situazioni interpersonali o di prestazione in pubblico (conversazioni, incontro persone sconosciute,
essere osservati mentre si mangia, eseguire una prestazione di fronte ad altri) e consiste nel
timore di compromissione, o nella minaccia di compromissione, dello scopo della buona immagine,
cioè dal timore della brutta figura
La preoccupazione può essere anche, anticipatoria, cioè sperimentata prima di una situazione
sociale oppure successiva alla performance e caratterizzata dal ripercorrere i propri comportamenti
e le reazioni degli altri.
La caratteristica principale dell’ansioso sociale è la paura di essere criticato, ridicolizzato, svilito e
di conseguenza escluso dagli altri, a seguito delle manifestazioni di inadeguatezza e incapacità ma
soprattutto a seguito dei sintomi della vergogna.
Teme di apparire persona debole di carattere, eccessivamente dipendente dal giudizio degli altri,
disposto alla sottomissione e attribuisce alla possibilità di essere giudicato debole di carattere, un
bamboccio, un sottomesso, un valore negativo molto elevato o addirittura inaccettabile e assume
che tale giudizio sia espresso a causa delle manifestazioni della sua stessa ansia sociale
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E’ importante sottolineare però che la valutazione negativa temuta, per portare a vergona, deve
riferirsi a criteri di valore condivisi da colui che si vergogna (cioè deve essere relativa ad un tema
sentito come importante dal Vergognoso); è necessario anche un altro ingrediente, il
disvelamento
Si può provare vergogna sia nel prevedere e immaginare una figuraccia sia ovviamente
nell’esposizione a una “figuraccia” e anche nei momenti successivi: nel riesaminare cioè una
interazione si possono “scoprire” i segnali di una figuraccia non percepita nel corso dell’interazione
e ci si può vergognare solo dopo.
GLI HIKIKOMORI
Sin dalla fine degli anni ’90 (Saito, 1998), è stata descritta in Giappone una particolare condizione
psicologica che riguarda soprattutto gli adolescenti e i giovani adulti e che è stata
definita hikikomori, letteralmente ritiro sociale.
Tale condizione si caratterizza, infatti, proprio per un rifiuto verso la vita sociale, scolastica,
lavorativa per un periodo di tempo prolungato di almeno 6 mesi e una mancanza di relazioni
intime ad eccezione di quelle con i famigliari più stretti.I giovani hikikomori possono
mostrare il loro disagio in vario modo: restare chiusi in casa tutto il giorno, oppure uscire solo di
notte o di prima mattina quando hanno la certezza di non incontrare conoscenti, oppure ancora
fingere di recarsi a scuola o al lavoro e invece girovagare senza meta per tutto il giorno.Il
fenomeno è stato spesso associato all’internet addiction, ma gli studi mostrano che solo nel 10%
dei casi è stato riscontrato anche questo tipo di dipendenza.
RITIRO SOCIALE
Con il termine "ritiro sociale" si intende una condizione sociale caratterizzata prevalentemente da
sentimenti di solitudine, isolamento, ritiro dalla società e dalle relazioni interpersonali. Nelle società
nipponiche questo fenomeno si configura con l'espressione Hikikomori che deriva dal
verbo Hiku (tirare indietro) e Komoru (nascondere, recludere) Questa sindrome si manifesta in
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modi differenti: con permanenza in ambiente domestico per lunghi periodi di tempo, mancanza di
rapporti amicali, assenza di comunicazione con la famiglia, evitamento di qualsiasi forma di
contatto visivo, assenza quindi di relazioni significative e/o intimità emotiva e fisica.
Tale condizione si caratterizza, infatti, proprio per un rifiuto verso la vita sociale, scolastica,
lavorativa per un periodo di tempo prolungato di almeno 6 mesi e una mancanza di relazioni
intime ad eccezione di quelle con i famigliari più stretti..Il fenomeno è stato spesso associato
all’internet addiction, ma gli studi mostrano che solo nel 10% dei casi è stato riscontrato anche
questo tipo di dipendenza.
Da un punto di vista sociologico, invece, si sono indagati soprattutto i fattori legati al particolare
sistema culturale giapponese, basato sul confucianesimo. L’ipotesi che ne è scaturita è che
questi giovani, pressati dai valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a voler
sempre primeggiare sia a scuola che al lavoro, non si sentano all’altezza degli standard loro
richiesti e preferiscano quindi rinchiudersi in casa per evitare di affrontare una realtà quotidiana
che avvertono come opprimente.
Il disinvestimento dei giovani verso la vita sociale e lavorativa, anche se non esattamente analogo
all’hikikomori, è stato riscontrato anche in alcuni paesi occidentali.
CLASSIFICAZIONE degli "hikikomori"
6. Deteriorati psicologicamente: necessitano di un intervento psichiatrico.
7. Otaku (geek): impegnati a leggere manga e/o a giocare ai videogiochi.
8. Alternativi: alla ricerca di modelli alternativi vs. desiderio di non conformarsi.
9. Isolati: persone che sperimentano una forte condizione di solitudine e cercano relazioni
sociali attraverso internet.
10. Ansiosi: vivono con forte tensione i passaggi da una condizione ad un’altra (passaggio dal
mondo della scuola al mondo del lavoro).
Diverse classificazioni, con caratteristiche simili, esistevano in Giappone da prima della definizione
di hikikomori e includevano alcune forme di comportamento insolito rispetto alla cultura
giapponese.
– Freeters: giovani che fanno lavori part time e cambiano spesso tipo e posto di lavoro
(Hirano, 2005).
– Neet: giovani che non studiano né lavorano (Genda, 2011).
Futoko: giovani che non vanno a scuola e non avanzano con la carriera lavorativa
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1. Ansia fisiologica (FIS): analisi di preoccupazioni somatiche, quali nausea, problemi di
sonno, mal di testa e stanchezza;
2. Preoccupazione (PRE): un elevato punteggio indica in questa scala che il soggetto è
spaventato, nervoso e ipersensibile alle pressioni ambientali;
3. Ansia sociale (SOC): non sentirsi bravi, validi e capaci come gli altri;
4. Indice di Ansia totale (TOT): un elevato livello di ansia può essere significativo di un
ampio spettro di problemi evidenziati nella vita di un bambino o di un adolescente, inclusi
quelli osservati in ambito scolastico, come scarso rendimento rispetto alle proprie capacità,
rifiuto per la scuola o abbandono scolastico precoce, ma anche difficoltà in famiglia, abuso
di sostanze e disturbi dell’alimentazione.
5. Atteggiamento difensivo (DIF): valuta se il soggetto è disposto ad ammettere le
imperfezioni quotidiane come parte dell’esperienza comune;
6. Indice di Incoerenza nelle Risposte (INC): viene ricavato considerando la congruenza
nelle risposte date a 9 coppie di item
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quanto queste terapie hanno evidenziato prove di efficacia. Gli interventi di selfhelp e i gruppi
psicoeducativi sono condotti ugualmente secondo un orientamento di terapia cognitiva. (Fonte:
National Institute for Health and Clinical Excelence, NICE, 2011)In terapia cognitiva, terapeuta
e paziente lavorano per far emergere processi e meccanismi disfunzionali che messi in atto
automaticamente. Vengono individuate le varie situazioni temute e si modificano i pensieri
pervasivi. In seguito si concordano esposizioni graduali alle varie situazioni temute,
affiancate da tecniche di rilassamento e apprendimento di abilità sociali. Il paziente
generalmente dopo qualche settimana dall’inizio della terapia avverte subito che sta
recuperando molti aspetti della sua vita e si sente in grado di proseguire con la terapia così
impostata, in modo graduale, fino alla risoluzione della problematica.
Tra i recenti trattamenti che hanno mostrato prove di efficacia nel trattamento del Disturbo
d’Ansia
Sociale citiamo il modello di Clark e Wells (1995), basato in parte sul modello metacognitivo.
Clark
et al. (2003) hanno dimostrato che la terapia cognitiva ha risultati migliori rispetto a farmaci
oplacebo, con effetti che si mantengono stabili a un anno.
68
psicoemotivo associato al Disturbo d'ansia di separazione e cosi marcato e disturbante da indurre
la persona interessata a evitare in tutti i modi di allontanarsi da casa o di restare sola.
Quando un bambino soffre di Disturbo d'ansia di separazione puo essere pressoche impossibile
riuscire a farlo giocare o dormire da solo nella propria stanza e, spesso, i genitori o le altre figure di
riferimento sono costantemente seguite in ogni spostamento, anche di pochi metri, pur di
mantenerle nel raggio visuale. La presenza di Disturbo d'ansia di separazione nell'infanzia può
compromettere la crescita serena del bambino in quanto limita notevolmente le esperienze
relazionali e di vita con ripercussioni negative sulla vita sociale, affettiva e professionale anche in
età adulta. Il clima familiare che si crea, inoltre, può indurre tensioni e deteriorare la relazione tra i
genitori, specie in caso di disaccordo sulla strategia educativa da seguire.
Sintomi
L'ansia di separazione é un fenomeno normalmente presente durante lo sviluppo neuropsicologico
del bambino che, in genere, tende spontaneamente ad attenuarsi dopo i 2 anni, per scomparire
pressoché completamente prima della pubertà, benche con tempi e modalita differenti da caso a
caso. A dover preoccupare e la persistenza di un'ansia di separazione significativa dopo i 6-
5 anni. SINTOMI
- Difficoltà persistente a lasciare i genitori/persona di riferimento o l'abitazione.
- Timore costante ed eccessivo che possa accadere qualcosa di tragico a un
genitore/persona di riferimento.
- timore costante ed eccessivo che si possa essere vittima di incidenti o rapimenti mentre si
è soli.
- Rifiuto fermo e sistematico di allontanarsi da casa o di rimanere a casa da soli.
- Incubi ripetuti di separazione dai genitori/persona di riferimento o di perdersi in un luogo
ignoto.
- Comparsa di sintomi e malesseri fisici (veri o presunti), come mal di testa, dolori addominali
ecc. ogni volta che ci si deve allontanare da casa o dai genitori/persona di riferimento.
- Tendenza a essere molto "appiccicosi", invadenti, a richiedere attenzione e presenza
costanti.
- Umore ansioso e depresso, apatia e disinteresse, irrequietezza e forte malinconia se
costretti a restare soli lontano da casa.
Per poter porre diagnosi di Disturbo d'ansia di separazione, i sintomi devono essere significativi e
impedire a chi ne soffre di dedicarsi alle comuni attività tipiche dell'eta; i sintomi devono, inoltre,
essere presenti per almeno 4 settimane in bambini e ragazzi fino a 18 anni e per
almeno 6 mesi negli adulti. Tuttavia, in questo secondo caso, nella valutazione della durata del
disturbo come "clinicamente significativa" è ammessa una certa flessibilita.
Cause
Le cause esatte dell'ansia di separazione non sono note, ma si ritiene che a promuovere
l'insorgenza del disturbo sia la concomitanza di un profilo psicologico predisponente e
dell'esposizione a traumi o eventi stressanti nell'infanzia e/o negli anni successivi (compresi forti
traumi in eta adulta). Nel caso dei bambini, la nascita di un fratellino, un trasloco o la malattia
(anche non grave) di un genitore che comporti un ricovero ospedaliero di diversi giorni possono
costituire un fattore stressante sufficiente a indurre il disturbo.
Trattamento
Il disturbo d'ansia di separazione puo essere efficacemente affrontato con un
trattamentopsicoterapeutico, di tipo cognitivo-comportamentale, anche di breve durata. Soprattutto
nel caso dei bambini-adolescenti, la psicoterapia deve necessariamente coinvolgere anche i
familiari/le persone di riferimento. Soprattutto nel caso dei bambini, non é di norma previsto l'uso di
farmaci.
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attraverso l’adolescenza fino all’età adulta. Generalmente si assiste ad una risoluzione
spontanea.
In campioni clinici di bambini, il disturbo è distribuito equamente tra maschi e femmine; nella
popolazione è più frequente nelle femmine.
L’esordio del disturbo d’ansia di separazione può verificarsi anche in età prescolare, in qualsiasi
momento durante l’infanzia e, più raramente, in adolescenza.
Vi sono tipicamente periodi di peggioramento e di remissione.
In alcuni casi, sia l’ansia per la separazione sia l’evitamento di situazioni che la implicano possono
persistere in età adulta. Tuttavia, la maggior parte dei bambini con disturbo d’ansia di separazione
non sviluppa disturbi d’ansia nel corso della vita.
Nel corso del tempo emergono preoccupazioni che spesso riguardano pericoli specifici
(incidenti, aggressioni, morte). Negli adulti il disturbo può: limitare la loro capacità di affrontare
cambiamenti nelle circostanze di vita ed eccessiva preoccupazione e malessere se lontani da
coniugi e figli.
2. FATTORI PREDISPONENTI
In letteratura vengono riportate diverse caratteristiche familiari, che unite ad altre importanti
variabili temperamentali e cognitive del bambino, contribuiscono allo strutturarsi, nell’individuo,
di un certo grado di vulnerabilità al disturbo:
– situazioni conflittuali che suscitano fantasie di perdita;
– minacce da parte di uno dei genitori di abbandonare la famiglia oppure di suicidarsi, oppure
espressione di preoccupazione di ammalarsi/morire;
– separazione precoce dai familiari vissute in modo traumatico;
– modello genitoriale non in grado di tollerare e gestire la separazione (si allontanano con
l’imbroglio, confermando un modello di inaffidabilità).
– costruzione nel bambino, solitamente da parte dei genitori, di credenze riguardo il mondo
esterno a quello familiare come un luogo pericoloso che il bambino non saprà fronteggiare o
per la grandezza del pericolo o per ipotetici difetti, incapacità, incompetenze del bambino
stesso. Questi pertanto sulla base di ciò costruisce un’immagine di sé di persona debole e
incapace, bisognosa della protezione delle figure di riferimento;
– uno dei genitori, solitamente la madre, sopporta male la solitudine e trattiene il bambino con
sé per avere compagnia, impedendogli la possibilità di esplorare autonomamente l’ambiente
extrafamiliare;
– nella storia evolutiva di un genitore talvolta si trova un disturbo d’ansia di separazione;
– frequentemente i familiari di primo grado di questi bambini soffrono di disturbo di panico
con/senza agorafobia.
71
iperprotettivi;
– le richieste eccessive spesso divengono una fonte di frustrazione per i membri della
famiglia e portano a risentimento e conflittualità familiare.
72
- Identificare eventi di vita stressanti recenti o remoti;
- Sondare l’esistenza di minacce di separazione, di abbandono;
- Valutare le dinamiche affettive intrafamiliari e gli stili educativi dei genitori;
- Valutare la presenza di precedenti analoghi in famiglia;
- Identificare i tentativi attuati per risolvere il problema.
- Possono essere proposti questionari come: Children Behavior Checklist - CBCL
ASSESSMENT CON IL BAMBINO
Se in età scolare, con il bambino si può ricorrere, oltre che al colloquio clinico, anche alla
somministrazione di test. Il colloquio è finalizzato all’approfondimento dei seguenti aspetti:
– capire come il bambino percepisce il suo problema (“Cosa temi succeda?” “Cosa
potrebbe succedere e se questo succedesse cosa potrebbe significare per te?”, “Perché è
così brutto?”);
– ottenere dati sulle situazioni specifiche in cui si manifesta il problema, chiedendo al piccolo
qual è secondo lui la causa;
– ottenere una descrizione, dal punto di vista del bambino, di quali sono le conseguenze
situazionali di certi suoi comportamenti. Il bambino può fornire interessanti particolari su
come reagiscono i genitori e i suoi insegnanti quando si comporta in modo ansioso (sondare
eventuali “vantaggi secondari”)
– identificare le modalità di pensiero prevalenti nel bambino (presenza di distorsioni degli
eventi o catastrofizzazione). Al fine di aiutare il bambino a descrivere accuratamente i
dettagli delle sue reazioni d’ansia o paura, può essere utile chiedergli di immaginare una
tipica situazione temuta e verbalizzare ciò che accade in lui;
– ottenere una prima definizione degli scopi che il bambino desidera raggiungere negli
incontri con il terapeuta.
STRUMENTI DIAGNOSTI destinati al bambino:
SAT Separation Anxiety Test (versione modificata di Attili 2001);
Inventario delle paure (Kendall-Di Pietro; 1995);
Questionario di Sicurezza e Protezione (8-11 anni) (Calvo; 2002)
Scala di Valutazione della gravità del disturbo d’ansia di separazione (11-17 anni)
Poiché il disturbo si manifesta anche con comportamenti di rifiuto della scuola, è importante che
anche gli INSEGNANTI siano coinvolti nel processo di valutazione.
Gli OBIETTIVI principali sono:
– ottenere una chiara fotografia del comportamento problema: quando, come, con chi si
presenta; rilevare frequenza, intensità e durata del problema;
– reazioni della classe rispetto al comportamento del bambino/ragazzo;
– reazioni degli insegnanti ed eventuali loro differenze in merito a pensieri, emozioni,
comportamento;
– teorie di sofferenza e cura da parte degli insegnanti relativamente al problema dell’alunno;
– stili educativi degli insegnanti ed eventuali incongruenze o differenze;
– tentativi di soluzione e risultati ottenuti;
– meccanismi di mantenimento.
Con il bambino/a...
Con il bambino in età scolare il percorso terapeutico può articolarsi nelle seguenti fasi:
– aiutare il bambino a identificare le emozioni di ansia e preoccupazione e le sue reazioni
all’ansia, normalizzandole;
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– fornire al bambino un modello di fronteggiamento delle situazioni ansiose;
– esposizione graduale (immaginativa ed in vivo) alle situazioni di separazione, dopo aver
discusso insieme le modalità di fronteggiamento;
– possono essere utili procedure di rilassamento che favoriscono la tollerabilità della reazione
ansiosaidentificazione dei pensieri disfunzionali;
– ristrutturazione cognitiva e sostituzione con affermazioni di fronteggiamento;
– modeling da parte di un adulto di riferimento o del terapeuta.
TRATTAMENTO
- FARMACOLOGICO nei tic semplici e complessi vengono utilizzati generalmente tre
categorie di psicofarmaci: Benzodiazepine; Ansiolitici non benzodiazepinici; Neurolettici;
Antidepressivi.
DEFINIZIONE DI TIC
Con la denominazione TIC si intende tutti quei movimenti stereotipati, a-finalistici, che l’individuo
compie senza averne il controllo. Distinguiamo vari tipi di TIC:
- TIC motori come smorfie del viso, movimenti del collo, colpi di tosse, ammiccamenti.
- TIC vocali (emissioni di suoni non voluti) che includono per esempio il raschiarsi la gola e
lo sbuffare.
I TIC motori o vocali possono essere semplici o complessi:
TIC MOTORI
- semplici: coinvolgono pochi muscoli, ad esempio ammiccamenti, arricciamenti di naso,
torsioni di collo, alzate di spalle, smorfie del viso e contrazione addominale.
- complessi: coinvolgono gruppi multipli di muscoli reclutati per l'emissione di esplosioni
orchestrate, ad esempio movimenti delle mani, saltare, toccare, schiacciare, pestare i piedi,
contorsioni del viso, annusare ripetutamente un oggetto, accovacciarsi, flettere
profondamente le ginocchia, tornare sui propri passi, piroettare camminando ed assumere
e mantenere insoliti atteggiamenti posturali e tic distonici come mantenere il collo in una
posizione particolarmente contratta. Sono TIC motori complessi: La Coproprassia:
gesto simile ad un tic volgare, sessuale o osceno i fenomeni a specchio come l'ecoprassia
che è l'imitazione spontanea ed involontaria di movimenti di un altro. I TIC motori
complessi sono di durata più lunga di quelli semplici.
TIC VOCALI
- Semplici sono suoni senza significato come raschiarsi la gola, grugnire, annusare soffiare
e stridere.
- complessi coinvolgono più chiaramente l'eloquio e il linguaggio ed includono l'espressione
spontanea ed improvvisa di singole parole o frasi, il blocco dell'eloquio, cambiamenti
improvvisi e senza senso dell'altezza, dell'enfasi e del volume dell'eloquio, la palilalia e
l'ecolalia. I TIC di solito vengono avvertiti come irresistibili, ma possono essere repressi
per periodi variabili di tempo. I soggetti con TIC possono sentire che il TIC è volontario e
involontario poiché spesso viene vissuto come un cedere ad una tensione che cresce o al
bisogno quasi irresistibile di grattarsi. Un soggetto può sentire il bisogno di portare a
termine un TIC complesso in un modo particolare o ripetutamente fino a raggiungere la
sensazione che il TIC sia stato fatto “proprio bene”. Solo allora il soggetto proverà una
riduzione dell'ansia o della tensione. I TIC possono variare di frequenza e di perturbazione
nei diversi contesti: ad esempio i bambini e gli adulti possono essere capaci di sopprimere i
TIC a scuola, al lavoro o nello studio medico meglio che a casa. Inoltre possono
aggravarsi nei periodi di stress come quando vi è un aumento della pressione sul lavoro o
durante gli esami.
NELLO SPECIFICO
DISTURBO DELLO SVILUPPO DELLA COORDINAZIONE MOTORA o DIPRASSIA
È un disturbo caratterizzato da deficit nell’acquisizione e nell’esecuzione delle abilità motorie
coordinate e si manifesta con goffaggine e lentezza o imprecisione nello svolgimento delle abilità
motorie che interferiscono con le attività della vita quotidiana. I bambini piccoli possono presentare
un ritardo nel raggiungimento delle tappe motorie fondamentali, sebbene molti raggiungono le
tappe motorie adeguate. Si possono inoltre sviluppare in ritardo alcune abilità quali salire le scale,
pedalare, abbottonarsi la camicia e chiudere le cerniere. Anche nel momento in cui l’abilità viene
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acquisita, l’esecuzione dei movimenti può apparire scordinata lenta o meno precisa rispetto
ai coetanei e comunque interferisce significativamente con le attività quotidiane della vita familiare,
sociale, scolastica o comunitaria. Il più grande problema della disprassia è la mancanza di
consapevolezza; si tende a pensare che il bambino sia semplicemente “impacciato” e che questo
non comporti lo sviluppo di situazioni peggiori con il passare del tempo.
In realtà questo disturbo interessa circa il 5-6% della popolazione infantile compresa tra i 5 e gli
11 anni (i maschi più delle femmine), e non migliora con la crescita, anzi, se non trattato
immediatamente può perdurare, anche oltre l’età evolutiva, nel 50-70% dei casi.
DECORSO
– Il riconoscimento del Disturbo di Sviluppo della Coordinazione avviene di solito quando il
bambino fa i primi tentativi in attività come correre, usare coltello e forchetta, abbottonarsi i
vestiti o giocare a palla.
– Il decorso è variabile, ma stabile fino ad 1 anno di follow up.
– In adolescenza possono presentarsi miglioramenti, ma continuano i sintomi del 50-60% dei
soggetti.
FATTORI DI RISCHIO
– Ambientali
o All’esposizione prenatale all’alcol e in bambini prematuri e con basso peso alla nascita.
– Genetici e Fisiologici
o Sono state ipotizzate disfunzioni cerebellari, ma le basi neuronali del disturbo
rimangono poco chiare.
– Modificatori Del Decorso
o Gli individui con DDAI (deficit di attenzione e iperattività) e disturbo della coordinazione
motoria mostrano una maggior compromissione rispetto agli individui con DDAI senza
disturbo dello sviluppo della coordinazione motoria.
CONSEGUENZE FUNZIONALI AL DISTURBO
– Ridotta partecipazione a giochi di squadra e attività sportive;
– Scarsa autostima;
– Problemi emotivi e del comportamento;
– Rendimento scolastico compromesso;
– Scarsa forma fisica;
– Ridotta attività fisica;
– Obesità.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE E COMORBIDITÀ
Diagnosi differenziale
– Compromissione dovute ad un’altra condizione medica generale;
– Disabilità intellettiva;
– ADHD;
– Disturbo dello spettro dell’autismo;
– Sindrome da ipermobilità articolare
Comorbidità
– Disturbo del linguaggio e dell’eloquio;
– DSA;
– Disturbo dello Spettro dell’Autismo
– Ipermobilità articolare
3.DISTURBO DA TIC
Il DSM-5 include in questa categoria 4 tipologie del disturbo:
- Disturbo di Tourette
- Disturbo Cronico da TIC motori o vocali
- Disturbo Transitorio da TIC
- Disturbo da TIC NAS
DISTURBO DI TOURETTE
Questa Sindrome è caratterizzata da tic facciali, movimenti involontari multipli del corpo,
ecolalia e coprolalia; la gravità dei tic può variare , ma sono persistenti nel tempo (più di un anno)
ed il 43% dei pazienti presentano alcune comorbilità come il Disturbo da Deficit d’attenzione e
iperattività (ADHD), il Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC); queste condizioni sono spesso
secondarie al peggioramento del quadro clinico.
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In adolescenza i TIC si riducono o scompaiono in circa un quarto dei bambini; per
quasi la metà di essi i TIC si riducono ad una forma lieve, per meno di un quarto di
loro invece i TIC persistono. Gli adulti invece presentano un peggioramento dei TIC
rispetto all’età pediatrica in percentuale compresa tra il 5% e il 14% (Du J.C. et al., 2010).
La probabilità di trasmettere il disturbo alla prole è del 50% (Zinner S.H., 2000); solo una
piccola percentuale di bambini portatori di geni sviluppano sintomi tanto severi da
richiedere cure mediche.
I Tic sono definiti come movimenti stereotipati, a-finalistici, che l’individuo compie senza averne il
controllo. Distinguiamo vari tipi di TIC:
- TIC motori come smorfie del viso, movimenti del collo, colpi di tosse, ammiccamenti.
- TIC vocali (emissioni di suoni non voluti) che includono per esempio il raschiarsi la gola e
lo sbuffare.
I TIC motori o vocali possono essere semplici o complessi:
TIC MOTORI semplici: coinvolgono pochi muscoli, ad esempio ammiccamenti, arricciamenti di
naso, torsioni di collo, alzate di spalle, smorfie del viso e contrazione addominale, quelli complessi
coinvolgono gruppi multipli di muscoli.
TIC VOCALI semplici sono suoni senza significato come raschiarsi la gola, grugnire, annusare
soffiare e stridere, quelli complessi coinvolgono più chiaramente l'eloquio e il linguaggio ed
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includono l'espressione spontanea ed improvvisa di singole parole o frasi, il blocco dell'eloquio,
cambiamenti improvvisi e senza senso dell'altezza, dell'enfasi e del volume dell'eloquio, la
palilalia e l'ecolalia.
La sindromne di Tourette è diagnosticata quando I soggetti presentano Tic vocali e motori per un
period superiore all’anno. La diagnosi é clinica. Spesso I soggetti affetti da questa sindrome
presentano una comborbilità con altri disturbi psicologici comportamentali comeil disturbo da deficit
dell’attenzione e iperattività (ADHD), il disturbo ossessivo-compulsivo (OCD), stati d’ansia,
disturbi dell’umore, eccessiva sensibilità emotiva, disturbi dell’apprendimento, comportamento
distruttivo, balbuzie, abuso di sostanze, aggressività e depressione.
I tic sono trattati solo se interferiscono con le attività del bambino o se vanno a compromettere
l’immagine che il bambino ha di sè: il trattamento può comprendere l’intervento comportamentale e
l’utilizzo di farmaci come la clonidina o antipsicotici.
CRITERI DIAGNOSTICI NEL DSM -5 Nell’ultima versione del DSM-5 il disturbo specifico
dell’apprendimento (DSA) figura tra i disturbi del neurosviluppo. Inoltre scompare la disgrafia; il
disturb della lettura si sovrappone alla dislessia; si assiste ad una migliore definizione della
discalculia; si tiene maggiormente in conto l’apporccio dimensionale.
Il disturbo include le diagnosi di:
– Disturbo della Lettura
– Disturbo del Calcolo
– Disturbo dell’Espressione Scritta
– Disturbo dell’Apprendimento Non Altrimenti Specificato
I deficit di apprendimento nelle aree della lettura, espressione scritta e del calcolo sono codificati
come specificatori separati.
CRITERI
A. Difficoltà di apprendimento e dell'utilizzo di competenze scolastiche, come indicato dalla
presenza di almeno uno dei seguenti sintomi che persistono per almeno 6 mesi, nonostante la
presenza di interventi mirati per tali difficoltà:
1. Lettura di parole inesatta o lenta e faticosa (es. legge singole parole ad alta voce in
modo non corretto o lentamente e con esitazione, spesso indovina le parole, ha difficoltà a
pronunciare le parole).
2. Difficoltà a comprendere il significato di ciò che si legge (es. può leggere il testo con
precisione, ma non capire la sequenza, le relazioni o significati più profondi di ciò che viene
letto).
3. Difficoltà nello spelling (es. possono aggiungere, omettere o sostituire vocali o
consonanti).
4. Difficoltà nella forma scritta (es. errori grammaticali o di punteggiatura, scarsa
organizzazione del paragrafo, l’espressione di scritta di idee appare poco chiara).
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5. Difficoltà nel padroneggiare il concetto di numero, i dati numerici o il calcolo (es.
scarsa comprensione dei numeri, il loro valore e le relazioni; per fare addizioni conta con le
dita piuttosto che farlo come i suoi coetanei, si perde nel calcolo aritmetico e può utilizzare
procedure diverse dalle solite).
6. Difficoltà con il ragionamento matematico (es. difficoltà ad applicare concetti di
matematica o procedure per risolvere problemi quantitativi).
B. Le competenze scolastiche sono quantificabili e sostanzialmente al di sotto di quelli previsti
per l’età cronologica del soggetto, interferiscono significativamente con le performance
scolastiche e occupazionali o con le attività della vita quotidiana, come confermato da valutazione
clinica e somministrazione di strumenti standardizzati.
C. Le difficoltà di apprendimento iniziano durante l’età scolare, ma possono diventare non
pienamente manifeste fino a quando le richieste superano le capacità limitate del singolo (es. nelle
prove cronometrate, la lettura o la scrittura di report complessi, compiti scolastici eccessivamente
pesanti).
D. Le difficoltà di apprendimento non sono meglio giustificate da disabilità intellettiva, visiva o
uditiva, altri disturbi mentali o neurologici, avversità psicosociali, mancanza di comprensione della
lingua d’insegnamento o inadeguata istruzione educativa.
NOTA: i quattro criteri diagnostici devono essere soddisfatti sulla base di una sintesi clinica della
storia del singolo (dello sviluppo, medica, familiare, scolastica), pagelle scolastiche e valutazione
psicoeducativa.
Specificare se:
1. con compromissione della lettura: DISLESSIA
2. con compromissione del calcolo: DISCALCULIA
3. con compromissione dell’espressione scritta:
LIVELLO DI GRAVITA’
Lieve: sono presenti alcune difficoltà nelle abilità di apprendimento in uno o due settori
scolastici; gravità abbastanza mite che l'individuo può essere in grado di compensare bene se
fornito di servizi o assistenza adeguati, in particolare durante gli anni scolastici.
Moderato: presenti difficoltà marcate di apprendimento in uno o più ambiti scolastici;
l'individuo è improbabile che diventi competente in assenza di un insegnamento intenso e
specializzato durante gli anni scolastici. Possono essere necessari, per portare a termine le
attività con efficienza, strutture o servizi di supporto per almeno una parte della giornata a scuola,
sul posto di lavoro o in casa.
Grave: presenti gravi difficoltà di apprendimento nei diversi ambiti scolastici; improbabile che
l'individuo apprenda tali abilità in assenza di un corso intensivo personalizzato e insegnamento
specializzato per la maggior parte degli anni scolastici. Nonostante l’adeguata gamma di
servizi a casa, a scuola o sul posto di lavoro, l'individuo potrebbe non essere in grado di portare a
termine tutte le attività in modo efficiente.
EZIOLOGIA
Non vi è una risposta univoca rispetto a quali siano le cause dei DSA. Vi è accordo, però,
rispetto al riconoscimento dell’origine neurobiologica del disturbo. La sua espressione, peraltro
così eterogenea, è mediata e modulata da fattori ambientali.
Esistono diversi modelli patogenetici ma rappresentano solo ipotesi interpretative:
1. deficit di processamento fonologico viene considerato, in diversi studi, come l’unico fattore
necessario e sufficiente a spiegare l’insorgenza del disturbo di lettura. Secondo gli autori la
difficoltà nell’acquisizione del processo di lettura é da imputare ad un unico deficit
nell’elaborazione, memorizzazione e recupero dei suoni linguistici (alterazione processo
di conversione grafema/fonema).
2. Ipotesi multifattoriale per definire il fenotipo clinico del profilo dislessico sono necessari sia
deficit fonologici che non fonologici. Infatti:
- quasi l’80% dei bambini dislessici mostra, in aggiunta a quello fonologico, deficit delle
funzioni esecutive, dell’attenzione, delle abilità visuo-spaziali;
- il 41% evidenzia deficit in quattro o cinque diversi ambiti neurocognitivi.
3. Influenza di fattori visivi: problematiche legate a componenti diverse di questo processo
(sistema magno cellulare, l’attenzione visiva, i movimenti oculari). L’ipotesi del deficit visivo fa
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riferimento ad un anomalo funzionamento del sistema magnocellulare deputato al
riconoscimento e all’elaborazione di informazioni transienti, cioè quelle ad elevata frequenza e
breve durata; ciò provocherebbe una sorta di sovrapposizione degli stimoli, sia visivi sia uditivi,
o comunque la difficoltà a mantenere le sequenze in modo corretto.
4. Ruolo dei processi attentivi nel disturbo della lettura nei dislessici sembra essere
disfunzionale lo spazio, sia visivo sia temporale, in cui avviene la processazione delle
informazioni (la finestra attentiva) per cui non si realizza il meccanismo di segregazione
grafemica necessario per la funzionalità della via sublessicale nel modello di lettura a due vie.
Un bambino che sta imparando a leggere non riesce a leggere parole sconosciute (o non
parole) perché non riesce ad effettuare una conversione grafema/fonema, mentre il lettore
esperto utilizza prevalentemente la via lessicale che permette di leggere solo le parole familiari
e irregolari (Renzetti, Mercuriu; 2016).
5. differenze significative nei movimenti oculari rispetto al normo lettore e questo può
dipendere da diverse ragioni:
- i punti di fissazione sono più frequenti e di maggiore durata nei dislessici (Hutzler et al.,
2006);
- la fissazione binoculare è instabile (Stein e Fowler, 1993) o troppo sensibile all’affollamento
degli stimoli (effetto crowding; Spinelli et al., 2002).
Un ulteriore gruppo di studi propone come spiegazione del funzionamento dei dislessici l’ipotesi
del deficit di automatizzazione. Tale deficit, studiato sistematicamente da Nicholson e
collaboratori (1990, 1995, 1999, 2001), sarebbe determinato da una basilare disfunzione
cerebellare che comprometterebbe in modo più generale l’automatizzazione delle abilità, non solo
della lettura, ma anche delle sequenze motorie e in generale di apprendimento implicito.
COMORBILITA’
In letteratura frequentemente la comorbilità dei DSA con altre condizioni cliniche viene intesa come
contemporaneità di due o più disturbi e non viene delineata una relazione di tipo causale tra di
essi.
Alcuni autori (Milani, Gentile e Guzzino, 2008) sostengono che i DSA agirebbero come fattore
scatenante per la strutturazione di un disturbo psicopatologico, già presente in forma silente nel
soggetto. La pratica clinica e la letteratura (nazionale e internazionale) è concorde nel ritenere che
i DSA siano il più delle volte accompagnati:
– da altri DSA(in associazionetra loro);
– da un disagio emotivo;
– da un disturbo di ordine psicopatologico di tipo esternalizzante ed internalizzante (60%).
Le comorbilità possono rendere complessa, durante la fase di valutazione, la somministrazione di
test e la diagnosi differenziale, perché ognuno dei disturbi concomitanti interferisce in modo
indipendente con lo svolgimento delle attività di vita quotidiana, compreso l’apprendimento.
I bambini con DSA, inoltre, possono presentare difficoltà emotive a causa della caduta
dell’autostima, dell’ansia, del rifiuto ambientale (anche in termini di non accettazione da parte dei
compagni) che sperimentano in seguito ai ripetuti insuccessi:
I bambini con DSA interiorizzano precocemente la loro diversità:
– nel modo di apprendere;
– attraverso l’insuccesso nelle prestazioni scolastiche e nelle interazioni sociali con i pari e
con gli adulti alterando, così, il loro concetto di sé;
– tendono a sentirsi poco responsabili del loro apprendimento e ad abbandonare il compito
alla prima difficoltà (comportamento proprio di chi apprende il senso di impotenza)
– sviluppano una maggiore sensibilità alle critiche;
– hanno difficoltà nello sviluppare processi di autoregolazione
Il bambino con DSA è (o è stato) più facilmente esposto a umiliazioni e derisioni da parte di
compagni o adulti. Tali esperienze potrebbero favorire l’incremento del senso di inadeguatezza
e la percezione di “sentirsi sbagliati” (es. oggi la maestra mi interrogherà e io non mi ricorderò
niente, faccio scena muta, e tutti come al solito rideranno di me) sviluppando sensibilità alla
vergogna. Alcune esperienze fallimentari ripetute possono sottoporre i bambini con DSA a
richiami, rimproveri e critiche sprezzanti.Queste esperienze possono far percepire al bambino
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di essere nell’errore (o farlo sentire a rischio di aver sbagliato) sviluppando così sensibilità alla
colpa (es. oggi la maestra mi dirà che potevo impegnarmi di più, forse non ho studiato
abbastanza, è colpa mia se prendo un brutto voto).
VALUTAZIONE
Per individuare i bambini a rischio di DSA è fortemente raccomandato l’utilizzo contemporaneo di
più fonti quali:
l’anamnesi;
questionari ai genitori;
le valutazioni/previsioni degli insegnanti;
le batterie di screening.
La tempestività e la precocità degli interventi sono fattori prognostici positivi. L’intervento
modifica, per quanto possibile, un quadro clinico inizialmente critico perché agisce sui processi
cognitivi e sui substrati neurali che li sottendono quando ancora è a disposizione una maggiore
plasticità neurale .
Valutazione del funzionamento psicologico (con strumenti atti a valutare quadri psicopatologici
in comorbilità) per le competenze percettive visuo-spaziali; per le abilità di memoria uditiva e
visiva.
Importante é l’ INDIVIDUAZIONE PRECOCE dei Prodromi del disturbo già in età prescolare:
- mancanza d’interesse nel praticare giochi linguistici (es. ripetizioni, rime, segmentazioni
fonemiche, ecc.);
- difficoltà ad imparare le filastrocche, tendenza a pronunciare male le parole;
- utilizzo frequente di un linguaggio infantile;
- difficoltà nel riconoscere le singole lettere che compongono il loro nome;
- utilizzo di uno spelling inventato;
- difficoltà a ricordare i giorni della settimana, i nomi dei numeri e ad ordinare questi ultimi in
progressione;
- errori nel suddividere parole in sillabe (per es. cane” in “ca-ne”) e nel riconoscere parole
che fanno rima (per es. pera, sera, vera);
B)INTERVENTI PSICOTERAPEUTICI
Scopo della psicoterapia è quello di accompagnare e sostenere i bambini/ragazzi dal momento
della comunicazione della diagnosi e durante il programma di riabilitazione per facilitare
l’acquisizione di consapevolezza del proprio funzionamento: riconoscere ed accettare i propri limiti
e parallelamente individuare risorse e aree di competenza. Alcuni interventi saranno sulle variabili
che portano alla rassegnazione e al disinvestimento nei confronti dell’apprendimento:
demotivazione, sfiducia, atteggiamenti rinunciatari, bassa autostima, senso di impotenza.
Altri interventi sulle emozioni che interferiscono sia con il processo riabilitativo che sulla qualità
della vita in generale: emozioni di ansia, rabbia e tristezza;–riduzione della sensibilità alla colpa ed
alla vergogna
In questa categoria sono incluse tutte quelle condizioni che comportano problemi di
autocontrollo delle emozioni e dei comportamenti (regolazione emotiva e comportamentale).
Le problematiche legate a questi aspetti si manifestano attraverso comportamenti che violano i
diritti degli altri (aggressione, distruzione di proprietà) e/o che mettono l’individuo in contrasto con
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norme sociali o figure che rappresentano l’autorità.
La categoria comprende diversi disturbi (APA, 2013):
- Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP)
- Disturbo della Condotta (DC)
- Disturbo esplosivo intermittente
- Disturbo antisociale di personalità
- Piromania e Cleptomania
DOP e DC possono essere descritti lungo un continuum che solitamente individua nel
primo un precursore del secondo.
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esordio che possono presentarsi in forma lieve, moderata o grave.
4. Infanzia: un sintomo caratteristico del DC manifestato prima dei 10 anni.
5. Adolescenza: nessun sintomo caratteristico del DC manifestato prima dei 10 anni.
6. Esordio non specificato: sono soddisfatti i criteri per la diagnosi di DC ma non si riescono a
rilevare informazioni per determinare se l’esordio avviene prima o dopo i 10 anni.
Il gruppo a esordio in adolescenza tende a presentare un grado inferiore di aggressività e
violenza ed è meno probabile che sviluppi comportamenti antisociali veri e propri.
Secondo una classificazione condivisa in letteratura, è possibile suddividere il gruppo di DC a
esordio precoce, in due sottogruppi (Frick & Morris in Buonanno, 2016):
a) disregolato: mostra un funzionamento condizionato da una difficoltà di regolazione emotiva,
con la tendenza ad agire impulsivamente la rabbia senza tener conto delle conseguenze. Tali
bambini tenderanno ad agire impulsivamente e ad impegnarsi in condotte antisociali non
pianificate ed a ricorre ad aggressività reattiva in seguito ad una provocazione reale o percepita.
b) callous-unemotional: i soggetti sperimentano bassi livelli di reattività emotiva, esperienza che
interferisce con il normale sviluppo della coscienza e della socializzazione.
I tratti CU sono caratterizzati da:
una scarsa propensione a provare colpa o rimorso;
una sensibile riduzione delle preoccupazioni per il feeling e le emozioni degli altri;
una tipica espressione superficiale delle proprie emozioni;
una diminuzione delle preoccupazioni relative alle proprie performance in attività importanti
(Frick, 2009; in Buonanno, 2016).
Mostrano una serie di caratteristiche cognitive che li rendono più resistenti al
cambiamento, peggiorandone la prognosi:
scarsa sensibilità ai segnali di punizione;
sottostima delle probabilità di essere puniti;
assunzione esplicita di valori antisociali;
enfasi sull’importanza di dominanza e vendetta
FATTORI DI RISCHIO
Diversi sono i fattori di rischio, e i fattori di protezione:
– Fattori biologici: genere, funzionamento neuro-cognitivo, temperamento;
– Qualita dei legami di attaccamento e stile educativo familiare.
– Variabili ambientali: avversita familiari, status socioeconomico, stress sociali.
I Disturbi da comportamento dirompente e della condotta risultano infatti spesso associati a
svantaggio socioeconomico, contesti familiari conflittuali e ostili, familiarità per comportamento
antisociale e patologie psichiatriche.
TRATTAMENTO
Nonostante la prognosi di questi disturbi sia generalmente negativa (con frequente evoluzione
verso il Disturbo di Personalita Antisociale), per via della pervasività dei comportamenti
disfunzionali e della scarsa compliance al trattamento del nucleo familiare, un intervento
multimodale, di cui la psicoterapia cognitivo-comportamentale individuale è parte integrante, può
avere una certa efficacia.
Il trattamento deve dunque prevedere interventi psicosociali sul minore, psicoterapeutici sui
genitori e di counseling per gli operatori che interagiscono con il ragazzo nei diversi contesti
(scuola, sport, sociale).
Si puo ricorrere anche all’uso di farmaci stabilizzatori del tono dell’umore, antipsicotici atipici e
serotoninergici, al fine di contenere gli aspetti di aggressività e impulsività.
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- ad una maggiore predisposizione a provare stati affettivi indifferenziati. Le esperienze
emotive si manifestano, a volte, in maniera intensa con scoppi improvvisi di emozioni
che non si riescono a modulare ed elaborare, collegando queste esperienze a ricordi,
immagini e pensieri che mantengono e aggravano lo stato emotivo provato.
Scarsa capacità di comunicare agli altri l’emozione che si sta provando e chiedere supporto o
conforto a chi sta vicino (Lindsay, & Ciarrochi, 2009; Taylor et al., 1997).
Inoltre, l’incapacità di modulare le emozioni attraverso l’elaborazione cognitiva rende ragione
dell’uso di atti impulsivi o comportamenti compulsivi per fronteggiare la sensazione di
malessere sul piano emotivo (De Rick, & Vanheule, 2007; Taylor, Bagby, & Parker, 1997).
a)Ambienti familiari e disregolazione emotiva: il CONTESTO MALTRATTANTE
Bambini vissuti in contesti maltrattanti non sono in grado di autoregolarsi in modo adattivo,
esibiscono una maggiore emotività negativa e manifestano espressioni emotive inappropriate in
relazione al contesto (Shields e Cicchetti, 1998):
– inibiscono maggiormente le espressioni di emozioni negative (rabbia e tristezza) di
fronte alla madre rispetto ai coetanei non maltrattati e parallelamente adottano in misura
maggiore strategie di coping disfunzionali (strategie passive) o nessuna strategia
definita;
– si aspettano più conseguenze negative (punizioni o rimproveri) e meno supporto
materno di fronte alle loro espressioni di emozioni negative (Shipman e Zeman, 2001).
b)Ambienti familiari e disregolazione emotiva: il CONTESTO INVALIDANTE
– L’espressione dei propri stati interni (emozioni ma anche desideri, scopi e aspettative che
sono sempre accompagnati da emozioni) sia positivi che negativi non viene riconosciuta,
non viene validata e spesso viene punita o banalizzata.
– Gli adulti di riferimento adottano risposte estreme, inappropriate e imprevedibilmente
variabili. (Garcia-Lopez et al., 2014).
– Le emozioni dolorose sperimentate dal bambino/adolescente e i fattori che egli identifica come
cause del proprio stato emotivo vengono trascurati o ignorati.
– Anche le emozioni piacevoli sperimentate dal bambino/adolescente vengono invalidate
attribuendole a immaturità, iperidealizzazione, inesperienza, incapacità di
discriminazione.
L’intervento psicoterapeutico
– L’obiettivo dell’intervento è un aumento delle condotte pro-sociali e una progressiva,
contestuale riduzione dei comportamenti esternalizzanti.
– È necessario costruire le condizioni perché il bambino consideri utile, oltre che vantaggioso,
impegnarsi in questa direzione.
– Nella prima fase si rende necessaria una ristrutturazione profonda delle rappresentazioni
dell’autorità:
o disponibilità a considerare alternative ad una visione centrata sulle aspettative di essere
oggetto di vessazione;
o intervento in setting paralleli per modificare le risposte dei genitori che rappresentano vero e
proprio fattore di mantenimento, oltre che di esacerbazione delle condotte sintomatiche;
o graduale esposizione al senso di colpa, promuovendo l’uso di questa emozione per
orientarsi nella scelta delle soluzioni in situazioni di conflittualità relazionale (Buonanno,
2016).
L’ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattivita) rientra nella categoria dei Disturbi del
Neurosviluppo, gruppo di condizioni che esordiscono nel periodo dello sviluppo e si
caratterizzano per un deficit che causa una compromissione nel funzionamento personale, sociale,
scolastico o lavorativo. I Disturbi del Neurosviluppo si presentano, molto spesso, in concomitanza.
L’ADHD è caratterizzato da livelli invalidanti di disattenzione, disorganizzazione e/o iperattività e
impulsività. Nella fascia della fanciullezza, l’ADHD si sovrappone spesso a disturbi quali il
Disturbo Oppositivo-Provocatorio e il Disturbo della Condotta. Spesso, inoltre, permane in età
adulta, causando compromissione del funzionamento in ambito sociale, scolastico e lavorativo.
La prevalenza di ADHD è stimata in circa il 5% dei bambini ed il 2,5% degli adulti.
DIAGNOSI
La caratteristica fondamentale dell’ADHD è la persistente presenza di un quadro caratterizzato da
disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con lo sviluppo e il funzionamento.
La disattenzione si evidenzia, sul piano comportamentale, con divagazione dal compito, mancanza
di perseveranza, difficoltà nel mantenimento dell’attenzione, disorganizzazione non imputabili ad
atteggiamenti di sfida o da mancata comprensione.
L’iperattività implica un’eccessiva attivita motoria, un dimenarsi, la sensazione che il bambino sia
“sotto pressione”, tamburellamenti, loquacità; tali comportamenti si manifestano in momenti e
situazioni in cui non sono appropriati. Nell’adulto l’iperattività puo esprimersi con un’irrequietezza
estrema o l’effetto logorante verso gli altri della propria attività.
L’impulsività si manifesta con azioni estremamente affrettate e che avvengono all’istante, spesso
con elevato rischio per l’individuo. L’impulsività può esprimere un desiderio di immediata
ricompensa, manifestandosi anche con comportamenti invadenti, come interrompere gli altri in
modo eccessivo, o prendere decisioni importanti senza riflettere sulle possibili conseguenze nel
lungo termine. Le manifestazioni comportamentali devono presentarsi in piu di un contesto,
ad esempio casa, scuola, lavoro. Va, inoltre, considerato che i sintomi dell’ADHD possono
variare a seconda dello specifico contesto.
Si differenziano tre sotto-tipi del disturbo:
1. Manifestazione combinata: manifestazione più tipica in età evolutiva, caratterizzata da un
quadro combinato di sintomi di disattenzione e d’iperattività-impulsività.
2. Manifestazione con disattenzione predominante: i sintomi sono prevalentemente
rilevabili nella categoria “disattenzione” rispetto a quella “iperattività-impulsività”. I bambini
appartenenti a questo sottotipo di disturbo presentano minori problemi a livello
comportamentale e minori difficoltà nelle interazioni con i pari; cio può indurre genitori e
insegnanti a trascurare la sintomatologia. Possono stare seduti in modo tranquillo, ma la
loro attenzione non è diretta a ciò che stanno facendo o a ciò che l’insegnante spiega.
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3. Manifestazione con iperattivita-impulsivita predominanti: la maggior parte dei sintomi
si evidenzia nella categoria “iperattivita-impulsivita”. Possono essere presenti pochi sintomi
di disattenzione, che però non raggiungono una soglia di rilevanza clinica.
ESORDIO E e DECORSO dell’ADHD
L’ADHD esordisce nell’infanzia, non vi è alcuna specificazione di un’età di esordio. E’
frequentemente identificato nel corso degli anni della scuola elementare, dove anche la
disattenzione risulta maggiormente invalidante. Il quadro sintomatologico risulta piu stabile nella
prima adolescenza, in alcuni casi, pero, può presentarsi un peggioramento, con la comparsa di
comportamenti antisociali.
In età pre-scolare si evidenzia in modo preminente l’iperattivita, mentre nella fascia di eta della
scuola elementare emerge maggiormente la disattenzione. Nella fase adolescenziale si
presentano con minor frequenza i segnali di Iperattività, in prevalenza connotati solo da agitazione,
una sensazione piu interna di nervosismo, irrequietezza o impazienza. In eta adulta l’Impulsività,
unitamente alla Disattenzione ed all’Irrequietezza, può permanere su livelli problematici, pur
essendo diminuita l’Iperattività
Nelo specifico osserviamo:
-in età prescolare (3-6 anni) il gioco è di durata e intensità ridotta, c'è un'irrequietezza motoria;
-nella scuola elementare (6-12 anni) c'è una distraibilità e un comportamento impulsivo-
distruttivo;
-in adolescenza (13-17 anni) invece c'è una difficoltà di pianificazione ed organizzazione e una
disattenzione persistente
CAUSE dell’ADHD
La ricerca ha evidenziato l’importante ruolo ricoperto dai fattori genetici sullo sviluppo dell’ADHD
(Zametkin, 1989). La trasmissione genetica incide sui livelli di attivita motoria, si ipotizza, dunque,
una base ereditaria per il disturbo. E’ stato dimostrato come il peso dei fattori genetici sullo
sviluppo del disturbo sia maggiore in presenza di sintomi di maggior gravità (Biederman et
al.,1995).
Sono state riscontrate differenti caratteristiche neurobiologiche in presenza del disturbo di
ADHD che si traducono in un deficit nel comportamento inibitorio, nella regolazione emotiva, nel
mantenimento dei livelli di attenzione e nei processi di pianificazione ed esecuzione delle risposte
motorie. (Barkley, 1997).
Nell’eziologia dell’ADHD vanno inoltre considerate le variabili di natura biologica che occorrono in
epoca pre o perinatale e che possono implicare danni cerebrali o particolari difficoltà legate al
decorso della gravidanza, al parto, o che possono presentarsi nella prima infanzia.
Altro ruolo importante é quello rivestito dalle interazioni conflittuali che si instaurano tra genitori
e bambino, che influirebbero aumentando notevolmente la probabilità che il disturbo si manifesti a
pieno, in tutta la sua gravita.
Costrutti psicopatologici dell’ADHD
Il deficit neurologico individuabile nel disturbo sembra divenire base su cui si innestano gli aspetti
comportamentali che connotano l’ADHD. Sono proprio tali comportamenti che divengono
protagonisti di reazioni ed effetti a catena che investono il mondo delle relazioni del bambino e la
sua percezione di se. Accade con estrema frequenza che nelle madri di bambini con ADHD si
sviluppino comportamenti controllanti nei confronti del bambino incentrati principalmente sull’uso di
rimproveri eccessivi e incoerenti che si rivelano inefficaci. L’alternanza tra comportamenti
genitoriali improntati al controllo serrato e la rinuncia verso la gestione delle condotte del bambino
determinano un circuito di mantenimento che influisce, a sua volta, come fattore che mantiene o
diminuisce ulteriormente l’autostima del bambino. Tali comportamenti, che spesso si
accompagnano anche a quelli presenti negli altri contesti di vita del bambino, come la scuola in cui
è frequente come esito l’isolamento da parte dei coetanei, rafforzano una visione negativa di sè,
che mantiene e rafforza le condotte sintomatiche.
TRATTAMENTO
Il trattamento dell’ ADHD prevede un intervento multimodale in grado di combinare interventi di tipo
farmacologico, psico-educativo e psicoterapeutico.
Gli psicostimolanti sono ritenuti i farmaci piu efficaci per adolescenti, bambini e adulti con ADHD.
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Tra i farmaci utilizzati vi sono il metilfenidato (Ritalin), le anfetamine (Adderal), le destoanfetamine
(Dextrostat, Dexedrine) e l’atomoxetina (Strattera). I principali effetti positivi sono a carico del
mantenimento dei livelli di attenzione, dell’impulsivita e dell’iperattivita.
Affinchè vi siano miglioramenti durevoli nel tempo è fondamentale affiancare al trattamento
farmacologico un percorso combinato di strategie cognitive e comportamentali che aiutino
bambino, genitori e insegnanti a raggiungere una piena comprensione del problema e nella
gestione dei comportamenti problematici presenti. I programmi cognitivo-comportamentali di
provata efficacia per l’ADHD prevedono vari livelli d’intervento tra loro interconnessi che
coinvolgono: la famiglia, l’ambito scolastico, il trattamento individuale del bambino.
1. ADHD in famiglia: intervento con i genitori
I programmi di intervento diretti ai genitori (ADHD Parent Training) hanno lo scopo di accrescere
la consapevolezza e la conoscenza del disturbo ADHD, sviluppando capacità di gestione da parte
dei genitori e modificando i comportamenti disfunzionali messi in atto nella relazione con il
bambino. Il focus principale dell’intervento é posto sullo sviluppo di maggiori capacità riflessive
da parte dei genitori, per aiutarli ad acquisire maggior coerenza e stabilità nelle proprie strategie
educative che aiutino e supportino il bambino nell’acquisizione della capacità di autogestirsi (Vio,
Marzocchi, Offredi, 2000). Un ruolo fondamentale riveste la promozione di un miglior clima emotivo
in famiglia e di una più efficace comunicazione con il bambino, anche definendo meglio limiti e
regole da seguire.
2. ADHD a scuola: intervento con gli insegnanti
L’intervento indirizzato agli insegnanti (ADHD Teacher Training) ha lo scopo di fornire in una
prima fase informazioni necessarie a raggiungere una piena conoscenza del disturbo ADHD. Ciò
costituisce un prerequisito importante perche si possa iniziare un riconoscimento degli aspetti
positivi del bambino. Diviene centrale in tale ottica fornire agli insegnanti informazioni su una
strutturazione dell’ambiente scolastico che tenga in considerazione bisogni e caratteristiche del
bambino iperattivo, per potenziare le sue capacita attentive e gli apprendimenti. Vanno, inoltre,
fornite agli insegnanti strategie utili per gestire e modificare i comportamenti disfunzionali, oltre che
migliorare le sue relazioni con i coetanei.
MUTISMO SELETTIVO
Il Mutismo Selettivo è un quadro clinico complesso che rientra nella categoria dei disturbi d’ansia in
età evolutiva. Il bambino affetto da mutismo selettivo si presenta come incapace nel parlare
e nel comunicare in modo efficace in contesti sociali da lui selettivamente percepiti come
minacciosi (ad esempio la scuola). Negli ambienti in cui, al contrario, sperimenta stati di
benessere e sicurezza, il bambino risulta perfettamente in grado di comunicare ed esprimersi
liberamente. E importante sottolineare che il bambino che manifesta questo tipo di difficoltà non
sta mettendo in atto un comportamento intenzionalmente oppositivo, non cerca costantemente di
attirare l’attenzione di chi lo circonda, al contrario, si sente sopraffatto da uno stato ansioso difficile
da gestire a tal punto che, come molti di loro dichiarano: “le parole proprio non vogliono uscire!”.
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Una gran percentuale di questi bambini, circa il 90% di essi, presenta in associazione al
mutismo
selettivo un quadro di fobia sociale. Essi appaiono, dunque, come estremamente timidi, timorosi
e spaventati dall’eventualità di imbattersi in interazioni sociali nelle quali prevedono l’urgenza di
dover parlare e comunicare. Si sentono esposti al giudizio, assumono un comportamento non
verbale rigido e impacciato, uno sguardo assente, inespressivo e, se si rendono conto di essere
oggetto dell’attenzione di altri, tendono a evitare il contatto oculare, a trovare qualcosa con cui
giocherellare e/o cercano di nascondersi. Danno, dunque, l’impressione di ignorare l’altro anche se
in realtà temono il confronto in un ambiente percepito come poco sicuro in cui hanno il sentore che
l’aspettativa riversata nei loro confronti sia troppo elevata rispetto alle risorse che sentono di
possedere per farvi fronte. Questi atteggiamenti possono, dunque, compromettere l’impegno
sociale
el bambino conducendolo a uno stato di isolamento.
Criteri che, secondo il DSM-5 (2014), permettono di formulare una diagnosi di Mutismo Selettivo
sono
costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetta che si parli
(per es. a scuola), nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni
la condizione interferisce con i risultati scolastici e con la comunicazione sociale
la durata della condizione e di almeno 1 mese (non limitato al primo mese di scuola)
l’incapacità di parlare non è dovuta al fatto che non si conosce, o non si é a proprio agio con, il
tipo di linguaggio richiesto dalla situazione sociale
la condizione non è meglio spiegata da un disturbo della comunicazione e non si manifesta
esclusivamente durante il decorso di disturbi dello spettro dell’autismo, schizofrenia o altri disturbi
psicotici.
MANIFESTAZIONI DEL MUTISMO
Non tutti i bambini manifestano l’ansia con le stesse modalità, vediamo, tuttavia, alcune delle
caratteristiche che più accomunano i bambini con mutismo selettivo.
Inibizione temperamentale: un aspetto che si esprime con la presenza di un’estrema timidezza
soprattutto manifestata nelle situazioni nuove in cui é richiesta una prima familiarizzazione con
l’ambiente. Spesso e associato ad ansia da separazione dalle figure di attaccamento.
Ansia sociale: forte sensazione di disagio che si manifesta con il timore di essere presentato a
persone sconosciute, di divenire oggetto di burla o critiche, di essere messo al centro dell’
attenzione
e/o si deve eseguire una prestazione.
Desiderio di interazione sociale: la maggior parte dei bambini con mutismo selettivo cela una
grande necessità di entrare in contatto con gli altri e di costruirsi delle amicizie. Al contrario dei
bambini che rientrano nella sfera autistica, possiedono adeguate competenze sociali, ma
necessitano di un maggiore supporto per attuarle.
Lamentele somatiche: i bambini con mutismo selettivo, soffrendo d’ansia, sono facilmente
soggetti
a somatizzazioni quali mal di pancia, mal di testa, nausea, dispnea, faticabilità respiratoria, ecc.
Espressività e atteggiamento: i bambini con mutismo selettivo, come precedentemente
accennato, assumono un volto inespressivo, una postura goffa, rigida e tendono a evitare il
contatto visivo quando sperimentano una forte sensazione di ansia.
Emotività: dal punto di vista emozionale il bambino con mutismo selettivo manifesta una vasta
gamma di sentimenti disfunzionali, tipici di un comune quadro d’ansia. Tra questi: preoccupazione
ccessiva, tristezza, scoramento, sfiducia nei confronti di se stesso, ecc.
Ritardo nello sviluppo: si è constatato che bambini affetti da mutismo selettivo sviluppano co
maggiore probabilità ritardi nell’area motoria, comunicativa e nella sfera della socializzazione.
Comportamento: i bambini con mutismo selettivo sono spesso inflessibili e testardi. Appaiono
estremamente volubili, con sbalzi di umore che vanno da un atteggiamento prepotente e
aggressivo a crisi di pianto e di profonda tristezza. Sul piano comportamentale, inoltre, ciò che più
li caratterizza e la tendenza al ritiro, alla chiusura e all’evitamento di tutte quelle situazioni sociali
che generano ansia. Questi bambini, inoltre, hanno un forte bisogno di controllo interno, ordine e
struttura che li rende resistenti al cambiamento.
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Difficolta comunicative e di socializzazione: per i bambini con mutismo selettivo l’incapacità di
comunicare e di stabilire relazioni adeguate può manifestarsi con svariate modalità. Alcuni di essi
sono totalmente incapaci di interloquire con chiunque si avvicini loro. Altri, invece, riescono a
comunicare solo se si rivolgono a pochi eletti. Altri ancora appaiono estremamente rilassati e
socializzano comunicando efficacemente con chi li circonda. Il nucleo del problema comunicativo è
del tutto situazionale. Uno stesso bambino, infatti, può apparire tanto chiuso, ritirato, isolato in
situazioni da lui stesso vissute come ansiogene (ad esempio a scuola), quanto chiacchierone,
socievole e pieno di iniziativa in un ambiente per lui sicuro e prevedibile (ad esempio in famiglia).
FATTORI DI RISCHIO
Da un punto di vista eziologico non é stato individuato un unico fattore in grado di spiegare lo
sviluppo del mutismo selettivo in età evolutiva. Considerando più aspetti, è stato possibile pero
identificarne alcuni che giocano un ruolo fondamentale nella sua comparsa:
Fattori temperamentali e ambientali: nello specifico si segnala che se nella storia genitoriale
vi è la presenza di affettività negativa (nevroticismo), inibizione comportamentale, timidezza,
isolamento e ansia sociale, è maggiormente probabile che il bambino possa sviluppare tale
disturbo.
Fattori legati al linguaggio: si è osservato che vi è una modesta percentuale di bambini che
sviluppano mutismo selettivo con lievi e/o pregressi disturbi del linguaggio (seppure quello ricettivo
risulti nel range di normalità).
Fattori fisiologici e genetici: considerando la frequente sovrapposizione del mutismo selettivo
e i disturbi d’ansia si ipotizza che essi possano avere in comune fattori di tipo ereditario e genetico.
Valutazione e trattamento del mutismo selettivo in ottica cognitivo-comportamentale
PROCESSO DI VALUTAZIONE Il processo di nel bambino con mutismo selettivo consiste in una
preliminare raccolta della sua storia evolutiva. L’esordio del disturbo si assesta normalmente nei
primi 5 anni di vita, dunque, va ripercorso con attenzione questo periodo evolutivo cercando
informazioni riguardanti il suo temperamento e, nello specifico, identificando la comparsa degli
aspetti di: inibizione, timidezza, preoccupazione nei contesti sociali, ansia da separazione, ecc.
Può essere utile, inoltre, programmare un’osservazione sistematica e un’analisi funzionale nei vari
contesti di vita del bambino. In questo modo sarà possibile comprendere con precisione gli
antecedenti e le modalità con cui il mutismo selettivo del bambino si manifesta e si mantiene. Tale
processo permetterà allo specialista di mettere in relazione i comportamenti di interazione sociale
con tutte quelle dinamiche che sembrano provocarli.
E’ importante sottolineare come una diagnosi precoce e corretta del disturbo si associ a una
migliore risposta al trattamento e, dunque, a una buona prognosi. Il trattamento cognitivo-
comportamentale del mutismo selettivo si propone di agire in modo multidimensionale, favorendo
interventi con stimoli naturali d’interazione da applicare nel contesto familiare e scolastico:
vicinanza fisica dell’insegnante, richieste contenute da presentare al bambino, modalità di lavoro
cooperativo dove non é richiesta obbligatoriamente una comunicazione verbale, stimolazione delle
interazioni con i compagni più sensibili, ecc.
Una delle priorità è quella di far sentire il bambino compreso e accolto nonostante il suo vissuto
ansioso. Lo si inviterà gradualmente a introdursi in ambienti sociali dapprima ristretti e, dopo che
Avrà acquisito maggiore sicurezza, in contesti via via più estesi. Si introdurranno, infine,
procedure
di rinforzo positivo (premio in seguito a piccoli successi) e verbalizzazione delle proprie emozioni.
Alcuni degli obiettivi che la terapia cognitivo-comportamentale si propone di raggiungere:
Ridurre la frequenza e l’intensità della risposta d’ansia
Ottenere una condizione di sufficiente tranquillità nel contesto sociale problematico per il
bambino
Fornire strategie per stabilire e mantenere relazioni interpersonali
Stimolare l’espressione (non necessariamente in modo verbale) di pensieri, emozioni e bisogni
Elevare l’autostima e i sentimenti di sicurezza
TRATTAMENTO
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Il Mutismo Selettivo è un disturbo complesso legato all'ansia; d'altra parte, questi bambini sono
capaci di parlare normalmente in situazioni in cui si sentono sereni e a loro agio . Al fine di ridurre
l’ansia, aumentare l'autostima e accrescere la fiducia e rendere possibile la comunicazione in
situazioni sociali, la terapia dovrà procedere attraverso tappe graduali di comunicazione . Le
aspettative di chi interagisce con il bambino genitori, insegnati, amici, rappresentano un
fattore di mantenimento del problema perché generano un aumento dell'ansia e accrescono le
difficoltà dei bambini a parlare . Pertanto il trattamento, oltre a svilupparsi sul piccolo paziente,
dovrà estendersi anche ai diversi contesti sociali in cui il bambino vive, soprattutto la scuola. È
bene che in questi contesti la comunicazione non-verbale sia accettata, solo così potrà abbassarsi
l’investimento (e la conseguente ansia che ne deriva per il bambino) sulla comunicazione verbale.
INTERVENTO CON I GENITORI
Sottolineare l’utilità del loro coinvolgimento nella terapia, ponendo l’attenzione sugli aspetti pratici
del quotidiano. È frequente che i bambini manifestino la loro tensione attraverso crisi di collera,
pianti, testardaggine e anche una leggera forma di autoritarismo. Questi atteggiamenti, se non
sono capiti, causano frustrazione nei genitori, i quali possono innervosirsi e aumentare lo stato
d'ansia del bambino, alimentando così un circolo vizioso che porta conseguenze negative per
entrambe le parti.
Altre volte, i genitori, si sentono impotenti e non capiscono perché i loro figli non parlino: la
frustrazione, la rabbia, il senso di colpa e la disperazione fanno parte di un repertorio di emozioni
che possono provare.
È necessario dunque che si modifichino gli stili utilizzati rispetto al problema del bambino,
e può esserci indicazione ad effettuare e/o terapie individuali o di coppia (Tatem e Del
Campo, 1995).
CON IL BAMBINO
Costruzione di una relazione paziente-terapeuta veicolata, inizialmente, da canali non-verbali, ciò
permette la conoscenza reciproca e l’abbassamento dei livelli di ansia nel bambino. Al bambino
devono essere date informazioni spiegando che il suo problema è generato dal disturbo d'ansia.
Deve ammettere di avere difficoltà a "far uscire le parole" e a comunicare (Salvi, 2016).
È possibile inoltre che i bambini neghino di sentirsi impauriti o di provare malessere, oppure non
siano in grado di riconoscerlo, ci vorrà perciò del tempo per insegnarli a comprendere cosa accade
e ad aiutarli ad accettare la loro difficoltà a parlare e a comunicare in maniera appropriata (Salvi,
2016).
Prevedere e concordare insieme gli obiettivi da perseguire, i contesti nei quali esporsi, le persone
con cui comunicare, ed i tempi con cui procedere protegge la terapia da comportamenti di
oppositività di fronte alle richieste di comunicazione verbale e ne facilità la produzione.
Nella fase conclusive del trattamento il terapeuta analizza insieme al bambino gli obiettivi che
erano stati identificati all'inizio della terapia e li confronta con gli obiettivi che sono stati raggiunti,
ponendo l'accento sulla positività dei risultati ottenuti. Mette in evidenza insieme al soggetto sia i
risultati che sono stati raggiunti in modo parziale o che necessitano di ulteriore lavoro da parte del
soggetto e che possono essere gestiti in modo indipendente. Il trattamento non termina in modo
99
brusco da un momento all'altro, le sedute nella fase finale dovrebbero, piuttosto, essere diradate in
modo graduale fino alle sedute di follow-up.
CAUSE
Secondo la teoria biochimica la sintomatologia del Disturbo Ossessivo Compulsivo e correlata
conuna disregolazione di alcuni sistemi di neurotrasmettitori, in particolare del sistema
serotoninergico (e in parte anche del sistema dopaminergico), che causerebbe una diminuzione
della serotonina in specifiche aree cerebrali. Questa ipotesi é avvalorata dal fatto che i sintomi
ossessivo compulsivi migliorano con la somministrazione di farmaci SSRI (Inibitori Selettivi della
Ricaptazione della Serotonina).
In generale, le persone che hanno parenti con Disturbo Ossessivo Compulsivo sono soggette ad
un rischio maggiore di sviluppare la malattia, anche se la maggior parte delle persone con la
malattia non hanno una storia familiare simile.
Il clima familiare é di solito caratterizzato da un blocco delle espressioni emotive e da distacco; in
queste famiglie si predilige il piano logico, formale e verbale. Inoltre di solito e presente
un’attenzione focalizzata alle regole formali, un’accentuazione del senso di responsabilità, un
incoraggiamento allo sforzo, all’impegno e alla pulizia. In queste famiglie generalmente le relazioni
sociali sono scarse e quelle esistenti sono vissute in modo molto formale.
Credenze cognitive specifiche del Disturbo Ossessivo-Compulsivo
La psicopatologia nucleare del Disturbo Ossessivo Compulsivo è costituita da alcune
credenze specifiche che sottendono la sintomatologia ossessivo compulsiva giustificando
l’attuazione dei rituali, la loro necessità e la loro utilità. Le principali fra tali CREDENZE sono le
seguenti:
- Credenze sul bisogno di controllo del pensiero.I pazienti ossessivi hanno la credenza di
dover avere un controllo assoluto sui propri pensieri, in quanto la perdita di quest’ultimo
potrebbe essere alquanto pericolosa: “Potrei diventare pazzo”,“Potrei fare cose folli”.
- Credenze relative alla sopravvalutazione della minaccia. Il modello di Lorenzini e
Sassaroli (2000) rende comprensibile le credenze sul rischio catastrofico temuto dal
paziente qualora avvenisse un determinate evento poiche, la posta in palio non é tanto il
verificarsi in sé di quell’evento, ma l’averne la responsabilita e la colpa, che comporteranno
una condizione d’indegnita assoluta.
- Intolleranza dell’ambiguita e dell’incertezza. Poiché il paziente ossessivo compulsivo
vuole avere l’assoluta certezza di non essere colpevole, ovvero responsabile, cerca
d’individuare tutte le fonti di pericolo e di controllarle. Purtroppo, pero, questo bisogno di
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certezza ha come conseguenza quella di aumentare l’insicurezza del paziente, in quanto la
rassicurazione perfetta, esaustiva e certa non e possibile. I dati a disposizione del paziente
saranno sempre insufficienti, non gli sara mai possibile escludere completamente l’evento
temuto.
- Perfezionismo. Per l’ossessivo tutto viene valutato in termini di giusto e sbagliato. In
queste persone e presente la convinzione che chi sbaglia non sia degno di valore e si e
degni soltanto se si é perfetti, moralmente irreprensibili. Il perfezionismo dell’ossessivo e
finalizzato alla ricerca della certezza assoluta, nell’impossibilita di tollerare un proprio errore
o responsabilita.. Questo aspetto rende problematico il funzionamento degli ossessivi
anche in un’area come quella del prendere decisioni e del fare delle scelte. Un ossessivo
non considera l’elemento emozionale nelle scelte, non usa il proprio desiderio Credenze
sulla responsabilità.
*Salkovskis (1985) sottolinea l’importanza del IL TEMA DELLARESPONSABILITA’PERSONALE
per il paziente ossessivo compulsivo, quale elemento fondamentale nell’attivazione del processo
ossessivo: il dubbio ossessivo non si attiva se per il soggetto non vi e un nesso causale tra cio che
egli ha fatto, o non ha fatto, e l’evento che teme. Solo se il paziente pone in relazione l’evento
dannoso con una propria responsabilita, questo diventa critico per l’innesco del dubbio ossessivo.
L’ossessivo ha un senso ipertrofico di responsabilita, legato sia alle azioni che alle
omissioni.
TRATTAMENTO
Le linee guida internazionali indicano nella terapia farmacologica e nella terapia cognitivo
comportamental i trattamenti dimostrati al momento piu efficaci e, in particolare, nella procedura
di esposizione con prevenzione della risposta (ERP) il trattamento psicoterapico d’elezione per
il Disturbo Ossessivo Compulsivo. La maggior parte degli studi mostra che, in media, circa il 70%
dei,pazienti affetti da Disturbo Ossessivo Compulsivo trae beneficio dagli psicofarmaci o dalla
terapia cognitivo-comportamentale.
Preoccupazione per sostanze o gioco d'azzardo nei Disturbi correlati all'uso di sostanze e
dipendenza
Preoccupazione di avere una malattia come nel Disturbo d'Ansia Malattia
Impulsi sessuali o fantasie nei Disturbi Parafiliaci
Impulsività nel Disturbo dirompente, del controllo degli impulsi e Disturbi della condotta
Ruminazioni di colpa nel Disturbo depressivo maggiore
Preoccupazioni deliranti nel Disturbo dello spettro schizofrenico e altri Disturbi psicotici
Schemi ripetitivi di comportamento nel Disturbo dello spettro autistico
Specificare se:
Con buono o sufficiente insight: l'individuo riconosce che le credenze sono sicuramente o
probabilmente non vere o non possono essere vere;
Con scarso insight: l'individuo pensa che le credenze siano probabilmente vere;
Con assente insight/credenze deliranti: l'individuo è del tutto convinto che le credenze siano
vere.
Specificare se: Correlato a Tic: l'individuo ha una storia attuale o passata di un Disturbo da Tic.
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COMPULSIONI
Compulsioni nel DOC: comportamenti o atti mentali motivati e intenzionali, diversi dai
comportamenti ripetitivo, meccanico e “robotici” che si osservano ad es. in malattie neurologiche
come la demenza fronto-temporale.Le compulsioni nel DOC sono finalizzate a prevenire o
neutralizzare una possibilità negativa o a ridurre il distress, mentre nei disturbi del controllo degli
impulsi (shopping compulsivo) sono messi in atto perché producono piacere o gratificazione.
Caratteristiche
Le compulsioni possono essere sia comportamenti sia atti mentali. Sono
Persistenti e ripetitive;
Spesso ritualizzate;
Sono intenzionali ma il paziente si sente costretto a metterle in atto, cioè appunto compulsive;
Spesso sono criticate dal paziente.
*Altri tentativi di soluzione
I tentativi di soluzione non necessariamente hanno tutte le caratteristiche delle compulsioni, ad
esempio possono non essere ripetuti in modo stereotipo o in accordo con regole rigide, come le
compulsioni:
Evitamenti
Distrazione
Soppressione dei pensieri
Richieste di rassicurazioni
Neutralizzazioni varie
RUMINAZIONI di Ragionamento o di Immaginazione. Hanno lo scopo di
- controllare ciò che si è fatto o che è accaduto (“ho detto qualcosa di offensivo?”);
- controllare ciò che si potrebbe essere disposti a fare (ad esempio immaginare di uccidere il
proprio padre per chiarire il sospetto, suggerito dalle immagini aggressive che intrudono
nella mente, di avere intenzioni parricide).
PROFILO INTERNO DEL DOC Gli scopi che il paziente con DOC vuole perseguire attraverso
l’attività compulsiva sono sostanzialmente due (e possono essere perseguiti anche
contemporaneamente):
La possibilità di avere una colpa, in particolare deontologica, appare ai pazienti ossessivi, non
come un evento molto spiacevole e doloroso, come appare ai più ma come una catastrofe, vale a
dire come qualcosa di insopportabile. Difficoltà a rappresentarsi come possibile e legittima
l'esperienza del Perdono di Sé. Relativamente alle cause di questo nucleo psicologicho, alcune
ricerche hanno evidenziato che i pazienti con DOC sono sensibili in modo specifico alle critiche
severe e assolute (Ehntholt, Rimes e Salkovskis, 1999). La critica riveste l'intera totalità della
persona e non viene contemplata la possibilità di una semplice punizione circoscritta
all'evento.
Sono state , infatti, individuate come fattori di vulnerabilita nel bambino, l’esperienze precoci
di dure critiche subite nell'ambiente familiar che hanno sensibilizzato alla ricerca del
perfezionismo; all’aumento del senso di responsabilità.
Altro fattore di rischio l’utilizzo della relazione come disciplina: in questo caso il genitore non
punisce dando una pena ragionevole ma usa la comunicazione emotiva: si mostra offeso,deluso;
affettivamente distaccato dal bambino che ha commesso qualcosa di sbagliato.
I SINTOMI DELL’INSONNIA
Il disturbo del sonno piu diffuso é il disturbo da insonnia. I sintomi dell’insonnia sono:
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Difficoltà ad addormentarsi ed iniziare il sonno
Difficolta a mantenere il sonno che é disturbato da frequenti risvegli e/o difficolta a
riaddormentarsi
Risveglio precoce al mattino con conseguente difficoltà a riaddormentarsi
L’alterazione del sonno e fonte di disagio significativo tanto da compromettere le normali
abitudini di vita e si verifica almeno tre volte a settimana per un periodo di almeno tre mesi
e non e attribuibile agli effetti di una sostanza.
Oltre ai sintomi dell’insonnia ascrivibili principalmente alle ore notturne, non vanno dimenticati i
disagi che si possono provare durante il giorno tra cui:
preoccupazioni relative al sonno
maggiore affaticabilità
senso generale di malessere spesso associato ad un tono dell’umore alterato e una maggiore
irritabilità
diminuzione della capacità di concentrazione con un possibile peggioramento nel
rendimento sociale e lavorativo
sintomi fisici, quali mal di testa, fomicolii, stati tensivi, sintomi gastrointestinali
Il disturbo da insonnia puo verificarsi in ogni momento della vita, anche se solitamente il primo
episodio si verifica piu comunemente tra i giovani adulti. Puo iniziare talvolta nell’infanzia e nella
prima adolescenza, ma accade assai piu raramente ed e per lo piu legata a fattori di
condizionamento per i bambini (es: mancanza di orari costanti, oppure se il bambino non ha mai
imparato ad addormentarsi/riaddormentarsi in assenza di un genitore) e a orari irregolari del sonno
negli adolescenti. Per quanto riguarda il sesso femminile talvolta l’insorgenza dell’insonnia puo
coincidere con il periodo della menopausa. Per ultimo, relativamente all’insorgenza del disturbo da
insonnia in tarda età questo spesso e associato ad altre condizioni mediche e di salute per lo piu
legate ai normali cambiamenti correlati all’età.
L’insonnia puo essere situazionale, persistente o ricorrente.
L’insonnia situazionale dura da pochi giorni a poche settimane ed e per lo piu legata a eventi di
vita stressanti, ma anche a cambiamenti repentini delle abitudini e/o dell’ambiente. Solitamente in
questi casi una volta scomparso o risoltosi il fattore precipitante, anche l’insonnia svanisce.
Tuttavia puo capitare che, nonostante non vi siano piu le condizioni precipitanti iniziali, il disturbo
persista; in molti di questi casi la tipologia del sonno puo variare da notte a notte passando da
molte notti in cui la qualita del sonno e la quantita di ore dormite sono scarse, a una o due notti di
sonno riposante.
Resta comunque il fatto che la percezione soggettiva sia spesso quella di un riposo non
soddisfacente, cui spesso si associano credenze disfunzionali relative al sonno che
facilitano il reiterarsi del disturbo. Tali preoccupazioni, se persistenti, possono trasformarsi in
rimuginio e si cercano perciò delle soluzioni fai date a questo problema che pero nella maggior
parte dei casi non sono d’aiuto. Oltre alle preoccupazioni relative alla propria insonnia che attivano
e alimentano l’ansia facilitando la creazione di un circolo vizioso che altro non fa che continuare
ad alimentare il disturbo, ci sono anche dei comportamenti ascrivibili a un quadro di scarsa igiene
del sonno e che incidono sulla qualita del riposo (es. sonnellini nel tardo pomeriggio e subito dopo
cena, lavorare subito prima di coricarsi, frequenti e ripetuti cambi di luogo e di orari etc).
COSTRUTTI PSICOPATOLOGICI
I fattori specifici che contribuiscono a mantenere l’insonnia sono molteplici e spesso interagenti tra
loro: meccanismi cognitivi, affettivi e comportamentali (e.g., Morin & Espie, 2004). Si crea una
sorta di circolo vizioso: le preoccupazioni e ruminazioni legate al non riuscire a dormire e agli
effetti di una notte insonne sulle attività del giorno dopo provocano un’attivazione del sistema
nervoso che rende a sua volta difficile il sonno. Anche le credenze irrealistiche sul sonno e sul
bisogno di sonno, che tendono ad aumentare le preoccupazioni sull’insonnia e ad alimentare
l’attivazione e l’ansia, producono poi un circolo vizioso che mantiene il disturbo del sonno.
In particolare, secondo il modello cognitivo dell’insonnia proposto da Harvey (Harvey, 2002; 2005;
Espie et al. 2006), l’insonnia sarebbe sostenuta da una “cascata” di processi cognitivi presenti sia
di notte sia di giorno:
- Gli individui con insonnia soffrono di pensieri intrusivi spiacevoli ed eccessiva paura
durante il periodo di pre- addormentamento.
106
- Paure ed eccessive ruminazioni scatenano arousal fisiologico/emotivo e stress (stato
ansioso).
- Lo stato ansioso determina un restringimento del focus attentivo che porta a
sovramonitorare stimoli interni (sensazioni fisiche) o esterni (stimoli ambinetali) che
minacciano il sonno. Quindi le chances di percepire stimoli che minacciano il sonno
aumentano.
- Gli individui sovrastimano l’entità del disturbo del sonno (di notte) e del deficit di
performance (di giorno). I processi di sovra attenzione e sovra stima del disturbo del sonno
incrementano lo stato di paura iniziale.
- Credenze erronee sul sonno e comportamenti di compenso contribuiscono ai processi di
mantenimento dell’insonnia.
L’automaticita del ciclo sonno-veglia puo inoltre essere inibita da tre fattori cognitivi:
Attenzione selettiva verso il sonno
Intenzione di dormire (a tutti i costi)
Sforzo per dormire
Inoltre, spesso i tentativi di soluzione e i rimedi per l’insonnia che le persone insonni mettono
spontaneamente in atto per contrastare il disturbo sono controproducenti, alimentando l’insonnia: i
sonnellini pomeridiani o l’anticipare l’ora di addormentamento sono tentativi di soluzione che pero
non fanno altro che peggiorare il problema. Infine, anche le abitudini di vita come l’orario in cui ci
si mette a letto, il consumo di alcolici, caffeina, l’alimentazione e l’attivita fisica possono alterare il
sonno provocando insonnia.
TRATTAMENTO DELL’INSONNIA
Negli ultimi anni diversi studi hanno mostrato come in alcuni casi sia difficile diagnosticare se
l’insonnia sia un disturbo primario o conseguente a un altro disturbo, soprattutto nei casi di disturbi
d’ansia e dell’umore (es. depressione). In entrambi i casi il suo trattamento ha effetti benefici sia
sul sonno che sulla patologia copresente.
La cura dell’insonnia oggi prevede sia l’uso di farmaci (Ipnoinducenti, generalmente
benzodiazepine) sia trattamenti non-farmacologici. Mentre i farmaci per l’insonnia possono essere
piu indicati per la cura dell’insonnia occasionale o situazionale, i trattamenti non-farmacologici
sono la terapia di scelta per l’insonnia cronica.
La terapia maggiormente accreditata é il Trattamento Cognitivo-Comportamentale
dell’insonnia (CBTi – Cognitive-Behaviour Therapy for insomnia): un intervento psicologico,
individuale o di gruppo, basato su tecniche che hanno mostrato una significativa efficacia per la
cura dell’insonnia. Negli ultimi anni diverse ricerche hanno dimostrato che anche la Mindfulness, in
particolare il programma Mindfulness Based Stress Reduction (MBSR), puo essere efficace nel
trattamento dell’insonnia se integrata alla CBTI
La CBTI per l’insonnia è un intervento basato sia sui modelli psicofisiologici di regolazione del
sonno sia sui modelli eziologici dell’insonnia e agisce sui fattori (comportamentali, fisiologici e
cognitivi) di mantenimento del disturbo.
La CBT-i prevede le seguenti tipologie di interventi:
A) COMPORTAMENTALI
- Tecnica del Controllo degli Stimoli (Bootzin, 1972, Bootzin et al., 1991) In base ai
principi dell’apprendimento associativo, gli stimoli ambientali, temporali e mentali relativi
all’addormentamento sono “segnali” non di sonno, ma di veglia. La strategia terapeutica
consiste nell’estinguere le associazioni disfunzionali e nell’instaurare associazioni che
favoriscano il sonno. Al fine di riassociare il letto al dormire, vengono introdotte alcune
regole come: andare a dormire solo quando si ha sonno, alzarsi quando si è insonni (get-
out of bed), sviluppare rituali preletto da associare al sonno.
- Tecnica della Restrizione del Sonno (Glovinsky e Spielman,1991, Spielman, Saskin,
Thorpy 1987). Si basa su una rilevazione del tempo di sonno prolungata per almeno una
settimana (mediante diari del sonno) e su una successiva riduzione del tempo trascorso a
letto (TIB) alla quantità solitamente dormita ininterrottamente (ma non meno di 4 ore).
Successivamente il TIB viene aumentato fino a ottimizzare il rapporto fra TIB e tempo di
sonno. L’obiettivo della tecnica e quello di incrementare la spinta omeostatica al sonno
riducendo le ore da trascorrere a letto e quindi l’accumulo di sonno. La restrizione di sonno
107
agisce migliorando la qualità e la continuità del sonno, riducendo il sonno superficiale e il
tempo di addormentamento.
B) COGNITIVI
- Terapia Cognitiva (Morin, 1993) L’obiettivo della Terapia Cognitiva è quello di modificare
le convinzioni e le aspettative sul sonno che alimentano il disturbo da insonnia
(ristrutturazione cognitiva). In particolare, alcune valutazioni spesso catastrofiche che le
persone insonni fanno di una determinata situazione producono risposte emotive negative
(come ansia, tristezza, rabbia) che a loro volta impediscono il sonno e creano un circolo
vizioso che mantiene e alimenta l’insonnia.
- Tecnica del Controllo Cognitivo (Morin, Espie, 2004) Il razionale di questa tecnica é lo
stesso di quella del Controllo degli Stimoli, ma riguarda i pensieri e le preoccupazioni: si
cerca di rompere l’associazione tra la camera da letto/il sonno e i pensieri caratterizzati da
preoccupazioni o rimuginii, cercando di associare lo spazio e il tempo dedicati al sonno a
pensieri rilassanti e piacevoli che favoriscono l’addormentamento.
- Tecnica dell’Intenzione Paradossale (Espie, 1985) Il sonno é un processo automatico e
involontario quindi nel momento in cui si cerca di porre un controllo su di esso, viene
automaticamente inibito. Gli insonni fanno infatti molti sforzi nel tentativo di dormire e
pertanto inibiscono il sonno. La tecnica si propone, in modo paradossale appunto, di
promuovere obiettivi legati alla veglia e non al sonno.
C) PSICOEDUCAZIONE AL SONNO E ALL’INSONNIA La durata del sonno può variare
da persona a persona. Ricerche sperimentali indicano che l’essere umano necessita
mediamente di 6 ore di sonno. Il bisogno di sonno varia inoltre con l’eta, tendendo a
diminuire. Considerato che le preoccupazioni derivanti dalle credenze sulle conseguenze
di una notte insonne possono peggiorare il disturbo del sonno, e utile sapere che le
ricerche finora condotte non hanno riscontrato evidenti cali prestazionali cognitivi
(attenzione e memoria) in seguito anche a sole 3/4 ore di sonno. Molte persone che
soffrono di insonnia ritengono che dovrebbero addormentarsi subito e non svegliarsi mai
durante la notte e sono in ansia se questo non accade. In realtà, chi dorme bene
generalmente impiega circa mezzora per prendere sonno, svegliandosi piu volte durante
la notte. Inoltre è stato osservato in diverse ricerche che le persone con disturbo del
sonno tendono a sottostimare il loro sonno e a sovrastimare il tempo di
addormentamento e i risvegli notturni. Da queste credenze errate spesso deriva una
valutazione del proprio sonno piu grave di quella che e in realta, facendo
aumentare le preoccupazioni della persona insonne.
D) IGIENE DEL SONNO (e.g. Hauri, 1991) Consiste nella modificazione di abitudini e di
comportamenti in base a principi e regole razionali rispetto alla fisiologia del ciclo sonno
veglia:
- Abolire i sonnellini diurni e regolarizzare gli orari di sonno.
- Estinguere i comportamenti disadattavi: non assumere sostanze stimolanti
(nicotina, caffeina o zuccheri) o deprimenti il sistema nervoso (alcol) prima di
andare a letto.
- Adottare comportamenti compatibili con il sonno (p.e. fare attivita fisica regolare)
e introdurre miglioramenti nell’ambiente di sonno.
INTERVENTO SUI I GENITORI
•Trattamento cognitivo comportamentale, con coinvolgimento dei genitori e ridurre il loro
coinvolgimento attivo durante la notte.
• Utilizzo di strategie comportamentali (rinforzi, estinzione ecc)
• Strategie cognitive ( ristrutturazione cognitiva)
• Tecniche di estinzione. Spesso i genitori non riescono a non essere coinvolti nel sonno del
bambino perché ritengono sia un segno di insensibilita E scarso accadimento nei confronti del
figlio
• Risvegli programmati e ritardo programmato
• Pre bed routine sfruttando i principi associativi del condizionamento classico si consolida la
relazione tra orari-ambiente e sonno.
INTERVENTO SUI BAMBNI
• Molte volte e necessario un intervento perche i risvegli sono dovuti a paure notturne, si
108
suggerisce cosleeping e roomsharing
Per gli adolescenti
• Igiene del sonno
• In questa età cambiano i ritmi circadiani
• Attivita sportiva e uso di dispositivi tecnologici possono ritardare il sonno
Pertanto tutti questi aspetti devono essere analizzati e modificati
Specificare se:
– Comorbilità con un disturbo mentale non correlato al sonno, compresi i disturbi da uso di
sostanze
– Comorbilità con un’altra condizione medica
– Comorbilità con un altro disturbo del sonno
Specificare se:
– Episodico: i sintomi durano per almeno 1 mese, ma meno di 3 mesi
– Cronico: i sintomi durano per almeno 3 mesi o più
– Ricorrente: due (o più) episodi nell’arco di 1
• La diagnosi di insonnia in età pediatrica NON viene emessa al di sotto dell’età dei sei mesi,
poiché nei mesi precedenti i risvegli notturni multipli sono del tutto fisiologici.
• I bambini che intorno ai 6 mesi non sviluppano un pattern di sonno consolidato (5/6 o più ore di
sonno consecutive) potrebbero essere candidati a sviluppare un problema di insonnia.
• L’ICSD-3 specifica che vi possono essere bambini che hanno bisogno di particolari condizioni
per dormire o hanno ripetute dilazioni nell’orario dell’addormentamento a causa di ansia
110
sottostante o fobie specifiche (separazione, buio).
La diagnosi precoce risulta estremamente importante in quanto la letteratura evidenzia come i
problemi di sonno non trattati tendono a mantenersi nel 50% dei casi dei bambini quando
vengono rivisitati 1 o 2 anni dopo.
Nei bambini piccoli (0-3 anni) le difficoltà di addormentamento e/o di mantenimento del sonno,
sono spesso il risultato di ASSOCIAZIONI DISFUNZIONALI con il sonno o dipendenti da
condizioni di INADEGUATA DEFINIZIONE DEL LIMITE.
Secondo questo modello tra: sonno del bambino e credenze, aspettative, emozioni,
comportamenti dei genitori rispetto al sonno del figlio, si instaurano articolate relazioni
biunivoche che si organizzano poi in un circolo, vizioso o virtuoso, che influenza lo sviluppo del
pattern di sonno infantile (ritmo del ciclo sonno-veglia, sleep ability, continuità del sonno).
• Bambini che si addormentano ricevendo un importante supporto dai genitori (allattati, cullati,
con stretto contatto fisico) hanno un numero maggiore di risvegli notturni in cui richiedono
l’intervento dei genitori.
• L’ipotesi è che il bambino associ l’addormentamento esclusivamente alla presenza del genitore
e che tale presenza sfavorirebbe lo sviluppo di strategie autoconsolatorie (lallio, suzione del
dito o del ciuccio, contatto con oggetto transazionale) necessarie per affrontare in autonomia la
transizione veglia-sonno.
L’INTERVENTO PSICOTERAPEUTICO
ETÀ PRE-SCOLARE/SCOLARE
Tra i 4 e di 12 anni circa il 70% dei bambini riferisce paure notturne che spesso interferiscono
con il sonno;
In questi casi il trattamento più appropriato va scelto sulla base dell’analisi delle caratteristiche
cognitive, emotive e comportamentali del bambino in riferimento allo sviluppo ed al
mantenimento della problematica. In controtendenza con gli interventi privilegiati per i più piccoli,
la letteratura suggerisce che l’adozione, per brevi periodi, di comportamenti di co-sleeping e
room-sharing può rivelarsi una strategia di fronteggiamento funzionale al processo di
addormentamento e mantenimento del sonno.
ETÀ PRE-ADOLESCENZIALE/ADOLESCENZIALE
In questa fascia d’età influiscono sulla riduzione dell’insonnia le pratiche di igiene del sonno:
normali cambiamenti del ritmo circadiano, dovuti al processo fisiologico di maturazione;
La maggiore autonomia comportamentale nella gestione del ciclo sonno- veglia (aumento di
attività serali disfunzionali al sonno come attività sportiva, di studio, utilizzo di dispositivi
tecnologici, ecc.); la possibile assunzione di sostanze (caffeina, alcolici, droghe).
Pertanto, così come per gli adulti, nel corso del trattamento CBT questi aspetti devono essere
analizzati e modificati sostituendoli con pratiche più funzionali all’inizio ed al mantenimento del
sonno.
ENURESI
L’enuresi si manifesta con episodi di rilascio (piu spesso involontario ma anche intenzionale) di
urina nel letto o nei vestiti per un tempo e una frequenza clinicamente significativi: due volte alla
settimana per almeno tre mesi consecutivi. Si effettua diagnosi in bambini di eta non inferiore ai
5 anni, quando plausibilmente dovrebbe essere stato acquisito un sufficiente controllo.
Questo comportamento non dipende esclusivamente da patologia organica (es. diabete), ne
dall’assunzionedi sostanze o medicinali (es. diuretici) e causa disagio e grave compromissione del
funzionamento personale, sociale e scolastico.
E’ un problema frequente che interessa il 5-10% dei bambini tra 5 e 10 anni, il 3-5% tra 10 e 15
anni e circa l’1% oltre i 15 anni: tende, infatti, a risolversi spontaneamente.
Il disturbo puo essere solo diurno, solo notturno, o entrambi.
Si parla di Enuresi Essenziale quando la perdita involontaria di urina non é correlata ad altre
patologie; se invece il rilascio di urina si associa ad affezioni urologiche, neurologiche o
metaboliche si parla di Incontinenza.
L’Enuresi Essenziale si suddivide in:
Enuresi Primaria che riguarda i bambini che non hanno mai smesso di bagnare il letto.
Enuresi Secondaria che riguarda i bambini che hanno raggiunto il controllo degli sfinteri per
almeno 3-6 mesi e hanno poi ricominciato a bagnarsi.
LE CAUSE
Sono multifattoriali ed entrano in gioco fattori biologici, ambientali e psicologici.
Secondo il modello neurofisiologico si rileva un ritardo di maturazione con difficolta a passare da
comportamento riflesso automatico a volontario: il rilascio di urina, quindi, avviene solo a causa
della pressione interna.
In base al modello endocrinologo l’ormone ADH agisce facendo si che, durante la notte, sia
prodotta circa la meta della quantita di urina prodotta durante il giorno ma, nel bambino con
enuresi, questo è meno vero a causa di bassi livelli di ADH che si normalizzano piu tardi rispetto
agli altri bambini.
Il modello fisiopatologico evidenzia che l’enuresi e causata da uno squilibrio tra produzione
notturna di urina e capacità vescicale funzionale.
Secondo il modello dell’apprendimento la maturazione fisiologica é necessaria ma non
sufficiente a garantire il controllo sfinterico: é fondamentale un adeguato apprendimento all’uso e
al controllo degli sfinteri che, a volte puo manifestarsi e altre no, a causa di pressioni eccessive o
di smisurata tolleranza durante la fase di apprendimento.
Il modello del rinforzo sociale pone l’accento su come il mancato apprendimento può essere un
mezzo per ottenere particolari benefici e/o attenzioni. Molto importanti sono i fattori emozionali
come elevati livelli di ansia correlati a particolari momenti di stress e tensione emotiva (es. l’inizio
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della scuola, la nascita di un fratellino o eventi ancora piu traumatici). Un atteggiamento permissivo
e negligente o rigido e colpevolizzante puo, inoltre, essere fattore di mantenimento del disturbo.
LA DIAGNOSI
Assessment specifico
In questa fase sono fondamentali i colloqui con i genitori e l’utilizzo di check-list specifiche
per l’Enuresi che permettono di valutare elementi specifici del problema quali:
La familiarita per enuresi (70%)
Le modalita ed i tempi di acquisizione del controllo sfinterico
L’insorgenza del problema
La frequenza degli episodi di enuresi
La frequenza minzionale (notturne/diurne)
I comportamenti di minzione (di fretta, all’ultimo minuto)
I comportamenti igienici del bambino
La capacita di contenimento dell’urina in vescica (si accorge all’ultimo, riesce a trattenerla
per un po’…)
Tipologia e classificazione del disagio
Abitudini alimentari e idriche del bambino
Ritmo sonno/veglia.
Assessment familiare
E importante indagare e approfondire:
Situazioni familiari che possono giustificare l’esistenza e il mantenimento del disagio
Atteggiamento dei genitori e di eventuali fratelli o sorelle rispetto alla situazione
Modalita di intervento rispetto al mancato controllo (es. cambio lenzuola, rifacimento del
letto…)
Precedenti tentativi di risoluzione.
Stili educativo-relazionali dominanti (insieme di pratiche, credenze, modi di agire e ideali che
governano il modo in cui un genitore educa e si comporta con il proprio figlio).
Il focus va diretto, in particolare, sulle reazioni dei genitori dato che i loro comportamenti di
risposta agli episodi di Enuresi influenzano in modo significativo la sintomatologia. I genitori
possono reagire in modi completamente diversi: con rabbia, negando il problema, con tentativi di
sdrammatizzazione, con un’insofferenza malcelata o con atteggiamenti di accettazione fatalistica.
Il bambino puo essere messo in ridicolo o punito o avere maggiori attenzioni.
Assessment con il bambino (quando é possibile)
L’obiettivo é di valutare la qualità di vita del bambino con enuresi cercando di comprendere la
gravità del disturbo e le conseguenze della sintomatologia a livello:
fisico (se limita e condiziona gravemente l’autonomia),
sociale (se le relazioni con eventuali fratelli e con i coetanei sono problematiche),
emozionale (se sono presenti stress elevato a causa dei risvegli, vissuti di autosvalutazione,
rendimento scolastico compromesso, rapporti conflittuali con i genitori a causa di interventi
punitivi o di manifesta delusione).
Tra le conseguenze a livello psicologico, infatti, potrebbero manifestarsi diverse problematiche:
protrarsi della fase di attaccamento, immaturita affettivo-relazionale, sensi di colpa, bassa
autostima e vissuti depressivi.
In questa fase, se si tratta di Enuresi Secondaria, la causa puo essere individuata con facilita nella
maggior parte dei casi.
ENCOPRESI
L’encopresi si manifesta con episodi di rilascio (piu spesso involontario ma anche intenzionale) di
feci nei vestiti o sul pavimento per un tempo e una frequenza clinicamente significativi: una volta al
mese per almeno tre mesi consecutivi. Si effettua diagnosi in bambini di eta non inferiore ai 4
anni quando plausibilmente dovrebbe essere stato acquisito un sufficiente controllo.
Questo comportamento non dipende esclusivamente da patologia organica, né dall’assunzione di
sostanze o medicinali (es. lassativi), causa disagio e grave compromissione del funzionamento
personale, sociale e scolastico.
Nel formulare la diagnosi occorre specificare il sottotipo che caratterizza il quadro clinico:
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Con Costipazione e Incontinenza da Sovrariempimento (All’anamnesi o all’esame obiettivo
si rileva la presenza di una grande massa fecale in zona rettale o addominale o una frequenza
di defecazione inferiore di 3 volte a settimana);
Senza Costipazione e Incontinenza da Sovrariempimento (Attraverso l’esame fisico e la
storia medica si evidenzia assenza di stitichezza; il bambino si sporca a intermittenza).
La difficolta a controllare l’emissione delle feci per i bambini é umiliante in quanto temono di
essere scoperti e di venire esposti alle critiche degli altri. L’autostima si abbassa, le attivita
ricreative o sportive possono essere compromesse e si possono evidenziare tendenze
all’isolamento in un quadro di eccessiva dipendenza dai genitori. I bambini ossono essere
provocati o presi in giro e molti rifiutano qualsiasi riferimento alle feci e, temendo di essere messi in
ridicolo o puniti, nascondono l’evidenza, cioe gli indumenti sporchi. Il problema dell’encopresi
comporta, spesso, conflitti e tensione nella coppia genitoriale con accuse incrociate.
Tipologie:
Encopresi Primaria quando il bambino non ha mai raggiunto il controllo intestinale.
Encopresi Secondaria quando il disturbo si manifesta dopo che per un certo periodo e stato
raggiunto il normale controllo sfinterico.
Encopresi Involontaria “paradossa”, da overflow (la piu comune, accompagnata a stipsi
cronica).
Encopresi Volontaria non accompagnata da stipsi; in questo caso spesso é associata alla
presenza di disturbo oppositivo-provocatorio o della condotta. E’ uno dei comportamenti piu irritanti
esibiti dai bambini in conflitto con i genitori.
Molto comuni sono quadri clinici di Megacolon Psicogeno o Stipsi Idiopatica, la condizione di
Encopresi, causata dalla volontaria ritenzione conseguente alla paura dell’emissione delle feci.
Quando il bambino avverte lo stimolo di defecare, decide di non assecondare i movimenti
peristaltici intestinali e la massa fecale si accumula nel retto; invece di rilasciare i muscoli del
pavimento pelvico, li contrae. Via via che le feci si accumulano, l’umore e l’appetito diventano
mediocri a causa della comparsa di dolori addominali provocati dalla distensione della parete e
dallo sforzo ritentivo in parte inconsapevole: a questo punto puo verificarsi l’insudiciamento
durante il passaggio di aria per l’incapacita del bambino a controllare il debordamento della massa
fecale con conseguenti vissuti di vergogna e imbarazzo.
LE CAUSE
Sono multifattoriali ed entrano in gioco cause organiche, aspetti educativi, fattori ambientali e
psicologici. Tra le cause organiche è possibile individuare allergia al latte, ragade, disturbi
funzionali (incoordinazione della muscolatura pelvica con il torchio addominale) e ipertonia
sfinteriale. Molto importanti sono gli aspetti educativi. La sindrome ritenzionistica, infatti, si
instaura in corrispondenza del toilet-training, da circa il 18^ mese di vita a causa di:
addestramento coercitivo/punitivo da parte dei genitori
attitudini genitoriali rigide rispetto alla continenza rettale
uso troppo precoce del vasino
madri iperprotettive e padri molto rigidi
superinvestimento con premi quando va tutto bene (il bambino non si sporca)
elevata sensibilita a percepire l’ansia dei genitori al riguardo
Alcuni fattori ambientali sono prevalenti nell’Encopresi secondaria:
ambienti stressanti (bagni sporchi e inadeguati a casa o a scuola/asilo, troppo grandi, senza
privacy)
separazione o altre esperienze traumatiche legate a forti cambiamenti come nascita di un
fratellino, inserimento a scuola, cambiamento di scuola, trasloco, periodo di
ospedalizzazione, morte di unfamiliare.
fattori legati alla dieta (alimenti poveri di fibre, iperproteici, troppo latte nei bimbi piu
grandi)
Volontà di non evacuare per non interrompere l’attivita del gioco.
Anche alcuni fattori psicologici possono far da molla per il disturbo o accentuarlo successivamente:
rifiuto del WC a causa di fobie di animali, soprattutto serpenti;
problemi scolastici, competizioni sportive;
Violenze e abusi sessuali (vanno sospettati soprattutto quando l’inizio della
sintomatologia é
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repentino).
LA VALUTAZIONE
ASSESSMENT SPECIFICO
In questa fase sono fondamentali i colloqui con i genitori e l’utilizzo di check-list specifiche per
l’Encopresi che permettono di valutare elementi specifici del problema quali:
Presenza di massa fecale (costipazione) con conseguenti dolori addominali
Eventuale uso di microclismi
Paura di andare al bagno
Problemi comportamentali (sia a casa che a scuola)
Emozioni intense legate al tema del funzionamento intestinale (es. paura, ansia e rabbia)
Risposta anormale alla funzione intestinale (es. Si contrae, stringe le natiche)
Le pratiche igieniche acquisite (es. si pulisce da solo)
ASSESSMENT FAMILIARE
E importante indagare e approfondire:
Situazioni familiari che possono giustificare l’esistenza e il mantenimento del disagio
Atteggiamento dei genitori e di eventuali fratelli o sorelle rispetto alla situazione
Modalita di intervento rispetto al mancato controllo (es. la mamma subito interviene e
cambia il bambino)
Precedenti tentativi di risoluzione.
Possibili limiti che il disturbo pone alla routine familiare
Stili educativo-relazionali dominanti (insieme di pratiche, credenze, modi di agire e ideali
che governano il modo in cui un genitore educa e si comporta con il proprio figlio).
Il focus va diretto, in particolare, sulle reazioni dei genitori dato che i loro comportamenti di
risposta agli episodi di Encopresi influenzano in modo significativo la sintomatologia. I genitori
possono reagire in modi completamente diversi: con rabbia, negando il problema, con tentativi di
sdrammatizzazione, con un’insofferenza malcelata o con atteggiamenti di accettazione fatalistica.
Il bambino puo essere messo in ridicolo o punito o avere maggiori attenzioni.
ASSESSMENT CON IL BAMBINO (QUANDO E POSSIBILE)
L’obiettivo e di valutare la qualita di vita del bambino con enuresi cercando di comprendere la
gravita del disturbo e le conseguenze della sintomatologia a livello:
fisico (se limita e condiziona gravemente l’autonomia),
sociale (se le relazioni con eventuali fratelli e con i coetanei sono problematiche),
emozionale (ansia, frustrazione, stress, vissuti di autosvalutazione, rendimento scolastico
compromesso, rapporti conflittuali con i genitori a causa di interventi punitivi o di manifesta
delusione).
Durante questa fase e necessario considerare che, molto probabilmente, sia il bambino che i
genitori saranno imbarazzati. E importante utilizzare un linguaggio comune: la maggior parte della
famiglie usa un gergo privato (es. cacca, pipi). Concediamo tempo ai genitori ed, eventualmente, al
bambino di esprimere il proprio punto di vista rispetto alla situazione: la collaborazione dei genitori
è fondamentale sia durante la fase di valutazione che durante l’intervento.
TRATTAMENTO
Un intervento cognitivo-comportamentale multidimensionale che coinvolge direttamente il
bambino, i genitori e gli insegnanti (quando é possibile) e tra gli approcci piu efficaci.
Con il bambino il focus dell’intervento punta a contenere i livelli di ansia legati al problema e a
‘normalizzare’ i suoi vissuti di vergogna ed imbarazzo.
Modalita di intervento con i genitori:
Psicoeducazione:
Il tasso di successo nella risoluzione di encopresi involontaria e elevato, anche se puo richiedere
del tempo per stabilire buone abitudini intestinali ed eliminare gli episodi di stitichezza. Il medico
pediatra puo valutare la possibilita di prescrivere al bambino specifici farmaci che ammorbidiscono
le feci e limitare, quindi, eventuali sensazioni dolorose correlate all’atto della defecazione. Una
dieta ad alto contenuto di fibre puo assicurare regolarita e contenere eventuali problemi di
stitichezza.
Stile educativo-relazionale:
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Individuare pratiche, credenze, azioni e ideali che guidano il modo in cui i genitori si comportano
con il figlio (es. comportamenti iperprotettivi, difficolta a stabilire regole, confusione del ruolo
genitoriale). Questi fattori in parte possono essere responsabili delle condotte disadattive del
bambino.
Ristrutturazione cognitiva riferita agli stili attributivi, alle aspettative di soluzione, alla
percezione di ruolo attuate dai genitori rispetto alla situazione e al bambino
Contratto educativo, tecnica di intervento al fine di desensibilizzare la paura di defecare e/o
del water concentrarsi sul comportamento e non sulla conseguenza del comportamento (fare
la cacca); promuovere alcuni comportamenti funzionali all’atto di defecare (es. sedersi per
due minuti sul water) e rendere autonomo il bambino in alcune pratiche igieniche.
Il tasso di successo nella risoluzione di encopresi involontaria e elevato, anche se puo richiedere
del tempo per stabilire buone abitudini intestinali ed eliminare gli episodi di stitichezza.
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