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Patriottismo socialista sovietico

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La bandiera dell'Unione Sovietica.
Il mausoleo di Lenin a Mosca.

Il patriottismo socialista sovietico si riferisce al patriottismo socialista che coinvolge la devozione culturale del popolo sovietico all'Unione Sovietica come loro patria.[1] Viene spesso riferito come nazionalismo sovietico anche se quest'ultima definizione viene considerata impropria poiché Vladimir Lenin e i bolscevichi erano contrari al nazionalismo, inteso come una creazione della borghesia in opposizione agli interessi della lotta di classe e della rivoluzione comunista.[2] Sotto la prospettiva del comunismo internazionale particolarmente diffuso all'epoca, Lenin separava il patriottismo in quello che definiva il patriottismo socialista proletario, dal nazionalismo borghese.[1] Lenin promuoveva il diritto di autodeterminazione di tutte le nazioni e il diritto all'unità di tutti i lavoratori all'interno delle stesse, ma condannava anche lo sciovinismo e sosteneva l'esistenza di sentimenti patriottici sia giustificati che non.[3] Lenin denunciò in maniera esplicita il nazionalismo russo come lo "sciovinismo grande russo", ed il suo governo cercò di favorire i molti gruppi etnici del Paese creando repubbliche e sub-repubbliche in modo da garantire alle etnie non russe una certa autonomia e protezione dalla dominazione russa.[2] Lenin cercò anche di bilanciare la rappresentanza etnica nel governo dello Stato promuovendo ufficiali non russi all'interno del Partito comunista per contrastare la maggioranza russa.[2] Tuttavia, anche in questo periodo iniziale il governo sovietico fece appello al nazionalismo russo quando ne aveva bisogno, soprattutto nelle questioni delle terre di confine durante i primi anni dell'Unione Sovietica.[2]

La questione nazionale non fu mai risolta nell'era sovietica come voluto dall'idealismo o affermato dalla propaganda. Iosif Stalin, anche se è stato il primo Commissario del popolo per le nazionalità e l'autore del libro Il marxismo e la questione nazionale, vide che la bilanciata unione sovranazionale nell'Unione Sovietica rimaneva una falsità. Il fallimento della rivoluzione mondiale e del vero internazionalismo proletario nei primi anni venti fu una dura prova della teoria marxista che infatti divise alcuni suoi aspetti. Questa crisi portò Bucharin, Stalin e i loro collaboratori alla nuova teoria del socialismo in un solo Paese, l'anatema di molti comunisti internazionalisti. Stalin enfatizzò un patriottismo socialista sovietico centralizzato che parlava di un "popolo sovietico" e identificava i Russi come i "fratelli maggiori del popolo sovietico".[2] Durante la seconda guerra mondiale, il patriottismo socialista sovietico e il nazionalismo russo si unirono, ritraendo la guerra non soltanto come una lotta tra comunisti e fascisti ma soprattutto come una lotta per la sopravvivenza nazionale.[2] Durante la guerra, gli interessi dell'Unione Sovietica e della nazione russa venivano presentati come la stessa cosa e di conseguenza il governo di Stalin appoggiò gli eroi storici e i simboli della Russia, e stabilì un'alleanza de facto con la Chiesa ortodossa russa.[2] Il conflitto veniva descritto dal governo sovietico come la Grande guerra patriottica.[2] Dopo la fine della guerra, Mosca fu costretta ad accettare un certo grado di comunismo nazionale in Jugoslavia e in Albania.

Nikita Chruščëv spostò le politiche del governo sovietico dallo stalinismo al nazionalismo russo.[2] Chruščëv promosse la nozione del popolo dell'Unione Sovietica come un "popolo sovietico" sovranazionale, divenendo una politica di Stato dopo il 1961.[4] Ciò non significava che ogni singolo gruppo etnico avrebbe perso le loro separate identità o sarebbe stato assimilato ma invece sarebbe stata promossa una "alleanza fraterna" delle nazioni intesa per rendere irrilevanti le differenze etniche.[5] Allo stesso tempo, l'educazione sovietica enfatizzò un orientamento "internazionalista".[5] Molte persone sovietiche non russe sospettarono che questa "sovietizzazione" avrebbe portato sotto nuove vesti a un nuovo episodio di "russificazione", in particolare a causa dell'insegnamento obbligatorio della lingua russa inteso come parte fondamentale dell'educazione sovietica e all'incentivo ai Russi di trasferirsi al di fuori della RSFS Russa.[5]

Gli sforzi per creare un popolo sovietico furono ostacolati dal periodo della stagnazione portando ad un'ondata di sentimenti anti-sovietici tra le popolazioni russe e non.[5] Michail Gorbačëv si presentò come un patriota sovietico dedito alla risoluzione dei problemi politici ed economici, ma non fu in grado di contrastare il crescente nazionalismo etnico regionale e confessionalista, portando così alla dissoluzione dell'Unione Sovietica nel 1991.[5] Spinto al punto di rottura dalla economia povera, dai bassi standard di vita e dalla repressione della libertà, il patriottismo socialista sovietico venne superato da ciò che Gorbačëv chiamò "la parata delle sovranità", nella quale la nazionalità etnica si dimostrò più potente e duratura. L'idea dell'unione come un'unica entità sovranazionale, da sempre considerata una falsa finzione di minore o maggiore importanza nei decenni, venne infine abbandonata. Molti russi oggi ritengono che il tentativo fallito di risolvere in maniera adeguata la questione nazionale alla fondazione dell'unione pose in senso figurato una polveriera che prima poi sarebbe inevitabilmente esplosa (come lo espresse il Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin).

  1. ^ a b The Current digest of the Soviet press, Volume 39, Issues 1-26. American Association for the Advancement of Slavic Studies, 1987. Pp. 7.
  2. ^ a b c d e f g h i Motyl, p. 501.
  3. ^ Christopher Read, Lenin: A Revolutionary Life, 1st ed, Routledge, 2005, p. 115, ISBN 9780415206488.
  4. ^ Motyl, pp. 501-502.
  5. ^ a b c d e Motyl, p. 502.

Voci correlate

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