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Simone Weil

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Simone Weil

Simone Weil (1909 − 1943), filosofa, mistica, attivista e scrittrice francese.

Citazioni di Simone Weil

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  • Antigone è un essere perfettamente puro, perfettamente innocente, perfettamente eroico, che si abbandona volontariamente alla morte per preservare un fratello colpevole da un destino infelice nell'altro mondo.
    All'approssimarsi della morte, la natura in lei vien meno ed ella si sente abbandonata dagli uomini e dagli dèi. Perisce per essere stata insensata per amore. [...]
    In varie tragedie greche si vede una maledizione nata dal peccato trasmettersi di generazione in generazione finché non tocchi un essere perfettamente puro che ne subisca tutta l'amarezza. Allora la maledizione si arresta.[1]
  • Bisogna proprio che la vita sociale sia corrotta fino al midollo se gli operai si sentono a casa loro in fabbrica quando scioperano e ci si sentono estranei quando lavorano. Dovrebbe essere vero il contrario.[2]
  • C'è nell'intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l'esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che si aspetta invincibilmente che gli si faccia del bene e non del male. È questo, prima di tutto, che è sacro in ogni essere umano. Il bene è l'unica fonte del sacro.[3]
  • C'è un'alleanza naturale fra la verità e la sventura, perché l'una e l'altra sono supplicanti muti, eternamente condannati a restare senza voce davanti a noi.[4]
  • Dio non poteva creare che nascondendosi, altrimenti non avrebbe potuto esistere che Dio solo. Forse, egli ha lasciato intravvedere di sé solo quanto basta perché dalla fede in lui l'uomo sia spinto a occuparsi dell'uomo. Perché non sia abbagliato dal cielo al punto di disinteressarsi della terra.[5]
  • Due vogliono essere uno, ma se fossero uno, quest'essere amerebbe sé stesso. Quale peggiore incubo? È una sete ancora più implacabile di quella di Narciso.[6]
  • Firenze poi, è la mia città. Di sicuro ho vissuto una vita precedente tra i suoi uliveti. Quando ho visto i suoi bei ponti sull'Arno, mi sono chiesta che cosa avessi fatto, lontano da lei, per così tanto tempo. Deve esserselo chiesto anche lei, perché alle città piace essere amate. Penso proprio che, per questa volta, non andrò a Venezia. Firenze e Venezia, è troppo in una volta sola. Non ho il cuore libero per amare Venezia, perché Firenze me l'ha catturato.[7]
  • Ho una specie di certezza interiore crescente che esiste in me un deposito d'oro da trasmettere... Non c'è nessuno per riceverlo. Questo non mi dà dolore. La miniera d'oro è inesauribile.[8]
  • [I Catari] spinsero l'orrore della forza fino alla pratica della non violenza e fino alla dottrina che fa procedere dal male tutto ciò che è sottoposto alla forza, cioè tutto ciò che è carnale e tutto ciò che è sociale.[9]
  • I sentimenti umani sono quasi cancellati dalle spietate necessità della guerra, ma nella misura in cui continuano a esistere, precari e minacciati, essi esistono puri, e da nessun'altra parte ce ne sono di più puri.[10]
  • Il fatto che Stalin [...] ha abbandonato il punto di vista di Marx e si è lasciato sedurre dal sistema capitalista nella sua forma più perfetta, dimostra che l'URSS è ancora ben lungi dal possedere una cultura operaia.[11]
  • In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c'è realmente la presenza di Dio. C'è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l'incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim'ordine è, per sua essenza, religiosa.[12]
  • L'amicizia è guardare da lontano e senza accostarsi.[6]
  • L'Europa non ha forse altri modi d'evitare di essere decomposta dall'influenza americana che attraverso un contatto nuovo, vero, profondo, con l'Oriente.[13]
  • L'opera di Proust è ricca di analisi che tentano di descrivere stati d'animo non orientati; il bene vi appare solo in rari momenti per l'effetto o del ricordo o della bellezza in cui l'eternità si lascia presagire attraverso il tempo.[14]
  • L'umiltà è soprattutto una qualità dell'attenzione.[15]
  • [Su T.E. Lawrence] L'unico, famosissimo personaggio storico, non dico dei nostri tempi, ma di tutti i tempi a me noti, che io amo e ammiro con tutto il cuore; e riesco a stento a sopportare l'idea che sia morto.[16]
  • La bellezza promette sempre e non dona mai alcunché.[17]
  • La scienza, l'arte, la letteratura, la filosofia che appaiono solo come forme di sviluppo della persona costituiscono un ambito in cui si registrano successi straordinari, gloriosi, che mantengono in vita certi nomi per migliaia di anni. Ma al di sopra di quest'ambito, molto al di sopra, separato da un abisso, ve ne è un altro in cui si situano le cose di primissimo ordine. Queste sono essenzialmente anonime.[17]
  • La verità è una, la giustizia è una. Gli errori e le ingiustizie variano all'infinito.[18]
  • Le cose sono lì, non dicono niente, non si ricordano di nulla, non sperano nulla. Tutta la loro forza è la loro presenza... Il mondo è quello che è: senza fine estraneo a sé stesso. Nel mondo tutto è fuori di tutto, tutto è straniero a tutto, tutto è indifferente a tutto.[19]
  • Mettere la verità prima della persona è l'essenza della bestemmia.[20]
  • Mi sembra duro pensare che il rumore del vento tra le foglie non sia un oracolo; duro pensare che questo animale, mio fratello, non abbia anima; duro pensare che il coro delle stelle nei cieli non canti le lodi dell'Eterno.[21]
  • Nel Vangelo non si parla mai, salvo errore, di una ricerca di Dio da parte dell'uomo. In tutte le parabole è il Cristo che cerca gli uomini, ovvero il Padre se li fa condurre dai suoi servitori. O ancora un uomo trova come per caso il regno di Dio e allora, ma allora soltanto, vende tutto.[22]
  • Nietzsche si è completamente sbagliato su Dioniso, senza parlare dell'opposizione con Apollo che è pura fantasia poiché i Greci mescolavano ambedue nei miti e talvolta sembravano identificarli.[23]
  • Non c'è nessun altro come Souvarine, che abbia avuto responsabilità molto vaste nel movimento operaio internazionale e che tuttavia abbia rotto, da allora, con i pregiudizi di questo movimento, compresa la tradizione marxista.[24]
  • Non può aver luogo la coesione se non tra una piccola quantità di uomini. Oltre questa soglia, si dà solo giustapposizione di individui, ossia debolezza.[25]
  • [Scrivendo ai genitori, poco prima di morire] Non siate ingrati verso le cose belle. Godete di esse, sentendo che durante ogni secondo in cui godete di loro, io sono con voi... Dovunque c'è una cosa bella, ditevi che ci sono anch'io.[26]
  • Ogniqualvolta un uomo ha invocato con cuore puro Osiride, Dioniso, Krsna, Buddha, il Tao, ecc., il figlio di Dio ha risposto inviandogli lo Spirito Santo. E lo Spirito ha agito sulla sua anima, non inducendolo ad abbandonare la sua tradizione religiosa, ma dandogli la luce – e nel migliore dei casi la pienezza della luce – all'interno di tale tradizione.[27]
  • Poiché in Occidente la parola Dio, nel suo significato corrente, designa una Persona, quegli uomini nei quali l'attenzione, la fede e l'amore si applicano quasi esclusivamente all'aspetto impersonale di Dio possono credersi e dirsi atei, sebbene l'amore soprannaturale abiti nella loro anima. Costoro sono sicuramente salvati.[28]
  • Quando, ancora nell'età dell'adolescenza, ho letto per la prima volta Il Capitale, alcune lacune, talune contraddizioni di grande importanza mi sono subito saltate agli occhi. [...] negli anni successivi, lo studio dei testi marxisti, dei partiti marxisti o sedicenti tali, e degli avvenimenti stessi non ha potuto che confermare il giudizio della mia adolescenza.[29]
  • Quando leggo il catechismo del Concilio di Trento, mi sembra di non aver nulla in comune con la religione che vi è esposta. Quando leggo il Nuovo Testamento, i mistici, la liturgia, quando vedo celebrare la messa, sento con una specie di certezza che questa fede è la mia, o più precisamente lo sarebbe senza la distanza che la mia imperfezione pone tra essa e me.[27]
  • Quando un essere umano, qualunque sia, non importa in quali circostanze, mi parla senza brutalità, non posso impedirmi l'impressione che deve esserci un errore, e che per sfortuna l'errore si dissiperà.[30]
  • Quel san Francesco sapeva scegliere i posti più deliziosi per viverci in povertà: non aveva nulla di un asceta.[31]
  • [Aprendo un corso per operai nel 1927-1928] Quelli che credono sapere meno si troveranno forse alla fine ad essere stati quelli da cui gli altri avranno più appreso.[32]
  • Si ama l'anima dal momento in cui si cessa di volersi impadronire dell'essere umano.[33]
  • [Karl Marx] si è lasciato andare, lui, il non conformista, a un inconsapevole conformismo alle superstizioni più infondate della sua epoca, cioè il culto della produzione, il culto della grande industria, la credenza cieca nel progresso. Ha così fatto al contempo un grave torto durevole e forse irreparabile – in ogni caso difficile da riparare – allo spirito scientifico e allo spirito rivoluzionario. Credo che il movimento operaio nel nostro Paese recupererà vitalità solo se cercherà di attingere, non dico delle dottrine, ma una fonte di ispirazione in ciò che Marx e i marxisti hanno combattuto e così follemente disprezzato: in Proudhon, nelle forme di organizzazione operaia del 1848, nella tradizione sindacale rivoluzionaria, nello spirito anarchico. Quanto a una dottrina, solo l'avvenire, nel migliore dei casi, potrà fornircene una; non il passato.[34]
  • Stante la circolazione internazionale del capitale, non si comprendono gli antagonismi tra le nazioni e meno che mai l'opposizione tra nazismo e comunismo: non esistono due nazioni strutturalmente così somiglianti tra loro come la Germania e la Russia, che pure si minacciano reciprocamente.[35]

Attribuite

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Attesa di Dio

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  • Sono per così dire nata, cresciuta e sempre rimasta nell'ispirazione cristiana. (p. 24)
  • Mi sono sempre proibita di pensare a una vita futura, ma ho sempre creduto che l'istante della morte sia la norma e lo scopo della vita. Pensavo che per quanti vivono come si conviene, sia l'istante in cui per una frazione infinitesimale di tempo penetra nell'anima la verità pura, nuda, certa, eterna. Posso dire di non avere mai desiderato per me altro bene. (p. 25)
  • Beninteso, mi rendevo perfettamente conto che la mia concezione della vita era cristiana. Per questo, non mi è mai venuto in mente di poter entrare nel cristianesimo: avevo l'impressione di esservi nata. (p. 27)
  • Laggiù [in fabbrica] mi è stato impresso per sempre il marchio della schiavitù. (p. 29)
  • [in un vilaggio portoghese], improvvisamente, ebbi la certezza che il cristianesimo è per eccellenza la religione degli schiavi, che gli schiavi non possono non aderirvi, ed io con loro. (p. 29)
  • Con l'anima e il corpo come a pezzi [...] sono arrivata da sola, in una sera di luna piena, durante la festa del patrono in un piccolo villaggio portoghese [...]. La festa si svolgeva in riva al mare. Le mogli dei pescatori andavano in processione intorno alle barche con dei ceri in mano, e innalzavano canti sicuramente molto antichi, di una tristezza straziante. Non vi è nulla che possa darne un'idea. Non ho mai ascoltato niente di così toccante al di fuori del canto dei bardotti del Volga. Là ho avuto all'improvviso la certezza che il cristianesimo è per eccellenza la religione degli schiavi, che gli schiavi non possono non aderirvi, ed io con loro.[37]
  • Nel 1937 ho trascorso ad Assisi due giorni meravigliosi. Là, mentre ero sola nella piccola cappella romanica del secolo XII di Santa Maria degli Angeli, incomparabile miracolo di purezza, in cui san Francesco ha pregato tanto spesso, qualcosa più forte di me mi ha costretta, per la prima volta in vita mia, a inginocchiarmi. (p. 29)
  • Leggo, per quanto è possibile, soltanto ciò di cui ho fame, nel momento in cui ne ho fame, e allora non leggo: mi nutro. (p. 32)
  • Mi pareva infatti – e lo credo ancor oggi – che non si resista mai abbastanza a Dio, se lo si fa per puro scrupolo di verità. Cristo vuole che gli si preferisca la verità, perché prima di essere Cristo egli è verità. Se ci si allontana da lui per andare verso la verità, non si farà molta strada senza cadere fra le sue braccia.
    È stato dopo questa esperienza che ho sentito che Platone è un mistico, che tutta l'Iliade è impregnata di luce cristiana e che Dioniso e Osiride sono in certo modo Cristo stesso; e il mio amore ne è stato raddoppiato. (p. 32)
  • Nella primavera del 1940 ho letto la Bhagavatgita. Cosa curiosa, nel leggere quelle parole meravigliose di suono talmente cristiano, in bocca a una incarnazione di Dio, ho avuto la forte sensazione che la verità religiosa esiga da noi ben altro che l'adesione accordata a un bel poema, un'adesione ben altrimenti categorica. (pp. 32–33)
  • Durante tutto questo periodo di evoluzione spirituale non ho mai pregato: temevo il potere di suggestione della preghiera, quel potere per cui Pascal la raccomanda. Il metodo di Pascal mi pare uno dei peggiori per giungere alla fede. (p. 33)
  • Talvolta anche, mentre recito il Padre nostro oppure in altri momenti, Cristo è presente in persona, ma con una presenza infinitamente più reale, più toccante, più chiara, più colma d'amore della prima volta in cui mi ha presa. (p. 35)
  • Se si potesse supporre che Dio può sbagliare, direi che tutto ciò è capitato a me per errore. Ma forse Dio si compiace di utilizzare le scorie, gli scarti, i rifiuti. Dopotutto, anche se il pane dell'ostia fosse ammuffito, diventerebbe ugualmente il corpo di Cristo dopo che il prete lo ha consacrato. (p. 35)
  • Il cristianesimo deve contenere in sé tutte le vocazioni senza eccezione, perché è cattolico. (pp. 37–38)
  • Io penso [...] che nei due o tre prossimi anni sarà fatto obbligo – un obbligo talmente stretto che il sottrarvisi sarà quasi un tradimento – di far conoscere pubblicamente la possibilità di un cristianesimo veramente incarnato. Nel corso di tutta la storia attualmente conosciuta, mai vi fu un'epoca come l'attuale, in cui le anime fossero in un tale pericolo nel mondo intero. (p. 38)
  • Poiché sento così intensamente e dolorosamente questa urgenza, tradirei la verità, cioè quell'aspetto della verità che io scorgo, se abbandonassi la posizione in cui mi trovo sin dalla nascita, cioè il punto di intersezione tra il cristianesimo e tutto ciò che è fuori di esso. (p. 39)
  • C'è un ostacolo assolutamente insormontabile all'incarnazione del cristianesimo, ed è l'uso di due brevi parole: anathema sit. Non il fatto che esistano, ma l'uso che se ne è fatto fino ad ora. È anche questo che mi impedisce di varcare la soglia della Chiesa. Mi schiero al fianco di tutte le cose che, a causa di quelle due brevi parole, non possono entrare nella Chiesa, ricettacolo universale. E tanto più rimango al loro fianco in quanto la mia stessa intelligenza fa parte di esse. (p. 40)
  • Quando autentici amici di Dio, quale a mio parere fu Meister Eckart, ripetono parole che hanno udito nel più segreto silenzio, durante l'unione d'amore, se queste non concordano con l'insegnamento della Chiesa, ciò significa soltanto che il linguaggio della pubblica piazza non è quello della camera nuziale. (p. 42)
  • Ogni volta che penso alla crocifissione di Cristo pecco d'invidia. (p. 46)
  • Gli effetti esteriori della vera sventura sono quasi sempre cattivi e quando li si vuol dissimulare, si mente. Ma è proprio nella sventura che risplende la misericordia di Dio; nel profondo, nel centro della sua inconsolabile amarezza. Se perseverando nell'amore si cade fino al punto in cui l'anima non può più trattenere il grido: «Mio Dio, per­ché mi hai abbandonato?»[38], se si rimane in quel punto senza cessare di amare, si finisce col toccare qualcosa che non è più la sventura, che non è la gioia, ma è l'essenza centrale, essenziale, pura, non sensibile, comune alla gioia e alla sofferenza, cioè l'amore stesso di Dio. (p. 52)
  • So per esperienza che la virtù stoica e la virtù cristiana sono una sola e medesima virtù. Intendo la virtù stoica autentica, che è prima di tutto amore, non la caricatura che ne hanno fatto alcuni brutali Romani. (p. 59)
  • Quando un'anima è pervenuta a un amore che pervade con la stessa intensità tutto l'universo, questo amore diventa il pulcino dalle ali d'oro che spezza il guscio del mondo. Da questo istante essa ama l'universo non dall'interno ma dall'esterno, dal luogo in cui risiede la Sapienza di Dio, che è il nostro fratello primogenito. Un simile amore non ama gli esseri e le cose in Dio ma dal punto più prossimo a Dio. Stando accanto a Dio, china il suo sguardo, confuso con lo sguardo di Dio, su tutti gli esseri e su tutte le cose. (pp. 60–61)
  • È vero che bisogna amare il prossimo, ma nell'esempio che Cristo dà per illustrare questo comandamento il prossimo è un essere nudo e sanguinante, svenuto sulla strada e di cui non si sa niente. Si tratta di un amore del tutto anonimo, e per ciò stesso universale. (p. 61)
  • Oggi non è sufficiente essere santo: è necessaria la santità che il momento presente esige, una santità nuova, anch'essa senza precedenti. (p. 62)
  • Il mondo ha bisogno di santi che abbiano genio come una città dove infierisce la peste ha bisogno di medici. (p. 63)

Riflessioni sull'utilità degli studi scolastici, al fine dell'amore di Dio

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  • I beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi. L'uomo, infatti, non può trovarli con le sue sole forze, e se si mette a cercarli troverà al loro posto dei falsi beni di cui non saprà neppure riconoscere la falsità. (p. 76)
  • Un racconto eschimese spiega così l'origine della luce: «II corvo che nella notte eterna non poteva trovare cibo, desiderò la luce, e la terra si illuminò». Se c'è un vero desiderio, se l'oggetto del desiderio è veramente la luce, il desiderio della luce produce la luce. (p. 71)
  • Non soltanto l'amore di Dio è sostanzialmente fatto di attenzione: l'amore del prossimo, che sappiamo essere il medesimo amore, è fatto della stessa sostanza. Gli sventurati non hanno bisogno d'altro, a questo mondo, che di uomini capaci di prestar loro attenzione. La capacità di prestare attenzione a uno sventurato è cosa rarissima, difficilissima; è quasi un miracolo, è un miracolo. Quasi tutti coloro che credono di avere questa capacità, non l'hanno. Il calore, lo slancio del sentimento, la pietà non bastano.
    Nella prima leggenda del Graal è detto che il Graal, pietra miracolosa che in virtù dell'ostia consacrata sazia ogni fame, apparterrà a chi per primo dirà al custode della pietra, il re quasi completamente paralizzato dalla più dolorosa ferita: «Qual è il tuo tormento?». (pp. 78–79)
  • Gli studi scolastici sono come il campo che racchiude una perla: per averla, vale la pena di vendere tutti i propri beni, nessuno eccettuato, al fine di poter acquistare quel campo.[39] (p. 80)

L'amore di Dio e la sventura

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  • Nella sofferenza, tutto ciò che non è legato al dolore fisico o a qualcosa di analogo è artificiale, immaginario, e può essere annullato da un atteggiamento mentale opportuno. (p. 81)
  • Quando il pensiero è costretto dall'esperienza di un dolore fisico, anche leggero, a constatare la presenza della sventura, si viene a creare una situazione di violenza, come per un condannato obbligato a guardare per ore e ore la ghigliottina che dovrà tagliargli il collo. Ci sono esseri umani che possono vivere venti, cinquant'anni in questa situazione di violenza. Si passa accanto a loro senza accorgersene. Quale uomo è capace di riconoscerli, se non è Cristo stesso a guardare attraverso i suoi occhi? Si nota soltanto che talvolta essi si comportano in modo strano e si critica quel modo di comportarsi. (pp. 82–83)
  • Il grande enigma della vita umana non è la sofferenza, è la sventura. Non c'è da stupirsi che degli innocenti siano uccisi, torturati, cacciati dal proprio paese, ridotti in miseria o in schiavitù, chiusi in campi di concentramento o in carcere, dal momento che esistono i criminali capaci di compiere tali azioni. Non c'è nemmeno da stupirsi che la malattia infligga lunghe sofferenze che paralizzano la vita e ne fanno un'immagine della morte, dal momento che la natura soggiace a un cieco gioco di necessità meccaniche. Ma c'è invece da stupirsi che Dio abbia dato alla sventura il potere di afferrare l'anima degli innocenti e di appropriarsene da padrona assoluta. Nel migliore dei casi, chi è segnato dal marchio della sventura riuscirà a salvaguardare solo metà della propria anima. (pp. 83–84)
  • La sventura ha costretto Cristo a supplicare di essere risparmiato, a cercare conforto fra gli uomini, a credersi abbandonato dal Padre. Ha costretto un giusto a imprecare contro Dio, un giusto perfetto, quanto almeno può esserlo una natura soltanto umana, e forse anche di più, se Giobbe non è tanto un personaggio storico quanto una immagine di Cristo. «Egli si fa gioco della sventura degli innocenti». Non è una bestemmia, è un autentico grido strappato al dolore. Il libro di Giobbe è dall'inizio alla fine una pura meraviglia di verità e di autenticità. Se si parla di sventura, tutto ciò che si discosta da quell'esempio è, più o meno, macchiato di menzogna. (p. 84)
  • In un'epoca come la nostra, nella quale la sventura incombe su tutti, l'aiuto prestato alle anime è efficace soltanto se riesce veramente a prepararle alla sventura. (p. 85)
  • Giobbe grida la propria sventura con tale accento di disperazione proprio perché lui stesso non riesce a credervi, perché nel fondo dell'anima parteggia per i suoi amici. Egli implora la testimonianza di Dio stesso, perché non sente più quella della propria coscienza [...]. (p. 86)
  • Se si eccettuano coloro di cui Cristo occupa l'anima intera, tutti, chi più chi meno, disprezzano gli sventurati, sebbene quasi nessuno se ne renda conto. (p. 86)
  • Bisogna soltanto sapere che l'amore è un orientamento e non uno stato d'animo. Se lo si ignora, si cade nella disperazione al primo contatto con la sventura.
    Chi riesce a mantenere la propria anima orientata verso Dio mentre un chiodo la trafigge, si trova inchiodato al centro stesso dell'universo. È il vero centro, che non sta nel mezzo, che è fuori dello spazio e del tempo, che è Dio. (p. 100)

Forme dell'amore implicito di Dio

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  • Il dono della vita equivale al dono della morte. (p. 119)
  • Il disprezzo è l'opposto dell'attenzione. (p. 119)
  • Solo l'infinita purezza non viene contaminata dal contatto col male. Ogni purezza limitata finisce con il corrompersi, se il contatto è prolungato. (p. 121)
  • Lo stoicismo greco, dottrina meravigliosa, con la quale il cristianesimo primitivo aveva molti punti di contatto, soprattutto nel pensiero di san Giovanni, era quasi esclusivamente amore per la bellezza del creato. (p. 126)
  • L'esempio di san Francesco mostra quale posto può occupare la bellezza del creato nel pensiero di un cristiano. Non solo il suo poema è perfetta poesia, ma tutta la sua vita fu perfetta poesia tradotta in atto. Per esempio, la scelta dei luoghi in cui ritirarsi in solitudine o in cui fondare i suoi conventi era di per sé perfetta poesia in atto. Il suo vagabondare, la sua povertà erano poesia; egli si denudò per essere a contatto diretto con la bellezza del creato. (pp. 126–127)
  • La bellezza del creato è l'entrata del labirinto. L'imprudente che vi entra, dopo pochi passi non sarà più capace di ritrovare l'uscita. Sfinito, senza nulla da mangiare né da bere, circondato dalle tenebre, separato dai suoi e da tutto ciò che ama e conosce, cammina alla cieca, senza speranza, incapace perfino di rendersi conto se veramente cammina o se gira su se stesso. Ma questa sventura è nulla in confronto al pericolo che lo minaccia. Se non si perde d'animo, infatti, se continua a camminare, arriverà senza dubbio al centro del labirinto. E qui Dio lo attende per divorarlo. In seguito ne uscirà, ma cambiato, trasformato, poiché sarà stato mangiato e digerito da Dio. Resterà allora vicino all'entrata, per spingervi con dolcezza coloro che vi si accostano. (pp. 129–130)
  • Imitare la bellezza del creato, adeguarsi all'assenza di finalità, di intenzioni, di discriminazione, significa rinunciare alle nostre intenzioni, alla nostra volontà.
    Essere perfettamente obbedienti significa essere perfetti come è perfetto il nostro padre celeste.[40] (p. 145)
  • È dunque vero, in un certo senso, che Dio bisogna pensarlo come impersonale, nel senso che egli è il modello divino di una persona che con la rinuncia di sé trascende se stessa. (p. 145)
  • Un cambiamento di religione è per l'anima come un cambiamento di lingua per lo scrittore. (p. 149)
  • Il concetto di morale laica è un'assurdità appunto perché la volontà è impotente a produrre la salvezza. Ciò che si chiama morale, infatti, fa appello solo alla volontà, e proprio a ciò che essa ha, per così dire, di più muscolare. La religione invece corrisponde al desiderio, ed è il desiderio che salva. (pp. 161–162)
  • L'amicizia esiste soltanto quando è mantenuta e rispettata a distanza. (p. 173)

A proposito del Pater

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  • [...] trasformare in oggetto di desiderio ogni avvenimento compiuto. È una cosa ben diversa dalla rassegnazione. Persino la parola accettazione è troppo debole. Si deve desiderare che tutto ciò che è avvenuto sia avvenuto, e null'altro. Non perché ciò che è avvenuto è un bene a nostro modo di vedere, ma perché Dio lo ha permesso e perché l'obbedienza degli eventi a Dio è in sé un bene assoluto. (pp. 185–186)
  • [...] non possiamo attaccarci al passato senza attaccarci ai nostri delitti [...]. (p. 190)
  • [Sul Padre nostro] Questa preghiera contiene tutte le richieste possibili: non si può concepire una preghiera che non sia già contenuta in questa. Essa sta alla preghiera come Cristo all'umanità. È impossibile pronunciarla una sola volta concentrando su ogni parola tutta la propria attenzione senza che un mutamento reale, sia pure infinitesimale, si produca nell'anima. (p. 194) [proporzione]

Corrispondenza

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  • L'attenzione è la forma più rara e più pura della generosità.
    A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono.
    Fin dalla mia infanzia non desidero altro che averne ricevuto, prima di morire, la piena rivelazione. (p. 13)
  • Solamente un essere predestinato ha la facoltà di domandare ad un altro: «Qual è dunque il tuo tormento?». E non gli è data nascendo. Deve passare per anni di notte oscura in cui vaga nella sventura, nella lontananza da tutto quello che ama e con la consapevolezza della propria maledizione. Ma alla fine riceve la facoltà di rivolgere una simile domanda, nel medesimo istante ottiene la pietra di vita e guarisce la sofferenza altrui. (p. 14)
  • Tre volte felice colui che è stato posto una volta nella direzione giusta. Gli altri si agitano nel sonno. Colui che procede nella giusta direzione è libero da ogni male. (pp. 14–15)
  • [...] la realtà della guerra, la realtà più preziosa da conoscere, poiché la guerra è l'irrealtà stessa. Conoscere la realtà della guerra è armonia pitagorica, unità dei contrari, è la pienezza della conoscenza del reale. (p. 32)
  • [...] la guerra è sventura, ed è tanto difficile dirigere volontariamente il pensiero verso la sventura quanto persuadere un cane, non preliminarmente addestrato, a camminare in un incendio e a lasciarsi carbonizzare. Per pensare la sventura è necessario portarla nella carne, profondamente conficcata, come un chiodo, e portarla a lungo, affinché il pensiero abbia il tempo di temprarsi abbastanza per guardarla. (p. 33)
  • Felici coloro per i quali la sventura entrata nella loro carne è la sventura del mondo stesso nella loro epoca. (p. 33)
  • Il tempo è la croce. (p. 36)
  • Ma la ragione di questo atteggiamento verso me stessa, che non è diffidenza, che è una mescolanza di disprezzo, di odio e di repulsione, si situa più in basso, al livello dei meccanismi biologici. È il dolore fisico. Da dodici anni[41] sono abitata da un dolore localizzato intorno ai punto centrale del sistema nervoso, al punto di congiunzione dell'anima e del corpo, che dura anche nel sonno e non mi ha mai lasciato un istante. Per dieci anni è stato così, e accompagnato da un tal senso di prostrazione, che il più delle volte i miei sforzi di attenzione e di lavoro intellettuale erano quasi altrettanto svuotati di speranza di quelli di un condannato a morte che deve essere giustiziato l'indomani. [...] ho creduto di essere minacciata, a causa della prostrazione e dell'aggravarsi del dolore, da una degradazione così spaventosa di tutta l'anima che, per molte settimane, mi sono domandata con angoscia se morire non fosse per me il dovere più imperioso, benché mi sembrasse mostruoso che la mia vita dovesse concludersi nell'orrore. (p. 37)
  • Durante quel periodo la parola Dio non aveva alcun posto nei miei pensieri. Lo ha avuto solamente a partire dal giorno, circa tre anni e mezzo fa,[41] in cui non ho potuto rifiutarglielo. In un momento d'intenso dolore fisico, mentre mi sforzavo di amare, ma senza attribuirmi il diritto di dare un nome a questo amore, ho sentito, senza esservi assolutamente preparata, una presenza più personale, più certa, più reale di quella di un essere umano, inaccessibile sia ai sensi che all'immaginazione, analoga all'amore che traspare attraverso il più tenero sorriso di un essere amato. Non potevo essere preparata a questa presenza – non avevo mai letto i mistici. Da quell'istante il nome di Dio e quello di Cristo si sono mescolati in maniera sempre più irresistibile ai miei pensieri. (p. 38)
  • [...] nel suo ultimo libro c'è una frase in cui mi sono riconosciuta, sull'errore in cui cadono i suoi amici quando credono che lei esista. È, questa, una disposizione della sensibilità comprensibile solamente a coloro per i quali l'esistenza è direttamente e continuamente sentita come un male. Per costoro è certamente facile fare quanto Cristo comanda: negare se stessi. Troppo facile forse. Forse senza merito. Tuttavia credo che tale facilità sia un privilegio incommensurabile. (pp. 39–40)

L'amore di Dio

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  • Dio crea se stesso e si conosce perfettamente allo stesso modo in cui noi costruiamo e conosciamo miserevolmente degli oggetti fuori di noi. Ma prima di tutto Dio è amore. Prima di tutto Dio ama se stesso. Quest'amore, questa amicizia in Dio è la Trinità. Tra i termini uniti da questa relazione di amore divino, c'è qualcosa di più che una vicinanza: c'è vicinanza infinita, identità. Ma a causa della creazione, dell'incarnazione e della passione, è anche una distanza infinita. La totalità dello spazio, la totalità del tempo interpongono il loro spessore e pongono una distanza infinita fra Dio e Dio.
  • È necessario che l'anima continui ad amare a vuoto, o per lo meno a voler amare, anche soltanto con una parte infinitamente piccola di se stessa. Allora un giorno Dio stesso viene a rivelarsi a lei e a mostrarle la bellezza del mondo, come avvenne per Giobbe. Ma se l'anima cessa di amare precipita già qui sulla terra in uno stato quasi equivalente all'inferno.
  • Gli amanti e gli amici desiderano due cose: di amarsi al punto di entrare l'uno nell'altro e diventare un solo essere e di amarsi al punto che la loro unione non ne soffra, quand'anche fossero divisi dalla metà del globo terrestre. Tutto ciò che l'uomo desidera invano quaggiù, è perfetto e reale in Dio. Tutti i nostri desideri impossibili sono il segno del nostro destino e diventano buoni per noi proprio nel momento in cui non speriamo più di realizzarli.
  • Il problema della fede non si pone affatto. Finché un essere umano non è stato conquistato da Dio, non può avere fede, ma solo una semplice credenza; e che egli abbia o no una simile credenza, non ha nessuna importanza: infatti arriverà alla fede anche attraverso l'incredulità. La sola scelta che si pone all'uomo è quella di legare o meno il proprio amore alle cose di quaggiù.
  • L'amore fra Dio e Dio, che è esso stesso Dio, è questo legame che possiede una virtù duplice; questo legame che unisce due esseri al punto che essi non sono più separabili e sono realmente un essere solo; questo legame che annulla la distanza e trionfa della separazione infi­nita. L'unicità di Dio, in cui sparisce ogni pluralità, e l'abbandono in cui crede di trovarsi Cristo pur non cessando di amare perfettamente il Padre, sono due forme divine dello stesso Amore, che è Dio stesso.
  • L'infelicità rende Dio assente agli occhi degli uomini per un certo tempo, più assente di un morto, più assente della luce in una prigione oscura. Una specie di orrore sommerge tutta l'anima. Durante questa assenza non trova nulla che possa amare. E se in queste tenebre, in cui non vi è nulla da amare, l'anima smette di amare, l'assenza di Dio diventa definitiva: è terribile solo a pensarci.
  • Non tocca all'uomo cercare Dio e credere in lui: egli deve semplicemente rifiutarsi di amare quelle cose che non sono Dio. Un tale rifiuto non presuppone alcuna fede. Si basa semplicemente sulla constatazione di un fatto evidente: che tutti i beni della terra [...] sono finiti e limitati, radicalmente incapaci di soddisfare quel desiderio di un bene infinito e perfetto che brucia perpetuamente in noi.
  • Sono convinta che l'infelicità per un verso e la gioia per l'altro verso, la gioia come adesione totale e pura alla bellezza perfetta, implicano entrambe la perdita dell'esistenza personale e sono quindi le due sole chiavi con cui si possa entrare nel paese puro, nel paese respirabile, nel paese del reale.

L'ombra e la grazia

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Tutti i moti naturali dell'anima sono retti da leggi analoghe a quelle della pesantezza materiale. Solo la grazia fa eccezione.

Citazioni

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  • Due forze regnano sull'universo: luce e pesantezza. (p. 15)
  • Non giudicare. Tutte le colpe sono eguali. C'è una colpa sola: non aver la capacità di nutrirsi di luce. Perché, abolita questa capacità, tutte le colpe sono possibili. (p. 17)
  • Chiunque soffre cerca di comunicare la sua sofferenza – sia maltrattando, sia provocando la pietà – per diminuirla; e, così facendo, la diminuisce veramente. Colui che è più in basso d'ogni altro, che nessuno compiange, che non ha la possibilità di maltrattare nessuno (se non ha figli, se non ha nessuno che l'ami), la sofferenza gli rimane dentro e lo avvelena. (p. 19)
  • Tendenza ad espandere la sofferenza fuor di sé. Se, per eccesso di debolezza, non si può né provocar la pietà né far del male ad altri, si fa del male alla rappresentazione dell'universo in sé. (p. 20)
  • Uno qualsiasi è come un ramo per chi annega. (p. 21)
  • Tragedia di coloro che, essendosi inoltrati per amor del bene in una via dove c'è da soffrire, giungono dopo un certo tempo ai propri confini; e si degradano. (p. 22)
  • Una persona amata che delude. Gli ho scritto. Impossibile che non mi risponda quel che ho detto a me stessa in nome suo.
    Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno. Rimetter loro questo debito.
    Accettare che essi siano diversi dalle creature della nostra immaginazione, vuol dire imitare la rinuncia di Dio.
    Anch'io sono altra da quella che m'immagino essere. Saperlo è il perdono. (p. 23)
  • Come un gas, l'anima tende ad occupare la totalità dello spazio che le è accordato. (p. 24)
  • Amare la verità significa sopportare il vuoto; e quindi accettare la morte. La verità sta dalla parte della morte. (p. 25)
  • Tutti i peccati sono tentativi per colmar dei vuoti. (p. 35)
  • Non possediamo nulla al mondo perché il caso può toglierci tutto eccetto il potere di dire Io. Quel che bisogna dare a Dio, cioè distruggere, è questo. Non c'è assolutamente nessun altro atto libero che ci sia permesso, eccetto la distruzione dell'Io. (p. 38)
  • Nulla al mondo può toglierci il potere di dire Io. Nulla, eccetto l'estrema infelicità. Nulla è peggiore dell'estrema sventura che distrugge l'Io dal di fuori, perché da quel momento non può più distruggersi da sé. (p. 38)
  • In modo generale, non desiderare la sparizione di nessuna delle proprie miserie, bensì la grazia che le trasfiguri. (p. 47)
  • Essere nulla per essere al proprio vero posto nel tutto. (p. 48)
  • Una scienza che non ci avvicini a Dio non val nulla.
    Ma se ce ne avvicina malamente (cioè ad un Dio immaginario) è ancora peggio... (p. 67)
  • L'uomo vorrebbe essere egoista e non può. È questo il carattere più impressionante della sua miseria e l'origine della sua grandezza. (p. 71)
  • Non dobbiamo acquistare l'umiltà. L'umiltà è in noi. Soltanto, ci umiliamo dinanzi a falsi dèi. (p. 72)
  • L'amore, in chi è felice, è volontà di condividere la sofferenza dell'amato infelice.
    L'amore, in chi è infelice, è essere pieno della nuda nozione della felicità dell'amato, senza partecipare a quella gioia, e nemmeno desiderare di parteciparvi. (p. 73)
  • Fra gli esseri umani, si riconosce pienamente l'esistenza soltanto di coloro che amiamo. (p. 74)
  • Credere all'esistenza di altri esseri umani in quanto tali è amore. (p. 74)
  • Impara a respingere l'amicizia. O meglio, il sogno dell'amicizia. Desiderare l'amicizia è un grave errore. L'amicizia deve essere una gioia gratuita come quelle che danno l'arte, o la vita. Bisogna rifiutarla per essere degni di riceverla: essa partecipa della natura della grazia [...]. (p. 77)
  • Desiderare di sfuggire alla solitudine è una viltà. L'amicizia non la si cerca, non la si sogna, non la si desidera; la si esercita (è una virtù). (p. 78)
  • La creazione: il bene frantumato e disseminato attraverso il male. (p. 80)
  • Il male è l'illimitato, ma non è l'infinito.
    Solo l'infinito limita l'illimitato. (p. 80)
  • Il male immaginario è romantico, variato; il male reale tetro, monotono, desertico, noioso. Il bene immaginario è noioso; il bene reale è sempre nuovo, meraviglioso, inebbriante. (p. 80)
  • Solo compiendolo si ha l'esperienza del bene.
    Si ha l'esperienza del male solo vietandoci di compierlo; o, se lo si è compiuto, pentendosene.
    Quando si compie il male, non lo si conosce, perché il male fugge la luce. (p. 82)
  • I santi (i quasi santi) sono più esposti degli altri al diavolo, perché la reale conoscenza che posseggono della propria miseria rende loro la luce quasi intollerabile. (p. 85)
  • L'agonia è la suprema notte oscura della quale anche i perfetti hanno bisogno per l'assoluta purezza; per questo, meglio sia amara. (p. 86)
  • Ci si stupisce che il dolore non nobiliti. Perché, quando si pensa ad un infelice, si pensa alla sua infelicità. Ma l'infelice non pensa alla sua infelicità; ha l'anima colma di qualsiasi pur minimo sollievo che gli sia concesso desiderare. (p. 89)
  • L'infelicità: superiorità dell'uomo su Dio. C'è voluta l'Incarnazione perché quella superiorità non fosse scandalosa. (p. 90)
  • Se non ci fosse, a questo mondo, l'infelicità, ci potremmo credere in paradiso. (p. 90)
  • Due concezioni dell'inferno. Quella comune (sofferenza senza consolazione); la mia (falsa beatitudine, credersi per errore in paradiso). (p. 90)
  • La grandezza suprema del cristianesimo viene dal fatto che esso non cerca un rimedio sovrannaturale contro la sofferenza bensì un impiego sovrannaturale della sofferenza. (p. 91)
  • Sforzarsi di sostituire sempre più nel mondo la non-violenza efficace alla violenza. (p. 95)
  • Iddio pena, attraverso lo spessore infinito del tempo e della specie, per raggiungere l'anima e sedurla. Se essa si lascia strappare, anche solo per un attimo, un consenso puro e intero, allora Iddio la conquista. E quando sia divenuta cosa interamente sua, l'abbandona. La lascia totalmente sola. Ed essa a sua volta, ma a tentoni, deve attraversare lo spessore infinito del tempo e dello spazio alla ricerca di colui ch'essa ama. Così l'anima rifà in senso inverso il viaggio che Iddio ha fatto verso di lei. E ciò è la croce. (p. 98)
  • Prometeo, il dio crocifisso per aver amato troppo gli uomini. (p. 99)
  • Siamo ciò che è più remoto da Dio, al limite estremo; da cui però non sia totalmente impossibile tornare a lui. Nel nostro essere, Iddio è lacerato. Siamo la crocifissione di Dio. L'amor di Dio per noi è passione. Come il bene potrebbe amare il male senza soffrire? Anche il male soffre amando il bene. L'amore reciproco di Dio e dell'uomo è sofferenza. (p. 99)
  • Dobbiamo attraversare – e Iddio prima di noi, per venire fino a noi, perché egli viene per primo – lo spessore infinito del tempo e dello spazio. Nei rapporti fra Dio e l'uomo, l'amore è il più grande possibile. È grande come la distanza che dev'esser superata. (p. 99)
  • Dalla miseria umana a Dio. Ma non come compensazione o consolazione. Come correlazione. (p. 100)
  • Vuotarsi; ci si espone a tutta la pressione dell'universo che ci circonda. (p. 101)
  • Allora non si sarà giudicati, se saremo divenuti immagine del vero giudice che non giudica. (p. 103)
  • «Datemi un punto di appoggio e vi solleverò il mondo».[42] Questo punto d'appoggio è la croce. Non ce ne possono esser altri. Bisogna che esso si trovi all'intersezione del mondo e di ciò che non è il mondo. La croce è questa intersezione. (p. 103)
  • La nostra vita è impossibile, assurdità. Ogni cosa che noi vogliamo è contraddittoria con le condizioni o con le conseguenze relative; ogni affermazione che noi pronunciamo implica l'affermazione contraria; tutti i nostri sentimenti sono confusi con i loro contrari. Siccome siamo creature siamo contraddizione; perché siamo Dio e, al tempo stesso, infinitamente altro da Dio. (pp. 104–105)
  • Noi vorremmo che tutto quel che ha valore fosse eterno. Ora, tutto quel che ha valore è il prodotto di un incontro, dura in seguito all'incontro e finisce quando quel che s'era incontrato si separa. [...]
    La meditazione sul caso che ha fatto incontrare mio padre e mia madre è ancor più salutare di quella sulla morte.
    C'è forse una sola cosa in me che non abbia la sua origine in quell'incontro? Solo Iddio. E anche la mia idea di Dio ha la sua origine in quell'incontro. (p. 115)
  • La necessità è il velo di Dio. (p. 113)
  • L'attenzione assolutamente pura è preghiera. (p. 125)
  • L'amore istruisce gli dèi e gli uomini, perché nessuno impara senza desiderare di imparare. La verità è ricercata non in quanto verità, ma in quanto bene. (p. 126)
  • L'algebra e il denaro sono essenzialmente livellatori; la prima intellettualmente, l'altro effettivamente. (p. 158)
  • Considerare sempre gli uomini al potere come cose pericolose. Farsi da parte quanto più si può senza doversi disprezzare. E se un giorno ci si vede costretti, sotto pena di viltà, di andare ad infrangersi contro la loro potenza, considerarsi come vinti dalla natura delle cose e non dagli uomini. Si può essere in cella e incatenati ma si può essere anche colpiti da cecità o paralisi. Nessuna differenza.
    Solo modo di conservare la propria dignità nella sottomissione forzata: considerare il capo come una cosa. Ogni uomo è schiavo della necessità, ma lo schiavo cosciente è molto superiore. (p. 162)
  • Isaia, per primo, apporta luce pura. (p. 170)
  • Non è forse la massima sventura, quando si lotta contro Dio, quella di non essere vinto? (p. 171)
  • Il padrone è schiavo dello schiavo nel senso che lo schiavo fabbrica il padrone. (p. 181)
  • Non la religione, ma la rivoluzione è oppio del popolo. (p. 183)

Gioie parallele alla stanchezza. Gioie sensibili. Mangiare, riposarsi, i piaceri della domenica... Ma non il denaro.
Nessuna poesia che abbia per tema il popolo può essere autentica se non vi è la fatica, se non vi sono la fame e la sete che vengono dalla fatica.

Citazioni sull'opera

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  • Le pagine brucianti e i brevi pensieri che Gustave Thibon aveva riunito sotto il titolo La Pesanteur et la Grâce sono scritti in un linguaggio denso e impeccabile, talvolta animato da un tenero fremito esaltato. Vi entrano gli argomenti più alti, i soli che alla fine contano: l'amore di Dio, la sofferenza umana, la corretta utilizzazione del tempo, la rinuncia, la carità, la pratica delle virtù soprannaturali.
    L'apparizione del volumetto suscitò immediatamente un'eco strepitosa nei lettori. Un soffio di purezza scorse improvviso su un'umanità che all'indomani della guerra non osava più guardarsi allo specchio. (Georges Hourdin)

La prima radice

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  • Per gli errori come per i delitti, il grado di impunità deve aumentare non quando si sale ma quando si scende la scala sociale.[43]
  • Non esiste compassione per quel che è totalmente distrutto. Chi ne prova per Gerico, Gaza, Tiro, Sidone, Cartagine, Numanzia, la Sicilia greca, il Perù precolombiano?
  • La storia non è altro che una compilazione delle deposizioni fatte dagli assassini circa le loro vittime e se stessi.
  • La superstizione moderna del progresso è un sottoprodotto della menzogna con la quale si è trasformato il cristianesimo in religione romana ufficiale [...]. Più tardi l'idea di progresso si è laicizzata; e ora è il veleno della nostra epoca.
  • È completamente errato credere che un meccanismo provvidenziale trasmetta alla memoria dei posteri il meglio di un'epoca.
  • Nel XIX secolo tutti i poeti furono più o meno letterati, cosa che contamina vergognosamente la loro poesia.
  • La concezione moderna della scienza è responsabile delle attuali mostruosità.
  • La teoria di Einstein è almeno altrettanto poco fondata e altrettanto contraria al buon senso quanto la tradizione cristiana nei riguardi della concezione e della nascita di Cristo.
  • Il radicamento è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell'anima umana. (p.49)
  • Lo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa malattia delle società umane, perché si moltiplica da sola. Le persone realmente sradicate non hanno che due comportamenti possibili: o cadere in un'inerzia dell'anima quasi pari alla morte (come la maggior parte degli schiavi dell'impero romano), o gettarsi in un'attività che tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi, coloro che non lo sono ancora o che lo sono solo in parte. (p.52)
  • Chi è sradicato sradica. Chi è radicato non sradica. (p.53)
  • Che cosa giova agli operai ottenere con le loro lotte un aumento dei salari ed una disciplina meno dura se contemporaneamente, in qualche ufficio studi, gli ingegneri, senza alcuna intenzione malvagia, inventano macchine destinate ad esaurirli corpo ed anima o ad aggravare le difficoltà economiche? Che cosa servirebbe loro la nazionalizzazione parziale o totale dell'economia, se lo spirito di quegli uffici studi non mutasse? (p.60)

Citazioni sull'opera

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  • Certo, non vi si può cercare la perfezione formale di altri scritti, ma ciò semplicemente perché "è un libro", mentre l'espressione naturale della coscienza tragica, quale era quella della Weil, è la forma aforistica. (Augusto Del Noce)
  • È difficile trovare una sola pagina che non sia animata e vivacizzata da una fiamma interna. (Emmanuel Mounier)
  • L'Enracinement è un testo di sopravvivenza e insieme un manuale di cittadinanza per l'alba di una nuova umanità. Contiene anche numerose proposte pratiche che rimangono attuali. (Laure Adler)
  • Un libro in cui, fra pagine molto belle, il galimatias domina. (Christian Möller)

La rivelazione greca

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Circa duemilacinquecento anni fa in Grecia si scrivevano bellissimi poemi. Ormai sono letti soltanto dalle persone che si specializzano in questo studio, ed è proprio un peccato. Perché questi antichi poemi sono così umani che ancora oggi ci toccano da vicino e possono interessare tutti. Sarebbero anzi molto più toccanti per la gente comune, per coloro che sanno cos'è lottare e soffrire, piuttosto che per chi ha passato la vita tra le quattro mura di una biblioteca.

Citazioni

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  • Il vero eroe, il vero soggetto, il centro dell'Iliade è la forza. La forza adoperata dagli uomini, la forza che sottomette gli uomini, la forza davanti alla quale la carne degli uomini si ritrae. L'anima umana vi appare continuamente modificata dai suoi rapporti con la forza, trascinata, accecata dalla forza di cui crede di disporre, piegata sotto la costrizione della forza che subisce. Coloro che avevano sognato che la forza, grazie al progresso, appartenesse oramai al passato hanno visto in questo poema un documento; coloro che, oggi come un tempo, sanno discernere la forza al centro di ogni vicenda umana vi trovano il più bello, il più puro degli specchi.
    La forza è ciò che fa di chiunque le è sottomesso una cosa. Quando è esercitata fino in fondo fa dell'uomo una cosa nel senso più letterale, perché ne fa un cadavere. C'era qualcuno, e un attimo dopo non c'è nessuno. (p. 18)
  • La forza che uccide è una forma sommaria, grossolana della forza. Ben più varia nei suoi procedimenti, ben più sorprendente nei suoi effetti è l'altra forza, quella che non uccide; quella cioè che non uccide ancora. Sicuramente ucciderà, o forse ucciderà, oppure è soltanto sospesa sull'essere che a ogni momento può uccidere; in ogni caso muta l'uomo in pietra. Dal potere di trasformare un uomo in cosa facendolo morire deriva un altro potere, ben altrimenti prodigioso, quello di fare una cosa di un uomo che resta vivo. Egli è vivo, ha un'anima; tuttavia è una cosa. Strano essere, una cosa che ha un'anima; strano stato per l'anima. Chi può dire quanto ad ogni istante, per adattarvisi, deve torcersi e ripiegarsi su se stessa? L'anima non è fatta per abitare una cosa; quando vi è costretta, non c'è più nulla in lei che non soffra violenza. (p. 19)
  • Il Vangelo è l'ultima e meravigliosa espressione del genio greco, come l'Iliade ne è la prima; lo spirito della Grecia vi traspare non soltanto perché vi si ordina di ricercare, a esclusione di ogni altro bene, «il regno di Dio e la giustizia celeste», ma anche perché vi è esposta la miseria umana, e questo in un essere ad un tempo divino e umano. I racconti della Passione mostrano che uno spirito divino, unito alla carne, è alterato dalla sventura, trema davanti alla sofferenza e alla morte, si sente, al fondo dello sconforto, separato dagli uomini e da Dio. Il sentimento della miseria umana dà loro quell'accento di semplicità che è il marchio del genio greco, e che costituisce tutto il pregio della tragedia greca e dell'Iliade. (p. 37)
  • Colui che ignora fino a che punto la volubile fortuna e la necessità tengono ogni anima umana in loro potere non può considerare come suoi simili né amare come se stesso quelli che il caso ha separato da lui con un abisso. La diversità delle costrizioni che pesano sugli uomini fa nascere l'illusione che ci siano tra loro specie distinte che non possono comunicare. È possibile amare ed essere giusti solo se si conosce l'imperio della forza e si è capaci di non rispettarlo. (p. 37)

Manifesto per la soppressione dei partiti politici

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  • Il fine di un partito politico è cosa vaga e irreale. Se fosse reale, esigerebbe un enorme sforzo d'attenzione, in quanto una concezione del bene pubblico non è cosa facile da elaborare. L'esistenza del partito è palpabile, evidente, e non esige alcuno sforzo per essere riconosciuta. È inevitabile, così che in realtà il partito sia esso stesso il proprio fine.
  • I partiti parlano, è vero, di educazione nei confronti di quelli che sono venuti a loro: simpatizzanti, giovani, nuovi aderenti. Questa parola è una menzogna. Si tratta di un addestramento che serve a preparare l'influenza ben più rigorosa esercitata dal partito sul pensiero dei suoi membri.
  • Lo scopo manifesto della propaganda è la persuasione, non la comunicazione della luce. Hitler aveva capito perfettamente che la propaganda è sempre un tentativo di asservimento dello spirito.
  • Ma se l'appartenenza a un partito obbliga sempre, in ogni caso, alla menzogna, l'esistenza dei partiti è assolutamente, incondizionatamente, un male.
  • Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Così, chiunque abbia un'inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti. Anche in questo caso sarà preso da preoccupazioni che escludono quella per il bene pubblico.
  • Ma in realtà, al di là delle eccezioni molto rare, un uomo che entra in un partito adotta docilmente la disposizione d'animo che esprimerà più tardi con le parole: "come monarchico, come socialista, penso che...". È una posizione così confortevole! Perché equivale a non pensare. Non c'è nulla di più confortevole del non pensare.
  • L'istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. È perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi.
  • Quasi dappertutto – e anche, di frequente, per problemi puramente tecnici – l'operazione di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, si è sostituita all'operazione del pensiero. Si tratta di una lebbra che ha avuto origine negli ambienti politici e si è espansa, attraverso tutto il paese, alla quasi totalità del pensiero. Non è certo che sia possibile rimediare a questa lebbra che ci sta uccidendo, senza cominciare dalla soppressione dei partiti politici.

Quaderni

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  • La vita non ha bisogno di mutilarsi per essere pura. (vol. I, I, p. 117)
  • [I]n questo universo cristallino della matematica vengono tese alla ragione le stesse trappole che nel mondo reale. (vol. I, I, p. 134)
  • La mia idea essenziale del 1934: Non è il fine che importa, ma le conseguenze implicite nel meccanismo stesso dei mezzi messi in opera. (vol. I, III, p. 243)
  • Vi è un punto di sventura in cui non si è più capaci di sopportare né che essa continui, né di esserne liberati. (vol. II, V, p. 43)
  • Gli unici sforzi puri sono quelli senza scopo, ma sono umanamente impossibili. (vol. II, VI, p. 115)
  • Ogni dolore che non distacca è dolore perduto. (vol. II, VI, p. 136)
  • Uccidere è male (e inebriante) perché ci sentiamo sottratti alla morte che noi infliggiamo. (vol. II, VI, p. 137)
  • La pietà di se stessi non appartiene alla sventura estrema. Al di sotto di un certo livello di sventura, la pietà si muta in orrore per sé così come per gli altri. Per questo Napoleone diceva che le vere sventure non si raccontano; e gli antichi, che i grandi dolori sono muti. (vol. II, VI, p. 156)
  • L'attenzione dovrebbe essere l'unico oggetto dell'educazione. (vol. II, VI, p. 184)
  • Non si combatte il senso di colpa se non con la pratica della virtù. (vol. IV, XIII, pp. 106-107)

Riflessioni sulla guerra

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  • Da una parte, la guerra è soltanto il prolungamento di quell'altra guerra che si chiama concorrenza e che fa della produzione stessa una semplice forma di lotta per la supremazia; dall'altra, tutta la vita economica contemporanea è orientata verso una guerra futura. (p. 36)
  • Il grande errore in cui cadono quasi tutte le analisi riguardanti la guerra – errore in cui in particolare sono incorsi i socialisti – è di considerare la guerra come un episodio di politica estera, mentre è prima di tutto un fatto di politica interna, e il più atroce di tutti. Non si tratta qui di considerazioni sentimentali, né di superstizioso rispetto per la vita umana, si tratta di un rilievo assai semplice: il massacro è la forma più radicale di oppressione; i soldati non si espongono alla morte, sono mandati al massacro. Come ogni apparato oppressivo, una volta costituito, resta fino a quando non viene spezzato, così ogni guerra, imponendo un apparato finalizzato a dirigere le manovre strategiche su masse costrette a servire come masse di manovra, deve essere considerata, anche nel caso in cui sia condotta da rivoluzionari, come un fattore reazionario. (p. 37)
  • La guerra rivoluzionaria è la tomba della rivoluzione e lo sarà sempre fino a quando non si sarà dato ai soldati, o piuttosto ai cittadini armati, la possibilità di fare la guerra senza apparato dirigente, senza pressione poliziesca, senza leggi eccezionali, senza punizione per i disertori. (p. 40)
  • In linea generale, sembra che la storia costringa sempre più ogni azione politica a scegliere tra l'inasprimento dell'oppressione intollerabile esercitata dagli apparati statali e una lotta senza tregua direttamente volta contro questi apparati per abbatterli. Certo, le difficoltà forse insuperabili che si presentano attualmente possono giustificare l'abbandono puro e semplice della lotta. Se tuttavia non si vuole rinunciare ad agire, bisogna rendersi conto che contro un apparato statale non si può lottare che dall'interno. (p. 41)

Comunque si travestano linguisticamente il fascismo e la democrazia o la dittatura del proletariato, il nemico capitale resta l'apparato amministrativo, poliziesco e militare; un nemico non identificabile con quello che ci sta di fronte, identificabile perché si presenta come nemico dei nostri fratelli, bensì è il nemico che dice di essere il nostro difensore, mentre ci rende schiavi. In qualunque circostanza il peggiore tradimento possibile consiste sempre nell'accettare la subordinazione a questo apparato e nel calpestare in se stessi e negli altri, per servirlo, tutti i valori umani.

[Simone Weil, Riflessioni sulla guerra, in Incontri libertari, traduzione di Maurizio Zani, Elèuthera, Milano, 2001. ISBN 88-85060-52-8]

Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale

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Il presente è uno di quei periodi in cui svanisce quanto normalmente sembra costituire una ragione di vita e, se non si vuole sprofondare nello smarrimento o nell'incoscienza, tutto va rimesso in questione. Solo una parte del male di cui soffriamo è da attribuire al fatto che il trionfo dei movimenti autoritari e nazionalisti distrugge un po' dovunque la speranza che uomini onesti avevano riposto nella democrazia e nel pacifismo; esso è ben più profondo e ben più vasto. Ci si può chiedere se esista un àmbito della vita pubblica o privata dove le sorgenti stesse dell'attività e della speranza non siano avvelenate dalle condizioni nelle quali viviamo. Il lavoro non viene più eseguito con la coscienza orgogliosa di essere utile, ma con il sentimento umiliante e angosciante di possedere un privilegio concesso da un favore passeggero della sorte, un privilegio dal quale si escludono parecchi esseri umani per il fatto stesso di goderne, in breve un posto.

Citazioni

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  • Le classi medie sono sedotte dalla rivoluzione unicamente quando essa è evocata, a fini demagogici, da apprendisti dittatori. (p. 13)
  • In effetti Marx ha ben mostrato che la ragione vera dello sfruttamento dei lavoratori non consiste nel desiderio di godere e di consumare che i capitalisti avrebbero, bensì nella necessità di ingrandire l'impresa il più rapidamente possibile per renderla più potente delle imprese concorrenti. (pp. 14–15)
  • Lo stesso «socialismo scientifico» è rimasto monopolio di taluni, e gli «intellettuali» purtroppo hanno nel movimento operaio gli stessi privilegi che nella società borghese. (p. 16)
  • Raramente tuttavia le credenze che danno conforto sono allo stesso tempo ragionevoli. (p. 18)
  • In generale, da ciechi quali siamo, attualmente possiamo solo scegliere tra la capitolazione e l'avventura. E tuttavia non possiamo esimerci dal determinare sin d'ora l'atteggiamento da assumere rispetto alla situazione presente. (pp. 39–40)
  • Come è stato capito chiaramente da Marx per quanto concerne il capitalismo, come in modo più generale è stato notato da qualche moralista, la potenza racchiude in sé una sorta di fatalità che pesa con eguale spietatezza su coloro che comandano e su coloro che obbediscono; ma non è tutto: essa asservisce i primi nella misura stessa in cui, per loro tramite, schiaccia i secondi. (p. 44)
  • E tuttavia nulla al mondo può impedire all'uomo di sentirsi nato per la libertà. Mai, qualsiasi cosa accada, potrà accettare la servitù; perché egli pensa. (p. 66)
  • Una visione chiara del possibile e dell'impossibile, del facile e del difficile, delle fatiche che separano il progetto dalla messa in opera basta a cancellare i desideri insaziabili e i vani timori; da questo e non da altro derivano la temperanza e il coraggio, virtù senza le quali la vita è solo un vergognoso delirio. (p. 70)
  • All'antica e disperante maledizione del Genesi, che faceva apparire il mondo come un luogo di pena e il lavoro come il marchio della schiavitù e dell'abiezione umana, egli [Francesco Bacone] ha sostituito in un lampo di genio la vera carta dei rapporti dell'uomo con il mondo: «L'uomo comanda alla natura obbedendole». Questa formula così semplice dovrebbe costituire da sola la Bibbia della nostra epoca. Essa è sufficiente a definire il lavoro vero, quello che rende gli uomini liberi, e questo nella misura stessa in cui è un atto di sottomissione cosciente alla necessità. (p. 93)
  • Tutte le volte che gli oppressi hanno voluto costituire dei raggruppamenti capaci di esercitare un reale influsso, questi gruppi, si siano essi chiamati partiti o sindacati, hanno riprodotto integralmente nel loro seno tutte le tare del regime che pretendevano di riformare o di abbattere, e cioè l'organizzazione burocratica, il rovesciamento del rapporto tra i mezzi e i fini, il disprezzo dell'individuo, la separazione tra il pensiero e l'azione, il carattere meccanico del pensiero stesso, l'utilizzazione dell'instupidimento e della menzogna come strumenti di propaganda, e così di seguito. (p. 109)

Soltanto dei fanatici possono attribuire valore alla propria esistenza unicamente nella misura in cui essa serve una causa collettiva; reagire contro la subordinazione dell'individuo alla collettività implica che si cominci col rifiuto di subordinare il proprio destino al corso della storia. Per risolversi a un simile sforzo di analisi critica basta aver compreso che essa permetterebbe a chi vi si impegnasse di sfuggire al contagio della follia e della vertigine collettiva tornando a stringere per conto proprio, al di sopra dell'idolo sociale, il patto originario dello spirito con l'universo.

Citazioni sull'opera

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  • Un'ansia assoluta di verità, irriverente verso il dogmatismo marxista e l'ortodossia sovietica, corre nelle pagine di questo saggio. (Alberto Melloni)

Citazioni su Simone Weil

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Simone Weil nel 1921
  • Accusata di tradimento dalla sinistra, fraintesa dalla destra, dimenticata dai manuali di filosofia. Eppure è uno dei maggiori pensatori del secolo. (Alfonso Berardinelli)
  • Chiacchieravamo nei corridoi della Sorbona. I suoi giudizi senza appello mi disorientavano. Con lei era sempre tutto o niente. La rividi in seguito negli Stati Uniti, dov'era venuta per un breve soggiorno, prima di andare in Inghilterra e morirvi. Si mise lei in contatto con me, mi diede appuntamento sotto il colonnato di un grande edificio [...]. Discorremmo familiarmente seduti sugli scalini. Le intellettuali della nostra generazione erano spesso eccessive: lei non faceva eccezione, ma ha spinto questo rigorismo fino a farsi distruggere. (Claude Lévi-Strauss)
  • Da molto tempo esisteva una stretta complicità fra il figlio del commerciante di tessuti di lana che visse ad Assisi all'inizio del XIII secolo [San Francesco] e la sindacalista rivoluzionaria, fra il fondatore della fraternità francescana e la professoressa di filosofia che nel XX secolo, fra le due guerre mondiali, chiede una risposta all'interrogativo posto dall'esistenza del dolore umano. (Georges Hourdin)
  • E anche Simone Weil[44] – a volte i morti sono più vicini a noi dei vivi. (Albert Camus)
  • Era davvero una strana mescolanza di freddezza e passione: da un lato un che di ragionato, di rigoroso, di calmo, di lento, dall'altro impulsi vivaci, a volte goffi, a volte invece ingenui e affascinanti, un fuoco di entusiasmo e sdegni violenti. (Simone Pétrement)
  • In questi cinquant'anni dalla sua morte ella ha continuato a essere oggetto di disprezzo e di adorazione, di benevolenza e di scherno. È nota la frase con cui Charles de Gaulle la liquidò: «Elle est folle!». Papa Paolo VI affermò che la sua era una delle tre influenze decisive della sua vita. T.S. Eliot la considerava un genio, e Graham Greene vide in lei un'impetuosa adolescente. George Steiner l'ha trovata «perversa» e Malcolm Muggeridge ne ha parlato come di una delle «luci nelle nostre tenebre». Compare in innumerevoli libretti di devozione, e in un libro lungo, veemente, è stata paragonata a Hitler. Di reazioni, giudizi e impressioni come queste se ne possono citare all'infinito; la massa di letteratura che la riguarda sta minacciando di sfuggire di mano. (Thomas R. Nevin)
  • La santa degli esclusi. (André Gide)
  • Lei aveva il dono di pronunciar parole con significato umano illimitato. (Joë Bousquet)
  • [Nel] romanzo tragicamente inumano della Weil... quasi tutto è legno morto perché sono false le intuizioni fondamentali. (Christian Möller)
  • Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio [...]. Tuttavia, Simone Weil ci commuove. (Susan Sontag)
  • Quando conosciamo la sua giovinezza, ci sembra di trovarci, trent'anni più tardi, nella famiglia di Proust. C'è lo stesso profumo ebraico: qui più antico e profondo, perché la famiglia della madre veniva dalla Galizia. C'è lo stesso sapore di Francia borghese [...]. Da bambina era molto bella [...]. Aveva occhi neri che fissavano arditamente, con una curiosità appassionata e indiscreta, un'avidità quasi intollerabile; e che parevano contraddetti dalla piega implorante delle labbra. Non amava giocare. [...] Perduta in un sogno eroico e cavalleresco, si proibiva qualsiasi debolezza. Pretendeva di non venire considerata una donna. Era piena di rifiuti, di disgusti e di ribrezzi. Non voleva essere toccata né abbracciata; e se qualcuno, persino la madre, le posava un bacio sulla fronte o allungava le braccia intorno alle sue spalle, diventava rossa di collera. Temeva gli affetti, la sensibilità, la morbidezza. (Pietro Citati)
  • Scarna come il digiunatore di Kafka, protetta da strani abiti informi e da grandi occhiali che mascherano uno sguardo che sembra penetrare le cose per spingersi oltre, attraversa le laceranti contraddizioni del nostro secolo illuminandole come nessuno ha saputo fare prima o dopo di lei con altrettanto rigore. È una figura enigmatica, che porta su di sé le tracce di una bellezza incontenibile e di un dolore sconfinato, come avesse scoperto che "la vita è supremamente bella", ma che essa, come lei stessa dice, "è per me sempre meno accessibile". (Franco Rella)
  • Si legge, trovo, con una sorta di avido piacere, quasi saltando allegramente di frase in frase – come un uomo che salti da una lastra all'altra sopra un fiume ghiacciato che scorre lentamente. (Malcolm Muggeridge)
  • Simone Weil, l'ebrea educata all'agnosticismo, ha reagito anch'essa in nome della ragione alla protesta istintiva e ricorrente dell'uomo per la mancata evidenza divina. (Vittorio Messori)
  • Sorelluccia inviolata | ultima colomba dei diluvi stroncata | bellezza del Cantico dei Cantici camuffata in quei tuoi buffi occhiali da scolara miope. (Elsa Morante)

Note

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  1. Da Riconoscimento di Dio e dell'uomo, in La Grecia e le intuizioni precristiane, Borla, Roma, traduzioni di Cristina Campo e Margherita Pieracci Harwell, 20083, p. 100. ISBN 978-88-263-0053-5
  2. Da La condition ouvrière. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  3. Da La persona e il sacro, in Morale e letteratura, traduzione di Nicole Maroger, ETS, Pisa, 1990, p. 38.
  4. Da Écrits de Londres; citato in Adriano Marchetti, Nella verità del proprio essere, in Weil 1994, p. 61.
  5. Citato in Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino, 1977, p. 39.
  6. a b Citato in Citati 1992, p. 266.
  7. Da Viaggio in Italia, cura e traduzione di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, Castevecchi, Roma, 2015, p. 28. ISBN 9788869442759
  8. Citato in Citati 1992, p. 277.
  9. Citato in Claudio Bonvecchio, Teresa Tonchia, Gli arconti di questo mondo. Gnosi: politica e diritto, Università di Trieste, Trieste, 2000, p. 149. ISBN 88-8303-033-8
  10. Da L'Iliade o il poema della forza, variante da un manoscritto inedito; citato in Nevin 1997, p. 158.
  11. Da Sul colonialismo, vol. 3, pp. 106-107.
  12. Citato in Benedetto XVI, Incontro con gli Artisti nella Cappella Sistina, 21 novembre 2009.
  13. Citato in Esposito 1996, p. 100.
  14. Da Lettera sulle responsabilità della letteratura, in Poesie e altri scritti, Crocetti, Milano, 1993, p. 69.
  15. Da Pensieri disordinati sull'amore di Dio, a cura di N. Tajana e R. Colla, La Locusta, Vicenza.
  16. Da una lettera a David Garnett, senza data; citato in Nevin 1997, p. 206.
  17. a b Da La persona e il sacro, 2014.
  18. Da Senza partito, traduzione di Marco Dotti, Feltrinelli/Vita, Milano, 2013. ISBN 8850332297
  19. Citato in Citati 1992, p. 267.
  20. Citato in Ermes Ronchi, Sciogliere le vele. Commento ai vangeli festivi. Anno A, Edizioni San Paolo, 2004, p. 111.
  21. Citato in Marcus Parisini, L'anima degli animali, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone, 2002, p. 110. ISBN 88-87881-68-5
  22. Da Dio in cerca dell'uomo, in Intuizioni precristiane; citato in Massimiliano Marianelli, La metafora ritrovata: Miti e simboli nella filosofia di Simone Weil, Città Nuova, Roma, 2004, p. 110. ISBN 88-311-3355-1
  23. Da una lettera al fratello André; citato in Esposito 1996, pp. 101-102.
  24. Da una lettera ad Alain, 13 ottobre 1934; citato in Nevin 1997, p. 116.
  25. Da Meditazioni sull'obbedienza e sulla libertà, in Incontri libertari, p. 79.
  26. Citato in Citati 1992, p. 279.
  27. a b Da Lettera a un religioso, a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, Milano, 1996, quarta di copertina. ISBN 88-459-1209-4
  28. Da Lettera a un religioso, op. cit.
  29. Da Sulle contraddizioni del marxismo, in Incontri libertari, pp. 83-84.
  30. Citato in Citati 1992, p. 269.
  31. Citato in Tomaso Montanari, Andrea Bigalli, Arte è liberazione, Gruppo Abele, Torino, 2020, p. 69. ISBN 9788865792353
  32. Citato in Marco Gervasoni, «La critique sociale», Simone Weil e la questione della guerra, in Della violenza e altro. Primavera 1999, Jaca Book, Milano, 1999, p. 187. ISBN 88-10-74102-3
  33. Citato in Aforismi di filosofia, edizioni del Baldo, 2009, p. 71.
  34. Da Sulle contraddizioni del marxismo, in Incontri libertari, pp. 84-85.
  35. Da Sul colonialismo, vol. 3, pp. 52-55.
  36. Citato in Vittorio Messori, Ipotesi su Gesù, SEI, Torino, 1977, p. 39: «Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell'altro, osserva ancora la Weil». La frase è riportata da Messori senza virgolette dopo un'altra citazione virgolettata.
  37. Citato in Viaggio in Italia, a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, Castelvecchi, Roma, p. 14. ISBN 9788869442759
  38. Cfr. Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!».
  39. Cfr. Gesù: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».
  40. Cfr. Gesù, Discorso della Montagna: «Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».
  41. a b Simone Weil scrive in data 12 maggio 1942.
  42. Cfr. Archimede: «Datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo».
  43. Citato in Nevin 1997, p. 393.
  44. In risposta alla domanda su quali scrittori viventi fossero più importanti per lui.

Bibliografia

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  • Pietro Citati, Ritratti di donne, Rizzoli, Milano, 1992. ISBN 88-17-66276-3
  • Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma, 1996. ISBN 88-7989-275-4 (Anteprima su Google Libri)
  • Thomas R. Nevin, Simone Weil: Ritratto di un'ebrea che si volle esiliare, traduzione di Giulia Boringhieri, Bollati Boringhieri, Torino, 1997. ISBN 88-339-1056-3
  • Simone Weil, Attesa di Dio, traduzione di Orsola Nemi, Rusconi, Milano, 1972.
  • Simone Weil, Joë Bousquet, Corrispondenza, a cura di Adriano Marchetti, SE, Milano, 1994. ISBN 88-7710-625-5
  • Simone Weil, Incontri libertari, traduzione di Maurizio Zani, Elèuthera, Milano, 2001. ISBN 88-85060-52-8
  • Simone Weil, L'amore di Dio, traduzione di G. Bissaca e A. Cattabiani, Borla, Torino, 1968.
  • Simone Weil, L'ombra e la grazia, traduzione di Franco Fortini, Rusconi, Milano, 1985.
  • Simone Weil, La persona e il sacro, a cura di Maria Concetta Sala, Adelphi, 2014.
  • Simone Weil, La prima radice, traduzione di Franco Fortini, Mondadori, Milano.
  • Simone Weil, La rivelazione greca, a cura di Maria Concetta Sala e Giancarlo Gaeta, Adelphi, Milano, 2014. ISBN 978-88-459-7423-6
  • Simone Weil, Manifesto per la soppressione dei partiti politici, presentazione di André Breton, traduzione di Fabio Regattin, Castelvecchi, Roma, 2008, 2013.
  • Simone Weil, Quaderni, vol. I, a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, Milano, 2004.
  • Simone Weil, Quaderni, vol. II, a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, Milano, 1997.
  • Simone Weil, Quaderni, vol. IV, a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, Milano, 2005.
  • Simone Weil, Riflessioni sulle cause della libertà e dell'oppressione sociale, a cura di Giancarlo Gaeta, RCS Quotidiani, Milano, 2011.
  • Simone Weil, Sul colonialismo, a cura di Domenico Canciani, Medusa, Milano, 2003.

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