Una nazione giovane:
l’Italia dei palazzi municipali, 1861-1911
Studi e ricerche di storia dell’architettura
anno VIII, numero speciale, novembre 2024
“Una nazione giovane: l’Italia dei palazzi
municipali, 1861-1911”
a cura di Isabella Balestreri e Marco Folin
Direttore responsabile
Marco Folin (Università di Genova)
Comitato scientifico
Micaela Antonucci (Università di Bologna), Paola Barbera (Università degli Studi di
Catania), Philippe Bernardi (Università degli Studi di Firenze), Philippe Bernardi
(Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne), Claudia Conforti (Università di Roma Tor
Vergata), Bianca de Divitiis (Università di Napoli Federico II), Sabine Frommel (École
pratique des hautes études), Mia Fuller (University of Berkeley), Marzia Marandola
(Università Iuav, Venezia), Fernando Marias (Universidad Autónoma de Madrid),
Marco Rosario Nobile (Università degli Studi di Palermo), Alina Payne (Harvard
University), Ulrich Pfisterer (Ludwig-Maximilians-Universität, München), Walter Rossa
(Universidade de Coimbra), Michelangelo Sabatino (Illinois Institute of Technology),
Massimiliano Savorra (Università di Pavia)
Comitato editoriale
Antonello Alici (Università Politecnica delle Marche), Mario Bevilacqua (Sapienza
Università di Roma), Francesca Castanò (Università della Campania L. Vanvitelli),
Simonetta Ciranna (Università dell’Aquila), Maria Grazia D’Amelio (Università di
Roma Tor Vergata), Annalisa Dameri (Politecnico di Torino), Filippo De Pieri
(Politecnico di Torino), Maria Clara Ghia (Sapienza Università di Roma), Andrea
Longhi (Politecnico di Torino), Elena Manzo (Università della Campania L. Vanvitelli),
Sergio Pace (Politecnico di Torino), Roberto Parisi (Università del Molise), Stefano
Piazza (Università degli Studi di Palermo), Michela Rosso (Politecnico di Torino),
Aurora Scotti Tosini (Politecnico di Milano), Carlo Tosco (Politecnico di Torino),
Stefano Zaggia (Università degli Studi di Padova)
Layout e impaginazione
Grafica e layout cover
Giovanni Bellucci
Lorenzo Fecchio
Una nazione giovane:
l’Italia dei palazzi municipali, 1861-1911
a cura di
Isabella Balestreri e Marco Folin
La pubblicazione è stata realizzata grazie al contributo della Direzione Generale
Educazione, Ricerca e Istituti culturali.
© 2024 Caracol, Palermo
ISBN 979-12-81816-12-1
ISSN 2532-2699
Ogni contributo del volume è stato sottoposto a double peer blind review.
Edizioni Caracol s.n.c.
Piazza Luigi Sturzo, 14,
90139 Palermo
e-mail: info@edizionicaracol.it
www.edizionicaracol.it
In copertina: Luca Beltrami, Milano, Palazzo Marino, particolare della facciata con
portale d’ingresso, 1890-1910 ca., RB 1597r, © Comune di Milano, tutti i diritti riservati –
Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco, Milano.
Edizioni Caracol
INDICE
Paola Barbera
Prefazione
Foreword
11
Abbreviazioni
13
L’invenzione ottocentesca del palazzo comunale italiano
The 19th-Century Invention of Italian Town Halls
15
Marco Folin
L’architettura civica come palcoscenico.
Alcune considerazioni sugli attori e sui loro ruoli
The Stage of Civic Architecture: Insights on Actors and Their Roles
39
Isabella Balestreri
Norme, risorse e attività dei comuni nel primo cinquantennio dell’Italia unita
Rules, Resources and Activities of Italian Municipalities in the
First Fifty Years after the Unification of the Country
53
Oscar Gaspari
Un’architettura comunale per un’Italia unita
Municipal Architecture for a Unified Nation
65
Guido Zucconi
“Come l’albero nutre il fiore”. Società civile, arte, architettura nei palazzi municipali
dell’Italia settentrionale nel corso del lungo Ottocento
“As the Tree Nurtures the Flower”. Civil society, Art, Architecture in the Town Halls
of Northern Italy During the Long 19th-Century
75
Sergio Pace
I palazzi municipali dell’Italia centrale: ricerca di un’identità per il potere pubblico
The Town Halls in Central Italy: Searching for an Identity for Public Authorities
89
Massimiliano Savorra
Sedi comunali nell’ex Regno borbonico: 105 Fabio Mangone
trasformazioni istituzionali in forma di palazzo
Town Halls in the Former Bourbon Kingdom:
Institutional Transformations in the Shape of Palaces
I palazzi di città in Sicilia e Sardegna. Un’analogia possibile? 121 Paola Barbera
‘City Palaces’ in Sicily and Sardinia. A Possible Analogy?
ATLANTE
NORD
“Deprimit elatos levat Alexandria stratos”. Il teatro della municipalità 145 Annalisa Dameri
“Deprimit elatos levat Alexandria stratos”. The Municipality Theater
I progetti di Felice Orsolini per il palazzo municipale di Chiavari (Genova) 153 Claudia Candia
Felice Orsolini’s Projects for the Town Hall of Chiavari (Genoa)
La ricostruzione di Palazzo Cenere alla Spezia 165 Marco Folin
The Rebuilding of La Spezia’s Palazzo Cenere
5
Il palazzo comunale di Clusone in Alta Valle Seriana (Bergamo) 177 Isabella Balestreri
The Town Hall of Clusone in Alta Valle Seriana (Bergamo)
Facies medievale e funzionalità moderna. Il Broletto di Brescia dai rifacimenti 187 Irene Giustina
dell’età postunitaria ai restauri di Giovanni Tagliaferri (1907-1926)
Medieval Image and Modern Functions. The Restorations of the Brescian Broletto from
the Unification Period to the Work of Giovanni Tagliaferri (1907-1926)
Il palazzo comunale di Casalmaggiore (Cremona) 195 Rosa Maria Marta Caruso
The Town Hall of Casalmaggiore (Cremona)
Da “Casa pretoriale” di Castellaro Trentino a municipio di Castel d’Ario 203 Carlo Togliani
From “Casa pretoriale”of Castellaro Trentino to Town Hall of Castel d’Ario
Tre municipi in territorio mantovano: Giovanni Battista Vergani 211 Ginevra Rossi
architetto a Mantova, Guidizzolo e Canneto sull’Oglio
Three Town Halls in the Province of Mantua: Giovanni Battista Vergani
Architect in Mantua, Guidizzolo and Canneto sull’Oglio
Palazzo Malinverni a Legnano (Milano) 217 Damiano Iacobone
Palazzo Malinverni in Legnano (Milan)
Il complesso municipale di Padova dopo l’Unità d’Italia: 223 Stefano Zaggia
tra eredità storiche ed esigenze di modernizzazione
The Municipal Complex of Padua after the Italian Unification:
Historical Heritage and Modernisation Needs
Dis-armoniche costruzioni: il complesso dei palazzi comunali di Treviso (1870-1906) 229 Elena Svalduz
Dis-harmonious Buildings: the Complex of Treviso’s Municipal Palaces (1870-1906)
Il “Rinascimento moderno” per il palazzo comunale di Udine di Raimondo D’Aronco 237 Diana Barillari
The ‘Modern Renaissance’ of Udine’s Town Hall by Raimondo D’Aronco
Il palazzo comunale di Bologna tra restauri storicisti 245 Daniele Pascale Guidotti Magnani
e ricerca di una nuova identità (1860-1890)
Bologna’s Town Hall between Historicist Restorations
and the Search for a New Identity (1860-1890)
Alfonso Rubbiani e la ricostruzione del palazzo comunale di Vergato del 1886 253 Francesco Ceccarelli
Alfonso Rubbiani and the Rebuilding of Vergato’s Town Hall in 1886
CENTRO
La costruzione del Palazzo Pubblico di San Marino nel quadro dell’Italia postunitaria 261 Guido Zucconi
The Building of the Palazzo Pubblico of San Marino and the Italian Unification
Carrara: il restauro dei palazzi comunali negli anni 269 Erica Bacigalupi, Solange Rossi
dell’“ampliamento e abbellimento” della città postunitaria
Carrara: the Restoration of the Municipal Seats in the Years of the
“Expansion and Beautification” of the City
Firenze e le sedi dell’ufficio comunale: Palazzo Spini-Feroni, 279 Lorenzo Fecchio
Palazzo Medici e Palazzo Vecchio (1845-1889)
Florence and its Municipal Seats: Palazzo Spini-Feroni,
Palazzo Medici and Palazzo Vecchio (1845-1889)
6
Il Palazzo Pubblico di Siena e il lento ritorno “alla sua forma originale” 291 Marco Frati
Siena’s Palazzo Pubblico and the Slow Return “to its Original Form”
Il palazzo municipale di Guglielmo Rossi a Magione (Perugia) 299 Francesco Cotana
Guglielmo Rossi’s Town Hall in Magione (Perugia)
Il rinnovamento urbano e il nuovo palazzo municipale di Mercatello sul Metauro 307 Giovanni Bellucci
(Urbino) nella seconda metà del XIX secolo
The Renewal of the City and Town Hall of Mercatello sul Metauro (Urbino)
in the Second Half of the 19th Century
La riscoperta della tradizione identitaria locale in area laziale: 315 Arianna Carannante
il recupero del palazzo comunale di Priverno (Latina)
The Rediscovery of Local Identity in Latium:
the Restoration of Priverno’s Town Hall (Latina)
SUD
Palazzo San Benedetto, la sede municipale del comune di Amalfi 325 Federica Fiorillo
tra stratificazione storica ed evoluzione socio-culturale
Palazzo San Benedetto, Amalfi’s Town Hall:
Historical Stratification and Socio-cultural Evolution
Il palazzo municipale di Ercolano: l’antico come modello per una nuova identità 331 Michele Cerro
Ercolano’s Town Hall: the Ancient as a Model for a New Identity
Palazzo San Giacomo. La storica sede del municipio di Napoli 339 Elena Manzo
con la sua piazza, simbolo del governo della città
Palazzo San Giacomo. The Historic Seat of Naples’ Municipality
with its Square, Symbol of the City Government
Trasformazioni architettoniche e continuità di valori 347 Monica Esposito
nel municipio di Castellammare di Stabia (Napoli)
Architectural Transformations and Continuity of Values
in the Town Hall of Castellammare di Stabia (Naples)
Il palazzo di città e il programma urbano della Bari postunitaria 353 Antonio Labalestra
The Renewal of Bari and its Town Hall after the Italian Unification
La costruzione del palazzo municipale di Potenza. 361 Giuseppe Damone
Una ridefinizione degli aspetti storici e architettonici
The Building of Potenza’s Town Hall.
A Reassessment of Historical and Architectural Aspects
Antiche sedi, nuove identità. Il caso della casa comunale di Cosenza 369 Cristiana Coscarella
Old Seats, New Identities. The Case of Cosenza’s “casa comunale”
Palazzo de Nobili a Catanzaro: da palazzo nobiliare a sede municipale (1863) 377 Bruno Mussari
Palazzo de Nobili in Catanzaro: an Aristocratic Mansion Transformed
into a Municipal Seat (1863)
Cronistoria di una architettura: il palazzo municipale di Fiumefreddo Bruzio (Cosenza) 387 Maria Rossana Caniglia
Chronicle of an Architecture. The Municipal Seat of Fiumefreddo Bruzio (Cosenza)
7
Il palazzo di città di Reggio Calabria: 393 Giuseppina Scamardi
dalla riconfigurazione postunitaria alla demolizione del 1911
Reggio Calabria’s Palazzo di Città: from its Reconfiguration
after the Italian Unification to its Demolition in 1911
ISOLE
Il palazzo comunale di Caltagirone (Catania): 403 Federica Scibilia
genesi progettuale e vicende costruttive
The Town Hall of Caltagirone (Catania): its Design and Building History
Il palazzo municipale di Grammichele (Catania) 415 Maria Stella Di Trapani
The Town Hall of Grammichele (Catania)
Il palazzo municipale di Melilli (Catania) 423 Maria Stella Di Trapani
The Town Hall of Melilli (Siracuse)
I palazzi municipali di Piazza Armerina (Enna) tra storia urbana e identità locale 433 Emanuele Gallotta
The Town Halls of Piazza Armerina (Enna): Urban History and Local Identity
Il palazzo municipale di Milazzo (Messina), 1885-1892 443 Francesca Passalacqua
The Town Hall of Milazzo (Messina), 1885-1892
L’architettura dei municipi nei centri minori della Sardegna postunitaria 451 Marcello Schirru
The Municipalities of Small Towns in Sardinia after the Unification
Un comune sardo-italiano: 459 Marco Corona
il caso del nuovo palazzo comunale di Cagliari (1897-1914)
A Sardinian-Italian Municipality: the Case of the New Town Hall of Cagliari (1897-1914)
Il municipio di Meana Sardo (Nuoro), 1905-1910 467 Stefano Mais
The Town Hall of Meana Sardo (Nuoro), 1905-1910
Gli autori 475
The authors
8
9
DOI: 10.17401/sr.sp.2024-folin2
1. La Spezia. Il nuovo palazzo
municipale in costruzione,
1903 ca. Foto Rodolfo Zancolli,
Mediateca Regionale Ligure,
inv. 7735.
A sinistra il nuovo edificio
rivestito in pietra artificiale,
a destra il vecchio corpo di
fabbrica non ancora demolito.
La ricostruzione di Palazzo Cenere alla Spezia
Marco Folin, Università di Genova
The Rebuilding of La Spezia’s Palazzo Cenere
In the second half of the 19th century, after the establishment of the military arsenal, La Spezia experienced an
extraordinary growth that launched it among the emerging cities of the newborn Italian Kingdom. The issue of
providing the town with a new ‘civic palace’ suited to the new size of the city, as well as to the new tasks entrusted
to municipal administrations, arose in this context. The paper discusses the renovation of the old communal
seat (1900-1907) and the violent controversies that accompanied it, focusing on the ‘artificial stone’ cladding of
the building: questioned not so much for aesthetic reasons, as for its costs, judged utterly exorbitant, as a result
of the incompetence of local authorities and their technicians. The political crisis that followed, culminating in
the commissioning of the municipality, may be considered emblematic of the tensions, conflicts and fragilities
revolving around the renovation of Italian town halls at the turn of the 19th and 20th centuries.
Liguria Town Halls, Artificial stone, City Technical Department, Municipalization of services, Urban Growth
Il vecchio Palazzo Cenere
“Provincia di Levante”: questa la denominazione data alla più orientale fra le sette provincie in cui
era stato suddiviso il territorio della vecchia Repubblica di Genova dopo l’annessione al Regno
di Sardegna, nel 18151. Troppo modesto il capoluogo – il borgo della Spezia, che contava allora
meno di 7.000 abitanti – per chiamare con il suo nome una circoscrizione che storicamente si
caratterizzava più per la posizione periferica rispetto a Genova che per la presenza di centri
urbani di qualche consistenza (salvo forse Sarzana, la cui appartenenza alla Liguria rimaneva
però controversa). La situazione era tuttavia destinata a cambiare velocemente negli anni
immediatamente successivi all’Unità d’Italia, quando la costruzione dell’Arsenale militare
(1862-1869) fu il volano di un’impennata demografica che fece salire la popolazione spezzina
da 11.000 a 31.000 abitanti fra il 1861 e il 1881, per poi toccare i 66.000 nel 1901, quando
sui giornali cittadini si potevano commentare i dati dell’ultimo censimento osservando con
soddisfazione che nel giro dell’ultimo decennio la città era balzata dal 75° al 20° posto in Italia
per numero di residenti2. Ma già quarant’anni prima, nel 1864, le magnifiche sorti e progressive
della città dovevano apparire le più rosee se l’architetto Luigi Nascimbene – bizzarra figura
di viaggiatore-patriota stabilitosi a Genova dopo una vita passata di là dall’Oceano – poteva
indirizzare a Vittorio Emanuele II un libro intero scritto per perorare l’idea di trasferire la capitale
nazionale da Torino appunto alla Spezia, destinata dalle proprie felici condizioni geopolitiche a
diventare l’”emporio del commercio del Mediterraneo”, se non la futura “Londra, Pietroburgo,
Costantinopoli” del “nuovo regno della risorta Italia”3.
Ivan Costanza, “L’amministrazione provinciale nel Regno sabaudo (1815-1847)”, Amministrare, 15, 2007, n.1, 19-58.
“Il posto che occupa La Spezia fra le città d’Italia”, Corriere della Spezia, 1° marzo 1902. Sulla crescita della Spezia nella
seconda metà dell’Ottocento e il ruolo dell’Arsenale, cfr. ancora Amelio Fara, La Spezia (Roma-Bari, Laterza, 1983); Paolo
Cevini, La Spezia (Genova, Sagep, 1989); e più recentemente Emiliano Beri, Genova e La Spezia da Napoleone ai Savoia,
Militarizzazione e territorio nella Liguria dell’Ottocento (Novi Ligure, Città del Silenzio, 2014).
3
Luigi Nascimbene, L’Italia, il suo avvenire e la sua capitale e soluzione della questione romana (Genova, Gazzetta del
Tribunale, 1864), 89; 160-161.
1
2
2. La Spezia. Il nuovo palazzo
municipale, 1924. Foto Rodolfo
Zancolli, Mediateca Regionale
Ligure, inv. 9064.
164
165
3. La Spezia. Il vecchio
Palazzo Cenere alla fine
dell’Ottocento (Corriere della
Spezia, 19 gennaio 1901).
È in questo contesto di crescita proiettata verso il futuro che prende corpo il dibattito sul
rinnovamento della sede comunale spezzina: ossia Palazzo Cenere, come il vecchio palazzo
dei capitani genovesi aveva preso a essere chiamato in città nella seconda metà del secolo4.
Se, come sembra, l’epiteto intendeva fare il verso ai vari ‘Palazzi Rossi’ che proprio in quegli
anni a Genova, Carrara e Massa erano in corso di riconversione a usi pubblici, abbiamo qui un
indizio piuttosto esplicito dello stato di fatiscenza dell’edificio (o per lo meno del suo intonaco) e
dello scarso orgoglio con cui in città doveva essere visto un edificio tradizionalmente legato al
dominio della Superba, più che a una solida tradizione di autogoverno locale5.
Inizialmente costruito come curia cittadina e loggia comunale affacciata sulla piazza del mercato,
il palazzo era stato parzialmente requisito dai genovesi nel 1323, quando La Spezia era stata
elevata al rango di capoluogo di podesteria, per dare alloggio ai podestà e in seguito ai capitani
della Repubblica6. Ai primi del Seicento l’edificio era stato ampliato, in modo da dare adeguato
ricetto alle diverse funzioni che si svolgevano al suo interno: al piano terra si trovavano gli
uffici della comunità, fra cui una stanza per le riunioni del Consiglio; ai piani superiori erano
invece allocati i quartieri del capitano, del vicario e delle rispettive ‘famiglie’ di funzionari, che
comprendevano – oltre a una serie di locali di rappresentanza – anche gli alloggi di servizio
dei rettori genovesi e dei relativi domestici7. Possiamo desumere l’aspetto esterno dell’edificio,
così come si presentava ancora alla fine dell’Ottocento, da un una vecchia foto scattata per
preservarne il ricordo alla vigilia della sua demolizione, nel 1901 [Fig. 3].
Sull’appellativo, che compare già in un articolo pubblicato su Il Muratore del 19 gennaio 1893, cfr. anche Ubaldo Mazzini, “Il
Palazzo comunale”, Corriere della Spezia, 19 gennaio 1901 (poi anche in Id., Noterelle spezzine di Archeologia, di storia e d’arte
[La Spezia, Francesco Zappa, 1902], 35-46: 43).
5
“Palazzo? Non si dovrebbe davvero chiamarlo in tal modo perché non lo è, né per le comodità interne, né per le linee della
sua facciata”: “L’ampliamento di Palazzo Cenere”, Corriere della Spezia, 23 giugno 1900.
6
Sull’assetto trecentesco, desumibile dai rilievi di Ubaldo Mazzini (“Un monumento spezzino del Trecento”, Giornale storico e
letterario della Liguria, 5, 1904, 8-12), cfr. Fara, La Spezia, 11-14; Cevini, La Spezia, 172.
7
Ivi, 219-222.
4
166
Verso il nuovo Palazzo Civico
Dopo la parentesi napoleonica, sgomberati i locali del secondo e del terzo piano degli alloggi
che li occupavano, il palazzo divenne la sede della nuova amministrazione cittadina, e come tale
(“Palazzo comunale” o “municipale”) lo troviamo indicato nella cartografia ottocentesca, dove
l’antica piazza del mercato (o “delle Erbe”) prende a essere sempre più spesso chiamata “Piazza
del Municipio”8. I quartieri liberati dai governatori genovesi e dai loro servitori furono così occupati
dagli uffici demandati a espletare le nuove mansioni che negli Stati sardi di Terraferma erano state
affidate ai Comuni, poi ulteriormente ampliate e codificate dopo l’Unità con la Legge di unificazione
amministrativa del 20 marzo 18659. Nel 1878, quando la Giunta comunale della Spezia sentì
l’esigenza di emanare un primo Regolamento per il personale dell’Uffizio municipale, negli uffici
del Comune lavoravano 19 impiegati e sei messi, saliti vent’anni dopo a 46 impiegati e 10 messi:
un numero da tutti giudicato largamente insufficiente, tant’è che nel 1904 si approvava un ulteriore
incremento che portava la pianta organica del personale a 66 impiegati e 16 messi comunali, cui
si sommavano i 16 dipendenti dell’Ufficio d’igiene (fra medici condotti, veterinari e levatrici) e i
243 salariati stabilmente occupati nei servizi ‘periferici’ dell’amministrazione comunale (scuole,
giardini pubblici, servizi cimiteriali, personale della polizia municipale e del servizio daziario)10.
Si può dunque ben comprendere come il problema della carenza di spazio nel vecchio Palazzo
Cenere fosse diventato un’emergenza, verso la fine del secolo, quando parte degli uffici erano
confinati nei «soffocanti bugigattoli del mezzanino, il cui soffitto si arriva a toccare con le mani»
e lo stesso gabinetto del sindaco era sistemato in un locale di passaggio fra la “gabbietta” del
segretario comunale e la stanza della Giunta; né aveva portato gran giovamento restaurare
“quella piccionaia che va sotto il nome di terzo piano”, dove “impiegati e scartafacci lottano
giornalmente a contendersi il posto”, fra “cumuli di carte […] sparse sui tavoli e sulle seggiole
per la semplice ragione che non entrano più negli scaffali”11. Lo stesso Consiglio comunale
(salito per effetto dell’incremento demografico a 40 membri nel 1861, e poi a 60 al volgere del
secolo) si era visto costretto a traslocare nella sala da ballo del Casino civico, al primo piano del
Teatro municipale: una sede quanto mai inadatta non solo in termini di immagine, per il “buffo”
spettacolo dato dal quotidiano “alternarsi di balli e di sedute consigliari” nei medesimi locali, ma
anche per la conseguente necessità di regolare gli orari delle riunioni sulla base del calendario
delle feste danzanti organizzate dal Circolo cittadino12.
Pare che il primo progetto di ampliamento del vecchio Palazzo Cenere sia stato elaborato e proposto
nel 1889 dall’architetto Erminio Pontremoli, già autore qualche anno addietro del progetto del nuovo
Politeama cittadino: vulcanica figura di architetto “operaio e figlio di operaio”, presidente di una
“Società di costruzioni e cottimi” per la difesa dei diritti di muratori e scalpellini dalle prevaricazioni
degli “impresari e cottimisti” spezzini, nonché fondatore, direttore e principale penna di un foglio
Così, per esempio, nel piano regolatore del 1871 (ivi, 92); sulla toponomastica spezzina nella prima metà del secolo, cfr.
Giacomo Bertonati, Appunti di urbanistica spezzina: la prima denominazione delle strade cittadine (https://independent.academia.
edu/GiacomoBertonati).
9
Sulle nuove mansioni amministrative dei Comuni negli Stati sardi di terraferma, cfr. ancora Adriana Petracchi, Le origini
dell’ordinamento comunale e provinciale italiano: storia della legislazione piemontese sugli enti locali dalla fine dell’antico regime
al chiudersi dell’età cavouriana, 1770-1861 (Vicenza, Neri Pozza, 1962); più specificamente, sulla Liguria: Ivan Costanza,
“Comuni e Province genovesi del Regno di Sardegna (1815-1854)”, Amministrare, 16, 2008, 1, 85-112; e sulla Spezia: Agostino
Falconi, Fasi della giurisdizione di Spezia (La Spezia, Luigi Sambolino, 1872).
10
Regolamento per il personale dell’Uffizio municipale di Spezia (La Spezia, Argiroffo, 1878), tab. B; Modificazioni ed aggiunte al
Regolamento organico per gli Uffici municipali (La Spezia, Argiroffo, 1897), tab. A; Relazione della Giunta Municipale al Consiglio
Comunale sul nuovo regolamento generale per gli uffici (La Spezia, Argiroffo, 1904), Quadro di raffronto fra le piante organiche
attuali e quelle proposte.
11
L’ampliamento di Palazzo Cenere.
12
Ibidem. “Ogni volta che è convocata un’adunanza i messi del municipio devono togliere via i sofà e sostituirli cogli stretti e
incomodi banchi che sembran quelli delle scuole elementari”; cfr. anche “Lamentazioni”, L’Avvenire della Spezia, 2 febbraio 1895;
e “A proposito del Palazzo Comunale”, ivi, 16 febbraio 1895.
8
167
settimanale di esplicita ispirazione massonica, Il Muratore13. Nel maggio 1891 Erminio Pontremoli
veniva eletto sindaco della Spezia, alla guida di un variegato fronte di orientamento radicalesocialista: esperienza disastrosa, conclusasi in meno di un anno con elezioni anticipate e successiva
disfatta elettorale14. Fu comunque allora che il progetto iniziò a essere dibattuto concretamente, fra
i sostenitori di due ipotesi alternative che rimasero sul tappeto anche negli anni seguenti: da una
parte c’erano coloro – Pontremoli in testa – che propendevano per l’opzione più economica, ossia
l’ampliamento del palazzo esistente tramite la costruzione di un nuovo corpo di fabbrica affacciato
su Corso Cavour15. Dall’altra chi perorava le ragioni di un progetto molto più ambizioso: La Spezia
infatti non era più “uno dei soliti capoluoghi di circondario, che possano anche vestirsi con panno
casalingo”, ma si avviava ad essere – specie dopo l’allargamento del porto, senz’altro foriero di una
forte crescita di traffici e abitanti – “la più importante piazza marittima che vanti l’Italia”16. Si imponeva
dunque il trasferimento dell’intero centro direzionale cittadino in una nuova area d’espansione, dove
potesse essere costruito un palazzo “realmente degno della nuova Spezia”, in cui alloggiare non
solo “tutti gli uffici dipendenti dal Comune”, ma pure “tutti gli altri uffici pubblici locali dipendenti dai
Ministeri delle Poste e Telegrafi, delle Finanze e della Giustizia, compresa una degna sede per
il Tribunale” (di cui non poteva che auspicarsi il prossimo trasloco da Sarzana)17. La proposta –
avanzata ventilando la possibilità di accedere a congrui finanziamenti governativi in cambio degli
spazi concessi per gli uffici delle amministrazioni statali – è tipica di un periodo in cui il rango di un
centro urbano era definito anche dalla presenza di organi periferici dello stato unitario; ma è anche
indicativa della mentalità coltivata in una ‘città di stato’ cresciuta nel giro di pochi anni, abituata a
investire i propri edifici pubblici di funzioni e significati ben diversi da quelli normalmente rivendicati,
con altre preoccupazioni di immagine, nelle città di più antica tradizione18.
Per alcuni anni non se ne fece nulla, tuttavia, dati i dubbi che permanevano circa il sito
dell’operazione e i costi della medesima. Fu solo nel maggio 1900 che il giovane sindaco Giulio
Beverini poteva far proprio un nuovo progetto studiato dall’ingegnere capo del Comune, Ettore
Baraggioli, presentato con accenti così entusiastici da suscitare l’ironia dei suoi stessi sostenitori:
ad ascoltare il sindaco – si parodiava sul “Corriere della Spezia” – pareva che se negli ultimi due
anni non erano stati costruiti in città un nuovo duomo di Milano o una nuova Tour Eiffel, questo
era stato “unicamente perché noi non vogliamo crearci l’invidia della gran metropoli Lombarda, né
vogliamo – per ora – far concorrenza a Parigi in fatto di esposizioni”19. Senza prevedere complessi
e costosi trasferimenti in altra sede, il progetto elaborato da Baraggioli consentiva di quadruplicare
la superficie utilizzabile dagli uffici comunali, recependo al tempo stesso le disposizioni del
piano regolatore del 1887 circa il “risanamento del centro cittadino”20. L’idea – pratica e insieme
economica, nonché di pronta esecuzione – era quella di demolire alcune “casupole d’affitto” e due
fabbricati di mediocre aspetto alle spalle del municipio, in modo da aprire una piazza di grandi e
ariose proporzioni di fronte alla chiesa di Santa Maria Assunta: al centro di questo nuovo invaso
si sarebbero così potuti costruire tre grandi corpi di fabbrica intorno al cortile del vecchio “pseudopalazzo” in parte abbattuto, in parte completamente rinnovato [Fig. 4].
13
Per un veloce profilo autobiografico di Erminio Pontremoli, cfr. “Ancora del Carbone Newpelton e del famoso voto marchionale”,
Il Muratore, 1° maggio 1892.
14
Ibidem e “L’Adunanza delle associazioni popolari”, La Spezia, 18 giugno 1892; più in generale, cfr. Antonio Bianchi, La Spezia
e Lunigiana, Società e politica dal 1861 al 1945 (Milano, Franco Angeli, 1999), 46-49.
15
“Il progetto per il Palazzo civico”, Corriere della Spezia, 30 giugno 1900.
16
“Il Palazzo di città”, L’Avvenire della Spezia, 25-26 maggio 1895.
17
“A proposito del Palazzo Comunale”.
18
Per la nozione di ‘città di stato’, cfr. Nascita delle città di stato: ingegneri e architetti sotto il consolato e l’Impero, a cura di Paolo
Morachiello, George Teyssot, (Roma, Officina, 1983).
19
“L’ampliamento di Palazzo Cenere”.
20
Ibidem; “Il progetto per il Palazzo civico”; “Il Palazzo civico”, Corriere della Spezia, 7 luglio 1900.
168
4. Ettore Baraggioli, Progetto
di risistemazione della piazza
municipale intorno al nuovo
‘palazzo civico’ della Spezia
(Corriere della Spezia, 30
giugno 1900).
Quanto all’organizzazione interna del palazzo, gli uffici sarebbero stati distribuiti in base ai loro
rapporti con il pubblico, collocando al pian terreno quelli «più frequentati da chi non ha da fare
colla parte direttiva o colla rappresentanza», ossia i locali della tesoreria, della polizia municipale,
dell’economato e dell’ufficio d’igiene: “tutti uffici che hanno continuo e immediato contatto col
pubblico spicciolo e con un numeroso personale speciale”21 [Fig. 5]. Al primo piano avrebbero invece
trovato sede da un lato, verso Via Cavour, gli “uffici di rappresentanza” (“sala dei matrimoni, sala
degli appalti, salotto da ricevere, sala della Giunta, gabinetto del sindaco: cinque stanze bellissime
[…] le quali non rappresentano un lusso ma una necessità assoluta”); dall’altro, nell’ala rinnovata,
gli uffici della segreteria, della pubblica istruzione e dello stato civile. Il secondo piano era in gran
parte destinato a salone del Consiglio comunale, studiato per contenere “comodamente” non solo
60 consiglieri, ma anche una “speciale e vasta tribuna per il pubblico”, con annessi guardaroba, sala
d’aspetto e due salette per la Giunta (“stanze queste che essendo occupate soltanto nei momenti
delle sedute, possono servire in tutti gli altri giorni per le riunioni delle numerose commissioni che
fanno capo al Comune”). L’ultimo piano, infine, chiuso al pubblico e accessibile solo tramite una
scala di servizio, sarebbe stato suddiviso in 12 locali destinati per metà all’Ufficio tecnico e per
l’altra metà lasciati sgombri “per i bisogni futuri, e una parte di questi potrebbero per qualche anno
essere occupati dalla biblioteca e dall’archivio”22.
Se la “praticità” del progetto e la “sapiente distribuzione dei locali” avevano suscitato unanime
approvazione, qualche differenza di vedute aveva invece provocato l’idea di usare per le facciate
un materiale di nuova produzione come la “pietra artificiale”, decantata dal Baraggioli come in
grado di “imita[re] alla perfezione quella naturale” pur avendo costi molto più contenuti23. Certo,
un rivestimento di marmo sarebbe stato ben più maestoso, ma quel che si perdeva in solennità
si guadagnava in funzionalità
Si tratta di uno stile moderno, che permette di fare le finestre molto grandi, per dare
a tutti gli uffici aria e luce in abbondanza […]. Fra gli amici stessi della Giunta vi è chi
preferirebbe uno stile antico, che desse imponenza all’edificio; ma a costoro si risponde
“Il Palazzo Civico”, ivi, 14 luglio 1900.
Ibidem.
23
Ibidem; Ettore Baraggioli, Relazione in merito agli apprezzamenti relativi all’impiego della pietra artificiale nella costruzione del
nuovo Palazzo civico, La Spezia, Argiroffo, 1902.
21
22
169
5. Ettore Baraggioli, Piante
del pian terreno e del secondo
piano del nuovo ‘palazzo
civico’ della Spezia (Corriere
della Spezia, 14 luglio 1900).
6. Ettore Baraggioli, Primo
progetto per la facciata sudoccidentale del nuovo ‘palazzo
civico’ della Spezia, 1900
(Corriere della Spezia, 29
marzo 1902).
che si deve anzitutto cercare la comodità, tanto più che non si è partiti dal concetto di
eseguire un monumento, ma di fare degli uffici comodi, ariosi, adatti e sufficienti per il
molto lavoro che il Comune si è accentrato.24
Alla fine, comunque, la logica stringente del sindaco ebbe la meglio su qualsiasi perplessità:
dal momento che le istanze d’ordine “artistico” erano “del tutto soggettive” e per definizione
opinabili, meglio regolarsi in base alle superiori necessità di bilancio25.
La pietra dello scandalo
Il primo lotto dei lavori fu messo a bando subito dopo l’estate e il cantiere – nonostante
qualche contrasto con la ditta appaltatrice – procedette secondo le previsioni26 [Figg. 1, 6]. Di
lì a nemmeno due anni, tuttavia, l’imponderabile: l’improvvisa morte del sindaco Beverini per
un’epatite fulminante, il 13 febbraio 1902, privava la maggioranza del suo leader carismatico,
esponendo le recenti scelte dall’amministrazione al fuoco di fila della peraltro sparuta
opposizione. Già nella prima seduta consiliare convocata dopo la morte del sindaco, la Giunta
– accingendosi a deliberare un cospicuo aumento di stipendio per Baraggioli nel tentativo di
scongiurarne il trasferimento a Palermo, dove aveva appena vinto un concorso – si vedeva
costretta a “smentire vigorosamente le voci messe in giro da interessati” circa il lievitare delle
spese per il nuovo Palazzo Civico27.
Nelle settimane successive le «voci» non tardarono però a farsi sempre più insistenti,
rilanciate dal consigliere Attilio Tori sulla base delle perizie di un piccolo costruttore spezzino,
tal ingegnere Fausto Pegazzano: a sentir loro il progetto firmato dal capo dell’Ufficio tecnico
comunale denotava un’incompetenza – se non peggio – assolutamente scandalosa, sul piano
tecnico non meno che amministrativo, e di conseguenza politico28. Sul piano tecnico, tanto
“Il Palazzo Civico”.
Ibidem; “Il pasticcio del ‘Corriere municipale’”, Il palazzo comunale, 3 aprile 1902.
26
“I lavori per il Palazzo civico messi in appalto”, Corriere della Spezia, 1° settembre 1900; Consiglio comunale, ivi, 7 dicembre
1901.
27
“Consiglio comunale”, ivi, 1° marzo 1902; “L’ingegner capo Municipale”, ivi.
28
“Consiglio comunale”, ivi, 8 marzo 1902; “Questione tecnica o questione torbida?”, ivi, 22 marzo 1902; “La pietra artificiale
del Palazzo civico”, ivi, 29 marzo 1902; “Il Palazzo comunale”, 3 aprile 1902 (numero unico); “Sempre la “pietra” dello scandalo”,
Corriere della Spezia, 5 aprile 1902; “Continua lo scandalo della pietra”, ivi, 12 aprile 1902.
per cominciare, i calcoli di Baraggioli risultavano completamente sbagliati: bastava consultare
il “manuale Donghi” – continuamente citato da Tori e Pegazzano come autorità indiscussa
– per rendersi conto che l’Ufficio tecnico aveva pagato la tanto osannata “pietra artificiale”
circa il quintuplo del suo prezzo di mercato29. Qualsiasi materiale tradizionale sarebbe costato
molto meno, dando peraltro da lavorare a una delle numerose imprese locali allora in crisi
proprio a causa della concorrenza di produttori ‘stranieri’ come il milanese Giovanni Chini,
a cui l’amministrazione aveva appaltato la fornitura del rivestimento delle facciate30. Proprio
le modalità (per licitazione privata) di un appalto già di per sé così contrario agli interessi
dell’economia locale risultavano poi quanto meno discutibili, facendo sorgere il sospetto di
collusioni, tanto più che in seguito i lavori erano costati più del previsto, ed erano stati pagati
senza alcuna autorizzazione: era quanto bastava per esigere una commissione d’inchiesta che
facesse chiarezza sulle responsabilità degli ammanchi31.
Sarebbe troppo lungo seguire nei dettagli gli scontri sempre più violenti fra Tori e Pegazzano da
una parte e la maggioranza consiliare dall’altra, schierata compattamente in difesa dell’Ufficio
tecnico e della memoria del sindaco Beverini, potendo fra l’altro contare sull’appoggio dietro
le quinte dell’onorevole Prospero De Nobili, deputato locale e Sottosegretario al Tesoro del
governo Zanardelli. Dopo qualche settimana, per far cessare le polemiche, la Giunta pensò
bene di giocare la carta degli esperti di grido, chiedendo una consulenza ad alcuni dei nomi
più autorevoli dell’epoca a Milano e Genova, “le due città dove più specialmente si è fatto uso
di pietra artificiale per decorazione di edifici pubblici e privati”: a Genova si chiese un parere a
Marco Aurelio Crotta e a Cesare Gamba, reduce dell’impresa di via XX Settembre; a Milano ci
24
25
170
Cfr. ad esempio “La burrascosa seduta del Consiglio per la pietra artificiale”, Corriere della Spezia, 30 aprile 1902, con riferimento
a Daniele Donghi, Manuale dell’architetto compilato sulla traccia del Baukunde des Architekten, (Torino, Utet, 1893-1897).
30
Sull’attività di Giovanni Chini e la ‘stagione’ della pietra artificiale, cfr. Cecilia Colombo, “La stagione del cemento artistico
a Milano, 1900-1915”, in Costruire in Lombardia, 1880-1980. Edilizia residenziale, a cura di Ornella Selvafolta (Milano, Electa,
1985), 61-76.
31
“Il Palazzo comunale”.
29
171
si rivolse all’ambiente del futuro Politecnico e dell’Accademia di Brera, interpellando Camillo
Boito, Luigi Broggi, Carlo Formenti e Ulisse Stacchini.32
Salvo Boito (dichiaratosi inabile a rispondere per non aver mai fatto personalmente impiego
di pietra artificiale), tutti gli altri si pronunciarono convintamente a favore delle decisioni
dell’amministrazione comunale, elogiando la scelta di avere come fornitore Giovanni Chini, uno
dei migliori e più affidabili produttori di pietra artificiale in Italia; del resto i prezzi di cui si parlava
erano del tutto ragionevoli, e le scomposte denunce dei protestatari spezzini chiaramente frutto
di scarsa competenza. Nessun problema a metterlo per iscritto, e Luigi Broggi – sollecitato come
«magna pars nel rinnovamento edilizio di Milano» – acconsentì a venire personalmente alla
Spezia per ispezionare il cantiere, visitare i presunti possibili fornitori locali e scrivere infine una
lunga relazione prontamente data alle stampe, in cui l’illustre architetto non esitava a esprimere
i più schietti rallegramenti all’autore del progetto, che volle ispirarsi a quei concetti
severi e insieme geniali da cui scaturì l’architettura che prese il nome di ‘romanza’ e
che è interessantissima pel fatto di rappresentare il periodo nel quale l’arte romana si
trasformava, cogli elementi orientali, e preparava il terreno alle architetture caratteristiche
del medioevo.33
Secondo Broggi – a cui evidentemente non spiaceva fare sfoggio della propria dottrina – erano
appunto queste condivisibili scelte progettuali che imponevano una “modellatura coscienziosa
e sapiente” degli ornati, giacché “solamente da essa può e deve apparire il carattere dell’arte
bizantina applicato al fogliame del morente corinzio”: di qui la palese necessità di ricorrere alla
pietra artificiale per il rivestimento del palazzo; e di qui anche l’opportunità di rivolgersi a una
ditta che “notoriamente dava tutte le garanzie di saper interpretare un concetto artistico” quale
quella di Giovanni Chini34.
Affare chiuso? No, baratro aperto. Nel corso delle “burrascose” sedute consiliari che seguirono la
pomposa visita di Broggi, la commissione d’inchiesta – alfine convocata – non poté che accertare
che i pagamenti non autorizzati per forniture tre volte più costose rispetto ai preventivi iniziali c’erano
effettivamente stati (per quanto certo non imputabili ad altro che all’ingenuo entusiasmo del sindaco
e dell’ingegnere)35; e di fronte alle contestazioni sempre più rumorose – agitate fra l’altro da gruppi
organizzati di marmisti e scalpellini scesi in città contro chi “denigra[va] la pietra del paese” – alla
Giunta non rimaneva che rassegnare le dimissioni36. Dopo nemmeno un mese, il 27 maggio 1902, il
Comune della Spezia veniva commissariato per un semestre, durante il quale il regio commissario
provvide ad accettare le dimissioni di Ettore Baraggioli e a nominare un nuovo ingegnere municipale
nella persona di Antonio Farina, incaricato di rivedere il progetto del predecessore e apportarvi tutte
le modifiche opportune per evitare ulteriori sprechi di denaro37.
Farina si poneva alacremente al lavoro e nel giro di qualche mese poteva presentare al commissario
“La pietra artificiale del Palazzo civico”; cfr. anche Baraggioli, Relazione in merito agli apprezzamenti.
Luigi Broggi, Relazione sulla decorazione del palazzo civico in pietra artificiale (La Spezia, Argiroffo, 1902), 3-4. Sulla visita
di Broggi alla Spezia, cfr. anche “L’ispezione dell’arch. Broggi”, Corriere della Spezia, 19 aprile 1902; e “L’architetto Broggi alla
Spezia”, ivi, 27 aprile 1902; più in generale: Paola Gallo, Luigi Broggi, Un protagonista dell’architettura eclettica a Milano (Milano,
Franco Angeli, 1992).
34
Broggi, Relazione sulla decorazione del palazzo, 4.
35
“La burrascosa seduta del Consiglio”.
36
“Quella folla che i superuomini avevano insultata col titolo di canaglia, quella folla sotto la cui pressione non si voleva cedere,
ha voluto rivendicare il suo diritto, la sua forza, la sua sovranità. Ed ha fischiato. Ha fischiato Sindaco, Giunta e Consiglieri, ha
fischiato tutti, ha fischiato alto, ha fischiato forte. A memoria d’uomo risulta che a Spezia nessun consiglio comunale fu mai così
sonoramente fischiato”, Il Fischio del Popolo, 22 maggio 1902, numero unico. Cfr. anche Corriere della Spezia, 2 maggio 1902;
“Per il Palazzo civico”, ivi, 10 maggio 1902; “Tumulti al Consiglio Comunale. Regio commissario in visita”, ivi, 17 maggio 1902;
“Belati postumi”, ivi, 24 maggio 1902.
37
Sull’attività del commissario Vittorio Menzinger, cfr. “La relazione del R. Commissario”, ivi, 13 dicembre 1902.
32
33
172
un nuovo progetto, elaborato con il supporto del locale collegio degli ingegneri: su questa base
veniva bandita una nuova gara d’appalto per la fornitura dei materiali necessari al completamento
dei lavori, che includevano il definitivo “atterramento” del vecchio Palazzo Cenere e la costruzione
dei corpi di fabbrica settentrionali38. Inopinatamente, vincitore della gara riusciva ancora Giovanni
Chini: “l’uso della pietra artificiale fu forse qui alla Spezia, per ragioni locali, un errore iniziale” – si
giustificava il regio commissario bersagliato dalle critiche – “ma oggi per il palazzo civico continuarne
l’uso nei limiti strettamente indispensabili è una necessità che non si può oppugnare da alcuno”; e,
dal momento che in loco “non esiste[va] l’industria della pietra artificiale decorativa”, la soluzione
più conveniente appariva senz’altro quella di continuare a servirsi del fornitore che nonostante tutto
aveva già ben operato e rimaneva proprietario delle forme utilizzate sino da allora39.
Zuppa e pan bagnato
A poco valsero le nuove elezioni e la partenza del commissario, nel novembre 1902: negli anni
successivi la gestione dei lavori pubblici in città e la conduzione dell’Ufficio tecnico municipale
rimasero al centro dello scontro politico spezzino40. Tant’è che nel 1905, in seguito a un crollo
nelle scuole della frazione di Marola che avrebbe potuto avere conseguenze disastrose, il
Consiglio comunale votava all’unanimità l’istituzione di una nuova commissione d’inchiesta con
mandato di “estendere le indagini a tutto il funzionamento dell’Ufficio tecnico, allo scopo di
rilevarne le deficienze e i difetti”41. Il risultato, dopo mesi di indagini, fu una dettagliata relazione
di oltre cento pagine, in cui si stabiliva che – al di là dei problemi contingenti imputabili a questo
o quell’impiegato – le disfunzioni erano in realtà strutturali, e riconducibili in ultima istanza allo
“straordinario e rapidissimo sviluppo della nostra città”:
La Spezia ha infatti dovuto subire gl’inconvenienti inevitabili della febbre di crescenza
da cui è stata ed è assalita, rivelatisi specialmente nell’inadeguata ed incompleta
organizzazione dei suoi uffici, quasi improvvisati, senza una qualsiasi tradizione che
potesse costituire una guida, con un lavoro intenso crescente di giorno in giorno.42
In questo contesto, la mancanza di un’adeguata sede comunale aveva pesato non poco, trasformando
quello che di per sé non era che un inconveniente transitorio in un “problema insolubile”:
il Comune della Spezia conservava con circa 70 mila abitanti la stessa casa comunale
che serviva appena quando la popolazione superava di poco i 10.000; gli uffici si
andavano inevitabilmente distribuendo per i vicini caseggiati, con un disperdimento di
tempo e di forze che ancora oggi in parte perdura e che cesserà soltanto fra poche
settimane, allorché tutti gli impiegati potranno trovarsi riuniti nell’unico vasto fabbricato
che ha fatto tanto parlare di sé. Era inevitabile che siffatta condizione di cose pesasse
anche sull’Ufficio tecnico; ed alla commissione d’inchiesta è infatti chiaramente risultato
che se l’Ufficio stesso non è mai stato considerato all’altezza della sua funzione, ciò è
dipeso anche dalla deficienza dei locali, che impediva di aumentare in modo adeguato il
personale e di sistemarlo convenientemente perché potesse lavorare con profitto.
38
“Il compito del regio commissario”, La Spezia avvenire, 18 settembre 1902; “Quello che bolle nella pentola”, Corriere della
Spezia, 15 novembre 1902.
39
“I lavori del Palazzo Civico. Agitazione e intervista”, Corriere della Spezia, 27 novembre 1902 (nell’intervista il commissario
specificava fra l’altro di aver “compiuto il mio dovere di occuparmi della classe operaia” locale, inserendo nel contratto una
clausola per cui “la pietra artificiale occorrente al 2° ordine dei lavori fosse qui preparata con mano d’opera del paese”); sulla
questione, cfr. anche La relazione del R. Commissario.
40
Cfr. ad esempio “Ufficio tecnico municipale”, La Spezia Avvenire, 18 settembre 1902; “Per il Palazzo comunale”, Corriere della
Spezia, 28 febbraio 1903.
41
“Le conclusioni dell’inchiesta sull’Ufficio tecnico municipale”, ivi, 24 marzo 1906.
42
Ibidem.
173
Né – dopo trent’anni di inefficienza – si prospettava facile l’impresa di riorganizzare il lavoro di
un gruppo di impiegati adusi a gestire i cantieri pubblici con logiche di comodo se non di profitto
individuale, rimpallandosi l’un l’altro le responsabilità degli inceppi, dei ritardi, delle negligenze.
“È uno di quei casi in cui un’azienda privata taglierebbe risolutamente il nodo gordiano, facendo
sangue nuovo. Ma può fare altrettanto una pubblica amministrazione?” – si chiedevano
sconsolati i membri della commissione d’inchiesta, sconsigliando la via del licenziamento per
le presumibili controversie legali, oltre che per la difficoltà di assumere in tempi rapidi nuovi
dipendenti di provata “competenza e disciplina”43.
Poste queste premesse, non stupirà sapere che i travagli dell’Ufficio tecnico spezzino – e con
essi l’iter accidentato del cantiere del secondo Palazzo Cenere (il vecchio nome si appiccicò
subito al nuovo edificio come un destino) – sarebbero durati ancora a lungo44 [Fig. 2]. Inutile
seguirli ulteriormente; merita invece almeno nominare un testimone d’eccezione delle vicende
evocate sin qui, ossia l’allora direttore della biblioteca e del museo civici della Spezia, Ubaldo
Mazzini. Appassionato cultore di storia patria, esponente di primo piano del fronte radicale
cittadino – socialista, massone, futuro consigliere comunale sul seggio già occupato da Erminio
Pontremoli e Attilio Tori – Mazzini non poteva certo rimanere indifferente di fronte alla questione
del cantiere del Palazzo civico45. A cavallo fra Otto e Novecento non sono meno di cinque gli
studi da lui dedicati rispettivamente alla storia del palazzo nei secoli precedenti e ai numerosi
“monumenti della vecchia Spezia” che gli facevano corona – i resti di un ponte ‘romano’, una
colonna di San Rocco, un frantoio, la loggia della curia medievale… – tutti travolti nel giro di
pochi anni dalla furia del piccone demolitore46 [Fig. 7]. In effetti, non è sulle recenti e tanto
discusse imprese di costruzione avviate nel centro della Spezia che si appuntava l’attenzione di
Mazzini, bensì sulla progressiva scomparsa di spazi ed edifici di cui presto non sarebbe rimasto
che “il ricordo che ci conserva la fotografia; la quale è nata disgraziatamente troppo tardi per
tramandarci tante e tante impressioni, che son fonti preziose per la storia, per la topografia,
per l’arte”47. Sono pagine animate di rammarico, ma in cui si cercano invano riferimenti critici
nei confronti dell’amministrazione comunale, al di là di qualche generica lamentazione sulla
“vandalica mania dei nostri tempi” o di un timido auspicio circa la possibilità di ricostruire in altra
sede la loggetta trecentesca della curia, “il più antico monumento spezzino, tornato alla luce
dopo cinque secoli. Meriterebbe la spesa”48.
Forse entravano in gioco gli scrupoli dell’impiegato comunale di fresca nomina, quale Mazzini –
assunto come direttore della biblioteca nel novembre 1898, poi del museo (dopo due anni di interim)
nell’ottobre 1902 – era pur sempre in quel periodo? O forse lo frenavano le amicizie che, al di là delle
rispettive convinzioni politiche a volte divergenti, lo legavano comunque all’ambiente dei Beverini e
dei De Prosperi, l’élite colta spezzina, avvezza a gestire le faccende del Comune come un affare
di famiglia? Oppure in una città come La Spezia il rinnovamento del patrimonio edilizio comunale
si presentava per tutti, nel clima di quegli anni, come una necessità indiscutibile o per lo meno
Ibidem.
Sul difficile appalto dell’ultimo lotto dei lavori relativi al completamento della torretta che coronava il fronte del palazzo verso
la nuova Piazza municipale, cfr. Corriere della Spezia, 23 febbraio 1907.
45
Sulla figura di Mazzini si è recentemente tenuto un convegno alla Spezia: A cento anni dalla scomparsa di Ubaldo Mazzini,
1923-2023; in attesa degli atti, cfr. ancora Ubaldo Formentini, “Ubaldo Mazzini, con la bibliografia de’ suoi scritti”, Giornale storico
della Lunigiana, 13, 1923, 3, 169-199; Edoardo Grendi, Storia di una storia locale: l’esperienza ligure 1792-1992 (Venezia,
Marsilio, 1996), 80-83.
46
Ubaldo Mazzini, “Di un piccolo monumento medioevale e della epigrafe inscrittavi”, Giornale ligustico di archeologia storia e
letteratura, 22, 1898, 388-399; Id., “Escursioni archeologiche fra i ruderi del Palazzo civico”, Corriere della Spezia, 23 marzo 1900;
Id., “Il Palazzo comunale”; Id., “Note di archeologia spezzina”, Corriere della Spezia, 2 giugno 1903; Id., “Un monumento spezzino”.
47
Id., “Il Palazzo comunale”.
48
Id., “Un monumento spezzino”, 11-12; e Id., “Il Palazzo comunale”.
43
44
174
7. La Spezia. I resti della curia
tardo-medievale scoperti
durante i lavori di demolizione
del vecchio Palazzo Cenere,
1902 (Amelio Fara, La Spezia,
Roma-Bari, Laterza, 1983, 7).
inevitabile? Quel che è certo è che senza gli studi, i rilievi, le stesse foto raccolte da Ubaldo Mazzini
– senza intenti esplicitamente polemici, ma forse anche per questo in modo più libero e incontrastato
– sapremmo assai meno del vecchio palazzo comunale e della piazzetta su cui questo si affacciava.
Anche se poi di tanto in tanto lo studioso doveva sentire il bisogno di sfogarsi, vestendo i panni del
poeta dialettale per irridere alle “porcaie” della nuova Spezia: “O mia lì, che carognada!” – faceva dire
in una delle sue “rime irriverenti” a Batiston, la locale maschera di carnevale tornata dall’aldilà per
una passeggiata in una città ormai irriconoscibile – “Cos’i’n fan der me palassio”?
Aimedio! ch’io vago a spassio
Ch’i man tüto rovinà!
Per fae cosa? ’n monümento
De pantan pietrificà!
Deghe o nome de cimento,
Ma l’è süpa e pan bagnà!49
Oggi la piazza dove sorgeva Palazzo Cenere – raso al suolo dopo i bombardamenti della Seconda
Guerra Mondiale – continua a intitolarsi al sindaco Beverini ed è interamente occupata da un
grande parcheggio. Quanto alle macerie del palazzo e del suo rivestimento in pietra artificiale,
esse furono (e rimangono) utilizzate come barriera frangiflutti lungo il Molo Italia, nel porto.
49
Id., “A Speza vista d’en Paadiso o sia Batiston che ghe ven l’asilo” (Spezia, Tip. di Francesco Zappa, 1903), n.n. Sull’attività
poetica di Mazzini, cfr. Ubaldo Mazzini, Poesie dialettali, a cura di Pier Giorgio Cavallini, (La Spezia, Il filo di Arianna, 2023); e Id.,
Rime irriverenti Tra politica, satira e spezzinità, a cura di Alberto Scaramuccia (La Spezia, Giacché, 2023).
175
Isabella Carla Rachele Balestreri (Monza, 1963) è professore associato in Storia dell’architettura presso il DABC
Dipartimento di Architettura, Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano. Studia
la storia dell’architettura milanese e lombarda in età moderna e nella prima età contemporanea ed è attualmente
coordinatrice nazionale del progetto di ricerca PRIN2022PNRR Crafted in Stone/Recorded on Paper: Promoting
the Architectural and Archival Heritage of the Small Italian Municipalites (13th-20th Centuries). Historical Research
and Digital Enhancement e lavora al PRIN2022 Building Civic Identities. Towards an Atlas of Communal Palaces
in Italian Urban History (12th-20th Centuries), con Marco Folin nel ruolo di PI.
Marco Folin (Venezia, 1969) è professore ordinario di Storia dell’architettura all’Università di Genova. Si è
principalmente occupato di storia urbana fra medioevo e prima età moderna, dei rapporti fra architettura e
politica nel Rinascimento, di iconografia dell’architettura e della città. È coordinatore nazionale del progetto
PRIN2022 Building Civic Identities. Towards an Atlas of Communal Palaces in Italian Urban History, 12th-20th
Centuries; e responsabile dell’unità genovese del progetto PRIN2022PNRR Crafted in Stone/Recorded on
Paper: Promoting the Architectural and Archival Heritage of the Small Italian Municipalites, 13th-20th Centuries
(PI Isabella Balestreri). Dal 2024 è direttore della rivista dell’Aistarch Studi e ricerche di storia dell’architettura.