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Animale: la questione in questione

Articolo di riposizionamento della questione animale nel più ampio dominio delle ontologie contemporanee

(2016) L. Caffo, “Animale: la questione in questione”, in .Eco: l’educazione sostenibile, n. 222-223, (2016), pp. 8-11, ISSN 1972-9995. Animale: la questione in questione Leonardo Caffo Università di Torino, Labont: laboratorio di ontologia Avvicinarsi alla diversità con stupore Gilles Clément Dall’etica alla metafisica Gli animali soffrono, e fortunatamente non lo nega (più) nessuno. Eppure la questione animale non sembra risolta: gli animali soffrono e muoiono per colpa nostra, la nostra animalità è ancora rimossa e mal gestita, la disciplina accademica degli Animal Studies da più parte considerata al pari dell’esoterismo filosofico. Questo avviene, banalmente, perché è la stessa questione animale ad essere in questione: una questione in questione. Tutto ciò ha una spiegazione poi non così complessa: finché si discute di animali, senza passare dall’uomo, non andremo lontano. La storia dell’etica animale, almeno in filosofia dove la parola etica ha un’accezione concreta, è sempre la solita: 1975, Peter Singer con Animal Liberation, e poi un dibattito gigantesco in tutto il mondo1. Gli argomenti, come la storia, sempre i soliti: se gli animali soffrono, e se in fondo rispettiamo gli umani banalmente per non farli soffrire, allora anche i primi vanno rispettati come i secondi. Tutto fila, ma non tiene: come mai? Ancora più semplice: solo i filosofi potevano pensare che bastasse la ragione a cambiare le consuetudini di millenni: ingenuità del raziocinio. Detto questo, dunque, si è andati altrove: l’animalità in questione è la nostra. La questione animale non è etica, ma metafisica. Ricominciare a essere umani Jacques Derrida diceva che l’animalità, proprio in quanto diversità, obbligava a ricomunicare a essere umani. Prima di lui, Friedrich Nietzsche, osservava l’animalità come punto di arrivo della volontà di potenza: essere volontà, e non solo esercitarla. Martin Heidegger dava degli immortali agli animali, perché non in grado di separarsi dal mondo, e Rainer Maria Rilke addirittura li considerava enti privilegiati dell’apertura del mondo. Il motivo per cui tanta filosofia ha fatto dell’animalità un’entità teorica fondamentale sta nell’invidia paradossale. Georg Wilhelm Friedrich Hegel sosteneva che mentre agli europei interessano i cinesi quasi morbosamente, il contrario è semplicemente falso: ai cinesi non 1 Mi sono occupato della storia del dibattito proponendo anche un approccio originale nel mio L. Caffo, Il maiale non fa la rivoluzione: manifesto per un antispecismo debole, Sonda, Casale Monferrato (AL) 2013. (2016) L. Caffo, “Animale: la questione in questione”, in .Eco: l’educazione sostenibile, n. 222-223, (2016), pp. 8-11, ISSN 1972-9995. frega niente di noi (era un’altra epoca, intendiamoci). Tra umani e animali, distinzione fallace ma utile per lavorare, avviene più o meno lo stesso: gli animali ci guardano, come sosteneva Derrida, ma se ne fregano. La loro vita va avanti senza sapere cosa sia l’umanità e anzi, visto il danno estremo che comporta lo specismo, meno lo sanno e meglio è per tutti. L’invidia che proviamo verso gli animali è quella che proviamo verso i bambini, che si estingue in fretta perché invecchiano, ma che ha una radice profonda: il bambino, come l’animale (che non esiste mai al singolare), è eterno. Non vive nel passato, non è ossessionato dal futuro, semplicemente esiste. Paura degli animali Abbiamo paura di questi esseri che abitano una sorta di nirvana in vita: quando sono lasciati in pace la loro sorte è descrivibile solo attraverso queste parole maestose del filosofo Jean Grenier: «il mondo degli animali è fatto di silenzi e balzi. Mi piace vederli distesi a riposare, nel momento in cui riprendono contatto con la Natura, ricevendo in cambio del loro abbandono una linfa che li nutre. Il loro riposo è accurato come il nostro lavoro. Il loro sonno è fiducioso come il nostro primo amore2». L’invidia è totale: la nostra lotta per vivere, l’angoscia e la paura, la consapevolezza che ogni attimo è tremendo e potenzialmente ultimo. Da questo terrore verso di noi, e invidia senza limiti per l’animale, comincia la storia dello specismo nelle Grotte di Lascaux nel Paleolitico Superiore: 17500 anni fa. Le sale che compongono questo splendore di grotta, fossile architettonico della specie che siamo, vanno dalla grande sala dei tori fino al diverticolo dei felini: la nostra storia comincia con la rappresentazione e la distanza dagli altri animali. Osservati, studiati, vivisezionati, gli animali devono soffrire: la nostra sorte deve essere comune - perché a noi è data la violenza del soffrire ogni secondo e a loro la presenza assoluta? Prospettive animali Se non si passa da questa breve storia che sto raccontando, che comincia nelle grotte del passato e giunge al mattatoio industriale di Chicago, dove apprendiamo grazie alle parole del premio Nobel per la letteratura del 2003 John Maxwell Coetzee che è stato dai «mattatoi di Chicago che i nazisti hanno imparato a lavorare industrialmente i corpi», ogni speranza di parlare di animali, benessere animale, etica animale è vana. Vana perché incompleta, scambiatrice incosciente di effetti con le cause, laddove è della nostra storia che stiamo discutendo. Le prospettive, se davvero la questione animale vuole quantomeno smettere di essere in questione, sono molteplici ma assai diverse da quelle che qui ancora si affrontano: non c’è ragione che tenga. Dagli animali, e attraverso di loro, dobbiamo imparare a essere una cosa sola 2 J. Grenier, Isole, Mesogea, Messina 2003, p. 41. (2016) L. Caffo, “Animale: la questione in questione”, in .Eco: l’educazione sostenibile, n. 222-223, (2016), pp. 8-11, ISSN 1972-9995. con l’ambiente e il mondo: rientrare di fatto nell’universo da cui siamo usciti tramite il concetto. Complicato, impossibile, ma «il mondo trema sull’orlo di un abisso. È l’ora di tentare tutto»3. Futuro Dalla questione animale dipende il nostro futuro: un filo rosso lega le Grotte di Lascaux con i disastri ecologici che stiamo vivendo: la distanza dal mondo che viviamo, insopportabile, rischia di consumare la frattura. Oltre Derrida, e per parafrasi, vorrei soltanto dire che l’animale, la sua diversità, ci obbliga a ricominciare a essere animali. Ciò che un giorno scopriremo è che quell’animalità meravigliosa, quella presenza a se stessi che tanto invidiamo agli animali intesi come puro movimento senza scopo4, era qui alla portata di mando: di fronte a noi, dietro di noi, nel nostro tramite. Questa presenza, che gli orientali di un tempo chiamavano Buddhità, è la comprensione che ogni frattura dell’essere è l’inizio di un percorso che porta a una naturale storia della distruzione. Tutto è uno, e non ci sono né animali né umani: l’animalità, se è qualcosa, è il movimento: «tutto fluisce e si trasforma per un fine, tutto fiorisce al momento giusto, ogni cosa ha il suo tempo»5. 3 A. Artaud, I Cenci, Einaudi, Torino 1972, p. 40. F. Cimatti, “Animale”, in L. Caffo, F. Cimatti, A come Animale. voci per un bestiario dei sentimenti, Bompiani, Milano 2015. 5 B. Del Boca, La dimensione umana, Bresci Editore, Torino 1971, p. 21. 4
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