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Articolo di riposizionamento della questione animale nel più ampio dominio delle ontologie contemporanee
Spazio Filosofico - Spunti, 2018
La questione animale, com’è emerso dall’articolo di Andrea Raimondi e dalle interviste ai Professori Mormino e Zucchi pubblicati su Spazio Filosofico, è un tema che nasconde dietro ad un’etichetta apparentemente semplice, molte domande etiche, morali e tanti problemi che spaziano dall’antropologia filosofica alla filosofia della mente. Esiste secondo me un interrogativo che sottende a tutta la questione animale, ad ogni suo ambito e ad ogni suo aspetto, ovvero quello di cogliere il rapporto che si instaura tra l’uomo e l’animale. Questa ‘operazione complessa’ è però tanto ricca quante sono le sfaccettature del dibattito sull’animalismo. In questo articolo propongo di indagare se sia possibile trovare un nesso tra gli schemi che noi umani abbiamo di percepire il nostro mondo e le modalità che hanno gli animali di relazionarsi all’ambiente nel quale sono immersi. Se una correlazione è possibile, si deve capire di che genere essa sia e come essa agisca sulla nostra e sulla loro esperienza del mondo sensibile.
Si tratta dell'articolo di risposta ad una serie di commenti al mio libro Filosofia dell'animalità, Laterza 2013. Coomenti e articolo si possono leggere qui: http://www2.units.it/etica/
Come ebbe modo di dire Jacques Derrida, nel 2001, durante la consegna del premio Adorno: «La questione animale è la questione filosofica del XXI secolo». Della veridicità di questa previsione ce ne accorgiamo soprattutto negli ultimi anni, poiché il dibattito pubblico e accademico circa il nostro rapporto con gli altri animali rappresenta, sempre di più, un tema su cui vertono e si scontrano numerosissimi discorsi. È all’interno di questo clima di grande interesse per la questione animale che prende vita quella che è la mia personalissima riflessione filosofica in proposito. Poiché essi risultano essere, spesso e volentieri, conflittuali e contraddittori, ciò che mi premeva mettere a fuoco era: cosa legittima i nostri atteggiamenti nei confronti degli altri animali? E soprattutto: ci sono buone ragioni per perpetuare tali atteggiamenti? Ho cominciato per questo motivo a studiare i presupposti teorici dell’etica dominante, antropocentrica e specista, che riduce l’animalità ad alterità assoluta al fine di giustificare il predominio dell’uomo sugli altri animali, con lo scopo di verificare se essi potessero effettivamente considerarsi validi. Per farlo, ho dovuto ricostruire la genesi dei modelli culturali, di matrice antropologica, filosofica, teologica e scientifica, che delineano le modalità con cui l’uomo si rapporta con gli altri animali. Attraverso lo svelamento delle origine storiche di questi modelli culturali, e mediante l’uso della decostruzione e della confutazione di tipo socratico, ho mostrato le contraddizioni interne a tale sistema di dominio, che si è affermato quindi non per la sua validità argomentativa, ma perché legittima delle pratiche a cui l’umanità non vuole rinunciare. Ho quindi proceduto in questo modo: nel primo capitolo ho ricostruito i punti salienti della cosmologia naturalista che sta alla base della società occidentale contemporanea e che esclude i non umani dalla vita civica a causa della loro mancanza dello statuto di soggetto. Una cosmologia che si definisce a partire dalla grande opposizione fra natura e cultura nella quale si iscrivono una serie di altre opposizioni: selvaggio/domestico, interiorità/esteriorità, mente/corpo, innato/appreso e, ovviamente, uomo/animale. Grazie a tale opposizione dicotomica l’umanità ha saputo inventare un attributo distintivo dell’Homo sapiens dove intervengono l’abilità tecnica, il linguaggio, l’attività simbolica e la capacità di organizzarsi in collettività in parte liberate dalle continuità biologiche. In poche parole, secondo quello che è il paradigma ontologico della cosmologia naturalista, ogni essere umano possiede dei vincoli universali biologici e, allo stesso tempo, riesce a darsi delle regole contingenti relative alla sua organizzazione sociale, definendosi come un compromesso fra un monismo naturalista e un relativismo culturalista. L’animale, invece, con cui l’umanità possiede, appunto, una continuità di tipo biologico, sarebbe determinato da una totale discontinuità interiore con gli esseri umani, e risulterebbe quindi sottomesso alle sue determinazioni biologiche e schiavo della propria fisicità fondamentale. L’umanità vanterebbe in questo modo un privilegio ontologico che la distingue nettamente sul piano dell’interiorità da tutto ciò che è estraneo ai meccanismi messi in auge da quest’ultima. Il problema, sotto questo punto di vista, è l’elevazione a pure essenze di due domini, quello di natura e quello di cultura, che non solo sono stati letteralmente inventati dall’Occidente, ma che non sono nemmeno presenti in tutte le popolazioni del pianeta. Questo sancirà anche la nascita della fallacia costitutiva del naturalismo: la fallacia naturalistica. Nel secondo capitolo, ho passato in rassegna tutti i discorsi filosofici e teologici che, dall’aristotelismo fino al meccanicismo, passando per lo stoicismo e il creazionismo, hanno cercato di sancire la superiorità dell’uomo sugli altri animali in virtù di un qualche dispositivo interiore esclusivo che autorizzerebbe il dominio degli uni sugli altri e la subordinazione dei secondi sui primi. È in questo capitolo che abbiamo approfondito le questioni legate all’antropocentrismo e allo specismo. Quest’ultimo, che io intendo come un’ideologia giustificazionista sviluppatasi per rendere leciti lo sfruttamento e l’uccisione degli altri animali, sarebbe quindi l’insieme delle riflessioni volte a ricercare, a posteriori, delle buone ragioni per legittimare il dominio dell’uomo sugli altri animali. Non dobbiamo, come hanno fatto alcuni filosofi contemporanei, classificare lo specismo come un semplice pregiudizio, poiché esso è semmai un insieme di riflessioni descrittive nei confronti di una realtà che aveva già assunto una conformazione antropocentrica e specista. Nel terzo capitolo ho esposto le ragioni che mi hanno portato a scegliere, per il quarto capitolo, una particolare modalità filosofica per esporre una proposta etica in aperta antitesi con quelle descritte nei primi due capitoli: il dialogo socratico. Ho mostrato quali sono le sue caratteristiche, i suoi punti di forza e perché, davvero, essa possa considerarsi la pratica filosofica per eccellenza. Nel quarto e ultimo capitolo ho tradotto nella pratica le indicazioni teoriche esplicitate nel terzo, proponendo un esperimento di dialogo socratico che, servendosi di un redivivo Socrate nel ruolo dell’interrogante e di un uomo antropocentrico e specista come interrogato, ha fatto proprie le tesi di Peter Singer in Liberazione Animale. Il filosofo australiano, mostrando come il termine animale sia una terribile trappola concettuale che ipersemplifica la realtà non rendendone al meglio la complessità, e che l’argomento classico secondo cui gli animali verrebbero esclusi dalla sfera della considerazione morale a causa della loro mancanza di certe proprietà umane (come l’attività mentale complessa) possa rivelarsi un terribile boomerang (poiché, ad esempio, un menomato mentale grave avrà un’attività mentale inferiore a un cane o a un maiale), prova a risolvere le contraddizioni dell’etica specista che, nonostante questa evidenza, continua a preferire un umano a un animale a causa della mera appartenga alla specie Homo sapiens. È per questo motivo che Singer fa del dolore il proprio della morale, perché la capacità di provare dolore e piacere sarebbe, per lui, la prerogativa per avere interessi in assoluto, ragione per la quale nel valutare un’azione come giusta si deve dare uguale considerazione a tutti gli individui coinvolti capaci di provare dolore (e di conseguenza anche agli animali), poiché tutti questi individui posseggono interessi in eguale misura.
Sensibilia, "La vergogna", n. 5, 2012
A volte ignoto e disperso nel nero del mondo come i cetacei ancestrali m'inghiottono galassie, versato all'infinito dall'acquario rotante le nebulose violo gassoso fra gli eoni, poi al richiamo torno dell'ora e posato a terra in me stesso mi condenso e soffiano sul viso coriandoli di parole.
Felice Cimatti (2014), “L’animale e l’istituzione”, intervista a cura di F. Raparelli, in F. Raparelli, Istituzione e differenza. Attualità di Ferdinand de Saussure, Mimesis, Milano pp. 85-94, 2014
Nei suoi ultimi lavori, 1 si è concentrato sul problema dell'animalità umana. Meglio, questa è la definizione, di un'«umanità non basata sul linguaggio». Ancora: un'animalità, quella umana, «non da ritrovare, bensì da costruire». Si tratta dunque di una sfida etica? E se sì, in che senso?
There is no room in biology for a contrast between man and animal. In life sciences there is space, however, for a plurality of animal species, one of which is the human one. The place of humans, alongside monkeys, within the class mammalia and, in particular, within primates, was already recognized by Linnaeus a hundred years before the publication of the Origin of Species. Furthermore, biological species have not essences: they are not natural kinds in the conventional sense of the term. Thus, biology has no room for the concept of humanity, understood as the essence of Homo sapiens, let alone for that of animality, which should capture the essence of a highly heterogeneous plurality of species. Nel 1735 Carlo Linneo pubblica un opuscolo di sole undici pagine in folio, intitolato Systema naturae, sive regna tria naturae systematice proposita per classes, ordines, genera, &species. All'intero regno animale non sono dedicate più di tre pagine, ma queste contengono un prospetto a...
Sull'immortalità dell'anima, 2024
Un brano del 129° inno rgvedico, noto come il Nāsadīyasūkta, più di altri ci fornisce la chiara immagine delle due “configurazioni visive” dell’inizio: “Non c’era morte allora, né immortalità. Non c’era notte. Non c’era giorno. Quell’Uno viveva in sé e per sé, senza un respiro. Al di fuori di quell’Uno, c’era il Nulla”. E dunque siamo in presenza di due figure opposte: giorno e notte, immortalità e mortalità, Uno e Nulla. Ma: sul “Nulla”, la dimostrazione di Parmenide - che dice Plutarco precede quella di Socrate e Platone - si rivela de-terminante: l’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere. Mai sarà dimostrato che esista ciò che non è (frammento 7/8 v. 1). Così che, in definitiva, il-pensiero-dell’inizio-di-ogni-inizio-che-è è: tutto è eterno.
in Rivista Lo Sguardo n° 18 "I Confini animali dell'anima umana"
Fata Morgana, n. 14, pp. 123-140., 2011
alla fine della storia lascia intendere che esso non è un puro ritorno a una condizione primitiva, ma il raggiungimento di uno stato mai prima sperimentato: non una semplice rianimalizzazione dell'uomo ormai umanizzato, ma un modo di essere uomo che non si definisca più nell'alterità alla sua origine animale.
Turkish Historical Review, 2023
Australian Journal of Politics & History, 2008
Dzieje Najnowsze, 2023
International Journal of Occupational and Environmental Safety, 2020
Revista Brasileira De Politica Internacional, 2005
Revista ContraPonto, 2013
FMC - Formación Médica Continuada en Atención Primaria, 2019
IV. Kentsel Morfoloji Sempozyumu, 2023
Direitos Democráticos & Estado Moderno, 2021
Journal of Nanoscience and Nanotechnology, 2013
The Surgeon, 2009
Schizophrenia Research, 2003
Journal of Immunological Sciences, 2025
Emergency Preparedness and Response in Occupational Health, 2018
Eurosurveillance, 2021
Perspectives of Biophysical Ecology, 1975