SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | FILOSOFIA
I due dogmi dell’antropocentrismo
LEONARDO CAFFO
Università degli Studi di Torino
In questo articolo argomento in favore dell’esistenza di due
dogmi che vorrei chiamare “I due dogmi dell’antropocentrismo”. Il primo dogma è che sia impossibile concepire
una strategia di uscita dall’antropocentrismo, il secondo
è che l’idea stessa di una via di uscita sia antropocentrica
(una sorta di antropocentrismo di secondo ordine). La mia
tesi è che l’antropocentrismo sia un sistema metaisico e
che la via di uscita sia necessaria per concepire in modo
puro la metaisica. Basandomi sulla letteratura prodotta
dalla Object-oriented ontology’s (OOO) vorrei proporre una
soluzione contro questi due dogmi argomentando per una
metaisica via di mezzo tra l’ecologia (da un punto di vista
ontologico) e l’etologia ilosoica.
E
cosa si possa immaginare dell’essere un pipistrello al massimo sapremmo cosa proveremmo noi ad esserlo, e mai cosa
prova a essere un pipistrello in quanto pipistrello. L’antropocentrismo, come atmosfera, diventa qualcosa da cui davvero diventa impossibile uscire che è legato ai nostri limiti
cognitivi: le forme di vita, come argomentato da Wittgenstein, sono incommensurabili. In questo senso l’antropocentrismo è appunto cognitivo2: la nostra vita mentale consente
di immaginarsi come se fossimo altri animali (è dunque un
meccanismo inzionale3), ma non comprendere cose si prova
a esserlo davvero. La prima cosa da fare, dunque, è tentare
di comprendere cosa si intenda per antropocentrismo senza
partire direttamente dal limite identiicato da Nagel ma ragionando, piuttosto, in positivo.
I DUE DOGMI
sistono due dogmi, due false verità socialmente e ilosoicamente accettate, che riguardano l’antropocentrismo. L’antropocentrismo è quel sistema metaisico secondo
cui una particolare specie, Homo Sapiens,
abbia un qualche tipo di relazione privilegiata con gli oggetti
del mondo. I suoi due dogmi sono: (a) che sia impossibile
uscirne; (b) che lo stesso tentativo di uscirne sia esso stesso
antropocentrismo (un antropocentrismo più forte, paradossalmente). Il mio scopo, nelle pagine che seguono, è innanzitutto esplorare i due dogmi nelle loro ragioni essenziali: una
volta compresi gli argomenti mostrerò la loro inconsistenza
verso una strategia concreta di uscita dall’antropocentrismo.
IMPOSSIBILE USCIRNE
Nel suo storico articolo “What Is it Like to Be a Bat?” del
1974 Thomas Nagel dà un argomento importante1: qualsiasi
1 T. Nagel, “What Is It Like to Be a Bat?”, in The Philosophical Review,
Vol. 83, No. 4. (Oct., 1974), pp. 435-450.
L’antropocentrismo si articola su tre assi4: metaisico,
scientiico ed etico. Si considerino le tre immagini che seguono:
2 Tutto ciò che c’è fuori da Homo Sapiens viene comunque riportato o
confrontato al nostro paradigma: F. de Waal, Siamo così intelligenti da
capire l’intelligenza degli animali?, Raffaello Cortina, Milano 2016.
3 G. Currie, “Imagination and make-believe”, in In B. N. Gaut, D. Lopes
(a cura di), The Routledge Companion to Aesthetics, Routledge, Londra
2001.
4 Cfr. L. Caffo, Del destino umano: Nietzsche e i quattro errori dell’umanità, Piano B, Prato 2016.
25
FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017
La contrapposizione tra specismo e antispecismo è l’etica,
quella tra scienza e religioni positive è l’asse scientiico, e
quella tra sistema tolemaico e copernicano è la metaisica.
L’antropocentrismo è specismo, perché Homo Sapiens è
unico e privilegiato ente morale, è tolemaico perché Homo
Sapiens è al centro o al vertice della metaisica, e inine è
anti-darwinista perché considera Homo Sapiens come un
processo di derivazione top-down e non, come nell’evoluzionismo, come processo bottom-up. In questo senso l’antropocentrismo è un sistema a tre posti, dove solo le tre stazioni
contemporaneamente agiscono creando un sistema comune:
la narrazione che ne emerge è quella di una forma di vita che
più che impossibilitata a uscire dalla propria atmosfera cognitiva (come in Nagel) è forse, piuttosto, intrappolata in una
false immagine di sé. È utile in tal senso riportare alla mente
l’aforisma 115 della Gaia Scienza di Friedrich Nietzsche:
L’uomo è stato educato dai suoi errori: in primo luogo si vide sempre solo incompiutamente, in secondo luogo si attribù qualità imma-
non fossi colui che sta pensando, dunque sono chiuso in me
stesso. In realtà l’antropocentrismo più che un meccanismo
cognitivo è una descrizione dell’umano o, più precisamente,
una metaisica: centrato, moralmente isolato e sconnesso dal
resto del vivente. Ovviamente esistono almeno due tipi di antropocentrismo, diciamo una sua versione “debole” secondo
cui Homo Sapiens sia ovviamente portato a vedere le cose
del mondo dalla sua speciica immagine specie-speciica, e
una “forte” che deriva da questa ovvietà l’idea che il proprio
modo di vedere le cose sia anche il miglior se non, talvolta,
addirittura l’unico. Che l’antropocentrismo sia soprattutto un
sistema che vizia dalle fondamenta le possibilità della ricerca
in metaisica è la tesi di base della cosiddetta Object-oriented
ontology (OOO): scuola di pensiero che riiuta che l’esistenza umana abbia un qualche privilegio rispetto all’esistenza degli oggetti non umani5. L’idea è che la maggior parte
delle tassonomie ontologiche, quelli che vengono chiamate
in gergo tecnico “gli inventari del mondo”6, siano in realtà
inventari del mondo di Homo Sapiens e dunque il risultato
non sarebbe mai un’ontologia in quanto tale ma una nostra
ontologia. Se il primo dogma dell’antropocentrismo fosse
vero, e dunque uscire dall’antropocentrismo forte impossibile, ne deriverebbe anche una impossibilità della metaisica in
quanto tale: tutto si risolverebbe in ermeneutica anche quando la chiamiamo ontologia7.
Il tentativo di uscita dal primo dogma da parte della
Object-oriented ontology risiede nella inaugurazione di una
ontologia degli oggetti stessi senza alcuna valorizzazione di
azioni concrete che ci leghino a essi piuttosto che a reti di signiicazione per palesarne l’esistenza entro il nostro dominio
linguistico. Secondo Graham Harman uno dei primi tentativi
in tal senso in metaisica è quello dello Zuhandenheit di Heidegger: il ritiro degli oggetti da azioni pratiche e teoriche8 in
modo tale che la realtà oggettiva delle cose non possa mai
essere esaurita da una praticità d’uso o da una compressione
categoriale di una qualche indagine teorica (gli oggetti si ritirano, secondo Harman, non solo dalla interazione umana ma
anche dalle relazioni con gli altri oggetti9). Si tratta di concepire una forma di metaisica che trascenda dal fatto, quasi
banale, che siamo noi stessi a pensarla come metaisica: cosa
sono gli oggetti in quanto oggetti?
ginarie, in terzo luogo si sent̀ in una falsa condizione gerarchica in
rapporto all’animale e alla natura, in quarto luogo escogit̀ sempre
sempre nuove tavole di valori considerandole per qualche tempo eterne e incondizionate, di modo che ora questo, ora quello degli umani
Se Harman cerca la soluzione in Heidegger, tuttavia, l’uscita dall’antropocentrismo è sempre parziale e il dogma resta perché si continua a ragionare in modo controfattuale:
istinti e stati, venne a prendere il primo posto e in conseguenza di tale
apprezzamento fu nobilitato. Se si esclude dal computo l’effetto di
questi quattro errori, si escluderà anche l’umanesimo, l’umanità, e la
“dignità dell’uomo”.
I tre assi dell’antropocentrismo sono la traduzione nel
linguaggio contemporaneo dei quattro errori identiicati da
Nietzsche da cui cui, tuttavia, una via di uscita sembra possibile. Il primo dogma dell’antropocentrismo è tutto costruito sulla sua struttura cognitiva: non posso pensare come se
26
5 G. Harman, Tool-Being: Heidegger and the Metaphysics of Objects,
Open Court Publishing Company, Chicago 2002, p. 16.
6 P. Valore, L’inventario del mondo: guida allo studio della ontologia,
Utet, Torino 2008.
7 L. Caffo, “Il postumano e la ciabatta: ermeneutica e antropocentrismo”,
in Rivista di Estetica, n.s. 60 (2016), pp. 36 - 42.
8 G. Harman, Tool-Being: Heidegger and the Metaphysics of Objects,
Op. cit., pp. 1-2.
9 Ovviamente l’utilizzo del termine “oggetto” si riferisce al suo senso
tecnico in letteratura: possono anche essere forme di vita (oggetti naturali)
piuttosto che congetture matematiche o multe per divieto si sosta.
SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | FILOSOFIA
come vedrei le cose io se non le vedessi ma sapessi comunque che esistono? Sembra una forma meno animalista del
paradosso di Nagel ma la sostanza non cambia: quale che sia
il mio potere immaginativo, o la mia comprensione dell’ontologia oggettuale di Heidegger, resta sempre un iltro tra me
e gli oggetti. La strategia di uscita dall’antropocentrismo,
per salvaguardare la possibilità della metaisica, sta invece
nell’ecologia ilosoicamente intesa: il passaggio, momentaneo e strumentale dagli oggetti come campo di indagine primario, alle relazioni tra gli oggetti - il tra delle cose10. Questa
forma di ecologia, che nella sua fase iniziale inaugura con
Jakob Johann von Uexküll11 e che non a caso inluenza anche
Heidegger, concentra il suo potenziale sulla relazione tra un
oggetto X e il modo con cui questo viene visto da un’altra
forma di vita di cui possiamo studiare con buona precisione
la ricostruzione dello spazio visivo.
Consideriamo l’immagine qui sopra12.
La parte sinistra mostra il nostro modo di percepire un
particolare oggetto, in questo caso concentriamoci sul iore,
mentre la parte destra mostra il modo in cui percepiscono
10 Nel senso in cui argomenta G. Clément, L’alternativa ambiente,
Quodlibet, Macerata 2016.
11 J. J. von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani, Quodlibet, Macerata 2010.
12 Fonte “Nautilus”: http://nautil.us/issue/11/light/how-animals-see-theworld
questo stesso oggetto gli uccelli13. Ora, a differenza degli
esseri umani, gli uccelli hanno una capacità percettiva tetracromatica: i quattro tipi di coni di cui sono dotati fanno veder
loro rosso, verde, blu e ultravioletto contemporaneamente
(alcuni rapaci hanno una visione più dettagliata degli esseri
umani, una grande aquila vede con una precisione risolutiva
superiore circa 2,5 volte la nostra). Nelle proprietà volte a
classiicare all’interno della nostra metaisica il iore, per posizionarlo in un qualche scaffale dell’essere, metteremo delle
proprietà che non esisterebbero nella metaisica del rapace.
Eppure in questa diversità risiede l’argomento di uscita dal
primo dogma dell’antropocentrismo14: afinché possano esistere diversi modi di vedere X ci deve essere un modo che
li prescinde, in cui X comunque sta, e che consente poi alle
sue qualità secondarie di manifestarsi in modo diverso sulla
base dei meccanismi interpretativi, cognitivi o percettivi che
si concentrano su di esso. Ogni oggetto dell’antropocentri13 Si potrebbe obiettare che seguendo filosofie come quelle di Adorno
questa non sia una vera uscita dall’antropocentrismo ma la vittoria estrema dell’antropocentrismo stesso. Questo se si pensa che cì che si sa del
modo di vedere dei rapaci è il risultato del sapere/potere reificante delle
scienze della natura. Pur non concordando con questa visione della scienza
vorrei ringraziare uno dei referee anonimi perché suggerisce che si potrebbe trovare una simile strada di uscita approfondendo il concetto husserliano di appercezione che pure, in questo contesto, mi pare meno adatto di
quello di un ricorso alla letteratura scientifica aggiornata sul tema.
14 Anticipato già qui: L. Caffo, “The Anthropocentrism of Anti-realism”,
in Philosophical Readings, Vol.VI: 2014, N. 2, pp. 65 – 74.
27
FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017
smo esiste al di fuori dell’antropocentrismo
spogliato
delle sue proprietà contingenti umano-centrate.
Abstract
In this paper I argue against two dogmas that I would
like to call: “The Two Dogmas of Anthropocentrism”.
The irst dogma is that is impossibile to conceive an exit
strategy to anthropocentrism, the second one is the idea
that if we can try to conceive an exit strategy then, this
strategy, is anthropocentric also (a sort of second order
anthropocentrism). My thesis is that anthropocentrism
is a metaphysical system and that the exit strategy is necessary to conceive a real or pure metaphysics. Based on
Object-oriented ontology’s (OOO) literature I propose a
solution against the two dogmas and I argue in favor of
a different kind of metaphysics between ecology (from
ontological point of view) and philosophical etology.
Se il primo dogma dell’antropocentrismo è che sia impossibile uscirne perché non
posso che immaginare cosa
signiicherebbe uscirne allora, attraverso la comparazione percettiva, è superato:
la realtà anticipa l’ermeneutica15 e la rende possibile.
Questa è anche la ragione per
cui l’animalità è una forma
privilegiata di alterità quando si discute di metaisica16: consente l’uscita dell’antropocentrismo attraverso uno spazio
terzo di confronto delle assunzioni che pensiamo governare
la nostra realtà (è, tecnicamente, una specie di condizione
di controllo dei nostri esperimenti mentali). Per governare
l’uscita l’azione sui tre assi geometrici che abbiamo osservato, in relazione al cerchio, deve avvenire simultaneamente inserendo, tra le opzioni della nostra sperimentazione, la
possibilità che tutta la metaisica occidentale sia stata viziata
dal primo dogma come, del resto, argomenta magistralmente
Jacques Derrida quando nel 2001 viene insignito del Premio
Adorno17. Se è alla metaisica che siamo interessati, e non
alla nostra metaisica, è necessario andare all’essenza degli
oggetti al di là di come questi si inseriscano nel nostro universo percettivo, linguistico e addirittura concettuale.
Se il secondo dogma ha un
senso lo ha nel momento in
cui mostra che per dire di poter abbandonare una teoria T,
perché infondata, abbiamo paradossalmente bisogno degli
strumenti stessi di T. Dunque la risoluzione del problema, se
è possibile, passa dall’uso di una strumentazione diversa da
quella di T per contrastarla. L’Esercizio di T su T è una strategia forte, che effettivamente alimenta il secondo dogma,
mentre per aggirare il problema è necessaria una strategia diciamo debole20 che avvicini all’esterno del cerchio senza utilizzare il proprio che ha permesso la chiusura al suo interno.
Il secondo dogma, conseguente al primo, è che il tentativo
di uscire dall’antropocentrismo sia esso stesso antropocentrismo18: si genera cos̀ un paradosso volto a consacrare il
dogma come certezza. Il dogma ha un suo primo e intuitivo
fondamento: se il tentativo di uscire dall’antropocentrismo è
volto a riportare Homo Sapiens a una dimensione narrativa
non umano-centrica perché mai dovrebbe operare in tal senso, dato che sarebbe l’unica forma di vita animale a farlo? Il
gatto è per caso interessato a uscire dal gatto-centrismo? Ancora una volta, dunque, assisteremmo a una sorta di antropocentrismo di ritorno19 per cui con la scusa di abbandonarne
gli assunti dobbiamo in realtà compierne un esercizio duplice
e assoluto. Essendo interessato a una prospettiva metaisica
Cominciamo col dire che l’antropocentrismo è sempre
un meccanismo di relazione tra il dentro (mondo interno21)
e il fuori (mondo “supposto” come esterno) e uscirne non
signiicherebbe altro che una relazione di consapevolezza
del “iltro HS” sulla realtà dei fenomeni che si manifestano. Formulando la sua teoria della “Onticology”22 il ilosofo
Levi Bryant ha sostenuto che la rivoluzione copernicana di
matrice kantiana, considerata come una sorta di manifesto
dell’antropocentrismo, abbia ridotto tutta la ricerca ilosoica
alla ricerca della relazione tra questo dentro e questo fuori:
che sia stata la fenomenologia in ilosoia continentale, piuttosto che la svolta cognitiva in ilosoia analitica, gli oggetti
in quanto tali della metaisica sono passati in secondo piano
rispetto al modo in cui noi ci relazioniamo a essi. Una cosa
che ci accade non accade mai e basta, non riusciamo che a
concentrarsi sui modi attraverso cui questa cosa è accaduta a
noi mentre per un cane le cose, semplicemente, avvengono.
In parte tutto cì ha a che fare con la temporalità complessa
di Homo Sapiens, dall’altra parte con il fatalismo tipico di
certa fenomenologia: le cose si manifestano, direbbe Husserl, in quanto a noi manifeste. L’uscita dall’antropocentri-
15 Come argomenta M. Ferraris, “A New Realist Approach to Hermeneutics”, in Phainomena: Selected Essays in Contemporary Italian Philosophy, XXI, 82-83, 2012: 67-83
16 F. Cimatti, Filosofia dell’animalità, Laterza, Roma-Bari 2013.
17 J. P. Deranty, “Adorno’s Other Son: Derrida and the Future of Critical
Theory”, in Social Semiotics, Vol. 16, N. 3 2006, pp. 422-433.
18 K. McShane, “Anthropocentrism vs. Nonanthropocentrism: Why
Should We Care?”, in Environmental Values, 16 (2007), pp. 169–185.
19 E. Katz, “A Pragmatic Reconsideration of Anthropocentrism”, in Environmental Ethics, 1999 Winter; 21(4), pp. 377-390.
20 I prolegomeni a questa tesi risiedono nell’antispecismo debole. Per
completezza d’analisi si veda L. Caffo, “Antispecismo debole”, in M. Andreozzi, S. Catiglione, A. Massaro (a cura di) Emotività animali: ricerche
e discipline a confronto, Led: edizioni universitarie, Milano 2010, pp. 77
– 88.
21 Quel complesso sistema di relazioni, proprietà e qualità che compongono la vita mentale: R. Stalnaker, Our Knowledge of the Internal World,
Oxford University Press, Oxford 2008
22 L. Bryant, The Democracy of Objects, University of Michigan Library, Lansing 2011.
UN’USCITA ANTROPOCENTRICA
28
tralascer̀, volutamente, il
fatto che questo, se è vero per
l’antropocentrismo, allora lo
è anche per fenomeni di discriminazione morale come
il sessismo o il razzismo: le
conseguenze etiche del secondo dogma, prese alla lettera, potrebbero infatti essere
devastanti. Concentriamoci
invece sull’aspetto più genuinamente speculativo della
faccenda.
SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | FILOSOFIA
smo che abbiamo analizzato contrastando il primo dogma
depotenzia il peso della nostra relazione con l’oggetto X
considerando altre relazioni diverse con quello stesso oggetto e caratterizzandolo dunque, come parte dell’arredo della
realtà, un pezzo di resistenza23 all’antropocentrismo. Partire
dalla resistenza delle cose signiica partire dagli oggetti (passività) e non dai soggetti (attività) dunque, paradossalmente,
signiica situarsi nel “prima” delle condizioni di possibilità
stesse dell’antropocentrismo.
Partire dagli oggetti è anche cì che fanno gli animali (e di
alcuni non è peregrino dire che hanno una loro metaisica24),
ed è dove il secondo dogma comincia a tremare: quando si
scaricano le relazioni con gli oggetti sul corpo e non più sulla vita mentale25. Se è la relazione tra il corpo e gli oggetti
che iniziamo a considerare il secondo dogma dell’antropocentrismo cade perché costruito sul presunto esercizio di ragione, ovvero di logica, per tentare l’uscita dal cortocircuito
dell’antropocentrismo. Se sia possibile una metaisica corporale è tema ricorrente nella ilosoia contemporanea almeno
da Deleuze26: ma cosa signiica?
Il nostro modo di classiicare gli oggetti in ontologia è tutto
orientato da aspetti concettuali (elenco di proprietà) o visivi: eppure, al di fuori dell’antropocentrismo esistono altre
caratteristiche che riguardano il corpo (gli odori27, i suoni)
che complicano di molto le ordinarie tassonomie ilosoiche.
Uscire dall’antropocentrismo in modo non antropocentrico
signiica farlo dalla porta di servizio: depotenziare le qualità specie-speciiche e concentrarsi su quelle che possiamo
deinire “trasversali”. In questa direzione la critica all’antropocentrismo si basa sull’osservazione delle qualità comuni
a tutta la vita animale e non sul nostro proprio speciico; se
l’antropocentrismo ilosoico, pensiamo almeno ad alcune
stazioni concettuali come quelle di Aristotele, Cartesio o
Heidegger, è costruito isolando presunte proprietà univoche
di Homo Sapiens (via mentale, linguaggio, mortalità consapevole), la sua critica non pù effettivamente avvenire seguendo il paradosso del secondo dogma ovvero stendendo
una sorta di “velo di ignoranza” sulla nostra appartenenza
di specie esercitando proprio una delle caratteristiche che
hanno ediicato l’antropocentrismo. L’uscita, dunque, guidata da quella che è stata deinita una “ilosoia del corpo”28
che ci consente di tornare a quel paragone, per nulla sarca23 M. Ferraris, “Essere è resistere”, in M. Ferraris, M. De Caro, (a cura
di), Bentornata realtà: il nuovo realismo in discussione, Einaudi, Torino
2014, pp. 139 - 166.
24 Si pensi alle scimmie: R. Corbey, The Metaphysics of Apes: Negotiating the Animal-Human Boundary, Cambridge University Press, Cambridge 2005.
25 F. Cimatti, “Divenire cosa, divenire corpo”, in Atque: materiali tra
filosofia e psicoterapia, 18 n.s., 2016, pp. 107-132 .
26 Una bussola in tal senso: G. Deleuze, Che cosa può un corpo? Lezioni
su Spinoza, ombre corte, Verona 2007.
27 F. Cimatti, A. Flumini, M. Vittuari, A. M. Borghi, “Odors, words and
objects”, in RIFL (2016) N. 1, pp. 78-91.
28 R. Acampora, Corporal Compassion, Animal Ethics and Philosophy
of Body, Pittsburgh University Press, Pittsburg 2006.
stico, con il gatto-centrismo. Perché noi usciamo dal loro
cerchio e “loro” no? Prima di tutto perché il nostro cerchio
è un sistema-mondo e non semplicemente un iltro sul reale:
il secondo caso, se non in relazione alle imposture metaisiche che possono derivarne, è quasi naturale29. Considerare la
realtà come umano-orientata, in senso debole, non ha niente
di patologico ed è una conseguenza di quelle che la psicologia della visione chiama “affordance”: gli oggetti del mondo
vengono verso di noi e stimolano intuizioni sul loro corretto
utilizzo - da questo fenomeno percettivo, effettivamente, può
seguire l’inferenza fallace che quegli stessi oggetti siano l̀
dove sono soltanto per noi. Altro discorso è invece l’antropocentrismo che stiamo considerando, quello che abbiamo deinito “forte”, che del iltro sul reale fa un’istituzione piuttosto
che un limite; l’uscita attraverso il corpo consente un’uscita
dal cerchio in orizzontale piuttosto che in verticale:
La prima igura mostra l’uscita su cui si ediica il dogma
che stiamo prendendo in considerazione, mentre la seconda
un’uscita diversa che è la rappresentazione geometrica del
“divenire animale” teorizzato proprio da Gilles Deleuze.
Non un antropocentrismo che si fortiica addirittura uscendo
consapevolmente dal suo privilegio quanto, piuttosto, una ricerca delle proprietà che rendono tutta la vita animale intrinsecamente legata. È in questa cornice che propongo di inquadrare il progetto metaisico più recente della Object-oriented
29 Il correlato morale di questa distinzione, tra specismo naturale e innaturale, rende più chiara la faccenda: cfr. L. Caffo, Il maiale non fa la
rivoluzione: manifesto per un antispecismo debole, Sonda, Casale Monferrato (AL) 2013.
29
FILOSOFIA | SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017
ontology, ovvero la cosiddetta “ecologia decadente”30 teorizzata da Timothy Morton secondo cui l’ecologia, intesa in
senso ontologico, sia un sistema da sostituire alla metaisica
classica. Morton, in una sorta di spinozismo recente, propone
il concetto di “maglia” secondo cui tutte le forme di vita sono
sempre già implicate nella ecologia, che non è mai qualcosa
di cui ci si possa occupare oppure no rendendola paradossalmente un’attività antropocentrica, quanto piuttosto la condizione di possibilità del riconoscimento di una differenza
«coesistenziale» per affrontare lo studio dell’ambiente e la
classiicazione dei suoi oggetti. Cosa signiica prendere il posto della metaisica? Morton ha difeso in tal senso la nozione
di “iper-oggetto”31: un’entità descrittiva che si propone di
sostituire quella di oggetti, su cui l’ontologia contemporanea
lavora almeno dalla pubblicazione del celebre articolo “On
What There Is” di Quine in poi, e che descrive le entità come
liquide, viscose, decentrate, graduali e intersoggettive. Per
andare direttamente al punto: ogni ente è deinibile solo in
relazione (pur non essendo la relazione stessa) e l’ecologia,
come disciplina che si occupa del “tra” delle cose, è molto
più utile della metaisica che si occupa del “proprio” delle
cose. Viene dunque a svilupparsi una sorta di “altra ecologia”, non più come pratica semi-paternalista o quantomeno
interna al vocabolario della ilosoia morale, ma come narrazione del mondo che evidenzia appunto le caratteristiche
di questa «maglia»: l’insieme di tutte le forme di vita, ma
anche l’insieme di tutte le forme di vita che sono morte e
hanno concimato e modiicato la Terra, la sua struttura e la
sua storia. Tutto è vita, anche cì che non sembrerebbe esserlo: il ferro è un sottoprodotto del metabolismo batterico e
cos̀ anche l’ossigeno. Le montagne possono essere fatte di
conchiglie e batteri fossili e la cosa decisiva è che la maglia
non ha nessun elemento più importane o essenziale degli altri. L’ecologia non è altro che tutto cì che possiamo pensare,
ma anche tutto cì che non possiamo pensare: il futuro è collaborazione e non ha nulla a che fare con la posizione umana
che anche quando pensa di prendersi cura del pianeta sta in
realtà facendo esercizio di antropocentrismo. L’ecologia esiste al di qua e al di là dell’umano: è cì che ci ospita e cì che
abbandoneremo, una sorta di “matrice”, e si tratta dunque di
colmare una dicotomia piuttosto che di risolverla.
In questo senso l’uscita è dunque visibile come un immenso allargarsi del cerchio o, più radicalmente, come una sua
eliminazione deinitiva: se proprio si è affezionati alla parola, e l’ecologia richiama nel nostro dizionario ancora più
l’etica che l’ontologia, si tratta di intraprendere una sorta di
“metaisica della periferia”. Tutta la metaisica occidentale
è in fondo un’organizzazione verticistica, pensiamo almeno
alle Categorie di Aristotele, volta a evidenziare le caratteristiche speciali di Homo Sapiens mentre con l’ecologia onto30 Mi sembra la migliore traduzione di “dark ecology”: cfr. T. Morton,
Dark Ecology: For a Logic of Future Coexistence, Columbia University
Press, New York 2016.
31 Id., Hyperobjects: Philosophy and Ecology after the End of the World,
University Of Minnesota Press, 2013.
30
logica assistiamo a un capovolgimento di questa procedura
stratiicata perché non ci sono né centri, né vertici. Il secondo
dogma cade quando si comprende che non c’è niente di antropocentrico nel “sentirsi parte di” ma soltanto nel “sentirsi
superiore a”.
LA METAFISICA DOPO I DOGMI
Se i due dogmi sono correttamente confutati le implicazioni per la metaisica, e per un suo ripensamento, sono
molteplici. Innanzitutto emerge che molto di ciò che classiichiamo è classiicato male, o comunque senza tenere conto
del iltro. Sempre Morton, sulla scia di Harman, ha sostenuto
che uno di questi tipici errori riguarda il nostro rapporto con
l’ontologia degli oggetti naturali: l’idea semplice, anche se
disarmante per tutta la retorica del “naturalismo ilosoico”
che da Thoreau a oggi ha inluenzato centinaia di ilosoi, è
che una qualsiasi critica ecologica debba essere ripulita dalla
biforcazione “natura/civiltà” o, più precisamente, dall’idea
che la natura sia qualcosa che esista al di fuori delle mura
della società contemporanea. Non si tratta di superare la solita dicotomia “natura/cultura”, perché altrimenti sarebbero
bastati Adorno, Horkheimer, e la Scuola di Francoforte in
generale, ma proprio di sovvertire la tassonomia dell’ontologia contemporanea: anche quelli che chiamiamo “oggetti
naturali” sono, in realtà, “oggetti sociali”. Ancora: una multa
per divieto di sosta e il lago di Walden nel Massachusetts
non sono poi cos̀ diversi nella loro struttura metaisica perché entrambi oggetti costruiti dalle nostre credenze, intenzioni o documenti (ovviamente dipende dalla diversa ontologia sociale che adottiamo). Questo è proprio uno di quei
tipici casi su cui agisce il iltro che porta a considerare come
naturali o indipendenti da noi anche entità che in realtà sono
ben porzionzate dal nostro modo di stare al mondo. Se la metaisica è lo studio delle qualità delle cose del mondo allora,
all’interno dell’antropocentrismo, la metaisica è totalmente
viziata: un’illusione, inveriicabile, di sapere come e dove
stanno le cose della realtà.
Riconsideriamo un’altra immagine volta a correlare gli
oggetti con diversi soggetti, ma questa volta non pensiamo
a un’immagine visiva ma temporale. Come percepiscono il
tempo le altre forme di vita? Alcuni animali possono percepire un movimento per noi veloce come molto più lento perché esiste, in relazione alla percezione temporale, una grande
differenza tra grandi e piccole specie. Gli animali più piccoli
di noi vedono il mondo in slow-motion e se la metaisica
del tempo andasse oltre l’orizzonte degli animali vertebrati,
per esempio le mosche, scopriremmo che gli insetti possono
percepire la la luce ino a quattro volte più velocemente di
quanto possiamo noi32. In questo caso l’oggetto X è il tempo
e le relazioni, nei suoi confronti, sono molteplici quante sono
32 K. Healy, L. McNally, G. D., Ruxton, N, Cooper, A. L. Jackson,
“Metabolic rate and body size are linked with perception of temporal information”, in Animal Behaviour, 86(4: 2013), pp. 685-696.
SCIENZE E RICERCHE • N. 46 • MARZO 2017 | FILOSOFIA
le forme di vita33.
Spesso per spiegare l’ontologia
del tempo consideriamo più i paradossi generati dalla isica o dalla
logica34 che l’incredibile variazione delle percezioni temporali che
esistono tra i viventi. Esattamente
come per il iore anche il secondo
è un oggetto polimorfo: la sua forma cambia sulla base dell’apparato percettivo che lo approccia.
Se come suggerisce Levi Bryant,
dunque, usciamo dalla relazione per concentrarci sull’oggetto
cosa resta? Come classiichiamo
oggetti che cambiano, spesso in
modo anche radicale, sulla base
dell’obiettivo che li inquadra?
La metaisica interna al sistema
narrativo dell’antropocentrismo,
una volta palesata, è come un’aggiunta di un quantiicatore
ai nostri enunciati ontologici - il quantiicatore “Per Homo
Sapiens” da aggiungere, per esempio, all’enunciato “tutte le
mele alpine sono rosse”. L’uscita è l’eliminazione di questo
quantiicatore e una ricerca della struttura delle cose e dunque degli oggetti in quanto oggetti che forse, dunque, non
sarebbero altro che “cose” perché “oggetto” è sempre un ente
relato. Lungi da portare a una qualche forma di relativismo
questo approccio conduce all’ontologia reale al di là di quella descrittiva; una buona metafora da richiamare è quella tra
mappa e territorio35 - la mappa (ontologia descrittiva) non è il
territorio (ontologia reale) però perfezionarne la toponomastica consente di avvicinarsi al vero. Una mappa del mondo
antropocentrica è come un planisfero in cui manchino alcuni
continenti o forse, addirittura, come una rappresentazione
del nostro pianeta come piatto. I due dogmi dell’antropocentrismo sono infondati; le conseguenze di un tale abbandono,
fra l’altro, sono un offuscarsi della distinzione fra metaisica
ed ecologia36; per un altro verso, invece, un accostarsi all’etologia ilosoica37. Tutte le nostre conoscenze, credenze e
convinzioni, dalle più futili questioni e alle leggi più profonde dell’universo, sono un ediicio fatto dall’uomo che tocca
cì che lo trascende solo lungo i suoi margini. O, per mutare
immagine, la scienza nella sua globalità è come un campo
33 Fonte immagine Quora: https://www.quora.com/Perception-Do-different-animals-including-humans-perceive-time-differently
34 G. Torrengo, “The Grounding Problem and Presentist Explanations”,
in Synthese 190: 2013, pp. 2047–2063
35 L. Caffo, “Ontologia”, in La vita di ogni giorno: cinque lezioni di
filosofia per imparare a stare al mondo, Einaudi, Torino 2016, pp. 61 -80.
36 Dove invece per la falsificazione dei due “dogmi dell’empirismo”
si offuscava la distinzione tra metafisica e scienze naturali. W.O. Quine,
“Two Dogmas of Empiricism”, in The Philosophical Review, 60 (1951),
pp. 20 - 43.
37 B. Buchanan, J. Bussolini, M. Chrulew, “Philosophical Ethology”,
in Angelaki; Journal of the theoretical humanities, Vol. 19:2014, pp. 1-3.
di forza i cui punti limite sono dati dall’antropocentrismo.
Un disaccordo con ciò che troviamo fuori dall’antropocentrismo, ovvero alla periferia una volta che abbiamo issato
il centro sul nostro asse, provoca un riordinamento all’interno del campo; si devono riassegnare certi valori di verità ad
alcune nostre proposizioni. Una nuova valutazione di certe
proposizioni implica una nuova valutazione di altre a causa
delle loro reciproche connessioni: la rottura dei due dogmi
dell’antropocentrismo mette in discussione l’intero sistemamondo della ilosoia. Ogni proposizione avente signiicato
deve essere traducibile in una proposizione (vera o falsa che
sia) su esperienze non antropocentriche: o in senso comparativo, per dire che una cosa vale all’interno del nostro dominio ma non all’esterno (di fatto relativizzandola), oppure per
mostrare che anche fuori dal nostro dominio una determinata
entità può essere presa in considerazione. In questo senso
emerge anche l’idea che l’antropocentrismo sia una specie
di principio del contesto di ordine superiore, perché al suo
interno poi ne operano degli altri, con la prerogativa di essere
opaco (blind): chi lo utilizza non sa di utilizzarlo falsando,
de facto, i risultati di una ricerca (detto di passaggio: questa
ricerca pù essere la vita stessa).
In conclusione: se i due dogmi sono falsi, è falsa (o quantomeno falsiicabile) anche la maggior parte della metaisica contemporanea. L’antecedente del condizionale sembra
vero, e forse ha senso cominciare a provare e orientarsi nel
mondo guardandolo dal punto di vista del mondo38 stesso, e
non più dal nostro.
38 «Animality is plenty of animals, but not only animals» - su cosa possa
significare assumere il punto di vista di un non vivente si veda F. Cimatti,
“Ten theses on Animality”, in Lo Sguardo, N. 18, 2015 (II), pp. 41-59.
31