Martino Feyles
“Dove comincia il fuori”: memoria e tecnica in Derrida
Abstract: In Memoires: for Paul de Man Derrida analyses De Man’s interpretation of
some pages of Hegel’s Encyclopaedia. Hegel distinguishes two forms of memory: on the
one hand, recollection (Erinnerung), which presents the past in an intuitive form, and
on the other hand, memory (Gedächtnis), which is described as a psychic mechanism.
The relationship between these two forms of memory leads one to think that technique
is not only something that is outside consciousness, but also something that structures
the space of interiority. In particular, in Derrida’s texts we can find three arguments that
support the paradoxical hypothesis of an interiority of technique: in all three arguments
repetition is the essential problem. In order to analyse the relationship between memory
and technique it is therefore necessary to understand the meaning that repetition assumes in the psychic life of the subject.
La questione della memoria, nel suo legame essenziale con la questione della tecnica, appartiene necessariamente all’orizzonte dei problemi che la decostruzione tematizza. La scrittura – che in Della grammatologia viene presentata come il grande tema
rimosso che bisogna ripensare – appare innanzitutto come una “tecnica al servizio
della memoria”. Dunque ripensare la scrittura significa anche ripensare la tecnica,
ripensare la memoria e individuare il luogo della loro coappartenenza essenziale.
Più volte in Della grammatologia il termine “scrittura” viene sostituito dal termine “traccia”. Questa scelta terminologica è significativa e annuncia fin da subito la
complessa relazione tra “dentro” e “fuori” che vorrei analizzare in questo articolo.
Il termine “traccia” viene normalmente utilizzato per indicare i segni esteriori – per
lo più involontari – che rimandano a un evento passato, come le impronte, i resti,
le rovine. Ma il medesimo termine viene anche utilizzato all’interno di diversi linguaggi scientifici – psicologia, psicoanalisi, biologia – per nominare le iscrizioni che
vengono registrate “all’interno” del corpo di un vivente. In particolare si parla di
“tracce mnestiche” per indicare le modificazioni che si producono a livello cerebrale
nell’essere umano e in molti viventi, in occasione di una determinata esperienza. La
nozione di traccia si situa dunque tanto nella sfera dell’interiorità psichica e biologica, quanto nella sfera dell’esteriorità storica e sociale. Non è strano, dunque, che
Derrida definisca la traccia come l’“archi-fenomeno della memoria”1. Si tratta di
capire perché questa archi-memoria sia essenzialmente legata alla tecnica.
1
J. Derrida, De la grammatologie, Minuit, Paris 1967; tr. it. di R. Balzarotti et al., Della
grammatologia, Jaca Book, Milano 2006, p. 104.
Mechane, n. 2, 2021 • Mimesis Edizioni, Milano-Udine Web: mimesisjournals.com/ojs/index.php/mechane
• ISBN: 9788857589282 • ISSN: 2784-9961
© 2021 – MIM EDIZIONI SRL. This is an open access article distributed under the terms of the Creative Commons Attribution License (CC-BY-4.0).
140
MARTINO FEYLES
MECHANE
1. La distinzione hegeliana tra Erinnerung e Gedächtnis
Memorie per Paul de Man è il testo in cui più sistematicamente Derrida riflette
sulla parola “memoria”. Una parte importante del testo è dedicata al commento
di un saggio di Paul de Man su Hegel. Per comprendere la memoria dal punto di
vista grammatologico, bisogna avere la pazienza di leggere Derrida che legge De
Man che legge Hegel. È quasi superfluo notare quanto questo intrico testuale sia
tipico dello stile decostruzionista.
Nell’Enciclopedia, dunque, Hegel distingue Erinnerung e Gedächtnis. Con il termine
“Erinnerung” viene designato il ricordo, concepito come riproduzione di un’immagine sensibile esperita in precedenza. In questo senso la nozione hegeliana di Erinnerung
corrisponde a ciò che in termini fenomenologici si chiamerebbe “rimemorazione”,
cioè la presentificazione di un atto intuitivo passato. Con il termine “Gedächtnis”, invece, viene nominata nell’Enciclopedia una capacità dello spirito molto diversa, che non
è legata all’intuizione e che è “priva di immagine”2. Occorre innanzitutto rilevare la
posizione sistematica che l’Enciclopedia attribuisce a questa memoria senza immagini.
L’analisi del Gedächtnis (§§ 460-464) segue la trattazione dedicata al segno e al linguaggio (§ 458) e precede la trattazione dell’intelligenza che è ormai diventata pensiero (§
465). Questa posizione all’interno del sistema hegeliano è importante per due ragioni.
In primo luogo perché, all’interno dello “spirito teoretico”, il Gedächtnis appare come
un momento superiore rispetto all’Erinnerung, che è la prima figura della “rappresentazione”: il Gedächtnis, infatti, assicura il passaggio dall’intuizione al pensiero. In
secondo luogo è significativo che il Gedächtnis sia pensato da Hegel come una capacità
spirituale essenzialmente legata ai segni e al linguaggio. Se l’Erinnerung è la capacità
di presentificarsi nuovamente un’esperienza percettiva, il Gedächtnis è la memoria che
“ritiene il nome”, è la memoria che rende possibile l’uso del linguaggio.
Nel nome “leone” noi non abbiamo bisogno né dell’intuizione di questo animale, e
neppure dell’immagine: il nome, in quanto noi lo comprendiamo, è la rappresentazione
semplice, priva di immagine. È nel nome che noi pensiamo3.
La parola “leone” è associata a un determinato significato in virtù di una memoria. Senza questo legame mnestico non solo non potremmo comprendere alcun linguaggio, ma non potremmo nemmeno pensare (“è nel nome che noi pensiamo”).
Non a caso l’Enciclopedia presenta l’esempio dell’apprendimento di una lingua
straniera. Per imparare un lingua bisogna memorizzare un complesso sistema di
corrispondenze tra segni e significati e solo così “nell’udire e nel vedere una parola
di una lingua straniera, il suo significato ci diviene ben presente”4.
2
G. W. F. Hegel, Die Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, a cura di Fr.
Nicolin e O. Pöggeler, Hamburg, Meiner 1975; tr. it. a cura di A. Bosi, Enciclopedia delle scienze
filosofiche in compendio, vol. III: “Filosofia dello spirito”, U.T.E.T., Torino 2000, p. 329.
3
Ibidem.
4
Ivi, p. 328.
MECHANE
“DOVE COMINCIA IL FUORI”: MEMORIA E TECNICA IN DERRIDA
141
De Man legge questi paragrafi dell’Enciclopedia in una prospettiva grammatologica. Che cos’è questa memoria legata ai segni e priva di immagini, che è condizione di
possibilità di ogni linguaggio? È un altro nome per ciò che Derrida chiama “scrittura”.
Memory, for Hegel, is the learning by rote of names, or of words considered as names,
and it can therefore not be separated from the notation, the inscription, or the writing
down of these names. In order to remember, one is forced to write down what one is
likely to forget. The idea, in other words, makes its sensory appearance, in Hegel, as the
material inscription of names. Thought is entirely dependent on a mental faculty that is
mechanical through and through, as remote as can be from the sounds and the images
of the imagination or from the dark mine of recollection, which lies beyond the reach
of words and of thought5.
Nell’interpretazione di de Man l’accento cade sulla parola “mechanical”. Hegel sottolinea il carattere meccanico della memorizzazione necessaria per imparare
una lingua. Addirittura il § 463 sembra contrapporre memoria e significato: “è
noto che si è imparato bene a memoria un testo solo quando non si pensa più
al senso delle parole”6. Qui il significato appare quasi come un intralcio per la
memorizzazione. Sembrerebbe chiaro, dunque, che il Gedächtnis si esercita senza
immagini e per certi versi anche indipendentemente dal significato.
Il carattere meccanico del procedimento di questa iscrizione emerge in modo
ancora più forte nel § 195. È strano che Sign and symbol in Hegel Aesthetics non
analizzi questo paragrafo, in cui la pertinenza dell’ipotesi interpretativa di de Man
si documenta con forza. Il paragrafo è dedicato alla nozione di “meccanismo”. In
primo luogo tale nozione si applica alla conoscenza della realtà oggettiva – come
è ovvio – secondo un punto di vista che considera le cose come esterne le une alle
altre, in base alle loro azioni e reazioni in termini di urti, pressioni, ecc. Ma Hegel
– l’idealista per antonomasia, il filosofo dello spirito – riconosce che esiste anche
un meccanismo nello psichico.
Si parla giustamente del meccanismo della memoria e di ogni altra sorta di occupazioni meccaniche, come, per es., leggere, scrivere, suonare, ecc. Per quanto riguarda più
precisamente la memoria, il carattere meccanico di tale comportamento ne costituisce
addirittura l’essenza […]. Tuttavia mostrerebbe di essere un cattivo psicologo chi, per
spiegare a fondo la natura della memoria, si rifugiasse nella meccanica, e volesse applicarne senz’altro le leggi all’anima. Il carattere meccanico della memoria consiste proprio soltanto nel fatto che in essa certi segni, certi suoni, ecc., sono colti nel loro nesso
soltanto esterno, senza che sia necessario rivolgere espressamente l’attenzione al loro
significato e al loro nesso interno7.
5
P. de Man, Sign and Symbol in Hegel’s Aesthetics, in Id., Aesthetic Ideology, University
of Minnesota Press, Minneapolis /London 1997, p. 102.
6
G. W. F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, vol. III, cit., p. 331.
7
G. W. F. Hegel, Die Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften, cit.; tr. it. a cura
142
MARTINO FEYLES
MECHANE
Il fatto che Hegel riconosca che c’è una dimensione meccanica nello psichico e
subito dopo precisi che solo “un cattivo psicologo” potrebbe pensare di applicare
dei principi meccanici all’anima, può apparire come una sorta di denegazione teoretica. In ogni caso questo paragrafo conferma la lettura di de Man: a differenza
dell’Erinnerung, il Gedächtnis appare come un meccanismo psichico.
2. L’essenza della tecnica è qualcosa di tecnico
Rileggendo il saggio su Hegel di de Man, Derrida ritrova una tesi che aveva già
sostenuto in La farmacia di Platone. Platone e Hegel, nonostante tutte le differenze,
sembrano condividere il medesimo atteggiamento dei confronti della tecnica. Nel
Fedro Platone distingue μνήμη e ὑπόμνησις. Il celebre mito sull’origine della scrittura si fonda su questa contrapposizione. La scrittura viene presentata come un
farmaco ipomnestico, che compromette la memoria autentica (μνήμη), invece di
guarirla. La diagnosi proposta nel Fedro suppone la percezione della tecnica come
una minaccia: il farmaco-scrittura porta a un’atrofizzazione delle capacità cognitive, perché gli uomini, una volta che hanno imparato a scrivere, si disabituano ad
usare la vera memoria. “Sapendo che si può affidare o abbandonare i suoi pensieri
al fuori, alla registrazione, alle tracce fisiche, spaziali e superficiali, che si estendono
su un tavoletta, colui che disporrà della scrittura, si rimetterà ad essa”8. Questa diagnosi non avrebbe senso senza la preliminare contrapposizione tra una memoria
autentica – di cui si dà per scontata l’interiorità – e una memoria supplementare e
pericolosa, che è “estranea” in quanto viene “dal di fuori”: “fidandosi della scrittura [gli uomini] si abitueranno a ricordare dal di fuori [έξωθεν] mediante segni
estranei [ύπ’ άλλοτρίων τύπων], non dal di dentro [ένδοθεν] e da se stessi”9.
Per Derrida l’atteggiamento di Platone nei confronti della scrittura si fonda su
una presupposizione contradditoria: la tecnica è qualcosa di estraneo allo spirito
autentico, ma nello stesso tempo (e paradossalmente) la tecnica agisce negativamente sulla psiche. Platone condanna la scrittura, ma ammette suo malgrado che
essa abbia un’efficacia cognitiva e psicologica. “Benché la scrittura sia esteriore alla
memoria (interiore), benché l’ipomnesia non sia la memoria, la colpisce e la ipnotizza nel suo dentro. Tale è l’effetto di questo pharmakon”10. Per Derrida il fatto
che Platone percepisca la scrittura come una minaccia è una prova della contaminazione originaria tra il dentro e il fuori. Come potrebbe l’invenzione di una certa
tecnica, cioè l’invenzione della scrittura, deteriorare le abilità cognitive umane, se
queste abilità fossero davvero indipendenti rispetto a ogni tecnica? A un livello
di V. Verra, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, vol. I: “La scienza della logica”,
U.T.E.T., Torino 1981, p. 424.
8
J. Derrida, La pharmacie de Platon, in La dissémination, Seuil, Paris 1972; tr. it. di R.
Balzarotti, La farmacia di Platone, Jaca Book, Milano 1985, p. 96.
9
Platone, Fedro, tr. it. di G. Reale, Bompiani, Milano 2018, 275a, p. 197.
10
J. Derrida, La farmacia di Platone, cit., p. 102.
MECHANE
“DOVE COMINCIA IL FUORI”: MEMORIA E TECNICA IN DERRIDA
143
molto generale potremmo dire: se la scrittura ha cambiato la cultura greca – che
prima era una cultura orale, fondata su forme artistiche, intellettuali e sociali del
tutto diverse – allora i mutamenti tecnici hanno un impatto culturale, cognitivo,
sociale, ecc. Dunque Platone condanna la scrittura sostenendo che il mutamento
che produce è negativo, ma questa condanna è nello stesso tempo il riconoscimento che il presupposto su cui si fonda la condanna stessa (il presupposto della
purezza originaria della vita psichica) è insostenibile.
La medesima contrapposizione tra due memorie si ritrova anche nella lettura di
Hegel proposta da De Man. Anche in questo caso per Derrida il problema è la “supposta opposizione tra l’interiorità della memoria e l’esteriorità (grafica, spaziale, tecnica) della memoria al maschile (du mémoire) o delle memorie intese come archivi,
documenti, atti, ecc.”11. Decostruire questa opposizione significa aprire la strada per
un pensiero in cui il rapporto tra la tecnica e l’umano si pone in modo completamente differente. “Dove risiede – si domanda Derrida – la forza provocatrice dell’interpretazione demaniana?”. Nel mostrare, secondo il tipico stile della decostruzione,
cioè rovesciando la tesi opposta, “l’unità del pensiero e della tecnica”12.
Questa unità è la vera posta in gioco della decostruzione del testo platonico
proposta da Derrida e della decostruzione del testo hegeliano proposta da de Man.
Solo riconoscendo l’unità essenziale del pensiero e della tecnica, diventa possibile
comprendere i mutamenti straordinari che caratterizzano la nostra epoca. Se il
pensiero è sempre in debito con la tecnica, “l’immensa questione della memoria
artificiale e delle modalità moderne di archiviazione” – cioè l’immensa questione
del digitale, della rete, ecc. – deve apparire come un problema che “coinvolge la totalità del nostro rapporto con il mondo”13. Come la cultura greca è cambiata completamente non tanto in forza del colpo di genio di un pensatore o di un artista,
ma in seguito all’invenzione della scrittura, allo stesso modo la nostra cultura sta
cambiando in seguito a una rivoluzione nelle tecniche di scrittura e archiviazione.
Tutto ciò porta Derrida a prendere le distanze da Heidegger. Questa presa di
distanza è significativa perché la decostruzione deve molto al pensiero heideggeriano. Eppure, anche in Heidegger riemergono la contrapposizione binaria e la
gerarchizzazione che strutturavano gli argomenti di Platone e di Hegel. Derrida in
Memorie per Paul de Man si richiama in particolare alla conferenza Cosa significa
pensare?. In quella conferenza Heidegger, lavorando sull’etimologia della parola
“Gedächtnis”, stabilisce un nesso essenziale tra la memoria e il pensiero autentico.
“La memoria è il raccogliersi del pensiero”14. Per questa ragione un pensiero au-
11
J. Derrida, Mémoires pour Paul De Man, Galilée, Paris 1988; tr. it. di S. Petrosino,
Memorie per Paul de Man, Jaca Book, Milano 1995, p. 89.
12
Ivi, p. 89.
13
Ivi, p. 90.
14
M. Heidegger, Was heißt Denken?, in Vorträge und Aufsätze, Günther Neske, Pfullingen 1954 (GA VII); tr. it. di G. Vattimo, Che cosa significa pensare, in Saggi e discorsi, Mursia,
Milano 1976, p. 85.
144
MARTINO FEYLES
MECHANE
tentico è sempre un “pensiero rimemorante”15. Ma il pensiero rimemorante viene
contrapposto alla scienza, concepita come pseudopensiero. Da qui la celebre sentenza heideggeriana: “la scienza non pensa”16.
Ma perché la scienza non pensa? Perché – risponde Derrida – la scienza calcola,
si serve degli strumenti, ha un debito con la tecnica. In diversi luoghi Heidegger
associa la scienza moderna e la tecnica. L’esclusione della scienza dal dominio del
pensiero autentico è anche un’esclusione della tecnica, anzi è motivata innanzitutto
dal rifiuto della tecnica. Rovesciare questo rifiuto, significa riconoscere che il legame tra il pensiero e la tecnica è strutturale: “Almeno in questo la decostruzione
non è ‘heideggeriana’: se la scienza può pensare, l’essenza della tecnica e il pensiero
di questa essenza conservano qualcosa di tecnico”17.
La conferenza La questione della tecnica di Heidegger si apre con una distinzione di principio:
La tecnica non si identifica con l’essenza della tecnica. Quando cerchiamo l’essenza
dell’albero non possiamo non accorgerci che ciò che governa ogni albero in quanto
albero non è a sua volta un albero che si possa incontrare tra gli alberi come uno di essi.
Allo stesso modo anche l’essenza della tecnica non è affatto qualcosa di tecnico18.
Per Heidegger il pensiero che pensa le essenze rimane un pensiero puro, libero
da ogni contaminazione con l’esteriorità, la strumentalità, il calcolo, la meccanicità.
Ma “questa purezza invocata da Heidegger è proprio ciò che si decostruisce”19. In
realtà il pensiero, come la memoria, è sempre strutturalmente tecnico.
3. La macchina e la ripetizione
Benché sia chiaro che per la decostruzione il problema della tecnica non è un
problema tra gli altri20, è difficile trovare un testo di Derrida che affronti direttamente tale problema. Per delle ragioni di principio in una prospettiva decostruzionista non è possibile dare una definizione rigorosa della tecnica. Tuttavia
alcune indicazioni preziose sono contenute in Papier Machine. Anche in Papier
machine viene decostruita la contrapposizione binaria tra due termini, ma in
questo caso non si tratta più dell’Erinnerung e del Gedächtnis, o del pensiero e
della tecnica; in questo caso la relazione che viene interrogata è quella tra l’evento e la macchina.
15
Ivi, p. 86.
16
Ivi, p. 88.
17
J. Derrida, Memorie per Paul de Man, cit., p. 112.
18
M. Heidegger, Die Frage nach der Technik, in Vorträge und Aufsätze, cit.; tr. it. di G.
Vattimo, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, cit., p. 5.
19
J. Derrida, Memorie per Paul de Man, cit., p. 112.
20
Cfr. ivi, p. 32.
MECHANE
“DOVE COMINCIA IL FUORI”: MEMORIA E TECNICA IN DERRIDA
145
Pourrons-nous un jour, et d’un seul mouvement, ajointer une pensée de l’événement
avec la pensée de la machine ? Pourrons-nous penser, ce qui s’appelle penser, d’un
seul et même coup et ce qui arrive (on nomme cela un événement), et, d’autre part, la
programmation calculable d’une répétition automatique (on nomme cela une machiné)?21
Ancora una volta si tratta di tenere insieme due concetti apparentemente antinomici. Ma la terminologia che Derrida usa in questo testo lo porta a ripensare i
termini della contrapposizione. Ciò che si contrappone alla macchina, non è più
semplicemente lo psichico, o la coscienza, o il pensiero, ma l’evento. L’evento è
l’incalcolabile, l’imprevedibile, ciò che non può essere anticipato. Al contrario la
macchina viene definita più volte come ciò che si ripete automaticamente. Il concetto di macchina con cui Derrida lavora
impliquerait au moins les prédicats suivants: une certaine matérialité, qui n’est
pas nécessairement une corporéité, une certaine technicité, la programmation, la
répétition ou l’itérabilité, la coupure ou l’indépendance au regard de tout sujet vivant –
psychologique, sociologique, transcendantal, voire humain22.
La macchina è tecnica perché ripete sempre la medesima operazione. La macchina obbedisce a un programma che è sostanzialmente un meccanismo di iterazioni regolate. Dunque la nozione che appare come il centro di gravità teorico
intorno a cui si dispongono i predicati della tecnicità è la nozione di ripetizione.
Se le cose stanno così, si capisce più chiaramente perché la macchina debba
essere pensata insieme all’evento. Ma soprattutto si capisce più chiaramente qual
è il nesso che unisce memoria e tecnica. In effetti la ripetizione struttura la vita
psichica, determina in diversi modi l’accadere degli eventi coscienti. Seguendo
Derrida vorrei mostrare che vi sono almeno tre prospettive [a) fenomenologica; b)
psicoanalitica; c) semiotica] a partire dalle quali è possibile “dimostrare” che gli
eventi coscienti sono sempre in relazione con un meccanismo di ripetizione. Se volessimo sistematizzare l’asistematico pensiero derridiano, se volessimo ricondurlo
a uno schema argomentativo analitico, potremmo dire che a queste tre prospettive
corrispondono tre argomenti, che sostengono la tesi generale della contaminazione
tra interiorità ed esteriorità. Nella parte finale di questo articolo vorrei ricostruire
sinteticamente il senso di questi tre argomenti e mostrare che in ognuno di questi
argomenti è in questione un problema legato alla memoria.
4. L’argomento fenomenologico: la ritenzione come traccia
a) Nel capitolo V de La voce e il fenomeno Derrida rilegge le celebri Lezioni sulla
coscienza interna del tempo. In queste lezioni Husserl introduce la nozione di ri21
22
J. Derrida, Papier Machine, Galilée, Paris 2001, p. 34.
Ivi, p. 114.
146
MARTINO FEYLES
MECHANE
tenzione per rendere conto dell’apertura temporale della coscienza. La ritenzione,
o “ricordo primario”, è descritta come una forma di memoria distinta dal ricordo
vero e proprio, che Husserl chiama “rimemorazione”23. A differenza della rimemorazione, la ritenzione è una memoria che lavora già nel presente e che è necessaria
per percepire qualsiasi oggetto che abbia una durata. Ma soprattutto, a differenza
della rimemorazione, la ritenzione è una memoria che ha la stessa evidenza propria
dell’“impressione originaria”, cioè della sensazione che è data nell’ora puntuale.
La lettura derridiana mira a dimostrare – non senza una certa forzatura della
lettera del testo husserliano – che la certezza della percezione, che la ritenzione dovrebbe garantire, è in realtà un mito. Se il presente vivente, luogo di ogni evidenza
fenomenologica, è una sintesi dell’impressione originaria e degli istanti ritenuti,
allora la percezione è sempre una composizione, cioè una contaminazione tra ciò
che è presente in senso stretto (il contenuto dato nell’impressione originaria) e ciò
che non è effettivamente presente (il contenuto dato nella ritenzione).
Ci si accorge allora molto in fretta che la presenza del presente percepito può apparire
come tale solo nella misura in cui si compone continuamente con una non-presenza ed
una non percezione, cioè il ricordo e l’attesa primari (ritenzione e protenzione)24.
Anche se Husserl stabilisce una differenza di principio tra la ritenzione – che è
ancora un momento del darsi originario del percepito – e la presentificazione, per
Derrida il contenuto dato nella ritenzione in realtà è un contenuto non presente. Ora,
lo strumento con cui la coscienza si relaziona alla non-presenza è il segno. Il segno è
ciò che ci mette in rapporto con qualcosa che non è dato in senso stretto, qualcosa che
non è effettivamente “sotto i nostri occhi”. Dunque la ritenzione, nell’interpretazione
di Derrida, è un una sorta di segno che lavora all’interno della dinamica percettiva: dal
punto di vista decostruzionista è necessario “assimilare la necessità della ritenzione e
la necessità del segno”25. Questo significa che la percezione è in realtà una sintesi di
tracce, che rendono presente qualcosa che non è più effettivamente dato.
Senza ridurre l’abisso che può in effetti separare la ritenzione dalla ri-presentazione
[…] si deve poter dire a priori che la loro radice comune, la possibilità della ri-petizione
sotto la sua forma più generale, la traccia nel senso più universale, è una possibilità che
deve non solo abitare la pura attualità dell’adesso, ma costituirla con il movimento stesso della dif-ferenza che essa vi introduce26.
23
E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917 (Hua X),
M. Nijhoff, Den Haag 1966, tr. it. di A. Marini, Per la fenomenologia della coscienza interna del
tempo, Franco Angeli, Milano 2001, p. 69.
24
J. Derrida, La voix et le phénomène, P.U.F., Paris 1967; tr. it. di G. Dalmasso, La voce e
il fenomeno, Jaca Book, Milano 2001, pp. 99-100.
25
Ivi, p. 101.
26
Ivi, p. 103.
MECHANE
“DOVE COMINCIA IL FUORI”: MEMORIA E TECNICA IN DERRIDA
147
Si noterà che in questo passaggio “la traccia nel senso più universale” viene
identificata con la “ripetizione sotto la sua forma più generale”. Dal punto di vista
derridiano la ritenzione è la ripetizione di un istante-ora che non è più attuale in
senso stretto. Ma la ripetizione non è l’originale. Husserl non avrebbe mai potuto
accettare l’interpretazione derridiana che considera la ritenzione come una modalità peculiare della ripetizione. Dal punto di vista husserliano la ritenzione è un
elemento costitutivo della percezione e poiché la percezione è l’atto intuitivo che
dà le cose in originale, non è possibile che la ritenzione sia un segno o una traccia.
In effetti, questa interpretazione del significato della ritenzione ha delle conseguenze destabilizzanti dal punto di vista epistemologico. Derrida evidenzia in
modo molto chiaro il ruolo strategico della ritenzione nell’edificio teorico fenomenologico. Dalla ritenzione dipende la rimemorazione, cioè il ricordo intuitivo. A
sua volta la rimemorazione è la condizione di possibilità della fantasia, che Husserl
concepisce come la neutralizzazione del ricordo. Dunque tutta l’esperienza intuitiva del soggetto dipende in qualche modo dalla ritenzione. Non solo. Poiché
l’identità personale dipende dalla memoria, anche la vita spirituale, la vita del soggetto-persona, ha un radicamento essenziale nella ritenzione. Infine la ritenzione
è la condizione di possibilità della riflessione, cioè del ripiegamento su stessa della
coscienza che si osserva. L’osservazione fenomenologica non sarebbe possibile se i
vissuti che si presentano nella riflessione non fossero assolutamente certi.
Si capisce allora che sostenere che la ritenzione sia una forma peculiare di ripetizione significa sostenere che nella vita della coscienza, nell’esistenza spirituale
di un soggetto e in tutta la riflessione fenomenologica non abbiamo mai a che fare
con le cose in se stesse, con l’esperienza nella sua versione “originale”. Ma significa anche sostenere che una certa tecnicità è intrinsecamente legata all’esperienza
che la fenomenologia descrive27. Se la tecnica è essenzialmente ripetizione e se la
ritenzione è una forma di ripetizione, la vita cosciente è interamente fondata sul
medesimo principio che rende possibile, tra le altre cose, la costruzione di un oggetto tecnico: l’iterabilità28.
27
Stiegler ha ripreso l’interpretazione derridiana della nozione di ritenzione, sviluppando in modo sistematico la questione del rapporto tra memoria e tecnica. Utilizzando un linguaggio husserliano, Stiegler chiama “ritenzione terziara” “toute forme de souvenir ‘objectif’”
(B. Stiegler, La technique et le temps, vol. III: “Le temps du cinéma et la question du mal-etre”,
Galilée, Paris 2001, p. 54). Non posso qui analizzare questa nozione, assai significativa, ma anche
problematica: per un’analisi del pensiero di Stiegler con particolare riferimento alla questione
del rapporto tra tecnica e memoria si veda M. Feyles, Ipomnesi. La memoria e l’archivio, Rubettino, Soveria Mannelli 2013, cap. 3.
28
Si potrebbe mostrare – ma qui non ne ho modo – che questo è anche un argomento
fondamentale dell’Introduzione a “L’origine della geometria”, dove Derrida sostiene che l’iterabilità è la condizione di possibilità dell’idealità. Cfr. J. Derrida, Introduction à «L’origine de la
geometrie», P.U.F., Paris 1962; tr. it. di C. Di Martino, Introduzione a “L’origine della geometria”
di Husserl, Jaca Book, Milano 2008, pp. 141 e ss.
148
MARTINO FEYLES
MECHANE
5. L’argomento psicoanalitico: l’inconscio come archivio e la coazione a
ripetere
b) Già ne L’Interpretazione dei sogni Freud spiega che l’inconscio è una forma di
memoria29. Tuttavia la definizione dell’inconscio contraddice apertamente la nozione fenomenologica di memoria. Fenomenologicamente la memoria è la coscienza
del passato, ma l’inconscio è proprio ciò che non può diventare cosciente. A rigore, dunque, l’inconscio dovrebbe essere pensato non come una memoria, ma come
un archivio. Gli eventi rimossi lasciano delle tracce nella psiche del soggetto, ma
queste tracce non possono divenire coscienti: dunque il rimosso si inscrive grazie
a un meccanismo di registrazione che somiglia più alla scrittura in quanto tecnica
che non alla memoria in quanto coscienza del passato30. Per questo Derrida sostiene che la psicoanalisi abbia apportato un cambiamento definitivo alla riflessione
sulla nozione di archivio:
[…] Freud ha reso possibile il pensiero di un archivio propriamente detto, di un archivio ipomnestico o tecnico, del supporto o della superficie di sostegno (materiale e
virtuale) che, in quello che è già uno spaziamento psichico, non si riduce alla memoria31.
Normalmente la distinzione tra memoria e archivio è regolata dalla contrapposizione tra dentro e fuori. La memoria è per definizione interna e l’archivio è per definizione esterno. La psicoanalisi destabilizza questa contrapposizione: l’inconscio appare come un archivio che però è interno. Questa nozione paradossale di “archivio
interno” implica un ripensamento della questione della tecnica. Se esiste un archivio
interno e se l’archiviazione implica sempre una tecnica di iscrizione, allora l’interiorità della psiche è strutturata come uno “spazio” in cui ha luogo una scrittura.
Come abbiamo già avuto modo di notare, la nozione classica di “traccia mnestica” implica già il rimando all’idea di una scrittura psichica32. Ma finché si considera
la memoria dal punto di vista fenomenologico, cioè finché si considera la memoria come coscienza del passato, questo rimando alla nozione di scrittura sembra
rimanere semplicemente analogico: la memoria appare come una scrittura. Con
la nozione freudiana di inconscio la prospettiva cambia: la rimozione non è semplicemente come una registrazione; la rimozione è letteralmente una registrazione.
29
Cfr. S. Freud, Die Traumdeutung, Franz Deuticke, Leipzig-Wien, 1900; tr. it. di A.
Ravazzolo, L’interpretazione dei sogni, Newton Compton, Roma 2007, pp. 396 e ss.
30
J. Derrida, Freud et la scène de l’écriture, in Id., L’écriture et la différence, Seuil, Paris
1967; tr. it. di G. Pozzi, Freud e la scena della scrittura, in Id., La scrittura e la differenza, Einaudi,
Torino 2002, p. 258.
31
J. Derrida, Mal d’archive. Une impression freudienne, Galilée, Paris 1995; tr. it. di G.
Scibilia, Mal d’archivio. Un’impressione freudiana, Filema, Napoli 2005, p. 112.
32
Derrida analizza questo problema anche il La doppia seduta, facendo riferimento alla
metafora dello scrivano interiore, che Platone usa nel Filebo. Cfr. J. Derrida, La double séance, in
La Dissémination, Seuil, Paris 1972; tr. it. di S. Petrosino e M. Odorici, La doppia seduta (1970),
in Id. La disseminazione, Jaca Book, Milano 1989, pp. 201 e ss.
MECHANE
“DOVE COMINCIA IL FUORI”: MEMORIA E TECNICA IN DERRIDA
149
La rimozione-archiviazione è propriamente meccanica perché si produce senza la
partecipazione attiva del soggetto cosciente.
Queste considerazioni sull’equivalenza tra la nozione di inconscio e la nozione
(paradossale) di archivio psichico, vanno affiancate alle considerazioni sul ruolo
che la ripetizione gioca all’interno del paradigma teorico freudiano33. Come è noto,
Freud, in Al di là del principio di piacere, ipotizza che ci sia un principio ulteriore
che regola gli accadimenti psichici, oltre al principio di piacere. Questo principio
viene nominato “coazione a ripetere”. Per ragioni di economia testuale non posso
qui ricostruire, nemmeno per sommi capi, i passaggi fondamentali della magistrale lettura di Al di là del principio di piacere proposta da Derrida34. Mi interessa
però annotare due osservazioni a proposito delle analisi freudiane. In primo luogo
Freud arriva a sostenere, dopo un percorso teorico tortuoso, che la ripetizione è
la struttura fondamentale di ogni pulsione. La pulsione ha una struttura ripetitiva,
perché mira “a ripristinare uno stato precedente”35 ristabilendo un equilibrio che
si è perduto. Poiché questa spinta regressiva non è valida solo per le pulsioni di
morte, ma anche per le pulsioni di vita, e poiché le pulsioni sono il motore della
vita psichica, si può dire che per Freud la ripetizione è il principio universale che
regola l’accadere psichico36.
In secondo luogo è necessario notare che il problema della ripetizione è direttamente collegato, anche all’interno del quadro teorico psicoanalitico, al problema
della memoria. Da questo punto di vista il testo più importante è Ricordare, ripetere,
rielaborare. Freud spiega in quel saggio che il paziente che soffre per via di una nevrosi “non ricorda assolutamente nulla degli elementi che ha dimenticato e rimosso,
e che piuttosto li mette in atto”37. Non potendo ricordare, ripete. Di conseguenza il
compito della psicoanalisi si configura come una sorta di superamento della ripetizione. Il cammino che il paziente percorre con lo psicoanalista implica la progressiva sostituzione della ripetizione con il ricordo. Ora come bisogna interpretare tutto
ciò in termini grammatologici? Sostituire il ricordo alla ripetizione significa in un
certo senso sostituire una memoria con un’altra, o meglio riscrivere altrimenti un
evento del proprio passato. In termini grammatologici potremmo dire che si tratta
di ri-archiviare, o di archiviare in modo diverso, le tracce del proprio passato.
È chiaro che questa interpretazione grammatologica della coazione a ripetere
implica una ridefinizione della questione della tecnica. Se la tecnica è definita dal
33
Cfr. J. Derrida, Résistances, Presses Universitaires du Mirail, Toulouse 1992, tr. it. di
M. Di Bartolo, Resistenze, Orthotes, Napoli-Salerno 2014, p. 97.
34
Cfr, J. Derrida, Spéculer – sur Freud, Flammarion, Paris 1980; tr. it. di L. Gazziero,
Speculare – su Freud, R. Cortina, Milano, 2000.
35
S. Freud, Jenseits des Lustprinzips [1920]; tr. it. di A. M. Marietti e R. Colorni, Al di là
del principio del piacere, Bollati Boringhieri, Torino 2007, p. 60.
36
Cfr. M. Feyles, Ipomnesi. La memoria e l’archivio, cit., pp. 298 e ss.
37
S. Freud, Erinnern, Wiederholen, und Durcharbeiten [1914], tr. it. Ricordare, ripetere e
rielaborare, in Opere 1912-1914, vol. 7: “Totem e tabù e altri scritti”, Bollati Boringhieri, Torino
1975, pp. 355.
150
MARTINO FEYLES
MECHANE
principio dell’iterabilità, il fatto che l’intera vita pulsionale sia regolata dalla ripetizione, impedisce di pensare che la tecnica abbia semplicemente a che fare con il
fuori, con la produzione di oggetti esteriori. L’iterabilità è la condizione dell’intera vita intuitiva del soggetto – come mostra l’interpretazione decostruttiva della
fenomenologia husserliana –; ma è anche la condizione di possibilità dell’intera
vita pulsionale del soggetto – come mostra l’interpretazione decostruttiva della
psicoanalisi freudiana. Questo significa che il principio fondamentale della tecnica struttura, in modo “quasi trascendentale”38, l’intero orizzonte dell’esperienza
soggettiva.
6. L’argomento semiotico: il segno implica l’iterabilità
Proprio come la fenomenologia e la psicoanalisi, anche la semiotica ha un legame essenziale con la grammatologia. “Scrittura”, nel senso generalissimo che Della
grammatologia dà a questo termine, è un altro nome per ciò che i semiotici chiamano “significante”. Ora, la semiotica insegna che un significante per poter rimandare
a un significato, deve sempre implicare un codice. Il codice è un sistema di regole
che registra e istituisce i legami tra una serie di significanti e una serie di significati
(che non sono già dati prima dei significanti). Per esempio il codice della lingua
italiana stabilisce che i segno grafici “cane” e “CANE” sono equivalenti, perché rimandano alla medesima serie (aperta) di significati, mentre il segno grafico “gatto”
rimanda a una serie di significati diversa. Cos’è dunque un codice in una prospettiva
grammatologica? Un codice è un sistema di iterazioni possibili. Infatti Derrida stabilisce un nesso quasi trascendentale tra l’iterabilità e il segno in generale.
Ciò implica che non vi sia codice – organon di iterabilità – che sia strutturalmente segreto. La possibilità di ripetere e dunque di identificare i marchi è implicita in ogni codice
e fa di esso una griglia comunicabile, trasmissibile, decifrabile, iterabile per un terzo,
quindi per ogni utente in generale39.
La possibilità della ripetizione è una condizione necessaria perché il segno possa
sussistere. Di fatto, nella maggior parte dei casi, i significanti possono essere riprodotti in diversi contesti e continuare ad avere (quasi) lo stesso valore: per esempio
la parola “cane” può essere ripetuta nei più diversi contesti e ogni volta essa rimanda allo stesso significato (quasi lo stesso). Un parlante che non avesse familiarità
con l’italiano, potrebbe non comprendere il significato della parola “cane”. Un
parlante inglese – cioè un parlante che fa riferimento a un altro codice – pense38
J. Derrida, Limited Inc, Galilée, Paris 1990; tr. it. di N. Perullo, Limited Inc, R. Cortina,
Milano 1997, p. 192.
39
J. Derrida, Signature, événement, contexte, in Id., Marges de la philosophie, Éditions de
Minuit, Paris 1972; tr. it. a cura di M. Iofrida, Firma evento contesto, in Margini della filosofia,
Einaudi, Torino 1997, p. 404.
MECHANE
“DOVE COMINCIA IL FUORI”: MEMORIA E TECNICA IN DERRIDA
151
rebbe verosimilmente che con questa parola si intenda nominare un “bastone” o
una “canna”. Dunque il codice è ciò che garantisce il significato del significante,
rendendo possibile la ripetizione del segno in diversi contesti.
Per questa ragione un segno assolutamente privato, cioè un segno assolutamente irripetibile, non esiste dal punto di vista derridiano. Certamente io posso
immaginare una parola inventata – per esempio la parola “tranduo” – e posso
immaginare che tale parola abbia un significato solo per me, che rimandi a un codice assolutamente idiomatico e che serva per nominare l’indescrivibile sensazione
che sto provando ora. Ma dal punto di vista derridiano una parola del genere non
sarebbe veramente un segno, perché non potrebbe essere ripetuta da nessun altro
e nemmeno da me stesso e dunque non potrebbe essere compresa. Un segno può
funzionare solo se può essere interpretato, ma può essere interpretato solo se può
essere ripetuto.
Si profila così un ulteriore argomento in favore della decostruzione tra l’interiorità della psiche e l’esteriorità della tecnica. Un soggetto che è in grado di parlare
è un soggetto che ha “interiorizzato” un complesso sistema di codici. Se il codice è
un “organon di iterabilità”, e se l’iterabilità è ciò che definisce la tecnica, l’animale
linguistico è necessariamente un animale tecnico. Questa è la ragione per cui in Papier machine Derrida sovrappone più volte la nozione di “macchina” e la nozione
di “grammatica”40:
La machine ressemble [“is like”, je souligne encore] à une grammaire du texte quand
celle-ci est isolée de sa rhétorique, quand elle est l’élément purement formel sans lequel
aucun texte ne peut être produit41.
La grammatica è un codice che definisce le possibilità d’uso dei significanti linguistici che appartengono a una lingua storica. È un sistema di regole che prestabilisce
un orizzonte di iterazioni possibili. Per esempio la grammatica italiana stabilisce che
il significante “cane” non può essere preceduto dall’articolo femminile “la” e non
può fungere da soggetto per un verbo alla terza persona plurale. Le regole grammaticali definiscono la possibilità del parlante di ripetere il significante “cane” in differenti contesti. Ciò che bisogna notare, è che questo sistema di regole è puramente
“meccanico” ed è “interno” almeno quanto è “esterno”. Non abbiamo bisogno di
“pensare” alle regole grammaticali per parlare: normalmente non siamo coscienti di
queste regole e in certi casi possiamo addirittura ignorarle e, nonostante ciò, essere
40
Derrida aveva già sostenuto l’equivalenza tra la macchina e l’elemento formale della
testualità in Il pozzo e la piramide (J. Derrida, Le puits et la pyramide: Introduction à la sémiologie
de Hegel, in Id., Marges de la philosophie, cit.; tr. it. a cura di M. Iofrida, Il pozzo e la piramide,
in Margini della filosofia, cit., p. 151). L’analogia viene poi ulteriormente sviluppata nel libro su
Joyce, dove l’Ulisse e il Finnegans Wake sono paragonati ad una enorme “macchina ipermnestica” (J. Derrida, Ulysse gramophone: deux mots pour Joyce, Éditions Galilée, Paris 1987; tr. it. di
M. Ferraris, Ulisse grammofono. Due parole per Joyce (1987), il melangolo, Genova 2004, p. 80).
41
J. Derrida, Papier machine, cit., p. 74.
152
MARTINO FEYLES
MECHANE
in grado di esprimerci correttamente. Le regole grammaticali e in generale tutte le regole linguistiche, sono applicate dal parlante “meccanicamente”. Nello stesso tempo
è significativo che queste regole siano archiviate in una serie di supporti esterni (per
esempio i testi di grammatica) e però formalizzino una competenza linguistica che
è “interna”. La competenza linguistica è anche una struttura “mentale”, che rende
possibile ai parlanti di esprimersi; dunque è anche qualcosa di “interno”.
Ritroviamo, a questo punto, le analisi hegeliane. L’Enciclopedia, come abbiamo
visto, associava il Gedächtnis alla competenza linguistica. Grazie a questa memoria
meccanica siamo in grado di comprendere il significato della parola “leone” – così
argomentava Hegel – senza bisogno di visualizzare alcuna immagine, cioè senza bisogno di ricordare coscientemente alcunché. Lo stesso si può dire, ovviamente, per
tutti i nomi e per tutte le parole. Ma se è vero – come lo stesso Hegel nota – che “è
nel nome che noi pensiamo”, non si potrà più sostenere che l’essenza della tecnica
sia estranea al pensiero. In realtà senza la tecnicità di questa memoria meccanica,
non sapremmo formulare nemmeno un pensiero.