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(PDF) RISORGIMENTO E MEZZOGIORNO
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RISORGIMENTO E MEZZOGIORNO

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RISORGIMENTO E MEZZOGIORNO RASSEGNA DI STUDI STORICI Fondata da Matteo Fantasia Anno XXXIII ISBN 978-88-6194-595-1 ISNN 2038-5021 Nuova Serie Nn. 65-66 dicembre 2022 Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano Comitato di Bari Strada Boccapianola, 16, Bari Direttore Giuseppe Poli Comitato scientifico Raffaele Colapietra, Domenico Cofano, Vitonicola Di Bari, Andreas Gottsmann, Vito Antonio Leuzzi, Leandro Martínez Peñas, Francesco Mastroberti, Luciano Monzali, Nicola Neri, Massimiliano Pezzi, Carmine Pinto, Francesco Randazzo, Frank Schaefer, Pietro Sisto, Mario Spagnoletti, Stefano Vinci Direttore responsabile Nicola Roncone Comitato di redazione Dora Donofrio Del Vecchio, Federico Imperato, Gaia Masiello, Raffaele Macina, Gabriele Mastrolillo, Gaetano Morese, Federico Palmieri, Michele Pepe, Donato Rana, Giuseppe Spagnulo, Marco Trotta I contributi inseriti nella sezione “Saggi” di questo numero sono stati sottoposti a due referee anonimi estranei al comitato scientifico e al comitato di redazione con il sistema doppio cieco. Per l’invio di contributi utilizzare questo indirizzo mail: isriba519@gmail.com Autorizzazione Tribunale di Bari. Decreto n. 983 del 20 gennaio 1990 Editore Progedit – Progetti editoriali srl Via R. De Cesare, 15 – 70122 Bari Tel. 0805230627 Fax 08052337648 www.progedit.com e.mail: info@progedit.com www.facebook.com/ProgeditEditore © 2022 Progedit Prima edizione marzo 2023 Finito di stampare nel marzo 2023 presso Creative 3.0 srl Reggio Calabria – IT In copertina: Gaetano Salvemini con la prima moglie e i primi tre figli nell’agosto 1901 a San Donato in Collina. Salvemini è al centro, il braccio levato, con i figli Filippetto e Ilario Corradino, alla sinistra del suocero Corrado Minervini. In primo piano, seduta, Camilla Rosa Salvemini, sorella prediletta di Gaetano, e, all’estrema destra di chi guarda, la moglie, Giulia Maria Minervini, con il terzogenito Leonida sulle ginocchia. (dalla Mostra su Salvemini, Torino 1969). AvvertenzA Gli autori possono attingere al link https://www.progedit.com/wp-content/uploads/2020/12/ Norme-per-rivista-Risorgimento-e-Mezzogiorno.pdf alcune norme tipografiche ed editoriali che facilitino la stesura dei loro contributi. SOMMARIO Editoriale Giuseppe Poli L’attualità del Risorgimento 1 Stefano Vinci Giuseppe Capecelatro e la “democratizzazione” della città di Taranto nel 1799 3 Domenico Sacco Socialisti e cattolici nella Basilicata giolittiana: indirizzi di cultura e pratica riformista (Prima parte) 11 Marco Ignazio de Santis Giulia Maria Minervini, prima moglie di Gaetano Salvemini 31 Tommaso Russo Umane lettere e scienze nella formazione di Francesco Lomonaco 71 Marzia Casolari L’eredità di Mazzini, Garibaldi e del Risorgimento italiano nel nazionalismo indiano 89 Giuseppe Clemente Politica, affari e corruzione a Viesti nel 1848 101 Domenico Di Nuovo Le sei lettere di Tommaso Fiore a Nicola Damiani 118 Giuseppe Poli Marco Ignazio de Santis, Molfetta 1890-1894. Liberali, Monarchici, Repubblicani, Anarchici, Radicali, Socialisti e Cattolici ai tempi di mons. Corrado e della rivolta nel Seminario Vescovile, Quaderni dell’Archivio Diocesano di Molfetta – Ruvo – Giovinazzo – Terlizzi, La Nuova Mezzina, Molfetta 2020, pp. 510, s.i.p. 123 Gabriele Mastrolillo Rosarianna Romano, L’Italia vista dal Sud. Tommaso Fiore e Alessandro Leogrande, Prefazione di Vito A. Leuzzi, Edizioni Dal Sud, Bari 2022, pp. 125, € 14,00. 125 Saggi Fonti, archivi e biblioteche Note e discussioni Recensioni Tommaso Russo Ernesto Galli Della Loggia, Aldo Schiavone, Una profezia per l’Italia. Ritorno al Sud, Mondadori, Milano 2021, pp. 185, € 18,00. 128 Tommaso Russo Giuseppe Stolfi, La Basilicata senza scuole, Postfazione di Goffredo Fofi e saggio di Pietro Polito, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2022, pp. 108, € 18,00. 130 Tommaso Russo Nicola Acocella, Il Mezzogiorno nell’economia italiana. Dall’Unità alle prospettive contemporanee, Carocci, Roma 2021, pp. 155, € 15,00. 132 Domenico Sacco Giovanbattista Colangelo, Pietro Dell’Aquila, Tommaso Russo, Rosa Maria Salvia, Dalla Costituente allo Statuto regionale. Riflessioni sulla Basilicata del secondo dopoguerra, FrancoAngeli, Milano 2022, pp. 191, € 26,00. 134 Domenico Sacco Elena Vigilante, Il fascismo e il governo del “locale”. Partito e istituzioni in Basilicata 1921-1940, Prefazione di Guido Melis, il Mulino, Bologna 2021, pp. 207, € 19,00. 140 Vitonicola Di Bari Gabriele Mastrolillo, La dissidenza comunista italiana. Trockij e le origeni della Quarta Internazionale 1928-1938, Carocci, Roma 2022, pp. 242, € 27,00. 144 Donato Martucci Eugenio Imbriani, F come folklore, Progedit, Bari 2022, pp. 146, € 15,00. 148 Gianfranco Liberati 150 L’attività del Comitato barese durante la presidenza Fantasia – II parte (1989-94) 155 Soci scomparsi Pasquale Corsi Notiziario Giovanni Paparella Giuseppe Clemente POLITICA, AFFARI E CORRUZIONE A VIESTI NEL 1848 Nel 1848, approfittando dei rivolgimenti politici, la borghesia liberale del centro garganico, divisa in due fazioni dilaniate non tanto da contrasti ideologici, quanto dalla difesa di interessi privati, riprese a contendersi, senza esclusione di colpi, il potere nella città. Parole chiave: Politica, affari, corruzione In 1848 the gentry of the town in the Gargano sub-region, split in two factions fighting to protect their interests and taking advantages of a period of political upheavals, started a fight to regain control of the area. Keywords: Politics, business, corruption La Costituzione concessa da Ferdinando II il 29 gennaio 1848 e pubblicata il successivo 11 febbraio fu accolta in Capitanata, come in tutte le altre province del Regno, con il normale entusiasmo con cui, in genere, si accolgono le novità dalle quali si spera di ottenere benefici. E veramente sia i galantuomini che il “basso popolo” si aspettavano vantaggi dal nuovo ordine di cose, perciò, durante il periodo costituzionale la vita scorreva piuttosto tranquilla. La borghesia terriera che era riuscita ad accentrare nelle sue mani gran parte del demanio pubblico, che si era arricchita anche con usure e che deteneva il potere politico ed economico nella città si schierò su posizioni moderate. I galantuomini conducevano una vita agiata e potevano pure soddisfare le loro ambizioni politiche, occupando i posti chiave nelle amministrazioni locali, per raggiungere i quali facevano ricorso anche a mezzi, a dir poco, illeciti. Contenti del loro stato, rispettosi delle leggi, anzi zelanti nell’ubbidire alle disposizioni dell’intendente, quale rappresentante del potere borbonico dal quale si sentivano protetti, erano “poco amanti delle novità”. La loro principale cura era quella di mantenere e, se possibile, consolidare il loro status, perciò esigevano dalla Costituzione una polizia meno invadente, una cultura meno asservita al potere, ma soprattutto una riduzione dell’imposta fondiaria, un calo del dazio sulle esportazioni dell’olio e dei cereali, una più decisa autonomia dei decurionati comunali e un maggior potere politico dei consigli provinciali e distrettuali, che già occupavano saldamente. Tutto ciò per poter meglio resistere alle pressioni dei contadini che, a loro volta, dal regime costituzionale si attendevano un sollievo alla insostenibile miseria in cui erano Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici 102 costretti a vivere, un tenore di vita più dignitoso con l’attuazione del “comunismo”, inteso come spinta all’occupazione e alla ripartizione delle terre dei demani e dei latifondi. La Costituzione di Ferdinando II tradiva, però, tutte queste aspettative, perché “il potere esecutivo era esercitato dal re assieme alle due camere; le leggi per avere vigore dovevano ricevere la sanzione regia; una legge proposta dalle due camere e non sanzionata dal re non poteva essere ridiscussa nello stesso anno; la camera dei pari era di nomina regia, con un numero illimitato di membri a vita; al re spettava la nomina dei consiglieri di Stato, che avevano funzioni soltanto consultive; il re era il capo dell’esercito; aveva il potere di sciogliere la guardia nazionale, i cui ufficiali erano elettivi soltanto fino al grado di capitano; le convenzioni in atto per il servizio delle truppe straniere erano mantenute. Non era garantita la libertà di riunione e di associazione, né quella religiosa. Il censo, da fissarsi per legge, era la base della scelta dell’elettorato attivo e passivo”1. Non mancava tra “la plebe rurale” chi, esasperato, meditava di saccheggiare le case dei proprietari o di minacciare la proprietà privata, occupando e dissodando i fondi e il pericolo indusse i possidenti a mettere momentaneamente da parte le loro faide e le lotte per il potere e a far fronte comune contro ogni evenienza. La temuta sommossa del “basso popolo”, però, non ci fu e dagli avvenimenti del 15 maggio fino alla completa abolizione della Costituzione avvenuta il 13 marzo 1849, quando Ferdinando II diede inizio alla repressione, che portò inesorabilmente al soffocamento di ogni tentativo rivoluzionario, in Capitanata vi fu un graduale ritorno all’antico stato di cose. Diretta dal ministro di Polizia Gaetano Peccheneda2, la reazione raggiunse gli angoli più remoti del Regno delle Due Sicilie e i numerosi processi politici, celebrati presso le varie Gran Corti Criminali, fecero pagare a caro prezzo il desiderio di libertà dei patrioti3. I galantuomini, che nel frattempo da liberali erano tornati tutti fedeli sudditi borbonici, si sentirono più tranquilli e nei piccoli centri gli esponenti delle famiglie più in vista, approfittando del clima di tensione in cui si viveva, ripresero a contendersi il 1 A. Allocati, Napoli dal 1848 al 1860, in Storia di Napoli, vol. 5, ESI, Napoli 1976, p. 215. 2 Gaetano Peccheneda, ex massone, “noto per la sua estrema ferocia”, il 18 maggio 1849 dispose “che non potrà stabilirsi in Napoli alcun Gabinetto di lettura senza una speciale autorizzazione, che dovrà essere esibito all’autorità di Polizia un elenco di tutte le opere e giornali esposti al pubblico, che sono vietate le opere contrarie alla religione, alla morale ed al regime, nonché i giornali esteri dei quali è proibita l’introduzione nel Regno” (O. Gurgo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Napoli 2005, p. 355 e S. Vitali, a cura di, Fogli volanti di Napoli e Sicilia del 1848-49, Biblioteca di Storia moderna e contemporanea, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1956, p. 133). 3 In tutto il Regno delle Due Sicilie i condannati per i fatti del 1848 furono 850, di cui 47 a morte, tredici all’ergastolo e tutti gli altri ai ferri. In seguito le pene capitali furono commutate in 25 ergastoli e 22 condanne ai ferri (P. Ardito, Le avventure di Nicola Morra ex bandito pugliese, Stabilimento Tipografico Nicola Ghezzi, Monopoli 1896, Appendice). Note e discussioni 103 potere nella città. I “piccoli odi municipali” riemersero più violenti che mai e “angolosità o antipatie personali, remote inimicizie di parentado o recenti torti da appianare, pettegolezzi o fomentate ire da soddisfare, ogni bizza o qualsiasi rancore, trovarono adeguata estrinsecazione nella solita denuncia anonima, l’orribile, la vera arma di vendetta dei piccoli centri”4. In questo contesto vanno collocati i processi celebrati presso la Gran Corte Criminale di Lucera per i fatti accaduti nel 1848 in alcuni centri del Gargano come San Giovanni Rotondo, Monte Sant’Angelo, Sannicandro, Rodi e Viesti. Il procedimento penale a carico di numerosi cittadini di Viesti è forse quello che più degli altri desta interesse per le implicanze non solo di ordine politico, ma anche e soprattutto sociale ed economico, dalle quali scaturisce un vivace spaccato della vita nel centro costiero garganico intorno alla metà del secolo scorso. Nel 1849 Viesti contava 5.108 abitanti5 ed era una attiva cittadina, nonostante restasse piuttosto isolata dal resto della provincia sia per la sua posizione periferica che per la rilevante carenza di strade (per raggiungere Foggia occorrevano circa sedici ore di viaggio). La sua economia era basata principalmente sulla produzione di olio, di mandorle, di agrumi e di un particolare tipo di resina (la manna), la migliore che si potesse trovare nel Regno e ritenuta rimedio efficacissimo nella cura dei “mali del petto”6 e poi ancora su un ampio commercio di legnami, di carbone e di olio, grazie al suo porto che, secondo in Capitanata dopo Manfredonia, registrava a quell’epoca un movimento di navigazione di circa trenta bastimenti al mese, anche se quasi tutti di navigazione di cabotaggio. Se buona poteva, quindi, considerarsi in complesso la condizione economica della cittadina garganica, non altrettanto tranquilla era, nei primi mesi del 1848, la situazione politica. La locale borghesia liberale era divisa, come accadeva in tanti altri comuni, in due fazioni dilaniate non tanto da contrasti ideologici, quanto dalla difesa di interessi privati. Da una parte c’era la borghesia agraria, liberale moderata che, contenta della costituzione ottenuta e desiderosa della sua piena attuazione, mirava a impadronirsi saldamente del potere politico, dall’altra i commercianti e il ceto intellettuale della borghesia, liberali progressisti, o, meglio, radicali, i quali alla costituzione chiedevano, invece, una maggiore rappresentatività popolare, una più diretta gestione del potere sia a livello locale che centrale. La rivalità tra i due gruppi risaliva a una profonda e inveterata inimicizia che regnava tra le famiglie Petrone, Vigilante, Caizzi, Cocle e Del Vicario, 4 E. Pontieri, I fatti lucerini del 1848, Studio Editoriale, Foggia 1940, 2a edizione, p. 11. F. Assante, Città e campagne nella Puglia del secolo XIX. L’evoluzione demografica, Librairie Droz, Ginevra 1975. 6 V. Giuliani, Memorie storiche, politiche, ecclesiastiche della città di Viesti, Saluzzo 1873, p. 18. 5 104 Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici liberali moderati, e le famiglie Medina, Nobile, Bosco e Spina, liberali radicali, intorno alle quali si erano raggruppati o per legami di sangue o per interesse numerosi parenti e amici. I capi, nonché i principali ispiratori della complicata strategia dei due gruppi, erano Matteo Petrone, capitano della Guardia nazionale, già “carbonaro dignitario, funzionante da Gran Maestro” nel 1820, amico di Guglielmo Pepe e appartenente alla setta dell’Unità italiana, e Andrea Medina, sindaco. All’origene del dissidio vi era un contenzioso sorto tra l’amministrazione comunale di Viesti e i fratelli Petrone. Questi ultimi, Filippo, Matteo, Gaetano e Michele, erano proprietari di un grosso allevamento di pecore e di capre che tenevano quasi per l’intero anno sui pascoli comunali e per parecchio tempo, fino a quando cioè uno di essi, e precisamente Michele, fu sindaco, non pagarono la fida nella misura dovuta7. Questo abuso a lungo andare mise in difficoltà l’amministrazione di Viesti, che già non riusciva, a sua volta, a corrispondere annualmente al fisco l’imposta sui demani risecati8, che la Giunta del Tavoliere le aveva assegnato9. Nel 1846, però, fu eletto sindaco Andrea Medina e l’illecito ebbe termine. In una riunione del 25 ottobre dello stesso anno il decurionato di Viesti esaminò le richieste dei Petrone che erano in netto contrasto con la legge per la quale ogni cittadino aveva l’obbligo di corrispondere la fida di pascolo all’amministrazione e, considerando che i pastori, i cui armenti godevano solamente per alcuni mesi all’anno del pascolo comunale, pagavano una fida di tre carlini per ogni animale, decise a maggioranza di respingere l’istanza dei fratelli Petrone di pagare la fida “in privilegio e per transazione” come “ingiusta e non fondata”, perché ogni agevolazione che si concedeva ai Petrone avrebbe pesato su tutti gli altri allevatori10. Anche l’intendente Patroni11 fu di questo avviso e inviò a Viesti il consigliere provinciale Vincenzo D’Ambrosio di San Severo12 con il compito di accertare la reale entità della somma che i Petrone dovevano pagare. E, dopo aver rifatto il ruolo della fida, D’Ambrosio li tassò per cinquecento ducati annui invece degli ottanta che fino ad allora avevano pagato. 7 La fida era il prezzo dei pascoli del Tavoliere che i pastori pagavano alla Dogana per ogni capo di bestiame piccolo (pecore, capre e agnelli) o grande (vacche, buoi, giumente). 8 La riseca era il distacco di una parte di terreno fiscale dall’estensione censita. 9 Quando i locati (pastori o proprietari) non corrispondevano al fisco la fida dovuta, la Giunta del Tavoliere procedeva al distacco di una parte del terreno fiscale (riseca) che, al momento della censuazione, veniva richiesto dai Comuni e a essi assegnato dietro versamento di un canone annuo. 10 Archivio di Stato di Foggia, Sezione di Lucera Gran Corte Criminale di Capitanata, Processi Penali (d’ora in poi ASSL), b. 373, f. 3261. 11 Domenicantonio Patroni fu intendente di Foggia dal 18 febbraio 1843 al 19 febbraio 1848. 12 Vincenzo D’Ambrosio di Felice, nato l’11 gennaio 1813, era dottore legale. Fu sindaco di San Severo dal gennaio 1845 al gennaio 1847. Note e discussioni 105 Dopo questa decisione i rapporti fra i Petrone e i Medina si guastarono del tutto, tuttavia la costituzione concessa da Ferdinando II consigliò ai contendenti una tregua armata. Tutti speravano di ottenere incarichi di prestigio nel nuovo regime costituzionale. E così i fratelli Petrone unitamente al sindaco Medina e al decurionato la mattina del 7 marzo 1848, dopo che le autorità giudiziarie e amministrative di Viesti ebbero giurato fedeltà al re e alla Costituzione, formarono un corteo popolare alla testa del quale attraversarono il paese al suono della banda, gridando “Viva Pio IX, il Re nostro Signore e la Costituzione”13. La sospensione delle ostilità fu di breve durata, perché ben presto la rivalità fra le due fazioni, “animate da malevole passioni”, esplose in tutta la sua violenza, dando luogo ad avvenimenti che, apparentemente senza alcun legame tra loro, sono in realtà riconducibili a una stessa matrice, finalizzata a intimorire gli avversari e a screditarli agli occhi delle autorità con scritti spesso anonimi, e della popolazione che, ignara delle trame abilmente ordite, diventava una potente arma nelle mani ora degli uni, ora degli altri. Si era venuto a creare a Viesti, dove quasi tutti in quel periodo giravano armati, un clima di tensione e di paura a patire il quale era la povera gente che, invece di godere della ventilata libertà concessa dallo Statuto costituzionale, si vedeva spesso privata, quasi sempre per ritorsione, dei più elementari diritti come quello di macinare il grano e di rifornirsi di legna e chi si rifiutava di eseguire certi ordini veniva persino sottoposto a un linciaggio morale per mezzo di odiosi scritti che venivano affissi in luoghi pubblici14. Insomma la vita “nella gemma del Gargano”15, come già allora era definita Viesti, era diventata quasi impossibile. E a questo quadro desolante va aggiunto il malcontento dei contadini. Anch’essi speravano che i tempi nuovi avrebbero portato la tanto desiderata divisione delle terre. La costituzione tradiva, però, le aspettative e la reazione dei contadini esplose violenta. A Peschici, a Monte Sant’Angelo e a San Giovanni Rotondo fu repressa dalla Guardia nazionale. A Viesti, dove non c’era un efficiente corpo della Guardia nazionale (e il motivo lo vedremo più avanti) la rabbia dei contadini, che in un primo momento aveva portato alla invasione e alla divisione dei terreni appartenenti al demanio comunale, in seguito fu strumentalizzata e diretta dal gruppo Medina-Bosco all’occupazione delle grosse estensioni di terreno che appartenevano a Francesco Cocle e ad altri proprietari, amici dei Petrone, che se ne erano illegalmente impossessati ed erano odiati perché arricchiti con usure ed estorsioni. L’invasione delle terre di Francesco Cocle, direttore dei dazi indiretti, personaggio molto influente a Viesti, fu preceduta da una subdola azione denigratoria nei suoi confronti. 13 14 15 E. Politi a G. Coppola, Viesti, 7 marzo 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 196, f. 5585. E. Politi a G. Coppola, Viesti, 28 marzo 1848, ASFG, Polizia Serie I, b. 147, f. 1669. A. Medina a G.A. Lauria, Viesti, 25 aprile 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 195, f. 5562. 106 Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici La notte tra il 23 e il 24 febbraio 1848 alcune persone notarono che una barca sostava nell’ampia radura antistante il convento dei Cappuccini e “faceva taluni segni a fuoco che sembravano corrisposti da un fanale posto ad una finestra del Convento”16. Ciò bastò a mettere in giro la voce che tra i frati si nascondesse “il nemico della nazione”, l’odiato monsignore Celestino Maria Cocle (zio di Francesco), nativo di San Giovanni Rotondo, arcivescovo di Patrasso, famigerato confessore di Ferdinando II, al quale lo stesso re aveva imposto di lasciare Napoli il 26 gennaio precedente. Il popolo, aizzato, insorse e pretese che la notte stessa fosse perquisito il monastero, obbligando la Guardia nazionale e il giudice regio Emilio Politi a farlo. La perquisizione non diede, però, esito positivo. Di monsignor Cocle non venne trovata alcuna traccia, né, ammessa la sua presenza a Viesti, sarebbe stato possibile il contrario, considerando i recessi di cui solitamente erano forniti i conventi. Il sindaco Medina, però, accusando il giudice regio per le sue “forme stancanti e dilatorie per procedere”, qualche tempo dopo sosteneva con assoluta certezza in una lettera all’intendente che il prelato era stato a Viesti fino a tutto il 27 di quel mese17. L’episodio fu, comunque, abilmente sfruttato dal gruppo Medina, Nobile, Bosco e altri, i quali, tirando in ballo la parentela che univa il vescovo a Francesco Cocle, gli incitarono contro la folla che saccheggiò la sua casa e tentò persino di ucciderlo. Fu a stento salvato dall’intervento di alcuni “galantuomini”. Ormai il direttore dei dazi indiretti era nell’occhio del ciclone e ogni occasione era buona per rinfacciargli che si era arricchito tartassando la povera gente. Quando il corteo del 17 marzo attraversò Viesti inneggiando alla costituzione, non si verificarono incidenti di rilievo. Solo nel momento in cui la folla passò davanti alla casa di Cocle si udì gridare minacciosamente “Abbasso i ladri”18. Dopo questi precedenti riuscì facile a Vincenzo Medina alla fine di marzo del 1848 spingere un gruppo di contadini pastori a invadere i fondi di Francesco Cocle, aprendolo al pascolo dei loro animali e, dopo qualche mese, la stessa sorte toccò al parco Valle di Zizzari. Francesco Cocle denunziò per l’accaduto i fratelli Vincenzo (sacerdote) e Domenico Protano, Andrea e Pietro Cariglia, Francesco Antonio Papalino, Matteo Pastorella e Giorgio Cannata, che furono condannati a un anno di carcere ciascuno e al pagamento di complessivi ducati 107,50 per i danni causati e alle spese processuali. I condannati si appellarono alla Gran Corte Criminale di Lucera, che assolse il sacerdote Vincenzo Protano e modificò per gli altri la sentenza a 16 G. Coppola a C. Poerio, Foggia, 4 marzo 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 196, f. 5585. Il primo nucleo del convento fu costruito nel 1643 nel punto in cui la spiaggia di S. Lorenzo forma un’ampia insenatura. 17 A. Medina a G. Coppola, Viesti, 7 aprile 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 195, f. 5562. 18 E. Politi a G. Coppola, Viesti, 7 marzo 1848, ASFG, Polizia serie II, b. 195, f. 5585. La casa di Francesco Cocle si trovava di fronte alla farmacia di Luigi Del Viscio nella via Forno Danelli, ora via Vieste. Note e discussioni 107 tre mesi di prigione e “solidalmente” alle spese di giudizio19. Francesco Cocle non fu il solo a subire l’occupazione delle terre. Nel maggio dello stesso anno (1848) il sindaco, il cancelliere Pasquale Abruzzini, i fratelli Carlantonio e Giovanni Vincenzo Nobile (cognati del sindaco) e il sacerdote Vincenzo Protano, per rendersi benemeriti agli occhi della popolazione, misero in giro la voce che il Consiglio d’Intendenza aveva deliberato che i contadini potevano impadronirsi del frutto degli alberi ed esercitare gli altri usi, tra cui quello dell’erba statonica (cioè del pascolo estivo dall’8 maggio al 29 settembre) nelle difese di S. Tecla, Campo e Piscina dei Frati, quest’ultima già invasa nei primi mesi del 1848 dai contadini di Peschici e sulla quale non erano ancora cessati gli abusi20. Uno dei proprietari, Michele Caniglia, del comune di Rivisondoli, a nome di tutti gli altri, presentò una denunzia, avallata da Antonio Spinelli (già intendente di Capitanata dal 1818 al 1828) al direttore di polizia Francesco Scorza e all’intendente Girolamo Fuccillo21 in cui, dopo aver esposto la situazione di estremo disagio in cui erano costretti a vivere dagli avvenimenti, chiedeva alle autorità, soprattutto a quelle locali, di restituire “la pace alle oneste famiglie e la quiete a quello infelice paese, impedendo a quelle popolazioni di fare ancora irruzione su’ beni altrui e violenze ed oltraggi al sacro diritto della proprietà”22. In queste gioco al massacro tra le due fazioni si inserisce l’episodio più clamoroso, quello della cacciata del giudice regio. Emilio Politi fu nominato giudice nel circondario di Viesti il 24 luglio 1846, proprio nel periodo in cui il contenzioso per il pagamento della fida dei pascoli fra l’amministrazione comunale e i fratelli Petrone era nella fase più acuta e nella cittadina garganica già avvenivano “torbidi politici”. Agli inizi del suo mandato si mantenne al di sopra delle parti, ma in seguito, essendo, come amava spesso mettere in evidenza, “di opinione liberale sebbene moderato”23, passò, anche per l’influenza che su di lui esercitava il farmacista Luigi Del Viscio24 dalla parte di 19 ASSL, b. 375, f. 3272, f. 288. Le risecche di S. Tecla e Campo, di complessive carra 76 e versure 10, erano divise tra il demanio di Viesti e il regio fisco. Confinavano con il mare Adriatico, con Pugnochiuso, con il demanio di Viesti, con il bosco e con il territorio di Monte Sant’Angelo. La riseca di Piscina dei Frati, di carra 5, era anch’essa in parte divisa tra il demanio di Viesti e il regio fisco. Confinava con il territorio di Peschici, con la Macchia Pastinello, con il demanio di Viesti, con il territorio risecato dal demanio di Peschici a favore del regio fisco (ASFG, Tavoliere di Puglia, b. 28, f. 454, 2v – 2 bis r.). 21 Girolamo Fuccillo fu intendente di Foggia dal 28 marzo 1849 al 16 novembre 1849. 22 F. Scorza a G. Fuccillo, Napoli, 20 maggio 1849, ASFG, Polizia Serie II, b. 203, f. 56929. 23 E. Politi a G. Coppola, Viesti, 7 marzo 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 196, f. 5585. 24 Originario di Vico, aveva nella centralissima via Forno Danelli una farmacia che era il luogo di riunione del gruppo Petrone e per questo fu minacciato di morte, tanto che dovette per qualche tempo rifugiarsi nel paese natio. Proprietario terriero, non aveva particolari 20 108 Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici Matteo Petrone, che in quel tempo era il giudice supplente. E l’apporto di Politi si rivelò subito determinante. Il decreto del 13 marzo 1848 istituì la Guardia nazionale, in cui la nomina degli ufficiali superiori era riservata al re, mentre quella degli ufficiali inferiori e dei sottufficiali era elettiva e in Provincia per occupare tali cariche si faceva, in genere, ricorso agli intrighi25. A Viesti i candidati alla carica di capitano della Guardia nazionale erano Carlantonio Nobile, cognato del sindaco, e Matteo Petrone. Fu eletto quest’ultimo con l’appoggio, appunto, del giudice Politi che inferse così il primo duro colpo alla parte avversa, ma non il solo, perché a coprire l’incarico di giudice supplente, lasciato dal Petrone, propose Raffaele Vigilante, uno del gruppo, a scapito di Vincenzo Medina, cugino del sindaco. Il comportamento di Politi scatenò la reazione dei Medina e dei Nobile, i quali non solo impugnarono con un ricorso al ministro dell’Interno la legittimità della nomina di Matteo Petrone, il quale, come giudice supplente, non poteva candidarsi alla carica, ma sostennero anche la protesta degli esclusi dalle liste della Guardia Nazionale, affermando che tutti ne dovevano far parte, e ciò perché, aumentando il numero dei militi, si potesse procedere a una nuova elezione del capitano, invalidando la precedente. Infine i ricorrenti chiesero esplicitamente all’intendente che il giudice Emilio Politi, che “voleva immischiarsi in tutto, farsi a tutti superiore e rompere ogni legame ed armonia”, manifestandosi in ciò “degno agente della abolita polizia, i di cui noti abusi spaventarono questa buona popolazione”, fosse allontanato da Viesti, anche perché nella vita privata il giudice si era, come scrisse il sindaco, “coperto d’infamia per fatti orrendi che taccio per non lordare la mia penna”26. L’intendente Coppola rispose che per trasferire il funzionario ci volevano fatti, prove e non parole, perché “se ogni cittadino nell’attuale libero sistema governativo vive sotto la garanzia della legge, né può venir molestato senza formale giudizio, uguale e più forte garanzia gode un pubblico funzionario”27. ambizioni politiche, badando principalmente a curare i propri interessi tra cui il commercio dell’olio d’oliva che vendeva sul mercato di Trieste con la mediazione del sensale Angelo Raffaele Lucatelli, che lo teneva informato dei prezzi. I medicinali che Del Viscio vendeva nella sua farmacia erano “ottimi”, non escluso il solfato di chinino, e i prezzi erano convenienti (F. Rossi a O. Nobile, Viesti, 20 gennaio 1850, ASFG, Polizia Serie II, b. 208, f. 5963). 25 La Guardia nazionale fu istituita per difendere la costituzione e per mantenere l’ordine e la pace pubblica. Di essa potevano far parte “i proprietari, i professori, gli impiegati, i capi d’arte e di bottega, gli agricoltori e in generale tutti coloro che avendo i mezzi di vestirsi a proprie spese, presentino per la loro probità conosciuta sicura guarentigia alla società”. Erano esclusi i magistrati, gli ecclesiastici, i militari, i componenti la forza doganale, i custodi delle prigioni e gli altri agenti subalterni di giustizia e di polizia, i domestici, i condannati per furto, frode e fallimento, i vagabondi e i mendicanti (legge del 13 marzo 1848, numero 89, in Col. LL. DD., pp. 146-154). 26 A. Medina a G. Coppola, Viesti, 7 aprile 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 195, f. 5562. 27 G. Coppola ad A. Medina, Foggia, 15 aprile 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 195, f. 5562. Note e discussioni 109 Ciò che stava avvenendo a Viesti, però, era seguito con apprensione dalle autorità provinciali, tanto che il nuovo intendente Andrea Lombardi (giunto a Foggia il 18 aprile 1848) appena venne a conoscenza dei fatti, chiese al procuratore di Lucera la sostituzione del giudice Politi, perché “nelle attuali circostanze politiche”, scrisse, “è cosa assai interessante che giudici regi riscuotano nei capoluoghi di circondario la piena fiducia ed armonizzino con tutti senza pendere da alcuni de’ partiti che disgraziatamente si vedono regnare e particolarmente ne’ piccoli comuni”28. A Viesti intanto Medina e i suoi erano impegnati a raccogliere le prove richieste contro il giudice e, anche se nessuno se la sentiva di parlare per timore di vendette, alla fine riuscirono a mettere insieme un nutrito dossier nel quale le colpe di Emilio Politi erano scrupolosamente elencate e ognuna di esse era seguita anche dal nome dei testimoni. Il tutto venne inviato al ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Vignale, a nome dei cittadini del circondario di Viesti, i quali aprirono il loro cahier de doléances sostenendo che è mostruoso vedere ancora in carica un uomo che si è “renduto infame oppressore del pubblico e persecutore degli infelici”29. Queste erano le accuse: si appropriava, dicendo che veniva distribuito ai poveri, del denaro ricavato dalla vendita delle olive, che le guardie rurali sequestravano e depositavano nel giudicato; estorceva denaro per la formazione delle liste della Guardia nazionale; quando l’intendente gli affidò il compito di scegliere chi poteva far parte della guardia d’onore, obbligava tutti gli aspiranti a versargli quattro o cinque ducati; nelle cause civili indirizzava i contendenti da avvocati di suo gradimento; era superbo e maltrattava chiunque, anche pubblicamente; infine, l’accusa più infamante, aveva stuprato Lucia Grima, un’orfanella di sette anni. Sin dal suo arrivo a Viesti il giudice aveva mostrato di essere “così intemperante e rotto a vizio di lussuria che giunse a muovere ad indignazione gli abitanti dello intero circondario da lui amministrato. Egli non poneva mente allo stato o condizione delle donne e cercava di sfogare la sua libidine in tutti i modi”30. Numerose furono le donne, anche sposate, da lui insidiate. Oggetto delle sue particolari attenzioni erano anche le detenute che, soprattutto se giovani e piacenti, venivano di notte introdotte, con la complicità del carceriere, nella sua abitazione perché egli ne approfittasse. Ma la vera ignominia il giudice la commise quando la sera del 24 dicembre 1847, vigilia di Natale, la piccola Lucia Grima si recò a casa sua per chiedere l’elemosina. Fattala entrare, le diede una moneta d’argento e la condusse nella sua camera da letto dove 28 A. Lombardi a G.A. Lauria, Foggia, 25 aprile 1848, ASFG, Polizia Serie I, b. 147, f. 16699. 29 ASFG, Polizia Serie I, b. 147, f. 1669. 30 ASSL, b. 60, f. 974. Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici 110 le usò violenza trasmettendole anche una terribile malattia venerea. La bimba voleva gridare, ma il bruto con una mano le chiuse la bocca perché le grida non fossero udite. Dopo le tolse la moneta che poco prima le aveva donato, le diede un pezzo di pane e la mandò via31. La serva del giudice Marianna Cirillo, che aveva intuito l’accaduto, divulgò il misfatto e fu perciò arrestata dal Politi con l’accusa di “aver parlato male del magistrato”. La liberò dopo sei giorni di carcere duro, quando i figli della malcapitata minacciarono di ucciderlo. La poveretta morì però dopo pochi giorni in conseguenza degli stenti a cui era stata sottoposta. Venuti a conoscenza di queste nefandezze, il procuratore generale del re, Giuseppe Aurelio Lauria, e l’intendente stavano provvedendo con sollecitudine al trasferimento dell’indegno funzionario, anche perché volevano evitare che fosse insultato e malmenato “con grave scandalo della giustizia”32, allorché la situazione precipitò. La mattina del 30 aprile 1848, domenica, giorno lieto per i viestani ricorrendo la festa di S. Giorgio (il santo patrono), si sparse la voce che si voleva cacciare il giudice dalla città e davanti alla farmacia di Sante Nobile si radunarono una trentina di persone “tra galantuomini, artieri e uomini di piazza”, fra i quali fu notato anche Vincenzo Medina. Qualcuno gridò “fuori il giudice, fuori lo scellerato, fuori il ladro, fuori l’occhiorzzo”33, e niente si udì che riguardasse lo stupro della bambina. Ma l’energico intervento del capitano della Guardia nazionale Matteo Petrone e la processione del santo che in quel momento usciva dalla chiesa sciolsero l’assembramento. A questo primo fallito tentativo ne seguì un altro dopo poche ore. Erano le quindici e molta gente era raccolta nella parte centrale del paese detta Largo del Fosso (ora Piazza Vittorio Emanuele II) intenta a divertirsi, quando, per una strana coincidenza, alcuni marinai provenienti da Bari diffusero la notizia che il vescovo di Molfetta e l’intendente di Bari erano stati cacciati dalle rispettive città dalla folla che inneggiava alla costituzione34. La novità si sparse rapidamente, suscitando nella popolazione di Viesti il desiderio di fare altrettanto con l’indegno giudice. Vincenzo Medina e Carlantonio Nobile non si lasciarono sfuggire l’occasione per raggiungere finalmente il loro scopo 31 Deposizione di Lucia Grima fatta al giudice istruttore del Distretto di Foggia Gioacchino Prologo il 10 luglio 1850, ASFG, Sezione di Lucera, Gran Corte Criminale di Capitanata, Processi Penali, b. 373, f. 3261. 32 G.A. Lauria ad A. Lombardi, Lucera, 25 aprile 1848, ASF, Polizia Serie II, F. 373, f. 3261. 33 Termine che nel dialetto locale stava a significare il debosciato. 34 Il vescovo Giovanni Costantini fu cacciato da Molfetta il 16 aprile 1848 e si rifugiò in Napoli (Archivio Diocesano di Molfetta, Fondo Capitolo, Conclusioni Capitolari 1847-1853, f. 18). Anche l’intendente di Bari, Giuseppe de Cesare, letterato (scrisse la Vita di Agricola ed Esame della Divina Commedia), accusato di gravi responsabilità nella conduzione amministrativa della Provincia, fu costretto dal popolo a lasciare la città (Museo Civico Bari, Miscellanea, doc. 45). Note e discussioni 111 e questa volta, per incitare ancora di più la folla, pensarono di tirar fuori la storia dello stupro. Medina mandò subito Gaetano del Piano, cugino della ragazza, a prenderla in casa della sorella e, col pretesto di portarla in farmacia, la fece condurre in mezzo alla gente, dove suo zio Pasquale Tantimonaco la prese, la sollevò e mostrò al popolo “le di lei pollute parti pudenti a segno di pietà verso di lei e di indignazione verso il giudice”35 e, gridando “abbasso l’infame, abbasso il galeotta, lo svergognato, l’assassino”, incitò i presenti a punire l’autore di tanto misfatto. La folla tumultuante corse allora verso il regio giudicato, dove il Politi abitava, ma non lo trovò, perché, temendo il peggio, aveva trovato nel frattempo rifugio in casa di una certa Margherita Silvestri, dove lo andarono a prelevare Sante Nobile, Carlo Bosco e Pasquale D’Errico e a stento lo sottrassero al linciaggio, poiché molti volevano percuoterlo con grossi bastoni e qualcuno tentò anche di colpirlo con le pietre. Gli fu comunque imposto di uscire da Viesti sopra un asino, seguito per lungo tratto dalla folla che lo insultava e scherniva. Alcuni gentiluomini, tra cui anche il sindaco e Carlantonio Nobile, lo accompagnarono illeso fino a Focareta, una località a considerevole distanza dal paese, da dove, su una barca appositamente noleggiata, raggiunse Manfredonia. Il giorno successivo, 1° maggio, Matteo Petrone informò l’intendente con un dettagliato rapporto in cui diplomaticamente mise in evidenza come il suo intervento unitamente a quello “dell’ottimo” sindaco avevano salvato la vita del giudice36. L’intendente Andrea Lombardi in quel particolare periodo non aveva i mezzi per ristabilire l’ordine a Viesti, perché insufficienti erano gli uomini sia della Guardia nazionale che della Guardia di Pubblica Sicurezza a sua disposizione37. Scrisse in margine al foglio inviatogli dal Petrone: “I fatti anarchici continuano e noi ci ridurremo al più deplorevole stato. Ma che fare? Quando avremo forza fisica sì, renderemo forza morale. Si scriva intanto riprovando il fatto”. Nel leggere ciò che avveniva a Viesti l’intendente dovette provare per prima la rabbia dell’impotenza e poi subito un senso di fatalistica rassegnazione, unito alla consapevolezza che sarebbe stato il primo, e forse l’unico, a pagare le conseguenze di quegli avvenimenti. Intanto il giudice Politi dopo i drammatici fatti “non mai produsse querela o istanza di punizione contro i suoi offensori e espressamente ha rinunciato a qualunque azione penale”. Tuttavia il processo per la sua espulsione fu istruito d’ufficio “nella ipotesi che gli insulti si fossero praticati contro un magi35 ASSL, b. 309, f. 2808. M. Petrone ad A. Lombardi, Viesti, 1° maggio 1848, ASFG, Polizia Serie I, b. 147, f. 1669. 37 Dopo la concessione dello Statuto costituzionale, il corpo della Gendarmeria fu sciolto, perché particolarmente odiato nel periodo in cui era comandato da Del Carretto, e il servizio di polizia giudiziaria fu affidato dal 17 marzo 1848 a un nuovo corpo, la Guardia di Pubblica Sicurezza. 36 Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici 112 strato per occasione dell’esercizio delle sue funzioni”38 e in attesa dell’esito fu inviato ad Orta. Quando la Gran Corte Criminale di Capitanata con decisione del 9 novembre 1850 stabilì che era stato scacciato da Viesti non per motivi inerenti alla sua funzione pubblica, bensì per le “di lui laidezze e irrefrenate lascivie”, fu rimosso dall’incarico, ma non subì alcuna condanna, perché i parenti della bimba non sporsero denuncia nei suoi confronti. Con un cinismo veramente unico, però, l’ex giudice non perdeva occasione per mettere in rilievo il vero motivo della sua destituzione. A Monte Sant’Angelo ad alcuni suoi conoscenti disse che era stato cacciato da Viesti “per affari di brachetta”; a Foggia riferì a un certo Michele Massarotti “di essere avvenuta la sua espulsione per opera della cafoneria di Viesti, per affare di brachetta”; a Lucera, infine, nella farmacia di Vincenzo Tandoia dichiarò “che era stato cacciato da Viesti non per affari di carica, ma per cose di brachetta”39. L’allontanamento di Emilio Politi, comunque, non bastò a restituire la tranquillità agli abitanti di Viesti, perché la lotta tra le due fazioni continuò ancora senza soste. Ad accendere gli entusiasmi popolari che spesso si tramutavano in veri e propri tumulti, il cui scopo era, in sostanza, unicamente quello di mettere sempre maggiormente in evidenza l’incapacità della Guardia nazionale di Viesti e del suo capitano di mantenere l’ordine, bastava che “vari emissari incitatori alla indisciplina e alla inobbedienza” diffondessero ad arte notizie riguardanti sia i piccoli fatti locali che i grossi avvenimenti europei di quel travagliato periodo che fu il 1848, appresi dalla lettura “di giornali sovversivi” che avveniva nella farmacia di Sante Nobile, luogo d’incontro di quei “pochi notabili demagoghi” che formavano il gruppo Medina-Nobile40. Avveniva così che “gli ultimi accadimenti di Vienna”41, “le voci di recenti rivolte avvenute ne’ Reali Domini oltre il Faro, ove dicevasi inviate altre truppe”42, “le vittorie riportate dagli ungheresi sulle imperiali truppe austriache e russe”43, “i disturbi di Rodi con lo sparo di fucilate”44, e, infine, la 38 ASSL, b. 375, f. 3272. ASSL, b. 60, f. 974. 40 M. Petrone a G. De Marco, Viesti, 10 novembre 1848, ASFG, Polizia Serie I, b. 147, f. 1669. 41 A Vienna con una rivolta iniziata il 13 maggio 1848 i liberali, dopo aver sopraffatto la truppa, imposero l’allontanamento del Metternich, la libertà di stampa e la concessione della Costituzione. 42 Nel settembre del 1848 imponenti forze borboniche attaccarono Messina e riuscirono a vincere la disperata resistenza della popolazione solo dopo un feroce bombardamento che causò ingenti perdite umane. 43 Si allude alla valorosa resistenza degli ungheresi guidati da Lajos Kossuth che il 14 aprile 1848 proclamò la decadenza della dinastia degli Asburgo. Agli austriaci comandati dal generale Haynau si unirono in seguito i russi dello zar Nicola I e gli ungheresi furono costretti a capitolare a Vilagos il 13 agosto 1849. 44 A Rodi i disordini avvenuti nell’aprile del 1848 provocarono il processo contro Pietro Verna e altri. 39 Note e discussioni 113 notizia “che l’Augusto nostro sovrano stava con due piedi in una scarpa”, messa in giro da Carlantonio Nobile al suo rientro da un viaggio a Napoli, costituissero il pretesto di continue tensioni a causa delle quali quasi tutti a Viesti giravano armati. E nulla poteva fare in realtà la Guardia nazionale per porre rimedio a una situazione che andava sempre più degenerando, perché, oltre ad avere un organico incompleto, non essendosi mai proceduto alla nomina dei sottufficiali a causa delle note polemiche suscitate dalla elezione a capitano di Matteo Petrone, i militi che ne facevano parte venivano costretti “da influente autorità”, con minacce più o meno velate, a non prestare servizio. Nel frattempo, in attesa che venisse nominato il titolare, la carica di giudice nella cittadina garganica fu affidata al supplente Raffaele Vigilante, il quale, insieme al padre Antonio, proprietario terriero, era un elemento di spicco nel gruppo dei Petrone. Entrambi erano capaci di tutto e la rapidità e la determinazione con cui attuavano i loro piani era tale che tutti li soprannominavano “Saetta e Saettino”. Elementi quindi più pericolosi del deposto giudice per i Medina e i Nobile i quali non tardarono ad accorgersene. Infatti la prima mossa del giudice supplente fu quella di accusare di brogli elettorali il farmacista Sante Nobile e il medico Carlo Bosco, segretario del collegio elettorale sia nelle prime che nelle seconde elezioni dei deputati al Parlamento45. I due, secondo l’accusa, avevano consegnato agli elettori “i polizzini”, cioè le schede, su cui erano già scritti i nomi di Zuppetta, Ricciardi e Lanza, “distornando il libero suffragio degli elettori del comune di Viesti” e, in occasione della seconda elezione, avevano scritto anche proteste contro il re, come quella in cui si leggeva che “non era egli padrone di ordinare la novella elezione dei deputati”. In quella circostanza ai due vennero anche attribuite frasi irriguardose, nei confronti di Ferdinando II. Sembra che Sante Nobile abbia detto: “Io mi fotto di quel fesso del re di Borbone”, e Carlo Bosco: “Quel fesso del re, figlio di puttana, è morto tre quarti, una gli è già lasciata. Deve uscire dal regno assolutamente. Vogliamo Carlo Alberto”46. La reazione dei due accusati non si fece molto attendere e poco mancò che il 13 luglio 1848 non scoppiasse un tumulto di vaste proporzioni. Carlo Bosco, Sante Nobile e i loro amici sparsero la voce che alcuni galantuomini, ovviamente della fazione avversa, tra cui Placidino Coppola, Sante Vincenzo Nobile, primo tenente della Guardia nazionale, Pasquale Petrone, 45 La legge elettorale, secondo quanto stabilito dall’art. 62 della Costituzione, fu promulgata il 28 febbraio 1848 e la limitazione imposta dal censo all’elettorato sia attivo che passivo fu ritenuta eccessiva. Un decreto del ministro dell’Interno Raffaele Conforti del 5 aprile 1848 allargò la base censitaria per le elezioni che ebbero luogo il 18 aprile. Dopo i ben noti fatti del 15 maggio, le nuove elezioni, sulla base della legge elettorale di Bozzelli, ritoccata in senso restrittivo, si svolsero il 15 giugno 1848. Sia nelle prime che nelle seconde elezioni la partecipazione fu molto scarsa e furono eletti, grosso modo, gli stessi uomini. 46 ASSL, Gran Corte Criminale di Capitanata, Processi Penali, F. 60, f. 974. Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici 114 Vincenzo Abruzzini e Giambattista Foglia, “desiderosi di commettere atti di lascivia sulle donne del basso volgo di Viesti, volevano fare dei tentativi di proclamare la repubblica e piantare l’Albero della Libertà, onde ottenere il doppio fine di perdere maggiormente i loro nemici e nel subbuglio e nel tumulto di tal fatto godersi le donne dei lavoratori”47. E, per rendere la cosa più credibile, si impossessarono dell’albero di una nave che era custodito nel trappeto di Gaetano Petrone e cercarono di convincere, dietro compenso, un tale Michele Maiorino a piantarlo al centro del Lago del Fosso, il quale, però, considerando i rischi a cui sarebbe andato incontro, si rifiutò. Le popolane di Viesti, intanto, avendo udito che si voleva instaurare la repubblica per macchiare il loro onore, indignate, oltre che allarmate, mandarono a chiamare i loro uomini che lavoravano nel bosco i quali, infuriati, corsero in paese armati di scuri e di armi improprie, decisi ad ammazzare chiunque avesse osato piantare l’esecrabile albero. Solamente Matteo Petrone con alcuni militi della Guardia nazionale e soprattutto il canonico don Tommaso Fazzini convinsero “il ceto dei massari e dei braccianti” che mai sarebbe accaduta una cosa simile. E mentre tutta Viesti era in fermento, il sindaco Andrea Medina e il cognato Carlantonio Nobile erano tranquillamente seduti nella farmacia di Sante Nobile ad attendere l’evolversi degli eventi, leggendo i giornali48. Nel denunziare questo grave episodio all’intendente il sindaco non trascurò di curare la sua immagine di tutore dell’ordine, chiedendo l’invio a Viesti di una decina di guardie di pubblica sicurezza, anzi fece pure presente di avere già inviato una lettera al capitano della Guardia nazionale, in cui lo invitava a collaborare al mantenimento della calma nel paese e ad adoperare “ogni modo onde rendere soddisfatti gli ordini superiori”. L’intendente, che era ancora Andrea Lombardi, aveva ben capito che il vero, grave problema di Viesti era il dissidio esistente tra questi due personaggi e, ritenendo di poterlo comporre convocandoli a sé, non prese alcun drastico provvedimento. Mandò a Viesti un distaccamento di guardie di pubblica sicurezza che vi rimase fino ai primi di novembre e in una lettera al sindaco si limitò a esortarlo alla collaborazione scrivendo che “se la Guardia nazionale, composta de’ migliori cittadini, fosse strettamente unita e non lacerata da civili discordie, partorita da mal concepite passioni e fomentata da’ tristi, [i cittadini] non avrebbero sconcerti, ed invece si godrebbero in pace le libere istituzioni come in quei luoghi ne’ quali regna la concordia. Prima dunque che si vada incontro a guai maggiori e deplorabili, bisogna che ella col capitano della Guardia nazionale renda questa forza compatta, imponente ed operosa 47 48 5692. Ibid. R. Vigilante a R. Guerra, Viesti, 18 dicembre 1849, ASFG, Polizia Serie II, b. 203, f. Note e discussioni 115 e che, in caso di nuovi ammutinamenti siano all’istante arrestati i capi e passati al potere giudiziario”49. Il direttore di polizia Gabriele Abatemarco, tuttavia, non gli perdonò questa debolezza e, dopo essersi rammaricato che la Capitanata, e in modo particolare il circondario di Viesti, non era andata esente da “quello spirito di libertinaggio e di anarchia” che ha turbato il Regno, rammentò ad Andrea Lombardi che compito dell’intendente, oltre a quello di incitare i propri funzionari a compiere il loro dovere, era anche quello di punire severamente coloro che nei momenti difficili “si facevano notare per oscitanza ed altri mancamenti”50. Così il 18 agosto 1848 Lombardi fu esonerato dalla carica di intendente della Capitanata e al suo posto fu nominato il 17 ottobre successivo Giuseppe De Marco il quale, contrariamente al suo predecessore, agì con rapidità e decisione. Capì subito, infatti, che per ridare serenità agli abitanti della cittadina garganica, prima di ogni altra cosa, bisognava agire drasticamente sui due principali responsabili dei mali viestani: il sindaco e il capitano della Guardia nazionale. La destituzione del sindaco Andrea Medina avvenne subito nei primi giorni del dicembre 1848 (gli successe, dopo travagliate elezioni, Orazio Nobile); la rimozione, invece, dal grado di capitano della Guardia nazionale di Matteo Petrone richiese tempi più lunghi, che l’intendente accelerò, dando seguito alle varie petizioni rivolte, a suo tempo, al re e al ministro dell’Interno dallo stesso sindaco, da Carlantonio Nobile e controfirmate da numerosi cittadini, che chiedevano lo scioglimento del corpo della Guardia nazionale di Viesti, perché non era in grado di poter garantire l’ordine e il rispetto delle leggi. Il decreto che ne ordinava il disarmo (primo caso nel Regno delle Due Sicilie) fu emanato nel maggio 1849. Un ulteriore passo verso la normalizzazione venne fatto con l’arrivo del nuovo giudice regio Francesco Rossi di Accadia51, il quale, sebbene fosse stato nominato il 29 luglio 1848, raggiunse Viesti solo il 25 novembre, dietro sollecitazioni del nuovo intendente Raffaele Guerra. Venne a trovarsi subito in una situazione assai critica: accolto con diffidenza, aveva il difficile compito di svolgere le prime indagini per accertare le responsabilità di quanto era accaduto e non poteva fare alcun affidamento sulla Guardia nazionale per la quasi totale inefficienza in cui versava. Chiese perciò subito all’intendente l’invio a Viesti di un distaccamento dei dragoni o di qualunque altra arma, scrivendo che era indispensabile per “frenare l’abuso che quasi tutti impunemente si permettono di asportare stili, baionette, bastoni animati ed altre armi 49 A. Lombardi ad A. Medina, Foggia, 20 luglio 1848, ASFG, Polizia Serie I, b. 147, f. 1669. 50 G. Abatemarco ad A. Lombardi, Napoli, 25 luglio 1848, ASFG, Polizia Serie I, b. 47, f. 1669. 51 Già cancelliere giudiziario del circondario di Apricena e di Rotondella, all’atto della nomina era giudice supplente nel circondario di Accadia. Risorgimento e Mezzogiorno. Rassegna di studi storici 116 vietate ed anche perché non avvi chi possa eseguire un mandato di deposito, di accompagnamento ed altro, per cui la giustizia trovasi in tale rallentamento ch’e quasi vilipesa da’ medesimi delinquenti e facinorosi”52. Solamente il 10 marzo 1848 il generale Marcantonio Colonna di Stigliano, comandante la forza mobile in Puglia, ordina al colonnello Matteo D’Afflitto, comandante delle armi nella provincia di Capitanata, di mandare a Viesti un drappello di guardie di pubblica sicurezza per garantire l’incolumità personale al giudice53. L’ingarbugliata vicenda ebbe, ovviamente, un seguito giudiziario. Per i fatti accaduti a Viesti vi fu un processo presso la Gran Corte Criminale di Capitanata in Lucera con settantasei imputati “fra i quali trovasi”, come ebbe ad affermare l’avvocato Francesco Di Giovine di Lucera che li difese tutti, “i più distinti valent’uomini per impegno, per morale e per dovizie”54. Una prima istruzione fu affidata nel luglio 1849 a Follieri, giudice istruttore del Distretto di Foggia f.f., residente in Lucera, alla conclusione della quale i principali capi d’accusa furono: “cospirazione diretta a cambiare la forma di governo” per Sante Nobile, Carlo Bosco, Carlantonio Nobile e altri; “ostacoli diretti al libero esercizio degli altrui diritti garantiti dalla legge in persona di Emilio Politi, regio giudice del Circondario di Viesti” nei confronti di Andrea Medina e molti altri; “diroccamento di macerie e occupazione di due fondi sativi, erbiferi e macchiosi di proprietà di Cocle Francesco” a carico di Francesco Papalino, Giorgio Cannoli, Domenico Protano e altri. Gli imputati furono arrestati il 7 giugno 1850 e sottoposti a interrogatorio il giorno successivo. Tutti si protestarono innocenti, chiedendo che fossero ascoltati circa duecento testimoni “di tutta fede e probità”. La Gran Corte Criminale, “onde rischiare le circostanze di fatto dedotte negli interrogatori”, accolse la richiesta e dispose una seconda istruzione del processo, affidandola, questa volta, al giudice istruttore titolare del Distretto di Foggia, Prologo, il quale lasciò le cose a metà, perché, dopo minuziose indagini, si accorse che l’interrogatorio dei testimoni, “lungi di porgere più chiaro lume di verità”, l’avrebbe forse “perduta o almeno oscurata”. Così il 6 agosto 1850 inviò tutti i documenti raccolti alla Gran Corte Criminale, chiedendo ad Antonio Pepe, procuratore del re, “ulteriori e precisi insegnamenti all’esatto e più sicuro compimento degli obblighi del mio ministero”55. Che cosa poteva aver spinto il magistrato a una decisione così grave? A Viesti, come in altre parti del Regno, dopo le delusioni seguite alla concessione della Costituzione, dalla quale, in sostanza, nessuno aveva tratto 52 F. Rossi a G. De Marco, Viesti, 22 dicembre 1848, ASFG, Polizia Serie II, b. 196, f. 5586. M. Colonna a M. D’Afflitto, Barletta, 10 marzo 1849, ASFG, Polizia Serie II, b. 196, f. 5586. 54 ASSL, b. 309, f. 2808. 55 G. Prologo ad A. Pepe, Viesti, 6 agosto 1850, ASSL, b. 60, f. 974. 53 Note e discussioni 117 i benefici sperati, i galantuomini avevano posto termine alle loro lotte di potere e la sospensione prima e l’arresto poi del sindaco, il disarmo della locale Guardia nazionale, e la triste esperienza delle prigioni che alcuni di essi stavano vivendo avevano indotto tutti a più miti consigli. Il giudice istruttore si era convinto, molto probabilmente, che alla fine della istruttoria si sarebbe trovato di fronte a “un’altra verità”, chiaramente in contrasto con la precedente e che, quindi, a quel punto, sarebbe stato difficilissimo trovare il bandolo della matassa in quella intricatissima vicenda. Declinò perciò l’incarico. La Gran Corte Criminale ritenne poco valide e futili le ragioni addotte da Prologo e stabilì che l’istruzione fosse proseguita e terminata da un giudice commissario “in residenza”, cioè a Lucera. Così con l’interrogatorio dei nuovi testimoni tutti a discarico e la ritrattazione delle accuse da parte dei testimoni a carico, quaranta dei quali affermarono di essere stati corrotti dal farmacista Luigi Del Viscio, si chiuse finalmente la fase istruttoria. Il processo che seguì terminò con la sentenza del 9 novembre 1850 che assolse quasi tutti gli imputati (tranne quei pochi condannati per aver occupato e danneggiato i fondi di Francesco Cocle) e li rimise in libertà “per la incorrispondenza dei fatti raccolti col primo processo e quelli sviluppati dal proseguimento delle istruzioni” e la Gran Corte Criminale, inoltre, “vietava ogni ulteriore procedimento”56. Il Pubblico Ministero, tuttavia, il 5 dicembre 1850 impugnò la decisione con un ricorso per annullamento alla Suprema Corte di Giustizia, perché la Gran Corte Criminale “mancava di giurisdizione per conoscere de’ reati di competenza corregionale”. Il ricorso fu respinto il 24 gennaio 1851 ed ebbe così termine la vicenda forse più singolare del Risorgimento in Capitanata, i cui principali protagonisti furono, secondo la prassi, ancora per qualche tempo sottoposti a stretta vigilanza da parte della polizia borbonica. Ma non accadde più nulla e la loro esistenza rientrò nella normalità, tanto che il nuovo giudice regio di Viesti Antonio Profilo scrisse all’intendente il 13 novembre 1851 che Carlantonio Nobile e Carlo Bosco avevano “serbato condotta irreprensibile sotto tutti gli aspetti di religione, di polizia e di morale” e, concludeva, “io credo, se ella diversamente non stima, di potersi accogliere le domande dei signori Nobile e Bosco che chiedono la reintegra nella opinione di fedeli sudditi di S. M. il Re”57. 56 57 Ibid. A. Profilo a R. Guerra, Viesti, 3 novembre 1851, ASFG, Polizia Serie II, b. 203, f. 5692.








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