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(PDF) Il lessico dell'artigianato nei testi di Ebla
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Il lessico dell'artigianato nei testi di Ebla

QUADERNI DI SEMITISTICA 23 IL LESSICO DELL’ARTIGIANATO NEI TESTI DI EBLA di JACOPO PASQUALI Lavoro eseguito con il cofinanziamento MIUR 2005 DIPARTIMENTO DI LINGUISTICA UNIVERSITÀ DI FIRENZE QUADERNI DI SEMITISTICA direttore: PELIO FRONZAROLI QUADERNI DI SEMITISTICA 23 IL LESSICO DELL’ARTIGIANATO NEI TESTI DI EBLA di JACOPO PASQUALI Lavoro eseguito con il cofinanziamento MIUR 2005 DIPARTIMENTO DI LINGUISTICA UNIVERSITÀ DI FIRENZE Copyright © 2005 Dipartimento di Linguistica Università di Firenze Piazza Brunelleschi, 4 I-50121 Firenze segling@unifi.it www.unifi.it/linguistica ISBN 88-901340-2-X ISSN 1724-8213 SOMMARIO Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . p. VII Capitolo I L’artigianato a Ebla . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Tecniche e materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Gioielli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Armi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Vasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Mobili . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Statue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1 15 36 39 47 58 Capitolo II Il lessico dei materiali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 67 Capitolo III Il lessico delle tecniche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 Capitolo IV Il lessico degli oggetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187 PREMESSA Il presente lavoro deriva da una tesi dottorale, discussa presso l’Università degli Studi di Firenze nel febbraio 2002 (Dottorato in Semitistica: Linguistica Semitica). In esso vengono presi in esame nel loro complesso i termini semitici relativi al lessico dell’artigianato conservati nei testi di Ebla finora noti. Sono stati esclusi i termini relativi ai tessuti, già studiati da chi scrive in un articolo apparso in Miscellanea Eblaitica 4 (Quaderni di Semitistica 19, Firenze 1997), e quelli relativi a carri ed equipaggi analizzati da G. Conti nel medesimo volume. Questo studio è stato preceduto da alcuni contributi preparatori apparsi in NABU e da una comunicazione tenuta al 10th Meeting of Hamito-Semitic (Afroasiatic) Linguistics, svoltosi a Firenze nell’aprile del 2001, ed ora edita in Quaderni di Semitistica 25. Al termine del lavoro, desidero ringraziare innanzitutto il prof. P. Fronzaroli, per averne seguito costantemente gli sviluppi e per il continuo ed importante stimolo alla ricerca, e quindi il dott. G. Conti, la dott.ssa M.V. Tonietti, la dott.ssa A. Catagnoti ed il dott. P. Mangiarotti, con i quali tutti ho avuto numerosi quanto proficui scambi di vedute. Alla dott.ssa Catagnoti va un ringraziamento particolare per avermi permesso di citare alcuni passi di prossima pubblicazione in ARET XII e per il tempo dedicato ad una attenta rilettura. Per problemi più strettamente legati alla veste editoriale, il ringraziamento deve essere esteso alla dott.ssa C. Picchi che ha curato la redazione di questo volume. Infine, fuori dall’ambito fiorentino, mi è gradito ringraziare il prof. A. Archi dell’Università di Roma, che ha gentilmente consentito la citazione di alcuni passi inediti ed ha effettuato le collazioni dei testi al Museo di Idlib assieme al prof. P. Fronzaroli ed alla dott.ssa A. Catagnoti, ed il dott. G. Marchesi per alcuni utili suggerimenti. Firenze, 2 giugno 2005 Jacopo Pasquali CAPITOLO I L’ARTIGIANATO A EBLA 1. Tecniche e materiali 1.1. Ad Ebla, nei testi amministrativi e narrativi, si conservano termini che appartengono al lessico culturale più antico riconducibile alla lavorazione della pietra, con significato ampliato. Ne è esempio il semitico comune *ãrš, con il significato origenario di “scheggiare”, connesso con le tecniche di lavorazione delle lame di pietra. Termini derivati da questa radice sono impiegati nelle liste lessicali eblaite per glossare sia il sumerico ù-sar, indicante i lati affilati delle lame di un pugnale a doppio taglio (VE 1134), 1 sia il sumerico zú-gul, “scheggiatura del dente” (VE 227). 2 Esiste poi, nei testi eblaiti, un lessico ampio e specifico relativo alla lavorazione raffinata dei metalli ed alla produzione artigianale, particolarmente interessante dal momento che esso trova continuità nelle lingue semitiche più tarde e nelle tradizioni artistiche e culturali posteriori. Ciò permette, anzi, a nostro giudizio, di affermare che quella tradizione di un Vicino Oriente centro irradiatore delle arti, ancora viva e sentita nelle parole degli autori classici, di Omero in particolare, affonda le sue radici nel terzo millennio a.C. In generale, i Fenici furono considerati dai Greci un popolo di inventori e civilizzatori, 3 e come tali vengono menzionati nel trattato sulle invenzioni redatto dallo storico greco Eforo di Cuma nel IV 1 Fronzaroli 1989, p. 9 e n. 20. Conti 1990, pp. 101-102. 3 Bonnet 1983, pp. 3 ss. 2 Capitolo I 2 secolo a.C. 4 Il controllo dei metalli, che ha reso possibile lo sviluppo delle tecniche e dei mestieri, è stata sentita in ogni epoca come una tappa fondamentale dell’incivilimento umano. 5 Nell’epos omerico 6 i Fenici non sono celebrati solo come validi navigatori (nausàklutoi), ma soprattutto per i “pepli variegati opera delle donne di Sidone” (pûploi pampoàkila ôrga gunaikÒn Sidonàwn) e per i bellissimi vasi in metallo cesellato (¶rgurûon krht≈ra tetugmûnon), che, dopo avere attraversato il “mare nebbioso”, divennero doni degni per gli eroi greci e valsero ai Sid’ne$ l’appellativo di poludaàdaloi, “abili come Dedalo”. 7 E ovviamente con il nome di Fenici si deve intendere in generale genti del Vicino Oriente, in particolare della zona siro-palestinese e di Cipro. 8 Questa continuità è sostenuta da evidenze sia archeologiche sia testuali. Alcuni tra i molti oggetti citati nei testi eblaiti del III millennio trovano, infatti, perfetta corrispondenza sia con i manufatti databili al successivo periodo amorreo rinvenuti negli scavi di Ebla, sia con i modelli iconografici dell’arte siriana e siro-fenicia del II e I millennio a.C. 9 Nonostante la fase più significativa nelle relazioni tra l’area egea ed il Vicino Oriente si collochi nel Tardo Bronzo (1500-1200 a.C.), come oramai largamente riconosciuto, ci furono stretti ed intensi rapporti commerciali, documentati anche archeologicamente, tra il Levante e l’Egeo già nell’età del Medio Bronzo. 10 Com’è naturale, questi rapporti devono aver favorito un intenso scambio intellettuale tra Oriente e Occidente, che non si è limitato alla trasmissione delle tecniche artigianali, ma ha fatto sentire i propri influssi in ambito religioso, mitologico e letterario, come del resto è ribadito dal debito che l’origene dell’alfabeto greco ha nei confronti dei sistemi di scrit- 4 Recentemente Schepens 1987, pp. 315 ss. Paolucci 1993, p. 76. 6 Per un elenco dei passi, Mazza - Ribichini - Xella 1988, pp. 24 e ss. 7 Iliade XXIII, vv. 740 ss. Per i Fenici in Omero, si vedano Muhly 1970, pp.16 ss.; Wathelet 1974, pp. 5 ss.; Stella 1978, pp. 155 ss. e passim; Edwards 1979 pp. 87 ss.; Wathelet 1983, pp. 235 ss.; Falsone 1988, pp. 79; Morris 1992, passim. 8 Stella 1978, pp. 155 ss.; Musti 1991, p. 165. 9 La continuità stilistica ed iconografica tra la produzione artistica eblaita del III millennio a.C. ed i manufatti siriani e fenici del II e I millennio è stata recentemente affermata con valide argomentazioni da Ciafaloni 1992, passim; Ciafaloni 1996, pp. 610 ss. 10 Recentemente Klengel 1984, pp. 7-19. 5 L’artigianato a Ebla 3 tura semitici. 11 Gli artigiani greci osservarono ed ammirarono la perizia tecnica e gli eleganti motivi iconografici sviluppati dai loro colleghi orientali soprattutto sui piccoli manufatti di lusso che erano sovente oggetto di scambio e riproposero, quindi, questi temi esotici, dando vita così a quella che è nota come “die orientalisierende Epoche der griechischen Kultur”, 12 proprio come gli artisti siro-palestinesi a partire soprattutto dall’età di Amarna furono influenzati da certi temi iconografici egizi, che a loro volta rinnovarono e riproposero. I temi iconografici vicinorientali legati alla celebrazione della regalità ed alla sua simbologia, quali ad esempio l’albero della vita, i geni protettori, la palma, così come l’impianto rituale ed ideologico connesso all’assunzione ed all’esercizio del potere, ivi compresa l’importanza fondamentale della ierogamia e di quella concezione tipicamente orientale della “dea che dà il regno”, ebbero particolare fortuna e furono utilizzati in terra greca dai signori locali nel loro estremo tentativo di riaffermare il proprio potere in un momento in cui si stavano verificando quegli importanti cambiamenti politici che portarono al sorgere dei regimi democratici. 13 Questi influssi orientalizzanti giunsero poi oltre l’area egea, in Italia, in Sardegna e in Spagna, 14 dove l’influenza orientalizzante si mantenne anche quando la Grecia, a seguito delle guerre persiane, mutò atteggiamento verso il Levante, da allora in poi sentito come elemento alieno e negativo, fino a che il rapporto non si ristabilirà nuovamente con l’avvento dell’Ellenismo. La figura del dio artigiano, quale emerge dai poemi di Ugarit, in cui agisce Kør-w-Ðss, e successivamente dalla tradizione fenicia relativa a Chousor, a noi purtroppo non giunta direttamente, ma nota solo grazie ad alcuni estratti dell’opera di Filone di Biblo, citati dall’apologista cristiano Eusebio nella sua Praeparatio evangelica con l’unico scopo di condannare la “follia politeista”, 15 devono aver influito fortemente sulla formazione 11 Su queste problematiche in particolare McCarter 1975; Edwards 1979, pp. 163 ss.; Johnstone 1978, pp. 151-166; Bernal 1987, pp. 1-19; Lundin 1987, pp. 91-99; Watt 1987, pp. 1-14; Powell 1991. 12 Burkert 1994, p. 114 e passim. 13 Queste problematiche sono lucidamente analizzate da Torelli 1997, pp. 243 ss. 14 Sestieri 1973, pp. 383-424; Strøm 1971, passim; Bonghi Jovino 1991, pp. 171 ss.; 2000, pp. 87 ss. 15 Barr 1974, pp. 17-68; Attridge - Oden 1981; Baumgarten 1981; Schiffmann 1986. 4 Capitolo I del dossier di importanti figure mitologiche greche, quali il dio artigiano Efesto e il mitico artigiano Dedalo. 16 I poemi ugartici nella forma in cui li conosciamo risalgono al Tardo Bronzo, ma raccolgono tradizioni senz’altro molto più antiche ed è possibile pensare che la figura di Kør-w-Ðss risalga all’avvento stesso della metallurgia. Il dio siriano Kør-w-Ðss, proprio come il greco Efesto, è ideatore e artefice di gioielli, armi, mobili. 17 Entrambi, quindi, erano di fatto abili nella lavorazione raffinata dei metalli e lavoravano ognuno per le divinità del proprio pantheon. Come Efesto e Dedalo, anche Kør-w-Ðss lavora anche altri materiali, quali il legno e le pietre dure semipreziose, ed è anche architetto e carpentiere. Come tale, ha il compito di sovrintendere alla costruzione del tempio di Ba‚al (CTA 4.5 = KTU 1.4 V): wbn.bht.ksp wðrñ.bht.ýhrm iqnim. “Costruisci dunque un palazzo d’argento e d’oro, un palazzo del più puro lapislazuli”, mentre in Odissea VII:91-94 Efesto è l’ideatore del suntuoso palazzo di Alcinoo, re dei Feaci, sull’isola di Scheria: Cßlkeoi m°n g™r toécoi ùlhlûat’ ônqa kaã ônqa, ùj mucÿn ùx o‹do„, perã d° qrigkÿj kußnoio: cr›seiai d° q›rai pukinÿn d’mon ùnqÿj ôergon: ¶rg›reoi staqmoã d’ ùn calkûJ üstasan o‹d¸, ¶rg›reon d’ ùf’ ¤perq›rion, crusûh d° korÎnh. “Muri di bronzo si estendevano per lungo tratto, dalla soglia verso l’interno, ed intorno un fregio di lapislazuli; porte d’oro chiudevano dentro la solida casa; gli stipiti d’argento poggiavano su una soglia di bronzo, l’architrave sopra era d’argento, l’anello era d’oro”. La similitudine si coglie anche nei materiali impiegati in tali circostanze: oro, argento e lapislazuli. 18 Filone di Biblo si colloca tra il primo ed il secondo secolo d.C., ma riporta e traduce in greco tradizioni antichissime fissate per iscritto dal fe16 Walcot 1969, pp. 111-118; Stella 1980, pp. 369-391; West 1988, pp. 169-170; Morris 1992, passim. 17 Per il dossier relativo a questa divinità, Xella 1976, pp. 111-125. 18 Per l’origene orientale dell’uso dei metalli preziosi e delle pietre dure nell’architettura greca, Stella 1927, pp. 177 ss.; Orlandos 1966, pp. 122 ss. L’artigianato a Ebla 5 nicio Sanchuniaton, origenario di Beirut (o di Tiro secondo Suida), 19 che Eusebio, supportato da Porfirio, afferma essere vissuto molto tempo prima della guerra di Troia. 20 Chousor, comunque, a differenza del suo antecedente ugaritico e di Efesto, non lavora più solo il bronzo, l’oro e l’argento, ma scopre ed utilizza il ferro, dando così l’avvio ad una nuova età. Durante la quale, tuttavia, le “famiglie” di artigiani, spesso itineranti, specializzati nella produzione di piccoli oggetti di lusso, specialmente in avorio e metallo prezioso, mantennero e trasmisero le tecniche e i motivi iconografici del periodo precedente. 21 Tradizioni simili, legate all’avvento e alla pratica della metallurgia, sono presenti anche nella tradizione biblica. Ovviamente non si tratta di divinità, ma di figure mitiche di artigiani ed eroi culturali a cui il dio di Israele dona la facoltà di saper lavorare l’argento, l’oro ed il bronzo, tagliare le pietre preziose ed incidere il legno. Oltre a Tubal-Cain, il fabbro discendente di Caino, “creatore della metallurgia, simbolo dell’uomo che riesce a dominare le pietre della terra e, da quelle, a produrre i metalli”, 22 si ricorderà in Genesi (31:1-11) la vicenda di Bezalel e Oholiab costruttori del tabernacolo divino. 23 1.2. Il lessico eblaita del III millennio a.C. comprende un certo numero di termini, che si riferiscono alle tecniche impiegate dagli artigiani per realizzare e decorare i loro manufatti. Si tratta sia di parole semitiche, sia di sumerogrammi, per alcuni dei quali la lettura semitica è nota perché fornita dalla lista lessicale bilingue oppure perché individuabile sulla base di passi paralleli. 24 Il termine che i testi amministrativi eblaiti largamente adottano per motivare l’assegnazione di materiale grezzo ad un artigiano per la realizzazione di un determinato oggetto, è kin®-aka, propriamente “fare”. La realizzazione degli oggetti di artigianato era una sorta di assemblaggio di materiali diversi. Soprattutto per quanto riguarda le immagini (an-dùl) di grandi dimensioni, ma anche per i vasi, i mobili e le armi si trattava del rivestimento di un materiale meno pregiato, il legno ad esempio, con uno 19 Per l’attendibilità di questa tradizione, ultimamente Troiani 1991, pp. 215 ss. Questo evento veniva datato secondo la tradizione al 1184 a.C. ed era considerato come l’evento storico databile più antico nella cronologia greca (Drews 1973, p. 8, n. 21). 21 Come mette in evidenza Lagarce 1983, pp. 547-561. 22 Paolucci 1993, p. 76. 23 Per queste tradizioni bibliche, ultimamente McNutt 1990, pp. 235 ss. 24 Per l’importanza dei passi paralleli nell’analisi del lessico eblaita, Waetzoldt 1986, pp. 553 ss.; Fronzaroli 1996, pp. 51-68. 20 6 Capitolo I più prezioso, l’oro e l’argento, su cui a loro volta si potevano incastonare le pietre dure semipreziose e applicare vernici e smalti. 1.2.1. Il legno è impiegato soprattutto per i mobili e i vasi, ma non mancano casi in cui anche alcuni gioielli vengono lavorati o decorati con alcuni tipi di legno. 25 Il tipo di legno più frequentemente citato nei rendiconti amministrativi è essenzialmente il bosso, giš-taskarin, che serviva alla manifattura di mobili e vasi. 26 Alcuni passi ne documentano l’acquisto in lana o metallo presso le “fiere” (KI:LAM o KI:LAM±) assieme ad altri legni e sostanze coloranti utilizzate dagli artigiani eblaiti: 27 TM.75.G.1940 v. X:11 - XI:11: (lana) níg-sa¥¤ giš-ti-ÐAR KI:LAM du-ub¾ (lana) níg-sa¥¤ a-gú (lana) níg-sa¥¤ 1 mi-at 10 giš-taskarin (lana) níg-sa¥¤ giš-ir-zú (lana) níg-sa¥¤ a-e (lana) [níg-sa¥¤ x] KI:LAM si-ƒà-am¾ (lana) níg-sa¥¤ ú-ðáb giš-ir-zú KI:LAM ig-dar¾; TM75.G.2315 r. I:4 - II:2: 1 ma-na kù:babbar // KI:LAM± ¼ƒà-da / 1 ma-na níg-sa¥¤ 220 giš-taskarin. Molto usato anche il legno di pioppo, giš-ildag­(GEŠTIN×KUR), relativamente agli stessi oggetti nominati a proposito del legno di bosso. 28 Un altro tipo di legno assai più raramente indicato come materiale impiegato nell’artigianato e di più difficile interpretazione è giš-UD. Il sumerogramma è citato anche nella lista lessicale eblaita in VE 496, giš-UD = ƒa®la-nu-um (fonte A), ƒa®-la-núm (fonte B), ƒa®-la-nu. La traduzione semitica è stata recentemente spiegata come ƒayl…nu(m), “un grande albero”, dal sem. *ƒayl-(…n-). 29 Se si accetta una lettura giš-babbar, si può proporre una confronto con giš-babbar-babbar, “un tipo di legno”, noto nei testi amministrativi anticosumerici. 30 Questo legno ad Ebla qualifica gú-li-lum, “braccialetto”, nei due passi che seguono: 25 Per interessanti spunti comparativi riguardo l’impiego del legno nel Vicino Oriente antico e nella Grecia micenea, Milani 1972, pp. 5-46. 26 Si veda, ad esempio, l’invenatario di oggetti artistici TM.75.G.1383, edito da Archi 1986, pp. 194 ss. 27 Citati da Biga 2002, p. 286. 28 Per gli impieghi del pioppo nell’artigianato del periodo presargonico, Powell 1992, pp. 114-115. 29 Conti 1990, p. 142. 30 Bauer 1972, p. 259, “eine Holzart”; Powell 1992, p. 102, “white/bright tree/wood”. L’artigianato a Ebla 7 ARET VIII 534 (= MEE 5 14) r. IX:21-27: 1 ma-na 10 kù:babbar / šu-bala-aka / 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 gú-li-lum ‹giš›-UD 12-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 5 / zulu-mu / za-a-šè; MEE 2 12 v. IX:1-7: £ £ ti²-mušen 1/2? gú-li-lum giš:UD 2 zi-bar tur / GÁ×LÁ 2? ma-na 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ar-ru¥©-LUM / è / nu¥¥-za 2 an-dùl / ¼ƒà-da. Un ulteriore passo riferisce, invece, dell’acquisto di una quantità non precisata di giš-UD, a DU-ru¥©¾ (verosimilmente presso una “fiera”), per effettuare, si presume, lavori edilizi o restauri presso la reggia di Ebla: ARET VIII 534 v. VII:24-30: TAR-1 kù:babbar / níg-sa¥¤ giš-UD-giš-UD / in / DU-ru¥©¾ / é / en / gibil. Più complessa appare l’analisi dei termine giš-ti-ÐAR, 31 che in un caso qualifica i contenitori giš-šu­ nell’ambito di un rendiconto amministrativo ancora inedito (TM.75.G.410 r. II:1), 32 che riporta un lungo conteggio di oggetti realizzati in legno. Ai giš-šu­ giš-ti-ÐAR si contrappongono, infatti, altri contenitori dello stesso tipo qualificati come giš-taskarin, cioè in bosso. Ciò sembra suggerire che giš-ti-ÐAR, come giš-taskarin, sia, in questo contesto, l’indicazione del materiale, un tipo di legno, con cui erano fatti questi vasi. Dagli altri contesti in cui il termine si trova citato, appare evidente che si tratta di un bene che veniva di norma acquistato presso una “fiera” (KI:LAM o KI:LAM±). 33 Anche negli acquisti ritorna l’associazione di giš-ti-ÐAR con giš-taskarin. La persona che si occupa di reperire giš-ti-ÐAR è generalmente il “collettore” (ur­) wa-ba-rúm; una volta è sostituito da BAD-SÙ-"luµ". Le “fiere” coinvolte nell’acquisto di giš-ti-ÐAR sono normalmente quelle delle divinità infere, in particolare quella di ƒà-da-NI¾. Ulteriori passi mostrano che giš-ti-ÐAR non era solamente comprato, ma anche consegnato (šu-mu-taka­) o trasportato (ú-íl) probabilmente a 31 Il sumerogramma è noto anche nella lista lessicale bilingue, ma non risulta glossato. Citato da Pomponio 1993, p. 6, n. 10. L’autore suppone si tratti del nome di un prodotto vegetale contenuto nei vasi giš-šu­. Le altre interpretazioni finora fornite per il termine sono: 1) un tipo di freccia o la punta di essa, in base al significato “freccia” di giš-ti (Pettinato 1980, p. 231; Archi - Biga 1983, p. 354; Biga - Milano 1984, p. 298; Pomponio 1985, p. 245; Archi 1986, p. 201; Mander 1990, passim; D’Agostino 1996b, passim); 2) “Wagenrippen” con lettura giš-ti-mar° per giš-ti-mar (Waetzoldt 1990, p. 7; Waetzoldt 2001, p. 389; ma si vedano i dubbi già espressi in proposito da Conti 1997, p. 69). Queste ipotesi, tuttavia, non si conciliano con l’attestazione di giš-šu­ giš-ti-ÐAR. 33 Questi passi sono riuniti ora in Biga 2002, pp. 284 ss.; anche nei casi in cui non compare esplicitamente il nome di una fiera, è comunque possibile supporre che esso fosse sottinteso. 32 8 Capitolo I Ebla, 34 da parte di persone di DU-lu¾, ðu-sa-/ša-um¾ e probabilmente manu-wa-ad ¾, e per i trasporti di ib-al°¾: ARET III 531 II:1'-3': ...] / [ma?*]-‹nu?*-wa?*›-ad ¾ / šu-mu-taka­ / 20 giš-ti-ÐAR; ARET III 591 I:2'-6': 3 sal-túg 3 íb-iii-túg / 5 ma-na a-gar®-gar® / ðu-sa-um¾/ šumu-taka­ / giš-ti-ÐAR; ARET III 73 II:1-3: [3* sal*-túg* 3* íb*-iii*-túg* / 5* ma*-na* a*-gar®*-gar®*] / ðu-ša-um¾ / šu-mu-taka­ / giš-ti-ÐAR; ARET IV 20 (38): 1 aktum-túg 1 íb-iii-túg sa° gùn / i-ti-¼ga-mi-iš / ma-za-lum / DU-lu¾ / ‹šu›-mu-taka­ / giš-ti-ÐAR; MEE 2 33 r. I:8-14: 1 mi-at 25 na­ siki / ú-íl / ib-al°¾ / ði- mu-túm / 1 mi-at 60 gišti-ÐAR / 1 mi-at 60 giš:gu-gíd-si / 7 gu­; MEE 2 33 v. VII:2-5: 1 mi-at 25 siki na­ / ib-al°¾ / ú-íl / giš-ti-ÐAR. Abbiamo, infine, la ricezione di 60 giš-ti-ÐAR di qualità superiore (sa°) e 620 giš-ti-ÐAR normali in un conto (šid) relativo all’é nagar: TM.75.G.1432 r. IV:3 - VII:3: 35 (beni vari) / 1 lá-1 ma-na kù:babbar / 7 li<-im> 2 mi<-at> 80 še / 6 mi<-at> udu / 60 giš-ti-ÐAR sa° / 6 mi-at 20 giš-ti-ÐAR / (anep.) / (anep.) / šid / é / nagar. La possibilità, quindi, che questa grafia indicasse un tipo di legname con cui i contenitori erano realizzati non sembra in contraddizione con i dati forniti dai testi amministrativi e risulta a nostro avviso la più adeguata a spiegare il citato contesto di TM.75.G.410, dove giš-ti-ÐAR qualifica un tipo di vaso. 1.2.2. Sicuramente molto più attestate del legno nella realizzazione degli oggetti d’arte sono ad Ebla le pietre dure semipreziose. L’impiego di pietre semipreziose è indicato talvolta nei testi amministrativi dall’uso del termine generico na­, “pietra”, in relazione ad alcuni gioielli (dib, “placchetta”, e gú-li-lum, “braccialetto”). Non è chiaro se gli scribi ricorressero a questo sumerogramma quando non era loro noto il tipo di pietra utilizzata oppure se con questo termine generico si indicassero piuttosto le così dette “pietre artificiali” in pasta vitrea realizzate ad imitazione di quelle naturali più costose. In accadico, infatti, sebbene si trovi spesso la qualifica 34 Per il taglio ed il trasporto del legname nel Vicino Oriente antico in epoca successiva, Fales 1983, pp. 49-92. 35 Edito da Archi 1986, pp. 193 s. L’artigianato a Ebla 9 k¢ri, “del forno”, per le pietre artificiali, era con il termine generico abnu, corrispondente al sumerico na­, che si poteva anche indicare il vetro. 36 La pietra dura semipreziosa più ampiamente citata nella documentazione eblaita è il lapislazuli, 37 indicato dalle grafie za:gìn e dalla variante meno attestata za-gìn. Il termine è noto anche nella lista lessicale bilingue in VE 868 (fonti A, B, D), ma senza la traduzione semitica. Per indicare il lapislazuli si usa nei testi di Ebla anche la grafia abbreviata gìn-gìn o, più raramente, gìn. 38 Secondo Civil, l’omissione del segno za nelle fonti semitiche indicherebbe che si trattava di un determinativo. 39 Dall’analisi dei testi sembra emergere che il lapislazuli come materiale grezzo provenisse ad Ebla da Mari, sia in forma di apporti (mu-túm), sia come risultato di acquisti. 40 Al lapislazuli vengono sovente associate nei testi amministrativi eblaiti finora noti altre pietre semipreziose quali componenti di gioielli ed altri oggetti d’artigianato. Queste pietre sono si­(-si­) e gugµ(GUL), di cui la prima ricorre anche separatamente al lapislazuli, mentre l’altra gli viene costantemente associata. Se gugµ(GUL) è oramai interpretato unanimemente come “corniola”, potendosi considerare la grafia eblaita, a nostro avviso, come scriptio difettiva per gug(ZA.GUL), 41 esattamente come abbiamo 36 Polvani 1980, p. 91, n. 95, a cui si rimanda in generale per la possibilità di distinguere nelle fonti cuneiformi le pietre naturali da quelle artificiali. 37 Per la documentazione archeologica relativamente alla presenza ed al commercio di questa pietra nel Vicino Oriente e ad Ebla, Herrmann 1968, pp. 21-57; Pinnock 1988, pp. 107-110. 38 Steinkeller 1981, p. 246; Mander 1990, p. 84; D’Agostino 1996, p. 182; Pettinato 1996, p. 326; Fronzaroli 1996, pp. 67-68; Pasquali 2002c; Archi 2003, p. 30. Il sumerogramma KUR è attestato anche nella lista lessicale eblaita in VE 869 (fonti A, B, D), ma ancora una volta non è purtroppo fornita la traduzione semitica. Ciò non consente di stabilire se KUR si riferisca al termine generico per “montagna” oppure alla pietra. 39 Civil 1987, p. 145. 40 Ultimamente Archi 1999, pp. 151 s.; assai più raramente, vengono citati altri luoghi di approvvigionamento: du-du-lu¾ in TM.75.G.2072 v. II:13 - III:2 (citato da Archi 1990b, p. 205); ìr-ra-ku¾ in MEE 10 29 v. I:1-6; kab-lu®-ul in MEE 2 49 r. III:2 - V:3. 41 Questa interpretazione appare preferibile a quella proposta da Archi, 1988e, pp. 214 e 228, che intende gugµ(ZAµ.GUL). Il termine zaµ in contesto di pietre, infatti, non solo è talvolta attestato anche con si­, (come giustamente osserva Fronzaroli 1996, p. 68, n. 83), mentre può non comparire con gugµ(GUL), ma sembra in effetti alternare con na­, come provano le grafie zaµ gugµ(GUL) za:gìn e na­ gugµ(GUL) za:gìn. Si consideri, ad esempio, ARET VII 13 r. I:1 - II:4: 17 ‹ma›-na TAR kù:babbar / níg-sa¥¤ / 7 túg / 16 ma-na TAR na­ gugµ(GUL) za:gìn 54 gín DILMUN zaµ gugµ(GUL) za:gín / 10 gín DILMUN zaµ si­ / áš-ti / i-ti / ma-rí¾. È possibile che zaµ e na­ si riferissero a due tipologie di pietra, diverse proba- 10 Capitolo I visto avvenire talora per il nome del lapislazuli, il sumerogramma si­ (-si­), 42 che nella lista monolingue precede immediatamente za:gìn (MEE 3 53 r. VIII:9-10), 43 indica una pietra, la cui identificazione è tuttora oggetto di discussione. Su base testuale, l’interpretazione più convincente è “corniola di colore rosso chiaro”. 44 Anche l’evidenza archeologica parrebbe favorire l’identificazione con un tipo di “corniola”, visto che perle realizzate con questa pietra sono state rinvenute, assieme a perle di lapislazuli, negli scavi del Palazzo Reale di Ebla. 45 Di questa varietà di corniola è nota una forma grande (mað) e una forma piccola (tur): ARET VII 147: 60 si­ mað / 1 mi-at 6 si­ tur / 12 si­ tur ii / kin®-aka / da-zi-ma-ad / lú PUZUR­-ra-ma-lik / šu-ba­-ti / iti i-rí-sá. Questo contesto è interessante anche perché cita il nome dell’artigiano dedito alla lavorazione della pietra dura, da-zi-ma-ad aiutante di PUZUR­-ra-ma-lik, altrove esplicitamente qualificato come lú si­: ARET VII 146: 1 mi<-at> 50 si­ / PUZUR­-ra-ma-lik / lú si­ šu-ba­-ti. Va notata la presenza esplicita di almeno altri due intagliatori, ib-duma-lik e iš¥¥-a-ma-lik, indicati con la qualifica di lú si­ e lú gul-si­: ARET II 28 v. IV:2-3: 46 iš¥¥-a-ma-lik / lú gul-si­; ARET VIII (= MEE 5 1) r. VIII:2-6: 2 sal-túg 2 íb-i-túg gùn / ì-giš-sag / ib-du-malik / lú si­-si­. In un ulteriore passo di un testo amministrativo ancora inedito si citano invece due anonimi apprendisti (dumu-nita) intagliatori di corniola (lú si­-si­) assieme a dodici apprendisti tintori (dumu-nita gùn): TM.75.G.2233 r. VI:6-10: 47 12 dumu-nita gùn wa 2 dumu-nita lú si­-si­. bilmente per forma o lavorazione, oppure a differenti modalità di contabilizzazione di questi beni. 42 Sulle forme reduplicate dei termini indicanti colori in sumerico, Civil 1987, p. 155, n. 32. 43 Il sumerogramma si­(-si­) risulta impiegato, anche se assai raramente nei testi di Ebla anche per indicare il colore “rosso” delle “cinghe” (gàr-su // e°!(SU)), per cui si rimanda a Pasquali 1997, p. 235 e n. 87. 44 Fronzaroli 1996, p. 68. Le altre interpretazioni proposte sono: “corallo” (Archi 1985, p. 302) e “agata” (Archi 2003, p. 31), che però, come lo stesso Archi riconosce, “has a banded structure and is brown with white, sometimes with a little blu” e quindi non è rossa, come invece richiede il sumerogramma si­ (= acc. pelûm), “rosso”. 45 Pinnock 1993, pp. 13 ss. 46 In una lista di sette na-se¥¥ di ti-ga-ba-al°¾. L’artigianato a Ebla 11 1.2.3. Tra i materiali impiegati dagli artigiani eblaiti, ve ne sono, infine, alcuni ricavati da animali. Di questi il più facilmente riconoscibile è l’avorio o l’osso indicato dal sumerogramma si, noto anche nella lista lessicale bilingue senza glossa. 48 Questo materiale risulta essere in un caso oggetto di dono alla corte eblaita: 49 ARET VIII 541 (= MEE 5 21) v. V: 2 sal-túg 2 íb-iii-túg gùn / en-na-NI / maškim / ki-ti-ir / da-NI / maškim / ib-ður-NI / šu-mu-taka­ / igi-du² / si. Gli oggetti che si dicono esplicitamente realizzati in “osso” o “avorio” sono abbastanza rari nella documentazione edita finora e si limitano ad una “placchetta” (dib), vasi e mobili. È, infine, opinione di chi scrive, che vadano interpretati nell’ambito di materiali ricavati da parti di animali utilizzati nella produzione artistica eblaita i termini ra-ƒà-tum e zú AN.A.LAGAB×AN, 50 finora non spiegati in modo pertinente a tutte le attestazioni. Per il termine semitico ra-ƒà-tum, che indica, a nostro avviso, un elemento decorativo ricavato da un anima le marino o comunque acquatico di complessa identificazione, rimandiamo alla discussione relativa nel capitolo II. Il sumerico zú AN.A.LAGAB×AN rimanda anch’esso al mondo degli animali acquatici. 51 Questa grafia è attestata con numerosi esempi nei testi amministrativi come qualifica dei pugnali gír, 52 di cui per lo più si specifica che sono realizzati in oro, più raramente dei braccialetti gú-li-lum. 53 Esiste poi una serie di contesti in cui il bene è contato, in genere in numero limitato, che va dalle 5 alle sette unità, e risulta essere oggetto di 47 Citato da Archi 2003, p. 34. L’interpretazione fornita dall’autore “2 young (dyers) for the si­ colour” appare più difficile in considerazione degli altri contesti sopra raccolti. 48 Da notare, comunque, che più spesso nei testi eblaiti, si indica le “corna” ornamentali, attributo di molte divinità maschili. 49 Non è chiaro, invece, se il materiale sia da riconoscere nella grafia plurale si-si indicante beni oggetto di “acquisti” (níg-sa¥¤) in ARET VII 77 (2-4). Potrebbe trattarsi di corna di animali, come si deduce dalla transazione registrata in ARET III 635 v. IV:2'-3': 1 gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ si IGI.DÀRA. Non è escluso, comunque, che anche queste corna potessero, comunque, servire per la decorazione di oggetti. 50 Con le varianti A.LAGAB×AN, AN.LAGAB×AN, AN.LAGAB×ÐAL, GÁ×AN, LAGAB×A, LAGAB×AN, LAGAB×ÐAL.A, LAGAB×ME. 51 Per l’utilizzazione di parti di pesci ed altri animali acquatici nell’artigianato del Vicino Oriente, Neufeld 1973, pp. 309-324; Spycket 1996, pp. 141-147. 52 Le attestazioni sono numerosissime e nella sostanza tutte pressoché similari, per cui si rimanda direttamente agli indici dei volumi ARET e MEE. 53 Mander 1995, p. 51. Capitolo I 12 “apporti” (mu-túm) o di “acquisti” (níg-sa¥¤) presso un KI:LAM±, assieme a tessuti, pietre dure semipreziose o “(gusci di) tartaruga” (ba). 54 Un apporto notevole all’interpretazione di queste grafie viene dalla lista lessicale bilingue, che registra in VE 202 l’equivalenza zú AN.A.LAGAB×AN = si-nu a-ða-mu (fonte A), si-n[u a-ða]-m[i] (fonte B), si-nu a-ða-mu (fonte C), ed in VE 1344' l’equivalenza AN.LAGAB×AN = si-nu <a->ða-mi-um (fonte A©). La grafia si-nu, che traduce zú, può essere facilmente spiegata come šinnu(m), “dente”, mentre è più complesso stabilire il significato del secondo termine del nesso. Appare, a nostro avviso, convincente a questo proposito l’interpretazione fornita da Pomponio e Xella, 55 i quali, pensando che si tratti di un elemento decorativo e non funzionale per pugnali ed altri oggetti, richiamano il sostantivo accadico laðmu, nome dell’essere acquatico noto nella mitologia come stirpe di Tiamat. I due autori, credono, quindi, visto l’impiego dell’immagine di questa creatura come elemento decorativo nei testi mesopotamici dal periodo paleoaccadico in poi, 56 che nei testi di Ebla zú AN.A.LAGAB×AN (e varr.) indichi una specie di “punta” capace di rievocare nell’immaginario i denti del mostro. Il fatto, tuttavia, che, come osservato, il bene possa essere apportato ad Ebla da altri regni o acquistato presso le fiere insieme tra l’altro ad un prodotto di sicura origene marina o acquatica, e cioè i ba(-ba), “(gusci di) tartaruga”, 57 fa supporre che si tratti di “denti” veri di un qualche animale acquatico per ora non altrimenti identificabile usati come elementi decorativi dei pregiati manufatti dell’artigianato eblaita. La rarità e, quindi, la preziosità di questi “denti” particolari è indicata dal numero assai ridotto negli apporti e negli acquisti. 1.3. Il lessico eblaita, accanto al termine generico kin®-aka, possiede altri vocaboli, che illustrano con maggior precisione i vari stadi e le modalità di questa lavorazione per assemblaggio e rivestimento. Uno dei termini più ricorrenti è il sumerogramma nu¥¥-za, probabilmente “pietra lucente”, 54 Contesti riuniti in Biga 2002, pp. 284 ss. Pomponio - Xella 1984, pp. 27-28, con bibliografia precedente. Ai due autori si deve anche il definitivo riconoscimento delle molteplici varianti. 56 Si veda in proposito anche CAD, L, pp. 42 ss. 57 Per questo animale, Farber 1974, pp. 195-207. Ad Ebla, nei testi editi, i gusci di tartaruga sono sovente oggetto di acquisti (níg-sa¥¤), ma non ne viene mai specificato l’impiego. 55 L’artigianato a Ebla 13 che può essere interpretato come “decorazione, ornamento”. Questa tecnica si suppone si riferisse in origene alla decorazione di statue in pietra dura semipreziosa per passare poi ad indicare il rivestimento di questi oggetti o di loro parti con foglie o lamine di metallo prezioso. 58 L’azione tecnica indicata da questo termine è attestata praticamente per ogni tipo di oggetto artistico in metallo prodotto dall’artigianato eblaita, sia che si tratti di gioielli o vasi, sia che si tratti di armi o componenti del mobilio o statue. Questa lamina metallica veniva verosimilmente fissata sul legno tramite chiodi e perni d’ancoraggio. Nei testi di Ebla disponibili si citano giš-kak, “chiodi”, in relazione ad un ariete d’assedio (gu­-si-dili) 59 in: MEE 7 34 r. XX:22 - v. I:2: 10 gín DILMUN nagga / šub si-in / 10 lá-2 ma-na agar®-gar® / kin®-aka / 6 giš-kak-giš-kak / eme / gu­-si-dili 60 in relazione a giš-šilig, “sgabello”, in: MEE 12 35 r. XXV:33-38: 2 gín DILMUN nagga / šub si-in / 18 gín DILMUN agar®-gar® / 6 giš-kak / 1 <giš*->ASAR / i-bí-zi-kir in relazione ad una giara (la-ða), assieme a giš-zú, “ganci”, in: MEE 12 36 v. XIV:19 - XV:7: TAR-1 gín DILMUN nagga / šub si-in / 3 ma-na 9 a-gar®-gar® / 4 giš-zú / 4 mu-a-tum / 6 giš-kak / lú kin®-aka / 1 la-ða. In questi casi si tratta di chiodi in bronzo. Altrove, invece, sempre per la realizzazione di una giara per il coppiere di corte (sagi), si citano perni o tenoni (gišlu-lum) 61 in argento: MEE 12 37 r. XXIV:28-33: 15 gín DILMUN kù:babbar / gišlu-lum / zà / an-dùl-andùl / lú nundum / 1 la-ða sagi. Nel passo amministrativo sopra citato i gišlu-lum in argento servono per applicare il rivestimento esterno (zà) alla giara e per ancorare le figurine (an-dùl-an-dùl) sul bordo (nundum) della stessa. L’uso di chiodi e perni di ancoraggio per tenere unite varie parti delle figurine, come ad esempio il rivestimento esterno in metallo prezioso, ed assicurare queste ultime ad un piedistallo o altro sostegno ligneo, lapideo o metallico è documentato anche grazie ai ritrovamenti archeologici. Ad Ebla, ad esempio, è stata rinvenuta negli scavi del Palazzo G una protome leonina in lamina aurea mar58 Fronzaroli 1996, p. 64, con bibliografia. Per questo sumerogramma, Steinkeller 1987. 60 Seguendo la collazione di Archi 1997/98, p. 114. 61 Pasquali 2002a. 59 Capitolo I 14 tellata, 62 all’interno della quale si è conservato un tenone verticale, che doveva servire per fissare l’immagine ad un oggetto di più grandi dimensioni purtroppo non identificabile, probabilmente un vaso o un mobile, mentre ad Ugarit sono state rinvenute alcune statuette di divinità sulla superficie delle quali è possibile notare i solchi in cui il rivestimento metallico veniva inserito e ancorato verosimilmente con l’ausilio di piccoli chiodi. 63 Di questa tecnica si ha sentore anche in alcuni interessanti passi biblici, in cui viene descritta minuziosamente, seppure con intenti satirici, la lavorazione delle immagini divine. 64 L’uso di chiodi d’argento (¶rgur’hlo$) 65 per applicare lamine e decorazioni in metallo sul corpo ligneo di armi, mobili, sculture ed altri oggetti d’arte è ancora descritto nell’epos omerico e nelle fonti greche successive come un tipo di lavorazione artigianale di provenienza orientale, nota come tecnica dello sfurølaton. 66 Particolarmente significativa al riguardo risulta la testimonianza di Pausania (III, 17, 6), che, descrivendo un’antichissima statua di culto realizzata con questa tecnica, si esprime così: Di/ ÷lou gßr o‹k †stin eÄrgasmûnon, ùlhlasmûnou d° ádàa tÒn merÒn kaq/ a¤tÿ ùkßstou sunørmostaà te prÿ$ ©llhla kaã ∆loi sunûcousin a‹t™ m¬ dialuq≈nai. “Non è composta di un pezzo unico: le varie parti, martellate separatamente, sono attaccate le une alle altre e dei chiodi le tengono assieme in modo tale che non si stacchino”. L’uso di questa tecnica artigianale di assemblaggio di vari materiali è ribadita anche da un passo del rituale regio eblaita, dove, riferendosi alle immagini dei geni protettori della coppia reale, vengono impiegate le forme verbali del tema št/1 uš-da-ti-ma, “ha composto; ha realizzato assemblando”, e du-uš-da-a-da-mu, “compongono; realizzano assemblando”, rispettivamente preterito di terza persona singolare e presente di terza persona plurale, dal sem. *ƒtm, “unire”, attestato successivamente in sudarabico antico ed in arabo. 67 62 Pinnock 1981, p. 68, n. 8. Schaeffer 1966, pp. 6-7. 64 Fitzgerald 1989, pp. 433 ss.; Dick 1999, pp. 18 ss. 65 Lexikon des frühgriechischen Epos, Band 1/A, 1213-1214, s.v.; Frontisi-Ducroux 1975, pp. 59 ss. 66 Frontisi-Ducroux 1970, pp. 281 ss.; Papadopoulos 1980, pp. 9 ss. 67 Fronzaroli 1993, p. 51, che giustamente fa riferimento all’immagine di toro androcefalo in legno, lamina aurea e lapislazuli rinvenuta negli scavi del Palazzo G. 63 L’artigianato a Ebla 15 2. Gioielli Nei testi amministrativi di Ebla sono attestati diversi tipi di gioielli sia in assegnazioni a personaggi della corte eblaita o di città e regni con cui Ebla intratteneva rapporti diplomatici, sia come offerta alle statue delle divinità. 2.1. Molto importanti per lo studio di questo settore dell’artigianato eblaita risultano gli elenchi degli oggetti preziosi che le principesse della casa reale portavano in dote al momento delle nozze. I contesti di questa tipologia attualmente disponibili sono quelli che riguardano le nozze della principessa i-ti-mu-ud, figlia del re ìr-kab-da-mu, con ru¥©-zi-ma-lik: ARET II 31 (1): 10 PI kù-sig¥± 2 kù-sal 1 ša-mu 1 ma-ða-na-gúm 4 gu zaµ sag 5 sida-tum zaµ gugµ za-gín / si­-si­ kù-sig¥± / 2 ti-ki-na / 1 ma-da-ðu / 1 giš-šu-dub / 1 ti-ba-ra-núm / 1 ù-nu-bù-bí-tum / 61 gú-zú-ra-tum kù-sig¥± gugµ za-gín / GÁxLÁ 1 ma-na ša-pi-6 kù-sig¥± / 2 giš-DU / 2 bu-di / sag / kù-sig¥± / GÁxLÁ 1 ma-na kù:babbar / 4 zara°-túg / 1 túg-NI:NI / 16 aktum-túg TI-túg / níg-ba / i-ti-mu-ud / in u­ / é / ru¥©-zi-ma-lik, le nozze della principessa dag-rí-iš-da-mu, figlia di iš¥¥-ar-da-mu, con il figlio del re di Nagar: 68 TM.75.G.1250+ARET XII 874 r. III:3 - V:3: 69 6 ma-na 18 kù-sig¥± / 2 bu-di šušanaµ-1/2 / 2 giš-DU 16 / 2 ti-gi-na lu-li šušanaµ-5-1/2 / 2 ti-gi-na giš-zú šušanaµ lá-1/2 / 10 lá-2 gišgeštu-lá šušanaµ-1/2 / 4 ƒà-ra-ma-tum 2 zà šušanaµ3-1/2 / 2 kù-sal 3-1/2 / 1 mi-at 20 gur-gú-ru¥© 16 / 1 mi-at 23 du-ru¥©-gú 16 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 šu-dub 3-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 4 / 2 bu-di tur 6 / 4 NIša-bù 2 / 1 ša-mu 1 a-na-bù-bí-tum / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda 1 ma-na TAR / 1 an-zamµ 1 pad 1 zi-bar šušanaµ-5 / 1 dib giš-geštin TAR / 1 du-rúm TAR / 4 bur-KAK nu¥¥-za šušanaµ-2 / 2 ma-na kù:babbar / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda / 6 kù:babbar / 2 bu-di tur / 1 kù:babbar / 1 ša-mu / ab / 1 ma-na kù-sig¥± / 2 níganše-aka 4 kù-sal / TAR kù-sig¥± nu¥¥-za / 2 giš-GAM.GAM 1 giš-gígir-ii / mu-túm / i-bí-zi-kir, a cui si devono aggiungere i passi relativi all’investitura a sacerdotessa del dio ¼ƒa®-da-bal di lu-ba-an¾, o matrimonio sacro, di di-ne-íb-du-lum, sorella del re ìr-kab-da-mu: 70 68 Per questi eventi, Biga 1996, p. 64; 1998, pp. 17-22. Citato da Archi 2002a, pp. 172-173. 70 Per l’investitura sacerdotale di questa dama eblaita, Archi 1996b, p. 74. 69 Capitolo I 16 MEE 10 20 r. III:16 - V:9: 16 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / šušanaµ geštin-še / šušanaµ kurgú-ru¥© / 6 ða-za-nu / 4 ma-ða-na-gúm / 10 MÙŠ LAK-724 / 1 bù-ga-na tur / 4 kù-sal esirµ!(GI×GI) / wa / E.GUL.ÐÚB.DU / TAR-2 zaµ sag / 50 4 ƒà-rama-tum / 8 2 buru­-mušen / 8 2 kù-sal / 3 1 bu-di ma-rí¾ / šušanaµ 1 an-zamµ / 5 1 zi-bar / 2 1 ša-mu / wa / 1 ti-ba-ra-núm / wa / 1 a-na-bú-bí-tum / zaµ / gibil / TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 2 tigi-na giš-zú / wa / 2 ti-gi-na dàra:dà? / 1 gú-li-lum libir / 3 ma-na kù:babbar / 1 níg-bànda 1 giš-šu­ / 1 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / 2 níg-anšeaka 4 kù-sal / 7 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-rí-a-tum / wa / 1 šu-dub / 81/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 kù-sal 1 buru­-mušen / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­, TM.76.G.288 r. II:6 - IV:14: 71 16 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5 ma-na 3 kù-sig¥± / kin®-aka / šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / geštin še / šušanaµ kur-gú-ru¥© / 6 ða-[za-nu] / 4 ma-ða-na-gúm / 10 MÙŠ LAK-724 / 1 bù-ga-na tur / 4 kù-sal esirµ!(GI×GI) / wa / E.GUL.ÐÚB.DU / TAR-2 zaµ sag / [50 4 ƒà-ra-ma-tum] / lu-ba-an¾ / [8 2 buru­]-mušen / 8 2 kù-sal / [3 1 budi] ma-rí¾ / šušanaµ 1 an-zamµ / [5] 1 zi-bar / 2 1 ša-mu / wa / 1 ti-ba-ra-núm / 1 a-na-bú-bí-tum / ša-pi 2 ti-gi-na giš-zú / 50 2 ti-gi-na dàra:dà? / šušanaµ 1 gú-li-lum / 3 ma-na kù:babbar / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda / 1 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / [2 níg-anše-aka] / [4 kù-sal] / [7 gín DILMUN kù:babbar] / 1 ma-rí-<a*->tum / wa / 1 šu-dub / [1-1/2 gín DILMUN kùsig¥±] / [2 k]ù-sal [1 bu]ru­-mušen / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾. Il testo relativo alle nozze di i-ti-mu-ud è molto antico, risalendo alla fase iniziale degli archivi di Ebla, mentre i passi relativi alle nozze di dagrí-iš-da-mu ed all’investitura sacerdotale di di-ne-íb-du-lum sono databili alla fase finale degli archivi, quando era già ministro i-bí-zi-kir. 72 Nonostante il lasso di tempo che separa questi documenti, i gioielli e gli oggetti d’arte che compongono questi corredi sono, pur con alcune eccezioni, gli stessi. Rientra in questa tipologia anche il testo TM.75.G.1730 (= MEE 7 34), 73 che contiene numerosi riferimenti ai preparativi per il matrimonio e l’intronizzazione dei sovrani di Ebla, evento a noi noto soprattutto grazie ai rituali di ARET XI. Come si deduce dai seguenti contesti: 71 Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. In particolare, si noterà che il passo relativo alla dote di di-ne-íb-du-lum proviene dal primo rendiconto mensile di metalli del mandato di i-bí-zi-kir. 73 La relazione tra questo documento amministrativo ed i testi rituali è stata notata da Biga 1992, pp. 3-11. 72 L’artigianato a Ebla 17 ARET XI 2 r. II:3'-11': KA-dù-gíd kù-sig¥± / na-ù-bad / túg ú-ðáb giš-ma-ir / duru¥©-ru¥© gùn / mu­mu / ma-lik-tum / al° / kaskal / nu túg-ZI:ZI; ARET XI 2 r. IV:10-17: ‹wa› / mu-ti / túg-túg ú-ðáb giš-ma-ir gùn / wa / [K]A-dù[gíd] / mu-ti / in / má-la-sum; ARET XI 3 r. II:1-13: KA-dù-gíd / kù-sig¥± / na-ù-ba-at / túg-SÙ ú-ðáb / du-ru¥©-ra gùn / mu­mu / ma-lik-tum / al° kaskal / nu túg-ZI:ZI / a-ti-ma / mu-túm / é / ¼KU-ra; ARET XI 3 r. III:7 - IV:1: wa / mu-ti / túg-SÙ ú-ðáb / wa / du-ru¥©-rúm gùn / wa / KA-dù-gíd kù-sig¥± / in / má-ra-šim, le vesti ed i gioielli della ma-lik-tum hanno un ruolo fondamentale per lo svolgimento della cerimonia di nozze: è la loro assunzione che determina in maniera visibile il cambiamento di status della regina di Ebla. Le stoffe che formano il corredo della regina per la celebrazione del matrimonio dinastico risultano avere, pertanto, un alto valore simbolico. La ma-lik-tum non può indossarle durante il viaggio (al° kaskal / nu túg-ZI:ZI), ma è solamente all’arrivo al tempio di ¼KU-ra, la divinità poliade di Ebla, che le viene concesso di assumere il suo ornatus cerimoniale, composto da una catena d’oro con pendenti (KA-dù-gíd), 74 una veste rossa (ú-ðáb), una veste presumibilmente giallo-arancio (giš-ma-ir), 75 e una “stola” o “peplo” (du-ru¥©-ru¥©, du-ru¥©-rúm) variegato (gùn). 76 In questa prima prima parte della cerimonia, più propriamente riferita alla celebrazione delle nozze della coppia reale, si fa, quindi, riferimento esclusivo al corredo della regina e non si menzionano, invece, le vesti del re. Non può essere, a nostro avviso, un caso che si attribuisca così grande importanza ai corredi nuziali 74 Fronzaroli 1993, pp. 72-73, confronta il sumerogramma con giš-KA-dù = acc. erinnu, “collare (usato per il trasporto di prigionieri di guerra)”; diversamente Waetzoldt 2001, pp. 232-233. Nei testi amministrativi KA-dù-gíd ricorre talora associato a bu-di (ARET I 32 r. VI:11-13: 3 ma-na kù-sig¥± / 10 lá-1 KA-dù-gíd bu-di šušanaµ kù-sig¥± / ma-lik-tum-ma-liktum). In un caso pare indicare la catena d’oro usata come bardatura per gli onagri del re (MEE 12 27 v. III:3-5: 23 ma-na kù-sig¥± / KA-dù-gíd BAR.AN-BAR.AN / en). 75 Se giš-ma-ir può essere considerato come una variante del più attestato giš-ir-zú, “giallo-arancio; zafferano”, per cui si veda oltre. 76 Pasquali 1997, pp. 225-230. L’interpretazione “stola; peplo” è stata recentemente criticata da Archi 2002a, p. 189, sulla base del peso dell’oggetto, che in un caso risulta essere di 30 sicli (= 235 g). Il problema a nostro avviso non sussiste, dal momento che abiti cerimoniali riccamente decorati e con numerose applicazioni in metallo prezioso che li rendevano anche molto pesanti sono ben attestati nell’antichità: si pensi, ad esempio, al peplo offerto alla statua di culto della dea Atena, che per essere portato in processione richiedeva l’ausilio di più persone. E, comunque, la traduzione “ribbon; knot”, proposta come alternativa da Archi, non appare maggiormente adeguata ad un manufatto di 235 g. Capitolo I 18 femminili. Il matrimonio, infatti, era sentito come una fase di passaggio soprattutto per la donna, che con quest’atto subiva un vero e proprio cambiamento di stato all’interno della comunità. Ed un tale cambiamento era simboleggiato tramite l’assunzione di vesti ed ornamenti particolari. Mentre per l’uomo questa fase di passaggio era rappresentata dall’educazione militare e dalla guerra. 77 Pertanto, i gioielli e le eleganti vesti della sposa corrispondono a livello simbolico all’armatura del guerriero. 78 Le collane e gli altri preziosi gioielli indossati dalle spose eblaite dovevano assumere un valore magico, erano il simbolo della loro cßrij femminile e come tali essi dovevano essere in grado di suscitare un’immediata seduzione. 79 Nel mito sumerico di Inanna e Dumuzi, la dea apre la porta al suo futuro sposo solo dopo essersi adornata di gioielli e pietre preziose. 80 La situazione è in tutto simile a quella dell’unione ierogamica della dea Afrodite con il principe troiano Anchise, descritta nell’Inno omerico ad Afrodite (vv. 81-91): St≈ d’ a‹tou propßroiqe Diÿj qugßqhr ‘Afrodàth parqûnJ ¶dmøtV mûgeqoj kaã eêdoj moàh, mø min tarbøseien ùn ‘fqalmoési noøsaj. ‘Agcàshj d’ ”r’wn ùfrßzeto qa›mainûn te eêd’j te mûgeqoj kaã eâmata sigal’enta. pûplon m°n g™r üesto faein’teron purÿj a‹g≈j, eêce d’ ùpignampt™j ülikaj kßlukßj te faienßj, ÷rmoi d’ ¶mf’ •pal– deir– perikallûej «san kaloã cr›seioi pampoàkiloi: Èj d° selønh støqesin ¶mf’ •paloésin ùlßmpeto, qa„ma Ädûsqai. ‘Agcàshn d’ ôroj eèlen... “Davanti a lui si fermò Afrodite, figlia di Zeus, nella statura e nell’aspetto simile ad una fanciulla vergine, perché non si spaventasse vedendola con i suoi occhi. Anchise vedendola iniziò ad osservarla e ne ammirava l’aspetto, la statura e le vesti splendenti: un peplo indossava, più lucente della vampa del fuoco, portava fermagli a spirale ed orecchini splendenti al collo delicato erano appese stupende collane belle, d’oro, variegate: come la luna 77 Così avveniva anche nella Grecia antica, Schmitt 1977, pp. 1062 ss. Hoffman 1986, p. 63. 79 Borghini 1988, pp. 59 ss.; Faraone 1990, pp. 219 ss.; Scheid-Svenbro 1996, pp. 53 ss.; Bottini 2000, pp. 278 ss.; Menichetti 2003, pp. 33 ss. 80 Wolkstein - Kramer 1985, pp. 44 ss. 78 L’artigianato a Ebla 19 intorno al delicato petto brillavano, meraviglia a vedersi. Anchise fu preso d’amore...”. Da osservare, inoltre, che corredi di vesti, gioielli e oggetti preziosi molto simili a quelli registrati per gli eventi sopra ricordati, sono noti in alcuni passi relativi alle cerimonie funebri (É×PAP) per alcune nobildonne defunte della corte eblaita, precisamente la madre del re (ama-gal en): TM.75.G.10088 v. XVII:24 - XVIII:10: 81 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP, gi-mi-NI-za-du, sorella (nin-ni) della regina sposa dell’ultimo sovrano di Ebla: ARET IV 19 (17): 1 túg-NI:NI ú-ðáb / 1 gíd-túg 1 du-ru¥©-ru¥© / šušanaµ-4 kù-sig¥± / 10 gišgeštu-lá / 7 kù-sig¥± / du-ru¥©-gú / 16 kù-sig¥± / 1 mi-at / 20 kur-gur-ru¥© / wa / 2 al°-la-nu / 1-1/2 kù-sig¥± / 1 kù-sal / 2 kù-sig¥± / 1 ša-mu / 1 a-na-bùbù-tum / 2 kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 gú-li-lum a-gar® / šušanaµ kù:babbar / ‹2› bu-di / ‹10› kù:‹babbar› / šu-bala-aka / 2 kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 sag-SÙ / gi-mi-NI-zadu / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; MEE 10 20, v. V:8 - VI:7: 4 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 52 gín DILMUN kù-sig¥± / šušanaµ-3 10 gišgeštu-lá / 7 du-ru¥©-gú / 16 1 mi-at 20 kur-gú-ru¥© / wa / 2 al°-la-na / 2 1 kù-sal / 2 1 ša-mu / wa / 1 a-na-bù-bítum / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za / 1 gú-li-lum / šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / 2 bu-di / 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 sag-SÙ / gi-mi-NI-za-du / nin-ni / ma-lik-tum / si-in / É×PAP, e le figlie di quest’ultimo, dar-ib-da-mu e ti-iš-te-da-mu: TM.75.G.2334 r. I:1 - III:17: 82 15 aktum-túg ti-túg / 2 zara°-túg ú-ðáb / 2 gíd-túg ú-ðáb / lú é siki / 6 zara°-túg 6 gu-dùl-túg / 2 bu-di šušanaµ kù:babbar 2 sag kù-sig¥± / 4 bu-di 10 kù:babbar / lú é ti-túg / an-šè-gú 3 ma-na 10 kù-sig¥± / 4 ƒà-ra-ma-tum 2 buru­-mušen šušanaµ-8 / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ šušanaµ lá-2 / 1 zi-bar 3 2-NI / 2 bu-di šušanaµ / 2 ti-gi-na lu-li ša-pi lá-1 / 1 mi-at 60 lá-1 gur-gú-ru¥© 22 / 1 mi-at 20 du-ru¥©-gú 14 / 2 kù-sal 6 / 1 šu-kešda 4 2-NI / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gú-zu-ra-tum 3 / 2 bù-ga-na 2 / lú esirµ(LAK-173)e / maš-maš 1 kun 4 / 1 gú-li-lum-i 10 kù:babbar 2 kù-sig¥± / 1 ša-mu 1 a-na-bùbí-tum 1 / 3 ma-na TAR kù:babbar / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda / 10 kù:babbar / 2 bu-di / lú <é> siki / 1 ma-na kù-sig¥± / 2 níg-anše-aka 4 kù-sal / TAR kù-sig¥± 81 82 Citato da Archi 2002a, p. 178. Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. Capitolo I 20 / nu¥¥-za 2 giš-GAM 1 giš-gígir-ii / ša-du / mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-damu / dumu-mí / en / dam-dingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­ ; TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 83 1 zara°-túg / 2 ma-na TAR-5 kù-sig¥± / 4 ƒà-ra-matum 2 zà šušanaµ-5 / 1 an-zamµ 15-1/2 / 1 zi-bar 4 / 2 kù-sal 4 4-NI / 10 lá-2 giš geštu-lá šušanaµ / 2 ti-gi-na lu-li 17-1/2 / 98 du-ru¥©-gú 12 / 1 mi-at 25 gurgú-ru¥© 13-1/2 / 1 šu-dub 5 3-NI / 2 bu-di šušanaµ / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gúzu-ra-tum 4 / 1 ša-mu 1 a-na-bù-bí-tum 1 / 1 gú-li-lum-i 10 / 1 ša-mu 1 kù:babbar / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda / 1 ma-na kù-sig¥± / 2 níg-anše-aka 4 kù-sal / TAR kù-sig¥± nu¥¥-za 2 giš-GAM.GAM / lú mu-túm / i-bí-zi-kir / ti-iš-te-damu / dumu-mí en / si-in / É×PAP. Il fatto che gli stessi corredi vengano assegnati oltre che per il matrimonio anche per la cerimonia funebre di una dama della corte può spiegarsi con il fatto che matrimonio e morte erano avvertiti dagli antichi come due “fasi di passaggio” esattamente equivalenti nella vita di una donna. Nell’antica grecia, se una donna moriva nubile, la si seppelliva con l’ornatus matrimoniale. 84 2.2. Varie sono le tipologie di perle, specie in forma di frutti o elementi vegetali: 85 ða-za-nu, “(perla in forma di) bulbo”, še-geštin, “(perla a forma di) acino d’uva” e al°-la-nu, “(perla in forma di) ghianda” in oro o pietre dure semipreziose. Queste perle erano impiegate per realizzare suntuose collane cerimoniali. Gli elementi più appariscenti è possibile venissero collocati al centro. 2.3. Una di queste collane è indicata dall’accadogramma ti-gi-na (con varr. ti-ki-na, ti-ki-núm). Il gioiello, oltre che per le doti delle principesse e delle dame di corte eblaite, viene regolarmente assegnato a persone di alto rango della corte eblaita o di altri regni. Di preferenza a donne, sebbene non manchino casi in cui i destinatari sono personaggi maschili. Solo due passi nella documentazione disponibile ne registrano l’offerta a divinità (¼áš-da-bíl e ¼ba-ra-du ma-du): TM.75.G.2508 r. XIII:12-18: 86 [x gí]n-[DILMUN kù:babbar] / 2 giš-DU 2 ti-gi-na / íl-ƒà-ag-da-mu / a-dè / 2 giš-DU 2 ti-g[i-na]-SÙ / sikil / ¼áš-da-bíl ; TM.75.G.10270 r. VII:10-12: 87 1 ma-na kù-sig¥± ‹ti›-‹gi›-na ¼ba-ra-du ma-du. 83 Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. Thimme 1964, pp. 21-27; Redfield 1982, pp. 188 ss.; Jenkins 1983, pp. 137 ss. 85 Per simili tipologie di perle in altre documentazioni, Jacob-Rost 1961, pp. 178 ss.; Polvani 1988, p. 35; Miller 2000, pp. 149-155. 86 Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 9. 87 Citato da Archi 1997, p. 416. 84 L’artigianato a Ebla 21 Il termine è noto anche nella lista lessicale bilingue VE 902 ti-gi-núm = zu-zu-a (fonte A), ti-gi-na (fonte B, senza glossa). La glossa zu-zu-a è stata spiegata tramite l’accadico sussullu, “cassetta”. 88 Questa interpretazione della glossa di VE 902, però, non solo non dà conto della terminazione in a del sostantivo, che parrebbe indicare una forma di duale, 89 ma soprattutto non risulta compatibile con le attestazioni amministrative del termine. La grafia del VE resta pertanto di difficile interpretazione. L’esistenza di molte varianti grafiche favorisce la possibilità che si tratti, come vedremo di seguito per bu-di, di un accadogramma o, comunque, di un prestito semitico in sumerico. 90 La terminazione in a può, infatti, considerarsi come indizio di un prestito avvenuto in periodo presargonico, qualora non debba anche in questo caso ritenersi espressione del duale. Semanticamente risulta corretto il confronto con l’accadico tiqnu (sumerico suðkešda), un tipo di gioiello o ornamento usato come collana, dal sem. *tk/qn, “(essere) in ordine; (essere) ben fatto”, attestato in accadico ed ebraico. 91 Uno sviluppo semantico affine lo ritroviamo nel greco k’smoj, kosmûw, che, dall’idea iniziale di disposizione giusta ed ordinata, è passato talora ad indicare già in Omero un ornamento ricco ed elegante e quindi un gioiello o un insieme di gioielli. 92 Questa collana è solitamente realizzata in metalli pregiati e pietre dure semipreziose. Non è chiaro se la qualificazione (lú) giš-PA, che le viene attribuita nei contesti che seguono, dove la destinataria dell’oggetto è sempre la regina, sia un’indicazione del materiale (nel qual caso si tratterebbe di un tipo particolare di legno), o piuttosto di un elemento decorativo da applicare alla collana come pendente: 93 MEE 10 29 v. I:15-19: 6 ma-na ša-pi kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ti-gi-na giš-PA / ma-lik-tum; TM.75.G.1527 r. I:8-10: 2 ma-na 55 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ti-gi-na / lú giš-PA TM.75.G.1918 v. I:18-19: 94 2 ti-gi-na giš-PA / ma-lik-tum. 88 Waetzoldt apud Mander 1990, p. 89. Questa interpretazione sembra accolta da Pettinato 1996, p. 164. 89 Per le forme del duale ad Ebla, Fronzaroli 1990, pp. 111-125 (per zu-zu-a, p. 113, n. 7). 90 Come già osservato da Fronzaroli 1990, p. 113, n. 7. 91 Civil 1987, p. 152; Mander 1990, p. 89; ultimamente Archi 2002a, pp. 197-198. Per l’accadico, AHw, pp. 1360-1361. 92 Kahn 1960, pp. 219 ss. 93 Più difficilmente si tratterà in questi casi di ti-gi-na come “part of a "staff(?)" ”, come interpreta Archi 2002a, p. 198. 94 Citati da Archi 2002a, p. 198. Capitolo I 22 Sicuramente alla presenza di pendenti in forma teriomorfa uniti al gioiello fanno riferimento le grafie dàra:dà, “cervo”, lu-li (grafia fonetica per lulim), di significato affine, 95 e "luµ", “toro androcefalo”: ARET VIII 534 (= MEE 5 14) v. VI:4-19: 1 ma-na TAR kù:babbar / šu-bal-aka / TAR kù-sig¥± / 2 ti-gi-na dàra:dà / TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 10 kù-sig¥± / ni-zi-mu / 2 ti-gi-na libir / 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / šušanaµ kù-sig¥± / 1 dib / dumu-mí / en / ƒà-za-an¾ ; ARET XII 1022 II:3: 2 ti-gi-na lu-li TAR-1; TM.75.G.2071 r. II:4: 96 2 ti-gi-na "luµ". Come nel caso del gioiello bu-di, pare fosse solo la testa dell’animale o dell’essere mitico a venire utilizzata come pendente: TM.75.G.10088 r. XIV:35-36: 97 2 ti-gi-na lú 2 sag-SÙ "luµ". È possibile che il “gancio” (giš-zú), 98 di cui ti-gi-na appare talvolta provvisto, servisse per attaccare questi pendenti alla collana. Le grafie tigi-na ða-li e ti-gi-na ða-a-ga risultano, invece, al momento di difficile interpretazione. 2.4. Non è chiaro se debbano considerarsi come collane i gu zaµ sag, “fili di pietre di buona qualità”, citati tra i beni del corredo di nozze di i-timu-ud, dove zaµ è probabilmente da interpretarsi come grafia fonetica per za. Lo stesso bene ricorre anche tra gli oggetti preziosi realizzati per l’investitura di di-ne-íb-du-lum, ma in questo caso viene fornito il peso complessivo delle pietre (TAR-2 zaµ sag, poco più di trenta sicli), anziché contabilizzare il numero dei fili in cui queste ultime erano raccolte. Questo tipo di gioiello può essere confrontato con i fili (gu) con elementi in pietra dura che giungevano ad Ebla per lo più grazie agli apporti (mu-túm) dei regni siriani di DU-lu¾ e du-gú-ra-su¾ (o di personaggi ad essi collegati come ar-ra-ti-lu), assieme a stoffe di lino e altri preziosi manufatti: ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. V:20 - VI:7: 1 gada-túg mu­mu / 2 kir-na-nu / 2 gu nab-ðu / mu-túm / DU-lu¾ / ma-lik-tum / in / ƒà-da-NI¾; ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. VI:8 - VII:11: 2 ma-na ša-pi kù-sig¥± / 21 ma-na 95 Per l’identificazione di questi animali, Heimpel 1968, pp. 248-251. Si noterà che il sumerogramma dàra:dà è noto nella lista lessicale eblaita in VE 1251 dàra:dà = a-wa-um (fonte A©). La traduzione semitica può essere messa in relazione con il sem. *ƒayl-, “cervo; capride di montagna” attestato in accadico ed ebraico. 96 Citato da Archi 2002a, p. 198. 97 Citato da Archi 2002a, p. 198. 98 Per questo sumerogramma, Conti 1997, p. 38-39, con bibliografia. L’artigianato a Ebla 23 urudu / 1 izi-gar / 11 ma-na TAR urudu / 2 giš-šu­ 1 níg-bànda / 4 giš-šu­ 4 an-zamµ nab-ðu / 5 zú AN.LAGAB×ÐAL / 4 gu nab-ðu / 20 gu si­ / 8 mi<at> 50 gu // ŠÈ-li / 3 kir-na-nu gíd / 12 kir-na-nu lugud-da / 40 lá-2 kir-nanu tur / 26? gada-túg mað / 16 gada-túg tur ðul / 14 si am / mu-túm / du-gúra-su¾ / in / a-ru¥©-ga-du¾; MEE 2 1 v. VII:6-11: 16 gada-túg / 5 zú / 10 lá-1 gu si­-si­ / mu-túm / ar-ra-ti-lu / DU-lu¾; MEE 12 3 r. XI:8 - v. I:7: 21 gada-túg mu­mu / 5 gada-túg kir-na-nu / 1 íb-túg 1 šukešda gada-túg / 10 lá-3 ma-na urudu / 1 izi-gar / 3 ma-na urudu / 1 nígbànda 1 giš-šu­ / 1 ðar-ra na­ / 2 an-zamµ si / 7 zú LAGAB×A / 1 KA-ma / 5 gu si­ / 5 gu wa-ru¥©-ga-tum / mu-túm / en / DU-lu¾ ; TM.75.G.1556 v. VIII:2-9: 99 3 gada-túg / 1 gu si­ / 1 gu nab-‹ðu› / 20 gu ŠÈ-li / mu-túm / du-gú-ra-su¾ / ama-gal / en; TM.75.G.2341 v. VI:9-12: 100 6 gada-túg kir-na-nu 1 íb-iii-túg 10 zú AN.LAGAB×AN 3 gu si­ 3 gu sig¥± 1 gu nab-ðu / mu-túm / ‹ar›-ra-ti-lu / en; TM.75.G.10026 r. VI:3-6: 101 ‹2› gu-gu / nanabµ-ðu gišir-zú / mu-túm / DU-lu¾ ; TM.75.G.10026 r. VII:7 - VIII:4: 102 6 gu-gu nanabµ-ðu / gišir-zú / 5 gu-gu si­-si­ ðul 30 gu-gu si­-si­ sa° / 4 mu-túm / DU-lu¾. L’associazione con le stoffe di lino è ribadita anche dai contesti seguenti: ARET III 484 I:2'-4': 2 gada-túg kir-na-nu tur / 3 gu nab-ðu ŠÈ-li / [x]-‹x› [...; TM.75.G.2073 v. V:1-2: 103 13 gu wa-ru¥©-ga-tum / 10 lá-2 kir-na-nu-SÙ, che elencano beni per i quali si può supporre sempre la stessa provenienza. In tutti questi passi il sumerogramma zaµ non compare, ma è probabile debba essere sottinteso, come sembrerebbero dimostrare: TM.75.G.2017 v. II:3 - III:1: 2 gu si­-si­ 2 gu zaµ GÁ×LÁ 2 gín DILMUN kù-sig¥± 10 gu ŠÈ-li, TM.75.G.2360 v. VI:4-7: 104 20 gu ŠÈ-li 5 gu nab-ðu ŠÈ-li 2 gu zaµ babbar, in cui si registrano, tra gli altri, “2 fili di pietre d’oro del peso di 2 sicli” (2 gu zaµ GÁ×LÁ 2 gín DILMUN kù-sig¥±) e “2 fili di pietre bianche” (2 gu zaµ babbar). Da notare che solo delle pietre in metallo prezioso viene fornito il peso. Le pietre dure raccolte in questi fili sono il cristallo di rocca 99 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 119. Citato da Archi 1988b. 101 Citato da Archi 1988b. 102 Citato da Archi 1988b. 103 Citato da Archi 2003, p. 31. 104 Citati da Archi 2002a, p. 199. 100 24 Capitolo I (nab-ðu, nanabµ-ðu), la corniola rossa (si­), ed altre pietre il cui nome fa riferimento al loro colore: pietra verde (wa-ru¥©-ga-tum // ŠÈ-li), pietra gialloverde (sig¥±), 105 pietra gialla (gišir-zú). 106 Più raramente troviamo fili anche con corniola (gugµ) e lapislazuli: ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. IV:4-11: 1 níg-lá-gaba 1 níg-lá-sag 1 aktum-túg 1 ƒà-da-um-túg-i 1 íb-iii-túg ma-rí¾ / 1 ƒà-da-um-túg-i / lú dam / 3 gu kù-sig¥± za-gìn / mu-túm / lugal / ma-rí¾ / en; TM.75.G.2536 r. II:3-5: 107 3 gu si­-si­ gugµ-za:gìn ku-sig¥±. In questi casi cambia anche la città di provenienza, non più DU-lu¾ e du-gú-ra-su¾, ma ma-rí¾, che si conferma così ancora una volta il centro privilegiato di approvvigionamento del lapislazuli per Ebla. Talvolta più di un tipo di queste perle poteva essere raccolto in un unico filo, in modo tale da produrre un effetto cromatico davvero sorprendente, al quale doveva senz’altro essere riconosciuta una funzione apotropaica. Nell’Anatolia del III millennio a.C., era attribuito un valore magico e religioso, fortemente legato alla simbologia del potere, all’uso associato di cristallo di rocca, corniola, lapislazuli e oro per perle ed altri oggetti d’appartato. 108 Per le perle in pietra dura e conchiglia rinvenute in alcune aree degli scavi di Nuzi si è addirittura supposto che fossero raccolte in fili da appendere come ornamenti ai muri dei templi. 109 Ci chiediamo, pertanto, se questi gu(-gu) fossero realmente delle collane oppure se si trattava piuttosto di elementi decorativi, ad esempio delle vesti, vista la loro precipua occorrenza assieme a rari e pregiati tessuti di lino, quali, ad esempio, i gada-túg kir-na-nu. 110 105 Per la lettura sig¥± del segno GI come indicazione di un colore giallo-verde riferito anche al nome di una pietra, Civil 1980, pp. 4-5. 106 La grafia giš-ir-zú è riconducibile al sem. occidentale *wrs, noto in arabo per indicare un colorante giallo-arancio o zafferano di origene vegetale. Questo colorante viene impiegato generalmente ad Ebla nella tinteggiatura delle stoffe (Pasquali 1997, pp. 238240; per la radice, DRS 7, pp. 631-632). Come accade più spesso per altre sostanze coloranti, giš-ir-zú è oggetto di acquisto presso le fiere nell’inedito TM.75.G.1940 v. X:11 XI:11 (citato da Biga 2002, p. 286). Quando il termine qualifica i fili di pietre semipreziose è possibile si riferisse al colore naturale delle pietre simile a quello ottenuto con il colorante oppure a pietre grezze trattate con quella sostanza. 107 Citato da Archi 2003, p. 33. 108 Rova 1987, p. 117. 109 Aynard 1966, p. 33. 110 Per queste stoffe, Pasquali 1997, pp. 243-245. L’artigianato a Ebla 25 2.5. Il sumerogramma šu-dub, scritto talvolta anche giš-šu-dub, 111 è noto nella lista lessicale bilingue, in VE 498, šu-dub = in-gu, sem. *‚nq, “portare attorno al collo” (fonte D). 112 La traduzione “collana” appare adeguata alle attestazioni amministrative, in cui l’oggetto, di pertinenza esclusiva delle alte personalità della corte sia maschili sia femminili, risulta essere appunto composto da perle, in particolare da perle a forma di bulbo (ða-za-nu), ed elementi vari in metallo prezioso e pietra dura (gìn-gìn, “lapislazuli”, si­, “corniola rossa”): MEE 7 34 v. XX: 5 kù:babbar / 15 ða-za-nu / 2 gìn-gìn 2 si­ / 1 šu-dub / ib-rí-um / 4 kù:babbar / 15 ða-za-nu / 2 gìn-gìn 2 si­ / i-bí-zi-kir / ‹x x x› [...]; TM.75.G.10236 r. II:19 - III:14: 113 1 aktum-túg 1 níg-lá-gaba 1 níg-lá-sag 1 íb-ivtúg ú-ðáb sa 30 b[a] m[u-DU] [...] en 1 gu-dùl-túg gi° 96 ða-za-an gìn-gìn 96 ða-za-an kù-sig¥± 1 šu-dub gìn-gìn [x-D]U gìn-gìn mu-túm šu-ga-d[u] malik-tum [i]n ‹u­› [du]-du [iz]i-gar [SA-Z]Aµ¾; TM.75.G.1679 r. I:5: 114 16 ða-za-nu giš-šu-dub 6 7-NI kù-sig¥±. In un caso lo troviamo associato all’enigmatico giš-PA: TM.75.G.1464 r. V:8-13: 115 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± 2 giš-PA / 2 šu-dub / ama-gal / en. Il gioiello è riferito in particolar modo alla coppia reale in occasione dei preparativi per il loro matrimonio: MEE 7 34 v. XI:13’-18’: [x gí]n DILMUN kù:[babbar] / kin®-aka / [x ða]-za-nu 2 šu-dub / en / wa / ma-lik-tum; MEE 7 34 v. XI:23’ - XII:5’: 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / šušana gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 2 šu-dub / en / wa / ma-lik-tum / sikil / [...] / 12 gín DILMUN kù-sig¥± kin®-aka / 1 šu-dub / ma-lik-tum / ƒàlum. Si noterà in proposito che nel Cantico dei cantici (4, 9) il sostantivo ‚nq, indica la collana della sposa. Nel rituale regio, šu-dub ricorre ancora 111 Ad esempio in ARET I 45 (5'): [15* gín* DILMUN* kù*:babbar* / 5*] ‹giš*›-šudub / dumu-mí-dumu-mí / en; ARET III 440 v. II:4-7: 15 gín DILMUN kù:babbar / 5 giššu-dub / dumu-mí-dumu-mí / en. 112 Fronzaroli 1993, p. 90 ad (13); 1996, pp. 61 e 67. Diversamente Conti 1990, p. 143, “anello”; Pettinato 1992, pp. 161 e 217, “sigillo”; Archi 2002a, p. 195, “pendant; seal(?)”. 113 Citato da Archi 1999, p. 151. 114 Citato da Archi 2002a, p. 196. 115 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 118. Capitolo I 26 tra i paramenti richiesti per la celebrazione delle nozze e per l’intronizzazione dell’en e della ma-lik-tum: ARET XI 3 (11-13): in / al°-tuš / é ma-tim / ša-ti / sa-ba-a-tim / 4 ma-rí-a-ti / túgnu-tag / ¼KU-ra / wa / ¼ba-ra-ma-iš / wa / en / wa / ma-lik-tum / wa / si-dùSÙ sum / wa / šu-dub-SÙ / kéš-da / in / al°-tuš. Qui il gioiello risulta strettamente associato a ma-rí-a-tum (e varianti), la veste che è uno dei simboli della regalità eblaita, appositamente confezionato per il rituale di intronizzazione del re e della regina, come si deduce dai passi che seguono: ARET XI 1 (16): [túg-nu-t]ag / [ma-rí-a-dím] / [ma-lik-tum] / ð[i-mu-túm] / si[ki] / [2 udu] / [maš-da-bù] / [ma-rí-a-dím]; ARET XI 2 (18): wa / túg-nu-tag / ma-rí-a-tim / ma-lik-tum / ði- mu-túm / siki / 2 udu / maš-da-bù / ma-rí-a-tim / túg-nu-tag; ARET XI 2 (98): [in] / al°-tuš / é ma-tim / ša-ti / sa-ba-ti-sù-ma / 4 ma-rí-a-tum / túg-nu-tag / ¼KU-ra / wa / ¼ba-ra-ma / wa / en / wa / ma-lik-tum. Questo paramento era realizzato in lana e più precisamente è la lana di due pecore il quantitativo assegnato, necessario per la sua lavorazione, mentre nei passi amministrativi si cita l’argento come materiale impiegato. È verosimile, quindi, pensare ad una componente del vestiario cerimoniale eblaita, realizzata in stoffa con applicazioni in metallo prezioso, esattamente come du-rúm (acc. ýurrum), “stola; peplo”, 116 e ti-ba-ra-núm (sem. ƒpr, “coprire [la testa]”), “copricapo”. 117 Che si tratti di un tipo di indumento pare confermato ora anche dal passo di un testo amministrativo ancora inedito (TM.75.G.1504 v I:7), in cui 1 ma-rí-a-du risulta elencato assieme a stoffe. 118 Importante in tal senso è anche l’esplicita connessione di queste grafie con il termine maš-da-bù, generalmente tradotto come “fascia; bendaggio”, sulla base del confronto con l’accadico naštiptu, sostantivo derivato da *štp, “tagliare (delle stoffe)”. 119 Il passo: MEE 10 20 r. III:26 - V:9: 7 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-rí-a*-tum / wa / 1 šudub / 8-1/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 kù-sal 1 buru­-mušen / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­, 116 Pasquali 1997, pp. 224-230. Pasquali 1997, pp. 262-266. 118 Come rende noto Archi 2002a, p. 194. 119 Per uno status quaestionis relativo a questo termine, Pasquali 1997, pp. 248 ss., con bibliografia precedente. 117 L’artigianato a Ebla 27 appartenenente al primo rendiconto annuale di metalli del “ministro” I-bízi-kir, 120 si riferisce, come abbiamo già avuto modo di osservare, alla ricca dote per il matrimonio sacro della principessa di-ne-íb-du-lum con il dio ¼ƒa®-da-bal e la sua conseguente investitura come sacerdotessa presso il santuario di lu-ba-an¾, dove la donna si reca portando con sé il prezioso corredo: in u­ / du-du / di-ne-íb-du-lum / si-in / lu-ba-an¾, dice, infatti, lo stesso documento poco più avanti, al r. VII:26-30. Alla medesima occasione fa riferimento anche il passo seguente: TM.76.G.288 r. IV:2-14: 121 [7 gín DILMUN kù:babbar] / 1 ma-rí-<a*->tum / wa / 1 šu-dub / [1-1/2 gín DILMUN kù-sig¥±] / [2 k]ù-sal [1 bu]ru­-mušen / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾. Tra i vari altri oggetti d’arte e di gioielleria che la corte consegna in offerta alla neo-sacerdotessa si elencano 7 sicli d’argento occorsi per la realizzazione di 1 ma-rí-a-tum e di 1 šu-dub. Si tratta, quindi, esattamente degli stessi ornamenti che vengono citati nel rituale di ARET XI, in occasione delle nozze del re e della regina di Ebla. Ciò a nostro avviso indica che, assieme a šu-dub, ma-rí-a-tum deve considerarsi sicuramente come un paramento provvisto di un elevato valore simbolico legato alla regalità. La realizzazione di questo importante manufatto era affidata alle cure di un personaggio, che l’analisi comparata dei testi amministrativi e del rituale permette di identificare con una non meglio specificata dam di NE-na-áš¾, sicuramente una sacerdotessa, 122 che provvede all’intero ornatus cerimoniale della ma-lik-tum in occasione delle nozze. In tale occasione questa dam viene, infatti, definita come mu-a-bí-iš-tum, “colei che provvede alle vesti; guardarobiera” (dal sem. *lbš, “indossare un vestito”). 123 È lei che gestisce la lana necessaria a tessere (túg-nu-tag) le stoffe maš-da-bù e marí-a-tum che la coppia reale eblaita dovrà indossare al momento dell’ascesa al trono. Questa dam non può da un punto di vista comparativo non ricordare nella storia di Roma arcaica la figura di Tanaquilla, moglie etrusca del re Tarquinio Prisco, ma anche sacerdotessa esperta nella etrusca disciplina e nota tra l’altro come summa lanifica, “la filatrice per eccellenza”, in quanto a lei viene attribuita la realizzazione e l’introduzione a Roma della tipica veste nuziale, la tunica recta o regilla. 124 L’abito nuziale occu120 Secondo la datazione proposta da Archi 1996b, p. 87. Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. 122 Per delle ipotesi di identificazione di questa figura, Pasquali 1997, pp. 248 ss. 123 Secondo l’interpretazione di Fronzaroli 1993, p. 46. 124 Fayer 1986, pp. 3 ss. 121 Capitolo I 28 pa un posto di primo piano nella simbologia matrimoniale etrusca e romana arcaica. Ancora al tempo di Varrone si conservava in un tempio sul Quirinale la statua di Tanaquilla con i mano il fuso e la canocchia, secondo una notizia riportata da Plinio il Vecchio, Naturalis Historia VIII, 74, 195195. È Tanaquilla, come riferiscono Dionigi di Alicarnasso e Plutarco, che si occupa delle vesti e del guardaroba di Ocrisia al momento dell’unione sacra di quest’ultima con il dio Vulcano da cui nascerà Servio Tullio, futuro re di Roma, tessendo verosimilmente per la giovane la tunica recta. 125 È ancora Tanaquilla che in seguito tesserà la toga regia per Servio Tullio, preparandogli così l’ascesa al trono. 126 Anche l’immagine in legno dorato della dea Fortuna, protettrice della regalità e del re Servio Tullio, che si trovava all’interno del tempio situato nel Foro Boario, indossava questa veste simbolica. 127 Le vesti approntate da Tanaquilla hanno quindi un valore simbolico legato alla celebrazione delle nozze, ma al tempo stesso anche un valore “politico”, perché è grazie all’assunzione di quelle vesti che si ottiene la regalità. 128 Come è ribadito, sempre a Roma, dal legame che unisce il flamen Dialis, rappresentante di Giove, il dio sovrano, e la flaminica Dialis, sua moglie e sacerdotessa, il cui compito precipuo era quello di tessere per lui le vesti che gli consentivano una volta indossate di svolgere la propria funzione, a memoria di una antica regalità, tanto che se la flaminica moriva anche il marito doveva abbandonare la propria carica. 129 Allo stesso modo, ad Ebla la donna di NE-na-áš¾ ha cura di tutti i paramenti che sono simbolo dell’unione matrimoniale che si sta celebrando ed al tempo stesso dell’accesso al potere regio. L’ipotesi interpretativa avanzata da Fronzaroli, che ricostruisce il lemma come /m…r-–y-…t-um/ ritenendolo equivalente all’accadico di Mari m…r–tu, “mariota”, e quindi “veste alla foggia di Mari”, 130 indossata dai sovrani e dalle divinità tutelari della regalità eblaita ¼KU-ra e ¼Ba-ra-ma, potrebbe alludere ad un origenario influsso di Mari sulla simbologia regia eblaita, come a Roma la cultura etrusca influì sulle concezioni della regalità, trasferendovi, tramite la mitica figura di Tanaquilla, le vesti ad essa connesse. 125 Per questo avvenimento, Capdeville 1987, pp. 8-16. Gagé 1958, pp. 34-64; Gagé 1963, pp. 24 ss.; Liou 1969, pp. 269-283; Liou-Gille 1980, pp. 209 ss. 127 Champeaux 1982, pp. 274 ss.; Torelli 1984, pp. 125 ss.; Coarelli 1992, pp. 301 ss. 128 Come giustamente notano Scheid - Svenbro 1996, pp. 92 ss. (“political weaving ‘descend’ from matrimonial weaving”). 129 Boels 1973, pp. 86 ss.; Vanggaard 1988, pp. 88 ss. 130 Fronzaroli 1993, pp. 37-38. 126 L’artigianato a Ebla 29 2.6. Ad un tipo di pendente fa riferimento il sumerogramma kù-sal, la cui lettura semitica da-ga-a-tum è stata individuata sulla base di passi paralleli del rituale regio ed interpretata come *takkal-t-, “monile”, sem. *nkl, “essere abile”. 131 Questo gioiello di regola in metallo prezioso è solitamente associato al nome di un uccello (soprattutto buru­-mušen, “falco”, più raramente ti²mušen, “aquila”, e NIN.UŠ-mušen, un animale mitico dalle sembianze di un rapace), che indica la forma stessa dell’oggetto prezioso. Talora può comparire anche il solo nome dell’animale con il sumerogramma kù-sal sottinteso o viceversa solo il sumerogramma kù-sal senza il nome dell’animale che lo caratterizza. 132 Nei testi amministrativi, kù-sal vengono talora assegnati per decorare le briglie e gli elementi della bardatura degli equidi, 133 mentre più spesso risultano offerti a singoli personaggi o alle statue delle divinità. A questo riguardo, va notato che l’offerta di kù-sal in forma di “falco” (buru­-mušen) è tipica ad Ebla delle divinità infere e dei riti funerari. In: TM.75.G.2450 v. VIII:2-9: 134 1 zi-rí siki gi° babbar 1 kù-sal buru­-mušen kù:babbar maš-da-bù en-na-NI šu-ba­-ti si-in NE-na-áš¾ , il gioiello assieme ad una misura di lana nera e bianca viene ricevuto dal sacerdote en-na-NI 135 per i riti che si svolgevano presso il Musoleo dei re defunti a NE-na-áš¾, 136 in occasione della preparazione del corredo cerimoniale (maš-da-bù), che il re e la regina devono indossare al momento della loro intronizzazione. L’alternanza cromatica nero/bianco della lana offerta per il rito è sicuramente legata ad una simbologia di morte e rinascita. 137 Il passo è chiaramente parallelo a: ARET IV 25 r. IV:1 - V:4: 1 zi-rí siki gi° babbar 1 kù-sal kù:babbar / sa-da-bí-iš / en / wa / ma-lik-tum / si-in / NE-na-áš¾ / en-na-NI / lú a-du-lu / šu-mu-taka­ / 1 zi-rí siki tur / giš-gál-taka­ / 2 ká / ¼ga-na-na, 131 Fronzaroli 1993, pp. 26-27. Fronzaroli 1993, pp. 37-38, con bibliografia. 133 Per questi contesti, Conti 1997, pp. 49-50. 134 Citato da Archi 2005c. 135 Si tratta di en-na-NI / lú a-du-lu, il sacerdote pa­-šeš la cui partecipazione ai culti di NE-na-áš¾ è confermata dai testi del rituale regio (Fronzaroli 1993, p. 76). 136 Per NE-na-áš¾ come sede del Mausoleo dei re defunti (é ma-tim, /bayt mawt-im/), Fronzaroli 1993, pp. 39-40. 137 Per cui, Pasquali 1996. 132 Capitolo I 30 dove la grafia buru­-mušen deve considerarsi sottintesa. In questo contesto troviamo anche l’offerta di una misura di lana per l’apertura della porta (giš-gál-taka­ ká) della dea ¼ga-na-na, il cui nome è da porre in relazione con il semitico occidentale *gann-, “giardino; cimitero” (da *gnn e varr., “circondare; proteggere”). 138 La concomitanza dei riti funerari di NE-naáš¾, della “vestizione” dell’en e della ma-lik-tum e dell’apertura della porta di ¼ga-na-na è ribadita anche in: ARET III 467 r. VIII:16-22: 1 zi-rí siki tur / giš-gál-taka­ / ká / ¼ga-na-na / 1 zi-rí siki gi° babbar / ša-dab-tíš / en / [wa* / ma*-lik*-tum* / si*-in* / NE*-na*áš*¾* / NP* / šu*-mu*-taka­*]; ARET XII 313 v. VII:2’-14’: 1 zi-rí siki / maš-da-bù / en / wa / ma-lik-tum / si-in / NE-na-áš¾ 1 zi-rí siki / lú KIN siki / giš-gál-taka­ / ká / ¼ga-na-na / da-ba-adu / [šu-]-ba­-‹ti›. 139 In considerazione di ciò, è possibile che il luogo di culto della dea ¼ga-na-na sia da identificare con lo stesso Mausoleo di NE-na-áš¾ o con una parte di esso. Ancora a questa dea infera viene offerto un kù-sal, che si suppone sempre in forma di “falco”, in almeno altre due occasioni collegate sempre con la preparazione del corredo cerimoniale dei sovrani e la loro vestizione (maš-da-bù): TM.75.G.2353 v. X:1-8: 1 túg-NI.NI 2 KIN siki dam kin®-aka maš-da-bù (NE-naáš¾) 1 na­ siki 1 kù-sal é ¼ga-na-na; TM.75.G.2653 v. X:16-19: 140 1 na­ siki 1 kù-sal kù:babbar maš-da-bù é ¼ga-nana. Più spesso questo gioiello in forma di “falco” viene donato al dio infero ¼ra-sa-ab ed alla sua paredra da personaggi della famiglia reale. 141 Si noterà sopratutto: TM.75.G.1418 r. VIII:5-7: 142 1 kù-sal 1 buru­-mušen ¼ra-sa-ab ¼en¾, 138 Pasquali 1998; Pasquali - Mangiarotti 2005. Su un’interpretazione in senso geografico di ga-na-na(-im/-um) ad Ebla insiste ancora Feliu 2003, p. 23 (“in the Middle Euphrates Region”), che pretende di affrontare la complessa questione del teonimo eblaita ¼BAD ga-na-na-im senza prendere in considerazione ¼ga-na-na. 139 La concomitanza di questi eventi come momenti di un unico importante avvenimento cultuale legato al culto dei dinasti defunti ed alla regalità eblaita è già stata notata da Pasquali - Mangiarotti 2005. Risulta a nostro giudizio difficile seguire Archi 2005c, quando afferma “Another ceremony needing the maš-da-bù is also attested for the goddess ¼ga-na-na”. 140 Citati da Archi 2005c. 141 Passi raccolti in Pasquali 2002d. 142 Citato da Pomponio - Xella 1997, pp. 165 e 248. L’artigianato a Ebla 31 dove la grafia ¼en¾, che qualifica ¼ra-sa-ab e che ricorre anche in: ARET IV r. IX:5-13: 1 sal-túg / ma-nu-wa-ad ¾ / du¥¥-ga / nídba / ¼ra-sa-ab / ¼en¾ / in / du-si-gú¾ / šu-ba­-ti, può essere considerata come un’indicazione topografica per il cimitero dei re defunti, 143 la cui lettura semitica è verosimilmente Gunu(m)(¾) (gú-nu(¾) e gú-núm(¾) secondo la grafia eblaita), 144 termine che ricorre ad Ebla proprio come qualifica del dio ¼ra-sa-ab e che risulta ancora connesso, come il nome della dea ¼ga-na-na, con il sem. occ. *gann-, “giardino; cimitero”. L’associazione si ritrova ad Ugarit nel teonimo ršp gn, dove gn pare appunto indicasse il luogo deputato alla sepoltura degli antenati della famiglia reale. 145 La grafia ¼en¾ può essere, inoltre, messa in relazione con il sumerogramma di VE 800 ¼en = ma-ƒà-um, rendendo così ragione all’interpretazione della glossa come il “Luogo del riposo”, sostantivo di tema ma12a3- dal sem. *nhl, “dormire”. 146 Questa associazione privilegiata del “falco” (buru­-mušen) con la sfera infera in generale e con il dio ¼ra-sa-ab in particolare non può, quindi, essere priva di significato. Si trattava probabilmente di un animale sacro al dio. A questo proposito si può ricordare che nelle fonti letterarie greche il falco è menzionato come “messaggero” del dio Apollo, 147 una divinità che mostra di avere caratteristiche comuni proprio con Rešef, a cui del resto Apollo viene identificato nelle bilingui fenicio-cipriote di Idalion e di Tamassos, risalenti al IV secolo a.C. È possibile che il collegamento tra questo animale e il dio fosse dovuto all’analogia tra le azioni fulminee del rapace durante la caccia e gli interventi vendicativi e purificatori di Apollo, armato, proprio come Rešef, di arco e di frecce. È famosa nell’Iliade l’immagine di Apollo adirato e “simile alla notte”, che semina vendetta con le sue frecce apportatrici di morte. Ed in generale, nei poemi omerici, la morte degli uomini ed il propagarsi di morbi pestilenziali sono spesso attribuiti alle “blande saette” di Apollo. 148 Il legame del rapace con le divinità ed i 143 Pasquali 2002d. La grafia era stata precedentemente interpretata come il nome del dio ¼en-ki. 144 Per questo termine, Xella 1995. 145 Del Olmo Lete 1986, pp. 55 ss.; Bonnet 1988, pp. 417 ss. 146 Proposta da Conti 1990, p. 192. 147 Ad esempio, Aristofane, Uccelli, 516; Erodoto, Storie, I, 159; Omero, Odissea, XV, 525. 148 Parisi Presicce 1990, p. 109. Per Rešef come dio della freccia ed i suoi legami con Apollo, Liverani 1967, pp. 331-334. Capitolo I 32 demoni dell’oltretomba segue del resto una simbologia assai diffusa nella mentalità religiosa del Mediterraneo antico. La ritroviamo per probabile influsso orientale anche nell’iconografia etrusca, 149 come si deduce tra l’altro da un interessante frammento di un vaso a figure nere del così detto Gruppo di Orvieto, in cui compare un essere mostruoso con testa di rapace nell’atto di aggredire una figura umana. Diversamente, un kù-sal con immagini di aquile (ti²-mušen) è noto per ora come offerta al dio ¼KU-ra in: MEE 2 48 r. VI:10 - VII:6: 6 gín DILMUN kù:babbar / 1 kù-sal ti²-mušen-ti²mušen / níg-ba / ¼KU-ra / si-la-ða¾ / ma-lik-tum / níg-ba. 2.7. Ancora ad un tipo di pendente è riconducibile il sumerogramma dib, “placchetta”. Questo gioiello era realizzato in metallo prezioso con l’aggiunta di altri materiali come ad esempio le pietre dure semipreziose, come si deduce dai passi che seguono in cui si elencano oltre a dib in oro e genericamente in pietra (na­), anche dib in oro e cristallo di rocca (nab-ðu) e in oro, lapislazuli e corniola rossa (gìn si­): ARET VII 49 (1): ša-pi kù-sig¥± / 1 dib na­ / íl-ba-um; ARET VIII 539 (= MEE 5 19) v. VII:4-16: 3 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / ša-pi6 kù-sig¥± 4 / 1 dib gìn si­ / 2 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / ša-pi-6 kù-sig¥± / 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun / en / ù-ti-gú¾ / é / i-bí-zi-kir / šu-ba­-ti; ARET VIII 540 (= MEE 5 20) r. VII:16 - VIII:5: 3 ƒà-da-um-túg-ii 3 aktum-túg 3 íb-iii-túg sa° gùn 1 ma-na 11 kù-sig¥± / 1 dib na­ / 50 kù-sig¥± / 1 dib na­ / šapi-5 kù-sig¥± / 1 dib na­ / níg-ba / en / kiš¾ / wa / dumu-nita-SÙ / ìr-gum-NUNU / kiš¾ / in-ma-lik / lú ib-rí-um / šu-mu-taka­; ARET XII 1160 r. I':2'-5': [x g]ada-túg [x] kir-na-nu tur / 1 íb-iii-túg 1 šu-kešda / 1 dib na­ 3 an-zamµ si / DU-lu¾; TM.G.7510202 r. XIX:34-36: 150 šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± 1 dib nab-ðu; TM.75G.10202 v. XVII:21-22: 151 ša-pi-6 gín ku-sig©± 4 / 1 dib gìn si­. A questa serie di passi, si possono aggiungere i due successivi, in cui dib è citato in connessione con la difficile grafia ZU.PIRIG: TM.75.2464 r. V:1-4: TAR kù:babbar ZU.PIRIG kin®-aka 23 dib a-gar®-gar® kùsig¥±; TM.75.G.7510077 v. XII:23-26: 4 gín DILMUN kù:babbar ZU.PIRIG 2 dib lu-atum¾, 149 Krauskopf 1987, pp. 20 ss; 1997, pp. 26 ss. Citato da Archi 2003, p. 33. 151 Citato da Archi 2003, pp. 32-33. 150 L’artigianato a Ebla 33 se ZU.PIRIG può essere inteso come il nome di una particolare pietra dura. 152 Risulta, inoltre, interessante il contesto seguente, in cui si registra il peso in metallo prezioso della placchetta escludendo (ba-lu-ma, “senza”) la pietra: ARET XII 708 v. IV':1'-3': ša-pi-‹4›[+x] kù-sig¥± / 1 dib / ba-lu-ma na­. I testi, differentemente da quanto avviene per kù-sal, forniscono rare informazioni riguardo alla forma di questo gioiello, di cui sappiamo che poteva esistere una variante “grande” (mað) ed una “sottile” (sal): ARET VII 41: šušanaµ-4 kù-sig¥± / TAR-1 kù:babbar / 4 ti-gi-na 1 giš-DU 2 bu-di / TAR-7 kù-sig¥± 1 dib sal / šušanaµ kù-sig¥± 1 dib sal / lú ru¥©-zi-NI; ARET VIII 539 (= MEE 5 19) v. IX:7-18: ša-pi kù:babbar / 1 íb-lá 1 gír kun / 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / šušanaµ kù-sig¥± / 1 dib sal / ga-ga-lum / maškim / ƒà-gu-lum / lú:tuš / in / da-ù¾. Ad un elemento decorativo, piuttosto che ad un materiale, fa pensare la qualifica giš-PA in: ARET III 961 II:1'-3': [1 ƒà-da-um-tú]g-ii 1 aktum-túg 1 íb-iii-túg sa° gùn / 1 dib 25 giš-PA / bù-d[a-]NI, o lú giš-PA-giš-PA, attribuita a un dib “grande” (mað) per il simulacro del dio ¼ƒà-da di Aleppo in: MEE 7 27 r. I:1 - II:1: 2 ma-na šušanaµ-3 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 dib mað / lú giš-PA-giš-PA / in-na-sum / ¼ƒà-da / ða-labµ¾ / in AMA-ra / en / šu-mu-taka­, così come la variante dib giš-geštin, di più ampia attestazione, che potrebbe fare allusione ad una placchetta con un ciondolo a forma di grappolo d’uva. Anche questo particolare gioiello è talora offerto ai simulacri delle divinità: ARET II 4 (8): 1 ma-na šušanaµ-4 kù-sig¥± / 1 dib giš-geštin / ¼ra-sa-ab / ƒà-da-NI¾; ARET III 947 r. II:3'-4': 1 dib 22 giš-geštin / níg-ba / ¼KU-ra; ARET III 959 v. IV:1-4: 1 dib 22 giš-geštin / níg-ba / ìr-ƒà-ag-da-mu / ¼ba-ra-ma. 2.8. Molto attestato è il gioiello bu-di, solitamente inteso come “pendente” 153 oppure anche come “spilla” 154 o “braccialetto”. 155 Non c’è accor152 Bonechi 2003, pp. 83 ss. Fronzaroli, 1993, p. 36, con bibliografia. 154 Pinnock 1993, che comunque non esclude neppure le altre ipotesi interpretative. 155 Conti - Bonechi 1992. 153 Capitolo I 34 do sull’etimologia di questo termine. Il confronto proposto con il paleoaccadico b/p¢dum, “un oggetto d’oro”, 156 è stato per lo più ricusato in ragione della mancanza di un comprovato valore di del segno DI nel sillabario eblaita. 157 L’ipotesi appare, tuttavia, sostanzialmente ragionevole, potendosi interpretare quest’uso estraneo al sistema eblaita come una grafia logografica per un termine di tradizione non locale. 158 Circa la morfologia dell’oggetto in questione, di pertinenza esclusiva di personaggi femminili umani e divini, 159 dai dati forniti dai numerosi passi dei testi amministrativi che ad esso fanno riferimento, si deduce che si trattava di un gioiello realizzato in argento (kù:babbar), solo più raramente in bronzo (zabar), con elementi decorativi in forma di teste (sag) di animali o esseri mitici, in genere in numero di due, realizzate di norma in oro o con decorazione (nu¥¥za) in oro. Si vedano, a titolo di esempio, i passi seguenti: ARET III 250 r. II:5'-8': 1 zara°-túg 1 gu-mug-túg 2 bu-di 20 kù:babbar / 2 sag-SÙ kù-sig¥± / [ní]g-ba / ...; ARET III 357 IV:1'-5': ... x gín] DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 sag 2 bu-di / ma-liktum / ra-ƒà-ag¾ / É×PAP; ARET IV 7 r. XII:3-8: 1 zara°-túg TAR kù:babbar / 2 bu-di / 2 sag-SÙ kù-sig¥± / zimi-kù:babbar / ma-lik-tum / bur-ma-an¾; ARET VII 86 v I:1 - III:5: 4 gíd-túg 15 kù:babbar bu-di sag kù-sig¥± 4 aktum-túg // ì-giš-sag / tal-du-du / wa / dam / a-šum // wa / rí-in-du / wa / dumu-mí / ašum. Esistono inoltre bu-di in argento con teste in lapislazuli (gìn-gìn): ARET III 218 r. V:1'-3': ...] šušanaµ kù:babbar / 4 bu-di / 4 sag-SÙ gìn-gìn kù-sig¥±. Queste teste erano solitamente lavorate in forma teriomorfa, come talvolta informano i testi. Di norma in forma di capride (t–š…num), 160 ma solo nelle assegnazioni per la statua di culto di ¼ga-na-na, 161 quale allusione alla natura infera della dea. Il capride o la gazzella sono, infatti, uno dei simboli del dio Rašap nella glittica paleosiriana e nell’iconografia egizia. 162 Solo in un caso nella documentazione finora nota, otto (protomi di) 156 Pomponio 1984, p. 310; Archi 1987, p. 69, n. 24. Edzard 1981, p. 121. 158 Per altri esempi di questi così detti accadogrammi e grafie logografiche, Conti 1993, pp. 106-107. 159 Come già messo in evidenza da Pasquali 1998. 160 Per questa interpretazione e per i contesti relativi, Conti - Bonechi 1992. 161 Per questa dea ed i suoi corredi, Pasquali 1998; Pasquali - Mangiarotti 2005. 162 Matthiae 1963, p. 34 e pp. 38-39; Thompson 1970, pp. 152 ss.; Fulco 1976, p. 29. 157 L’artigianato a Ebla 35 t–š…num vengono offerte dalla regina al simulacro della dea ¼utu, le cui connessioni con l’oltretomba sono, comunque, ben note: MEE 10 20 v. XII:4-10: 4 gín DILMUN kù:babbar / 10 lá-2 ti-ša-nu / níg-ba / malik-tum / ¼utu / GÁ-KI / ¼KU-ra. In questo passo il termine bu-di non compare, ma è verosimile lo si debba sottintendere. Più raramente le teste che decoravano il bu-di potevano avere le sembianze di altri esseri mitici, quali "luµ", “toro androcefalo”, o ušumgal, “drago”: MEE 12 13 r. V:2 - v. I:3: šušanaµ-2 bu-<di> ušumgal 3 sag ib-dur-i-šar ‹ù› // enna-NI / šu-mu-taka­ / pa­-ba­; TM.75.G.272 r. I:1 - II:4: 163 4 ƒà-la-ma-tum kù-sig¥± / 1 du-rúm kù-sig¥± / 3 gú-zula-na-tum kù-sig¥± / 4 bu-di "luµ" kù-sig¥± / 6 bu-di kù-sig¥± / 2 ti-gi-na kùsig¥± / 50 bu-di kù:babbar / 60 bu-di zabar / 2 bur-KAK kù-sig¥± / lú en. In un caso, viene usato relativamente alle protomi del bu-di il termine generico an-dùl, “raffigurazione” senza specificarne il soggetto: MEE 10 7 r. II:1-6: šušanaµ an-dùl kù-sig¥± / 2 bu-di / zu-šè-bù / (anep.) / É×PAP / za-a-šè. 2.9. Spesso assegnati assieme al ti-gi-na (e varr.) e bu-di, ma anche citati separatamente e realizzati in metallo e pietre dure semipreziose, troviamo giš-DU e gišgeštu-lá, di cui risulta controverso stabilire l’esatto significato: gišgeštu-lá viene generalmente tradotto “orecchino” (ma non “orecchino [per uomo]”, 164 visto che l’oggetto è assegnato anche a donne) o più semplicemente “pendente, 165 mentre per giš-DU si può accogliere, almeno come ipotesi di lavoro, la proposta avanzata da Waetzoldt di considerarlo un “Fussring”. 166 163 Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 145. Come suppone Pinnock 1993, p. 17. 165 Fronzaroli 1990, p. 118 e n. 27, con richiamo alla glossa di VE 388, gišgeštu-lá-KA = sa-ða-wa-tum (fonte A; le altre fonti non glossano il sumerogramma), dal sem. *šðw/y, forma parallela di *šðð, attestata in ebraico, aramaico giudaico e sudarabico col significato di “to get loose, to lower oneself”. 166 Waetzoldt apud Mander 1990, p. 89. Improbabili sulla base dei contesti le interpretazioni offerte da D’Agostino 1993, “sgabello per i piedi”; 1996, p. 41 e passim, “piede” di statua o persona. 164 Capitolo I 36 3. Armi Numerosi sono i contesti relativi alla realizzazione e alle assegnazioni di armi, 167 che occupano un posto di rilievo nella produzione artigianale eblaita. Nell’antichità, infatti, le armi non erano utilizzate solo ed esclusivamente a scopo difensivo ed offensivo, ma erano anche un segno di prestigio e, come tali, facevano parte integrante del costume maschile. Ad esse era attribuito un alto valore simbolico ed apotropaico. Le armi d’apparato erano, inoltre, i doni preferiti come compenso per gli incarichi diplomatici, politici e militari condotti a termine con successo da dignitari e comandanti. Non è un caso, quindi, che il corredo cerimoniale di personaggi d’alto rango e divinità maschili ad Ebla sia costantemente costituito da un cinturone (íb-lá) munito di una pugnale (gír kun). Avere la possibilità di indossare questi oggetti era pertanto un segno di distinzione per l’uomo, così come lo era per la donna indossare il “velo” (PAD-túg) al momento del matrimonio e la “stola/peplo” (ýurrum) come simbolo del passaggio di stato da nubile a donna sposata. Oltre al metallo, diversi materiali concorrono alla fabbricazione delle armi, il che fa supporre accanto ai fabbri il coinvolgimento di vari artigiani specializzati come ebanisti, falegnami, intagliatori di pietre dure semipreziose e tessitori. Le armi erano di norma realizzate di per sé in metallo non prezioso, la cui superficie veniva poi decorata con argento e oro mediante l’applicazione di lamine e ornamenti, indicati da vari termini tecnici, e probabilmente anche con l’impiego di vernici di polvere d’oro. Lavori di incastonatura e applicazione di elementi in pietra dura, avorio, osso o corno conferivano poi alle armi un’importanza particolare. Significativo a tale proposito risulta il passo seguente: MEE 2 16 r. V:2 - v. III:4: 30 ma-na kù:babbar / 1 ma-na kù-sig¥± / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / bù-ga-na-a / 1 gír / [n]a-ba-ðu / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 5 gín DILMUN gugµ za:gín / 1 ƒà-da-um-túg 1 íb-iii-túg 1 íb-i-[...] / níg-ba / enna-da-gan / du-bí-šum ur­ / i-péš-zi-nu / sá-gu-si / 1 šu-mu-taka­ / ìr-ra-ku¾, dove un pugnale (gír) in metallo prezioso con inserimenti decorativi in cristallo di rocca (na-ba-ðu) è oggetto di un scambio diplomatico di doni tra le corti di Ebla e di Mari. 167 Per uno studio d’insieme dei termini relativi alle armi, Waetzoldt 1990, pp. 1 ss. L’artigianato a Ebla 37 Anche le armi, sebbene più raramente rispetto ai vasi, ai gioielli ed ai mobili, potevano presentare delle raffigurazioni, come avviene ad esempio per i pugnali (gír) in: TM.75.G.1560 r. V:7-9: 168 1 gír mar-tu ti / [1 gír mar-tu] ti an-dùl kù-sig¥± / a-balu; v. XIII:1: 1 gír mar-tu an-dùl kù-sig¥± 2 gír mar-tu kù:babbar maš-maš kùsig¥±. Tuttavia, l’attestazione più significativa a questo proposito risulta essere attualmente quella di: MEE 7 47 r. VII:1-3: ...] 2 "luµ" / lú i-dam-na / gu­-si-dili gibil. In questo contesto due figure di tori androcefali ("luµ") decorano un ariete d’assedio (gu­-si-dili). 169 Un attrezzo bellico di questa stessa tipologia sembra essere descritto anche in un passo di un testo amministrativo ancora inedito, in cui è impiegata la grafia difettiva gu­-dili per indicare l’ariete d’assedio: TM.76.G.118 v. II:1'-3': 170 ...] / 2 [...] 2 an-d[ùl?] ma-rí[...] / 1 gu­-dili 1 "luµ" / ká é. La funzione apotropaica di simili raffigurazioni poste sopra un oggetto di uso bellico è evidente. L’applicazione sulle armi da difesa (scudi, corazze, elmi, schinieri) e sopra strumenti bellici (carri da battaglia) 171 di figure di esseri mitico-simbolici dal carattere ibrido o mostruoso a scopo magico-protettivo è un elemento ben noto presso i popoli antichi. Si pensi, ad esempio, alla descrizione omerica in Iliade XI:36-37 dello scudo di Agamennone ed a quella dello scudo di Eracle nell’omonima opera esiodea. Al centro di questi scudi risaltava, infatti, quale «apotropaion» per atterrire i nemici, l’inquietante volto della Gorgone. 172 E del resto l’influsso dell’arte e della cultura del Vicino Oriente sulla genesi di questa ed altre figure simboliche tipiche dell’iconografia greca arcaica ed etrusca risulta essere oramai un dato acquisito. 173 La grafia i-dam-na del sopra citato 168 I passi sono citati in Pettinato - D’Agostino 1995, p. 124. Per questo termine, Steinkeller 1987; ultimamente anche Fronzaroli 2003b, p. 265, s.v. Non appaiono giustificati i dubbi espressi da D’Agostino 1996b, p. 179. 170 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 126. 171 Anche ad Ebla le figure di tori androcefali sono citate come elementi decorativi di un carro in ARET VII 44: 16 kù-sig¥± / nu¥¥-za 6 luµ / [giš-]gígir-é-iv / ba-NE-ù (per un commento al passo Conti 1997, p. 25). 172 Riccioni 1960, pp. 127-206; Pellizer 1987, p. 53. 173 Oltre al lavoro di Riccioni già citato alla nota precedente, si consultino in proposito Goldman 1961, pp. 1 ss.; Canciani 1970, pp. 45 ss.; Fittschen 1973, pp. 7 ss. 169 Capitolo I 38 passo di MEE 7 34, spiegabile come /yiƒtamn-ay/, duale della forma verbale a infisso -ta-, con valore riflessivo, dal sem. *ƒmn, “(essere) stabile, fermo”, 174 indica esplicitamente che le immagini dei tori androcefali erano “solidamente fissate” alla superficie lignea dell’ariete d’assedio. Queste figure, probabilmente delle protomi, che si suppone fossero in materiale prezioso, dovevano essere attaccate tramite chiodi e perni di ancoraggio. L’utilizzazione di giš-kak, “chiodi”, nella lavorazione di un ariete d’assiedo, è del resto esplicitamente indicata dal passo seguente: MEE 7 34 r. XX:22 - v. I:2: 10 gín DILMUN nagga / šub si-in / 10 lá-2 ma-na agar®-gar® / kin®-aka / 6 giš-kak-giš-kak / eme / gu­-si-dili. 175 In questo caso i chiodi servono per fissare la “lingua” (eme) dell’ariete d’assedio. Alla “lingua” dell’ariete d’assedio si fa riferimento anche in un altro contesto di più difficile interpretazione: ARET IV 2 r. VIII:5-11: 1 aktum-túg 1 íb-i-túg gùn / a-ga-bù / lú en-na-NI / TAR / eme / gu­-si-dili / ar-mi¾. La grafia giš-gu­ attestata per ora solo in: ARET II 54 r. I:1 II:3: 40 ma-na šušanaµ zabar / 3 tùn gal zabar / 1 dub-nagar [š]umu-nígin / 1 dub-nagar mað zabar / kin®-aka / 1 giš-gu­ / en-na-NI / lú ƒà-‹x› / ‹šu›-[ba­]-ti, può considersi come una variante di gu­-si-dili. Si noterà che nelle fonti mesopotamiche la grafia impiegata per indicare l’ariete d’assedio è gišgu­si-dili, con l’aggiunta appunto del determinativo giš. 176 In questo conteso si registra un’uscita di metallo in quantità notevole per la realizzazione degli attrezzi necessari alla costruzione dell’ariete d’assedio. Le liste lessicali mesopotamiche in effetti descrivono l’ariete d’assedio come un animale vero e proprio attribuendogli componenti quali la spina dorsale (gú-murgu), la testa (sag), il dente (zú) e appunto la lingua (eme). 177 A Mari, proprio come ad Ebla, la lingua dell’ariete d’assedio veniva fissata al resto della struttura mediante chiodi, come si deduce da ARMT XXI 261, 4’-6’: 1 li-ša-an ya-ši-bi-im / 23 ma-na ki-lá-bi / qa-duum 2 kak-ðá-šu. È verosimile che denti e lingua formassero il rostro dell’ariete, che serviva per fendere le porte e le mura. 174 Pasquali 2004c. Seguendo la collazione di Archi 1997/98, p. 114. 176 Ad esempio Sigrist 1981, pp. 159. 177 Durand 1982, pp. 346 ss. 175 L’artigianato a Ebla 39 4. Vasi Vasi e contenitori sono sicuramente da annoverare tra gli oggetti artistici più significativi prodotti dalle botteghe artigiane eblaite. La loro lavorazione era particolarmente accurata ed i materiali impiegati variano dal legno al metallo prezioso ed alle pietre dure. 4.1. Particolarmente significativi risultano i passi in cui si citano le giare la-ða (sum. dugla-ða-an, acc. laðannu), per la realizzazione delle quali si assegnano quantità di metallo prezioso piuttosto elevate: ARET VII 24 r. I:2-3: 10 lá-2 ma-na 50 kù:babbar kin®-aka 1 la-ða; TM.75.G.10228+10262 r. I:1 - II:4: 3 li-im 5 mi-at 70 lá[-1] ma-na kù:babbar [x] ‹dib›(?) kin®-aka 1 la-ða wa 6 mi-at ma-na k[ù]:bab[bar] 60 ‹x› [...]; TM.75.G.2286 v. III:6-8: 178 2 mi<-at> 50 lá-1 ma-na kù:babbar 63 ma-na TAR kù-sig¥± la-ða-la-ða é ti-túg. In quest’ultimo caso le giare che si suppongono di enormi dimensioni erano collocate nell’edificio noto come é ti-túg, “casa delle stoffe di lino”, in cui talora, come nell’é siki, “casa della lana”, si immagazzinavano anche oggetti d’artigianato in metallo prezioso, soprattutto vasi. Nella Grecia antica, edifici destinati prevalentemente alla tessitura ad opera di collegi femminili, in cui venivano poi custodite non solo le stoffe, ma anche altri preziosi doni votivi, tanto da divenire dei veri e propri thesauroi, sono noti in prossimità di alcuni templi. 179 Ad Atene, ad esempio, le ¶rrhf’roi, ovvero le giovani donne preposte al confezionamento del peplo di Atena, che veniva fatto indossare al simulacro della dea in occasione delle grandi festività in suo onore, svolgevano la loro opera di tessitura presso un edificio vicino al santuario. 180 Pausania ci offre indicazioni significative riguardo l’esistenza di questi particolari edifici, come ad esempio in III, 16, 2: ¤faànousi d° kat™ ôtoj aÜ gunaékej t¸ ‘Ap’llwni citÒna t¸ ùn ‘Am›klaij, kaã tÿ oäkhma ônqa ¤faànousi CitÒna ‘nomßzousin, “Ogni anno le donne tessono un chitone per Apollo di Amyclae e chiamano Chitone l’edificio dove tessono”. Assieme al metallo prezioso, si impiegavano anche altri materiali per la realizzazione di queste grandi giare, come si deduce da: 178 Citati da Archi 1999, pp. 153-154. La traduzione “handle” per si, proposta dall’autore, appare meno adeguata. 179 Greco 1995, pp. 97 ss. 180 Scheid - Svenbro 1996, pp. 6 ss.; Greco 1997, p. 195; Ceccarelli 1998, p. 30. Capitolo I 40 TM.75.G.2507 v. XV:28 ss.: 181 2 ma-na kù:babbar 2 si 1 la-ða sagi, dove insieme all’argento troviamo citato anche l’avorio o osso (si), in relazione ad una giara per il coppiere (sagi). Di grande pregio e fattura raffinata, le giare per il coppiere di corte presentavano varie componenti ed elementi decorativi che purtroppo non è sempre possibile individuare. Uno di questi elementi è indicato dal sumerogramma gilim, probabilmente una sorta di fascia circolare o ghirlanda decorativa da applicare sul bordo o lungo la circonferenza del grande vaso: ARET VIII 534 (= MEE 5 14) v. XIII:27-31: 12 kù:babbar / wa-za-ru¥© / gilim / ‹1› la-ða / [sagi]; TM.75.G.2286 v. I:2-6: 95 ma-na šušanaµ kù-sig¥± 70 lá-3 ma-na kù:babbar kin®aka la-ða sagi 80 lá-2 ma-na šušanaµ-4 kù:babbar gilim. In un elenco di oggetti consegnati dal ministro i-bí-zi-kir, assieme a gilim, si cita un’immagine di “falco” (1 alanµ a-a-ti-mu) come ornamento di una giara: 182 TM.75.G.2073 v. I:3-9: 24 ma-na TAR-6 kù:babbar 1 la-ða ap gilim 1 alanµ(KÍD.ALAM) a-a-ti-mu 40 ma-na kù-sig¥± 4 zi-lu. Il termine a-a-ti-mu può essere messo in relazione con la grafia a-ati-mi attestata nell’incantesimo ARET V 4, recentemente interpretata come /ƒayy-…t-im/, sulla base di un confronto con la glossa di EV 049 buru­mušen = a-a-tum, /ƒayy-at-um/, “falco” (ebraico ƒayy…). 183 La grafia del testo amministrativo, che intende esprimere il genitivo singolare /ƒayy-at-im/ con mimazione dipendente da un nome in stato costrutto equivalente eblaita del sumerogramma 1 alanµ(KÍD.ALAM), risulta meno corretta rispetto a quella del testo di incantesimo, come di solito accade per le grafie dei testi amministrativi rispetto a quelle dei testi letterari. Altrove una giara, sempre per il coppiere di corte, appare provvista di immagini (an-dùl) applicate lungo il bordo (nundum) tramite perni (gišlu-lum) 184 in argento: MEE 12 37 r. XXIV:28-33: 15 gín DILMUN kù:babbar / gišlu-lum / zà / an-dùl-andùl / lú nundum / 1 la-ða sagi. 181 Citato da Archi 1999, p. 156. Pasquali 2005c. 183 Fronzaroli 2003b, p. 104. 184 Per questo termine, si veda il paragrafo IV, s.v. 182 L’artigianato a Ebla 41 Ancora ad un tipo di recipiente di dimensioni importanti provvisto di immagini ornamentali dovrebbero fare riferimento anche i 2 LAGAB andùl in oro e di pertinenza del re, 185 che in: ARET VIII 534 (= MEE 5 14) v. XI:5-11: 16 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 4 mana kù-sig¥± / 2 LAGAB an-dùl / en / al°-gál / é siki; risultano presenti nella “casa della lana” (é siki). Altri due vasi di questo stesso tipo, ma decorati con corniola e lapislazuli (zaµ gugµ za:gìn), sono invece consegnati assieme a tessuti in: MEE 2 35 r. VI:3 - VII:3: 4 ma-na kù:babbar / níg-ba / i-ti / níg-ba / maškimmašim-SÙ / in u­ / 2 aktum-túg 1 dùl-túg 1 íb-iii-túg babbar 1 níg-lá-sag // 1 níg-lá-gaba 10 ba-ku° babbar 2 LAGAB ì-giš zaµ gugµ za:gìn / šu-mu-taka­ / iti. 4.2. Uno dei vasi maggiormente diffusi nella documentazione eblaita è an-zamµ. Questo vaso, che sembra avesse in genere la capacità di 1/6 di sìla, 186 era realizzato per lo più in legno su cui si applicava la laminatura (ni-zi-mu) in metallo prezioso. Il termine an-zamµ è presente nella lista lessicale (VE 788) con glossa a-za-mu-um, spiegabile sulla base dell’acc. assammu, “brocca” (come prestito dal sumerico an-za-am). 187 La traduzione “brocca” per an-zamµ è stata recentemente riproposta da Fronzaroli nell’edizione dei testi rituali eblaiti, dove questo tipo di vaso viene impiegato da un addetto al culto per effettuare aspersioni rituali: ARET XI 1 r. XI:16-18: 1 túg-NI.NI 1 íb-iii gùn / na-ì-bù / an-zamµ. L’importanza cultuale del vaso an-zamµ è ribadita nei testi amministrativi in varie occasioni. Si notino, ad esempio, il passo seguente, in cui un an-zamµ in metallo prezioso è destinato ad essere collocato sulle mani di una statua “dalla veste variegata” (lú túg-gùn), raffigurante, si suppone, una divinità, offerta dal re di Ebla al tempio del dio ¼ƒà-da di Aleppo: TM.75.G.2062 r. I:1 - II:8: 188 10 lá-1 ma-na TAR-6 kù-sig¥± nu¥¥-za 1 an-dùl lú túg-gùn 14 kù-sig¥± šub si-in ne-li-iš 10 kù:babbar 1 an-zamµ si-in 2 šu-SÙ 185 L’interpretazione di questo passo fornita da Archi 2005d, p. 89: “1880 kg of gold: two plinth of (one/two) statue(s) of the king (and the queen?)”, appare a nostro avviso più difficile. 186 Fronzaroli 1993, p. 25, con bibliografia. 187 Pettinato 1980, p. 97. 188 Citato da Archi 2005d, p. 87. Capitolo I 42 wa 6 kù-sig¥± šub si-in ne-li-iš 4 kù:babbar MEN(GÁ×EN.IGI)-SÙ 4 kù-sig¥± 2 mar-x-SÙ níg-ba en ¼ƒà-da lú ða-labµ, ed il suo parallelo: TM.75.G.2462 v. XVI:24-28: 189 1 mi-at 11 gín DILMUN kù-sig¥± 1 an-zamµ si-in 1 an-dùl lú túg-gùn. Il vaso an-zamµ poteva essere munito di coperchio (pad). I testi registrano spesso, infatti, assegnazioni di metallo prezioso per la lavorazione di entrambi gli oggetti destinati per lo più alla coppia reale e ai ministri, come si deduce dai passi successivi citati a titolo di esempio: ARET VIII 539 (= MEE 5 19) v. V:10-15: 2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ / i-bí-zi-kir; MEE 2 12 r. III:8’ - IV:3: 3-NI gín DILMUN kù-sig¥± / (...) / 1 an-zamµ en / 1? gín DILMUN kù-sig¥± / 1 pad-SÙ; MEE 10 20 r. XIV:25 - XV:4: 3 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / ša-pi / kù-sig¥± / 1 an-zamµ / 1 pad-SÙ / i-bí-zi-kir ; MEE 10 20 r. XV:12-16: 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 pad an-zamµ / ma-lik-tum; MEE 10 29 r. XIV:6-1: 2 šušanaµ-7 1/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5 1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 an-zamµ / 1 pad-SÙ / ma-lik-tum; TM.75.G.1464 v. I:14 - II:3: 190 3 ‹ma-na› šušanaµ [gín DILMUN] kù:babbar / šubal-aka / ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / [1 an-zamµ] / wa / 1 pad-SÙ / ib-rí-um; TM.75.G.1464 v. VIII:12-19: 191 4 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 50 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 1 an-zamµ / wa / 1 pad-SÙ / en. In un caso si cita un an-zamµ con raffigurazioni (an-dùl): TM.75.G.1464 v. VIII:20-26: 192 TAR-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 7 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 an-zamµ an-dùl / libir / lú ib-rí-um. 4.3. Al vaso an-zamµ viene associato preferibilmente uno zi-bar, un specie di bicchiere o piccola coppa, 193 ugualmente realizzato in metallo: 189 Citato da Archi 1988e, p. 205. Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 152. 191 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 152. 192 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 152. 193 Waetzoldt apud Mander 1990, p. 87. 190 L’artigianato a Ebla 43 ARET VII 1 (15): 5 ma-na kù:babbar / níg-ba / 5 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na kù-sig¥± / 1 an-zamµ zi-bar / ša-pi-5 gín DILMUN kù:babbar / en-nada-gan; ARET VIII 534 (= MEE 5 14) v. VII:2-10: TAR kù:babbar / wa / šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / 1 an-zamµ 1 zi-bar / níg-ba / ma-rí¾ / du-bù-ðu-¼ƒà-da / ì-na-sum / ba?-lu­¾; MEE 10 29 v. XIII:5-9: 2 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 1 an-zamµ 1 zi-bar / lú zaµ / en; MEE 12 35 v. IX:9-14: 17-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 3 1/2 kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ 1 zi-bar / i-bí-zi-kir ; MEE 12 37 r. XII:48 - XIII:4: 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ / i-bí-zi-kir / 3 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 2 an-zamµ 2 zi-bar. Assai raramente provvisto di un “coperchio”, 194 lo zi-bar poteva invece eventualmente presentare delle raffigurazioni (an-dùl): ARET VII 1 (16): 1 ma-na kù:babbar / 1 zi-bar kù-sig¥± an-dùl / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / gul-la / u® / ìr-péš¾. È interessante notare l’ampia ricorrenza, tra i destinatari dei vasi anzamµ e zi-bar, ma anche del solo zi-bar, delle statue delle divinità. Le divinità coinvolte sono ¼Išðara, ¼ra-sa-ab, la paredra di ¼ƒa®-da-bal di lu-baan¾, ma soprattutto il dio ¼ƒà-da: MEE 10 20 v. VIII:17-27: 6 gín DILMUN kù:babbar / 3 zi-bar / níg-ba / ama-gal / en / ¼LAGAB×SIG±-iš má-NE¾ / wa / u³-gú-a-áš¾ / wa / zu-ra-mu¾; MEE 10 29 r. XIV:23-32: 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 zi-bar / níg-ba / ma-lik-tum / ¼ra-sa-ab / ƒà-da-NI¾ / in / AMA-ra; MEE 12 35 r. XV:33 - XVI:8: 3 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ / TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 zi-bar / i-bí-zi-kir / a-dè / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ 1 zi-bar-SÙ / sikil / ¼ƒà-da; TM.75.G.1923 v. X:8'-17': 195 TAR kù:babbar šu-bal-aka 6 gín DILMUN kù-sig¥± lul-guµ-aka 1 zi-bar en ša-ti sikil níg-ba ¼ƒa®-da-bal lu-ba-an¾; TM.75.G.2502 r. XI:27 - XII:3: 196 3 zi-bar / níg-ba / ama-gal / en / ¼LAGAB×SIG±iš má-NE¾ / wa / u³-gú-a-áš¾ / wa / zu-ra-mu¾. 194 ARET I 2 + IV 23 (28). Citato da Pomponio - Xella 1997, p. 279. 196 Citato da Pomponio - Xella 1997, p. 209. 195 Capitolo I 44 TM.75.G.2507 v. VI:7'-14': 197 5 ma-na 8 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 an-zamµ 1 pad 1 zi-bar / en / lul-gu-aka / 1 an-zamµ 1 pad 1 zi-bar / sikil / ¼ƒà-da / lú ða-labµ¾. L’importanza dello zi-bar nel culto eblaita, così come la apprendiamo dai passi dei testi amministrativi sopra citati, potrebbe essere un riflesso del ruolo che questo contenitore aveva nella mitologia. In ARET V 5, infatti, al r. I:2 e 6, seppure in un contesto di difficile interpretazione, troviamo la menzione rispettivamente di zi-bar ì-giš e zi-bar ði-a-du. Siccome il testo sembra una narrazione delle imprese mitiche del dio della tempesta Hadda (come il precedente ARET V 4), 198 ciò potrebbe spiegare il legame privilegiato che i testi amministrativi indicano esplicitamente tra lo zi-bar e la statua di culto di Hadda e delle sue ipostasi ¼ƒà-da lú ða-labµ¾ e ¼ƒa®-dabal lu-ba-an¾. La necessità di dotare il simulacro del dio di questi oggetti trovava evidentemente il suo antecedente nel mito. 4.4. Molto attestato risulta anche il vaso indicato dalla grafia giš-šu­. Questo termine è noto, oltre che nei testi amministrativi, anche nella lista lessicale (VE 441), senza però la rispettiva glossa semitica, e nei rituali di ARET XI. È considerato “un recipiente, probabilmente di forma aperta (ciotola o coppa)”, 199 e questa ipotesi sembra sostenuta dal fatto che i testi editi non attestano mai per giš-šu­, contrariamente a quanto avviene per altri contenitori, l’attribuzione di un “coperchio” (pad). Di questo contenitore, di cui si conosce una forma piccola (tur) 200 e una grande (mað), 201 sappiamo, invece, che poteva essere munito di “anse” (šu): ARET III 585 II:1-2: ...] // 1 giš-šu­ / lú šu; ARET VIII 525 (= MEE 5 5) v. XI:1'-9': ...] / 4 ma-na 50 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 giš-šu­ 2 šu-SÙ / 3 ma-na šušanaµ kù-sig¥± / 1 níg-bànda 2 an-dùl / 1 dib 2 ma-na / 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun 1 ma-na TAR kù-sig¥± / sikil / ¼ƒà-da / lú ðalabµ¾. Se, come abbiamo osservato poco sopra, il vaso an-zamµ si trova associato di preferenza con zi-bar, giš-šu­ ricorre in stretta connessione con un altro contenitore: níg-bànda. 197 Citato da Pomponio - Xella 1997, p. 47. Ultimamente Fronzaroli 2003b, pp. 89 ss. 199 Fronzaroli 1993, p. 24. I contesti rendono difficilmente accettabile la traduzione “scudo” proposta da Waetzoldt 1990, p. 28 e n. 153. 200 MEE 10 29 v. XVII:13-20; TM.76.G.281 r. I:2-6 (citato da Mander 1990, p. 167). 201 TM.75.G.328 r. I:1 ss. (citato da Pettinato 1992, p. 186). 198 L’artigianato a Ebla 45 4.5. Il termine níg-bànda ricorre oltre che nei testi amministrativi anche nella lista lessicale (VE 93) con glossa ša-a-tum, recentemente spiegata da F. D’Agostino tramite l’accadico šaƒ–tu, “misura per liquidi”. 202 Il sumerogramma è noto anche dai testi mesopotamici d’età presargonica con grafia níg-bàndada, dove indica appunto un vaso usato anche come unità di misura. 203 Ad Ebla doveva trattarsi di un oggetto di indiscusso pregio, realizzato sempre in metallo prezioso e provvisto di “anse” (2 šu, lú 2 šu): ARET I 2 + IV 23 (28):1 dùl-túg 1 gu-zi-tum-túg 2 aktum-túg 2 íb-iv-túg sa° gùn / 1 gada-túg mu­mu 3 gada-túg kir-na-nu / 1 ‹gàr›-su gi° / 2 ma-na kù-sig¥± / 1 giš-šu­ / 58 kù-sig¥± / 1 níg-bànda / lú 2 šu / 1 ma-na 10 kù-sig¥± / 1 dib / TAR-7 kù-sig¥± / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ / 14 kù-sig¥± / 1 zi-bar 1 pad-SÙ / lú mu-túm / en / ra-ƒà-ag¾; MEE 12 35 r. XVII:31 - r. XVIII:21: 10 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na kù-sig¥± / 1 giš-šu­ / 4 ma-na 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 58 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 níg-bànda / 2 šu / 5 ma-na 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / 1 dib / šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5 gín DILMUN kù:babbar / 1 gú-zu-ratum / TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 kun / lugal / ma-rí¾ / si-in / ða-a-bí-du¾ / ù-ti / šu-mu-taka­; MEE 12 35 v. V:36-39: 3 kù:babbar / ni-zi-mu / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda 2 šu / ábba. I passi in cui viene ricordato si riferiscono a cerimonie relative a personaggi di alto rango o ad apporti ed offerte da parte di esponenti dell’aristocrazia. Nel passo che segue, ad esempio, la coppia di contenitori giš-šu­ e níg-bànda è parte assieme a stoffe di alta qualità di un’offerta fatta per la cerimonia funebre (É×PAP) della regina di Mari Paba: ARET II 4 (17): 1 ma-na 10 kù-sig¥± / zaµ pa­-ba­ / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda kù:babbar / 3 ma-na kù:babbar / 1 zara°-túg babbar 1 zara°-túg ú-ðáb 1 níg-lá-ZI:ZI babbar 1 níg-lá-ZI:ZI ú-ðáb / 10 kun kù-sig¥± / 1 si kù-sig¥± 1 gu-zi-tum ú-ðáb 1 má-da-ma-tum babbar / du-bí-šum ur­ pa­-ba­ É×PAP. Altrove viene citato come offerta alle statue delle divinità o ai loro templi in occasione di particolari cerimonie: ARET II 13 (24): 5 ma-na kù-sig¥± / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda limlulimlu / 1 níg-bànda gíd kù-sig¥± / 12 ma-na kù:babbar / 4 níg-bànda / 20 an-zamµ / mu-túm / enar-ða-labµ / en / bur-ma-an¾ / in u­ / du-du / nídba ì-giš / é / ¼KU-ra / é siki / al°-gál; 202 203 D’Agostino 1995b, p. 11, con bibliografia. Bauer 1972, p. 231; Selz 1989, p. 368. Capitolo I 46 ARET VIII 525 (= MEE 5 5) v. XI:1'-9': ...] / 4 ma-na 50 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 giš-šu­ 2 šu-SÙ / 3 ma-na šušanaµ kù-sig¥± / 1 níg-bànda 2 an-dùl / 1 dib 2 ma-na / 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír-kun 1 ma-na TAR kù-sig¥± / sikil / ¼ƒà-da / lú ða-labµ¾. Questi passi indicano anche che níg-bànda poteva essere decorato con “immagini” (an-dùl). Queste raffigurazioni dovevano essere soprattutto teriomorfe, come indica la grafia limlulimlu, “cervo”. 4.6. Un altro contenitore ampiamente documentato nei testi amministrativi di Ebla è indicato dalla grafia bur-KAK e dalla sua variante bur-NI. Il termine è assente nelle liste lessicali. Il nome di questo vaso è strettamente legato alla celebrazione del rito nuziale, durante il quale era impiegato per versare l’olio sulla testa della sposa, ed è pertanto attestato anche nei rituali di ARET XI. Fronzaroli interpreta il termine come “ciotola con beccuccio” e spiega la variante bur-NI come bur-ì, “ciotola per olio”. 204 Caratteristica importante doveva essere la presenza di raffigurazioni scolpite o applicate sulla superficie di questo oggetto, come suggeriscono i contesti che seguono: ARET III 513 v. I:1'-3': ...] 2 an-dùl / bur-NI / ìr-am°-ma-l[ik] [...; ARET VII 27: 6-NI kù-sig¥± / al° / bù-ma-ù / (anep.) / in / kin®-aka / 1 bur-KAK andùl; TM.75.G.1383 r. I:5 - II:1: 205 10 lá-3 bur-KAK / an-dùl / 30 lá-1 bur-KAK gištaskarin guruš ga:raš; TM.75.G.10182 v. III:4-6: 206 2 bur-KAK kù-sig¥± / 1 bur-KAK an-dùl kù-sig¥± / en. In un caso viene specificato anche il materiale con cui la raffigurazione è realizzata, na­ si­-si­, ovvero “corniola rossa”: MEE 2 50 v. XII:1: 1 bur-KAK an-dùl na­ si­-si­. Gli può venir attribuito un “coperchio” (pad), sebbene assai più raramente rispetto ad altri tipi di vaso: ARET I 31 (45): TAR kù-sig¥± / 1 mu-túm / 1 gú-bù 10 ma-na 50 gín DILMUN zabar / 1 bur-NI 1 pad 50 lá-2 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 mu-túm / DU-ub¾. MEE 10 20 v. VIII:8-16: 2 1/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 2 DU / 1 an-dùl / pad / 1 bur-KAK / en. 204 Fronzaroli 1993, p. 72, con bibliografia. Edito da Archi 1986, p. 149. 206 Citato da Archi 1990a, p. 104. 205 L’artigianato a Ebla 47 In quest’ultimo contesto, il “coperchio” del bur-KAK risulta essere costituito da (o decorato con) un’immagine (an-dùl), che assume pertanto un valore strutturale. In un caso, infine, è attestato l’impiego di metallo prezioso per la decorazione (nu¥¥-za) del bordo (nundum) di due bur-KAK: TM.75.G.2622 v. XVII:24-30: 207 1 ma-na kù:babbar 2 bur-KAK (argento) šu-balaka 8 gín DILMUN kù-sig¥± nu¥¥-za nundum-SÙ. 5. Mobili I testi amministrativi fanno sovente riferimento alla realizzazione e alla decorazione di mobili e loro componenti da parte degli artigiani eblaiti. Questi oggetti venivano adoperati sia per arredare la reggia e le case dei notabili della corte di Ebla, sia per adornare i templi e per officiare alcuni riti particolari. 5.1. Il letto è indicato nei testi di Ebla dal sumerogramma giš-ná di occorrenza piuttosto rara nella documentazione finora disponibile. Grazie all’inventario TM.75.G.1383 r. V:2-5, 208 siamo informati del fatto che questo mobile poteva essere realizzato in legno di bosso (giš-taskarin) o di pioppo (giš-ildag­). Talora si registra la consegna di stoffe da utilizzare come coperte per il letto, come ad esempio in: ARET IV r. VI:15-19: 1 gu-zi-mug-túg / PAD / giš-ná / en / úr-sá-um¾, in cui un tessuto di lana (mug), non particolarmente pregiato, 209 viene destinato al letto del re di úr-sá-um¾. Sicuramente di maggior interesse risulta il passo: ARET XII 836 r. II':2'-7': 1 gada-túg / PAD / 1 giš-ná / ¼nin-kar / ma-lik-tum / in-na-sum, che registra l’offerta da parte della regina di Ebla di un tessuto di lino per coprire (PAD) un letto per la statua di culto della dea ¼nin-kar. 210 Sfortuna207 Citato da Archi 1999, p. 154, n. 34. Edito da Archi 1986, pp. 194-195. 209 Il termine mug indica, infatti, nelle fonti sumeriche una qualità inferiore di lana che non può essere filata o addirittura la stoppa (Bauer 1972, p. 356). 210 Per questa dea, sovente invocata come testimone nei trattati, si vedano recentemente Pomponio - Xella 1997, p. 294, con bibliografia, che la considerano una divinità “liée à l’aurore”. Altri la considerano una dea della salute, vicina a Gula, per cui si rimanda a Barré 1983, pp. 24, 105-106, 108, 149 n. 64, 150 n. 71. Una statua di culto della dea ¼ninkar è citata anche in MEE 10 23 v. III:5-10: šušanaµ-7 gín DILMUN kù:-babbar an-dùl nígba ¼nin-kar níg-du² en. 208 Capitolo I 48 tamente il testo non fornisce indicazioni riguardo alla cerimonia che ha motivato questa assegnazione. Ciononostante, sono possibili alcune considerazioni. L’usanza di adagiare le statue delle divinità, specialmente femminili, su letti di pregiata lavorazione appositamente approntati nei templi è un fatto ben noto, come documentano i testi e l’archeologia conferma. Questa pratica è legata per lo più alla celebrazione dei riti di ierogamia o più raramente alla pratica dell’incubazione. Ad Ugarit, è significativa la tavoletta KTU 1.132, in cui si menziona l’allestimento di un letto con ricche coperte per la dea Pdry. 211 Anche il culto ittita, ad esempio, prevedeva che si preparassero, in determinate circostanze cultuali, 212 letti in onore delle dee Išðara, Ðebat e Šauška, come testimonia ad esempio: KUB 40 2 v. 24: 3 TÚG SIGmeš gišNÁ na-at-ði-i-ta A-NA ¼iš-[ða-ra, in cui appunto si riferisce di un’assegnazione di tessuti pregiati per la preparazione del letto della dea Išðara. In particolare, nei testi neo-babilonesi risalenti al regno di Nabonedo (555-539 a.C.), 213 relativi alla cerimonia ðaš…du, si citano, come ad Ebla, stoffe di lino per il letto di Šamaš ed Ayya allestito in funzione della loro teogamia nella b–t mayy…li dell’Ebabbar a Sippar: Nbn.660, 1-3 : ištenen kitû(GADA) ðull…nu / itti GI nak-ma-ru šá 14 kit…tiMEŠ / a-na giš erši(NÁ) šá ¼Šamaš. Le coperte di lino per il letto ritornano ancora come simbolo stesso dell’unione matrimoniale nel mito di Inanna. 214 Questo identico legame delle stoffe di lino con il letto nuziale lo troviamo in: ARET XI 2 v. XVIII:22 - bd. s.:1-4: [in] / [u­] / [su-wa-ti] / en / é / ti-túg / [ki-ná] / [ap] / ma-lik-tum / é / dingir-dingir en / ki-ná; ARET XI 3 v. VI:13 - VII:7: in / u­ / su-wa-ti / en / é / ‹ti›-túg / túg-‹ná› / ap / malik-tum / é dingir-dingir-dingir / en / túg-ná, quando la coppia reale al termine del complesso rituale giace (ki-ná // túgná) appunto su coperte o lenzuola di lino (ti-túg). 215 I tessuti di lino (ti-túg) sono citati anche in un momento precedente della celebrazione: 211 Saracino 1982, pp. 191-199. Popko 1978, pp. 81-82; Wegner 1981, pp. 110 e 132; Prechel 1996, p. 122. 213 Matsushima 1985, pp. 130 ss. 214 Kramer 1969, p. 68; Jacobsen 1976, p. 31. 212 L’artigianato a Ebla 49 ARET XI 1 v. IV:11-20: ti-íb-ù-ma / ti-túg / en / ù / ma-lik-tum / è / tuš / al° / 2 gišuštin / a-bù-SÙ; ARET XI 2 v. III:21 - IV:9: zi-ga / ti-túg / en / wa / ma-lik-tum / è-ma / wa / al°-tuš / al° / giš-uštin / a-mu-a-mu-SÙ, quando all’alzarsi (ti-íb-ù-ma // zi-ga) dei tessuti di lino (ti-túg), il re e la regina escono per andare a sedersi sui troni (giš-uštin) dei loro padri. Giustamente Fronzaroli interpreta la frase come una metafora per alzarsi dal letto. 216 Si noterà in proposito che in greco il termine past’j indica una stoffa variegata in lino, 217 talora riccamente decorata e tinteggiata, usata come coperta o baldacchino, strettamente connessa con il letto nuziale. Questa stoffa era considerata come il simbolo dell’unione matrimoniale, tanto che l’espressione “andare sotto il past’j” alludeva di fatto all’unione stessa dei due sposi, come in una sorta di segregazione spaziale iniziatica che sanciva l’inizio della vita in comune. 218 5.2. Il sumerogramma giš-uštin indica ad Ebla il “trono”.219 L’esattezza di questa interpretazione è ribadita dalla lista lessicale bilingue (VE 369372), che cita questo termine in sequenza con altri sumerogrammi indicanti tutti varie componenti del mobilio: giš-šilig, “sgabello; gueridon”, gišbanšur, “tavolo”, giš-ná, “letto”. 220 Riguardo alle modalità di realizzazione ed alla morfologia di questo mobile i testi amministrativi eblaiti forniscono 215 Per l’interpretazione di ti-túg come “tessuti di lino”, Fronzaroli 1993, p. 41, che osserva come questi tessuti fossero realizzati e conservati presso un apposito edificio chiamato appunto é ti-túg, contrapposto a é siki, “casa della lana” (diversamente Waetzoldt 1990, p. 16: “geripptes Gewebe?”, ma questa ipotesi appare, a nostro avviso, poco probabile). La grafia è impiegata spesso nei testi amministrativi sia indipendentemente, sia come qualifica delle stoffe aktum-túg, gada-túg e sal-túg. Dato che i tessuti di lino sono regolarmente indicati ad Ebla con il sumerogramma gada-túg, è necessario supporre che ti-túg indicasse un tipo di lino in qualche modo diverso per qualità o lavorazione. Come ipotesi di lavoro, si può proporre una connessione di ti-túg con il termine eblaita dam-ša-lu(-túg), che indica appunto un particolare tipo di lino o una stoffa ad esso somigliante (sem. *møl, “essere simile a; assomigliare”, paleoaccadico gada tamš–lum; Pasquali 1997, pp. 222-223). 216 Fronzaroli 1993, p. 41. 217 Presumibilmente da pßssw nel senso di poikàllw, “intessere riccamente una stoffa”. La parola ricorre anche nelle versioni greche dell’Antico Testamento, dove traduce il termine ïph, una stoffa intessuta di fili d’oro impiegata come baldacchino. 218 Vatin 1971, pp. 211 ss.; Arrigoni 1983, pp. 34 ss.; Lane 1988, pp. 100 ss. 219 Fronzaroli 1992. Più difficilmente sostenibili su base contestuale risultano le interpretazioni di Pomponio 1983, p. 376 (“chariot, wagon”); Pettinato 1992, p. 192 (“stele”); Waetzoldt 1990, p. 32 (“Standarte”); Waetzoldt 2001, pp. 156 e 227 (“Joche? ”). 220 Come giustamente ha osservato D’Agostino 1996a. Capitolo I 50 numerose informazioni, che risultano interessanti in quanto trovano continuità nelle tradizioni artistiche ed iconografiche posteriori del Vicino Oriente e del Mediterrraneo antico in generale. 221 I testi registrano, come materiali impiegati per la realizzazione del trono, metallo prezioso, legno (nell’inventario TM.75.G.1383 r. VI:5 - v. I:1, 222 ad esempio, a 96 troni in legno di bosso, giš-taskarin, se ne contrappongono 34 in legno di pioppo, giš-ildag­), più raramente avorio o “osso” (si) in: ARET VIII 528 (= MEE 5 8) r. I:5 - II:4: 5 ma-na / 53 kù-sig¥± / 6 kù:babbar / nu¥¥za 1 giš-uštin / lú si; v. X:5: 1 giš-šu­ 1 ÐA 1 giš-uštin si, e nel suo parallelo: TM.75.G.2271 r. VI:4-6: 223 5 ma-na 53 kù-sig¥± / 6 kù:babbar / nu¥¥-za 1 giš-uštin si-si. Il metallo prezioso veniva verosimilmente applicato sul legno come rivestimento decorativo (come assicura l’uso dei termini ni-zi-mu, nu¥¥-za, zi-ba-du), mentre l’avorio serviva per gli intarsi. L’uso di questi materiali nella lavorazione artigianale dei mobili è ben documentata per le epoche successive da prove archeologiche e testuali. Molti degli avori trovati a Nimrud, ad esempio, erano all’origene elementi decorativi di mobili. 224 La Bibbia fa spesso menzione di troni e letti decorati con questi preziosi materiali, 225 e lo stesso fanno i testi ittiti, 226 micenei, 227 e l’epica omerica. Si ricorderà il seggio di Penelope, descritto in Odissea XIX:55-58, intarsiato in avorio e in argento e corredato dallo sgabello per i piedi, che Omero attribuisce all’opera del maestro Ikmalios, in cui si è riconosciuto un artigiano di origene orientale. 228 Anche nell’epica omerica, quindi, il trono con lo 221 Per l’influenza del trono orientale nel mondo classico, Kyrieleis 1969, pp. 41 ss., e passim. 222 Edito da Archi 1986, pp. 194-195. Citato da Archi 1997/98, p. 109. 224 Ciafaloni 1992, pp. 111 ss. 225 Mittmann 1976, pp. 149-167; Millard 1988, pp. 481-491. 226 Güterbock 1971, pp. 1-7. 227 Milani 1972, pp. 37-41. 228 Lacroix 1957, pp. 309 ss.; Laser 1968, pp. P42; Canciani 1984, pp. N98; Morris 1992, pp. 24 ss. 223 L’artigianato a Ebla 51 sgabello poggiapiedi di ispirazione siro-fenicia ritorna quale simbolo di regalità e di rango sociale elevato. 229 Il trono eblaita, tuttavia, oltre che nei materiali, risulta anticipare anche nella forma quello che è noto come il tipico trono orientale, simbolo del potere regale, così come appare nell’iconografia ugaritica e fenicio-punica, corredato da uno sgabello poggia-piedi e con le fiancate in forma di figure composite (tori androcefali, leoni alati, grifoni, sfingi o sirene) in funzione di spiriti protettori dallo spiccato carattere apotropaico. 230 Con tali caratteristiche, questo tipo di trono viene assunto e riproposto quale simbolo di regalità in Grecia ed in Etruria a partire dal periodo orientalizzante per influsso dell’arte e della cultura siro-fenicia. 231 Nei testi amministrativi di Ebla, con la grafia DUB (lú 2) DU (in un caso DUB; lett. la “tavoletta dei due piedi”), 232 si indica, un oggetto strettamente connesso con giš-uštin e che a nostro avviso è da identificare proprio con lo “sgabello poggiapiedi”. 233 Si vedano i passi seguenti: ARET II 10 v. I:1 - IV:2: 10 lá-2 ma-na šušanaµ kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 ‹giš*›-[uštin*] / 2[+x ma-na] / TAR kù:babbar / nu¥¥-za 1 ‹DUB› 2 DU; MEE 10 20 r. XXIV:25 - v. I:9: 12 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 1 DUB / lú 2 DU / en / 8 [gín] DI[ILMUN] kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / nu¥¥-za / 1 giš-uštin* / en; MEE 12 27 v. II:1 - III:1: [...] / 60?[...]x[...] / 4 ma-na kù:babbar / 1 dag TUŠ kaskal é nagar / 80 lá-2 ma-na kù-sig¥± / 23 ma-na šušanaµ kù:babbar / 1 TUŠ 1 dag TUŠ / 34 ma-na TAR kù-sig¥± / 70 lá-1 íb-lá 70 lá-1 si-di<-tum> / 70 lá-1 gír kun / ‹60?›+15 ma-na 50 kù-sig¥± / kin®-aka giš-šilig giš-uštin DUB 2 DU; TM.75.G.2350 r. I:3 - II:1: 234 1 ad-ða-ði-LUM an-dùl / ša-pi kù-sig¥± / wa / 4 mana ša-pi kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 giš-uštin / wa / 1 DUB / lú 2 DU; TM.76.G.974 r. IV:6 - V:5: 235 1 mi<-at> ‹70›[+x] m[a-na kù-sig¥±] 1 mi<-at> 72 229 Oltre a Penelope, lo possiedono Circe in Odissea X, 315 e 367; la dea Theti in Iliade XVIII, 320; Ulisse in Odissea X, 314-315 (Houston 1975, pp. 212 ss.). 230 Kyrieleis 1969, pp. 41 ss.; Metzger 1985, passim; Gubel 1987, pp. 36 ss. 231 Steingräber 1979, pp. 93-117 e 148 ss.; Colonna - von Hase 1984, p. 41 ss.; Aigner-Foresti 2000, pp. 276 ss. 232 Non appaiono pertinenti le traduzioni proposte Archi 1988c (“feuille des deux pieds”); Pettinato 1996, p. 298 (“suola di 2 calzari”); Waetzoldt 2001, p. 232 (“Teil des Jochs”); Archi 2005d, p. 89 e n. 26 (“dub-vase with two feet”). 233 Pasquali 2004c; 2005b, pp. 272 ss. 234 Citato da Archi 1988c. 235 Citato da Archi 1999, pp. 154. Integrazioni sulla base del sopra citato passo parallelo di MEE 12 27. Capitolo I 52 ma-na kù:babbar 1 la-ða 2 TUŠ gi 1 dag TUŠ 75 m[a-na 50* k]ù-s[ig¥±] kin®aka giš-šilig [giš*-uštin*] DUB DU. Più raramente l’oggetto ricorre da solo: ARET VIII 534 (= MEE 5 14) r. IX:13-20: 1 gín DILMUN kù:babbar / 3 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-ba-du / 1 DUB / 2 DU / en; TM.75.G.2341 r. IV:7-10: 236 5 ma-na 50 kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 DUB 2 DU / 53 kù:babbar / nu¥¥-za PAD-SÙ, oppure, come succede per altre componeti del mobilio, assieme a vasi: TM.75.G.2073 v. X:4-7: 237 25 ma-na 5 kù:babbar / lú kin®-aka / 1 la-ða / 4 zi-ru¥© 1 DUB 2 DU. Nella tradizione iconografica successiva lo sgabello poggiapiedi si accompagnava sempre al trono. Ne troviamo un esempio, infatti, nella famosa stele ugaritica raffigurante il dio ƒEl assiso in trono con entrambi i piedi poggiati sopra uno sgabello. 238 La posa stessa era un segno tangibile di regalità, come testimoniano gli stessi testi mitologici di Ugarit, che con intento satirico ci descrivono ‚Aøtar, un dio che aspira ad essere re non essendone degno, seduto sul trono senza tuttavia riuscire a poggiare i piedi sullo sgabello e la testa in cima allo schienale, 239 al contrario di ƒEl e Ba‚al ben saldi e maestosi sui loro troni nel pieno esercizio della loro funzione. 240 L’immagine del sovrano sul trono con i piedi posti sullo sgabello ritorna ancora nel sarcofago di Ahiram di Biblo. 241 In questo caso il trono appare fiancheggiato da figure di geni alati in funzione di spiriti protettori, la cui testa arriva all’altezza dei braccioli. Anche i testi di Ebla citano troni con “raffigurazioni” (an-dùl) ad esempio in: 236 Citato da Archi 2005d, p. 89, n. 26. In questo contesto il termine PAD-SÙ, non contato, non pare debba intendersi come riferito al “coperchio”, ma piuttosto alla “copertura” in metallo prezioso provvista di “decorazione” (nu¥¥-za). Si confronti ARET XII 181 I':1'-6': ‹PAD› / giš-uštin / giš-ná / giš-šilig / si-in / ma-du¾, purtroppo lacunoso, dove PAD risulta riferito a varie componenti del mobilio. 237 Citato da Archi 2005d, p. 89, n. 26. 238 Heyer 1978, pp. 98-101; Wyatt 1983, pp. 271-277. 239 Per il valore di questa descrizione nell’ambito della mitologia ugaritica, ultimamente Page 1996, p. 91. 240 Per la descrizione del trono di ƒEl nei miti di Ugarit, Dietrich - Loretz 1978, pp. 57-63. 241 Heyer 1978, p. 100. L’artigianato a Ebla 53 TM.75.G.2519(+) r. II:3-4: 14 ma-na kù-sig¥± nu¥¥-za 1 giš-uštin an-dùl e ancora in: TM.75.G.1864 r. II:2-5: 242 7 ma-na kù-sig¥± nu¥¥-za 1 DUB an-dùl lú 2 DU gišuštin an-dùl ma-rí¾, dove sette mine d’oro servono per decorare (nu¥¥-za) un trono nello stile di Mari ed il suo sgabello poggiapiedi entrambi “istoriati”. È interessante rilevare come, oltre a ma-rí-a-tum, “la veste alla foggia di Mari”, simbolo della regalità al momento dell’intronizzazione dell’en e della ma-lik-tum come abbiamo già avuto modo di notare, anche un altro oggetto come il trono, pure strettamente legato alla regalità, sembri introdotto ad Ebla da Mari. In: TM75.G.1537 v. XII:11-16: 243 1 kin siki / ma-za-b[ù] / giš-uštin / ma-rí¾ / nu-zaar / šu-ba­-ti, si registra l’assegnazione di una misura di lana per confezionare un cuscino (ma-za-bú) 244 per un trono nello stile di Mari, mentre della decorazione (nu¥¥-za) di un trono istoriato di questo stesso tipo riferisce ancora: MEE 7 2 r. I:8 - II:4 10 ma-na (x) gín DILMUN kù-sig¥± / [1 giš-uštin an-dùl] / ma-‹rí¾› / šušanaµ-6 gín DILMUN kù:babbar / 4 kun 4 si-si "luµ"; v. XI:4-5: 4? nu¥¥-za / 1 giš-uštin an-dùl ma-rí¾. In quest’ultimo passo si usa nuovamente il termine generico an-dùl, “raffigurazione”, ma la natura di tali elementi figurativi è specificata dalla successiva assegnazione di una quantità d’argento per le “code” e le “corna” (4 kun 4 si-si) dei "luµ", “tori androcefali”. 245 242 Citato da Archi 2005d, p. 89. Il termine an-dùl, quando qualifica, come in questo caso, mobili, oppure vasi e gioielli, ha il valore di “immagine; raffigurazione” applicata sulla superficie degli oggetti come elemento decorativo. Non si tratta, quindi, di mobili o oggetti “per una statua” (come invece suppone Archi), ma piuttosto “(decorati) con immagini; istoriati” (Pasquali 2004c; 2005, p. 274). Anche la traduzione “schienale, poggiaschiena”, proposta per an-dùl usato in associazione a giš-uštin da D’Agostino 1996b, p. 11, risulta in contraddizione con le altre attestazioni del termine nella documentazione eblaita. 243 Citato da Archi 1985, p. 75. 244 Per questa parola eblaita (sem. *ƒsp, “raccogliere”) e la sua corrispondenza con il sumerico Ú.SU, Pasquali 1995; 1997 pp. 254-255. 245 Per l’identificazione di questo essere mitico con il toro androcefalo, Steinkeller 1992, pp. 259-267, con bibliografia; Fronzaroli 1993, p. 147, che preferisce la traduzione “coppia di tori androcefali”, data la presenza di ÉRIN nel sumerogramma. Capitolo I 54 In altri contesti, sempre in relazione al trono, si parla esplicitamente di ušum:gal, “draghi”: ARET VIII 534 (= MEE 5 14) v. VI:20-25: 5 ma-na [5 gín DILMUN kù:]babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na ša-pi-5 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 4 ušum:gal / 2 giš-uštin / en, e soprattutto ancora di "luµ", “tori androcefali” in: TM.75.G.2280 r. IV:13-14: 246 4 ma-na 17 kù-sig¥± 4 / nu¥¥-za 1 giš-uštin DU.DU "luµ"; TM.76.G.152 r. IV:4ss.: 247 11 ma-na 53 kù-sig¥± / 1 giš-uštin 2 "luµ" / 3 ma-na 10 kù-sig¥± 1 DUB-SÙ. In: TM.75.G.1464 v. XIV:17 - XV:2: 248 1 ma-na TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 18 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za / 4 "luµ" / lú al° / giš-PA-giš-PA / giš-uštin / en, le figure dei tori androcefali vengono qualificate come lú al° / giš-PA-gišPA. Il termine giš-PA è di difficile interpretazione: nei testi eblaiti indica sia un elemento della bardadura degli equidi, sia un elemento decorativo relativo a vasi e gioielli. 249 Nel nostro caso, partendo dalla semantica del sumerogramma, si potrebbe pensare come ipotesi di lavoro ad una componente lunga e sporgente del trono, verosimilmente i “braccioli”, a cui erano infisse le figure dei "luµ". Negli scavi di Ebla sono state effettivamente ritrovate, nella così detta “Tomba del Signore dei Capridi”, databile al periodo amorreo, due protomi di capridi provenienti dai braccioli di un trono, nonché due figurine a tuttotondo sempre di capridi, ma in posizione semidistesa, impiegati molto probabilmente come rivestimento per i supporti laterali di una spalliera di un seggio. 250 Queste raffigurazioni venivano sempre collocate in posizione liminare e sugli angoli dei mobili a ribadirne la funzione protettiva. I passi amministrativi sopra analizzati dimostrano che la tradizione di decorare i mobili in generale ed i troni in particolare con le raffigurazioni di geni protettori era già documentata ad Ebla nel III millennio. 251 Di questa tradizione resta una traccia evidente non solo, come 246 Citato da Pomponio 1989, pp. 302. da Waetzoldt 1990, pp. 31. 248 Citato da Pettinato 1992, pp. 198. 249 Fronzaroli 1993, p. 32; Conti 1997, pp. 61-62. 250 Matthiae 1979, p. 172. 251 Ciò induce a rivedere la vecchia ipotesi di una derivazione di questo tema sic et simpliciter dall’arte egizia, ancora accolta da Keel 1995, p. 131. 247 Citato L’artigianato a Ebla 55 già detto sopra, nell’arte siro-fenicia del II e I millennio, ma anche nell’Antico Testamento nella formula “YHWH Sabaot che siede sui cherubini (yšb hkrbym)”, che allude ancora alla divinità seduta sul trono fiancheggiato dagli spiriti protettori, i cherubini appunto, quadrupedi alati dai tratti umani. 252 Come da tempo riconosciuto 253 ed accolto dalla letteratura successiva, il nome dei cherubini può essere spiegato tramite l’accadico k…ribu o kar¢bu, “genio protettore”. Questi Mischwesen possono confrontarsi con i tori androcefali, che decorano e proteggono le entrate dei palazzi assiri, e, di conseguenza, con i "luµ" dei testi di Ebla. Nella Bibbia, i cherubini decorano l’arca dell’alleanza, secondo alcuni interpretabile come il trono stesso di YHWH, oppure secondo altri come lo sgabello poggiapiedi, che stava sotto il trono formato dalle ali dei cherubini. 254 Questo trono vuoto era oggetto di un culto aniconico. 255 Il culto del trono vuoto come allusione all’invisibile presenza numinosa della divinità è del resto fatto ben documentato già nella religione fenicia. 256 5.3. Un tipo di seggio è indicato nei testi amministrativi con il sumerogramma TUŠ. A differenza di giš-uštin, per il quale non è nota finora alcuna assegnazione alle statue delle divinità, troviamo invece, almeno due casi in cui TUŠ risulta utilizzato in ambito cultuale: MEE 2 33 v. IX:14-19: 1 zi-rí siki / TUŠ / <¼>LAGAB×SIG± / en / é / ¼KU-ra; TM.75.G.1904 r. IV:8-14: 257 10 gín DILMUN kù:babbar / nu¥¥-za 1 giš-SAL / lú DU.DU / "luµ" / TUŠ / ¼á-la / lú / zi-ig¾. Nel primo dei due passi sopra citati è prevista l’offerta di un tessuto in lana intrecciata 258 da porre sopra il sedile (TUŠ) su cui era collocata l’immagine della dea Išðara (<¼>LAGAB×SIG±) nel tempio di ¼KU-ra. Il secondo contesto prevede invece una modesta uscita di argento, per la decorazione (nu¥¥-za) di alcune componenti di non ovvia interpretazione (1 giš-SAL / lú DU.DU) di un sedile (TUŠ) per il dio ¼á-la e per le immagini dei tori androcefali con cui il mobile era istoriato. 252 Vaux 1960/61, pp. 93-124; Mettinger 1982, pp. 109-138; Seow 1989, pp. 16 ss. Dhorme 1926, pp. 328-339. 254 Per le varie interpretazioni, Haran 1959, pp. 30-38 e 89-94; Vaux 1960/61, pp. 93 ss.; Mettinger 1982, p. 109 ss. 255 Mettinger 1997, pp. 21 ss. 256 Danthine 1939, pp. 857-866; Garbini 1981, pp. 301-307; Amadasi Guzzo 1993, pp. 163-180; Delcor 1983, pp. 777-787. 257 Citato da Archi 1997, p. 423. 258 Per questa interpretazione, Pasquali 1997, pp. 267-268, con bibliografia. 253 Capitolo I 56 5.4. Un’altra componenente del mobilio citata nei testi ammnistrativi eblaiti è il “tavolo” (giš-banšur). Come per giš-ná e giš-uštin, il già citato inventario TM.75.G.1383 ne documenta la realizzazione in legno di bosso (giš-taškarin) ed in legno di pioppo (giš-ildag­). L’uso del legno è confermato anche da: TM.75.G.10088 v. IX:23-31: 259 1 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ 2 si dàra giš giš-banšur šu-ra níg-sikil PN šu-ba­-ti, dove questo materiale viene appositamente acquistato, assieme a due corna di cervo (si dàra), per un giš-banšur con una modesta quantità d’argento verosimilmente presso una “fiera”. Come il trono, anche il tavolo poteva essere istoriato con figure di esseri mitici, come apprendiamo da: MEE 10 4 v. IX:4-8: TAR kù-sig¥± / nu¥¥-za / 3 sag "luµ" / 1 giš-banšur / ¼á-la, che registra l’uscita di trenta sicli d’oro per la decorazione (nu¥¥-za) delle protomi (sag) di tori androcefali ("luµ") che ornavano un tavolo del dio ¼ála. Talora il tavolo è di pertinenza del coppiere di corte (sagi). In un passo di un testo ancora inedito, infatti: TM.75.G.2622 v. XIX:1-6: 260 1 ma-na TAR kù:babbar ne-zi-mu wa-za-ru¥© gilim giš-banšur sagi, una importante quantità d’argento serve per la complessa lavorazione (nezi-mu wa-za-ru¥©) 261 di una componente (gilim) del tavolo del coppiere. Il sumerogramma gilim in questo contesto non è di facile interpretazione. Potrebbe trattarsi di elemento ornamentale circolare da collocarsi lungo la circonferenza del tavolo. Lo stesso oggetto ritorna in connessione con gišbanšur anche in: TM.75.G.10201 v. XXIV:1-20: 262 20 ma-na kù:babbar šu-bal-aka 4 ma-na kù-sig¥± 1 dug 30 lá-3 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar 2 dug gaba-ru 4 nígbànda níg-a-dé 20 ma-na kù:babbar ni-zi-mu si-in 50 lá-1 ma-na kù:babbar gilim 2 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar šu-bal-aka šušanaµ-8 kù-sig¥± ni-zi-mu 4 zà an-dùl sagi lú giš-banšur sagi, 259 Citato da Archi 2000. Citato da Archi 1999, p. 155. 261 Per questi termini, si veda il cap. II, s.v.v. 262 Citato da Archi 1999, p. 155. 260 L’artigianato a Ebla 57 assieme a notevoli quantità di metallo prezioso per la realizzazione di vari contenitori (dug e níg-bànda) si cita la laminatura (ni-zi-mu) del gilim e del rivestimento esterno (zà) di quattro immagini (an-dùl) di coppiere per il tavolo del coppiere. Immagini di coppiere sono citate almeno altre due volte nella documentazione nota: ARET VII 34 r. I:1 - II:1: 3 ma-na ša-pi-6-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± an-dùl sagi; ARET VIII 528 r. III:11-12: 1 ma-na TAR kù-sig¥± nu¥¥-za an-dùl sagi. 5.5. Il termine giš-šilig si riferisce ad un mobile, 263 probabilmente uno tipo di “sgabello” o “gueridon”, come pare confermare il fatto che è citato in sequenza con altre suppellettili nella lista lessicale ed in alcuni inventari di mobili e forniture. 264 Come avviene per giš-banšur, l’oggetto è talora di pertinenza del coppiere di corte e può essere provvisto di gilim: TM.75.G.10088(+) v. XXIV:23-26: 265 1 ma-na 5 kù:babbar ni-zi-mu gilim giššilig sagi. Particolarmente interessante risulta il contesto seguente: TM.75.G.10144 r. V:15-21: 266 11 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ 11 ra-ƒà-tum 10 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ LAGAB×UD-LAGAB×UD kin®-aka giš-šilig sagi, dove si registra l’acquisto di materiali ricavati da animali o piante acquatiche (ra-ƒà-tum; LAGAB×UD-LAGAB×UD) 267 espressamente per la realizzazione di uno sgabello del coppiere, mentre in un passo successivo della stessa tavoletta ancora inedita: TM.75.G.10144 v. VI:19 - VII:4: 268 1 giš-šilig 8 gín DILMUN kù:babbar nu¥¥-za 4 sag "luµ" al°-SÙ níg-ba ¼ƒa®-da-bal, 263 Il sumerogramma giš-ASAR non ha nei testi di Ebla un valore univoco. Su base contestuale il termine pare indicare anche: 1) un recipiente di forma aperta (Fronzaroli 1993, p. 43, con lettura giš-asal); 2) un’ascia (Waetzoldt 1990, pp. 23 ss., con lettura giš-šilig), quando ricorre assieme a pugnali ed armi. 264 D’Agostino 1996a; Pasquali 2004c. Si ricorderà in proposito che nelle liste lessicali mesopotamiche è attestata l’equivalenza giš-šilig = mayyaltum, “letto” (AHw, p. 587). 265 Citato da Archi 1999, p. 154. 266 Citato da Archi 1999, pp. 154-155. 267 Per il significato di questi termini, si veda cap. III, s.v. ra-ƒà-tum. 268 Citato da Archi 2002b, pp. 154-155. Capitolo I 58 una modesta quantità d’argento è impiegata per la decorazione (nu¥¥-za) di quattro protomi di toro androcefalo (sag "luµ") da collocare su uno sgabello come offerta al dio ¼ƒa®-da-bal. 6. Statue Elementi importanti della produzione artistica eblaita sono sicuramente le statue. Normalmente le statue di fugure umane o animali 269 vengono indicate nei testi di Ebla dal sumerogramma an-dùl (noto anche nella lista lessicale bilingue in VE 784, ma senza traduzione semitica). Il significato del termine indicato dai testi è quello generico di “immagine; raffigurazione”, semanticamente affine al greco eákÎn nell’uso fattone da Pausania. 270 Con an-dùl si indicano, infatti, ad Ebla sia le figure di piccole dimensioni applicate, intarsiate o scolpite sulle superfici di mobili, vasi, armi e gioielli, sia le statue di culto composite di dimensioni anche notevoli, da collocare nei templi ed in altri edifici. In Mesopotamia si impiegava il segno dùl a nord, 271 nella valle della Dyala ed anche nei testi di Mari, mentre a sud si utilizzava il sumerogramma alan. 272 Entrambi corrispondevano all’accadico ñalmu. Ad Ebla, molto più raramente raramente rispetto ad an-dùl, troviamo per indicare le statue il sumerogramma KÍD.ALAM. Sulla base del nome la-ƒà-nu che gli attribuisce la “Sign-list”, si può considerare questo segno come equivalente al semplice alan e, pertanto, una lettura alanµ per esso può essere supposta. 273 Nonostante nei testi sumerici KÍD.ALAM indicasse un nome di professione, lo “scultore”, 274 ad Ebla il termine è attestato con il significato di “statua” sicuramente in: TM.75.G.2073 v. I:1-10: 275 7 mi-at 75 ma-na kù:babbar 90 ma-na kù-sig¥± 24 mana TAR-6 kù:babbar 1 la-ða ap gilim 1 KÍD.ALAM a-a-ti-mu 40 ma-na kùsig¥± 4 zi-lu, 269 L’ipotesi di Waetzoldt 2000, pp. 1143 ss., secondo cui il termine an-dùl si riferirebbe esclusivamente a statue raffiguranti persone umane o divine e mai animali ed altri esseri, non trova a nostro avviso alcun riscontro. 270 Papadopoulos 1980, pp. 3 e 58. 271 Solo in un’iscrizione proveniente dal tempio di Sin a Khaf…giah si ritrova dùl preceduto dal segno DINGIR, che l’editore però interpreta come determinativo (Spycket 1968, p. 36). 272 Spycket 1968, pp. 29 ss. 273 Archi 1987b, p. 95. 274 Spycket 1968, pp. 30-31; Bauer 1972, p. 344. 275 Citato in Archi 1999, pp. 155 e 157. L’artigianato a Ebla 59 dove una immagine in forma di falco (KÍD.ALAM a-a-ti-mu), 276 compare tra gli elementi decorativi di una grande giara la-ða, e in una lettera (TM.76.G.86), concernente alcune attività cultuali e divinitarie che coinvolgono la statua di culto del dio ¼ƒa®-da-bal presso il santuario di lu-baan¾, inviata dal ministro i-bí-zi-kir al figlio ru¥©-zi-ma-lik, che svolgeva presso quel tempio la funzione di šeš-ii-ib, termine che allude ad un tipo di personale addetto al trasporto delle immagini divine durante le processioni. 277 In questo testo il sumerogramma KÍD.ALAM viene diffusamente impiegato per indicare appunto il simulacro del dio. Il significato statua per KÍD.ALAM lo si riscontra, a nostro avviso, anche nel seguente passo amministrativo: ARET IV 15 (32): 1 sal-túg 1 íb-iii-túg gùn / íl / KÍD.ALAM / ra-ƒà-ag¾, che registra l’assegnazione di due tessuti di poco pregio ad una non altrimenti specificata persona di ra-ƒà-ag¾ che ha trasportato (íl) una statua (KÍD.ALAM), 278 verosimilmente per motivi cultuali. Il passo può essere, infatti, confrontato con: ARET III 881 v. I:6'-9': 1 gada-túg / ú*:íl* / ¼áš-da-bíl / ré-ì-ða-labµ / [šu?-ba­?-ti?], che menziona la ricezione(?) di un tessuto di lino da parte di ré-ì-ða-labµ per il trasporto (ú*:íl*) di una statua del dio ¼áš-da-bíl. Anche nella lista lessicale bilingue KÍD.ALAM è gossato in una delle fonti con una grafia semitica (šè-tum, VE 1275 A©; B senza glossa) di non chiara interpretazione, ma che difficilmente può essere analizzata come un nome di professione. 279 Nella lista lessicale è noto senza glossa anche il termine GIŠ.KÍD. ALAM (VE 444 A¥, C; VE 1360 A©), che si può supporre indicasse anch’esso un oggetto, come sembra dimostrare la presenza del determinativo giš. Inoltre, una grafia abbreviata o semplificata GIŠ.ALAM è usata in: MEE 7 34 v. XVII:2-9: ...] / UNKEN-aka / 1 mu-rúm / wa / 1 gúm-a-nu / ‹wa› / 2 GIŠ.ALAM / su-da®-lik / en, come hapax, in relazione alle due immagini di tori androcefali, che fungono da spiriti protettori del re e della regina, ai preparativi per le nozze dei quali questo rendiconto amministrativo fa riferimento. 280 Si noterà, infine, 276 Pasquali 2005a. Il testo è edito da Fronzatoli 1997, p. 1 ss. 278 Gli editori preferiscono un’interpretazione come nome di funzione. 279 Per un’ipotesi interpretativa (acc. š‡du, “spirito protettore”), Fronzaroli 1997, p. 13. 280 Biga 1992, pp. 3 ss.; Fronzaroli 1996, p. 58; 1997, pp. 3-4. 277 60 Capitolo I che il sumerogramma GIŠ.KÍD.ALAM, con riferimento ad una statua, è noto anche a Mari in un inventario di utensili e strumenti necessari per effettuare lavori di artigianato databile al periodo degli Šakkanakku (ARMT XIX 460 r. I:8'). 281 Come abbiamo già avuto modo di osservare nel paragrafo sulle tecniche, la realizzazione delle grandi statue di culto avveniva tramite assemblaggio di materiali diversi, rivestendo un materiale meno pregiato, come il legno, con altri più preziosi, come l’oro e l’argento, e applicandovi o incastonandovi le pietre dure semipreziose. A quest’epoca, infatti, era nota ancora solo la tecnica della fusione piena con l’ausilio di uno stampo, tramite la quale si potevano realizzare solo lingotti o oggetti di piccole dimensioni. La tecnica di fusione a cera persa verrà introdotta in Grecia intorno alla metà del VI secolo a.C., 282 dove fino ad allora si era mantenuta, come le fonti ed i ritrovamenti archeologici documentano, la tecnica dell’assemblaggio e del rivestimento in lamina metallica martellata (sfurølaton) sopra descritta, proseguendo una tradizione che arrivava dal Vicino Oriente. In particolare, il greco x’anon usato da Pausania per indicare le statue di culto arcaiche, fatte talora risalire ai tempi del mito, è un termine tecnico (dal verbo xûw, “raschiare; levigare”), che si riferisce, infatti, ad un’immagine intagliata nel legno, che poteva essere ricoperta di lamine martellate di metallo prezioso, vernici ed altri materiali, e di seguito ornata con vesti rituali. 283 La parola servì ad indicare anche le così dette statue crisoelefantine, rivestite d’oro, ma con il volto e le estremità in avorio (Strabone VIII, 3, 30 e 6, 10). La statua crisoelefantina della dea Athena ad Aegira è, infatti, nelle parole di Pausania (VII, 26, 4), uno x’anon con la superficie ricoperta d’oro e smalti colorati, mentre le parti nude erano in avorio. Sebbene già Euripide nomini nelle Troades (v. 1074) dei crusûwn xoßnwn t›poi, è soprattutto ancora Pausania ad informarci nella sua Periegesis riguardo all’esistenza di vari x’ana ùpàcrusea, ovvero “statue lignee ricoperte di lamina aurea”, degne di nota per la loro notevole antichità: a Corinto, ad esempio, vi erano immagini lignee di Dioniso con il corpo rivestito d’oro ed il volto di vernice rossa con valore apotropaico (II, 2, 6-7), mentre era interamente dorata la testa della statua di Apollo ad Olimpia 281 L’interpretazione come nome di funzione proposta dall’editore pare ora da abbandonare alla luce dei testi di Ebla. 282 Romano 1980, pp. 366 e passim. 283 Frontisi-Ducroux 1975, p. 97; Papadopoulos 1980, pp. 1 ss.; Canciani 1984, pp. N86-87. L’artigianato a Ebla 61 (VI, 19, 6). È quindi tramite l’aggettivo ùpàcruseoj che si definisce la laminatura aurea di una immagine lignea, operazione che ad Ebla pare essere indicata da ne/ni-zi-mu, “laminare”. Il termine ùpàcruseoj è impiegato anche da Erodoto non solo in riferimento alla statua di Atena consacrata a Cirene da Amasi (II, 182), ma sopratutto in relazione ad oggetti di fattura orientale (I, 50; IX, 80), con allusione alla già citata tecnica dello sfurølaton, tipica dell’età arcaica, che giunse nell’Egeo, a Creta, a Samo e nella Grecia continentale proveniente da Oriente. 284 Diodoro Siculo (II, 9, 4-7), in particolare, nella sua descrizione del tempio di Baal fatto costruire da Semiramide a Babilonia, parla non solo del mobilio rivestito di laminee auree (trßphza crus≈ sfurølatoj), ma soprattutto delle grandi immagini di culto (crus≠ sfurølata), eseguite con questa stessa tecnica considerata tipica della statuaria orientale. Le lamine metalliche erano tenute assieme e fissate al nucleo ligneo tramite chiodi. La stessa operazione ci viene indicata anche nella Bibbia in alcuni passi del libro di Isaia, che riportano minuziosamente le fasi di assemblaggio delle immagini di culto con l’ausilio di chiodi e fili di metallo. 285 Allo stesso modo, ad Ebla i testi ci informano che le statue di culto avevano il volto (igi-um // ba-na-ù), le mani (šu) ed i piedi (DU) costituiti da una lamina in metallo prezioso, 286 che veniva applicata su un supporto ligneo tramite chiodi. È possibile che ad Ebla si utilizzassero, oltre a chiodi e perni, con questo stesso intento, anche “lacci” o “stringhe” in tessuto di feltro, e quindi particolarmente resistente, 287 come almeno parrebbe testimoniare TM.74.G.110 r. I:1 - v. I:2: 288 3 túg:du² / šu-kešda / an-dùl / si-in / du-du-lu¾, in cui si registra l’utilizzo di tre feltri (túg:du²) per i “lacci” (šu-kešda) di una statua per du-du-lu¾, verosimilmente in offerta al dio Dagan, divinità poliade di quella località. Dagli scavi provengono reperti importanti a questo proposito: ad esempio, una lamina aurea martellata applicata ad un supporto in legno ancora esistente, con i chiodi in argento che la fissano ad esso, impiegata in origene per il rivestimento della zampa della figurina di un leone, come 284 Frontisi-Ducroux 1975, pp. 59 ss. e passim; Amandry 1977, pp. 273 ss.; Papadopoulos 1980, pp. 1-12; Romano 1980, passim; Donohue 1988, p. 208 ss. e passim; Morris 1992, passim. 285 Fitzgerald 1989, pp. 438-439; Dick 1999, p. 22. 286 Archi 1990a, pp. 103-105; Waetzoldt 2000, p. 1140. 287 Per la produzione del feltro e i suoi impieghi, Steinkeller 1980, pp. 79-100. 288 Citato da Archi 1990b, p. 204. 62 Capitolo I si deduce dalla presenza degli artigli, ed un’altra sfoglia d’oro di identica lavorazione in forma di zampa taurina. 289 Numerosi altri frammenti di lamine auree e con chiodi in argento sono state rinvenute senza che sia possibile stabilire la tipologia degli oggetti lignei a cui appartenevano, ma molto probabilmente si trattava di mobili o sculture. 290 Queste parti in metallo venivano periodicamente restaurate o sostituite, tanto che ogni rendiconto annuale di metalli inizia proprio con l’assegnazione di una mina d’argento per il rifacimento della lamina che costituiva il volto della statua del dio ¼KU-ra. 291 Altri materiali completavano l’opera. Ad esempio, le pietre dure semipreziose per certi particolari del volto come gli occhi, le sopracciglia e le acconciature. Nei testi amministrativi disponibili, si registra in un caso l’assegnazione di lapislazuli (za:gìn) per la realizzazione della statua di culto della dea Išðara: MEE 10 20 r. VI:6-11: 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5 mana 10 gín DILMUN za:gín / UNKEN-aka / ¼LAGAB×SIG±-iš / zi-da-la¾. Altrove, si assegnano notevoli quantità ancora della stessa pietra (gìngìn) per la testa (sag) di una immagine (an-dùl) destinata al tempio del dio Hadda ad Aleppo: MEE 10 20 v. XVI:10-19: 3 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 10 lá-1 ma-na gìn-gìn / UNKEN-aka / 1 sag / 1 an-dùl / níg-ba / en / ¼ƒà-da / ða-labµ(LAM)¾, e per un’altra raffigurante, pare, un sovrano: TM.78.G.333 r.I:1 - v.I:3: 292 14 ma-na 25 gìn-gìn UNKEN-aka sag an-dùl en. Negli scavi del Palazzo Reale G sono state effettivamente ritrovate capigliature e barbe in steatite o lapislazuli provenienti da statue composite. Questi elementi venivano applicati tramite tenoni di montaggio sul volto ligneo dell’immagine a sua volta ricoperto di una lamina in metallo prezioso. L’uso del legno intagliato e poi laminato in metallo prezioso per la realizzazione di importanti statue composite è tipico dell’arte siriana, mentre risulta poco sfruttato nella tradizione mesopotamica. 293 A tale proposito è interessante notare che furono proprio artigiani siriani e fenici 289 Si vedano le schede 114 e 155 del catalogo Ebla. Alle origeni della civiltà urbana, Milano 1995, p. 326. 290 Schede 116-120 del catalogo citato alla nota precedente. 291 Archi 1996, p. 73. 292 Citato da Archi 1990a, p. 102. 293 Matthiae 1980, pp. 269 ss. L’artigianato a Ebla 63 ad introdurre questa tecnica in Etruria durante il periodo orientalizzante. 294 Sempre proveniente dal Palazzo G è la statuetta di un toro androcefalo ancora in legno intagliato rivestito di lamina d’oro con inserimenti in pietra dura a raffigurare il vello e la barba. 295 Statue di capridi con barba e corna in lapislazuli sono state rinvenute nelle tombe reali di Ur. 296 Ed è possibile cogliere un riferimento a questa particolare iconografia anche in certi accenni della poesia sumerica a persone o animali con la barba di lapislazuli (su°-za-gìn). 297 Allo stesso modo, nell’epica omerica il termine kuanocaéta, “dalla chioma color lapislazuli”, impiegato come epiteto di Poseidone e di Ade, può essere letto come un’allusione alle statue di culto delle divinità con parti in legno, metallo e appunto pietra dura, 298 così come il riferimento alle sopracciglia color lapislazuli di Zeus in Iliade I 528: “Disse e con le sopracciglia del colore del lapislazuli il figlio di Crono accennò” (õH kaã kuanûVsin ùp’‘fr›si ne„se Kronàwn). 299 Le statue di culto venivano vestite durante una particolare cerimonia, che ad Ebla è talora indicata dal termine sumerico mu­mu, traducibile appunto come “attribuzione del corredo; vestizione”. In ambito greco si può menzionare a titolo d’esempio la solenne vestizione ad Atene del simulacro della dea Athena in occasione della sua festa, mediante un peplo realizzato da due giovani ragazze in circa 9 mesi di lavoro. 300 Particolarmente interessante risulta ad Ebla la cerimonia della vestizione della statua della dea madre ¼TU, 301 alla quale veniva assegnata come corredo una stoffa gudùl-túg bianca (babbar) o nera (gi°): 302 ARET I 12 r. III:4-8: 1 gu-dùl-túg gi° / lú 10 na­ siki / 2 bu-di 4 gín DILMUN kù:babbar / mu­mu / ¼TU; 294 Prayon 1998, pp. 329 ss. (in particolare pp. 338-339, fig. 9, in cui l’autore discute una testa in legno ricoperta di foglia d’oro proveniente da Vulci). 295 Matthiae 1977, p. 162 e fig. 13. 296 Pinnock 1997. 297 Alster 1976, pp. 56-57 e p. 97 (máš-ùz-da-mu su°-za-gìn-bi saðar-ra ma-ra-an-gíde, “my male goats were dragging their lapis-lazuli beard in the dust for me”). 298 Marinatos 1967, pp. B2-3. 299 Nei testi ittiti è citata almeno una volta la barba in pietra ZA.GÌN della statua di una divinità; dello stesso materiale sono anche gli occhi di una sfinge in forma di rython ed il becco di una rondine (Polvani 1988, p. 175). 300 Ceccarelli 1998, p. 30. 301 Forma abbreviata di ¼nin-TU, attestata anche in una lista di nomi divini proveniente da Fara (Jacobsen 1973, p. 285). I testi sconsigliono il riferimento del teonimo ¼TU ad una divinità maschile proposto da Pettinato 1992, p. 245 (“dio TU”). 302 Pasquali 1996. Capitolo I 64 ARET VIII 532 (= MEE 5 12) v. X:10-13: 5 kin siki gi° / 1 gu-dùl-túg ¼TU / malik-tum / šu-ba­-ti; ARET VIII 541 (= MEE 5 21) v. X:1'-3': 3 na­ siki babbar / 1 gu-dùl-túg / ¼TU. Difficilmente l’alternanza di questi due colori in questo contesto può essere una casualità. L’alternanza cromatica bianco/nero indica, infatti, la “specularità di una polarità” corrispondente all’opposizione positivo/negativo. 303 Questo simbolismo cromatico è stato riscontrato nel culto della dea madre, archetipo primordiale del femminino, che quando è bianca è vitale ed ausiliatrice, mentre quando è nera è punitrice. 304 E così la dea eblaita ¼TU in qualità di dea madre aveva un duplice carattere che la legava alla nascita ed alla morte, 305 come dimostra l’esitenza di una sua ipostasi urania venerata nel tempio del dio della tempesta di Aleppo e di una sua ipostasi ctonia venerata nel santuario degli dei inferi ad Adani, come si deduce dal passo seguente: TM.75.G.1793 v. XI:1'-5': 306 ...si]ki* na­* babbar* / 1* gu-dùl-túg / ¼TU ðalabµ(LAM)¾ / 4 na­ siki gi° 1 siki babbar / gu-dùl-túg ¼TU ƒà-da-NI¾. Una solenne cerimonia di vestizione delle statue di culto doveva avvenire in concomitanza con le celebrazioni dello ieros gamos. Ai preparativi per questo rituale relativamente alla coppia divina formata dal dio ¼ƒa®da-bal e dalla sua paredra (¼BAD-mí) paiono alludere almeno due passi nella documentazione finora disponibile: ARET III 3 v. 7'-14': 1 túg-gùn 1 ti-túg ú-ðáb 1 gín DILMUN kù-sig¥± / níg-ba / ¼ƒa®-da-bal / a-ru¥©-ga-du¾ / 1 PAD-túg 1 du-ru¥©-rúm gùn / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 kù-sal / níg-ba / ¼BAD-mí; TM.75.G. 10160 v. VII:9 - VIII:5: 307 1 zara°-túg 1 du-ru¥©-rúm 1 PAD-túg (anep.) 15 kù:babbar 10 kù-sig¥± 1 du-rúm níg-ba ¼BAD-mí ¼ƒa®-da-bal ma-lik-tum ìna-sum lú du-du si-in giš-gúl-taka­ a-ru¥©-ga-du¾, come sembra dimostrare l’offerta del “velo” (PAD-túg) e dalla “stola; peplo” (du-ru¥©-rúm) all’elemento femminile della coppia. Si tratta, infatti, delle stesse vesti che formano il corredo della regina per la celebrazione 303 Diano 1968, p. 29; Scarpi 1976, p. 174. Neumann 1963, pp. 19 s.; Galvano 1967, pp. 111-112. 305 Jacobsen 1973, pp. 285-286. 306 Citato da Pomponio - Xella 1997, pp. 332. 307 Citato da Archi 2005d, p. 99. 304 L’artigianato a Ebla 65 del matrimonio dinastico. La ma-lik-tum non può indossarle durante il viaggio (al° kaskal / nu túg-ZI:ZI), ma è solamente all’arrivo al tempio di ¼KU-ra, la divinità poliade di Ebla, che le viene concesso di assumere il suo ornatus cerimoniale, composto, tra gli altri tessuti, da una “stola; peplo variegato” (du-ru¥©-ru¥©; du-ru¥©-rúm gùn): ARET XI 2 r. II:3'-11': KA-dù-gíd kù-sig¥± / na-ù-bad / túg ú-ðáb giš-ma-ir / duru¥©-ru¥© gùn / mu­mu / ma-lik-tum / al° / kaskal / nu túg-ZI:ZI; ARET XI 2 r. IV:10-17: ‹wa› / mu-ti / túg-túg ú-ðáb giš-ma-ir gùn / wa / [K]A-dù[gíd] / mu-ti / in / má-la-sum; ARET XI 3 r. II:1-13: KA-dù-gíd / kù-sig¥± / na-ù-ba-at / túg-SÙ ú-ðáb / du-ru¥©-ra gùn / mu­mu / ma-lik-tum / al° kaskal / nu túg-ZI:ZI / a-ti-ma / mu-DU / é / ¼KU-ra; ARET XI 3 r. III:7 - IV:1: wa / mu-ti / túg-SÙ ú-ðáb / wa / du-ru¥©-rúm gùn / wa / KA-dù-gíd kù-sig¥± / in / má-ra-šim. Questo particolare accessorio è una componente assai importante dell’abbigliamento femminile eblaita, la cui assunzione aveva il valore di una sorta di “investitura”, che sanciva un avvenuto cambiamento di stato. 308 Sulla base dei contesti è possibile supporre che solo le donne sposate e le dee paredre di un dio lo indossassero. 309 Accanto a du-ru¥©-ru¥©, l’altro elemento fondamentale dell’ornatus della sposa eblaita offerto alla statua della paredra di ¼ƒa®-da-bal è il PAD-túg, interpretabile come “velo”, come assicura il suo equivalente semitico gú-du-mu, 310 spiegabile tramite l’acc. kutummu, termine che a Mari è impiegato per indicare appunto il velo che copre la sposa. 311 Nella celebrazione del matrimonio regio, il “velo” (PAD-túg) viene sistemato sul volto della regina a cura della dam di NE-na-áš¾, che si occupa della relizzazione delle vesti cerimoniali e funge da “guardarobiera” (mu-a-bí-iš-tum, dal sem. *lbš, “indossare un vestito”): 312 308 Pasquali 1997b, pp. 227ss. Questa ipotesi viene negata da Archi 2002a, p. 189 per il fatto che l’indumento in questione “is given to people of different age, and even to a dead individual”, Diversamente da quanto pensa Archi, si può invece osservare, che il fatto che esso venga assegnato oltre che per il matrimonio anche per la cerimonia funebre di una dama della corte è la riprova di quanto da noi sostenuto, perché appunto, come esposto sopra, matrimonio e morte erano avvertite dagli antichi come due “fasi di passaggio” esattamente equivalenti nella vita di una donna. 309 Pasquali 1998. 310 Individuato da Fronzaroli 1993, p. 46. 311 Durand 1988, p. 103; Michel 1997. 312 Fronzaroli 1993, p. 46. Capitolo I 66 ARET XI 1 v. IX:4-23: wa-a / ti-ig-da-ra-ab / dam / mu-a-bí-iš-tum / wa-a / PAD / ma-lik-tum / ba-na-sa / ‹šu›-sa / wa-a / du-a-ba-áš / gú-du-mu / ma-lik-tum / 7 / dam / NE-na-áš¾ / en / ù / ma-lik-tum / tuš; ARET XI 2 v. VIII:3-20: wa-a / al°-BAD / dam / [mu]-‹a›-[bí-iš-tum] / wa-a / wa-a / ‹du›-a-ba-áš / PAD-túg / ma-lik-tum / ‹7› / ap / sag / ‹šu›-‹šu›/ [ma-lik-tum] / [PAD-tú]g / [e]n / w‹a› / ma-lik-tum / al°-tuš. Anche nell’antica Grecia l’abbigliamento della sposa era costituito da due elementi principali del tutto simili a quelli eblaiti: il pûploj o “velo lungo” più pesante, a cui si aggiungeva il krødemnon o “velo corto” più leggero, 313 come testimoniato iconograficamente, ad esempio, dalla statua cultuale di Hera a Samo. 314 313 Marinatos 1967, pp A42 ss.; Arrigoni 1983, p. 55; Armstrong - Ratchford 1985, pp. 1ss. 314 Kardara 1960, pp. 350ss., che presta particolare attenzione agli influssi orientali presenti nell’iconografia samia. CAPITOLO II IL LESSICO DEI MATERIALI nab-ðu, (varr. nanabµ-ðu, na-ba-ðu), “cristallo di rocca”. [1] ARET III 484 I:2'-4': 2 gada-túg kir-na-nu tur / 3 gu nab-ðu ŠÈ-li / [x]-‹x› [...; [2] ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. V:20 - VI:7: 1 gada-túg mu­mu / 2 kir-na-nu / 2 gu nab-ðu / mu-túm / DU-lu¾ / ma-lik-tum / in / ƒà-da-NI¾ ; [3] ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. VI:8 - VII:11: 2 ma-na ša-pi kù-sig¥± / 21 mana urudu / 1 izi-gar / 11 ma-na TAR urudu / 2 giš-šu­ 1 níg-bànda / 4 giš-šu­ 4 an-zamµ nab-ðu / 5 zú AN.LAGAB×ÐAL / 4 gu nab-ðu / 20 gu si­ / 8 mi<at> 50 gu // ŠÈ-li / 3 kir-na-nu gíd / 12 kir-na-nu lugud-da / 40 lá-2 kir-nanu tur / 26? gada-túg mað / 16 gada-túg tur ðul / 14 si am / mu-túm / du-gúra-su¾ / in / a-ru¥©-ga-du¾ ; [4] TM.75.G.1556 v. VIII:2-9: 1 3 gada-túg / 1 gu si­* / 1 gu nab-‹ðu*› / 20 gu ŠÈ-li / mu-túm / du-gú-ra-su¾ / ama-gal / en; [5] TM.75.G.2341 v. VI:9-11: 2 3 gu si­ 3 gu sig¥±* 1 gu nab-ðu / mu-túm / ‹ar›ra-ti-lu / en; [6] TM.75.G.2360 v. VI:4-7: 3 20 gu ŠÈ-li 5 gu nab-ðu ŠÈ-li 2 gu zaµ babbar ; [7] TM.75.G.10026 r. VI:3-6: 4 ‹2› gu-gu / nanabµ-ðu gišir-zú / mu-túm / DU-lu¾ ; [8] TM.75.G.10026 r. VII:7 - VIII:4: 5 6 gu-gu nanabµ-ðu / gišir-zú / 5 gu-gu si­-si­ ðul 30 gu-gu si­-si­ sa° / 4 mu-túm / DU-lu¾ ; 1 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 119. Integrazioni sulla base dei passi paralleli. Citato da Archi 1988b. 3 Citato da Archi 2002a, p. 199. 4 Citato da Archi 1988b. 5 Citato da Archi 1988b. 2 Capitolo II 68 [9] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] [18] [19] [20] [21] [22] TM.75.G.1284 r. III:1-2: 6 6 al°-la-nu si­ / 12 al°-la-nu nab-ðu; TM.75.G.1284 r. VII:1-3:7 2 al°-la-nu nab-ðu / wa / 1 al°-la-nu wa-ra-ga-tum; TM.75.G.2071 r. VI:4-5: 8 16 al°-la-nu nab-ðu / 9 al°-la-nu si­; TM.75.G.2071 v. II:3-5: 9 3 al°-la-nu gìn-gìn / 6 al°-la-nu nab-ðu / 4 al°-la-nu si­; TM.75.G.2078 r II:2-4: 10 8 al°-la-nu kù-sig¥± / 3 al°-la-nu nab-ðu / 2 al°-la-nu si­; TM.75.G.10202 r. XIX:34-36: 11 šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± 1 dib nab-ðu; ARET XII 707 I':1'-3': ...] 1? an-‹zamµ› nab-ðu / 15 kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 ma-ðani-gúm 1 an-zamµ gi° [...; ARET XII 1120 v. IV':1'5': ...] ‹2›? [an-za]mµ nab-ðu / 1 ma-na šušanaµ kùsig¥± 4 / 1 dib / 2 ma-na TAR-7 kù-sig¥± 4 / 1 ‹íb›-lá [...; ARET XII 1389 I':1'-4': 8 kù-s[ig¥±] ‹4› / 1 zi-bar nab-ðu / 3 kù-sig¥± 4 / nu¥¥-za [...; MEE 12 3 r. X:8-17: 3 gada-túg kir-na-nu / 2 si am / 1 giš-šu­ nab-ðu / 3 anzamµ si / mu-túm / a-ƒà-w[a] / du-gú-ra-su¾ / in / ƒà-da-NI¾ / lú ¼AMA-ra ; MEE 2 16 r. V:2 - v. III:4: 30 ma-na kù:babbar / 1 ma-na kù-sig¥± / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / bù-ga-na-a / 1 gír / [n]a-ba-ðu / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 5 gín DILMUN gugµ za:gín / 1 ƒà-da-um-túg 1 íb-iii-túg 1 íb-i-[...] / níg-ba / en-na-da-gan / du-bí-šum ur­ / i-péš-zi-nu / sá-gu-si / 1 šu-mu-taka­ / ìr-ra-ku¾; TM.75.G.1464 v. I:3-4: 12 10 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ 1 ma-na 7 gín DILMUN nab-ðu; TM.75.G.1862 v. VI:6-10: 13 1 gu-dùl-túg kab-lu®-ul¾ du ga-ne-iš¾ níg-sa¥¤ na nabµ-ðu; TM.75.G.2410 v. I:6-12: 14 20 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ nanabµ-ðu kablu®-ul¾ šu-mu-taka­ NI-x[...] ga-n[e]-iš¾. La grafia eblaita nab-ðu, di cui sono note anche le varianti nanabµ-ðu, naba-ðu, è già stata spiegata da E. Sollberger tramite l’accadico napðum, “splendente, lucente”, 15 dal sem. *npð, radice di ampia attestazione, derivante da una base bilittera *np, variamente ampliata, il cui significato primario in tutte le lingue che l’attestano è quello di “soffiare”. 16 Questo 6 Citato da Archi 2003, p. 31. Citato da Archi 2003, p. 31. 8 Citato da Archi 2003, p. 30. 9 Citato da Archi 2003, p. 30. 10 Citato da Archi 2003, p. 31. 11 Citato da Archi 2003, p. 33. 12 Citato da Archi 2003, p. 33. 13 Citato da Archi 1989, p. 12. 14 Citato da Archi 1989, p. 12. 15 Sollberger 1986, p. 63. Questa interpretazione è stata accettata anche da Archi 1988b; Pettinato 1996, p. 160. 16 Conti 1978, pp. 94 ss.; CDG, p. 388. 7 Il lessico dei materiali 69 significato si ritrova nella lista lessicale bilingue eblaita in VE 229, KA.A.SI = na-ba-ðu(-um) (fonti C e D), ma-ba-ðu-um (fonti A e B), rispettivamente nap…ðum, “soffiare”, e mappaðum, “mantice”. 17 La radice, quando applicata, ad esempio, al fuoco e agli astri, presenta anche il significato secondario di “accendere; attizzare”, e quindi “ardere”, “splendere”, “brillare”. 18 Come tale, nelle liste lessicali mesopotamiche è equivalente al sumerico mul ed è sinonimo dell’accadico nab…ýu (CAD, N/1, pp. 263 ss.). Nei testi amministrativi eblaiti disponibili, il termine qualifica gu, “filo (di lino)”, in [1-8], al°-la-nu, “(perle a forma di) ghianda”, in [9-13], un dib, “placchetta”, in [14], i vasi an-zamµ, giš-šu­ e zi-bar in [3, 15, 16, 17, 18], ed un pugnale (gír) in [19]. Il pregio degli oggetti è indicato dal loro inserimento in apporti (mu-túm) in favore della casa reale eblaita da parte per lo più dei regni di DU-lu¾ e du-gú-ra-su¾, apporti che in [2, 3, 18] hanno luogo esplicitamente nelle località di ƒà-da-NI¾ e a-ru¥©-ga-du¾, sede di importanti santuari, rispettivamente della coppia infera, formata da ¼ra-sa-ab e ¼a-dam-ma, e del dio ƒa®-da-bal e della sua paredra. In questi contesti i gu sembrano potersi interpretare come i “fili (di lino)” in cui venivano infilate determinate pietre preziose e che probabilmente ne costituivano anche l’unità di misura oppure erano utilizzati come elementi decorativi delle vesti. 19 Troviamo, infatti, gu qualificati come si­(si­), “corniola rossa”, e za:gìn, “lapislazuli”, termini che con certezza indicano pietre dure semipreziose. 20 La stessa osservazione è valida per al°-lanu e dib, oggetti sovente realizzati oltre che in metallo prezioso e altri materiali, anche in pietra dura. In ragione di ciò, anche il termine espresso dalle grafie nab-ðu, nanabµ-ðu e na-ba-ðu deve analogamente interpretarsi non come un semplice aggettivo, 21 ma piuttosto come il nome di una pietra dura semipreziosa: la “(pietra) splendente”. 22 Ciò non è in contraddizione 17 Fronzaroli 1984, p. 147; Conti 1990, pp. 102-103, con bibliografia precedente. Con tale significato la radice è attestata nell’onomastica eblaita (Mangiarotti 1997, pp. 161 e 201). 19 Per l’uso dal III millennio in avanti di decorare i tessuti con fili di perle in pietra dura, si veda, ad esempio, Petzel 1987, pp. 32 ss. 20 Pasquali 2002c. 21 Come intendono gli editori. Sulla base dei contesti è da escludere anche il confronto con l’accadico nabiðu e la traduzione “mit Ornamenten (verziert)” recentemente proposta da Waetzoldt 2001, p. 64. 22 Pasquali 2002d. L’ipotesi che questo termine eblaita indicasse una pietra dura semipreziosa trova ora conferma nei numerosi esempi di passi inediti citati da Archi 2003, pp. 30 ss., con traduzione “vetro”, a nostro avviso meno probabile in base ai contesti ed alla provenienza anatolica del bene. 18 Capitolo II 70 con i casi in cui la parola qualifica i vasi an-zamµ, giš-šu­ e zi-bar o il pugnale (gír). Si può supporre che questa pietra dura fosse il materiale in cui l’oggetto era realizzato o con cui era decorato. In [18], infatti, ad 1 giš-šu­ nab-ðu si oppongono 3 an-zamµ si, vale a dire in “avorio” o “corno”. 23 Questi contenitori, quindi, più frequentemente realizzati in metallo o legno, potevano essere fatti anche in altro materiale. La stessa osservazione risulta parimenti valida per i pugnali (gír), che almeno in un caso nella documentazione nota, sembrano essere anch’essi provvisti ad esempio di parti in “avorio” o “corno” (si-si). 24 Questa interpretazione del termine eblaita come nome di una pietra dura semipreziosa è ulteriormente avvalorata e precisata dalla lettura na nabµ-ðu per i passi [21] e [22]. 25 In questi contesti, il termine risulta, infatti, indicare un bene non contato, oggetto di un “acquisto” (níg-sa¥¤). Più precisamente, in [21] viene assegnata una stoffa ad una persona di kab-lu®ul¾, recatasi appositamente a ga-ne-iš¾ per acquistare una quantità non determinata di nanabµ-ðu, mentre in [22] 20 sicli d’argento sono il prezzo del nanabµ-ðu, portato ad Ebla da ga-ne-iš¾ sempre tramite un uomo di kablu®-ul¾. 26 È allora possibile ritenere che le zone montuose limitrofe alla città anatolica di ga-ne-iš¾ fossero quelle di origene e di smistamento di questo bene, 27 verosimilmente una pietra semipreziosa, che veniva appunto utilizzata per realizzare o decorare vasi e pugnali e che probabilmente veniva commercializzata raccolta in “fili” (gu). È possibile, data l’origene e la denominazione, identificare questo minerale con il “cristallo di rocca”, 23 La traduzione “3 Gefässe mit 'Horn'” proposta da Waetzoldt 2001, p. 42, appare a nostro avviso poco probabile (si vedano del resto i dubbi espressi dallo stesso autore a p. 65). Vasi an-zamµ si ricorrono anche in ARET XII 1160 r. I':2'-5': [x g]ada-túg kir-na-nu tur / 1 íb-iii-túg 1 šu-kešda / 1 dib na­ 3 an-zamµ si / DU-lu¾; MEE 12 3 r. XI:8 - v. I:7: 21 gadatúg mu­mu / 5 gada-túg kir-na-nu / 1 íb-túg 1 šu-kešda gada-túg / 10 lá-3 ma-na urudu / 1 izigar / 3 ma-na urudu / 1 níg-bànda 1 giš-šu­ / 1 ðar-ra na­ / 2 an-zamµ si / 7 zú LAGAB×A / 1 KA-ma / 5 gu si­ / 5 gu wa-ru¥©-ga-tum / mu-túm / en / DU-lu¾; MEE 12 36 r. I:29 - II:5: šušanaµ-5 gín DILMUN / kù:babbar / šu-bal-aka / 5 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 anzamµ si / ar-mi¾ / en. 24 In MEE 7 34 r. XVIII:7-11: 1 ma-na nagga / kin®-aka / ‹x› mi-at gír mar-tu zabar / ‹x› ma-na ‹x› gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ / si-si-SÙ. 25 Pasquali, 2002d. Precedentemente Archi 1989, p. 12, citando il passo, leggeva NA.MUL-MUŠEN e traduceva “some birds” (p. 13). 26 Il bene è oggetto di acquisto anche nel passo [20]. Trattandosi della citazione di un testo ancora inedito, allo stato attuale non è dato sapere se vi sia indicato il luogo di acquisto della pietra. 27 Pettinato 1978, pp. 51 s., identifica il toponimo in questione con Kaniš, mentre Archi 1989, p. 14, suggerisce una collocazione più meridionale al confine tra Turchia e Siria. Il lessico dei materiali 71 rinvenuto negli scavi eblaiti tra i materiali utilizzati per realizzare perle. 28 Sono stati rilevati, fino dal III millennio a.C., anche archeologicamente, un ampio uso e diffusione del cristallo di rocca presso le popolazioni anatoliche, che potevano facilmente reperire questa pietra nelle catene montuose di cui è ricco tutto il paese ed anche esportarla, grezza o già lavorata in raffinati manufatti, verso la Siria-Palestina e la Mesopotamia. In Anatolia il cristallo di rocca veniva usato per realizzare, oltre a piccole sculture, soprattutto vasi, parti accessorie di pugnali, ma anche grani di collana ed elementi decorativi per vesti, ed era spesso associato alla corniola ed al lapislazuli. 29 Si tratta con evidenza degli stessi oggetti di cui parlano i sopra citati testi eblaiti. I manufatti artistici in cristallo di rocca erano riservati spesso ai corredi funebri di personaggi d’alto rango dato il forte valore talismanico, connesso alla simbologia del potere, di cui la pietra godeva in ragione della sua limpidezza e del suo splendore. 30 na-mur-ra-tim, “pietra calcarea o alabastrina”. [1] MEE 7 29 v. V:8-13: TAR kù:babbar / šu-bal-aka / ‹6 gín DILMUN› kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 bur-KAK / na-m[ur]-ra-tim / ib-rí-um. Il termine è finora attestato nella documentazione amministrativa eblaita come hapax in [1], dove qualifica una “ciotola” (bur-KAK), per la cui “decorazione” (nu¥¥-za) vengono assegnati 6 sicli d’oro (risultanti da uno scambio con 30 sicli d’argento, secondo una prassi ben consolidata ad Ebla). Si tratta di un arredo importante e prezioso destinato al ministro ibrí-um. La grafia, inscritta in una casella separata, indica un genitivo, che può considerarsi come un complemento di materia. Ciò invita a non trascurare l’ipotesi che il termine si identifichi con il nome di una pietra con cui il vaso era realizzato. 31 In conformità con il semantismo del sem. *nmr, “essere chiaro, luminoso, splendente”, a cui la parola eblaita può essere ricondotta, si suppone una pietra bianca e luminosa. L’oggetto ricorda, in ef28 Pinnock 1993, p. 14. Per lo status quaestionis, Rova 1987, pp. 109-143. I giacimenti di cristallo di rocca in Asia Minore sono ricordati ancora da Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXXVII, 23: nascitur et in Asia, vilissima circa Alabanda et Orthosiam finitimisque), che tuttavia li reputa inferiori per qualità ai giacimenti indiani. 30 Al cristallo di rocca era attribuito particolare pregio anche a Mari, per cui Michel 1992, pp. 127-136, con bibliografia. 31 Diversamente D’Agostino 1996, pp. 140 e 147, L’editore considera il termine come un aggettivo e traduce pertanto “1 vaso-B. sple[nd]ente”. 29 Capitolo II 72 fetti, le coppe e i coperchi di coppe in pietra calcarea bianca ed in calcare alabastrino traslucido finemente scolpiti, rinvenuti negli scavi di Ebla e risalenti all’età degli archivi. 32 In accadico, forme verbali ed aggettivali derivanti da *nmr sono utilizzate spesso per definire la lucentezza delle pietre, 33 in particolar modo dell’alabastro (gišnugallu). 34 Esiste, inoltre, in accadico il termine namr¢tu, che si riferisce ad una pietra calcarea bianca. 35 E proprio una pietra calcarea o alabastrina bianca potrebbe essere indicata dalla rara grafia eblaita na-mur-ra-tim. Questo materiale ben si adatterebbe alla realizzazione di un recipiente di lusso. Né può essere a nostro avviso trascurato il riferimento con la grafia na­ na-mur-ra-tum presente nel testo mitologico ARET V 4 (5) e recentemente interpretata come /namurr-atum/, “grêle risplendissante”. 36 Nel passo amministrativo [1], quindi, /namurr-at-im/ (con na­ sottinteso) avrà indicato verosimilmente la varietà di pietra con cui la ciotola era realizzata. ra-ƒà-tum, “(un materiale ricavato da un animale acquatico)”. 37 [1] [2] [3] [4] [5] ARET I 16 (= MEE 2 8) (28): 1 gu-mug-‹túg› 1 ‹sal›-[túg] // 1 íb-iii-túg gùn / bù-da-NI / ì-mar¾ / šu-mu-taka­ / ra-ƒà-tum; ARET VII 16 (25): 1 aktum-túg 4 ra-ƒà-tum / šu-mu-taka­ / TAR kù:babbar / sá-ba / u® / du-ub¾ / bí-zi-ma-lik / lú ig-na-da-mu / UL.KI / šu-ba­-ti; ARET VII 11 (12): 1 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ / 30 lá2 na­ siki sa° / 1 lá-6 mi-at ra-ƒà-tum / 10 ba / áš-ti i-ku-a-ða / maškim:e<gi­> / ábba; ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. IV:13 - V:4: 1 dùl-túg ma-rí¾ 1 ƒà-da-um-túgi 1 aktum-túg 1 níg-lá-gaba 1 níg-lá-sag // 10 ra-ƒà-tum / 30 ba / mu-túm / NI-zi / na-gàr¾ ; ARET VII 16 (= MEE 2 43) (2): 10 lá-1 ra-ƒà-tum / 17 gín DILMUN zaµ si­si­ / 2 mi-at gišád(-)i-um / i-ti-il / šeš il-iš-ƒà-daš / šu-mu-taka­ / il-iš-ƒà-daš; 32 Pinnock 1981, pp. 61-75; Dolce 1995, pp. 1-10. Nella documentazione ittita, è addirittura nota una pietra na­ZALAG, di non ovvia identificazione, ma comunque interpretata come “pietra splendente”, sulla base dell’equivalenza ZALAG = namru in Ðð XVI (ultimamente Polvani 1988, pp. 177-178). 34 CAD, G, pp. 104 ss.; N/1, pp. 212 2' c), 213 2, 241 2'. 35 CAD, N/1, p. 244. Con questo termine si indicava un calcare impiegato nella produzione del vetro e talvolta ottenuto “calcinating corals”, secondo Oppenheim 1970, pp. 42 e 79. 36 Fronzaroli 1997b, pp. 283 ss. L’accostamento è già in D’Agostino 1996, p. 147, per il quale, tuttavia, “stupisce, ovviamente, la presenza di un termine letterario in un contesto economico”. 37 Pasquali 2003a. 33 Il lessico dei materiali 73 [6] MEE 12 35 v. VII:13-16: 14 kù:babbar / 44 ra-ƒà-tum / 8 kù:babbar / 60 lá-2 ba-ba; [7] TM.75.G.2072 v. II:13 - III:2: 38 27 ma-na gìn-gìn / 70 ra-ƒà-tum / 15 ba / 2 níg-anše-aka / mu-túm / [iš-má-NI] // u® / du-du-lu¾; [8] TM.75.G.10236 v. II:6-14: 39 1 ƒà-da-um-túg-ii 3 aktum-túg 2 níg-lá-gaba 2 níg-lá-sag 2 íb-iv-túg ú-ðáb sa / ‹20› lá-3 ma-na ša-pi gìn-gìn / 30 lá-‹3› raƒà-t[um] / 30 gír sal / 1 mi-at ba-ba / mu-túm / lugal / ma-rí¾ / en; [9] TM.75.G.10144 r. V:15-21: 40 11 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ 11 ra-ƒàtum 10 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ LAGAB×UD-LAGAB×UD kin®aka giš-šilig sagi; [10] TM.75.G.1556 r. II:1-8: 41 šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 an-zamµ lú ra-ƒà-tum / wa / 1 pad-SÙ / 15 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 ma-daa*-um lú ra-ƒà-tum / wa / 1 pad-SÙ; [11] TM.75.G.2341 v. IV:4 - V:5: 42 TAR kù-sig¥± / 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun / 1 ma-ða-ne-gúm ra-ƒà-tum kù-sig¥± / 1 gír mar-tu kù-sig¥± / 2 gu-zi-túg 3 ƒà-daum-túg-ii 5 aktum-túg 5 íb-iv-túg sa° gùn / níg-ba / en / en / [NI-ra-ar¾] / ìna-sum / in u­ / šu-ba­-ti / íl-wu-um¾; [12] MEE 10 29 r. III:25 - IV:28: 2 ma-na TAR kù:babbar / šu-bal-aka / TAR kùsig¥± / nu¥¥-za 2 giš-GAM.GAM / 1 giš-gígir-ii / 5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 ‹zà› / [...] / [...] (/ [...]) // 3 zúzú-ba-tum / 6 gín DILMUN nagga / ŠUB si-in / ša-pi a-gar® / 1 giš-zú / lulgu-aka / 1 giš-gígir-ii ra-ƒà-tum / wa / si­-si­ / wa / 5 ma-na 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na 10 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 níg-anše-aka 4 kù-sal / 1 giš-gígir-iv / en / lul-gu-aka / 2 níg-anše-aka 4 kù-sal / lú in-nasum / ¼ƒà-da / áš-ti / 1 giš-gígir-ii ra-ƒà-tum si­ / 4 ma-na kù:babbar / 8 gín DILMUN nagga / ŠUB si-in / 52 a-gar®-gar® / 2 tùn tur šušanaµ-2 DUB.NAGAR 10 10 / níg-ba / [en?] / [¼?...]; [13] MEE 12 35 v. IX:30-36: 50 kù:babbar / šu-bala-aka / 10 kù-sig¥± / ni-zi-mu / nu¥¥-za 2 giš-GAM / 1 giš-gígir-ii / ra-ƒà-tum / i-bí-zi-kir ; [14] TM.75.G.1464 r. IX:15 - X:1: 43 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bala-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / nu¥¥-za 2 giš-ban / giš-gígir-ii lú ra-ƒàtum / ša-ti / en; [15] TM.75.G.1542 r. I:1 - III:3: 44 1 giš-gígir-ii / ša-ti / 2 giš-GAM-SÙ kù-sig¥± / wa / ra-ƒà-tum si­ / 2 níg-anše-aka 4 kù-sal / [...] kù-sig¥± / 4 zi-kir-ra-tum / wa / giš-bar-uš / 1 gír mar-tu kù-sig¥± / 1 íb-iii-túg sa° gùn / en / sikil / ¼ƒà-da / lú ða-labµ¾; 38 Citato da Archi 1990, p. 205. Citato da Archi 1999, p. 151. 40 Citato da Archi 1999, pp. 154-155. 41 Citato da Waetzoldt 1990, p. 15, n. 87; Pettinato - D’Agostino 1996, p. 152. 42 Citato da de Urioste Sánchez 1996. 43 Citato da Mander 1990, p. 165. 44 Citato da Mandet 1990, p. 165. 39 Capitolo II 74 [16] TM.75.G.2278 r. I - II: 45 1 túg-gùn 1 ƒà-da-um-túg-i 1 ƒà-da-um-túg-ii 1 aktum-túg 2 íb-ii-túg sag 1 dib 2 ma-na 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun 1 ma-na 30 kù-sig¥± 1 gír mar-tu kù-sig¥± 4 KA-si ti³-mušen kù-sig¥± 1 giš-gígir-ii 2 giš-GAM.GAM kù-sig¥± ra-ƒà-tum lú en níg-ba i-bí-zi-kir lú nídba í-giš marí¾ 1 ƒà-da-um-túg-i a-mu-rúm dumu-nita lugal ma-rí¾. La grafia ra-ƒà-tum nota nei testi amministrativi eblaiti è stata generalmente posta in relazione con le glosse della lista lessicale bilingue VE 516, šu-šà = la-ƒà-tum (fonti A, B; D senza traduzione), “pugno; impugnatura”, e VE 517, šu-sal = gi-bí-la-ti la-‹ƒà›-[tum] (fonte A), gi-bí-la-du raƒà-tum (fonte q), ra-ƒà-‹tum› (fonte D), “parte mediana della mano”, 46 e tradotta pertanto come “manico”, “ansa”, “manubrio”, a seconda degli oggetti, per lo più carri o vasi, con cui la parola si trova associata. 47 Questa interpretazione, che a nostro avviso può ritenersi valida per spiegare il termine omografo ra-ƒà-tum (e la sua variante ra-ƒà-at), “impugnatura”, in contesti di gír, “pugnali”, non risulta, invece, soddisfacente per tutta una serie dei passi amministrativi [1-15], che verranno qui di seguito analizzati. Trova, pertanto, conferma l’ipotesi avanzata già a suo tempo da G. Pettinato, 48 che notava la possibilità che ra-ƒà-tum non avesse nei testi eblaiti un valore univoco. In [1-9], infatti, ra-ƒà-tum è innanzitutto oggetto di “consegna” (šu-mutaka­), di “acquisto” (níg-sa¥¤), verosimilmente presso “fiere” (KI:LAM±), 49 o di “apporto” (mu-túm). Si noterà che, in questi casi, il bene è sempre con45 Citato da Archi 1985a, p. 76 [84]. Per queste glosse, Conti 1990, p. 145, con bibliografia precedente. 47 Si vedano Waetzoldt 1990, p. 15, che considera uniformemente ra-ƒà-tum come designazione del manubrio dei carri, dell’ansa dei vasi e del manico dei pugnali, ma anche di un oggetto autonomo; Mander 1990, p. 137, che traduce giš-gígir-ii ra-ƒà-tum “chariot-2 (of) ra’atum-type??”, accogliendo (p. 165) il suggerimento di Waetzoldt (“Handgriff ?? [vgl. AHw 990 rittu B1 Handgriff]”) e confrontando indistintamente il lemma con VE 516, 517 e 746; anche Archi 2003, p. 33, parla di “the “handles”, ra-ƒà-tum, of the king’s chariots”. Diversamente Conti 1997, p. 62, pur mantenendo come ipotesi la possibilità di un confronto con VE 516, parla piuttosto di “decorazione o accessorio” di oggetti; Pomponio - Xella 1997, p. 36, interpretano 1 giš-gígir-ii ra-ƒà-tum si­ come “1 char à deux roues décoré et coloré”. Non traduce Waetzoldt 2001, p. 389. 48 Pettinato 1980, p. 81 (ipotesi ora riproposta da Waetzoldt 2001, p. 389). Risulta, tuttavia, improbabile che si tratti di “Vasi-R.”, con confronto con l’egiziano rhd.t > raðta, un paiolo di metallo. Parimenti improbabile la traduzione “fiocchi” fornita da Pettinato 1996, p. 159. 49 Nella sezione che precede il passo [6] in MEE 12 35, si citano, infatti, transazioni avvenute esplicitamente presso KI:LAM±, “fiere”. 46 Il lessico dei materiali 75 tato, ad eccezione che in [1]. La quantità può, comunque, variare da poche unità a molte decine. Il bene veniva commercializzato più raramente assieme a tessuti di vario pregio e lana, elementi della bardatura e sostanze aromatiche, più spesso assieme a pietre dure semipreziose, quali il lapislazuli (gìn-gìn) in [7, 8] e la corniola rossa (zaµ si­-si­) in [5], ma l’associazione privilegiata di ra-ƒà-tum risulta essere sicuramente con ba(-ba), “(gusci di) tartaruga”, 50 presente in [3, 4, 6, 7, 8]. In [9], 11 ra-ƒà-tum vengono acquistati assieme ad una quantità non precisata di un bene altrettanto enigmatico, indicato dalla grafia LAGAB×UD-LAGAB×UD. In proposito, si può osservare che un sumerogramma u-mu-naLAGAB×UD è noto nelle liste lessicali mesopotamiche come equivalente dell’accadico alapû, 51 citato in sequenza con u-mu-unLAGAB×U+A = ðammu. 52 Questi termini indicano delle “piante acquatiche”. Come nel caso di ba(-ba), “(gusci di) tartaruga”, i testi sembrano sempre fare riferimento, quindi, a beni provenienti dal mare (o da fiumi). 53 In [9], inoltre, il testo ci informa circa la motivazione dell’acquisto: si tratta, infatti, di materiali da utilizzarsi per la realizzazione (kin®-aka) di uno “sgabello, gueridon” (giš-šilig) per il coppiere (sagi) di corte. L’uso del ra-ƒà-tum ad opera degli artigiani eblaiti risulta ulteriormente specificato dai passi [10-16]. Il materiale decora, infatti, una coppia di contenitori in [10], mentre in [11] è impiegato assieme all’oro per un ma-ða-ne-gúm (si veda s.v.). L’impiego principale di ra-ƒà-tum ad Ebla, come si deduce da [12-16], risulta essere, tuttavia, la decorazione dei carri, in ripetuta associazione con si­(-si­), “corniola rossa”, ed in caso con l’oro. Il fatto che ra-ƒà-tum sia associato all’oro e soprattutto, ancora una volta, ad una pietra dura semipreziosa e che anche in questi casi non venga di norma contato, suggerisce che ad essere indicato è un materiale, e non il manubrio dei carri. Che ra-ƒà-tum, kù-sig¥± e si­(-si­) vadano considerati come i materiali usati nell’ornamentazione dei carri è ribadito dall’uso della congiunzione wa che unifica i termini in [12, 15]. 50 Per le attestazioni di questo animale nelle fonti cuneiformi del III millennio, si vedano, ad esempio, Bauer 1972, p. 377; Farber 1974, pp. 195-207. 51 AHW, p. 35; CAD, A, p. 336. 52 CAD, Ð, p. 69. 53 In [8] assieme a ra-ƒà-tum e ba-ba troviamo elencati anche 30 gír sal. Sebbene 4 gír sal ricorrano, in MEE 12 37 v. XVIII:8, in un contesto di assegnazioni di metalli, che pare assicurare almeno in quel caso un’interpretazione del termine come una tipologia di pugnale, ci chiediamo se in [8] la grafia non vada piuttosto considerata come variante di (ba-)gír-LAGAB(-ku°), che nei testi mesopotamici indica un tipo di tartaruga, per cui Farber 1974, pp.198 ss. Capitolo II 76 Pertanto, l’insieme di questi contesti, da cui si ricava che ra-ƒà-tum è un materiale, spesso in relazione con ba(-ba), “(gusci di) tartaruga”, e altri prodotti del mare, suggerisce, a nostro avviso, un confronto della grafia con la glossa di VE 746, LAK-225! = la-ƒà-tum (fonti A, B), [l]a-tum (fonte C), ra-ƒà-du (fonte D). L’identificazione del termine sumerico 54 con LAK-225 si deve ad A. Archi. 55 L’equivalenza non risulta finora interpretata, 56 ma appare chiaro che si tratta di un animale acquatico, come si ricava dal contesto grafico di LAK-223/226. Ciò orienta ulteriormente la comprensione dei passi dei testi amministrativi eblaiti sopra citati, dove è verosimile che ra-ƒà-tum indicasse un animale acquatico, al momento non identificabile, dalla cui conchiglia o da una cui parte anatomica o secrezione si otteneva un materiale utilizzabile per la realizzazione o decorazione di oggetti di pregio. È noto del resto l’uso, fin dalle epoche più antiche, nel Vicino Oriente di conchiglie, madreperla e ossi di pesci, assieme alle pietre dure semipreziose ed all’avorio, nella gioielleria e nei lavori artigianali in genere, quali ad esempio gli intarsi in legno e la decorazione di vasi, strumenti musicali e carri, sia per l’alto valore estetico, sia per le proprietà talismaniche attribuite a questi materiali. 57 Questa tradizione risulta ora documentabile anche ad Ebla. sùr-ba-núm, “(argento) raffinato”. [1] MEE 10 23 v. II:5-9: TAR-5 gín DILMUN kù:babbar / 2 ða-bù / 7 ma-na kù:babbar / sùr-ba-núm / bur-NI / ¼ra-sa-ab / ƒà-da-NI¾. Il termine sùr-ba-núm, che in [1] qualifica 7 mine d’argento necessarie alla realizzazione di una “ciotola” (bur-NI) da destinarsi al santuario del dio infero ¼ra-sa-ab in ƒà-da-NI¾, è un hapax nella documentazione amministrativa eblaita disponibile, che, a nostro avviso, 58 può essere posto in relazione con le grafie sùr-bù-um, sùr-bí-im e sùr-ba-am° presenti in un testo di cancelleria (ARET XIII 1). Queste grafie, rispetto alle quali il termine amministrativo risulta ampliato tramite il suffisso -…n, sono state recentemente interpretate come “argento raffinato”, 59 sulla base di un con54 Descritto come ZUGUD×TIL da Pettinato 1981, p. 190. 1987c, p. 100. 56 Conti 1990, p. 186. 57 Si vedano, ad esempio, Aynard 1966, pp. 21-37; Neufeld 1973, pp. 309-324; Moorey 1994, pp. 129-140; Spycket 1996, pp. 141-147. 58 Pasquali 2003b. 59 Fronzaroli 2003b, p. 296. 55 Archi Il lessico dei materiali 77 fronto con l’accadico ñarpu (anche ñurpu nell’accadico di Qatna, Ugarit ed Alalað), di significato affine, 60 da ñar…pum, un verbo tecnico indicante il processo di raffinazione dell’argento in particolare, ma talvolta anche dell’oro, del bronzo e in seguito del ferro. Il sem. *ñrp, “fondere, raffinare”, indica, infatti, l’effetto di purificazione e raffinazione prodotto dalla fusione sui metalli, atto a migliorarne la qualità. 61 Non è un caso, quindi, che nel passo amministrativo [1], questo tipo di argento venga utilizzato per un importante lavoro di artigianato, un vaso da offrire ad una divinità. In tal senso, si confronteranno, ad esempio, a Mari gli inventari amministrativi ARMT 24 103, v. 8'-9': 1 ka-an-nu ša ši-in-ni / [1 ka]-an-nu ša ñíir-pí, dove ad un contenitore kannum in avorio, se ne contrappone uno in metallo prezioso raffinato, ARMT 21 222, 19-20: 1 zu-ur-šum ša ñí-ir-pí-im / 2 ma-ka-la-tum ša ñí-ir-pí-im, che registra l’assegnazione di due vasi entrambi in metallo raffinato; 62 ed ancora HSS 14 589: 9 k…s…tu ša kù-babbar ña-ar-bi, in cui si elencano 9 coppe in argento raffinato. wa-ru¥©-ga-tum, (varr. wa-ru¥©-ga-na-tum, wa-ra-ga-tum), “pietra verde”. MEE 12 3 r. XI:8 - v. I:7: 21 gada-túg mu­mu / 5 gada-túg kir-na-nu / 1 íb-túg 1 šu-kešda gada-túg / 10 lá-3 ma-na urudu / 1 izi-gar / 3 ma-na urudu / 1 nígbànda 1 giš-šu­ / 1 ðar-ra na­ / 2 an-zamµ si / 7 zú LAGAB×A / 1 KA-ma / 5 gu si­ / 5 gu wa-ru¥©-ga-tum / mu-túm / en / DU-lu¾; [2] TM.75.G.1284 r. VII:1-3: 63 2 al°-la-nu nab-ðu / wa / 1 al°-la-nu wa-ra-gatum; [3] TM.75.G.1679 r. IV:1: 64 60 lá-2 wa-ru¥©-ga-na-tum; [4] TM.75.G.2073 v. V:1: 65 13 gu wa-ru¥©-ga-tum. [1] Queste grafie eblaite, che possono essere spiegate tramite il sem. *wrq, “essere verde”, 66 sono note nei testi amministrativi come qualifica di gu, “fili (di lino)”, in [1, 4], ed al°-la-nu, “(perla a forma di) ghianda”, in 60 CAD, Ñ, pp. 113-114, s.v. ñarpu A, e pp. 256-257, s.v. ñurpu; inoltre p. 256, s.v. ñirpu (Mari, Qatna e in neobabilonese), termine quest’ultimo riferito in particolare all’oro raffinato. 61 Limet 1960, pp. 144-145; Collini 1987, pp. 9-10; Reiter 1997, pp. 97 e 409-414. 62 Oro raffinato, piuttosto che argento in questo caso per Durand 1983b, pp. 223 e 414. Si veda anche Rouault 1977, p. 180 e n. 307. 63 Citato da Archi 2003, p. 31. 64 Citato da Archi 2003, p. 31. 65 Citato da Archi 2003, p. 31. 66 Come proposto da Pettinato 1983, p. 115. Per il sem. *wrq ed il relativo semantismo, Conti 1978, pp. 42-48. Capitolo II 78 [2]. La parola, già interpretata come designazione di un colore, 67 risulta, invece, essere il nome di una pietra dura semipreziosa di colore verde e, come tale, può a nostro avviso essere ritenuta la lettura semitica del sumerogramma ŠÈ-li. 68 Per la comprensione del sumerogramma ŠÈ-li, il dato fondamentale viene dalla liste lessicali MEE 3 45+46 e 61. Seguendo l’interpretazione di M. Civil, 69 ŠÈ-li za ha come fonetico semitico ù-ra-gú. Da ciò si deduce che ŠÈ-li è il nome di una pietra (za). Difficilmente, quindi, šu-gu-mu-mu, che è la traduzione di ŠÈ-li nella lista lessicale bilingue eblaita (VE 1171, fonti A© e B), può essere spiegata tramite l’accadico šagammu, “cardine superiore (della porta)”, 70 né appare pertinente il riferimento all’accadico šuqammumu, “essere forte”. 71 Purtroppo, la glossa eblaita di VE 1171 non risulta per il momento interpretabile. L’identificazione con una pietra dura semipreziosa si adatta, del resto, anche alle attestazioni di ŠÈ-li nei testi amministrativi eblaiti: [5] ARET III 484 I:2'-4': 2 gada-túg kir-na-nu tur / 3 gu nab-ðu ŠÈ-li / [x]-‹x› [...; [6] ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. VI:8 - VII:11: 2 ma-na ša-pi kù-sig¥± / 21 mana urudu / 1 izi-gar / 11 ma-na TAR urudu / 2 giš-šu­ 1 níg-bànda / 4 giš-šu­ 4 an-zamµ nab-ðu / 5 zú AN.LAGAB×ÐAL / 4 gu nab-ðu / 20 gu si­ / 8 mi<at> 50 gu // ŠÈ-li / 3 kir-na-nu gíd / 12 kir-na-nu lugud-da / 40 lá-2 kir-nanu tur / 26? gada-túg mað / 16 gada-túg tur ðul / 14 si-am / mu-túm / du-gúra-su¾ / in / a-ru¥©-ga-du¾; [7] TM.75.G.1556 v. VIII:2-9: 72 3 gada-túg / 1 gu si­* / 1 gu nab-‹ðu*› / 20 gu ŠÈ-li / mu-túm / du-gú-ra-su¾ / ama-gal / en; [8] TM.75.G.2017 v. II:3 - III:1: 73 2 gu si­-si­ 2 gu zaµ GÁ×LÁ 2 gín DILMUN kù-sig¥± 10 gu ŠÈ-li; 67 Ultimamente Waetzoldt 2001, p. 43, “5 gelbgrüne 'Fäden'”. Pasquali 2002c. L’ipotesi, lì avanzata, che si trattasse di pietre dure semipreziose, trova ora conferma nei numerosi esempi di testi inediti citati da Archi 2003, pp. 30 ss. 69 Civil 1987, p. 143, linea 60 della sinossi. 70 Civil 1987, p. 152. Di conseguenza non risultano adeguate le traduzioni “hinges” (Mander 1990, pp. 158 e 168, con lettura sè-li); “baldacchino(?)” (Pettinato 1996, pp. 160 e 165), con lettura éš-li, già proposta da Sollberger 1986, p. 55, con traduzione “perhaps 'rope-maker'”. Non traduce Waetzoldt 2001, p. 311. 71 Secondo la proposta di Butz 1984, p. 120. 72 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 119. Integrazioni sulla base dei passi paralleli. 73 Citato da Archi 2002a, p. 199. 68 Il lessico dei materiali 79 [9] TM.75.G.2360 v. VI:4-7: 74 20 gu ŠÈ-li 5 gu nab-ðu ŠÈ-li 2 gu zaµ babbar [10] ARET III 736 VI:1'-2': ...] / 1 dib ŠÈ-li / 1 g[ír? ...] / [...; [11] MEE 12 35 v. III:56 - IV:3: 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 kùsig¥± / ni-zi-mu / 2 níg-anše-aka ŠÈ-li; [12] ARET XII 501 I':1'-8': ...] / simug / wa / nagar / wa / šubur / DU-lu¾ / kin®-aka / ŠÈ-li; [13] MEE 10 29 v. IX:17-24: 4 gín DILMUN kù:babbar / ag-ga / wa / ù-ru¥©-midu / kin®-aka / ŠÈ-li / é / ¼ƒà-da; [14] TM.75.G.1559 r. IV:9-12: 75 4 gín DILMUN kù:babbar / da-ma-ga-an / kin®aka / ŠÈ-li. In [5-9], ŠÈ-li è qualificazione, come wa-ru¥©-ga-tum in [1, 4], di gu, i “fili (di lino)”, in cui verosimilmente le pietre erano infilate e che è possibile ne costituissero anche l’unità di misura oppure fossero utilizzati come elementi decorativi delle vesti. 76 Questi oggetti preziosi sono una presenza costante degli “apporti” (mu-túm) delle città di DU-lu¾ e du-gú-ra-su¾. 77 È noto un solo caso, in cui la città di provenienza è Mari. 78 Oltre a gu ŠÈ-li, ricorrono in questi contesti 79 gu si­(-si­), “fili di (perle di) corniola rossa”, gu nab-ðu (var. nanabµ[MUL]-ðu), “fili di (perle di) cristallo di rocca”, 80 gu kù-sig¥± zà:gìn, “fili di (perle di) oro e lapislazuli”. Esistono, inoltre, gu qualificati come gišir-zú, “(un colorante) giallo”, 81 termine che solitamente indica la colorazione dei tessuti. Si potrebbe trattare di “fili” tinteggiati, ma più probabilmente, visti i casi precedenti, di “fili” composti di perle, magari in pietra di colore neutro, poi dipinte con quel colorante. 82 In [10], ŠÈ-li è qualificazione di dib, “placchetta”, che si suppone pertanto realizzata o decorata con questa stessa pietra. Caratteristica co74 Citato da Archi 2002a, p. 199. Edito da Archi 1981a, pp. 155 ss. 76 A Mari, secondo Durand 1983, p. 240, il termine indicava “le «fil» (rang) où sont enfilés les divers constituants du collier ou de la ceinture”. 77 Per alcune osservazioni preliminari circa la peculiarità dei mu-túm di questi regni, si veda già Pasquali 1997, p. 244. 78 In ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. IV:4-11: 1 níg-lá-gaba 1 níg-lá-sag 1 aktum-túg 1 ƒà-da-um-túg-i 1 íb-iii-túg ma-rí¾ / 1 ƒà-da-um-túg-i / lú dam / 3 gu kù-sig¥± za-gìn / mutúm / lugal / ma-rí¾ / en. 79 Ad esempio [1-6]; per altri contesti simili, si veda s.v. nab-ðu, nonché il capitolo I. 80 Per questa interpretazione, Pasquali 2002d, e in questo stesso volume, s.v. 81 Per l’interpretazione di questo termine come un nome derivato dal sem. occidentale *wrs, “essere giallo” (arabo warasa, “essere di colore giallo”, e wars, “una pianta da cui si ricava un colorante giallo”), Pasquali 1997b, pp. 238-240. 82 Per l’uso di dipingere con coloranti le pietre nel Vicino Oriente antico, si veda, ad esempio, Forbes 1993, p. 249. 75 Capitolo II 80 stante di questo gioiello eblaita era, infatti, quella di essere lavorato, oltre che in legno e metallo prezioso, anche con pietre dure semipreziose, come è possibile dedurre dai testi amministrativi che elencano dib in “lapislazuli” e “corniola rossa” (gìn si­), in “corno” o “avorio” (si), o genericamente in “pietra” (na­). 83 In [11], ad essere decorate con la pietra ŠÈ-li sono, invece, le “briglie” (níg-anše-aka) 84 di un carro cerimoniale. Sostanzialmente diversi risultano essere i passi [13] e [14], che menzionano la consegna di 4 sicli d’argento ad alcuni artigiani per la “lavorazione” (kin®-aka) della pietra ŠÈ-li, in un caso impiegata per la decorazione architettonica del tempio del dio ¼ƒà-da. Il passo [12] parla esplicitamente di simug e nagar incaricati della lavorazione di questa pietra, assieme a dei nar di DU-lu¾. All’uso di pietre dure semipreziose assieme all’oro ed all’argento nell’ornamentazione delle pareti dei templi si accenna anche nei poemi ugaritici. In KTU 1.4 (= CTA 4.5) V, 75-96, si cita, infatti, il lapislazuli (iqnim), assieme ai metalli preziosi, come materiale necessario alla costruzione del palazzo di Ba‚al ad opera del divino artigiano Koøar. Allo stesso modo, Omero, in Odissea 7, 86 ss., descrivendo la reggia di Alcinoo, re dei Feaci, costruita da Efesto nell’isola di Scheria, enumera, accanto alle decorazioni in oro ed argento, anche fregi in lapislazuli. 85 Purtroppo, l’identificazione della pietra ŠÈ-li resta difficile, sebbene l’interpretazione di ù-ra-gú di MEE 3 61 fornisca un’indicazione importante. M. Civil notava che essa “could represent a form of the roots wrq, «to be green», or ƒrk, «to be long»”, con una identificazione con u-ra-kuum dei testi di Ur III e con ur…ku dei testi paleobabilonesi di Mari. 86 Data la documentazione eblaita, è preferibile una derivazione dal sem. *wrq. Infatti, una interpretazione *wurqu(m) di ù-ra-gú è formalmente accettabile, considerando, per la resa di /w/ e /q/, l’uso di segni come ù e gú, più gene83 Si veda l’introduzione. Per una discussione di questo termine e delle sue attestazioni, Conti 1997, pp. 45 ss. 85 Si vedano in proposito anche le interessanti osservazioni di Morris 1992, pp. 83 ss. 86 Civil 1987, pp. 152 e 158. Si consideri anche il termine accadico urr–qum, che “could denote a precious stone (na­SIG±.SIG±)”, come osserva Leemans 1952, p. 11, n. 40. 84 Il lessico dei materiali 81 rici rispetto a wu e gu. Questa interpretazione è, inoltre, appoggiata dall’attestazione di wa-ru¥©-ga-tum (e varr.) nei passi [1-4]. Il fatto che le traduzioni semitiche della pietra ŠÈ-li fossero realizzate attraverso forme derivate di *wrq, “essere verde”, pare almeno assicurare che questa pietra aveva un colore verde. CAPITOLO III IL LESSICO DELLE TECNICHE ƒa®-na-gu (var. a-na-gu), “decorazione circolare”. passim. La parola, che non risulta essere mai contata, non indica un oggetto, 1 ma piuttosto un’azione, 2 che si realizzava applicando delle foglie o strisce di metallo sulla superficie degli oggetti da decorare, probabilmente con un movimento circolare, se il termine può considerarsi come un derivato da *‚unq-, “collo”, 3 che ha dato origene in molte lingue semitiche successive alla forma verbale derivata “porre intorno al collo” (arabo ed etiopico ‚anaqa; ebraico ‚…naq, “cingere”). 4 Il passo di MEE 12 27 r. IV:7: 1 mi-at ma-na TAR kù:babbar TAR.TAR a-na-gu, pare dimostrare che era proprio del metallo prezioso a strisce (TAR.TAR) ad essere impiegato per questo tipo di decorazione. 5 Doveva, comunque, trattarsi di una tecnica abbastanza particolare, dato che, stando almeno ai contesti noti, la riscontriamo 1 Di supporto in argento parla invece Archi 1988d. Pomponio 1988, p. 168; Waetzoldt apud Mander 1990, p. 90; Biga 1998b. 3 Conti 1993, p. 101. Diversamente Waetzoldt 2001, p. 353, propone una lettura ðaµ(NI)-ni-gu e un confronto col sem. *ðnq, “porre intorno al collo”. 4 CDG, pp. 64-65. 5 L’ipotesi che in questo contesto la grafia a-na-gu debba interpretarsi come il fonetico di nagga, “stagno”, proposta da Waetzoldt 2001, p. 72, è contestualmente poco probabile e foneticamente non adeguata. 2 84 Capitolo III quasi esclusivamente in relazione alle “corna” (si) di bue (gu­) 6 offerte in dono alle divinità maschili del pantheon eblaita (solo più raramente, questo tipo di decorazione viene applicata a giš-šilig®, “ascia”). L’interpretazione del termine come una modalità di decorazione pare assicurato anche dal passo di ARET III 417 III:1-12: 1 ma-na kù:babbar nu¥¥-za si-si 2 gu­ nídba en ¼ƒà-da ða-labµ¾, in cui ƒa®-na-gu è sostituito da nu¥¥-za. Per questa operazione artigianale si assegnava una quantità d’argento per lo più nella misura di 20 sicli, come si deduce ad esempio dai passi seguenti, appartenenti allo stesso rendiconto annuale di metalli, che citiamo di seguito a titolo di esempio: MEE 10 20 r. XIX:18-27: šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / ƒa®-na-gu / 4 si-si / gu­-gu­ / nídba / en / ¼ra-sa-ab / ƒà-da-NI¾ / in / ¼AMA-ra; r. XX:6-13: šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / ƒa®-na-gu / 4 si-si / gu­-gu­ / nídba / en / ¼ƒà-da / ða-labµ¾; v. XVI:1-9: šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / ƒa®-na-gu / 4 si-si / 2 gu­ / nídba / en / ¼ƒà-da / iti / ì-nun. Altrove le quantità di metallo possono variare, ma non in maniera significativa. Queste corna ricoperte di metallo prezioso richiamano il corno d’avorio ricoperto con fasce d’argento rivestite di lamina d’oro, databile alla prima metà del VII secolo a.C., rinvenuto nella Tomba dei Carri presso la necropoli etrusca di San Cerbone. 7 L’oggetto appartiene alla produzione di lusso di ambito tipicamente orientale. 8 Già alla fine dell’VIII secolo a.C., infatti, risultano presenti in Etruria oggetti di importazione orientale nelle tombe principesche, che testimoniano di intensi contatti con la Siria e la Fenicia. 9 Agli inizi del secolo successivo, il forte sviluppo nella lavorazione dell’avorio e nell’oreficeria, nonché l’impiego di certe tecniche edilizie fanno supporre la presenza in Etruria di 6 Si trattava molto probabilmente delle corna degli animali sacrificati al dio, come pare dimostrare il passo di un testo amministrativo ancora inedito (citato in Biga 1998b): TM.75.G.2362 r. VII:15-21: 1 ma-na 13 gín DILMUN kù:babbar níg-sa¥¤ 2 gu­ nídba en ¼ƒà-da ƒà-da-NI¾ 1 ma-na kù:babbar nu¥¥-za 4 si-SÙ in AMA-ra, in cui viene registrato l’acquisto di un bue da sacrficare al dio Hadda ed in seguito l’uscita di metallo prezioso per la decorazione (nu¥¥-za) delle sue corna. 7 Romualdi 1997, pp. 159-162. 8 Camporeale 1984, pp. 55-56; Botto 2002, p. 229. 9 Strøm 1984, pp. 355 ss. Il lessico delle tecniche 85 artigiani ed architetti provenienti dalla Siria, che aprirono botteghe e poterono trasmettere in loco le loro più evolute tecniche artistiche. 10 bí-ra-zú, “lumeggiatura”. [1] ARET I 45 (3'-4'): 13 gín DILMUN kù-sig¥± / bí-ra-zú / 1 íb-lá si-ti-tum [gír kun ...; [2] TM.75.G.1739 r. V:9-13: 11 2 gín DILMUN kù:babbar / bí-ra-zú / giš-PA / ¼adar-a-nu / su-ti-gú¾. Nei passi in cui è attestata, la difficile grafia eblaita bí-ra-zú, finora non interpretata o ritenuta nome personale, viene dopo l’indicazione di una quantità variabile di metallo prezioso e precede immediatamente il nome di un oggetto: íb-lá, “cinturone” in [1], l’enigmatico níg-PA in [2]. La posizione della parola all’interno della frase sembra escludere in entrambi i casi che si tratti di un nome personale; poco probabile anche un’interpretazione come nome di un oggetto, vista anche la mancanza del numerale. L’analisi del lemma risulta complessa, oltre che per la scarsità delle attestazioni, anche, e soprattutto, a causa dalla molteplicità delle letture consentite. Una possibilità interpretativa pare offerta dal confronto con la radice *brñ, attestata in accadico, arabo ed etiopico con il significato di “essere brillante; lampeggiare”. 12 In tal caso, una traduzione adeguata del termine eblaita potrebbe essere “lumeggiatura”. gú-za-u³, “velatura”. [1] ARET II 36: 1-1/2 kù-sig¥± / 7 kù:babbar / gú-za-u³ / 3 an-dùl; [2] MEE 2 23: 2 mi-at 3 ma-na ša-pi kù-sig¥± e¥¥ / 1 tuš 1 la-ða / 3 mi-at 12 ma-na / 50 kù-sig¥± e¥¥ / ga-bí-lum / 1 mi-at 90 ma-na šušanaµ kù-sig¥± e¥¥ / 1 zà / 1 mi-at 31 ma-na TAR kù-sig¥± e¥¥ / 1 nundum / AN.ŠÈ.GÚ / 8 mi 40 lá-2 mana šušanaµ kù-sig¥± / 1 la-ða / ab / 5 ma-na 14 kù-sig¥± / gú-zu-u³-SÙ / nu-muti / 1 ma-na TAR su-pirig gi­ / 50 kù-sig¥± gi­ / si-in / PUZUR­-ra-ma-lik / nu-mu-ti. La grafia eblaita gú-za-u³ finora non interpretata è nota in contesti relativi ad assegnazioni di metalli preziosi per la realizzazione di statue (an-dùl) o vasi (la-ða). Il termine, che non è contato, appare chiaramente 10 Brown 1960, pp. 1 ss.; Strøm 1971, p. 212; Colonna - von Hase 1984, pp. 52-54; Bonghi Jovino 1991 pp. 171 ss.; Bonghi Jovino 2000, p. 100 et passim; Prayon 2001, pp. 346-347. 11 Citato da Archi 1997, p. 424. 12 CDG, pp. 107-108; DRS, 2, p. 86. Capitolo III 86 indicare un elemento accessorio o costitutivo degli oggetti preziosi citati. In [2] la parola è connessa a la-ða mediante pronome suffisso possessivo -SÙ. Una possibilità consentita dalle norme fonetiche stabilite per il sillabario di Ebla, è spiegare il vocabolo come un sostantivo di tema 1u2…3-, 13 derivato dalla radice *ksy, attestata in semitico, incluso l’accadico, con il significato fondamentale di “coprire; velare”. Da notare che la radice *ksy, nelle altre lingue semitiche che l’attestano in epoca successiva, mantiene il significato di “coprire”, ma in riferimento all’ambito della produzione tessile per indicare “vesti”, “veli” e “coperte”, e non alla metallurgia. 14 Il termine eblaita potrebbe, verosimilmente, tradursi come “velatura”, da applicarsi anche ad oggetti di per sé già realizzati in metallo prezioso, evidentemente come ulteriore decorazione o rifinitura. ma-ba-gú, “fissaggio”. [1] MEE 10 29 v. XIII:10-28: 10 ma-na kù:babbar / kin®-aka / 12 gú-li-lum TAR-2 / wa / 12 gú-li-lum šušanaµ-2 / 10 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ma-ba-gú-SÙ / 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / 10 gín DILMUN kù:babbar / ru¥©-du-ga-tum-SÙ / ME.SIG / é. La grafia consta di una sola attestazione nella documentazione amministrativa disponibile in un passo relativo ad assegnazioni di metallo prezioso per la realizzazione di gú-li-lum, “braccialetti”, e per la loro decorazione. Il termine non è mai contato e dall’analisi dei contesti, che lo pongono in esplicita correlazione con nu¥¥-za, “decorazione”, e ru¥©-du-ga-tum, “legatura”, pare potersi dedurre che si tratti della designazione di una tecnica di lavorazione o decorazione di oggetti preziosi. L’interpretazione del lemma risulta complessa a causa dell’unicità dell’attestazione. Una possibilità consentita dalla grafia, è spiegare il termine come un sostantivo a schema ma12a3- dal semitico *ïbk, “legare strettamente; consolidare”, noto in arabo, 15 riferito quindi ad un’azione di fissaggio dei vari materiali preziosi costituenti i gú-li-lum. 13 La presenza di … spiega la non assimilazione di /y/ intervocalica come solitamente avviene ad Ebla. Per un altro esempio di /y/ intervocalica non contratta perché preceduta da …, si veda Pasquali 1997, pp. 220-221 (ba-ra-i, /bar…yi(m)/, e ba-ra-u³, /bar…yu(m)/, sem. *bry, “osservare; ispezionare; scegliere”). 14 Si confronterà in tal senso a Mari paleobabilonese l’uso di kat…mum, “coprire”, come termine tecnico della metallurgia per indicare la laminatura di oggetti (Durand 1983a, pp. 135-136 e n. 40), accanto al ben più diffuso utilizzo dello stesso in riferimento ai tessuti. 15 Wehr, Dictionary, p. 182. Il lessico delle tecniche 87 ma-wa-lu, “...”. [1] MEE 7 34 v. I:31 - II:9: 3 gín DILMUN 3 NI [ku:babbar] / šu-bal-aka / 2 NI gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / ma-wa-lu / giš-bar-ús / wa / nu¥¥-za / 1 zaða-da / en; [2] MEE 10 20 v. XXVI:15-23: 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 13 kù-sig¥± / wa / šušanaµ-3 kù:babbar / ma-wa-lu / 4 giš-bar-ús / wa / nu¥¥-za 3 GIŠ.LAK-672. Il termine, noto allo stato attuale solo grazie a due contesti, dov’è citato in relazione a giš-bar-ús, “pungolo”, 16 non risulta contato ed è in stretta connessione con ni-zi-mu. Sulla base di MEE 7 47 r. XIII:16 XIV:8: 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu nu¥¥-za 2 za-ða-da / en / [x gí]n [DILMUN kù:babbar] / [šu-balaka] / [x gín DILMUN kù-sig¥±] / ni-zi-mu / maš-maš giš-bar-ús / 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / maš-maš-SÙ / lú 2 giš-gígir-ii / en, ci chiediamo se ma-wa-lu non possa essere la lettura semitica di maš-maš, “fasciatura (in metallo)”, 17 ed indicare quindi una tecnica di lavorazione artigianale. Se, come è stato proposto, 18 la parola è un sostantivo a schema ma12a3- da ricondurre al sem. occidentale *ïwl, “compiere un movimento circolare; circondare”, 19 è possibile che il riferimento sia all’applicazione di strisce metalliche intorno alla superficie di un oggetto. ne-zi-mu (var. ni-zi-mu), “laminatura”. passim. La grafia ne/ni-zi-mu è stata recentemente interpretata come niñmum (oppure niñ–mum da *nañ–mum con indebolimento della /a/ pretonica), dal sem. *nãm, variante di *ãmm, attestato in arabo con il significato di “unire; assemblare”, che, da un origenario significato di “amalgamare; comprimere”, avrebbe dato origene allo sviluppo semantico attestato ad Ebla, cioè “laminare”. 20 Questa lamina metallica veniva verosimilmente fissata sul legno tramite chiodi e perni d’ancoraggio. 21 16 17 Conti 1997, p. 58. Waetzoldt 1990, p. 11, “(Metall-)streifen”; Fronzaroli 1996, p. 61, “bandelette (de métal)”. 18 Fronzaroli 1994, p. 66 e n. 71. Più difficile seguire l’interpretazione di Mander 1990, p. 94, “slot” (acc. mayyaltu, “letto”). 19 Per i significati della radice, Marrassini 1971, pp. 56-63. 20 Fronzaroli 1996, pp. 63-64, con bibliografia. 21 Si veda il capitolo I. 88 Capitolo III ru¥©-du-ga-tum, “legatura”. [1] ARET II 7 v. I:1-4: 7-1/2 kù-sig¥± / ðar-zú-ba-tum / 2 kù-sig¥± / ru¥©-du-gatum-SÙ; [2] ARET II 10 r. II:1-4: 3 ma-na ša-pi-7 kù-sig¥± / 4 KA.SI / TAR kù:babbar / ru¥©-du-ga-tum-SÙ; [3] ARET II 46 (5): 2 lá-6-NI kù-sig¥± / ru¥©-du-ga-tum / gú-li-lum sa-ða-wa-ii / ar-si-a-ðu; [4] ARET II 47 (4-5): 1 ma-na ša-pi-3 4-NI a-gar® kù-sig¥± / 3-NI kù-sig¥± / ðarzú-ba-tum / en-na-NI / TAR kù:babbar / 1 3<-NI> kù-sig¥± / ru¥©-du-ga-tum; [5] ARET III 775 II:1'-4': ...] ‹gín› DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / ru¥©-du-ga-tum-SÙ; [6] MEE 10 20 r. XXII:17 - XXIII:17': 13 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / kin®-aka / 20 gú-li-lum / ša-pi ša-pi / 13 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / (...) / (...) gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / ru¥©-du-ga-tum-SÙ / 10 ma-na kù:babbar / kin®-aka / 20 gú-li-lum TAR-TAR-2 / 10 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na kù-sig¥± / nu¥¥-zaSÙ / TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kù-sig¥± / ru¥©-du-ga-tumSÙ; [7] MEE 10 29 v. XIII:10-28: 10 ma-na kù:babbar / / kin®-aka / 12 gú-li-lum TAR-2 / wa / 12 gú-li-lum šušanaµ-2 / 10 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ma-ba-gú-SÙ / 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / 10 gín DILMUN kù:babbar / ru¥©-du-ga-tum-SÙ / ME.SIG / é; [8] MEE 12 35 r. XVII:16-30: 1-1/2 nagga / šub si-in / 2 ma-na TAR a-gar®-gar® / 1 gír mar-tu / 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / 1 gín DILMUN kù:babbar / ru¥©-du-gatum / zú LAGAB×ME / 2 si-SÙ / ¼ÐAR-si-nu / en / in-na-sum; [9] MEE 12 35 r. XXVIII:30 - XXIX:12: 10 lá-3 ma-na 58 gín DILMUN nagga / šub si-in / 62 ma-na ša-pi-2 gín DILMUN a-gar®-gar® / kin®-aka / 2 mi-at / 10 lá-1 gír / ap / 17 gín DILMUN nagga / šub si-in / 3 ma-na 13 gín DILMUN a-gar®-gar® / ru¥©-du-ga-tum-SÙ / šušanaµ gín DILMUN nagga / šub si-in / 3 ma-na a-gar®-gar® / 10 gír gibil / du-da-ma-lik / ugula muðaldim; [10] MEE 12 35 v. I:29 - II:3: 2-1/2 nagga / šub si-in / 16 gín DILMUN a-gar®-gar® / maš kù:babbar / 2-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kù-sig¥± / maš zu-pirig / 2 gír / 4 gín DILMUN kù:babbar / zi-du-SÙ / 2-NI kù:babbar / ru¥©-du-ga-tumSÙ / íl-ƒà-ag-da-mu; [11] MEE 12 37 v. XII:11-25: 2-1/2 gín DILMUN nagga / šub si-in / 16 gín DILMUN a-gar®-gar® / 1 gír / 4 gín DILMUN kù:babbar / wa / 4 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-du-SÙ / 2-NI kù:babbar / ru¥©-du-ga-tum-SÙ / si-in / zaµ / en; Il lessico delle tecniche 89 [12] MEE 12 37 v. XV:29 - XVI:18: šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / wa / 2 mana ša-pi-4 gín DILMUN kù:babbar / [šu-ba]l-aka / š[a-pi 1 g]ín DILMUN [kù-sig¥±] / ni-zi-mu / 23 gú-li-lum kù:babbar-sig¥±-ii / 21[+?] gú-li-lum kù:babbar-sig¥±-‹šušanaµ›-ii / 2 gú-li-lum kù:babbar-sig¥±-10-i / TAR-2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 8 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / gúwa-zi-na-tum-SÙ / ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ru¥©-du-ga-tum-SÙ / 56 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 14 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 20 lá-3 gú-li-lum a-gar®- gar® / 10 gín DILMUN kù:babbar / su-pirig-SÙ. La grafia, spiegabile tramite il semitico occidentale *rtq, “legare” (successivamente noto in ugaritico, ebraico ed arabo), 22 indica una tecnica di fissaggio, utilizzata nei testi disponibili per lo più per braccialetti (gú-lilim) e pugnali (gír), ma più raramente anche per oggetti che pare avessero parti in stoffa e, quindi, al fine di assicurare ad essa gli elementi decorativi in metallo. In Isaia 40:19, il raro termine rtqwt indica i fili d’argento che servono a legare insieme le varie parti di una statua composita. 23 Particolarmente significativo a questo proposito appare il passo [8], in cui 1 siclo d’argento è necessario per il “fissaggio” o “legatura” (ru¥©-du-ga-tum) di alcuni elementi decorativi (zú LAGAB×ME; si) ad un pugnale mar-tu, offerto dal re al dio ¼ÐAR-si-nu. Si confronterà il contesto simile di MEE 2 49 r. VII:1-5: 5 gín DILMUN kù:babbar / kešda / gír mar-tu zú AN.A. LAGAB×AN / nin-uš-mušen / šu-ba­-ti, in cui ancora una modesta quantità d’argento serve alla “legatura” (kešda) ad un pugnale mar-tu del medesimo elemento decorativo, zú AN.A.LAGAB×AN, “dente di...”. 24 L’azione è indicata in questo caso dal sumerogramma kešda, “legare”, che, usato al posto di ru¥©-du-ga-tum, ne conferma l’interpretazione. wa-za-ru¥© (var. wa-za-rí-iš), “decorazione”. [1] ARET VIII 534 (= MEE 5 14) v. XIII:27-31: 12 kù:babbar / wa-za-ru¥© / gilim / ‹1› la-ða / [sagi]; [2] MEE 12 35 r. XXVIII:8-14: 1 gín DILMUN nagga / šub si-in / 6 gín DILMUN a-gar®-gar® / wa-za-rí-iš / 1 gi-di / 3 NE.DI / en; [3] TM.75.G.2622 v. XIX:1-6: 25 1 ma-na TAR kù:babbar / ni-zi-mu / wa-za-ru¥© / gilim / giš-banšur / sagi. 22 HAL, p. 1300, s.v. rtq. L’etimologia è già in Pomponio 1982, p. 210; Pasquali 1997, pp. 241-242. 23 Fitzgerald 1989, pp. 438-439; Dick 1999, p. 22. 24 Per cui si rimanda al capitolo I. 25 Citato da Archi 1999, p. 155. Capitolo III 90 Il termine, noto anche nella variante che attesta la desinenza -iš in funzione di dativo-direttivo, 26 esprime un’ulteriore azione connessa con la lavorazione di oggetti in metallo (strumenti musicali, parti di vasi o mobili). È stato recentemente proposto per questa parola eblaita un confronto con il sem. *wñr, “plasmare; modellare”, documentato in accadico, ugaritico ed ebraico. 27 Questa radice, tuttavia, come si deduce dalle lingue semitiche che l’attestano, risulta appartenere in maniera specifica all’ambito della produzione fittile e non a quello della metallurgia. 28 Un’interpretazione del lemma eblaita sulla base della radice semitica occidentale *wzr, attestata in seguito in etiopico con il significato di “rivestire, ricoprire; decorare, adornare”, ed in arabo con il significato di “riempire una fessura”, 29 appare pertanto semanticamente più adeguata ed ugualmente permessa dall’uso del sillabario eblaita. zi-ba-du (var. zi-ba-tum), “placcatura”. [1] ARET III 775 VIII:1'-3': ...] kù:babbar / zi-ba-du / 2 [...; [2] ARET VII 35 (1): ša-pi-2 a-gar®-gar® / zi-ba-du / 1 surµ / al° / BU-ma-NI; [3] ARET VIII 534 (= MEE 5 14) r. IX:13-20: 1 gín DILMUN kù:babbar / 3 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-ba-du / 1 DUB / 2 DU / en; [4] ARET VIII 537 (= MEE 5 17) r. VIII:8-12: 4 kù:babbar / zi-ba-du / 1 giš-šu­ / zaµ / i-bí-zi-kir ; [5] MEE 7 29 v. VII:13-16: 8 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-tum / 4 giš-šu­ 1 níg-bànda / ‹x› [...]; [6] MEE 10 20 r. V:10-14: 1 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-du / 1 bur-KAK / lú kaskal / en; [7] MEE 10 20 r. XX:16-30: 2 gín DILMUN kù-sig¥± DILMUN kù:babbar / 2 níg-PA / 4 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-du / 2 giš-šu­ / lú zaµ / i-bí-zi-kir / wa / lú kas­ / 1 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5-NI kù-sig¥± / zi-ba-du / 1 <giš*->balag mað; [8] MEE 10 29 r. XIX:33 - XX:15: 3 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-du / 2 nígbànda 2 giš-šu­ / 1 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-du / 1 níg-PA / lú ábba / 1 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-du / 1 giš-balag mað / 5 gín DILMUN 26 Per questo suffisso, Catagnoti 1995, pp. 155 ss., con bibliografia. 1999, p. 155. 28 Come dimostra anche nella lista lessicale bilingue eblaita la glossa di VE 1012, baðar = wa-zi-lu-um, /wañ–r-um/, “vasaio” (Fronzaroli 1984, p. 152). 29 CDG, p. 624; DRS, 6, pp. 518-519. Il confronto con l’arabo *wzr è ora anche in Waetzoldt 2001, p. 375. 27 Archi Il lessico delle tecniche [9] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] [18] [19] 91 kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 kù-sal maš-maš / en / ¼ƒa®-da-bal!(KUL) / lu-ba-an¾ ; MEE 12 35 v. V:8-20: 2-1/2 kù:babbar / 7-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 kù-sig¥± / zi-ba-du / 1 giš-balag mað / 2-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kùsig¥± / ni-zi-mu / 1 íb-lá / ƒà-mu-ru¥©-gú / ÐÚB; MEE 12 35 v. VIII:24-32: 1 kù:babbar / zi-ba-du / 2 níg-anše-aka / 5 kù:babbar / šu-bal-aka / 1 kù-sig¥± / ni-zi-mu / maš-maš 4 kù-sal / i-rí-ig-damu; MEE 12 35 v. VIII:49-56: 2-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kù-sig¥± / zi-badu / sa-ga-du / 1 gír mar-tu / da-zi-ma-du / ugula surµ-BAR.AN; MEE 12 35 v. XXII:28 - XXIII:5: 7 kù:babbar / ni-zi-mu / 3 zú-bù 3 nígbànda / wa / zi-ba-du / 1 giš-šu­ / lú é ti-túg; MEE 12 36 r. IX:24 - X:4: 2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kùsig¥± / zi-ba-du / 1 giš-šu­ / kú / en; MEE 12 36 v. XII:11-17: 6 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-ba-du / 1 pad / 1 giš-šu­ / en; MEE 12 36 v. XXVIII:30 - XXIX:12: 11-1/2 gín DILMUN kù:babbar / ziba-du / zi-ru¥©-lu / wa / dug-dug / 1 ma-na 4 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za / 1 an-dùl sal / níg-ba / íl-ƒàag-da-mu / ¼ƒa®-da-bal / lu-ba-an¾ ; MEE 12 37 r. X:26 - XI:20: 1 ma-na šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 17 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 4 KA.SI / 2-1/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kù-sig¥± / [z]i-ba-du / ‹4› kù-sal / KA.SI ti²mušen / 2-1/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 kù-[si]g¥± / wa / 1/2 kù:babbar / ni-zi-mu / níg-lá-sag kešda / 2 giš-bar-uš / 7 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 2 zú-zú-ba-tum / 6 gín DILMUN 2-NI kù:babbar / šubal-aka / 1 gín DILMUN 3-NI kù-sig¥± / ni-zi-mu / 2 kù-sal / 1 giš-gígir-iv / 5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / [1 gín DILMUN] kù-[sig¥±] / ni-zi-mu / 1 níg-anše-aka / 1 IGI.NITA / 5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 za-ða-da / en; MEE 12 37 r. XII:22-34: 2-1/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kùsig¥± / ni-zi-mu / 1 níg-PA / 1 gín DILMUN kù:babbar / wa / 2-1/2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1/2 kù-sig¥± / zi-ba-du / giš-balag? mað / en; MEE 12 37 v. XXII:26-28: 3 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-du / [z]i?-ru¥©[l]u? [...; TM.75.G.2507 v.VII:12'-25': 30 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 15 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-ba-du / 4 eškiriµ ti²-mušen / 12 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 íb-lá 1 si-di-tum 1 gír kun / 1 kù-sal / níg-ba / en / ¼áš-da-bíl / in diri. 30 Citato da Pomponio - Xella 1997, pp. 73-74. Capitolo III 92 Il termine, mai contato e citato soprattutto in connessione con beni di dimensioni importanti come componenti del mobilio e vasi, non indica un oggetto, 31 ma una modalità di decorazione, 32 e deve verosimilmente essere ricondotto alla radice bilittera *ñp ed alle forme ampliate (per lo più in y) che ne derivano, con il significato di “rivestire (con del metallo); placcare”. 33 Il suo impiego tecnico si continua nel semitico occidentale con attestazioni in ugaritico, ebraico ed aramaico, con riferimento quasi esclusivo al rivestimento di oggetti con oro, argento o rame. 34 La radice risulta attestata ad Ebla anche nel sostantivo ñuññub…tum (zu-zu-ba-tum e zú-zúba-tum secondo la grafia eblaita), “placche metalliche”, usate nelle decorazione dei carri, 35 ed in seguito ad Ugarit sempre in relazione alla placcatura in oro dei carri (KTU 4.167: 2, 4, 6). Un carro con placche metalliche decorate, ispirato alla tradizione artigianale siro-fenicia, è stato rinvenuto nella già citata tomba dei Carri nella necropoli etrusca di San Cerbone presso Populonia. 36 zi-bù, “placcatura”. [1] ARET VII 51 r. I:1 - II:5: 40 ma-na kù:babbar / 10 lá-2 ma-na kù-sig¥± / lú 60 gú-li ša<-pi>-2 / wa / kar / 36 ma-na ša-pi kù:babbar-SÙ / šu-bal-aka 12 mana ‹13› ‹kù›-‹sig¥±› / 6 ma-na ša-pi-7 kù-sig¥± / zi-bù-SÙ / 1 ma-na kù-sig¥± / ni-zi-mu- SÙ; [2] ARET VII 51 r. III:1 - IV:7: 30 lá-2 ma-na TAR kù:babbar / 5 ma-na ša-pi kù-sig¥± / lú 60 lá-3 gú TAR-2 / wa kar / 26 ma-na ša-pi kù:babbar / šu-balaka 10 lá-2 ma-na 53 kù-sig¥± / 4 ma-na / TAR-7 kù-sig¥± / zi-bù-SÙ / 1 mana 50 kù:babbar / šu-bal-aka / TAR-7 kù-sig¥± / 1 ma-na 5 kù-sig¥± / ni-zi-mu; [3] ARET VII 51 r. V:3 v. III:6: 25 ma-na šušanaµ kù:babbar / 5 ma-na 4 kù-sig¥± lú 76 gú šušanaµ-2 / wa / kar / 24 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 10 lá-2 mana kù-sig¥± / 4 ma-na 3 kù-sig¥± / zi-bù-SÙ / 1 ma-na šušanaµ kù:babbar / šubal-aka / šušanaµ-7 kù-sig¥± / 1 ma-na 1 kù-sig¥± / ni-zi-mu-SÙ / 6 ma-na ša-pi 5 kù-sig¥±; 31 Ciò porta ad escludere altre interpretazioni finora proposte (Archi 1988f, p. 239, “un manico?”; D’Agostino 1996b, pp. 35 e 147, “parte finale, i.e. di abbellimento”; Pettinato 1996, pp. 298 e 308, “sporgenza” o “orlatura”). 32 Come suppone ora anche Waetzoldt 2001, pp. 386-387, con traduzione “Applike”, “Appliken anbringen”, e richiamo all’acc. ñippatu, “a metal or alloy” (CAD, Ñ, p. 203), e ñiptu, “an ornament or mounting for a precious stone” (CAD, Ñ, p. 205). 33 HAL, p. 1045, s.v. ñph II. 34 Collini 1989, p. 25 e n. 5. 35 Fronzaroli 1984, p. 127; Conti 1997, pp. 52-53. 36 Botto 2002, p. 229. Il lessico delle tecniche 93 [4] ARET VII 100 r. II:3 - II:1: 10 ma-na / 2 ma-na 50 kù:babbar / zi-bù / 1 TUŠ nagar; [5] ARET VII 101 r. II:6 - III:2: 3 ma-na kù:babbar / zi-bù / 1 TUŠ / é nagar; [6] TM75.G.1383 r. VI:1-4: 37 40 lá-4 giš-banšur giš-taskarin / 13 giš-banšur / zibù / giš-taskarin; [7] TM.75.G.1479 r. IV:1ss.: 38 11 ma-na 7 kù-sig¥± / [...] / zi-bù / giš-gu-kak-gíd kù-sig¥± / wa / [...]. Questo termine ricorre in relazione ad assegnazioni di metallo per la realizzazione di gú-li-lum, “braccialetto”, di TUŠ, “sedile”, e di giš-gukak-gíd, “lance”, senza essere mai preceduto dal numerale. Il lemma alterna con ni-zi-mu, termine che sicuramente indica, come abbiamo visto, un procedimento di decorazione artigianale. Per di più, nello stesso testo, compaiono entrambi questi vocaboli provvisti del pronome suffisso possessivo -SÙ riferito a gú-li-lum. Il vocabolo era stato spiegato tramite l’accadico sippu e tradotto come “sostegno, piedistallo”, 39 ma questa interpretazione non si adatta al passo relativo ai braccialetti. In base all’analisi dei contesti, appare preferibile supporre che zi-bù indichi una modalità di lavorazione. La traduzione “sostegno, piedistallo” non si adatta del resto al passo relativo ai braccialetti. Una possibilità interpretativa convincente per zi-bù ci sembra una sua derivazione ancora da *ñpy, 40 come un sostantivo con schema 1i23-, con caduta della terza consonante debole e allungamento di compenso (*ñipy- > ñ–p-), traducibile come “placcatura”. zi-du (var. zi-da), “ornamento”. passim. Il termine zi-du, e la variante zi-da che ne indica il duale, 41 è interpretabile come un nome di azione (/sittu(m)/, “decorazione, ornamento”, da *sim-t) dal sem. *wsm, “essere ornato”, attestato in seguito in accadico ed arabo. 42 A questa stessa radice può essere ricondotta anche la grafia eblaita du-za-mu, interpretabile come formazione nominale a prefisso 37 Edito da Archi 1986, pp. 194-195. Citato da Waetzoldt 1990, p. 5, n. 17. 39 Archi 1987, p. 239. 40 Si veda già Waetzoldt 1990, p. 5. 41 ARET VII r. I:2-3: šušanaµ lá-1/2 kù-sig¥± / zi-da / 2 gír mar-tu. 42 Fronzaroli 1996, p. 64, secondo cui la grafia sarebbe da considerarsi come la lettura semitica di nu¥¥-za. Per una diversa interpretazione, Waetzoldt 1990, pp. 12 s.; D’Agostino 1996b, p. 128. 38 Capitolo III 94 ta-, 43 che si riferisce ad un tipo di ornamentazione per tessuti e stoffe. 44 Il semitico *wsm viene utilizzato ancora nell’accadico di Mari per indicare un tipo di decorazione (sí-mi) dei tessuti, che poteva essere applicata (šak…num) o inserita (šak…kum) nelle stoffe. 45 43 Probabilmente d¢z…mu(m), “eccezionalmente decorato”. Fronzaroli 1993, pp. 34-35 e 144; Pasquali 1997, pp. 231-233. 45 Pasquali 1997, pp. 232-233. Per le attestazioni, Durand 1983a, p. 137 e n. 42; Durand 1983b, pp. 146-147 e n. 12, con diversa etimologia. 44 CAPITOLO IV IL LESSICO DEGLI OGGETTI a-ba-LUM, “(un vaso)”. [1] TM.75.G.2502 r. I:21-23: 1 40 gín DILMUN kù-sig¥± 1 a-ba-LUM wa 1 padSÙ; [2] TM.75.G.2502 r. XII:20-22: 2 1 a-ba-LUM níg-ba ND. La grafia si riferisce ad un tipo di vaso in metallo prezioso, come assicura il contesto [1], che gli attribuisce un coperchio (pad). Archi confronta la parola con la glossa di VE 537, á-lá = a-ba-lu-um (fonte B), a-ba-lum (fonte D), citando a sostegno un passo di un documento amministrativo ancora inedito in cui il sumerogramma á-lá ricorre in un contesto di assegnazione di metallo per la realizzazione di vasi: TM.75.G.10210 v. I:1-6: [x+]‹1› [n]agga šub si-in 3 ma-na a-gar®-gar® kin®-aka 6 an-zamµ 1 á-lá gibil. 3 In tal caso, la variante grafica a-ba-lu-um della fonte B assicurerebbe una lettura a-ba-lum per il termine dei testi amministrativi. Tuttavia, che la glossa di VE 537 indichi lo stesso oggetto dei passi [1] e [2] allo stato attuale non si impone, viste anche le molteplici possibilità di lettura offerte dalla grafia. L’interpretazione della glossa proposta da Conti sulla base del sem. *ïbl, “legare; corda” 4 sostenuta dal significato del sumero1 Citato da Archi 1997/98b, p. 273. Citato da Archi 1997/98b, p. 273. 3 Citato da Archi 1997/98b, p. 273. 4 Conti 1990, p. 152, che nota, comunque, la resa grafica poco precisa di /ï/ con a. Questa interpretazione è negata da Archi 1997/98b, p. 273. 2 Capitolo IV 96 gramma, che nelle liste mesopotamiche ha come equivalente l’acc. kasû, “legare”, non appare in contraddizione con la sopra citata assegnazione di 1 á-lá nuovo (gibil) accanto a 6 vasi an-zamµ in rame, se si considera il valore del sumerogramma gišá-lá = acc. dilûtu, “hoisting device for drawing water from a well”. 5 Questa ipotesi non si adatterebbe solo nel caso risultasse dimostrata l’identificazione con l’oggetto citato in [1] e [2], realizzato in oro e provvisto di un coperchio. Proponendo una lettura a-ba-núm è possibile confrontare questo lemma con la grafia a-pa-nu zabar che indica un tipo di contenitore in un inventario di vasi proveniente da Emar. 6 a-ba-ma-tum, “(un gioiello)”. [1] ARET VII 79 (12): 4 gín DILMUN kù:babbar 2 bu-di 2 ma-tum 1 kù-sal 1 buru­-mušen / níg-ba / ¼BAD-mí. giš geštu-lá 2 a-ba- Questo termine è attestato finora come hapax nella documentazione disponibile in un passo relativo ad un’assegnazione di vari oggetti preziosi alla statua di culto di una divinità femminile, identificabile su base contestuale con la paredra del dio infero ¼ra-sa-ab. Anche l’attribuzione di un “monile” (kù-sal) a forma di “falco” (buru­-mušen), è un dono che ricorre con frequenza in relazione con le divinità infere. 7 Appare improbabile il confronto con l’accadico abbuttu, “una forcella di metallo per tenere l’acconciatura-a.”. 8 Un aiuto alla comprensione del termine può venire dall’analisi dei gioielli ad esso associati: bu-di e gišgeštu-lá. Questi oggetti preziosi formano generalmente una parure assieme a giš-DU, la cui interpretazione appare tuttora controversa. 9 Non può essere esclusa, pertanto, la possibilità che a-ba-ma-tum sia l’equivalente fonetico del più attestato gišDU. Questo sumerogramma è noto anche nella lista lessicale in VE 362, giš-DU = ba-a-du (fonte D). 10 Supponendo una lettura ba:a-ma-tum per il termine amministrativo, diventerebbe possibile un confronto diretto con la sopra citata glossa di VE 362, essendo l’omissione grafica (o assimilazio5 CAD, D, pp. 142 s.; Salonen 1965, vol. 2, pp. 252, 266, 294. Goodnick Westenholz 2000, pp. 68-69. 7 Per questo oggetto ed il suo possibile valore simbolico connesso con le divinità infere, Pasquali 2002a, e la parte introduttiva di questo volume. 8 Proposto da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 4 9 Risulta difficile accogliere la traduzione “piede”, recentemente riproposta da D’Agostino 1996b, p. 41, con bibliografia. 10 Interpretato come *pa‚am-t-um, “piede”, da Pettinato 1979, p. 112. Non tradotto da Conti 1990, p. 123, che mantiene la lettura IGI-a-du proposta da Edzard 1981, p. 125. 6 Il lessico degli oggetti 97 ne) di m davanti a dentale fenomeno noto ad Ebla. L’etimologia del termine resta, tuttavia, non evidente. a-bí-lum, “sostegno (per vasi)”. [1] ARET VII 68 r. I:1 - III:2: 8 mi-at 22 ma-na kù-sig¥± / zà-mì 1 la-ða / 30 lá-3 ma-na 50 kù-sig¥± a-bí-lum-SÙ / wa / 20 lá-3 ma-na 10 kù-sig¥± / záð / in / na-gu-lum. Il termine si riferisce, nella sua unica attestazione fin qui nota, ad un accessorio relativo ad una giara (la-ða) di grandi dimensioni, per la cui realizzazione sono necessarie 27 mine e 50 sicli d’oro, e può essere interpretato come /w…bil-um/, “sostegno”, dal sem. *wbl, “portare”. 11 a-da-ða-ða-LUM (var. ad-ða-ði-LUM), “...”. [1] TM.75.G.272 r. III:1: 12 1 a-da-ða-ða-LUM kù-sig¥± 1 mu-lum kù-sig¥±; [2] TM.75.G.2350 r. I:3 - II:1: 13 1 ad-ða-ði-LUM an-dùl / ša-pi kù-sig¥± / wa / 4 ma-na ša-pi kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 giš-uštin / wa / 1 DUB / lú 2 DU. Questo termine di difficile interpretazione è attestato solo due volte nella documentazione nota. Si riferisce ad un importante manufatto realizzato in metallo prezioso, che, come si deduce dal passo [2], poteva essere anche decorato con raffigurazioni (an-dùl) ovvero “istoriato”. In [1] lo si cita assieme ad un contenitore per unguenti (mu-lum) in oro, mentre in [2] precede immediatamente l’assegnazione di metallo prezioso per la decorazione (nu¥¥-za) di un trono (1 giš-uštin) e del suo sgabello poggiapiedi (1 DUB / lú 2 DU). 11 Pettinato - D’Agostino 1995, p. 5. Non può essere, invece, accolto il confronto proposto da questi autori con la glossa della lista lessicale bilingue VE 1212, ki-dàradim gargar = a-bí-lum za-a-tim, da interpretarsi /ï…pir ñaƒattim/, “colui che provvede agli ovini”, come ha dimostrato Fronzaroli 1995, p. 61, n. 75. La traduzione “sostegno” per a-bí-lum è accolta anche da Archi 1999, p. 154 e n. 32. È, tuttavia, foneticamente difficile il confronto proposto da questo autore con la grafia eblaita ga-bí-lum, che altrove indica un ulteriore accessorio della giara la-ða (si veda s.v.). Da ultimo Archi 2005b interpreta a-bí-lum-SÙ come “its (part) consumed/drossed”, sulla base di un confronto con l’accadico ab…lum, “to dry up”. 12 Citato Pettinato - D’Agostino 1995, p. 7, con lettura a-da-lum-ku° e traduzione “gioiello a forma di pesce”. 13 Citato da Archi 1988a. Capitolo IV 98 al°-la-nu (var. al°-la-na), “(perla a forma di) ghianda”. [1] ARET IV 19 (17): (...) 16 kù-sig¥± / 1 mi-at / 20 kur-gur-ru¥© / wa / 2 al°-la-nu / (...) gi-mi-NI-za-du / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; [2] MEE 10 20 v. V:8 - VI:7: (...) 16 1 mi-at 20 kur-gú-ru¥© / wa / 2 al°-la-na / (...) gi-mi-NI-za-du / nin-ni / ma-lik-tum / si-in / É×PAP; [3] TM.75.G.1284 r. III:1-2: 14 6 al°-la-nu si­ / 12 al°-la-nu nab-ðu; [4] TM.75.G.1284 r. V:4-7: 15 5 kù-sig¥± / 11 še-geštin / wa / al°-la-nu; [5] TM.75.G.1284 r. VII:1 - v. I:2: 16 2 al°-la-nu nab-ðu / wa / 1 al°-la-nu wa-raga-tum / 10 ar-ra-su gìn-gìn / 60 lá-2 gur<-gú>-ru¥© gìn-gìn / 1 mi<-at> gur<-gú>-ru¥© gìn si­ / 1 si-da-tum-ii; [6] TM.75.G.1579 r. II:6: 17 10 al°-la-nu 10 giš-geštin; [7] TM.75.G.1579 r. III:5-6: 18 6 al°-la-nu / 11 giš-geštin; [8] TM.75.G.1679 r. II:3-7: 19 1 ma-ða-na-gúm 117 gur-gú-ru¥© 112 du-ru¥©-gú 10 al°-la-nu 10 giš-geštin 228 ða-za-nu; [9] TM.75.G.1679 r. III:4-6: 20 6 535 ða-za-nu / 6 al°-la-nu / 10 giš-geštin; [10] TM.75.G.1962 r. X:1-11: 21 ...] / [x gur]-gú-ru¥© 13 / 1 mi-at gur-gú-ru¥© si­ / 1 mi-at gur-gú-ru¥© za:gìn sig¥±-za / 1 mi-at du-ru¥©-gú 19 / 1 ša-mu 1 / 1 kù:babbar / 1 ma-da-ðu / 2 al°-la-nu 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 6 kùsig¥± / 1 ‹x› [...; [11] TM.75.G.2071 r. V:4-5: 22 15 al°-la-nu / 6 še:geštin; [12] TM.75.G.2071 r. VI:4-5: 23 16 al°-la-nu nab-ðu / 9 al°-la-nu si­; [13] TM.75.G.2071 v. II:3-5: 24 3 al°-la-nu gìn-gìn / 6 al°-la-nu nab-ðu / 4 al°-lanu si­; [14] TM.75.G.2078 r II:2-4: 25 8 al°-la-nu kù-sig¥± / 3 al°-la-nu nab-ðu / 2 al°-la-nu si­; [15] TM.75.G.10088 v. XVII:24 - XVIII:10: 26 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at gur-gúru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / šu-dub 5-1/2 / 14 Citato da Archi 2003, p. 31. Citato da Archi 2003, p. 35. 16 Citato da Archi 2002a, p. 195. 17 Citato da Archi 2003, p. 35. 18 Citato da Archi 2003, p. 35. 19 Citato da Archi 2002a, p. 192. 20 Citato da Archi 2002a, p. 192. 21 Citato da Archi 2002a, p. 178. 22 Citato da Archi 2003, p. 35. 23 Citato da Archi 2003, p. 30. 24 Citato da Archi 2003, p. 30. 25 Citato da Archi 2003, p. 31. 26 Citato da Archi 2002a, p. 178. 15 Il lessico degli oggetti 99 nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP. Come proposto da Waetzoldt. Questo termine deve essere tradotto “(perla in forma di) ghianda”, 27 sulla base di un confronto con l’accadico all…nu(m), “quercia”, e l’ebraico ƒlwn, di significato affine. 28 Questa spiegazione è adeguata alle norme fonetiche stabilite per il sillabario eblaita ed ai contesti, che elencano vari tipi di perle, di cui molte riproducenti nella forma elementi vegetali, 29 come ad esempio ða-za-nu, “(perla a forma di) bulbo”, še-geštin, “(perla a forma di) acino d’uva”, da utilizzarsi per la realizzazione di suntuose collane cerimoniali destinate alle dame della corte ([4, 6, 7, 8, 9, 11]). Si noterà, in proposito, che anche l’accadico all…nu è usato, sebbene più raramente, per indicare perle in forma di ghianda, ad esempio in un testo paleoaccadico (UET III:513) 30 ed in un inventario ittita di gioielli (KBo 18:165a, 5: al-la-ni kù:babbar). 31 In entrambi questi casi si tratta di oggetti realizzati in metallo prezioso. Ad Ebla oltre che in oro queste perle potevano essere anche in corniola rossa (si­), cristallo di rocca (nab-ðu), 32 lapislazuli (gìn-gìn) e pietra verde (wara-ga-tum), 33 come si deduce dai passi [3, 5, 12, 13, 14]. Questo gioiello non può non ricordare la collana con coppia di perle a forma ghianda, l’una in cristallo di rocca, l’altra in pietra verde traslucida, incappucciate entrambe in capsule d’oro, rinvenuta proprio ad Ebla nell’ipogeo Q.78.C della così detta tomba del “Signore dei capridi”. 34 Si tratta di un manufatto risalente al posteriore periodo amorreo, ma evidentemente questa realizzazione era tipica delle botteghe artigiane eblaite e si è, pertanto, tramandata nel tempo. La somiglianza non è solo nella morfologia del gioiello, ma addirittura nella scelta dei materiali, visto che i testi elencano assieme proprio perle in forma di ghianda in cristallo di rocca 27 Waetzoldt apud Mander, MEE 10, p. 90. Tale proposta è accolta ora anche da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 110; da Archi 2003, p. 30. Il confronto etimologico era già in Biga - Milano 1984, p. 285, che però traducevano dubitativamente “quercia(?)”. 28 Per la comparazione semitica, Fronzaroli 1968, pp. 277 e 290. 29 Secondo un uso diffuso nel Vicino Oriente antico: si pensi, ad esempio, ai gioielli del tesoro reale di Ur (per cui si veda ora Miller 2000, pp. 149 ss.). 30 Gelb 1957, p. 39. 31 Polvani 1988, p. 35. 32 Pasquali 2002c. 33 Pasquali 2002b. 34 Matthiae 1981, p. 219. 100 Capitolo IV (nab-ðu) e pietra verde (wa-ra-ga-tum). 35 Si può, inoltre, osservare che alcuni dei contesti amministrativi, in cui compare questo gioiello, riguardano le offerte funebri per importanti personaggi femminili della corte eblaita e che la perla era, proprio in tali occasioni, assegnata preferibilmente a coppie, come indica esplicitamente l’uso, oltre che del numerale 2, anche del duale al°-la-na. 36 Più precisamente si tratta dei passi paralleli [1] e [2], relativi entrambi alle assegnazioni per la cerimonia funebre (É×PAP) di gimi-NI-za-du, sorella della regina di Ebla. 37 Alla cerimonia funebre (É×PAP) per la madre (ama-gal) del re rimanda invece il passo [15]. Negli inventari di oggetti realizzati per le nozze delle nobildonne della corte eblaita, che pur attestano sostanzialmente gli stessi tipi di gioielli, stando ai testi fin qui noti, questa particolare collana con una coppia di perle a forma di ghianda, invece, non compare. In considerazione anche del sopra citato ritrovamento dell’ipogeo Q.78.C, non è, quindi, da escludere una valenza simbolica di questa perla a forma di ghianda legata prevalentemente all’ambito funerario. 38 In effetti, la caratterizzazione religiosa della quercia e delle glandiferae arbores 39 in genere come albero cosmico che, in virtù del suo aspetto imponente, fa da tramite tra il mondo umano ed il mondo dell’oltretomba, è un elemento noto alla religione “patriarcale” ed alla più antica storia di Israele. 40 Il legame con l’ambito funebre e ctonio è ribadito dalla presenza della quercia nei pressi delle “sacre” tombe degli antenati del popolo di Israele (Abramo e Sara, Rachele, Debora), divenute oggetto di culto. 41 L’albero cosmico risulta associato all’oltretomba anche nella glittica e nell’epica sumero-accadica 42 ed è legato alle sepolture degli eroi 35 Pasquali 2004a. L’accostamento è anche in Archi 2003, p. 30, che però interpreta nab-ðu come “vetro”. 36 Per le forme del duale ad Ebla, Fronzaroli 1990, pp. 111 ss. 37 Le due tavolette sono databili all’inizio del periodo in cui fu ministro i-bí-zi-kir, corrispondente, quindi, alla fase più recente degli archivi eblaiti. 38 Pasquali 2004a. 39 Secondo l’enumerazione di Plinio il Vecchio, Naturalis historia XVI:19 (glandem, quae proprie intellegitur, ferunt robur, quercus, aesculus, cerrus, ilex, suber), sei sono i tipi principali di glandiferae arbores. Si veda anche Teofrasto, Perã futikÒn ÜstoriÒn, III:3,1; III:8, 2. 40 Si vedano le importanti osservazioni fatte in proposito da Wright 1970, pp. 75-82; Wright 1972, pp. 476-486; Meyers 1976, pp. 137 ss. Per la continuità di questa tradizione in epoche successive, Schenke 1968, pp. 159-184; Grottanelli 1976, pp. 137-140. 41 Liverani 1977, pp. 212-216; Grottanelli 1979, pp. 39-63. In generale per la valenza sepolcrale e ctonia della quercia nel folklore, Borghini 1989, pp. 104 ss. 42 Van de Mieroop 1979, pp. 69 ss. Il lessico degli oggetti 101 greci, 43 mentre una corona fatta di ramoscelli di quercia è indossata da Ecate, la dea greca degli inferi. 44 Ma si ricorderà soprattutto l’episodio di Filemone e Bauci, narrato da Ovidio nell’ottavo libro delle Metamorfosi (vv. 611-724), 45 nel quale gli dei concedono ai due protagonisti, come ricompensa per la loro pietas, di essere trasformati in alberi al momento della loro morte, perché con la quercia e i grandi alberi antichi “si connette un’idea di perennità e di sacralità”. 46 Il suo legno è duraturo e resistente al tempo, come dimostrano gli aggettivi che gli vengono riferiti dai poeti latini: antiquum, annosum, longevum, durum, non expugnabile, tenax. 47 La perla a forma di ghianda, assegnata ad Ebla per le cerimonie funebri e rinvenuta nella tomba principesca del periodo amorreo, è possibile pertanto fosse un’allusione pars pro toto alla quercia in quanto albero sacro, legata, quindi, alla simbologia ora descritta e considerata come un talismano, un emblème de vie. 48 gír ƒà-lum, “splendente”. [1] ARET VII 43 r. I:1-6: šušanaµ lá-1/2 kù-sig¥± / zi-da / 2 gír mar-tu / / (cancellato) / 2 gír mar-tu ƒà-lum / i-ti-NI; [2] MEE 7 40 r. I:1 - IV:7: ...] gír mar-tu kù-sig¥± / 20 lá-2 gír mar-tu ti kù-sig¥± / ƒà-lum / 12 gír mar-tu ti kù-sig¥± / 23 gír mar-tu ga-me-ù // 71 gír mar-tu game-ù kù:babbar / 13 gú-li-lum a-gar®-gar® kù-sig¥± TAR-2 / 21 gú-li-lum agar®-gar® kù-sig¥± 11 / 5 gú-li-lum a-gar®-gar® kù:babbar TAR-2 / 10 lá-3 gúli-lum // a-gar®-gar® kù:babbar 11 / lú šu-ba­-ti / 7 gír mar-tu kù-sig¥± / 2 gír mar-tu ti kù-sig¥± / ƒà-lum / 10 lá-1 gír mar-tu ti kù-sig¥± / 3 gír mar-tu zú AN.LAGAB×AN kù-sig¥± / 15 gír mar-tu (...) // (...) / 4 gú-li-lum a-gar®-gar® kù-sig¥± TAR-2 / 6 gú-li-lum a-gar®-gar® kù-sig¥± 11 / 3 gú-li-lum a-gar®-gar® kù:babbar TAR-1 / 5 gú-li-lum a-gar®-gar® kù:babbar 11 / lú al°-tuš / sal-la¾; [3] MEE 7 50 v. VII:2-7: 1 gír mar-tu ti ƒà-lum kù-sig¥± / íl-e-i-šar / ì-na-sum / su-na-im / šu-i; [4] MEE 10 20 r. V:29-33: šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ 1 gír martu ti kù-sig¥± / ƒà-lum / AN-[...]-URU / lú du-bí-[...]; 43 Grottanelli 1979, p. 57. Rodio, Argonautiche III, vv. 1214 ss. 45 Per i legami di questa vicenda con le tradizioni mitologiche del Vicino Oriente antico, Hollis 1983, pp. 108 e ss. 46 Degl’Innocenti Pierini 1990, p. 46. 47 Per la simbologia della quercia nella letteratura latina, si vedano anche Maggiulli 1977, pp. 421 ss.; Maggiulli 1979, pp. 279 ss.; Citti 1984, pp. 43-64. 48 Come ad esempio avverrà più tardi per il fiore di loto nell’iconografia fenicio-punica (Ben Younes 1985, pp. 63 ss.). 44 Apollonio Capitolo IV 102 [5] MEE 10 20 v. XVII:23-31: 1 ma-na šušanaµ kù:babbar / šu-bal-aka / 16 kùsig¥± / ni-zi-mu / 16 gír šum kù-sig¥± / 2 gír mar-tu ti kù-sig¥± / ƒà-lum / 2 gír mar-tu ti kù-sig¥± / 1 gír mar-tu [...; [6] MEE 10 20 v. XXI:15 - XXII:5: 50 gín DILMUN nagga / šub si-in / 6 ma-na šušanaµ gín DILMUN a-gar®-gar® / kin®-aka / 20 gír mar-tu ti kù-sig¥± / ƒà-lum / 6 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / zi-du-SÙ / ab / 2-1/2 gín DILMUN nagga / šub si-in / 19 gín DILMUN a-gar®-gar® / kin®-aka / 1 gír mar-tu / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-du-SÙ; [7] MEE 12 35 r. IX:13-22: 2 4-NI nagga / šub si-in / 18 gín DILMUN a-gar®gar® / 1 gír mar-tu ƒà-lum / šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-du-SÙ / da-zi-ma-ad / ugula surµ-BAR.AN; [8] MEE 12 36 r. III:12-19: 15 gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ 1 gír mar-tu ƒàlum / gú-ba-lum / lú du-bí-zi-kir; [9] MEE 12 37 r. XVI:16-25: 2 gín DILMUN 4-NI nagga / šub si-in / 18 gín DILMUN a-gar®-gar® / 1 gír mar-tu ƒà-lum / šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-du-SÙ / du-bí-šum / lú ðáb-ra-ar ; [10] MEE 12 37 v. II:11-18: ša-pi-5 gín DILMUN nagga / šub si-in / 6 ma-na agar®-gar® / 20 gír mar-tu ƒà-lum / 6 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 1 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / zi-du-SÙ; [11] MEE 12 37 v. XVI:26 - XVII:4: 3 ma-na šušanaµ 4 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 51 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / nu¥¥-za 64 gír mar-tu kùsig¥± / 20 gír mar-tu ƒà-lum kù-sig¥± // 50 gír mar-tu ti kù-sig¥± / 10 gír mar-tu ba-du-u­ kù-sig¥± / 4 gír mar-tu ba-du-u­ ‹babbar›-kù-sig¥± / 6 gír mar-tu zú LAGAB×AN kù-sig¥±; [12] TM.75.G.1447 r. III:4 - V:2: 49 gír mar-tu libir / LAK-425 GABA / SU± X // wa / 1 gír mar-tu kù-sig¥± / 2 gír mar-tu ƒà-lum / 20 gír mar-tu giš-SAL / 20 gír mar-t[u] ga-[me-ù] [kù:]babbar / iš¥¥-gi-li-im / šu-ba­-ti; [13] TM.75.G.2359 r. XI:17-19: 50 1 gír mar-tu ti kù-sig¥± wa ƒà-lum; [14] TM.75.G.12433 r. V:2: 51 20 gír mar ƒà-lum. Questo termine, impiegato nei testi economici in relazione ai pugnali gír mar-tu e gír mar-tu ti, 52 è stato recentemente identificato “con la designazione a-lum della terza dinastia di Ur” da G. Pettinato e F. D’Agostino, che ritengono pertanto si tratti di “un pugnale atto alla tosatura della pecora ƒà-lum”. 53 Ma questa interpretazione non trova alcun valido riscontro. 54 49 Edito da Archi 1987, pp. 71-72. Citato da Archi 1997, p. 274. 51 Citato da Archi 1987b, p. 71. 52 Per le attestazioni della grafia in altri contesti, si rimanda a Archi 1997/98b, p. 274. 53 Pettinato - D’Agostino 1995, p. 145. Stessa conclusione anche in Pettinato 1994, pp. 191-193, con un accostamento foneticamente e semanticamente improbabile “alla radi50 Il lessico degli oggetti 103 Tenendo conto delle norme fonetiche del sillabario eblaita, questa parola può essere spiegata tramite l’accadico ellum (da *ïll), “(essere) puro; splendente”, 55 che indica non soltanto uno stato di purezza rituale, ma anche lo splendore e la brillantezza di metalli, gemme e oggetti preziosi, senza particolari implicazioni cultuali, ed è pertanto sinonimo di ebbu e namru. 56 Si confronterà negli inventari di Qatna l’assegnazione in II:11 di 1 gír kù-sig¥± el-lu, un pugnale d’oro puro o “or claire” come preferisce l’editore. 57 Ad Ebla con maggior probabilità si tratta di una qualifica dell’oggetto e non dell’oro con cui l’oggetto è realizzato, dato che nella sequenza ƒà-lum talvolta precede kù-sig¥± (in [3] e [11]) e almeno in un caso [13] gli stessi due termini sono connessi tramite la congiunzione wa. 58 gír ƒà-ma-da-núm, “di qualità eccellente; pregiato”. [1] ARET I 44 r. V:7-11: 4 kù:babbar / šub si-in / kù-sig¥± / kin®-aka 1 gír mar-tu ƒà-ma-da-núm / ìr-ƒà-ag-da-mu; [2] ARET VII 38 (2): 14 kù-sig¥± / 4 kù:babbar / kin®-aka 1 gír mar-tu ƒà-ma:danúm / ìr-ƒà-ag-da-mu; [3] ARET VII 42 (1-2): 2 kù-sig¥± / 6 kù:babbar / NU¥¥-za 2 an-dùl / du-bù-ðu-¼ƒàda / 2 kù:babbar / 1 gír ƒà-ma-da-núm / 1/2 kù:babbar / ga-ma-a-tum-SÙ / 1 dumu-nita-SÙ. Il termine eblaita ƒà-ma-da-núm, finora non interpretato in modo pertinente, 59 è impiegato in relazione a “pugnali” (gír e gír mar-tu), nei testi ce ‚al «sopra»”. Precedentemente Archi 1988f, p. 205, pensava ad una grafia abbreviata per ƒà-ma-da-LUM (si veda s.v. ƒà-ma-da-núm). 54 Come giustamente notano anche Archi 1997/98b, p. 274; Waetzoldt 2001, p. 222. 55 CAD, E, pp. 102 ss. Si veda già Mander 1990, p. 88, “dagger (of) the shiny (type)”. Diversamente Pettinato - D’Agostino 1995, p. 146, riconducono all’accadico ellum solamente il termine omografo presente in MEE 7 34 v. XII:1'-5': 12 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 1 šu-dub / ma-lik-tum / ƒà-lum. 56 Ed è in tal senso sinonimo dell’ebraico ýhwr, ma si distingue da qdš, che al pari del sumerico kù, può alludere ad uno stato di purezza sovrannaturale (Meyers 1976, pp. 27 s.; Wilson 1994, pp. 93 ss. e passim). 57 Bottéro 1949, p. 17. 58 Il dato, comunque, non sembra costituire una prova a sostegno dell’ipotesi che ƒàlum sia l’abbreviazione di ƒà-ma-da-LUM, come invece suppone Archi 1997/98b, p. 274. 59 L’ipotesi avanzata da Archi, 1985, p. 276; 1988, p. 205; H. Waetzoldt 1990, p. 15; G. Pettinato - F. D’Agostino 1995, pp. 146-147 (sempre con lettura ƒà-ma-da-LUM), secondo cui la grafia ƒà-LUM, che altrove con più frequenza nei testi amministrativi eblaiti è impiegata per qualificare i pugnali mar-tu sia da ritenersi un’abbreviazione del lemma qui considerato, a nostro giudizio non si impone. Capitolo IV 104 amministrativi noti, in assegnazioni di oggetti realizzati in metallo prezioso per importanti personaggi della corte eblaita, tra cui il principe ìr-ƒàag-da-mu. La grafia può essere spiegata in maniera semanticamente e foneticamente adeguata come una formazione a suffisso aggettivale -…n, derivata dalla radice semitica occidentale *ïmd “apprezzare; lodare”, e, quindi, “pregiato; eccellente”. La radice *ïmd risulta attestata anche successivamente, nei testi di Amarna, in ugaritico, ebraico, aramaico ed arabo, per indicare la preziosità di oggetti, dovuta in particolar modo alle loro caratteristiche di lavorazione. Si vedano, ad esempio, l’ebraico biblico ïmwdwt, “pregio”, usato sovente in genitivo dopo il nome di un oggetto in stato costrutto ad indicarne la buona qualità (2 Ch 20:25), e ïmwd, “prezioso; eccellente”, nonché l’arabo ïam–d e ïam¢d, di significato affine. a-na-bù-bí-tum (varr. a-na-bù-bù-tum, ù-nu-bù-bí-tum), “forcina tubolare”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] ARET II 31 (1): 10 <giš>geštu<-lá> kù-sig¥± 2 kù-sal 1 ša-mu 1 ma-ða-na-gúm 4 zaµ sag 5 si-da-tum gugµ za-gìn / si­-si­ kù-sig¥± / 2 ti-ki-na / 1 ma-da-ðu / 1 giš-šu-dub / 1 ti-ba-ra-núm / 1 ù-nu-bù-bí-tum / 1 gú-zú-ra-tum kù-sig¥± gugµ za-gìn / GÁxLÁ 1 ma-na ša-pi-6 kù-sig¥± / 2 giš-DU / 2 bu-di / sag / kù-sig¥± / GÁxLÁ 1 ma-na kù:babbar / 4 zara°-túg / 1 túg-NI:NI / 16 aktum-túg ti-túg / níg-ba / i-ti-mu-ud / in u­ / é / ru¥©-zi-ma-lik; ARET IV 19 (17): (...) 2 kù-sig¥± / 1 ša-mu / 1 a-na-bù-bù-tum / (...) gi-mi-NIza-du / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; MEE 10 20 r. III:16 - V:9: (...) 2 1 ša-mu / wa / 1 ti-ba-ra-núm / wa / 1 a-nabú-bí-tum / zaµ / gibil / (...) níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­; MEE 10 20 v. V:8 - VI:7: (...) 2 1 ša-mu / wa / 1 a-na-bù-bí-tum / (...) gi-miNI-za-du / nin-ni / ma-lik-tum / si-in / É×PAP; TM.75.G.1250+ARET XII 874 r. III:3: 60 (...) 1 ša-mu 1 a-na-bù-bí-tum / (...) 1 kù:babbar / 1 ša-mu / ab / 1 ma-na kù-sig¥± / 2 níg-anše-aka 4 kù-sal / TAR kù-sig¥± nu¥¥-za / 2 giš-GAM.GAM 1 giš-gígir-ii / mu-túm / i-bí-zi-kir; TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 61 (...) 1 ša-mu 1 a-na-bù-bí-tum 1 / (...) 1 ša-mu 1 kù:babbar / (...) i-bí-zi-kir / ti-iš-te-da-mu / dumu-mí en / si-in / É×PAP; TM.75.G.2334 r. I:1 - III:17: 62 (...) 10 kù:babbar 2 kù-sig¥± / 1 ša-mu 1 a-nabù-bí-tum 1 / (...) mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / damdingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; 60 Citato da Biga 1998a, p. 20. Join citato in ARET XII. Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. 62 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 61 Il lessico degli oggetti 105 [8] TM.76.G.288 r. II:6 - IV:14: 63 (...) 2 1 ša-mu / wa / 1 ti-ba-ra-núm / 1 a-nabú-bí-tum / (...) níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾. Il lemma è stato interpretato come “(gioiello a forma di) tubo o cannuccia”, in quanto sostantivo derivato da *nbb, “essere concavo; vuoto”, 64 radice di ampia attestazione semitica, successivamente nota in accadico, ugaritico, 65 ebraico ed arabo. Ad Ebla questa radice è documentata anche con il significato di “produrre un suono; zufolare” nella glossa na-ba-bùum (= KA.GI.DI, in VE 218, fonte A). 66 Si tratta di uno sviluppo semantico comune anche ad accadico ed arabo, che derivano da *nbb rispettivamente i sostantivi emb¢bu e anb¢b, indicanti il flauto. Il termine dei testi amministrativi eblaiti, non sembra, tuttavia, potersi considerare la lettura semitica del sumerogramma gi-di, “flauto”, noto altrove nella documentazione di Ebla e per la cui realizzazione si utilizzava apparentemente del metallo non prezioso. 67 I contesti sconsigliano ampiamente questa soluzione. Data, infatti, l’esclusiva ricorrenza negli inventari di oggetti destinati ad importanti personaggi femminili della corte, in occasione di nozze, investiture sacerdotali o cerimonie funebri, l’oggetto deve considerarsi più verosimilmente come un tipo di ornamento, realizzato di norma in metallo prezioso oppure, in [1], in metallo prezioso e pietre dure (corniola e lapislazuli, gugµ za-gìn) ed assegnato sempre in numero di uno e sempre insieme ad uno šamu, che indica probabilmente il fermaglio a forma di uncino che serviva a tenere ferma la forcina. La stretta relazione tra questi due oggetti preziosi pare ulteriormente ribadita dal fatto che i termini sono di norma scritti nella stessa casella. Ciononostante, ša-mu può essere assegnato anche indipendentemente come accessorio di una collana (si veda s.v.). In [3, 8] a questa coppia di oggetti si aggiunge un ti-ba-ra-núm, “copricapo; turbante” (si veda s.v.). Entrambi questi passi si riferiscono alle assegnazioni di oggetti preziosi per l’investitura di di-ne-íb-du-lum, sorella dell’ultimo re 63 Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. Edzard 1981, p. 143, Questa etimologia è stata accolta da Mander 1990, p. 87; Fronzaroli 1995, p. 60; Pettinato - D’Agostino 1995, p. 39; Archi 2002a, p. 187. 65 Seguendo l’ipotesi di Margalit 1980, p. 32, da *nbb deriverebbe il termine ugaritico nbt, “blow-pipe”, che nel testo mitologico KTU 1.4 I:31 pare indicare un oggetto in metallo prezioso forgiato dal divino artigiano Koøar-wa-Ðasis come dono per la dea ƒAšerah. Ma si vedano Dietrich - Loretz 1978, p. 60, con bibliografia precedente. 66 Conti 1988, pp. 45-46; Conti 1990, p. 99. 67 MEE 12 35 r. XXVIII:8-14: 1 gín DILMUN nagga / šub si-in / 6 gín DILMUN agar®-gar® / wa-za-rí-iš / 1 gi-di / NE.DI / en. 64 Capitolo IV 106 di Ebla, a sacerdotessa del dio ¼ƒa®-da-bal di lu-ba-an¾. 68 In [1], un passo di un testo databile alla fase più antica degli archivi e riguardante le nozze della principessa i-ti-mu-ud con ru¥©-zi-ma-lik, compaiono ugualmente tutti e tre questi oggetti, sebbene siano registrati in apparenza separatamente. Ciò è dovuto alla differenza nei materiali usati, oltre all’oro, per la loro realizzazione: corniola, lapislazuli e corniola rossa (gugµ za-gìn si­-si­) per ša-mu, solo corniola e lapislazuli (gugµ za-gìn) per ti-ba-ra-núm e ù-nu-bùbí-tum. È molto probabile, data la presenza di ti-ba-ra-núm, “copricapo”, che questa serie di oggetti preziosi costituisse l’occorrente per l’acconciatura cerimoniale delle dame di corte. Come ipotesi di lavoro, è quindi possibile supporre, 69 che il gioiello fosse una specie di forcina tubolare usata come fermacapelli. Si può ricordare in proposito nell’antica Roma l’usanza, fino da epoca alta, per le nubendae il giorno delle nozze come per le Vestali il giorno della loro consacrazione, di indossare le hélikes, forcine tubolari in bronzo, argento od oro con terminazione a grani d’ambra o pendenti, rinvenute in tombe femminili di VIII-VII secolo a.C. in Etruria meridionale e nel Lazio disposte sul capo delle defunte. Queste forcine assieme alla caelibaris hasta, un ago crinale a forma di uncino, tenevano ferma l’acconciatura a seni crines, ovvero “capelli divisi per sei”, secondo un ornatus vetustissimus che si suppone risalente al IX-VIII secolo a.C. Sui capelli così acconciati veniva poi steso il copricapo, il suffibulum per le Vestali, il flammeum per le nubendae. 70 ƒà-ra-ma-tum (varr. ƒà-la-ma-tum, ƒà-ra-ma-da), “(un gioiello)”. [1] ARET III 218 r. III:1-5: 1 ma-na 8-1/2 kù-sig¥± / 2 ƒà-ra-ma-da 17 / 2 kù-sal 30 / 1 ma-ða-na-gúm 30 / 1 mi-at / [...; [2] MEE 7 47 v. III:1'-9': ... 4* ƒà]-ra-ma-tum / 10 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / [nu¥¥]-za / [...] 71 / [níg-ba] / ¼utu / SAZAµ¾; [3] MEE 10 20 r. III:16 - V:9: (...) 50 4 ƒà-ra-ma-tum / 8 2 buru­-mušen / 8 2 kùsal / 3 1 bu-di ma-rí¾ / (...) níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ ; [4] MEE 10 20 r. VI:1-11: 10 ma-na ša-pi-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na 9 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 ma-na kù:babbar / 4 ƒà-ra-ma-tum / 1 68 Per il dossier relativo a questa dama di corte, Archi 1996c, pp. 74 ss. 2002a, p. 187. 70 In proposito Sensi 1980, pp. 58-59 e ss.; Torelli 1984, pp. 33 ss. 71 L’integrazione 1 gír mar-tu proposta dall’editore non risulta adeguata al contesto relativo ad un’offerta alla dea solare. 69 Archi Il lessico degli oggetti [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] [12] [13] [14] 107 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5 ma-na 10 gín DILMUN za:gìn / kin®-aka / ¼GÁ×SIG±-iš / zi-da-la¾ ; MEE 10 20 r. X:21 - XII:8: (...) TAR-6 4 ƒà-ra-ma-tum / wa / 2 buru­-mušen / 4 2 kù-sal / (...) zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾ / šu-mu-taka­; MEE 12 35 v. XII:34 - XIII:24: 10 lá-2 ma-na ša-pi-2-1/2 / kù:babbar / šubal-aka / 1 ma-na ša-pi-4-1/2 / kù-sig¥± / 10 lá-3 gišgeštu-lá 12 / 2 ti-gi-na // 18 / 84 du-ru¥©-gú 10 / 96 gur-gú-ru¥© 12 / 4 ƒà-ra-ma-tum 18 / 2 zà (...) 3 / (...) / (...)-ga-nu šušanaµ-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 8 / 10 (...) 2 / 10 (...) / (...) / (...) / šušanaµ kù:babbar / (...) / (...) / 7-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 kù-sig¥± / maš-maš 1 giš-banšur / nu-ba-du / dumu-mí / ù-ti / na-rú / en; MEE 12 35 v. XVII:22 - XVIII:4: 10 lá-2 gišgeštu-lá ‹šušanaµ?›-3 / 4 ƒà-ra-matum 14?-1/2 / 2 zà 7 / 60 du-ru¥©-gú 12-1/2 / 2 gú-zu-ra-tum 5-1/2 / 2 kù-sal 5 / 92 gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / KA-dù-gíd / sikil / ab / 2 gišDU ša-pi / 2 ti-(gi-na ...) / (2 ti-gi-na) giš-zú ša-pi / 1 šu-dub 4 / KA-dù-gíd / (...); TM.75.G.272 r. I:1 - II:4: 72 4 ƒà-la-ma-tum kù-sig¥± / 1 du-rúm kù-sig¥± / 3 gúzu-la-na-tum kù-sig¥± / 4 bu-di "luµ" kù-sig¥± / 6 bu-di kù-sig¥± / 2 ti-gi-na kùsig¥± / 50 bu-di kù:babbar / 60 bu-di zabar / 2 bur-KAK kù-sig¥± / lú en; TM.75.G.1250 73 +ARET XII 874 r. III:3: (...) 4 ƒà-ra-ma-tum 2 zà šušanaµ-31/2 / 2 kù-sal 3-1/2 / (...) mu-túm / i-bí-zi-kir ; TM.75.G.1330 r. I:1 - V:6: 74 (...) TAR-6 kù-sig¥± / 4 ƒà-ra-ma-tum / wa / 2 buru­-mušen / 4 kù-sig¥± / 2 kù-sal / 12-1/2 kù-sig¥± / (...) zú-ga-lum / ma-liktum / ða-ra-an¾ ; TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 75 (...) 4 ƒà-ra-ma-tum 2 zà šušanaµ-5 / (...) mutúm / i-bí-zi-kir / ti-iš-te-da-mu / dumu-mí en / si-in / É×PAP; TM.75.G.2334 r. I:1 - III:17: 76 (...) 4 ƒà-ra-ma-tum 2 buru­-mušen šušanaµ-8 / (...) dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / dam-dingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­ ; TM.76.G.288 r. II:6 - IV:14: 77 (...) [50 4 ƒà-ra-ma-tum] / lu-ba-an¾ / [8 2 buru­]-mušen / 8 2 kù-sal / [3 1 bu-di] ma-rí¾ / (...) níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾ ; TM.75.G.10088 v. XVII:24 - XVIII:10: 78 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at gur-gúru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP. 72 Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 145, con lettura ƒà-la-tum-ku°. da Biga 1998a, p. 20. 74 Citato da Archi 2002a, pp. 167-169. 75 Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. 76 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 77 Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. 78 Citato da Archi 2002a, p. 178. 73 Citato 108 Capitolo IV Il termine è noto nei testi amministrativi in contesti di gioielli ed oggetti preziosi. In [8] la grafia ƒà-la-ma-tum rispetta l’attitudine dello scriba redattore della tavoletta, che sembra fare ampio uso dei sillabogrammi della serie LA per /r/ etimologica. 79 In [1] ƒà-ra-ma-da è indicazione del duale. Se ne assegnano di norma 4, più raramente [1, 14] se ne attribuisce una sola coppia. Elementi di sua partinenza sembrano essere talvolta 2 kùsal in forma di falco (buru­-mušen) in [3, 5, 10, 12] oppure 2 zà, probabilmente “parte esterna” o “rivestimento”, 80 in [6, 7, 9, 11]. Questo sumerogramma, che ricorre ad Ebla soprattutto in contesti di carri, di vasi o sculture, si ritrova almeno in un altro caso in relazione ad un gioiello: MEE 10 20 v. X:27 - XI:6: 3 gín DILMUN kù:babbar / 1 bu-di / zà / dumu-mí / igrí-iš / dam / en. Destinatari di questo oggetto prezioso sono esclusivamente divinità femminili (l’offerta è, infatti, per la statua di culto della dea ¼utu di SAZAµ¾ in [2] e per quella della dea ¼GÁ×SIG±-iš di zi-da-la¾ in [4] assieme ad un certo quantitativo di lapislazuli) e personaggi femminili della corte eblaita, in occasione di nozze, investiture sacerdotali, riti funerari, ed altre cerimonie, come, ad esempio, in [6], dove la destinataria, una dumu-mí di ù-ti, uno dei figli del ministro ib-rí-um, pare aver avuto parte attiva in un importante rito (nu-ba-du) 81 connesso con il na-rú / en. In [8], invece, questo ed altri ornamenti tipici ed esclusivi dell’abbigliamento femminile eblaita (quali du-rúm e bu-di) risultano di pertinenza del sovrano (lú en), che si suppone dovesse poi assegnarli alle nobildonne della corte quale corredo per le cerimonie oppure donarli alle statue delle divinità femminili in occasione delle festività legate al loro culto. Le norme fonetiche del sillabario eblaita suggeriscono 82 un confronto con il sem. *ïrm, “coprire”, 83 solitamente riferito ad oggetti sui quali è 79 Nella stesso testo, infatti, compare anche la grafia gú-zu-la-na-tum, anch’essa attestata finora solo qui, variante dell’assai più frequente gú-zu-ra-na-tum, “fermaglio”. 80 Conti 1990, pp. 36-37; Waetzoldt 2001, pp. 83 e 511. 81 Come giustamente propongono D’Agostino - Seminara 1997, pp. 6-7; Waetzoldt 2001, pp. 326 e 397-398, la grafia nu-ba-du indica la cerimonia a cui la nipote di ib-rí-um prende parte e come tale può essere confrontata con il termine omografo dei testi rituali, che Fronzaroli 1993, p. 48, traduce come “veglia; celebrazione vigilare”, ritenendolo prestito dall’accadico nubattu, “recinto (per la notte)”. 82 La stessa motivazione porta ad escludere la proposta di Baldacci 1994, p. 58, n. 5 (arabo ðarama, “perforare; incidere”). Precedentemente il termine era stato tradotto “Bergziege” da Mander 1990, p. 87, sulla base di un accostamento con il paleoaccadico armatu, così interpretatato in AHw, p. 69, ma in realtà di significato incerto. Si tratterebbe, infatti, di Il lessico degli oggetti 109 stesa una «ricopertura» o «membrana» di pelle, metallo o altro materiale. 84 Ne sono esempi i seguenti sostantivi accadici: ermu, indicante l’involucro delle tavolette, 85 e, a nostro giudizio, anche erimmatu, equivalente di na­nunuz, “perla a forma di uovo”, come riferimento appunto al “guscio”, che queste perle imitavano. 86 Questa interpretazione non contraddice la traduzione “pectoral”, proposta per la parola eblaita da Archi, senza fornire etimologia. 87 Tuttavia, la considerazione fatta dall’autore, secondo cui “taking into account its weight and that it was used in pairs, its identification with pectoral, shaped in some way like the female breast, seems probable”, dev’essere rivista, nel senso che di questo oggetto prezioso se ne assegnano, come già osservato sopra, di norma 4 ad personam e solo più raramente 2. Nonostante l’etimologia, allo stato attuale rimane a nostro avviso difficile fornire una traduzione del termine. ar-ra-su, (varr. a-ra-su, ar-ra-sù, ar-ra-si, ar-ra-šum, ar-su), “(un elemento decorativo)”. passim. “copper part of the door” per CAD, A/2, p. 291, o semplicemente di “object of bronze” per Gelb 1957, p. 65. L’ipotesi di Mander è accolta da D’Agostino 1997b, p. 262 (“[oggetti in forma di] capre di montagna”); Pettinato - D’Agostino 1995, p. 147 (“gioiello o scultura in forma di capra di montagna”); Pomponio - Xella 1997, p. 211 (“moutons”); e, con dubbi, da Waetzoldt 2001, pp. 325 e 331 (“Anhäger in Form einer Berziegen? ”; “Berziegen?Anhäger”). Data anche la diffcoltà nel definire il significato del paleoaccadico, l’interpretazione di Mander appare a nostro avviso poco probabile. 83 Come riconosciuto da Fronzaroli 1965, p. 250, è questo il significato origenario della radice e come tale si è conservato in accadico (e possiamo ora aggiungere in eblaita), nonostante l’ampia attestazione del significato di “interdire” nelle lingue semitiche successive. 84 Come osserva Conti 1978, p. 100, che rintraccia questo stesso significato nelle attestazioni antico egiziane della radice. 85 Si veda CAD, E, p. 302. 86 Si tratta di un tipo di perla utilizzata sia isolatamente come pendente, sia raccolta in più esemplari a formare una collana. Per estensione, quindi, il termine è passato a significare anche “collana di perle a forma di uovo”, abbreviazione di gú erimmati. Questo particolare gioiello è noto nei testi di Mari e negli inventari di Qatna, dove è di pertinenza sia di personaggi di alto rango, sia dei simulacri delle divinità, in genere femminili (si vedano in proposito CAD, E, p. 294; Bottéro 1949, pp. 5 e 14-15; Durand 1983b, p. 235). Per erimmatu non è stata fornita finora un’etimologia (si veda tra gli altri Salonen 1961, p. 42, che pensa ad un prestito dal ðurrita). 87 Archi 2002a, p. 187. Capitolo IV 110 Nei molti contesti in cui sono attestate, queste grafie identificano costantemente un elemento accessorio per la “mazza (cultuale)” (ŠITA+GIŠ // ða-bù) di pertinenza alle statue delle principali divinità maschili del pantheon eblaita. In questi contesti l’oggetto è sempre assegnato nel numero di uno (quando non è contanto se ne può comunque supporre l’unità) per arma e gli viene attribuita una “decorazione” (nu¥¥-za). Solo i tre passi seguenti tra quelli finora noti contravvengono sostanzialmente a questa norma: [1] TM.75.G.1284 r. VII:1 - v. III:3: 88 2 al°-la-nu nab-ðu / wa / al°-la-nu wa-raga-tum / 10 ar-ra-su gìn-gìn / 60 lá-2 gur<-gú>-ru¥© gìn-gìn / 1 mi<-at> gur<-gú>-ru¥© gìn si­ / 1 si-da-tum-ii / 11 maš kù-sig¥± / 60 gur<-gú>-ru¥© mað / 1 mi-at 10 lá-2 gur<-gú>-ru¥© gìn kù-sig¥± tur / 1 mi-at 70 lá-1 gur<gú>-ru¥© gìn-gìn / 2 mi-at 4 gur-gú-ru¥© gìn si­ / 1 si-da-tum-iii; [2] TM.75.G.1727 v. III:7-11: 89 1 zi-bar tur GÁ×LÁ 5-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± ¼ba-al°-tum lu-ba-an¾ 1 ar-ra-su kù:babbar ¼ƒa®-da-bal; [3] TM.75.G.2428 r. XXIX:18-30: 90 11 ma-na šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 da-bí-tum 16 / 2 ù-bù šušanaµ / 4 ar-ra-su šušanaµ / 8 mi-at 30 ða-za-nu / 9 mi-at 70 giš-ÍB? / 13 giš-SAL / 76 dug / 1 ma-na šušanaµ-1 gín DILMUN kù-sig¥±-SÙ / 1 dib ar-mi¾ / en. Nel passo [1] 10 ar-ra-su in lapislazuli (gìn-gìn) sono citati tra le perle che compongono un’elaborata collana o nastro ornamentale (si-datum), mentre [2] riferisce dell’offerta di 1 ar-ra-su in argento al dio ¼ƒa®da-bal di lu-ba-an¾, (apparentemente non in relazione con la mazza cultuale) e di un vaso zi-bar di piccole dimensioni alla sua paredra. Il contesto [3] è, invece, un inventario di oggetti preziosi destinati al sovrano, che comprende contenitori (dug), elementi di gioielleria (ða-za-nu, dib) ed altri oggetti di più complessa interpretazione. Tra i beni elencati figurano 4 arra-su. Pare evidente, pertanto, che l’oggetto pur essendo generalmente usato come abbellimento dell’arma cultuale delle divinità maschili, poteva anche essere realizzato e forse impiegato separatamente. Non può essere neppure esclusa l’eventualità che in alcuni casi gli oggetti servissero per il restauro di altrettante armi danneggiate o con mancanze. 88 Citato da Archi 2002a, p. 195. Citato da Pomponio - Xella 1997, p. 117. 90 Citato da Pettinato 1992, p. 200. 89 Il lessico degli oggetti 111 Per questo termine è stata reecentamente proposta una derivazione dal semitico occidentale *ïrš, 91 noto con il significato generico di “compiere lavori artigianali o artistici” a partire dall’ugaritico, 92 supponendo si tratti di elementi figurativi ornamentali che abbellivano in qualche punto la superficie dell’arma. L’attestazione eblaita pare rendere ora ragione all’ipotesi di Garbini, 93 secondo il quale, oltre al significato generico, la radice doveva presentarne anche uno più tecnico e precisamente “incidere; scolpire”. Una traduzione “incisione o scultura (decorativa)” risulta infatti pertinente ai contesti. Quando l’oggetto è impiegato come componente di una collana, si potrà trattare di piccole immagini usate come pendenti. a-za-mu, “pestello”. [1] ARET VII 23: 1 an-zamµ 1 pad-SÙ 1 a-za-mu kù-sig¥± si / mu-túm / i-bí-zi-kir / en / in / bù-zu-ga¾ / (anep.) / iti i-ba­-sa. Il termine è per il momento attestato una sola volta nella documentazione eblaita edita in un passo, che registra un “apporto” (mu-túm) del ministro i-bí-zi-kir in favore del sovrano. Tale apporto è costituito da 1 anzamµ, “brocca”, con relativo coperchio (pad-SÙ), a cui si aggiunge 1 a-zamu. I materiali impiegati per la realizzazione di questi oggetti sono metallo prezioso (oro, kù-sig¥±) e avorio o corno (si). Il contesto sembra pertanto suggerire il nome di un contenitore o di un accessorio pertinente ad un contenitore. Difficilmente, però, la grafia potrà essere spiegata mediante un confronto con l’accadico assammu, 94 che risulta essere un prestito dal sumerico an-za-am (an-zamµ secondo la grafia eblaita), e come tale è impiegato nella lista lessicale bilingue eblaita in VE 788, an-zamµ = a-za-muum (fonte A). Proprio questo vaso ricorre, infatti, come osservato sopra, assieme ad a-za-mu nella stessa assegnazione. Una possibilità consiste, quindi, nello spiegare questa rara parola eblaita mediante la glossa di VE 417, giš-gi-na = a-za-mu-um (fonte D), /‚añmum/, sem. *‚añm-, “osso”, ma 91 Fronzaroli 1996, pp. 66-67. La variante a-ra-su risulta poco accurata nell’impiegare a per /ïa/ anziché il segno specifico ƒà. Deviazioni a questa norma sono comunque note anche altrove ad Ebla (Conti 1993, p. 97). 92 Per un’analisi delle attestazioni di questa radice tecnica, probabilmente derivata da un’origenaria base bilittera *ïr variamente ampliata, nelle lingue semitiche, Sznycer 1965, pp. 38-43. 93 Garbini 1965, pp. 85-86. 94 Archi 1988f, p. 206 s.v. Capitolo IV 112 anche un tipo di bastone. 95 Nel contesto [1] è possibile si trattasse di piccolo bastoncino usato come paletta o pestello, accessorio del vaso an-zamµ, dando così ragione all’ipotesi di Steinkeller di prendere in considerazione la possibilità che giš-gi-na sia una scrittura fonetica per giš-gana, “pestello”. 96 (gír) ba-du-u³ (varr. ba-du-u­, ba-du), “(elemento accessorio dei pugnali)”. passim. Queste grafie ricorrono nei numerosissimi documenti amministrativi che le attestano sempre ed esclusivamente come qualifica dei pugnali (gír). Il termine non risulta essere mai contato e i passi in cui segue immediatamente il numerale sono da ritenersi espressioni ellittiche dove è omesso il sumerogramma gír. Semanticamente, Pettinato suggerisce un confronto con il semitico *ptï, “aprire”, e, quindi “(cerchietto di metallo) sull’entrata della guaina”, 97 mentre Archi traduce “fodero” sulla base del paleoaccadico baýiyum, un contenitore, in legno, metallo o avorio. 98 La prima proposta è foneticamente insostenibile, escludendo il segno u­ un’etimologia di terza /ï/ e imponendone, invece, una di terza /y/. 99 La seconda può considerarsi valida, sebbene il significato del termine paleoaccadico non sia del tutto chiaro e non risulti, comunque, attestato in contesti di armi. 100 L’interpretazione del lemma eblaita resta complessa. Come ipotesi di lavoro si può pensare anche ad un confronto con il raro termine accadico napdû, “fascia di rinforzo; legaccio” (da una radice *BDH), di attestazione medio babilonese e prevalentemente lessicale. 101 In tal caso si tratterebbe di elemento accessorio del pugnale (gír), verosimilmente una fascia metallica, che serviva a fermare il pugnale alla veste o alla cintura. 95 Conti 1990, p. 130 e n. 310. Il confronto tra il termine amministrativo e la glossa è anche in Pettinato - D’Agostino 1995, p. 45, con rimando però all’acc. azammu, “un oggetto d’oro”. 96 Steinkeller 1989, p. 37. 97 Pettinato 1980, p. 151; Pettinato - D’Agostino 1997, pp. 6 ss.; Mander 1990, p. 20; Waetzoldt 1990, p. 9. 98 Archi 1993, p. 621. Per il termine paleoaccadico, MAD 3, p. 103. 99 Per il valore di questo segno, Conti 1990, p. 19. 100 Per le attestazioni in arabo e aramaico, DRS 2, p. 59. 101 AHw, p. 737a, “ein Verstärkungsband oder -seil?”; CAD, N/1, p. 291b, “tie, bandage”. Il lessico degli oggetti 113 ba-ga-NE-sa (varr. ba-ga-NE-sa-a, ba-ga-NE-su), “(un gioiello)”. [1] ARET III 185 VII:1'-9': ...] níg-sa¥¤ 1 gír mar-tu kù-sig¥± / 8 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ba-ga-NE-su / 16 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 gišgeštu-lá [...; [2] MEE 2 12 r. VII:1 - VIII:6: (...) kù-sig¥± / ne-zi-mu / gišgeštu-lá / du-si-gú / 5 gín DILMUN / ne-zi-mu / dib / ìr-am°-da-mu / lú i-rí-ig-gú-nu / 2-NI gín DILMUN kù-sig¥± / ba-ga-NE-sa-SÙ / ša-pi-4 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥za 2 íb-lá / du-bí-zi-kir / lú i-rí-ig-ma-lik / a-mur-da-mu / lú du-bí-zi-kir / lú:tuš / ma-rí¾; [3] MEE 2 29 v. I:2-3: 1 gír mar-tu kù-sig¥± 2 ba-ga-NE-sa-a maš kù-sig¥± / gabada-mu; [4] MEE 10 27 v. V:3-11: TAR-6 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 dib / 4 ba-ga-NE-saa / dumu-nita / en / ra-ƒà-ag¾ / ù / dumu-nita / íl-ba-IGI.DU³; [5] MEE 12 35 r. III:14-25: 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 gišgeštu-lá 2 ba-ga-NE-sa / šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / 2 giš-DU 1 kad­ / Ú.KI / é / ¼ða-a-ƒà-ba / lú / é / ¼ƒà-da; [6] MEE 12 36 r. VI:27 - VII:7: 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ba-<ga->NE-sa / 2 ma-na 5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / šušanaµ-5 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 dib / íl-ƒà-ag-da-mu; [7] MEE 12 36 r. XI:10-19: 3 ma-na TAR 7-1/2 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / ša-pi-3-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 dib 15 / 2 ti-gi-na šušanaµ / 10 lá-2 gišgeštu-lá 6-1/2 / 2 ba-ga-ne-sa 2 / za-a-šè / dumu-mí / i-bí-zi-kir ; [8] MEE 12 36 r. XIII:1-6: 2 2-NI gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2-NI kù-sig¥± / 2 ba-ga-NE-sa / dumu-mí / in-gàr ; [9] MEE 12 36 v. XXX:12-17: šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 gišgeštu-lá / 2 ba-ga-NE-sa / i-bí-zi-kir ; [10] TM.75.G.10074 r. XVII:42 - XVIII:17: 102 5 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na kù-sig¥± / 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun / šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 gišgeštu-lá / 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ba-ga-NE-sa / i-bí-zi-kir / in u­ / EDEN / íl-ƒà-ag-da-mu / dumu-nita / ma-lik-tum. Si tratta di un oggetto prezioso di norma realizzato in oro e utilizzato a coppie, come dimostra anche la grafia più ricorrente ba-ga-NE-sa, che presenta la terminazione in -…(n) del duale. In [3, 4] la variante ba-ga-NEsa-a indica un genitivo duale, 103 mentre in [1] il nominativo ba-ga-NE-su può considerarsi come una forma pseudologografica. Solamente in [8] il manufatto non risulta connesso ad altri oggetti, mentre nelle altre attesta102 103 Citato da Biga 1996, pp. 52-53. In proposito Fronzaroli 1990, pp. 118-119. Capitolo IV 114 zioni finora disponibili lo troviamo associato con gír, “pugnale”, in [3], ma soprattutto con gišgeštu-lá, “orecchino”, in [1, 5, 9, 10] e con dib, “placchetta”, in [4, 6]. In [2], l’associazione è con entrambi questi gioielli ed il fatto che il termine sia seguito dal pronome suffisso -SÙ ad essi riferito suggerisce che si tratta di un loro accessorio o elemento decorativo. L’interpretazione del lemma risulta complessa. Pettinato - D’Agostino pensano ad un confronto, foneticamente non ovvio, con bù-ga-na, bùga-na-a (si veda s.v.), 104 a nostro avviso da escludere nonostante anche questo gioiello risulti associato almeno una volta a gír, “pugnale”. Waetzoldt suppone si tratti di due parole in stato costrutto, e quindi ba-ga NE-sa(-a), per la prima delle quali l’autore richiama la glossa di VE 198 KA-ba = [b]a-ga-ù-um (fonte A), ba-ga-um (fonti K, M), finora non interpretata. 105 bù-ga-na (var. bù-ga-na-a), “(un ornamento a forma di) pestello”. [1] [2] [3] [4] [5] MEE 2 16 r. V:2 - v. III:4: 30 ma-na kù:babbar / 1 ma-na kù-sig¥± / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / bù-ga-na-a / 1 gír / [n]a-ba-ðu / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 5 gín DILMUN gugµ za-gìn // 1 ƒà-da-um-túg 1 íb-iii-túg babbar 1 íb-i? / níg-ba / en-na-da-gan / du-bí-šum ur­! / i-péš-zi-nu / sá-gu-si / 1 šu-mu-taka­ / ìr-ra-ku¾ ; MEE 10 20 r. III:24 - V:9: (...) 1 bù-ga-na tur / 4 kù-sal esirµ!(GI×GI) / wa / E.GUL.ÐÚB.DU / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ ; TM.75.G.2334 r. II:8 - III:17: 106 (...) 2 bù-ga-na 2 / lú esirµ(LAK-173)e / (...) / ša-du / mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / dam-dingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­ ; TM.75.G.2462 v. V:13-15: 107 1 kù-sig¥± / 2 bù-ga-na / ma-lik-tum ; TM.76.G.288 r. II:13 - IV:14: 108 (...) 1 bù-ga-na tur / 4 kù-sal esirµ!(GI×GI) / wa / E.GUL.ÐÚB.DU / (...) / níg-ba / ti-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾ . Come nel caso precedente, si tratta di un oggetto prezioso realizzato in oro e utilizzato a coppie, come indica la terminazione in -…(n) del duale. In [1] la variante bù-ga-na-a indica il genitivo duale. In questo caso il ter 104 Pettinato - D’Agostino 1997, p. 10; Archi 2002a, p. 189. Waetzoldt 2001, pp. 350-351. 106 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 107 Citato da Archi 2002a, p. 189. 108 Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. 105 Il lessico degli oggetti 115 mine pare riferirsi ad un accessorio di un pugnale (gír) in cristallo di rocca ([n]a-ba-ðu). 109 In [3], invece, 2 bù-ga-na fungono da elementi decorativi per dei sandali o calzari (esirµ[LAK-173]e), facenti parte di un mu-túm del ministro i-bí-zi-kir in relazione alla cerimonia funebre (É×PAP) della principessa dar-ib-da-mu. Anche i passi [2, 5], tra loro paralleli, relativi all’inventario di gioielli ed oggetti d’artigianato per il corredo della sacerdotessa di-ne-íb-du-lum, elencano 2 bù-ga-na di forma piccola (tur) usati come ornamenti, assieme a 4 kù-sal, di sandali o calzari (esirµ![GI×GI]). 110 In [4], dove la destinataria è la regina, le coppie di bù-ga-na non risultano, invece, associate a nessun oggetto. Per questo termine è stato proposto un confronto con l’accadico buginnu, “aspersorio”, o con l’accadico buk…nu, “battaglio; pestello”. 111 La prima ipotesi è da escludere in quanto non adeguata ai contesti, l’altra può essere accolta come ipotesi di lavoro, se si ammette la possibilità che si tratti di elementi ornamentali in forma di bastoncino impiegati come nappe o ciondoli. 112 ba-ða-NE-ga (var. ba-ga-NE-gú), “(un’arma)”. [1] TM.74.G.117 r. I:1-4: 113 10 lá-3 [t]i-la-[š]a-ù kù-sig¥± / 1 ba-ða-NE-ga ša-pi / iti ¼a-da-ma-um; [2] TM.74.G.117 r. II:1 - III:4: 114 10 lá-1 ti-la-ša-ù kù-sig¥± / 1 gír kù-sig¥± / 1 baða-NE-ga kù:babbar / 1 giš-gu-kak-gíd:šub kù:babbar / 1 dumu-nita / en-naNI / zi-ba-da / íl; [3] TM.74.G.118 v. I:2 -III:3: 115 1 NE-na-da // kù:babbar / 2 ba-ða-NE-ga / [...; 109 Diversamente Archi 2002a, p. 189, per il quale l’oggetto in questo contesto “is not connected with other terms”. 110 Calzari (decorati) in metallo prezioso ricorrono anche in una contesto purtroppo lacunoso di assegnazione di tessuti in ARET XII 1409 r. II':1': 1 z[ara°-túg] 1 du-ru¥©-rúm 1 má-da-ma-tum 2 esirµ!(GI×GI) šušanaµ NI gín DILMUN [kù]-‹sig¥±› / [..., sicuramente destinati ad un personaggio femminile (come dimostra la tipologia stessa del corredo), identificabile con da-bur-da-mu, citata poco più avanti in III':1'-4': in [u­] / šà-SÙ / da-bur-da-mu / da-zi-[...; in relazione ad un evento cerimoniale. 111 Pettinato 1980, p. 114. Per questo termine accadico, ultimamente Steinkeller 1989, pp. 36 ss., che lo considera, data anche l’esistenza della variante bukannu, un prestito dal sumerico giš-gana, di cui buk…nu è l’equivalente nelle liste lessicali mesopotamiche. 112 Archi 2002a, p. 189. 113 Citato da Pettinato - D’Agostino 1997, p. 11. 114 Citato da Pettinato - D’Agostino 1997, p. 11. 115 Citato da Pettinato - D’Agostino 1997, p. 11. 116 Capitolo IV [4] TM.75.G.515 r. I:1 - II:1: 116 3 giš-gu kù-sig¥± / 3 ba-ga-NE-gú / 1 gír mar-tu ib-la¾ / 2 gír mar-tu // ar-mi¾. Queste difficili grafie indicano un oggetto identificabile su base contestuale come un tipo di arma o un accessorio relativo ad un’arma, per lo più utilizzata a coppie come si deduce dall’impiego del duale ba-ða-NEga. 117 Le assegnazioni comprendono, infatti, anche vari tipi di pugnali (gír), lance e punte di lancia (giš-gu-kak-gíd-šub, giš-gu), 118 oltre ad altri due beni enigmatici: ti-la-ša-ù e NE-na-da. Data l’utilizzazione di metalli preziosi (oro e argento), si tratta verosimilmente di armi cerimoniali o da parata. L’interpretazione non è chiara. La parola richiama nella struttura le grafie ba-ga-NE-sa, ba-ga-NE-su commentate in precedenza. 119 Nel caso specifico, oltre che di uno stato costrutto, 120 vista la possibilità di una lettura ba-ða-bí-ga, ba-ga-bí-gú, potrebbe trattarsi di una parola di aspetto onomatopeico. Dato che l’alternanza -ða-/-ga- definisce /å/ etimologica (sebbene risulti singolare l’uso contemporaneo di entrambi i segni nella stessa parola per esprimere il medesimo fonema), 121 il termine ricorda la base bilittera *bð o *bå, ampiamente attestata in altre lingue semitiche con ripetizione totale o parziale (*bðbð, *bðð, *båbå, *båå) nel significato di “emettere un suono”, in relazione al ronzio, al gorgoglio dell’acqua, etc. 122 Un’interpretazione in tal senso di questa problematica parola eblaita appare formalmente accettabile, sebbene non sia possibile definirne il significato, se non come eventuale riferimento al rumore prodotto dall’arma in azione. Sempre nel lessico delle armi, si confronteranno altresì le grafie ða-ba-ða-bí e ða-ba-ða-ba-ga note nei testi di scongiuro eblaiti, indicanti la “mazza” e interpretabili come forme reduplicate della base biconsonantica *ðp, “frantumare; distruggere”. 123 116 Citato da Pettinato - D’Agostino 1997, p. 11 (con lettura ba-ga-ne-gu); Waetzoldt 2001, p. 350. 117 Come notano già Pettinato - D’Agostino 1997, p. 10. 118 Per questi termini, Waetzoldt 1990, p. 2; Fronzaroli 1993, p. 49; Conti 1990, p. 139; Conti 1997, p. 66. 119 Ma non appare possibile un confronto diretto (come suppone Pettinato 1980, p. 97), che risulterebbe allo stato attuale foneticamente non ovvio. 120 È questa l’ipotesi di Waetzoldt 2001, pp. 350-351. 121 Per l’impiego dei segni della serie GA per esprimere /å/ etimologica in alternativa ai segni della serie ÐA, si vedano Fronzaroli 1982, p. 103, n. 20; Conti 1990, p. 18. 122 DRS 2, p. 57. 123 Fronzaroli 1988, p. 13. Il lessico degli oggetti 117 ba-ti-u­-a-tum, “...”. [1] TM.74.G.121 r. I:1: 124 4 giš-gu ba-ti-u­-a-tum 2 giš-gu-kak-gíd:šub UD.SAL // lú en. Il termine è attestato una sola volta nella documentazione disponibile come qualifica di giš-gu, “punte di lancia”, in un passo di un testo amministrativo ancora inedito. Waetzoldt citando il contesto propone un confronto con le grafie ba-du-u³ e ba-du-u­ che nei testi amministrativi indicano un tipo di pugnale gír. L’interpretazione resta al momento difficile. bù-za-du, “(un tipo di vaso)”. [1] MEE 12 27 r. V:6 - VI:7: 4 mi-at ma-na kù:babbar / 40 zi-ru¥© / ‹4› mi-at [m]a-na [k]ù:[babbar] / 80 gú-buµ / 40 ma-na ‹kù:babbar› / 10 bù-za-du / 8 mi-at 40 ma-na kù-sig¥± / 84 zi-ru¥© / 3 mi<-at> 20 ma-na kù-sig¥± / 64 gú-buµ / lú 5 ma-na / ‹11›+[...] / [...]. Questa grafia è nota una sola volta nella documentazione disponibile, in un contesto di assegnazione di importanti quantità di metallo prezioso per la realizzazione di vasi di grandi dimensioni. Il termine può essere confrontato con l’accadico b¢zu, indicante un tipo di vaso. 125 da-bí-tum (var. dar-bí-tum), “...”. [1] ARET II 45: TAR-2 kù:babbar / níg-sa¥¤ 2 dug 6 síla geštin 4 síla 3 an-zamµ / šušanaµ-8 kù:babbar / dar-bí-tum / na­-SÙ / lú geštin / sá-ù-lum / (anep.); [2] MEE 12 35 r. XXIX:18-30: 11 ma-na šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 2 ma-na 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 da-bí-tum 16 / 2 ù-bù šušanaµ / 4 ar-ra-su šušanaµ / 8 mi-at 30 ða-za-nu / 9 mi-at 70 giš-ÍB? / 13 giš-SAL / 76 dug / 1 ma-na šušanaµ-1 gín DILMUN kù-sig¥±-SÙ / 1 dib ar-mi¾ / en; [3] TM.75.G.10091 r.VI:4 - VII:1: 126 [...] £ [...] £ / [x ma-na] 3 [k]ù-[sig¥±] 2-1/2 / dar-bí-tum / [n]a­-SÙ / [x] ma-[n]a kù:[babbar] / šušanaµ kù-sig¥± / níg-ba / du-bí-zu-i-nu / kiš¾ / (anep.). Il termine è noto in un elenco di oggetti vari destinati al sovrano [2], e in contesti di uscite di metallo prezioso di non ovvia interpretazione [1, 3]. 124 Citato da Waetzoldt 1990, p. 9; Perttinato - D’Agostino 1997, p. 6. Waetzoldt 2001, p. 232, che cita anche la grafia dugbu-zi-im dei testi di Tell Leil…n. Diversamente Pettinato - D’Agostino 1997, p. 66, spiegano questa rara grafia eblaita come un sostantivo plurale b¢ñ…tu, sulla base dell’accadico b¢ñu, un tipo di materiale vitreo. Ma questa ipotesi appare poco probabile. 126 Edito da Archi 1987, pp. 47-48. 125 Capitolo IV 118 Una possibilità, consentita dalle norme fonetiche, è spiegare questa rara parola eblaita come un sostantivo a schema ta12–3-, 127 dal sem. occ. *rpd, “sostenere”, attestato successivamente in ugaritico, ebraico ed arabo. Quindi /tarp–dum/, “sostegno; piedistallo” (con omissione grafica di /r/ davanti a dentale in [2]). Se l’integrazione recentemente proposta per EV 051, dag = rí-b[a-du], 128 si confermasse valida, questa radice risulterebbe attestata anche in un estratto della lista lessicale eblaita come lettura semitica del sumerogramma dag, “piedistallo”. da-rí-ga-tum, “piedistallo”. [1] MEE 12 36 v. XXVII:11-20: 30 lá-2 ma-na 56 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 10 lá-3 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ma-na ša-pi-3 gín DILMUN kù:babbar / nu¥¥-za 2 da-rí-ga-tum / wa / 2 an-dùl 1 "luµ" 1 amKAK? / lú al° / 2 ká(DAG×KAS) / é é mað. La grafia da-rí-ga-tum è attestata una volta nella documentazione eblaita disponibile, nel passo [1] che registra un’uscita di metallo prezioso per la “decorazione” (nu¥¥-za) relativa a due di questi oggetti e ad altrettante statue (an-dùl) di tori androcefali ("luµ"), 129 che abbellivano e tutelavano l’acroterio del portale (al° ká) di un importante edificio eblaita (é é mað). La collocazione delle statue di Mischwesen, esseri mitici ibridi, in settori particolarmente esposti e vulnerabili degli edifici aveva nell’antichità una sicura funzione apotropaica. In particolare, queste statue avevano il compito di salvaguardare il tetto o le porte e la zona di ingresso dei palazzi e dei templi. Questa tradizione ben documentata nel Vicino Oriente antico (basti ricordare i menzionati tori androcefali dei palazzi assiri) si ritrova in seguito anche in Grecia ed in Etruria per influsso dell’arte orientale. 130 Nella Bibbia, i cherubini si ritrovano, inoltre, come i guardiani dell’albero sacro 131 e dell’entrata del giardino dell’Eden, mentre statue che li raffigurano decorano il tempio di Salomone. Si ricorderanno, inoltre, i cani colossali in oro e argento realizzati dal dio Efesto per proteggere l’entrata del Palazzo 127 GAG §56 l, nomina actionis. Waetzoldt 2001, p. 52. 129 Per l’identificazione di questo essere mitico con il toro androcefalo, Steinkeller 1992, pp. 259-267, con bibliografia; Fronzaroli 1993, p. 147, preferisce la traduzione “coppia di tori androcefali”, data la presenza di ÉRIN nel sumerogramma. 130 Fullerton 1982, pp. 15 ss.; Colonna - von Hase 1984, p. 40 et passim. 131 Con questa funzione di guardiani dell’albero sacro i cherubini si ritrovano su un interessante frammento di un bassorilievo sudarabico (Cleveland 1963, pp. 55-60). 128 Il lessico degli oggetti 119 di Alcinoo sull’isola di Scheria descritti da Omero in Odissea VII:91-94. 132 In particolare, in Etruria, oltre alla sfinge alata ed al grifone, è proprio il toro androcefalo ad essere utilizzato almeno a partire dal VI secolo a.C. in funzione di guardiano, collocato specie in posizione accucciata e in composizione araldica sopra le porte delle tombe o come antefissa sui tetti dei templi. 133 Ad Ebla, come abbiamo già osservato, in [1] le statue dei tori androcefali ("luµ") decorano e proteggono la porta di un quartiere del palazzo reale G (é é mað). In tale contesto è possibile quindi che la grafia da-rí-gatum, indichi il piedistallo su cui le statue erano collocate, 134 se la parola può essere spiegata tramite il sem. occidentale *drg/k, “camminare; marciare”, 135 e quindi “ciò su cui si cammina o sta” (con allusione probabilmente alla posa gradiente dei tori androcefali), da cui “base, fondamento, piedistallo o sostegno”, con uno sviluppo semantico affine al greco bßsij, “base; piedistallo”, da baànw, “camminare”. In MEE 12 36 v. XXIV:11-19: 10 lá-2 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / 24 ma-na šušanaµ-8 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 6 ma-na 7 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 nin-uš-mušen / "luµ" / lú al° / ká / é é mað ai tori androcefali destinati alla porta del medesimo edificio, viene associata l’immagine di un nin-uš-mušen, un essere mitico dalle sembianze di un uccello da preda. 136 Potrebbe trattarsi di un’arpia o sirena, rapace dalla testa di donna, un essere ibrido legato in particolare all’ambito ctonio ed al mondo dell’oltretomba e probabile sviluppo levantino dell’aquila leontocefala. 137 Questa figura compare ad esempio su una avorio da Nimrud origenariamente utilizzato per la decorazione di un oggetto importante, verosimilmente un mobile. L’essere è rappresentato mentre incombe su un 132 Faraone 1987, pp. 257-280, che mette in evidenza l’origene orientale di questa tradizione. 133 Jannot 1974, pp. 765 ss; Isler 1970, pp.92 ss. 134 Una traduzione “socles” per questo termine è già stata proposta sulla base del contesto da Archi 1990a, p. 105, ma senza fornire etimologia. 135 Successivamente noto in fenicio, ebraico, aramaico ed arabo (DRS 4, pp. 308-309 e 312-313). 136 Nella lista lessicale bilingue (VE 1232, fonte A©) il sumerogramma è glossato ìrlu-um, interpretabile sulla base dell’arabo *‚rr, variante di *n‚r, di significato affine attestato in accadico ed in sem. occidentale. Questi verbi sono usati entrambi per indicare “the cry of different animals; in particular the Akk. n…ƒiru, "roaring, howling" applied both to lions and the birds of prey”, secondo Fronzaroli 2003c, p. 94. 137 Direttamente con l’aquila leontocefala identificano il nin-uš-mušen Archi 1990a, p. 105; Fronzaroli 2003c, p. 94. Capitolo IV 120 capride morto che sta per essere dilaniato da due avvoltoi e può, pertanto, considerarsi un demone della morte, “messaggera e tramite fra realtà terrena e mondo ultraterreno”. 138 Ciò non esclude il carattere apotropaico di questa creatura, la cui mostruosità è monito, ma anche protezione dalle forze malefiche per i vivi e per i defunti. Ed è esattamente lo stesso compito che hanno nell’immaginario mitologico della Grecia antica le sirene, 139 le quali evocano con la loro presenza l’Ade, ma, in qualità di génies des passes, si prendono anche cura del morto e della sua tomba. 140 Il legame del nin-uš-mušen con gli inferi ad Ebla pare del resto ribadito dall’assegnazione di un monile che lo raffigura alla paredra del dio ¼ga-miiš, una divinità di ambito ctonio nel passo seguente: MEE 10 29 r. XXV511: 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 nin-uš-mušen / níg-ba / ¼BAD-mí / ¼ga-mi-iš. (giš-)da-rí-tum; “(ornamento a forma di) pina”. [1] TM.75G.1492 r. IV:2 - V:1: 141 10 kù:babbar níg-sa¥¤ giš-eren 2 ma-na šušanaµ ku:babbar kin®-aka giš-da-rí-tum; [2] TM.75.G.2382 r. II:4 - III:2: 142 TAR kù-sig¥± ù-ma na­ 1 gú-li-lum giš-geštin da-rí-[t]um ¼ra-sa-ab ƒà-da-NI¾. Il termine può essere confrontato con la glossa della lista lessicale bilingue VE 691, še-ù-suð® = da-rí-ma-tum /tarim…tum/ (plurale; fonti A, B), da-rí-tum /tarimtum/ o /tarittum/ (singolare con omissione grafica di m o assimilazione della stessa alla dentale; fonte D), “pina” (acc. terinnu, terinn…tu). 143 Nei testi amministrativi il riferimento è ad oggetti ornamentali in forma di “pina”, 144 verosimilmente ciondoli o perle, 145 che decorano in [2] un “braccialetto” (gú-li-lum) assieme a perle o ciondoli in forma di uva (giš-geštin), il tutto realizzato in oro e pietre dure (kù-sig¥± ù-ma 138 Ciafaloni 1992, p. 104. Per l’origene orientale delle sirene, si veda l’importante studio di Marót 1960, pp. 106 ss., che propone (p. 143) un’etimologia semitica per il loro nome (ebr. š–r, “canto”). 140 D’Agostino 1982, pp. 43 ss.; Breglia Pulci Doria 1987, p. 73 e passim; Breglia Pulci Doria 1990, pp. 63 ss. 141 Citato da Archi 2003, p. 36. 142 Citato da Archi 2003, p. 36. 143 Conti 1990, pp. 180-181. 144 Civil 1987, p. 148; Archi 2003, p. 36. 145 L’uso di perle ed elementi ornamentali in forma di frutti o altri elementi vegetali era assai diffuisa nel Vicino Oriente antico, basti pensare ai gioielli rinvenuti nel cimitero reale di Ur, per cui si veda ultimamente Miller 2000, pp. 149-155. 139 Il lessico degli oggetti 121 na­), 146 mentre in [1] 2 mine e 20 sicli sono la quantità necessaria di argento per la realizzazione (kin®-aka) di un numero imprecisato di questi elementi ornamentali. 147 Per l’impiego di decorazioni simili nella gioielleria, si confronteranno ad esempio gli invenari del periodo medio assiro, in cui si citano pendenti a forma di pina (terinnatu) realizzati in ossidiana (na­zú) e montati in oro per degli orecchini. 148 dè-li (varr. dè-lu, dè-lum), “bandoliera; tracolla”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] ARET I 30 (25): 1 zara°-túg 1 íb-iii-túg gùn 1 dè-li zabar / mu-túm / a-barsal­¾; ARET I 30 (26): 1 [ƒà-da-um-túg / 1 aktum-túg] 1 íb-iii-túg gùn 1 dè-li zabar 1 zabar 1 giš-gu-kak-gíd-šub ša-pi gín DILMUN kù:babbar / mu-túm / gúda-da-núm¾; ARET I 30 (33): 1 zara°-túg 1 dè-li zabar / 3 ma-na TAR kù:babbar / 1 ma-na kù-sig¥± / mu-túm / i-bu¥°-bù¾ / 3 kaskal; ARET I 30 (34): 2 dùl-túg 3 aktum-túg 1 íb-iii-túg babbar 1 íb-lá gùn 3 dè-li zabar 1 gír 15 gín DILMUN kù:babbar / mu-túm / gú-ra-ra-bal¾ / 4 kaskal; ARET II 13 (1): 70 ma-na kù:babbar / 3 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 gír mar-tu kù-sig¥± / 1 gír zú / 1 íb-lá 4 gír kun kù:babbar / 2 dè-li zabar / 76 ƒà-da-um-túg-ii / 7 túg-gùn / 3 dùl-túg ma-rí¾ / 90 gu-dùl-túg / 80 aktum-túg / 1 mi-at 40 lá-2 gu-mug-túg-ii / 52 íb-iii-túg sa° gùn / 10 lá-2 íb-iii-túg ú-ðáb sal / 1 mi-at íb-iii-túg gùn / mu-túm / ib-rí-um; ARET II 13 (18): 1 gu-dùl-túg 1 aktum-túg 1 íb-iii-túg sa° gùn / 1 dè-li zabar giš-SÙ kù:babbar / 3 ma-na kù:babbar / mu-túm / ì-lam-¼ša-ma-gan / en / ibu¥°-bu¾ / in u­ / du-du / nam-tar / é ¼KU-ra; ARET II 13 (25-27): 1 aktum-túg 1 íb-ii-túg 1 dè-li zabar / mu-túm / ir-i-tum¾ / 1 gu-dùl-túg 1 íb-iii-túg 1 dè-li zabar / mu-túm / sa-nab-zu-gúm¾ / 2 dè-li zabar / mu-túm / ða-ra-an¾; ARET III 236 v. II:3'-7': 1 zara°-túg 1 íb-iii-<túg> sa° gùn / <1> dè-li zabar / NE-lum / ìr-péš¾ / É×PAP; ARET III 321 II:1'-2': ...] gín DILMUN kù:babbar / 1 dè-li zabar; 146 Difficilmente ù-ma può essere interpretato in questo contesto come il nome di una pietra dura, come propone Archi 2003, p. 36, che considera sumerica la grafia. Si tratta verosimilmente di una congiunzione (Fronzaroli 1996, p. 132, con bibliografia; Fronzaroli 2003b, p. 305, s.v.). 147 Ma non per la decorazione di un albero di cedro, come interpreta Archi 2003, p. 36. I 18 sicli d’argento servono verosimilmente all’acquisto di resina di cedro, secondo una tipologia “argento níg-sa¥¤ sostanze coloranti o profumi/resine”, più rara rispetto al modello prevalente “lana níg-sa¥¤ sostanze coloranti o profumi/resine”, ma comunque attestata (per questo tipo di transazioni, Conti 1993, p. 98, n. 2; Conti 1997, pp. 34 s.). 148 Oppenheim 1970, pp. 14-15. Capitolo IV 122 [10] ARET III 868 I:1'-5': ...] 1 dè-lu zabar / dumu-nita / ba-da-lum / ða-ra-an¾ / É×PAP; [11] ARET III 888 IV:4'-10': 1 gu-dùl-túg 1 íb-iii-túg gùn 1 níg-lá-sag / 1 dè-li zabar / 1 sal-túg 1 íb-iii-túg gùn / rí-dam-ma-lik / maškim / i-lul-zaµ-ma-lik / ugula ar-ra[-tim¾; [12] ARET VIII 528 (= MEE 5 8) r. VIII:6-9: 3 dè-lum zabar / lu-lum¾ / ša-bir®-tium¾ / na-bar-a-sum¾; [13] ARET XII 922 r. I:1'8': 1 [...] 1 íb-iii[-túg] sa° gùn / 1 dè-li / en / kab-lu-ul¾ / É×PAP / iš-da-má / íl-gú-uš / šu-mu-taka­; [14] MEE 2 1 v. II:10-12: 1 aktum-túg 1 dè-li zabar / mu-túm / ru¥©-NE¾; [15] MEE 2 1 v. V:4-8: 53 kù:babbar / 1 gu-dùl-túg 1 íb-v-túg 1 dè-li zabar / mutúm / gú-du-ra / sa-nab-zu-gúm¾; [16] MEE 2 1 v. V:9-12: 2 gu-dùl-túg 2 aktum-túg 1 íb-v-túg / 1 dè-li zabar / mutúm / ða-ra-an¾; [17] MEE 2 33 r. X:14 - XI:2: 1 dè-li zabar / níg-ba / ¼ga-mi-iš / ib-al°¾/ 6 sal-túg / pa­:šeš-pa­:šeš-SÙ / ib-al°¾; [18] MEE 2 41 r. VII:7-9: 1 gú-li-lum a-gar®-gar® kù-sig¥± / 1 dè-li zabar / NE-zi-il; [19] MEE 2 44 v. I:4 - II:1: 1 zara°-túg 1 íb-(iii-túg gùn) 1 dè-li zabar / mu-túm / SAG¾; [20] MEE 2 50 v. I:4-9: 30 an-(...) / 2 ma-ða-ne-gúm kù:babbar / 4 ma-ða-ne-gúm zabar / 4 dè-li zabar / 2 tùn gal 2 tùn tur / 6 DUB.NAGAR / 1 ða-zi 4 dur(...) 1 LAK-397? zabar / 1 ma-(...) a-gar®-gar® / (...; [21] MEE 7 2 v. I:8'-12': 1 gu-dùl-túg 1 íb-iii-túg 1 dè-li zabar / mu-túm / sa-nabzu-gúm¾ / in / ir-‹i-tum›¾ / [...; [22] MEE 7 2 v. IV:3 - V:8: ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ma-na TAR kù:babbar / 11 ma-na zabar / 15 ma-na urudu / 5 dè-li zabar / 2 gír mar-tu zú-aka / 6 gír zabar / 2 giš-gu-kak-šub / (x) giš-gu-kak-šub urudu / 5 šu-gur zabar / 1 gišgu-kak-gíd urudu / 14 túg-gùn 4 níg-lá-sag 3 íb-iii-túg gùn níg-gùn / é-namaka / é / NI-na-ar / za-ƒà-ar¾; [23] MEE 10 29 r. II:1-5: ...] kù:babbar / šu-bal-aka / 5 gín DILMUN kù-sig¥± / šub / dè-li-SÙ; [24] MEE 12 3 v. VII:18 - VIII:1: 1 dè-lum 1 šu-gur zabar / mu-túm / kas­-kas­ / iš¥¥-gi-bar-zú; [25] MEE 12 35 r. XIV:7-17: 10 lá-1 giš-ma-gíd / 80 zi-PÉŠ da-lu giš-PA / 31 kéš-da / ša-bir®-gi-nu / 1 ƒà-da-um-túg-i 1 aktum-túg 1 dùl-túg 1 níg-lá-gaba 1 níg-lá-sag 1 dè-lum / mu-túm / NI-zi ur­! / en / wa / i-bí-zi-kir / si-gi-su-ma; [26] TM.75.G.1348 v. II:15 - III:9: 149 1 aktum-túg 1 íb-iii-<túg> sa° gùn 1 dè-li zabar en 1 aktum-túg 1 íb-iii-<túg> gùn 1 dè-li zabar lugal ir-i-tum¾ a-ga šumu-taka­ maškim a-mu-ra; 149 Citato da Archi 1982, p. 205. Il lessico degli oggetti 123 [27] TM.75.G.1418 v. I:1-6: 150 1 gu-zi-tum-<túg> 1 íb-iii-túg gùn / 1 íb-lá kù:babbar / 1 dè-li zabar / 1 gú-li-lum a-gar®-gar® kù-sig¥± / [i]-rí-gú-nu / É×PAP; [28] TM.75.G.1462 v. II:9-10: 151 1 dè-li zabar <mu-túm> ða-ra-an¾; [29] TM.75.G.1527 v. I:1 - II:3: 152 2 dè-li zabar mu-túm ða-ra-an¾; [30] TM.75.G.1556 v.VI:3-8: 153 1 ma-na 50 gín DILMUN kù-sig¥± níg-sagšu / 1 ma-na TAR kù-sig¥± 1 giš-šu­ 1 níg-bànda / 1+1 tessuti / 1 dè-li zabar / mutúm / ða-ra-an¾; [31] TM.75.G.2017 r. IV:3ss.: 154 (1 tessuto) 1 dè-li zabar mu-túm ða-ra-an¾; [32] TM.75.G.2172 v. VII:4-6: 155 1 dè-li zabar mu-túm ða-ra-an¾. Queste grafie sono riferite ad un oggetto che ricorre per lo più in “apporti” (mu-túm) e comunque assegnato assieme a armi e/o tessuti, sovente associato con cinture o fasce. Autori delle assegnazioni sono i ministri e vari centri, in particolare ða-ra-an¾, ir-i-tum¾ e sa-nab-zu-gúm¾. Di norma realizzato in bronzo (zabar), in [6] almeno una sua componente pare fosse in argento (giš-SÙ kù:babbar), mentre in [22] ad essere utilizzato è l’oro. Grammaticalmente la forma dè-li, la più attestata, è un genitivo dipendente dal numerale, mentre le varianti dè-lum e dè-lu possono interpretarsi come pseudologogrammi. La parola è stata interpretata come “fermaglio”, sulla base di un confronto con l’accadico tillu. 156 Questo termine è noto a partire dal paleobabilonese ed indica un accessorio per vesti, gioielli, armi o carri. 157 Comunque, sempre un elemento di sospensione o di attacco, se la derivazione è da *tll, variante di *ƒll, “sospendere”. 158 La proposta risulta a nostro avviso valida, 159 se ne rivediamo però il significato in ragione dei contesti, che paiono indicare ad Ebla un oggetto simile ad una cintura o fascia, utilizzato in relazione a certe armi, in particolare gír, “pugnale”. Una 150 Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 24. Citato da Archi 1988, p. 7. 152 Citato da Archi 1988, p. 7. 153 Citato da Archi 1988, p. 7. 154 Citato da Archi 1988, p. 7. 155 Citato da Archi 1988, p. 7. 156 Pettinato apud Mander 1982, p. 236. 157 AHw, pp. 1358-1359. 158 Oppenheim 1950, p. 194, n. 25a; Salonen 1951, pp. 99-100; Salonen 1955, p. 113; Durand 1983b, pp. 233-234 e 288. La grafia eblaita consente anche una soluzione alternativa: sem. *tly, “appendere; sospendere”, noto in ebr. ed aram., con variante *tlƒ e probabilmente *tll, se da collegare a questa stessa radice l’arabo talla, “to let down a rope” (HAL, pp. 1738 s.; CDG, p. 575). 159 Nonostante i dubbi espressi da Waetzoldt 2001, p. 58. 151 Capitolo IV 124 traduzione “bandoliera” o “tracolla” risulta, pertanto, la più adeguata per il termine eblaita. Per il rapporto dell’oggetto con le armi si confronterà, infatti, nei testi neobabilonesi il significato di kuštillu, “straps etc. worn by soldiers to hold daggers, etc. in place”. 160 Questa interpretazione spiega l’offerta, registrata in [17], di una di queste bandoliere alla statua di culto del dio ¼ga-mi-iš (seguita dall’assegnazione di 6 stoffe sal-túg per i “profumieri”-pa­:šeš in servizio presso il suo tempio), una divinità che nell’iconografia eblaita risulta essere provvista di un pugnale, come documenta, oltre ai testi amministrativi, 161 anche il rituale di ARET XI 1 (49-50): 1 udu-nita 1 udu-mí 1 kù-sal 1 gír mar-tu sikil geštin-a GIŠGAL-titab in NIab¾ è ¼ga-mi-iš¥¥ wa ¼ba-al°-tum a-ma-za-ù nídba. du-gur-rúm, “spada”. [1] ARET II 2 (14): 2 kù-sig¥± / al° / ba-za-a / in / kin®-aka / 1 du-gur-rúm. La grafia du-gur-rúm, finora non interpretata, è attestata una sola volta nella documentazione amministrativa disponibile. Nel contesto, due sicli d’oro vengono dati ad un artigiano per la realizzazione (in / kin®-aka) di questo oggetto. L’assegnazione segue immediatamente altre consegne di metallo per la lavorazione di pugnali (gír) e ruote di carri (giš-GAMGAM), e precede la menzione di gú-li-lum ed altri gioielli. Una possibilità semanticamente adeguata e foneticamente compatibile con le norme del sillabario eblaita è spiegare questo raro termine in base al semitico occidentale *dqr, “forare con un oggetto o arma appuntita”, 162 in seguito attestato in ugaritico, 163 ebraico, aramaico ed arabo. La 160 Oppenheim 1950, p. 194, n. 25a. Si veda anche Ebeling 1953, p. 246, “Behang, Lederschleife, Wehrgehänge”. 161 I contesti noti sono i seguenti: ARET II 2 (10): 1-1/2 kù-sig¥± / [al°] / [NP] / kin®aka / 3 gír mar-tu / lú ¼ga-mi-iš; MEE 10 29 r. XXIV:31 - XXV:11: 5 gín DILMUN nagga / ŠUB si-in / tar-5 gín DILMUN a-gar®-gar® / kin®-aka / 1 gír mar-tu / šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 NIN.UŠ-mušen / níg-ba / ¼BAD-mí / ¼ga-mi-iš; MEE 12 35 r. XVII:6-15: 3 gín DILMUN nagga / ŠUB si-in / 6 ma-na ša-pi-5 gín DILMUN a-gar®-gar® / 1 gír mar-tu mað / 4 ma-na ša-pi-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 57 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / ¼ga-mi-iš / ib-al°¾; MEE 12 37 v. XIX:32 - XX:7: 6 gín DILMUN nagga / ŠUB si-in / 1 ma-na TAR gín DILMUN a-gar®-gar® / 2 gír mar-tu / 7 gín DILMUN kù:babbar / 6 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / níg-ba / en / ¼ga-mi-iš / ib-al°¾ / wa / ¼ÐAR-si-in. 162 Per la radice, DRS 4, pp. 305-306. Il lessico degli oggetti 125 parola eblaita avrà pertanto indicato un tipo di arma, verosimilmente un tipo di stiletto. Si veda in tal senso il sostantivo ebraico mdqrwt, che indica le lame appuntite delle spade. du-ru¥©-gú, “(un tipo di perla)”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] ARET II 8 (4-5): 1 ma-na šušanaµ-4 kù-sig¥± / 1 dib giš-GEŠTIN / ¼ra-sa-ab / ƒà-da-NI¾ / lú SA-ZAµ¾ / 4 kù-sig¥± / du-ru¥©-gú / ¼a-dam-ma-SÙ; ARET IV 19 (17): 1 túg-NI:NI ú-ðáb / 1 gíd-túg 1 du-ru¥©-ru¥© / šušanaµ-4 kùsig¥± / 10 gišgeštu-lá / 7 kù-sig¥± / du-ru¥©-gú / 16 kù-sig¥± / 1 mi-at / 20 kurgur-ru¥© / wa / 2 al°-la-nu / 1-1/2 kù-sig¥± / 1 kù-sal / 2 kù-sig¥± / 1 ša-mu / 1 a-na-bù-bù-tum / 2 kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 gú-li-lum a-gar® / šušanaµ kù:babbar / ‹2› bu-di / ‹10› kù:‹babbar› / šu-bala-aka / 2 kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 sag-SÙ / gimi-NI-za-du / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; ARET XII 194 I':1': [...] ‹gišgeštu›-‹lá› 30 du-[r]u¥©-gú [x b]u-di; MEE 10 20 r. X:21 - XII:8: (...) 12 92 ‹kur-gú›-ru¥© / 4 ða-za-nu / 3 2 ma-ðana-gúm / 11 2-NI 86 du-ru¥©-gú / 6 1 šu-dub / (...) zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾ / šu-mu-taka­; MEE 10 20 v. V:8 - VI:7: (...) 7 du-ru¥©-gú / 16 1 mi-at 20 kur-gú-ru¥© / wa / 2 al°-la-na / (...) gi-mi-NI-za-du / nin-ni / ma-lik-tum / si-in / É×PAP; MEE 10 29 r. XII:18 - XIII:6: šušanaµ kù:babbar / 2 ti-gi-na / 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 12 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / šušanaµ kù:babbar / 2 giš-DU / 3 ma-na 12 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / TAR 8-1/2 kù-sig¥± / 11 [x] / GUR³ / 60 gur-gú-ru¥© 10 / 2? gú-zu-ra-na-tum 2-1/2 / 30 du-ru¥©-gú 6 / UR-ZI / u³-zu; MEE 12 35 v. XII:34 - XIII:24: 10 lá-2 ma-na ša-pi-2-1/2 / kù:babbar / šubal-aka / 1 ma-na ša-pi-4-1/2 / kù-sig¥± / 10 lá-3 gišgeštu-lá 12 / 2 ti-gi-na // 18 / 84 du-ru¥©-gú 10 / 96 gur-gú-ru¥© 12 / 4 ƒà-ra-ma-tum 18 / 2 zà (...) 3 / (...) / (...)-ga-nu šušanaµ-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 8 / 10 (...) 2 / 10 (...) / (...) / (...) / šušanaµ kù:babbar / (...) / (...) / 7-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 kù-sig¥± / maš-maš 1 giš-banšur / nu-ba-du / dumu-mí / ù-ti / na-rú / en; MEE 12 35 v. XVII:22 - XVIII:4: 10 lá-2 gišgeštu-lá ‹šušanaµ?›-3 / 4 ƒà-ra-matum 14?-1/2 / 2 zà 7 / 60 du-ru¥©-gú 12-1/2 / 2 gú-zu-ra-tum 5-1/2 / 2 kù-sal 5 / 92 gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / KA-dù-gíd / sikil / ab / 2 gišDU ša-pi / 2 ti-(gi-na ...) / (2 ti-gi-na) giš-zú ša-pi / 1 šu-dub 4 / KA-dù-gíd / (...); TM.75.G.1250 164 +ARET XII 874 r. III:3: (...) 1 mi-at 20 gur-gú-ru¥© 16 / 1 163 L’ug. dqr è attestato nel testo scolastico RS 26.135 = KTU 5.22 e nell’inventario di oggetti RS 17.125 = KTU 4.275. In proposito Dijkstra 1986, p. 121 e n. 4, che traduce il vocabolo “chisel”, con rimando all’aram. e medio ebr. dqr, “a kind of digging tool” (diversamente Del Olmo Lete - Sanmartín 1996, p. 136, s.v.). 164 Citato da Biga 1998a, p. 20. Join citato in ARET XII. Capitolo IV 126 [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] mi-at 23 du-ru¥©-gú 16 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 šu-dub 3-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 4 / (...) mu-túm / i-bí-zi-kir; TM.75.G.1330 r. I:1 - V:6: 165 12-1/2 kù-sig¥± / 93 kur-gú-ru¥© / 3 kù-sig¥± / <4*> ða-za-nu / 3 kù-sig¥± / <2*> ma-ða-na-gúm / 11 2-NI kù-sig¥± / 86 duru¥©-gú / 4 kù-sig¥± / 1 šu-dub / (...) zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾; TM.75.G.1464 r. XI:4-24: 166 6 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / 1 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 10 gišgeštu-lá / 2 ti-gi-na / 62 du-ru¥©-gú / 2 kù-sal / 1 ma-ða-na-gúm / 4 ða-za-nu / 1 šu-dub / 1 ša-mu / 2 ti-ba-ra-núm / wa / nu¥¥-za 2 sag 2 bu-di / TAR kù:babbar 2 bu-di / TAR kù:babbar / 2 giš-DU / ar-za-du / dumu-mí / en-na-¼utu; TM.75.G.1679 r. II:3-7: 167 1 ma-ða-na-gúm 117 gur-gú-ru¥© 112 du-ru¥©-gú 10 al°-la-nu 10 giš-geštin 228 ða-za-nu; TM.75.G.1962 r. X:1-11: 168 ...] / [x gur]-gú-ru¥© 13 / 1 mi-at gur-gú-ru¥© si­ / 1 mi-at gur-gú-ru¥© za:gìn sig¥±-za / 1 mi-at du-ru¥©-gú 19 / 1 ša-mu 1 / 1 kù:babbar / 1 ma-da-ðu / 2 al°-la-nu 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 6 kùsig¥± / 1 ‹x› [...; TM.75.G.2051 v. II:1 - IV:1: 169 27 kù-sig¥± 21 GIŠ-TIN?-LAM-GA 10 duru¥©-gú 6-1/2 kù-sig¥± 70 du-ru¥©-gú ¼ba-ra-du ma-du 35 kù-sig¥± 1 an-zamµ 1 pad-SÙ ¼áš-da-bíl sikil al° tu-ra íl-ƒà-ag-da-mu giš-tum; TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 170 (...) 98 du-ru¥©-gú 12 / 1 mi-at 25 gur-gú-ru¥© 13-1/2 / 1 šu-dub 5 3-NI / 2 bu-di šušanaµ / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gú-zu-ratum 4 / (...) lú mu-túm / i-bí-zi-kir / ti-iš-te-da-mu / dumu-mí en / si-in / É×PAP; TM.75.G.2334 r. I:1 - III:17: 171 (...) 1 mi-at 60 lá-1 gur-gú-ru¥© 22 / 1 mi-at 20 du-ru¥©-gú 14 / 2 kù-sal 6 / 1 šu-kešda 4 2-NI / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gúzu-ra-tum 3 / (...) / ša-du / mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / dam-dingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; TM.75.G.2507 v. X:8-26: 172 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 giš geštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 ti-gi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 gín DILMUN / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 gín DILMUN / 1 gú-zu-ra-tum 2 gín DILMUN / 2 kù-sal 3-1/2 / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 gín DILMUN / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ša-mu / ti-a-i-šar / dumu-mí en / ƒà-za-an¾; 165 Citato da Archi 2002a, pp. 167-169. da Pettinato 1992, p. 200. 167 Citato da Archi 2002a, p. 192. 168 Citato da Archi 2002a, p. 178. 169 Citato da Archi 1997, p. 415. 170 Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. 171 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 172 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. 166 Citato Il lessico degli oggetti 127 [18] TM.75.G.2507 v. XXI:24 - XXII:11: 173 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 gišgeštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 tigi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 / 1 gú-zu-ra-tum / 2 kù-sal ‹3›-1/2 gín DILMUN / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 / 1 kù:babbar / 1 ša-mu / rí-ìdu / dumu-mí / en / dam / ru¥©-zi-ma-lik / dumu-nita / ib-du-¼aš-dar; [19] TM.75.G.10088 v. XVII:24 - XVIII:10: 174 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at gur-gúru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP. Questo gioiello deve essere identificato in ragione dei contesti con un tipo di perla. Realizzata esclusivamente in oro, mai (stando almeno ai contesti fin qui noti) in pietra dura semipreziosa, sovente utilizzata, invece, per altri tipi di perle. Assegnata in quantità abbastanza elevate, è appannaggio esclusivo delle dame di corte e più raramente nella documentazione disponibile delle statue di divinità comunque femminili (¼a-dam-ma in [1], ¼ba-ra-du ma-du in [13]). Questa perla risulta generalmente associata con gur-gú-ru¥©, “perla a forma di sfera”, ed entrambe erano impiegate per comporre importanti collane cerimoniali indossate in occasione delle nozze e, soprattutto nel caso di du-ru¥©-gú, dei riti funerari (É×PAP). Solo in [5] risulta problematica la motivazione dell’assegnazione specificata dall’enigmatica indicazione UR-ZI / u³-zu. 175 Sebbene recentemente Archi, 176 senza fornire etimologia, abbia tradotto il termine “date-shaped, double conoid bead”, in quanto “in the third millennium B.C., beads of gold were usually either spherical or date-shaped/double conoid/elliptical”, una connessione con l’accadico dar…kum, “avvolgere; imballare”, 177 può essere supposta, 178 come allusione alla tec- 173 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. Citato da Archi 2002a, p. 178. 175 Per un tentativo di interpretazione, Pasquali 1997, p. 230. Non appare adeguata ai contesti la proposta di D’Agostino 1996b, p. 64. 176 Archi 2002a, p. 189. 177 CAD, D, pp. 108-109, e DRS 4, p. 314. Frequentemente usato nelli testi paleoassiri di Cappadocia per indicare l’imballaggio dei vestiti (Veenhof 1972, p. 44), da questo verbo derivano il sostantivo di attestazione neobabilonese dar–ku, indicante un tipo di vaso (CAD, D, pp. 112-113; DRS 4, p. 314), sia a nostro avviso il termine tir-ku, noto in alcuni testi amministrativi di Mari risalenti al periodo degli Šakkanakku e non ancora interpretato (si veda Limet 1976, p. 166, s.v.), che deve indicare un tipo di “imballaggio” o “rivesti174 128 Capitolo IV nica (un particolare tipo di copertura in metallo prezioso?) usata per la realizzazione di questa perla. ga-bí-lum, “(un elemento accessorio della giara)”. [1] MEE 2 23: 2 mi-at 3 ma-na ša-pi kù-sig¥± e¥¥ / 1 tuš 1 la-ða / 3 mi-at 12 mana / 50 kù-sig¥± e¥¥ / ga-bí-lum / 1 mi-at 90 ma-na šušanaµ kù-sig¥± e¥¥ / 1 zà / 1 mi-at 31 ma-na TAR kù-sig¥± e¥¥ / 1 nundum / an-šè-gú / 8 mi<-at> 40 lá-2 ma-na šušanaµ kù-sig¥± / 1 la-ða / ab / 5 ma-na 14 kù-sig¥± / gú-za-u³-SÙ / numu-ti / 1 ma-na TAR su pirig gi­ / 50 kù-sig¥± gi­ / si-in / PUZUR­-ra-ma-lik / nu-mu-ti. Il termine non contato è presente una sola volta nei testi disponibili in un contesto di assegnazioni di metallo prezioso da utilizzarsi per la realizzazione e decorazione di una “giara” (la-ða) e dei suoi accessori. Recentemente è stato proposto un confronto con l’accadico kablu, 179 “leg of a piece of forniture”, riferito soprattuto a elementi del mobilio, più raramente anche a vasi, 180 in quanto sostantivo derivato dal sem. *kbl, “legare”. L’etimologia è accolta anche da Bonechi, 181 che collega la parola alla glossa di VE 865, íb-lá-dù = ga-bí-lu-um (fonte A ), ga-bí-lum (fonti C, D). 182 Un confronto diretto tra i due termini appare, tuttavia, difficile, dal momento che il sumerogramma íb-lá-dù è verosimilmente il nome di un tessile, 183 variante tipologica di íb-lá, “cinturone”, come íb-dù-túg e íb-túg, “gonnellino”. 184 Si confonteranno, in proposito, anche i testi antico- mento”. La parola in un caso (ARMT XIX 339, 4-5) è citata assieme a er-ma-tum, sem. *ïrm, “coprire”. 178 L’accostamento etimologico è anche in Waetzoldt 2001, pp. 396-397. 179 Archi 1999, p. 154, n. 32. Non è, tuttavia, foneticamente probabile l’accostamento proposto dall’autore con la grafia eblaita a-bí-lum, che altrove indica un ulteriore accessorio della giara la-ða. 180 CAD, K, pp. 21-22; Salonen 1963, pp. 85-86. 181 Bonechi 2003, p. 82. 182 Per questa glossa, Conti 1990, p. 205. 183 Ipotesi esclusa da Bonechi 2003, p. 82. 184 Il termine è raro e compare per ora solamente nei testi amministrativi della fase più antica degli archivi (come osserva giustamente ora Rositani 2001, p. 267, n. 30), ma è, comunque, noto nella lista lessicale bilingue in VE 863, íb-dù-túg = ma-ša-gu-um (fonti A, B), ma-ša-gúm (fonte C), la cui glossa semitica è stata di recente interpretata come /mawøaq-um/, “catena; cintura”, sulla base dell’arabo waø…q, di significato affine, da Fronzaroli 2003a, p. 232. Il lessico degli oggetti 129 sumerici di Lagaš, dove un sumerogramma túg-íb-dù, “ein Wollkleid”, 185 è noto in contesti di assegnazione di tessuti. Rispetto all’acc. kablu, la parola eblaita presenta uno schema 1…2i3-, che può interpretarsi come participio. Il fatto che il termine non sia preceduto da un numerale potrebbe inoltre indicare anche che si tratta di un tipo di lavorazione e non di un oggetto. In tal caso, un confronto con il sem. *kpr, “coprire”, in seguito noto in accadico ed arabo, può essere supposto, potendo la grafia indicare un tipo di rivestimento o copertura in metallo prezioso da applicare sul corpo del vaso in legno o pietra. ga-ma-a-tum (var. kam­-ma-a-tum), “(pomello in forma di) fungo”; gír ga-me-ù (varr. ga-mi-ù, ga-me), “pugnale con (pomello in forma di) fungo”. (passim). [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] [9] ARET II 42: 3 ma-na 17 gín kù:babbar / 4 kù-sal / TAR kù:babbar / ga-ma<a*->tum / šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± lú kù-sal / ama-gal / en; ARET III 218 r. IV:2'-5': 3 ma-na 17 kù:babbar / 4 kù-sal / TAR-3 kù:babbar / ga-ma-a-tum-SÙ; ARET VII 42 (1-2): 2 kù-sig¥± / 6 kù:babbar / nu¥¥-za 2 an-dùl / du-bù-ðu-¼ƒàda / 2 kù:babbar / 1 gír ƒà-ma-da-núm / 1/2 kù:babbar / ga-ma-a-tum-SÙ / 1 dumu-nita-SÙ; ARET VII 55: 1 mi<-at*> 33 ga-ma-a-tum mað šu-NI / 1 mi<-at*> 80 lá-3 [g]a-ma-[a-]tum tur / 1 dib / zé-kam­ / (anep.); ARET VII 42 (3): 4-1/2 nagga / TAR-6 a-gar®-gar® / 5 gír 5 ma-za-ù / 4 kù:babbar / ga-m[a-]a-tum-SÙ / 4 dumu-nita / pa­:[še]š / [d]a-NE-LUM; MEE 2 12 r. II:5'-7': 9? gín DILMUN £ kù-sig¥± / kam­-ma-a-tum / 7 £ £ eškiriµ / [...; MEE 7 34 r. XVIII:7 - XX:3: 1 ma-na nagga / kin®-aka / ‹x› mi-at gír mar-tu zabar / ‹x› ma-na ‹x› gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ si-si-SÙ / (x) ma-na TAR kù:babbar / [...] / [...] / [...] / (x) ma-na nagga / šub si-in / kin®-aka / 1 mi-at gír mar-tu zú-aka / šušanaµ-6 gín DILMUN nagga / šub si-in / [x ma]na [...] / a-gar®-gar® / kin®-aka / 17 gír mar-tu zú / ‹wa?› / (x) ‹gír›-‹mar›-‹tu› (...) kù-[sig¥±?] / 1? [ma-na] TAR kù:babbar / šu-bal-aka / [x kù-sig¥±] / [x]‹x›-‹x›-SÙ / wa / kam­-ma-a-tum-SÙ / 7 gín DILMUN kù:babbar / ba-du-u­ / 1 gír mar-tu-SÙ / [x ma]-na [x gín DIL]MUN nagga / šub si-in / 26 ma-na ša-pi a-gar®-gar® / kin®-aka / 1 mi-at gír mar-tu ti [...] / (...) / (...) / kam­-ma-atum-SÙ / in-na-sum / SA-ZAµ¾; MEE 7 34 v. III:1-8: 2 gín DILMUN kù:babbar / kin®-aka / kam­-ma-a-tum / zá‹ð› / ša-ti / kù-sal / ama-gal / en; MEE 7 47 r. IV:3 - 3 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ 10 lá-2 185 Bauer 1972, pp. 473 e 655. Capitolo IV 130 [10] [11] [12] [13] [14] gír mar-tu ti kù-sig¥± / 2 ma-na TAR kù:babbar / šu-bal-aka / TAR kù-sig¥± / zi-du / 10 gír mar-tu ti kù-sig¥± / ša-pi gín DILMUN kù:babbar / nu¥¥-za 20 gír mar-tu ti kù:babbar / TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kùsig¥± / ga-ma-a-tum-SÙ / 1 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / [...] ‹x› / [...] / šub si-in / kin®-aka-SÙ / lú ì-na-sum / SA-ZAµ¾ / in / du-du-lu¾ / in / níg-kas­ / ma-rí¾; MEE 10 20 v. XXIII:13 - XXIV:27: 3 ma-na nagga / šub si-in / 24 ma-na agar®-gar® / kin®-aka / 80 gír mar-tu ga-mi-ù kù:babbar / 1 ma-na ša-pi-6 2-NI gín DILMUN kù:babbar / ga-ma-a-tum-SÙ / ab / 2 4-NI gín DILMUN nagga / šub si-in / 18 gín DILMUN a-gar®-gar® / kin®-aka / 1 gír mar-tu / 1 3NI gín DILMUN / ga-ma-a-tum-SÙ; MEE 12 37 r. VII:8-30: 2 4-NI nagga / šub si-in / 18 gín DILMUN a-gar®-gar® / 1 gír mar-tu / 1 3-NI kù:babbar / ga-ma-a-tum-SÙ / da-ti / 2 4-NI nagga / šub si-in / 18 gín DILMUN a-gar®-gar® / 1 gír mar-tu ti / 15 gín DILMUN kù-sig¥± / zi-du-SÙ / a-gú-šum / maškim / i-bí-zi-kir / in / níg-kas­ / ib-al°¾ / ‹ù›-ti [...] x [...]; MEE 12 37 r. XVI:31-37: šušanaµ gín DILMUN nagga / šub si-in / 6 ma-na agar®-gar® / 20 gír mar-tu / 13 gín DILMUN 3-NI kù:babbar / ga-ma-a-tumSÙ / nar-nar; MEE 12 37 r. XVIII:32 - XIX:3: 18 gín DILMUN nagga / šub si-in / 2 ma-na šušanaµ-4 gín DILMUN a-gar®-gar® / 10 lá-2 gír mar-tu / 10 gín DILMUN 2NI kù:babbar / ga-ma-a-tum-SÙ / ru¥©-da-za / mi-ga-NI / ìr-ì-ba / ì-bù-ul-NI / en-na-NI / ìr-ba-šu / ìr-am°-ma-lik / ì-lum-bal / maškim / ì-bí-zi-kir / in / níg-kas­ / za-bù¾ / šu-ba­-ti; TM.75.G.1402 r. V:2-5: 186 5 gín DILMUN kù:babbar / ga-ma-a-tum / 4 kùsal 2 níg-anše-aka / ar-ru¥©-LUM. Queste grafie 187 ricorrono di norma in relazione ai “pugnali” (gír), più raramente in relazione al gioiello kù-sal [1, 2, 8, 14] e, in un caso [5], a ma-za-ù, “pettine (per svellere la lana)”, e sono sovente seguite dal pronome suffisso -SÙ, riferito agli oggetti in precedenza menzionati [2, 3, 5, 7, 9, 10-13]. In questi casi, il termine risulta non contato, mentre nel passo [4], dove non compare nessuna esplicita connessione con altri manufatti, si registra l’assegnazione di 133 ga-ma-a-tum di forma grande (mað), 188 contrapposti ad altri 177 di forma piccola (tur). Si consideri, inoltre, il passo [8], in cui 2 sicli d’argento servono per il restauro o la sostituzione di que186 Edito da Milano 1980, pp. 2-4. Pasquali 2005c. 188 La grafia šu-NI che segue non è certo debba interpretarsi come NP. Si confronti, infatti, TM.75.G.1701 r. VIII:6: 1 bu-di šu-NI (citato da Archi 1996c, p. 103), dove il termine qualifica un gioiello bu-di destinato a du-si-gú, madre dell’ultimo re di Ebla. 187 Il lessico degli oggetti 131 sto oggetto pertinente il kù-sal della madre del re (ama-gal en) e andato perduto (záð). Tutto ciò porta ad escludere che il termine possa indicare una modalità di lavorazione, 189 e favorisce l’ipotesi che si tratti piuttosto di un elemento accessorio, decorativo e funzionale, di pugnali e pendenti. Un’interpretazione come “pomello” può, pertanto essere valida per questa parola eblaita, 190 se prendiamo in considerazione la possibilità di un confronto con il sem. *kamƒ-, “fungo” (accadico di Mari kamƒu, kamƒ…tum; arabo kamƒ, come continuazione dall’accadico), 191 come allusione alla forma a sezione emisferica dell’oggetto in questione. 192 Così, nei numerosi passi che l’attestano, la grafia ga-me-ù (e varr.), regolarmente riferite a gír, “pugnale”, può essere, analizzata ed interpretata come una forma aggettivale 1a2i3- sempre dal sem. *kamƒ-, “fungo”, come allusione all’elemento caratteristico di cui tale pugnale era provvisto: il pomello a forma di fungo. Grazie ai ritrovamenti archeologici delle tombe reali di Alaça Hüyük e di Dorak e del secondo insediamento di Troia, sappiamo che almeno a partire dalla fine del III millennio a.C. pomelli a forma di fungo, ad esempio in cristallo di rocca, erano effettivamente impiegati dagli artigiani anatolici come rifinitura per pugnali, scettri ed armi da apparato, differenziandosi così nettamente dalla tradizione artistica mesopotamica che preferiva la forma allungata a pera. 193 La presenza ad Ebla di pomelli a forma di fungo con impieghi del tutto simili potrebbe, quindi, considerarsi come un ulteriore indizio dei già supposti contatti dell’area siriana con l’ambiente anatolico in quell’epoca, motivati principalmente dalle forniture di metallo, in particolare argento e stagno. 194 Si può ricordare a questo proposito, proveniente dagli scavi del Palazzo Reale G, un pendente in foglia d’oro, 189 Si tratterebbe di una “placcatura” per Archi 198e8, pp. 211-212, che accoglie il confronto etimologico proposto da Pomponio 1982, p. 211, n. 10, con l’accadico kamû, “legare; attaccare”. 190 La possibilità di una traduzione “pomello” per la parola eblaita era stata già presa in considerazione da Waetzoldt 1990, p. 10 (seguito da D’Agostino 1996b, p. 218), ma il confronto proposto dall’autore con le grafie amarniane gu-mu-ú-ri e gu-mu-ú-ra, “elsa; guardamano”, appare foneticamente difficile e comunque semanticamente non appropriato ai contesti eblaiti relativi al gioiello kù-sal. Ultimamente, Waetzoldt 2001, p. 137, è tornato sull’argomento proponendo però una diversa traduzione: “Verbindungsstück? ”. 191 Per il termine a Mari, Durand 1990, p. 107, n. 18, “champignons du désert”; Birot 1993, p. 115, “truffe” o “champignon”. Per la comparazione semitica, Heimpel 1997; Zadock 1997. 192 Pasquali 2005c. 193 Rova 1987, pp. 111 e 114. 194 Pinnock 1985, p. 90. Capitolo IV 132 che richiama gli idoli a forma di violino usati come elementi decorativi di un diadema delle tombe reali di Alaça Hüyük. 195 Si noterà, infine, che lo stesso sviluppo semantico del semitico pare comune anche al greco, dove la parola m›khj indica sia il fungo sia il pomo d’elsa della spada o della guaina, che secondo alcuni autori classici sarebbe all’origene del nome della città di Micene, in greco Muk≈nai. 196 Lo Ps.-Plutarco (De fluv. et mont. 18, 7) narra, infatti, che il re di Epidauro in base ad un vaticinio ricevuto avrebbe fondato la città, poi così chiamandola, nel luogo del ritrovamento del pomo (m›khj) della spada usata da Perseo per decapitare la Gorgone Medusa e accidentalmente smarrito dall’eroe. Pausania (II, 16, 3) fornisce addirittura una versione duale dell’evento: Muk≈nai deve il suo nome al fatto che Perseo la fondò nel luogo in cui o per caso cadde il pomo (m›khj) d’elsa della sua spada o invece, assetato, raccolse un fungo (m›khj) e lì sgorgò una limpida sorgente. gi-zu (varr. gi-zú, gi-a-zu), “(un contenitore di forma chiusa)”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] ARET II 2 (4): 10 kù:babbar / 3 kù-sig¥± / al° / ìr-ì-ba / in / kin®-aka / 1 zi-ru¥© / wa / giš-šu­-giš-šu­ / gi-zu-gi-zu; ARET VII 11 (13): 51 ma-na 5 gín DILMUN kù:[bab]bar / [šu-bal-aka] / [10 ma-na] 13 [gín] ‹DILMUN› kù-sig¥± / 1 ma-na kù:babbar / ne-zi-mu / giš-šu­ / šu en / 1 ma-na TAR kù:babbar / gi-zú / al°:gál an-zamµ-an-zamµ / en; MEE 10 29 r. XVII:23-34: 5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 ma-da:a:um / 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 pad 1 gi-zu / níg-šu-DU / en; MEE 10 29 v. XVII:13-20: 14 ma-na ša-pi kù:babbar / kin®-aka / 12 giš-šu­ / kú / 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù:babbar / 5 giš-šu­ tur / 3 ma-na kù:babbar / 1 gi-zu* níg*-šu-DU*; MEE 10 29 v. XVIII:20-27: šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / zà-gír-aka / giš-šu­-giš-šu­ / wa / gi-a-zu / en-en; TM.75.G.1527 r. I:1-5: 197 (x) mi-at ma-na kù-babbar / (x) ma-na 53 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 níg-bànda / 1 ma-na 4 gín DILMUN 1 gi-zu níg-šuDU; TM.76.G.281 r. I:2-6: 198 5 giš-šu­ tur / 1 gi-zu 1 pad-SÙ / 2 an-zamµ 2 padSÙ / [...] ‹x› / [... 195 Si veda la scheda nº 124 del catalogo Ebla. Alle origeni della civiltà urbana, Milano 1995, p. 330. 196 Recentemente Pellizer 1991, pp. 114-115. 197 Inedito parzialmente citato in Waetzoldt 1990, p. 15, n. 85, e traslitterato sulla base della fotografia del recto in Matthiae 1989, tav. 62. 198 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 157. Il lessico degli oggetti 133 In ragione dei contesti, il termine indica un tipo di vaso in metallo prezioso, citato spesso assieme a giš-šu­ ed an-zamµ, più raramente con altri contenitori. L’interpretazione non è certa. Il confronto con ugaritico ks ed ebraico kŸs, “coppa” (sumerico gal), 199 appare foneticamente difficile. La grafia gi-a-zu in [5] sembra indicare la presenza di un glide mediano. Il fatto che potesse essere provvisto di un “coperchio” (pad) avvalora l’ipotesi che l’oggetto possa identificarsi con un contenitore di forma chiusa adatto a contenere olii aromatici. 200 L’oggetto è di appannaggio quasi esclusivo del sovrano. Nel passo [2] la formula al°:gál an-zamµ-an-zamµ / en può interpretarsi come “che si trova nella disponibilità di vasi per il re”. In [3], [4] e [6], il vaso è qualificato come níg-šu-DU (/ en), indicante probabilmente un atto cultuale. Il vaso è citato del resto anche nei testi del rituale regio. In [5], l’assegnazione dell’oro appare formalmente finalizzata per “dipingere” (zà-gír-aka) 201 vasi giš-šu­ e gi-a-zu. È possibile, quindi, che le “raffigurazioni” (an-dùl), spesso citate in relazione a vasi non siano da intendere esclusivamente come elementi in rilievo plasmati sulla superficie dell’oggetto o delle forme plastiche da applicarvi sopra, ma anche come decorazioni pittoriche realizzate, si presume (almeno nel caso qui analizzato), con vernice dorata. gú-a-tum (var. gú-a-ti), “(un oggetto)”. [1] ARET III 337 v. VI:2'-7': [1* na­* siki*] 202 níg-dug-DU / gú-a-tum / ¼a-dama / wa / ¼TU / ƒà-da-NI¾ / (anep.); [2] ARET XII 344 v. IV:1'-4': ...] / 10 lá-3 an-dù[l] igi-DUB-SÙ šu-SÙ DU-SÙ kù:babbar / 10 lá-3 gú-a-tum zabar / ¼gú-ša-ra-tum; [3] MEE 7 34 v. XVIII:7'-14': 5 kù:babbar / šu-bal-aka / 1 kù-gi 1 kù-sal / níg-ba / da-bur-da-mu / al° / gú-a-ti / ¼ba-ra-ma; [4] TM.75.G.1776 v. IX:1-5: 203 1 na­ siki / níg-dug-DU / gú-a-tum / ¼a-da-ma / ƒà-da-NI¾. L’oggetto indicato da queste grafie suscita interesse per l’importanza cultuale che riveste in alcune cerimonie della vita religiosa eblaita. Il termine ricorre, infatti, oltre che nei contesti amministrativi sopra elencati, 199 Proposto da Pomponio 1984, pp. 310-311. Fronzaroli 1993, p. 33, a cui si rimanda per una discussione delle attestazioni del termine nei testi rituali. 201 Per questo sumerogramma, Pasquali 2005a, pp. 289. 202 Integrazione sulla base del passo parallelo [4]. 203 Citato da Pomponio - Xella 1997, p. 13. 200 134 Capitolo IV anche nel rituale di ARET XI, dove determina l’offerta di un monile alla dea ¼ba-ra-ma, paredra di ¼KU-ra. 204 Alla medesima occasione fa riferimento il rendiconto amministrativo [3], 205 in cui si specifica che responsabile dell’offerta è la regina da-bur-da-mu, alle cui nozze, infatti, pare sia da collegare il secondo dei rituali di ARET XI. Ancora ad un’occasione rituale concernente il culto di divinità femminili (¼a-da-ma e ¼TU) fanno riferimento i passi [1] e [4]. La cerimonia ha luogo in ƒà-da-NI¾, sede di culto delle divinità infere, e determina l’offerta di una misura na­ di lana, verosimilmente da utilizzarsi per un atto di magia analogica. L’azione cultuale è espressa mediante il termine sumerico níg-dug-DU, di non ovvia interpretazione, ma da cui, comunque, sembra potersi dedurre che un vaso (dug) era in qualche modo coinvolto nel rito (probabilmente veniva “portato”, data la semantica di DU). In entrambi questi contesti, níg-dugDU precede immediatamente gú-a-tum. Il coinvolgimento di un vaso in un’azione cultuale è evento tipico della cultura religiosa siriana, come documentano molte testimonianze posteriori sia archeologiche sia testuali: il mito ugaritico di Šïr w Šlm, 206 il De Syria Dea attribuito a Luciano di Samosata, 207 nonché alcune descrizioni presenti nel Talmud. 208 Ciò avveniva spesso in connessione con i riti di fertilità, con le celebrazioni in onore dei defunti e con il mrzï. A questo proposito si può ricordare che ad Ebla sono coinvolte nel rito sia la dea madre ¼TU, che ha connotazioni ctonie oltre che uranie, 209 sia la dea infera ¼a-da-ma, paredra di ¼ra-sa-ab, connessa verosimilmente al culto dei pozzi e delle acque dolci sotterranee. In queste occasioni si utilizzava il vaso per portare in processione le acque (hydrphoria). I testi eblaiti potrebbero costituire l’antecedente di questo scenario cultuale. Ancora ad un ambito infero paiono ricondurre le divinità indicate dalla grafia ¼gú-ša-ra-tum a cui vengono assegnate in [2] 7 statue con parti in argento ed altrettanti gú-a-tum in bronzo. Si tratta verosimil204 ARET XI 1 (14): 1 da-ga-a-tum / e-am / ‹gú›-‹a›-[ti-i]š / ¼ba-‹ra›-[ma] / [ma-liktum] / ‹šu›-‹mu›-taka­; ARET XI 2 (16): 1 da-ga-a-tum e-am / 1 gú-a-ti-iš / ¼ba-ra-ma, pp. 289-289. 205 Per i legami tra questo testo amministrativo e i rituali di ARET XI, Biga 1992, pp. 3-11. 206 Lipinski 1986, pp. 207-216; Segert 1986, pp. 217-224. 207 Soyez 1972, pp. 149-169; Soyez 1975, pp. 43-45; Good 1986, pp. 99-114. 208 Delcor 1970, pp. 117-132. 209 Come rivelano l’assegnazione alla statua di culto di questa dea di una veste nera o bianca a seconda del suo status (Pasquali 1996; Biga 2003, pp. 54 ss.) e l’esistenza di un suo culto sia ad ƒà-da-NI¾, sede del santuario delle divinità infere, sia a ða-labµ¾, sede del santuario del dio ¼ƒà-da e della sua paredra. Il lessico degli oggetti 135 mente della forma plurale di ¼ga-ša-lu, noto ad Ebla per ora solamente in un testo di offerte sacrificali 210 (e forse nel contesto lacunoso di ARET XII 358 V':1'). Questo nome divino deve essere messo in relazione con il teonimo gør (dal sem. *gaør-, “forte”; acc. gaš…ru, “essere forte”), 211 attestato ad Ugarit nel testo paramitologico RS 24.252, nel testo rituale RS 1.005 e nella lista lessicale multilingue RS 20.123+ IVa 15, dove lo si identifica con ¼tišpak e mi-il-ku-un-ni. La divinità è, inoltre, nota anche a Mari (come elemento teoforo nel nome ¼ga-aš-rum-ga-mil in ARMT XXII 13 II:28) e ad Emar. Parebbe trattarsi di una figura divina legata all’ambito ctonio (data anche l’equivalenza con ¼tišpak e mi-il-ku-un-ni), con caratteristiche simili a Nergal/Erra. 212 Ma ciò che ancor più qui interessa è il fatto che ad Ugarit nel già citato testo RS 1.005 ed in altri due rituali (RS 24.253 e RS 24.256) esiste la forma plurale gørm di questo nome divino. Si tratterebbe, pertanto, di un gruppo di divinità di cui farebbero parte lo stesso gør, špš e yrð, più altre divinità allo stato attuale non identificabili, legate all’oltretomba. 213 L’attestazione eblaita parrebbe indicare che queste divinità erano in tutto sette data l’offerta ad esse di 7 statue e 7 gú-a-tum. 214 Tornando all’interpretazione di questo termine, l’unica interpretazione finora proposta è quella di Fronzaroli, che traduce dubitativamente “gancio”, in base a VE 521 géšpu = gú-a-tum (fonti A, B, C, D). 215 La glossa è spiegata come /kuw…ïtum/, “un’arma”, da G. Conti, che rimanda all’ebr. koaï, “forza”. 216 Ma non è escluso che possa trattarsi di due termini omografi. La parola può, infatti, essere confrontata anche con le grafie gu-la-ƒà-tum, gu-la-tum, gú-a-ƒà-tum, che nei testi amministrativi indicano un bene che talora è oggetto di uno šu-mu-taka­, 217 spiegabili tramite la glossa di VE 79 níg-dug = gàr-ƒà-tum (fonti D e C), “un vaso”, che G. Conti interpreta in base all’ugaritico qlït, all’ebraico qallaïat ed all’egiziano qrït, indicanti tutti 210 Pomponio - Xella 1997, p. 183. Pardee 1988, p. 93. La grafia eblaita, che impiega i sillabogrammi della serie ŠA, indica un’etimologia con /ø/ per la radice, nonostante il confronto con l’arabo ÿasara, “osare”, proposto in DRS 3, p. 197. 212 Steinkeller 1987b, pp. 165-166; Steinkeller 1990, p. 58. 213 Pardee 1993, pp. 301-317. 214 L’attestazione eblaita orienta inoltre verso una lettura guøar¢ma, anziché gašar¢ma, come finora supposto. 215 Fronzaroli 1993, p. 27. 216 Conti 1990, p. 146. 217 Pomponio 1985, p. 246. L’etimologia proposta non tiene conto, però, di tutte le varianti. 211 Capitolo IV 136 un tipo di contenitore. Ad Ugarit si tratta di un oggetto divinizzato. 218 Un’interpretazione di gú-a-tum come un tipo di vaso meglio si adatterebbe a spiegare i contesti in cui il termine ricorre in connessione con níg-dugDU. gú-bù (var. gú-bu¥°), “cratere”. [1] ARET I 31 (45): TAR kù-sig¥± / 1 mu-túm / 1 gú-bù 10 ma-na 50 gín DILMUN zabar / 1 bur-NI 1 pad 50 lá-2 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 mu-túm / du-ub¾; [2] ARET VIII 539 (= MEE 5 19) v. IV:1'-9': šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 5 gú-bù / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / níg-kaskal / in-gàr / lú BAR.AN-BAR.AN!(AMA.DINGIR) / du-du / ma-rí¾; [3] ARET IX 89 r. I:1 - v. I:6: 70 gú-bar za-la-tum / 25 gú-bar še-zì-gu / 20[+x] gú-bar bappir / 2-1/2 gú-bar munu­ / 1 gú-bar gi-mi-lum / 12 dug ì-giš giššim / 2 gú-bù gú-mu-wa-núm / 1 gú-bar gi-NE-tum / 2 pisan giš-NI / 1 da-zaum 1 íb-iii-túg / 10 lá-3 kešda / íl / i-bí-zi-kir / si-in / níg-kas­ / ma-rí¾; [4] MEE 12 27 r. V:6 - VI:7: 4 mi-at ma-na kù:babbar / 40 zi-ru¥© / ‹4› mi-at [m]a-na [k]ù:[babbar] / 80 gú-bu¥° / 40 ma-na ‹kù:babbar› / 10 bù-za-du / 8 mi-at 40 ma-na kù-sig¥± / 84 zi-ru¥© / 3 mi<-at> 20 ma-na kù-sig¥± / 64 gú-bu¥° / lú 5 ma-na / ‹11›+[...] / [...]. La grafia gú-bù nei testi amministrativi eblaiti si riferisce ad un oggetto realizzato in metallo anche in quantità piuttosto elevate. In [1], un gú-bù di 10 mine e 50 sicli di bronzo è oggetto assieme ad un bur-NI, “ciotola”, munito di coperchio (pad) del peso di 48 sicli d’oro, di un mu-túm, “apporto”, da parte di du-ub¾. In [2], si assegna dell’argento in ragione della “laminatura” (ni-zi-mu) di 5 gú-bù d’oro, mentre in [4] si registra l’uscita di 400 mine d’argento per 80 di questi oggetti e di 320 mine d’oro per altri 64. Il termine è noto anche in alcuni rendiconti di derrate provenienti dall’archivio L.2712 da cui si ricava che il vaso era usato come unità di misura per olii ed essenze aromatiche: ì-giš, ì-giš du², ì-giš ne-mi-lum, ìgiš (lú) giš-ád, ì-giš (lú) giš-šim. 219 Si veda, in tal senso, il passo [3], dove a 2 gú-bù gú-mu-wa-núm vengono contrapposti 12 dug ì-giš giš-šim, per quanto la specificazione gú-mu-wa-núm, che indica altrove nei testi amministrativi e nei rituali di ARET XI un tipo di vaso, e non una sostanza, non risulti ovvia in questo contesto. L’analisi complessiva dei contesti induce a 218 Conti 1990, p. 79, con bibliografia precedente. Le grafie amministrative e la glossa erano già state associate sempre da Conti 1993, p. 101. 219 Per i testi di questa tipologia, si rimanda all’indice di ARET IX. Il lessico degli oggetti 137 supporre che il vocabolo indichi un tipo di vaso impiegato, come accade sovente per altri contenitori, anche come unità di misura. Il termine è stato spiegato tramite l’accadico quppu, “cesta, cassetta”, 220 ma questo significato non si accorda a tutti i contesti, né pare adeguato ad un contenitore destinato a contenere olii. 221 Una proposta etimologica foneticamente e semanticamente adeguata è confrontare il vocabolo eblaita con il semitico *gbb, con un origenario senso di “raccogliere (l’acqua)”, da cui si sono formati in varie lingue semitiche dei sostantivi derivati indicanti contenitori. Si vedano, infatti, l’accadico gubbu (come prestito dal semitico occidentale), l’ebraico gb, l’aramaico gubb… e l’arabo ÿubb-, traducibili tutti come “pozzo; cisterna; bacino”. 222 L’etiopico gebb indica genericamente una “fossa”, mentre l’ugaritico gb presenta accanto al significato di “fossa”, anche quello di “grande coppa” o “grande vaso”. 223 Ad Ebla, si sarà verosimilmente trattato di una grande “bacile” o “cratere”, il che renderebbe ragione delle importanti quantità di metallo utilizzate per la realizzazione di questo oggetto. 224 gú-li-lum (varr. gú-li, gú), “braccialetto”. [1] [2] [3] [4] [5] ARET II 8 (9-10): 1 ma-na ša-pi-7 kù-sig¥± / 1 gú-li-lum mað / ¼ra-sa-ab / ƒàda-NI¾ / 1 ma-na / šušanaµ-3 kù-sig¥± / 1 gú-li-lum tur / ¼a-dam-ma-SÙ / lú ¼AMA-ra; ARET VII 45 (2): 1 ma-na 10 kù-sig¥± / 1 gú-li-lum-ii na­ / zé-kam­ / šu-ba­-ti; ARET VII 49 (1-2): ša-pi kù-sig¥± / 1 dib na­ / íl-ba-um / 50 kù-sig¥± / 1 gú-lilum na­ / du-ur-NI; ARET VIII 534 (= MEE 5 14) r. IX:21-27: 1 ma-na 10 kù:babbar / šu-balaaka / 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 gú-li-lum ‹giš›-UD 12-1/2 / 1 gú-zu-ratum 5 / zu-lu-mu / za-a-šè; MEE 2 12 v. IX:1-7: £ £ ti²-mušen 1/2? gú-li-lum giš:UD 2 zi-bar tur / 220 Milano 1990, p. 389, s.v.; questa etimologia è stata recentemente riproposta da Pettinato 1996, p. 330; Pomponio 1998, p. 31, n. 26; Waetzoldt 2001, p. 232. 221 D’Agostino 1996b, p. 135. L’uso di gú per /qu/, sebbene meno regolare, è, comunque, possibile (Conti 1993, pp. 97 ss). 222 Per la radice, DRS 1, pp. 94-95; CDG, p. 176. Si confrontino anche arabo ÿawb-, “grande secchio di cuoio”, e l’etiopico gayb, “coppa”, verosimilmente da una radice parallela *gwb. 223 Per questa traduzione dell’ugaritico gb, Bordreuil - Caquot 1979, p. 297; Pardee 1988, pp. 37 ss. 224 Più difficilmente sostenibile appare l’ipotesi di Bulgarelli 1999, secondo cui le quantità d’oro si riferisconono non al materiale con cui il vaso è realizzato, ma al peso del metallo in esso tesaurizzato. Capitolo IV 138 [6] [7] [8] [9] [10] [11] [12] [13] GÁ×LÁ 2? ma-na 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ar-ru¥©-LUM / è / nu¥¥-za 2 andùl / ¼ƒà-da; MEE 2 50 r. XII:7: 2 gú-li-lum <giš*>-PA-giš-PA GÁ×LÁ 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥±; MEE 10 29 r. V:17-23: 10 ma-na kù:babbar šu-bal-aka / 2 ma-na kù-sig¥± / 1 gú-li-lum 3 giš-PA / níg-ba / en / ar-mi¾; MEE 12 37 r. IX:4-14: 5 ma-na TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na 6 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 gú-li-lum 4 zú A.LAGAB×AN / i-bí-z[i-kir] / [...] / inna-sum / íl-ƒà-ag-da-mu / lú / níg-kas­ / za-bù¾; TM.75.G.1284 v. IV:9 - V:6: 225 1 ma-na 50 kù-sig¥± 2 gú-li-lum mað ¼ra-saab 1 ma-na 23 kù-sig¥± 2 gú-li-lum ¼a-da-ma ma-lik-tum sikil; TM.75.G.2077 r. I:3 - II:1: 226 52 kù-sig¥± 1 gú-li-lum-ii 4 si­ ša-pi kù-sig¥± 1 gú-li-lum 3 si­; TM.75.G.2327 r. IX:6-11: 227 1 dùl-túg ib-la¾ 1 aktum-túg 1 íb-iii-túg sa° gùn wa 2 gú-li-lum giš-PA za:gìn kù-sig¥± lú níg-ba en lú i-bí-zi-kir ì-na-sum in u­ níg-mu-sá bur-KAK kéš-du-ud en kiš¾ en-na-ni-il lú ša-ù-um šu-mu-taka­; TM.75.G.2382 r. II:4 - III:2: 228 TAR kù-sig¥± ù-ma na­ 1 gú-li-lum giš-geštin da-rí-[t]um ¼ra-sa-ab ƒà-da-NI¾; TM.75.G.2643 r. I:1-7: 229 1 ƒà-da-um-túg-ii 1 aktum-túg 1 íb-iii-túg sal 1 gúli-lum-ii šušanaµ-7 kù-sig¥± na­ / a-mu-SÙ / en / kiš¾ / bíl-ma-lik / t[i-t]i-nu / šu-mu-taka­. Il termine 230 può interpretarsi come “braccialetto” sulla base di un confronto con l’accadico di Mari kul–lum. 231 Si tratta di una componente piuttosto ricorrente della gioielleria eblaita assegnata a personaggi di vario rango, senza distinzione di sesso, ed alle divinità. Tipica risulta, infatti, l’offerta di questo gioiello sia al dio ¼KU-ra assieme ad un túg-NI.NI e in genere in numero di due, sia agli dei ¼am-ma-rí-gú e ¼áš-da-bíl per lo più nella medesima occasione cultuale. 232 In [1, 9] ne è destinataria, invece, la coppia degli dei inferi ¼ra-sa-ab e ¼a-dam-ma. Questi due passi citano gúli-lum di forma grande (mað), contrapposti ad altri di forma piccola (tur) o 225 Citato da Pomponio - Xella 1997, p. 11. Citato da Archi 2003, p. 32. 227 Citato da Archi 1987a, p. 138. 228 Citato da Archi 2003, p. 36. 229 Citato da Archi 1981b, p. 87. 230 I 13 passi qui riportati non sono che una selezione delle numerose attestazioni presenti nei testi di Ebla. 231 Fronzaroli 1990, p. 118 e n. 26, con bibliografia precedente. 232 Si vedano in proposito i numerosi passi elencati in Pomponio - Xella 1997. 226 Il lessico degli oggetti 139 normale, con l’oggetto di maggiori dimensioni offerto all’elemento maschile della coppia. Ancora ¼ra-sa-ab ne è destinatario in [12]. Dai testi amministrativi si possono dedurre altre informazioni riguardo alle caratteristiche di questo oggetto. Munito sovente di sa-ða-wa, “pendenti” (si veda s.v.), e almeno in un caso, pare, di gú-zu-ra-tum, “fermaglio” (si veda s.v.), era di norma realizzato in metallo. 233 Poteva trattarsi, quindi, di un gioiello composito molto elaborato con applicazioni ed ornamenti in materiali vari: legno (giš-UD) in [4, 5], 234 “denti” di un animale acquatico (zú A.LAGAB×AN) in [8], e soprattutto pietre dure semipreziose, quali il lapislazuli (za:gìn) in [11], la corniola rossa (si­) in [10], o semplicemente pietra dura (na­) non altrimenti specificata in [2, 3, 11, 12]. 235 È possibile che in legno e pietra dura fossero realizzati i già citati pendenti applicati al gú-li-lum, di cui alcuni contesti indicano anche la forma: di pina (da-rí-tum, si veda s.v.), di tralcio di vite (giš-geštin). Ad una particolare forma dei pendenti applicati al gú-li-lum si riferisce probabilmente anche la grafia giš-PA (anche al plurale <giš*>-PA-giš-PA), che qualifica il gioiello in [6, 7, 11]. L’uso del plurale, infatti, porterebbe ad escludere che questo termine sumerico, connesso altrove anche a dib, “placchetta”, e ti-gi-na, “collana”, indichi il materiale (un tipo di legno), con cui era realizzato il braccialetto o una sua componente. 236 In contesti di gioielli giš-PA deve, a nostro avviso, interpretarsi come un elemento ornamentale, probabilmente in forma di piccolo bastoncino o altra figura derivata dal mondo vegetale. 237 gu-ma-lum, “elsa; guardamano”. [1] ARET III 526 v. IV:1-4: ...] / 17 gu-ma-lum / gír-tur-gír-tur / 5 ma-na a-gar®gar® / 52[+x] gín [DILMUN ...; [2] ARET XII 92 v. II':6'-9': 1 siki kin / kin®-aka / gu-m[a-]l[um] / e[n] / [...; [3] ARET XII 863 v. I:1'-4': 1 ‹kin› [siki] / kin®-aka / gúm-a-‹lum› / ‹en›; 233 Prezioso e talvolta anche non prezioso. Sui tipi e le quantità di metallo impiegate per la realizzazione di questo oggetto esiste uno studio specifico di Mander 1995, pp. 41-87. 234 Per questo tipo di legno, si rimanda all’introduzione. 235 In [12] la grafia ù-ma che precede na­ indica la congiunzione: “oro e inoltre pietra dura” (diversamente Archi 2003, p. 36 e n. 37). 236 Come osserva anche Waetzoldt 2001, p. 361. 237 Come hanno dimostrato Fronzaroli 1993, pp. 26-27; Conti 1997, pp. 61 ss., è probabile che giš-PA non avesse ad Ebla un valore univoco (si veda in proposito anche il capitolo I). Risulta, comunque, difficile seguire Archi 2002a, p. 198, quando a proposito di ti-gi-na giš-PA / lú giš-PA, commenta “a t. can be part of a "staff(?)" ”. Capitolo IV 140 [4] TM.75.G.1402 r. VIII:2-9: 238 1-1/2 gín DILMUN kù:babbar / 1 sila / gišgígir-ii / ar-ru¥©-LUM / 4 gín DILMUN kù:babbar / gú-zi-na-tum / gu-malum / en. Questo termine è citato in stretta relazione a pugnali di forma piccola (gír-tur) in [1], in un testo relativo ad un’assegnazione di metalli per armi ed utensili, 239 mentre in [2-3] una misura kin di lana è necessaria per la realizzazione di questo stesso oggetto, in entrambi i casi destinato al re. Si trattava, pertanto, di un manufatto in metallo e tessuto. 240 Il passo [1] invita a nostro avviso ad un confronto di questa rara parola eblaita con le grafie amarniane gu-mu-ú-ri e gu-mu-ú-ra, che in due differenti passi della lettera di Tušratta di Mitanni (EA 22) paiono indicare una parte accessoria del pugnale: l’elsa o il guardamano. 241 I passi relativi sono i seguenti: EA 22 I 33, [1] paýru liš…n-su ðalbakinnu gu-mu-ú-ri-šu ður…ña uññuru, “un pugnale la cui lama è di ðalbakinnu, la cui elsa è cesellata in oro”; EA 22 III 7, 1 paýru ša liš…n-su ðalbakinnu gu-mu-ú-ra-šu ður…ña uññuru, “un pugnale la cui lama è di ðalbakinnu, la cui elsa è cesellata in oro”. L’etimo rimane purtroppo oscuro, ma l’attestazione eblaita con l’impiego del segno gu assicura comunque una radice di prima /q/. 242 gúm-a-núm (varr. gúm-a-nu, gu-ma-nu), “(un recipiente di forma chiusa)”. [1] [2] [3] [4] [5] MEE 7 34 v. XVII:2-9: ...] / kin®-aka / 1 mu-rúm / wa / 1 gúm-a-nu / ‹wa› / 2 giš-alam / su-da®-lik / en; MEE 10 20 r. VII:31 - VIII:3: 12 gín DILMUN kù:babbar / níg-sa¥¤ / 12 mana gìn-gìn // 1 ma-na kù:babbar / 1 gúm-a-núm / i-bí-zi-kir; MEE 10 29 v. VII:23-28: 10 gín DILMUN kù:babbar / zaµ / la-si-ga-tum / 2 gúm-a-núm / en / i-bí-zi-kir; MEE 12 37 10 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 1 gúm-a-núm / 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / zaµ / a-si-gatum-SÙ / en; TM.75.G.1353 r. V:6 - VI:4: 243 4 lá-6 ma-na kù-sig¥± / ša-pi gín DILMUN kù:babbar / 4 pad / gu-ma-nu / 1 ma-na kù:babbar / su-ma-a-ba­ / u® / áb-zú¾. 238 Edito da Milano 1980, pp. 2-4. Ciò esclude a nostro giudizio la proposta di Waetzoldt 2001, p. 545. 240 La lana come materiale rende più difficile riferire queste grafie al lemma successivo. 241 CAD, G, p. 133, s.v. gum¢ru; Salonen 1965, p. 57; Adler 1976, p. 277 s.v.; Moran 1987, p. 132, n. 7. 242 Per il valore /qu/ del segno gu, Conti 1993, pp. 97 ss. 243 Edito da Milano 1980, pp. 12-15. 239 Il lessico degli oggetti 141 Queste grafie corrispondono a gú-mi-a-núm ed alle sue varianti gúmu-wa-núm e gu-mu-wa-núm dei testi rituali di ARET XI, indicanti un tipo di vaso a forma chiusa per olii aromatici. 244 La pertinenza di questa associazione è assicurata dal contesto [1], in cui è chiaro il riferimento, come in tutto il resto del documento da cui il passo proviene, alla preparazione degli oggetti poi utilizzati proprio nei riti descritti dalle tavolette edite in ARET XI. 245 La variante gu-mu-wa-núm assicura che la radice di derivazione deve essere con /q/ iniziale. Conformemente a ciò, è stato di recente proposto per questo vocabolo un confronto con il sem. *qmw/y, “bruciare”, con il significato origenario di “contenitore per cottura”. 246 Dai testi amministrativi è possibile dedurre che si trattava di un oggetto importante. Destinato al re di Ebla o al suo ministro, infatti, poteva essere realizzato in argento e lapislazuli (gìn-gìn). In [3, 4], l’oggetto è posto in relazione con il sumerogramma zaµ, “tesoro”, 247 seguito dalle difficili grafie la-si-ga-tum, a-si-ga-tum. Il termine ricorre nella documentazione disponibile solo altre due volte: MEE 10 29 r. XVIII:25-31: 5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / zaµ / la-si-ga-tum / ma-lik-tum; TM.75.G.1738 r.V:7-14: 248 20 gín kù-sig¥± / ‹2› ti-[...] / 1 dib / 1 kù-‹sal› / SAZAµ¾ / a-si-ga-tum / dumu-nita / dar®-kab-du-lum. L’unica proposta interpretativa finora avanzata per queste grafie la dobbiamo a Waetzoldt, 249 che, pur non fornendo alcuna etimologia e senza convinzione, suppone si tratti di una forma aggettivale riferita al sumerogramma zaµ, da lui considerato il nome di un’arma. Da qui la traduzione “1 za-mace (of) lašigatum-type??”. Tale interpretazione non può essere accolta essendo oramai stabilito che non esiste un tale valore per il sumerogramma zaµ. Sulla base dei contesti e del significato “tesoro” di zaµ, potrebbe proporsi come ipotesi di lavoro per l’eblaita la-si-ga-tum, a-si-ga-tum un confronto con l’ebraico biblico lišk… (sovente impiegato al plurale), indicante 244 Fronzaroli 1993, pp. 248 e 389. L’attinenza di questo rendiconto amministrativo con i testi del rituale è stata notata da Biga 1992, pp. 3-11. 246 Fronzaroli 1996, p. 58. Etimologia “non ovvia” per Conti 1993, p. 105, n. 13. 247 Per il significato di questo sumerogramma, Fronzaroli 1993, p. 43, con bibliografia precedente. 248 Citato da Archi 1996c, p. 107. 249 Waetzoldt apud Mander 1990, p. 167. 245 Capitolo IV 142 la “cella”, la stanza protetta del palazzo reale o del tempio in cui per lo più venivano conservati i tesori. 250 Ad Ebla si sarà trattato di una particolare struttura in cui erano collocati gli oggetti preziosi che costituivano lo zaµ. gur-gú-ru¥© (varr. kur-gú-ru¥©, kur-gur-ru¥©), “(perla a forma) di sfera”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] ARET IV 19 (17): 1 túg-NI:NI ú-ðáb / 1 gíd-túg 1 du-ru¥©-ru¥© / šušanaµ-4 kùsig¥± / 10 gišgeštu-lá / 7 kù-sig¥± / du-ru¥©-gú / 16 kù-sig¥± / 1 mi-at / 20 kurgur-ru¥© / wa / 2 al°-la-nu / 1-1/2 kù-sig¥± / 1 kù-sal / 2 kù-sig¥± / 1 ša-mu / 1 a-na-bù-bù-tum / 2 kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 gú-li-lum a-gar® / šušanaµ kù:babbar / ‹2› bu-di / ‹10› kù:‹babbar› / šu-bala-aka / 2 kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 sag-SÙ / gimi-NI-za-du / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; MEE 10 20 r. III:16 - V:9: (...) šušanaµ geštin-še / šušanaµ kur-gú-ru¥© / 6 ðaza-nu / 4 ma-ða-na-gúm / (...) níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­; MEE 10 20 r. X:21 - XII:8: (...) 12 92 ‹kur-gú›-ru¥© / 4 ða-za-nu / 3 2 <ma-> ða-na-gúm / 11 2-NI 86 du-ru¥©-gú / 6 1 šu-dub / (...) / zú-ga-lum / ma-liktum / ða-ra-an¾ / šu-mu-taka­; MEE 10 20 v. V:8 - VI:7: (...) 7 du-ru¥©-gú / 16 1 mi-at 20 kur-gú-ru¥© / wa / 2 al°-la-na / (...) gi-mi-NI-za-du / nin-ni / ma-lik-tum / si-in / É×PAP; MEE 10 29 r. XII:18 - XIII:6: šušanaµ kù:babbar / 2 ti-gi-na / 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 12 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / šušanaµ kù:babbar / 2 giš-DU / 3 ma-na 12 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / TAR 8-1/2 kù-sig¥± / 11 [x] / GUR² / 60 gur-gú-ru¥© 10 / 2? gú-zu-ra-na-tum 2-1/2 / 30 du-ru¥©-gú 6 / UR-ZI / u³-zu; MEE 12 35 v. XII:34 - XIII:24: 10 lá-2 ma-na ša-pi-2-1/2 / kù:babbar / šubal-aka / 1 ma-na ša-pi-4-1/2 / kù-sig¥± / 10 lá-3 gišgeštu-lá 12 / 2 ti-gi-na // 18 / 84 du-ru¥©-gú 10 / 96 gur-gú-ru¥© 12 / 4 ƒà-ra-ma-tum 18 / 2 zà (...) 3 / (...) / (...)-ga-nu šušanaµ-1/2 / 10 gú-zu-ra-tum 8 / 10 (...) 2 / 10 (...) / (...) / (...) / šušanaµ kù:babbar / (...) / (...) / 7-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 kùsig¥± / maš-maš 1 giš-banšur / nu-ba-du / dumu-mí / ù-ti / na-rú / en; MEE 12 35 v. XVII:22 - XVIII:4: 10 lá-2 gišgeštu-lá ‹šušanaµ?›-3 / 4 ƒà-ra-matum 14?-1/2 / 2 zà 7 / 60 du-ru¥©-gú 12-1/2 / 2 gú-zu-ra-tum 5-1/2 / 2 kù-sal 5 / 92 gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / KA-dù-gíd / sikil / ab / 2 gišDU ša-pi / 2 ti-(gi-na ...) / (2 ti-gi-na) giš-zú ša-pi / 1 šu-dub 4 / KA-dù-gíd / (...); TM.75.G.1284 r. VII:1 - v. I:2: 251 2 al°-la-nu nab-ðu / wa / 1 al°-la-nu wa-raga-tum / 10 ar-ra-su gìn-gìn / 60 lá-2 gur<-gú>-ru¥© gìn-gìn / 1 mi<-at> gur<-gú>-ru¥© gìn si­ / 1 si-da-tum-ii; 250 Ad 251 esempio, in Esr. 8:24-29. Citato da Archi 2002a, p. 195. Il lessico degli oggetti 143 [9] TM.75.G.1284 v. I:3 - III:3: 252 11 maš kù-sig¥± / 60 gur<-gú>-ru¥© mað / 1 miat 10 lá-2 gur<-gú>-ru¥© gìn kù-sig¥± tur / 1 mi-at 70 lá-1 gur<-gú>-ru¥© gìngìn / 2 mi-at 4 gur-gú-ru¥© gìn si­ / 1 si-da-tum-iii; [10] TM.75.G.1330 r. I:1 - V:6: 253 (...) 93 kur-gú-ru¥© / 3 kù-sig¥± / <4*> ða-za-nu / 3 kù-sig¥± / <2*> ma-ða-na-gúm / 11 2-NI kù-sig¥± / 86 du-ru¥©-gú / 4 kùsig¥± / 1 šu-dub / (...) / zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾; [11] TM.75.G.1250+ARET XII 874 r. III:3: 254 (...) 1 mi-at 20 gur-gú-ru¥© 16 / 1 mi-at 23 du-ru¥©-gú 16 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 šu-dub 3-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 4 / 2 bu-di tur 6 / (...) / mu-túm / i-bí-zi-kir; [12] TM.75.G.1679 r. II:3-7: 255 1 ma-ða-na-gúm 117 gur-gú-ru¥© 112 du-ru¥©-gú 10 al°-la-nu 10 giš-geštin 228 ða-za-nu; [13] TM.75.G.1962 r. X:1-11: 256 ...] / [x gur]-gú-ru¥© 13 / 1 mi-at gur-gú-ru¥© si­ / 1 mi-at gur-gú-ru¥© za:gìn sig¥±-za / 1 mi-at du-ru¥©-gú 19 / 1 ša-mu 1 / 1 kù:babbar / 1 ma-da-ðu / 2 al°-la-nu 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 6 kùsig¥± / 1 ‹x› [...; [14] TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 257 (...) 98 du-ru¥©-gú 12 / 1 mi-at 25 gur-gú-ru¥© 13-1/2 / 1 šu-dub 5 3-NI / 2 bu-di šušanaµ / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gú-zu-ratum 4 / (...) / lú mu-túm / i-bí-zi-kir / ti-iš-te-da-mu / dumu-mí en / si-in / É×PAP; [15] TM.75.G.2334 r. I:1 - III:17: 258 60 lá-1 gur-gú-ru¥© 22 / 1 mi-at 20 du-ru¥©-gú 14 / 2 kù-sal 6 / 1 šu-kešda 4 2-NI / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gú-zu-ra-tum 3 / (...) / mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / dam-dingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; [16] TM.75.G.2502 r. XVI.18-22: 259 92 gur-gú-ru¥© / 360 ða-za-nu / 1 šu-dub / 1 ma-ða-na-gúm; [17] TM.75.G.2507 v. X:8-26: 260 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 giš geštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 ti-gi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 gín DILMUN / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 gín DILMUN / 1 gú-zu-ra-tum 2 gín DILMUN / 2 kù-sal 3-1/2 / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 gín DILMUN / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ša-mu / ti-a-i-šar / dumu-mí en / ƒà-za-an¾; 252 Citato da Archi 2002a, p. 195. Citato da Archi 2002a, pp. 167-169. 254 Citato da Biga 1998a, p. 20. Join citato in ARET XII. 255 Citato da Archi 2002a, p. 192. 256 Citato da Archi 2002a, p. 178. 257 Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. 258 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 259 Citato da Archi 2002a, p. 192. 260 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. 253 Capitolo IV 144 [18] TM.75.G.2507 v. XXI:24 - XXII:11: 261 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 gišgeštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 tigi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 / 1 gú-zu-ra-tum / 2 kù-sal ‹3›-1/2 gín DILMUN / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 / 1 kù:babbar / 1 ša-mu / rí-ìdu / dumu-mí / en / dam / ru¥©-zi-ma-lik / dumu-nita / ib-du-¼aš-dar; [19] TM.75.G.10088 v. XVII:24 - XVIII:10: 262 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at gur-gúru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP; [20] TM.75.G.10236 r. I:12 - II:5: 263 2 aktum-túg mu­mu 1 níg-lá-gaba 10 lá-1 mana gìn-gìn 2 ù-ba[-...] gìn 10 lá-1 gur-gú-ru¥© gìn 30 lá-3 ‹ða›-za-an kù-sig¥± mu-túm KU-KU [ma-rí¾ en]; [21] TM.76.G.288 r. II:6 - IV:14: 264 (...) geštin še / šušanaµ kur-gú-ru¥© / 6 ða-[zanu] / 4 ma-ða-na-gúm / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾. Il termine si riferisce con evidenza ad un tipo di perla 265 ed è interpretabile come una forma reduplicata della base bilittera *kr, 266 di ampia attestazione semitica, con il significato di “(essere) rotondo” e quindi “girare; rotolare”. 267 Si tratta, pertanto, di una “(perla in forma di) sfera”, 268 utilizzata per realizzare elaborate collane (ma-ða-na-gúm, si-da-tum, šudub), destinate ad importanti personaggi femminili della corte eblaita per il loro corredo nuziale o funerario. La perla era realizzata in oro (kù-sig¥±) o in pietre dure semipreziose: lapislazuli (gìn, gìn-gìn, za:gìn) in [8, 9, 13, 20], corniola rossa (si­) in [8, 9, 13] e una pietra giallo-verde (sig¥±-za) in 261 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. Citato da Archi 2002a, p. 178. 263 Citato da Archi 1999, p. 151. 264 Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. 265 Come riconoscono ora anche Waetzoldt 2001, p. 397; Archi 2002a, p. 191. Per una diversa interpretazione (“Anhänger in Form eines Vogels”, sulla base dell’acc. kurkurru) non consentita però dai contesti, Waetzoldt apud Mander 1990, p. 87; D’Agostino 1996b, p. 110. 266 Il confronto etimologico è già in Baldacci 1994, p. 63. I contesti però sconsigliano le traduzioni “ring” o “(ear)drop” fornite dall’autore. 267 Per le attestazioni della radice ed il suo semantismo, Conti 1980, p. 85; CDG, p. 292. 268 Si veda, ad esempio, il significato dell’ebraico kkr, “sfera di argento o oro usata come peso”. 262 Il lessico degli oggetti 145 [13], 269 e veniva assegnata in quantità abbastanza elevate assieme ad al°-lanu, “(perla in forma di) ghianda”, ða-za-nu, “(perla in forma di) bulbo”, še geštin, “(perla a forma di) acino d’uva”, ma soprattutto assieme alla perla du-ru¥©-gú. gú-zi-tum (varr. gú-zi-na-tum, gú-wa-zi-na-tum). [1] MEE 10 20 v. XVIII:1-15: 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / nu¥¥-za / 1 gú-li-lum kù:babbar šušanaµ-2 / 1 gú-li-lum a-gar®-gar® kù-sig¥± TAR-2 / wa / 6 gú-zi-na-tum / 2 gú-li-lum kù:babbar-sig¥± ša-pi-2 / ni-zi-mu / zaµ / guruš-guruš; [2] MEE 10 23 r. XII:4'-10': 5 [gín DILMUN] kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / gú-zi-tum / 2 gú-li-lum / EN-dub-il / ugula ba-li¾; [3] MEE 12 37 v. XV:29 - XVI:18: šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / wa / 2 mana ša-pi-4 gín DILMUN kù:babbar / [šu-ba]l-aka / š[a-pi-1 g]ín DILMUN [kù-sig¥±] / ni-zi-mu / 23 gú-li-lum kù:babbar-sig¥± / ša-pi-2 / 10 gú-li-lum kù:babbar-sig¥± TAR-‹2› / 21[+?] gú-li-lum kù:babbar-sig¥± ‹šušanaµ›-2 / 2 gú-li-lum kù:babbar-sig¥± 11 / TAR-2 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 8 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / gú-wa-zi-na-tum-SÙ / ša-pi gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 10 gín DILMUN kù-sig¥± / ru¥©-du-gatum-SÙ / 56 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 14 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 20 lá-3 gú-li-lum a-gar®-gar® / 10 gín DILMUN kù:babbar / supirig-SÙ; [4] TM.75.G.1402 r. VIII:2-9: 270 1-1/2 gín DILMUN kù:babbar / 1 sila / gišgígir-ii / ar-ru¥©-LUM / 4 gín DILMUN kù:babbar / gú-zi-na-tum / gu-malum / en. Queste grafie si riferiscono ad un oggetto realizzato in metallo prezioso e apparentemente connesso in [1, 2, 3] con gú-li-lum, “braccialetto”, ed in [4] con gu-ma-lum. Grammaticalmente gú-zi-na-tum e gú-wa-zi-natum sono dei plurali, 271 mentre gú-zi-tum indica il singolare con assimilazione o omissione grafica di n davanti alla dentale. Mander traduce il termine “twig-like braid”, 272 sulla base di un confronto con l’accadico kisittu, kisintu, “trunk; stem”. 269 Archi 2002a, p. 178, citando il passo legge gi-za senza fornire traduzione. Per il valore sig¥± di GI come indicazione del colore giallo-verde indicante anche un tipo di pietra, su cui si basa l’interpreatzione qui proposta, Civil 1983, pp. 4-5. 270 Edito da Milano 1980, pp. 2-4. 271 In particolare si noterà che la grafia gú-wa-zi-na-tum può riferirsi ad uno schema 1uway2i3-, che in arabo indica il diminutivo, come gentilmente mi suggerisce P. Fronzaroli. 272 Mander 1990, pp. 92 e 109. La proposta è accolta da Waetzoldt 2001, pp. 531 (“Zweigchen”) e 555. Capitolo IV 146 gú-zu-ra-na-tum (varr. gú-za-ra-tum, gu-za-rí-tum, gú-zu-la-na-tum, gúzu-ra-du, gú-zu-ra-tum, gú-zú-ra-tum), 273 “fermaglio”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] ARET II 8 (14-15): 1 kù-sig¥± / 1 gú-za-ra-tum / ¼da-bí-na-du / lú gú-šè-bù¾ / 4 kù-sig¥± / 1 gú-za-ra-tum / ¼da-bí-na-du / zi-ig¾; ARET II 31 (1): 10 geštu<-lá> kù-sig¥± 2 kù-sal 1 ša-mu 1 ma-ða-na-gúm 4 zaµ sag 5 si-da-tum zaµ gugµ za-gìn / si­-si­ kù-sig¥± / 2 ti-ki-na / 1 ma-da-ðu / 1 giš-šu-dub / 1 ti-ba-ra-núm / 1 ù-nu-bù-bí-tum / 2 gú-zú-ra-tum kù-sig¥± gugµ za-gìn / GÁxLÁ 1 ma-na ša-pi-6 kù-sig¥± / 2 giš-DU / 2 bu-di / sag / kùsig¥± / GÁxLÁ 1 ma-na kù:babbar / 4 zara°-túg / 1 túg-NI:NI / 16 aktum-túg TI-túg / níg-ba / i-ti-mu-ud / in u­ / é / ru¥©-zi-ma-lik; ARET IV 23 (28-29): 1 dùl-túg 1 gu-zi-tum-túg 2 aktum-túg 2 íb-iv-túg sa° gùn / 1 gada-túg mu­mu / 3 gada-túg kir-na-nu / ‹1› [gàr*]-su* gi° / 2 ma-na kù-sig¥± / 1 giš-šu­ / 58 kù-sig¥± / 1 níg-bànda / lú 2 šu / 1 ma-na 10 kù-sig¥± / 1 dib / TAR-7 kù-sig¥± / 1 an-zamµ 1 pad-SÙ / 14 kù-sig¥± / 1 zi-bar 1 pad-SÙ / lú mu-túm / en / ra-ƒà-ag¾ / ‹7› kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 kun / 13 kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 si / am / 5 kù-sig¥± / 1 gú-‹zu›-r[a]-tu[m] / an-šè-gú 5 ma-na šušanaµ-4 kùsig¥± / lú en / ì-na-sum / TAR-8 kù-sig¥± / 1 bur-KAK ì-giš / lú i-bí-zi-kir / ìna-sum / níg-ba / lugal / ma-rí¾; ARET VII 46: 5 kù-sig¥± 2-1/2 / 1 ù-nam-mi-lu 3 / 1 gú-zu-ra-tum 2 / dumumí / i-bí-zi-kir / dam / mað-rí / lu-ma-NI / šu-ba­-ti / iti i-rí-sá / (anep.); ARET VIII 534 (= MEE 5 14) r. IX:21-27: 1 ma-na 10 kù:babbar / šu-balaaka / 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 gú-li-lum ‹giš›-UD 12-1/2 / 1 gú-zu-ratum 5 / zu-lu-mu / za-a-šè; MEE 10 29 r. XII:18 - XIII:6: šušanaµ kù:babbar / 2 ti-gi-na / 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 12 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / šušanaµ kù:babbar / 2 giš-DU / 3 ma-na 12 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / TAR 8-1/2 kù-sig¥± / 11 [x] / GUR² / 60 gur-gú-ru¥© 10 / 2? gú-zu!(SU)-ra-natum 2-1/2 / 30 du-ru¥©-gú 6 / UR.ZI / u³-zu; MEE 12 35 r. XXVII:31 - XVIII:21: 274 10 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na kù-sig¥± / 1 giš-šu­ / 4 ma-na 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 58 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 níg-bànda / 2 šu / 5 ma-na 50 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / 1 dib / šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 5 gín DILMUN kù:babbar / 1 gú-zu-ra-tum / TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 kun / lugal / ma-rí¾ / si-in / ða-a-bí-du¾ / ù-ti / šu-mu-taka­; MEE 12 35 v. XII:34 - XIII:24: 10 lá-2 ma-na ša-pi-2-1/2 / kù:babbar / šubal-aka / 1 ma-na ša-pi-4-1/2 / kù-sig¥± / 10 lá-3 gišgeštu-lá 12 / 2 ti-gi-na // 18 / 84 du-ru¥©-gú 10 / 96 gur-gú-ru¥© 12 / 4 ƒà-ra-ma-tum 18 / 2 zà (...) 3 / 273 La variante con gú-su-ra-na-tum citata in Archi 2002a, p. 192, è da attribuire senza problemi a scambio di segni simili. 274 Citato da Biga 1996, p. 58. Il lessico degli oggetti [9] [10] [11] [12] [13] [14] [15] [16] [17] 147 (...) / (...)-ga-nu šušanaµ-1/2 / 1! gú-zu-ra-tum 8 / 10 (...) 2 / 10 (...) / (...) / (...) / šušanaµ kù:babbar / (...) / (...) / 7-1/2 kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 kù-sig¥± / maš-maš 1 giš-banšur / nu-ba-du / dumu-mí / ù-ti / na-rú / en; MEE 12 35 v. XV:38 - XVI:10: TAR kù:babbar / šu-bal-aka / 6 kù-sig¥± / (...) / (10 kù:babbar) / šu-bal-aka / 2 kù-sig¥± / 1 gú-zu-ra-tum / daš-má-zi-kir / dumu-mí / i-bí-zi-kir ; MEE 12 35 v. XVII:22 - XVIII:4: 10 lá-2 gišgeštu-lá ‹šušanaµ?›-3 / 4 ƒà-ra-matum 14?-1/2 / 2 zà 7 / 60 du-ru¥©-gú 12-1/2 / 2 gú-zu-ra-tum 5-1/2 / 2 kù-sal 5 / 92 gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / KA-dù-gíd / sikil / ab / 2 gišDU ša-pi / 2 ti-(gi-na ...) / (2 ti-gi-na) giš-zú ša-pi / 1 šu-dub 4 / KA-dù-gíd / (...); MEE 12 36 v. III:23: 4 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 kù-sal / 16 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 gú-zu-ra-tum / TAR kù:babbar / 2 bu-di / 12 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 sag-SÙ / dumumí / en-na-NI / dam / ig-su-ub-da-mu; TM.75.G.272 r. I:1 - II:4: 275 4 ƒà-la-ma-tum kù-sig¥± / 1 du-rúm kù-sig¥± / 3 gú-zu-la-na-tum kù-sig¥± / 4 bu-di "luµ" kù-sig¥± / 6 bu-di kù-sig¥± / 2 ti-gi-na kù-sig¥± / 50 bu-di kù:babbar / 60 bu-di zabar / 2 bur-KAK kù-sig¥± / lú en; TM.75.G.1250+ARET XII 874 r. III:3: 276 (...) 1 mi-at 20 gur-gú-ru¥© 16 / 1 mi-at 23 du-ru¥©-gú 16 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 šu-dub 3-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 4 / 2 bu-di tur 6 / (...) / mu-túm / i-bí-zi-kir; TM.75.G.1904 v. V:7-16: 277 šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / 2 bu-di / samu-sá-SAL / da-bí / šu-mu-taka­ / 3 gín DILMUN kù:babbar / nu¥¥-za / gúza-rí-tum / lú / gi?; TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 278 (...) 98 du-ru¥©-gú 12 / 1 mi-at 25 gur-gú-ru¥© 13-1/2 / 1 šu-dub 5 3-NI / 2 bu-di šušanaµ / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gú-zu-ratum 4 / (...) / lú mu-túm / i-bí-zi-kir / ti-iš-te-da-mu / dumu-mí en / si-in / É×PAP; TM.75.G.2334 r. II:2 - III:17: 279 (...) 1 mi-at 60 lá-1 gur-gú-ru¥© 22 / 1 mi-at 20 du-ru¥©-gú 14 / 2 kù-sal 6 / 1 šu-kešda 4 2-NI / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gúzu-ra-tum 3 / (...) / mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / damdingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; TM.75.G.2507 v. IX:24-35: 280 5 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 zi-bar / lugal / marí¾ / 36 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 9 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 275 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 145. da Biga 1998a, p. 20. 277 Citato da Archi 2002a, p. 192. 278 Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. 279 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 280 Citato da Archi 198a5, p. 78. 276 Citato Capitolo IV 148 gú-zu-ra-tum 2 / ma-rí¾ / a-da-ar / šu-mu-taka­ / níg-kaskal-SÙ; [18] TM.75.G.2507 v. X:8-26: 281 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 giš geštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 ti-gi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 gín DILMUN / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 gín DILMUN / 1 gú-zu-ra-tum 2 gín DILMUN / 2 kù-sal 3-1/2 / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 gín DILMUN / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ša-mu / ti-a-i-šar / dumu-mí en / ƒà-za-an¾; [19] TM.75.G.2507 v. XXI:24 - XXII:11: 282 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 gišgeštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 tigi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 / 1 gú-zu-ra-tum / 2 kù-sal ‹3›-1/2 gín DILMUN / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 / 1 kù:babbar / 1 ša-mu / rí-ìdu / dumu-mí / en / dam / ru¥©-zi-ma-lik / dumu-nita / ib-du-¼aš-da ; [20] TM.75.G.2507 v. XVIII:33-42: 283 1/2 kù:babbar / 1 rí-ìùša-du / 1 dumu-nita / ma-lik-tum / šušanaµ-4 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 gú-zu-ra-tum / ma-lik-tum / lú tu-da; [21] TM.75.G.10074 r. VIII:4: 284 gú-zu-ra-du. In conformità con le norme fonetiche del sillabario eblaita, la parola può essere spiegata come il femminile di un sostantivo con suffisso -…n dal sem. *qñr, “legare assieme; unire”, 285 attestato in accadico, in ebraico, aramaico ed etiopico, 286 e da interpretarsi pertanto come “fermaglio”. La grafia con gú è giustificata dalla Legge di Geers ed indica il passaggio, in eblaita come in accadico, di q a k in presenza dell’enfatica ñ. 287 Grammaticalmente, gú-zu-ra-du, gú-za-ra-tum, gú-zu-ra-tum e gú-zú-ra-tum sono indicazione del singolare kuñr…ntum o kuñr…ttum da /kuñr-…n-t-um/, con assimilazione o omissione grafica di n davanti alla dentale. 288 L’esistenza della variante gú-za-ra-tum, accanto a gú-zu-ra-du, gú-zu-ra-tum e gú-zúra-tum, assicura inoltre che il tema è kuñr-. 289 In [2, 10, 17] questa forma 281 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. 283 Ctato da Biga 1996, p. 62. 284 Citato da Archi 2002a, p. 191. 285 Come proposto da Pettinato 1996, pp. 298-299, con traduzione “giuntura”, e ribadito da Archi 2002a, p. 192, con traduzione “necklace clasp”. Diversamente Waetzoldt, 2001, pp. 368-369, “grössere Perlen oder eine besondere Art Anhänger”, senza etimologia. 286 Per le attestazioni della radice in semitico ed il suo semantismo, Waldman 1969, pp. 250-254; CDG, pp. 450-451. 287 Per questo fenomeno, Conti 1993, pp. 97-114. 288 Conti 1990, pp. 38-39. 289 L’alternanza Cu-Cu- / Cu-Ca- indica, infatti, assenza di vocale nella seconda sillaba. 282 Il lessico degli oggetti 149 singolare è usata come pseudologogramma al posto del plurale, regolarmente espresso in [6, 12] dalle grafie gú-zu-ra-na-tum e gú-zu-la-na-tum, e quindi kuñr…n…tum da /kuñr-…n-…t-um/. 290 Questo “fermaglio” di norma realizzato in oro (kù-sig¥±), materiale a cui si aggiungono la “corniola” ed il “lapislazuli” (gugµ za-gìn) nel passo [2], era usato come complemento di “collane” ed altri gioielli. Se ne assegna, infatti, quasi esclusivamente un’unità, per lo più assieme a perle destinate a formare collane, più raramente ricorre assieme ad altri gioielli (budi, gú-li-lum, kù-sal e l’enigmatico ù-nam-mi-lu), ma non mancano neppure casi in cui il gioiello ricorre isolatamente. Destinatarie ne sono le dame della corte eblaita, soprattutto in occasione di nozze e cerimonie funebri. In [20] lo riceve la regina in occasione del parto (ma-lik-tum / lú tuda), mentre il contesto [1] ne registra l’offerta alle statue di culto della dea ¼da-bí-na-du di gú-šè-bù¾ e di zi-ig¾. In [12], invece, questo ed altri ornamenti tipici ed esclusivi dell’abbigliamento femminile eblaita (quali, ad esempio, du-rúm e bu-di) risultano di pertinenza del sovrano (lú en), che si suppone dovesse poi assegnarli alle dame di corte corte quale corredo per le cerimonie oppure donarli alle statue delle divinità femminili in occasione delle festività legate al loro culto. In [17] il termine segue, invece, l’assegnazione di un contenitore zi-bar in metallo prezioso per il re di Mari. Se tra i due oggetti esiste una qualche relazione, si confronterà allora l’accadico di Mari kiñru, un accessorio in metallo per vasi, ovvero una “bande plus ou moins large qui épousait le contour du vase”, piuttosto che “clasp” o “hanging system”, secondo Durand. 291 gi-ba-du (var. gi-ba-tum), “cerchietto”. [1] ARET III 959 v. IV:5-7: 292 1 gír 1* gi*-ba*-tum kù-sig¥± 1* giš*-SAL / lú mu-túm / ír-ƒà-ag-da-mu; 290 In questa formazione nominale, l’eblaita si dimostra diverso dall’accadico, dove il suffisso -…n non può stare immediatamente accanto al femminile (GAG, §§ 38-39). 291 1983b, p. 359. 292 La lettura proposta sulla base del confronto con i pass1 [2, 3]. L’edizione ha a?? ba -tum e šu-sal. Tali letture sono state commentate da Fronzaroli 1995, p. 60 e n. 60, che interpreta a?-ba?-tum come ƒappatum, “punta” (da *ƒanp-, “naso”). Non appropriate ai contesti sono le ipotesi avanzate in Pettinato - D’Agostino 1995, p. 4, šu-sal letto “šu munus”, “della/ da donna”; a?-ba?-tum, “forcella (per i capelli)”, con confronto con l’accadico abbuttu e con l’eblaita a-ba-ma-tum di ARET VII 79 (12), che comunque non compare in contesto di gír (per cui, si veda s.v.). Capitolo IV 150 [2] TM.75.G.2335 r. I:16 - II:5: 293 1 ma-na 47 kù-sig¥± / 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun 1 giš-SAL 1 gi-ba-du gibil / níg-ba / i-bí-zi-kir / lú TIL / ma-rí¾; [3] TM.75.G.2426 r. IV: 294 1 ma-na 37 kù-sig¥± 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun 1 giba-du 1 giš-SAL i-bí-zi-kir lú ì-ti in níg-kaskal ma-rí¾. Le grafie gi-ba-du e gi-ba-tum possono essere confrontate con la glossa di VE 583, šà-ŠID = gi-ba-du (fonti C, D), gi-ba-tum (fonti A, B), spiegabile tramite l’accadico kippatum, “cerchietto metallico”, 295 usato come ornamento o manico (dal sem. *kpp, “piegarsi, curvarsi; tracciare una circonferenza, circondare”, attestato in accadico, ebraico ed arabo). 296 Uno dei suoi equivalenti sumerici è gilim. In accadico, il termine è citato per lo più in connessione a vasi, mobili o gioielli, 297 mentre in [1-3], il riferimento è ad un accessorio del pugnale, preceduto o seguito da giš-SAL, probabilmente “guaina”. giš lu-lum, “pernio; chiodo”. 298 [1] MEE 12 37 r. XXIV:28-33: 15 gín DILMUN kù:babbar / gišlu-lum / zà / an-dùlan-dùl / lú nundum / 1 la-ða sagi. Il termine è citato una sola volta nella documentazione disponibile, in un passo di un testo amministrativo dove quindici sicli d’argento vengono assegnati in relazione alla realizzazione di gišlu-lum per lo zà, probabilmente la “parte esterna”, 299 e per un numero non precisato di sculture (andùl-an-dùl) da utilizzarsi come elementi decorativi del bordo (nundum) 300 di una giara per il coppiere di corte (1 la-ða sagi). Si potrebbe trattare di figure teriomorfe, dato che la tradizione artistica del Vicino Oriente antico attesta diffusamente, già a partire dal IV millennio a.C., l’uso di rappresentare figure di animali, sia come disegni, sia come sculture, intorno al 293 Citato da Archi 1985a, p. 77. Citato da Archi 1985a, p. 77. 295 Conti 1990, p. 163, con bibliografia. La lettura gi(-)ba-du proposta per questo termine da Waetzoldt 2001, p. 377, è a nostro avviso poco probabile. 296 CAD, K, p. 175. 297 CAD, K, pp. 397 ss. 298 Pasquali 2002a. 299 Per questo sumerogramma, che ricorre ad Ebla soprattutto in contesti di carri, di vasi o sculture, Conti 1997, pp. 36-37; Waetzoldt 2001, pp. 83 e 511 (“ 'Aussenseite' ”). 300 Scritto KA.NU come di regola ad Ebla, anziché KA×NUN, come ha riconosciuto Fronzaroli 1988, p. 15. Per l’uso di NU al posto di NUN, Conti 1997, p. 55. Diversamente Waetzoldt 2002, pp. 83 e 512, interpreta la sequenza grafica KA.NU come un termine semtico con lettura zú-nu, “Beschlag”. Quest’ultima ipotesi appare, tuttavia, improbabile. 294 Il lessico degli oggetti 151 bordo dei recipienti destinati a contenere acqua o liquidi in genere, probabilmente con l’intento di riprodurre l’effetto dell’abbeveraggio naturale degli animali lungo i bacini d’acqua dolce, facendo diventare così il vaso simbolo stesso del lago, del fiume o della pozza. Questa tipologia figurativa è stata poi trasmessa, grazie al commercio ed alla colonizzazione fenicia, anche nel Mediterraneo occidentale, particolarmente in Sardegna. 301 Il termine eblaita gišlu-lum, deve essere confrontato con la glossa della lista lessicale eblaita VE 430 GIŠ-TE = lu-ru¥©-um (fonte A), lu-lum (fonte B). 302 La variante grafica lu-ru¥©-um della fonte A assicura un’etimologia con /r/ per la parola eblaita, 303 che, pertanto, difficilmente a nostro avviso può essere tenuta distinta dal vocabolo mariota gišlu-ru, presente nei seguenti passi di testi amministrativi databili al periodo degli Šakkanakku: ARMT XIX 320 r. I:1-4: 5 gišlu-ru / iš é-gìr / a-me-er-¼nu-nu / im-ður ; ARMT XIX 460 r. I:3'-4': [...] giša-pí-nu-šu / [...] gišlu-ru šu gišmá- gišmá; ARMT XIX 460 r. I:8': 20 gišlu-ru 40 giša-pí-nu-šu šu GIŠ.KÍD.ALAM. L’editore traduce senza convinzione “accessoire de bateau”, 304 ma questa interpretazione non si adatta a spiegare tutti i contesti. Il riferimento, infatti, è, almeno in un caso, proprio come nel testo eblaita, ad un accessorio o componente di statue (GIŠ.KÍD.ALAM). 305 La tavoletta ARMT XIX 460 è in effetti un inventario dettagliato di utensili e strumenti necessari per effettuare vari lavori di artigianato. Prendendo in considerazione una lettura gištemen, “chiodo”, 306 per il sumerogramma della sopra citata glossa di VE 430, è, pertanto, possibile supporre che ad Ebla i gišlu-lum indicassero i “chiodi” o “perni” di ancoraggio dello zà, “parte esterna; rive- 301 Per questo motivo iconografico, Cantagalli 1965, pp. 276-281; Terrosi Zanco 1965, pp. 285-290; Bisi 1977, pp. 925-926. Per il «simbolismo cosmico» dei vasi destinati a contenere liquidi, ultimamente Bignasca 2000, pp. 175 ss. 302 Come notato ora anche da Waetzoldt 2001, p. 550, il quale propone un confronto con la glossa accadica gište-má = ý‡ðu, “etwa Seitenwand? (von Schiff)”. 303 Per lo scambio l/r nei testi di Ebla, Conti 1990, p. 20, con bibliografia precedente. 304 Limet 1976, pp. 111 e 165. 305 Data anche la presenza del determinativo giš, il sumerogramma GIŠ.KID.ALAM deve riferirsi preferibilmente ad un oggetto e non al nome di professione (“scultore”). Ad Ebla sono note sia la grafia GIŠ.KID.ALAM, sia la grafia KÍD.ALAM, ed entrambe sembrano, comunque, riferirsi ugualmente ad una statua e non ad una persona, come ha dimostrato Fronzaroli 1997, pp. 2-4 e 13. 306 Per il sumerico temen, Dunham 1986, pp. 31-64. 152 Capitolo IV stimento”, della giara 307 e delle figurine da applicare sul bordo della stessa. Un medesimo significato può essere ora proposto anche per le attestazioni di Mari. Nelle lingue semitiche successive, il termine trova un probabile confronto con l’etiopico lawara, “perforare” (CDG, p. 321). 308 L’uso di chiodi e perni di ancoraggio per tenere unite varie parti delle figurine, come ad esempio il rivestimento esterno in metallo prezioso, e attaccare queste ultime ad un piedistallo o altro sostegno ligneo, lapideo o metallico è una tecnica ben documentata grazie ai ritrovamenti archeologici. Di questa tecnica si ha sentore anche in alcuni interessanti passi biblici, in cui viene descritta minuziosamente, seppure con intenti satirici, la lavorazione delle immagini divine. 309 giš-ni-da-ƒà, “(un’arma cultuale)”. [1] ARET VII 5 (5): 1/2 kù-sig¥± nu¥¥-za 3 giš-ni-da-ƒà / ¼ƒà-da / lu®-bù¾. Il termine, che altrove nei testi amministrativi dà il nome ad una festa in onore del dio ¼ƒa®-da-bal, in cui si può riconoscere un’ipostasi locale del dio ¼ƒà-da, 310 il destinatario dell’offerta registrata in [1], è stato recentemente interpretato come un nome di strumento 1i2…3- dal sem. occ. *ndï, “spingere; spezzare”, indicante un tipo di arma sacra al dio, probabilmente un’ascia. 311 Nel passo amministrativo una modesta quantità d’oro è impiegata per la decorazione di tre di queste armi, che dovevano essere quindi in altro materiale, probabilmente legno e metallo non prezioso. L’importanza delle armi nel culto del dio della Tempesta è documentata nei successivi testi di Mari e di Ugarit, 312 che parlano esplicitamemte della panoplia divina conservata presso il tempio di Hadda e usata nel corso di particolari cerimonie che in alcuni casi almeno erano delle riattualizzazioni 307 Il termine zà ricorre soprattutto in relazione a carri e a vasi, ma almeno in un caso nella documentazione nota pare riferirsi esplicitamente anche a delle statue (an-dùl). Si tratta del passo seguente: TM.75.G.10201 v. XXIV:1ss.: 2 ma-na šušanaµ gín DILMUN kù:babbar šu-bal-aka šušanaµ -8 kù-sig¥± ni-zi-mu 4 zà an-dùl sagi lú giš-banšur sagi (citato da Archi 1999, p. 155). 308 Si consideri anche una possibile connessione con l’acc. lurû, di attestazione lessicale, che indica una persona la cui voce ha la qualità di «essere penetrante» (CAD, L, p. 256), come mi suggerisce gentilmente P. Fronzaroli. 309 Fitzgerald 1989, pp. 433 ss.; Dick 1999, pp. 18 ss. 310 Fronzaroli 1997b, pp. 283 ss. 311 Fronzaroli 1996, p. 62, n. 50. 312 Del Olmo Lete 1992, pp. 254-256; Durand 1993, pp. 41-61; Bordreuil - Pardee 1993, pp. 63-70; Watson - Wyatt 1997. Il lessico degli oggetti 153 delle vicende narrate nel mito. Questa e le molte altre attestazioni eblaite costituiscono, quindi, di fatto l’antecedente di questo interessante scenario cultuale. ða-bù, “mazza (cultuale)”. passim. La grafia ða-bù di ampia attestazione nei testi amministrativi è l’equivalente eblaita del sumerogramma ŠITA+GIŠ, indicante una “mazza”, come conferma la glossa di VE 458 GIŠ:ŠITA = ðab-bù (fonte D). 313 Una derivazione etimologica semanticamente e foneticamente adeguata per questo termine semitico è la base bilittera *ðp, “distruggere; frantumare”, successivamente attestata con ampliamento in accadico ed arabo. 314 Nei testi letterari eblaiti è inoltre attestata una forma raddoppiata di questa stessa radice bilittera, ða-ba-ða-bí / ða-ba-ða-ba-ga, indicante altresì una mazza. 315 Nei numerosissimi passi dei testi amministrativi che l’attestano, questo tipo di mazza è regolarmente realizzata in metallo prezioso e provvista di una “decorazione” (nu¥¥-za). Destinatarie dell’oggetto sono sempre ed esclusivamente le statue delle principali divinità maschili del pantheon eblaita. ða-za-nu (varr. ða-za-an), “(perla a forma di) bulbo”. [1] ARET III 760 I:2': [x+]1 lá-3 ða-za-nu / [...; [2] MEE 7 33 v. VI:33 - VII:5: 2 gín DILMUN kù:babbar ða-za-nu / sa-ða-tim / gaba / ¼KU-ra / wa / en; [3] MEE 7 34 v. XI:13'-18': [x gí]n DILMUN kù:[babbar] / kin®-aka / [ða]-za-nu ‹2 šu-dub› / en / wa / ma-lik-tum; [4] MEE 7 34 v. XX:16'-26': 5 kù:babbar / 15 ða-za-nu / 2 gìn-gìn 2 si­ 1 šu-dub / ib-rí-um / 4 kù:babbar / 15 ða-za-nu / 2 gìn-gìn 2 si­ / 1 šu-dub / i-bí-zi-kir / ‹x x x›; [5] MEE 10 20 r. III:16 - V:9: (...) šušanaµ geštin-še / šušanaµ kur-gú-ru¥© / 6 ðaza-nu / 4 ma-ða-na-gúm / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­; [6] MEE 10 20 r. X:21 - XII:8: (...) 12 92 ‹kur-gú›-ru¥© / 4 ða-za-nu / 3 2 <ma>ða-na-LUM / 11 2-NI 86 du-ru¥©-gú / 6 1 šu-dub / (...) / zú-ga-lum / ma-liktum / ða-ra-an¾ / šu-mu-taka­; 313 Conti 1990, p. 133. Fronzaroli 1988, p. 14, n. 6. 315 Fronzaroli 1988, p. 13. 314 Capitolo IV 154 [7] MEE 10 20 v. X:18 - XI:7: 10 lá-3 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 1 ma-na šušanaµ-6 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ti-gi-na šušanaµ / 1 budi šušanaµ / 2 giš-DU šušanaµ / 1 gišgeštu-lá šušanaµ / 4 ða-za-nu / 2 1 šu-dub / 3 gín DILMUN kù:babbar / 1 bu-di / zà / dumu-mí / ig-rí-íš / dam / en / ƒàza-an¾; [8] MEE 12 35 r. XXIX:18-30: 11 ma-na šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 2 ma-na 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 da-bí-tum 16 / 2 ù-bù šušanaµ / 4 ar-ra-su šušanaµ / 8 mi-at 30 ða-za-nu / 9 mi-at 70 giš-íb? / 13 giš-SAL / 76 dug / 1 ma-na šušanaµ-1 gín DILMUN kù-sig¥±-SÙ / 1 dib ar-mi¾ / en; [9] TM.75.G.1330 r. I:1 - V:6: 316 (...) 93 kur-gú-ru¥© / 3 kù-sig¥± / <4*> ða-za-nu / 3 kù-sig¥± / <2*> ma-ða-na-gúm / 11 2-NI kù-sig¥± / 86 du-ru¥©-gú / 4 kùsig¥± / 1 šu-dub / (...) / zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾; [10] TM.75.G.1464 r. XI:4-24: 317 6 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / 1 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 10 gišgeštu-lá / 2 ti-gi-na / 62 du-ru¥©-gú / 2 kù-sal / 1 ma-ða-na-gúm / 4 ða-za-nu / 1 šu-dub / 1 ša-mu / 2 ti-ba-ra-núm / wa / nu¥¥-za 2 sag 2 bu-di / TAR kù:babbar 2 bu-di / TAR kù:babbar / 2 giš-DU / ar-za-du / dumu-mí / en-na-¼utu; [11] TM.75.1675 r. I:5: 318 16 ða-za-nu giš-šu-dub 6 7-NI; [12] TM.75.G.1679 r. II:3-7: 319 1 ma-ða-na-gúm 117 gur-gú-ru¥© 112 du-ru¥©-gú 10 al°-la-nu 10 giš-geštin 228 ða-za-nu; [13] TM.75.G.1679 r. III:4-6: 320 6 535 ða-za-nu / 6 al°-la-nu / 10 giš-geštin; [14] TM.75.G.1679 r. IV:3: 321 122 ða-za-nu za-gìn tur; [15] TM.75.G.2428 r. XXIX:24: 322 830 ða-za-nu; [16] TM.75.G.2462 v. XXII:18-21: 323 5 gín kù-sig¥± / 15 ða-za-nu / 2 ða-za-nu gìn-gìn / 2 ða-za-nu si­; [17] TM.75.G.2502 r. XVI.18-22: 324 92 gur-gú-ru¥© / 360 ða-za-nu / 1 šu-dub / 1 ma-ða-na-gúm; [18] TM.75.G.10236 r. I:12 - II:5: 325 2 aktum-túg mu­mu 1 níg-lá-gaba 10 lá-1 mana gìn-gìn 2 ù-ba[-...] gìn 10 lá-1 gur-gú-ru¥© gìn 30 lá-3 ‹ða›-za-an kù-sig¥± mu-túm ku-ku [ma-rí¾ en]; [19] TM.75.G.10236 r. II:19 - III:14: 326 1 aktum-túg 1 níg-lá-gaba 1 níg-lá-sag 1 316 Citato da Archi 2002a, pp. 167-169. Citato da Pettinato 1992, p. 200. 318 Citato da Archi 2002a, p. 196. 319 Citato da Archi 2002a, p. 192. 320 Citato da Archi 2002a, p. 192. 321 Citato da Archi 2002a, p. 192. 322 Citato da Archi 2002a, p. 192. 323 Citato da Archi 2003, p. 32. 324 Citato da Archi 2002a, p. 192. 325 Citato da Archi 1999, p. 151. 326 Citato da Archi 1999, p. 151. 317 Il lessico degli oggetti 155 íb-iv-túg ú-ðáb sa 30 b[a] m[u-túm] [...] en 1 gu-dùl-túg gi° 96 ða-za-an gìngìn 96 ða-za-an kù-sig¥± 1 šu-dub gìn-gìn [x-D]U gìn-gìn mu-túm šu-ga-d[u] ma-lik-tum [i]n ‹u­› [du]-du [iz]i-gar [SA-Z]Aµ¾; [20] TM.76.G.288 r. II:6 - V:9: 327 (...) geštin-še / šušanaµ kur-gú-ru¥© / 6 ða-z[anu] / 4 ma-ða-na-gúm / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾. Queste grafie fanno riferimento ad un gioiello in oro (kù-sig¥±), argento (kù:babbar), lapislazuli (za:gìn, gìn, gìn-gìn) o corniola rossa (si­), spesso assegnato in quantità elevate assieme a vari tipi di perle (gur-gú-ru¥©, du-ru¥©-gú, al°-la-nu) e di norma strettamente correlato con šu-dub (per il re e la regina in [3], per il ministro ib-rí-um ed il figlio i-bí-zi-kir in [4] in occasione del rituale regio) 328 e ma-ða-na-gúm (per le nozze o le investiture sacerdotali delle dame di corte in [5, 6, 9, 20]). Questi due oggetti sono identificabili come due tipi diversi di collana, 329 di cui ða-za-nu costituiva evidentemente una compenente. Da ciò si può dedurre, pertanto, che si trattava di un tipo di perla 330 e verosimilmente di una “(perla in forma di) bulbo”, 331 se il termine è da confrontare con le grafie ða-za-nu e ða-zanúm, che nella lista lessicale eblaita e negli estratti glossano alcuni sumerogrammi indicanti tipi di agliacee: ga:raš-SAR in VE 1079 (fonti A, B), sum-kur in EV 0362 (fonte d) e sum-SAR in EV 0363 (fonte d), e spiegabili, quindi, tramite l’accadico ðazannu, azannu, “bitter garlic”. 332 Grammaticalmente la variante ða-za-an in [18, 19] può interpretarsi come una forma di stato costrutto seguito dal complemento di materia. 327 Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. celebrazione del rituale regio pare fare riferimento anche il passo [2], dove 2 sicli d’argento servono alla realizzazione di un numero non specificato di ða-za-nu per il re ed il dio ¼KU-ra. Il termine è in effetti citato in contesto simile nel rituale in ARET XI 1 (32): ða-sa-nu kù:babbar / sa-ða-da-šum / [al°] / [da-ma-ti] e ARET XI 2 (32): ða-sa-nu kù:babbar / sa-ða-da-šum / al° / da-ma-ti. La grafia ða-sa-nu qui impiegata, con l’uso del sillabogramma sa al posto di za, non risulta coerente con l’uso scribale eblaita. Ma simili deviazioni alla norma sono comunque talvolta attestate (Conti 1990, pp. 10-12). 329 Per šu-dub, “collana” sulla base di VE 498, šu-dub = in-gu, dal sem. *‚nq, “portare attorno al collo”, Fronzaroli 1993, p. 90 ad (13); 1996, pp. 61 e 67. Diversamente, Conti 1990, p. 143, “anello”; Pettinato 1992, pp. 161 e 217, “sigillo”; Archi 2002a, p. 196, “pendant, seal”. La traduzione “collana” risulta essere la più adeguata alle attestazioni dei documenti amministrativi. 330 I contesti sconsigliano l’ipotesi di Archi 2002a, p. 192, che suppone possa trattarsi di piccoli grani usati per decorare altre perle come una sorta di granulazione. 331 Come propongono Waetzoldt apud Mander 1990, p. 87; Fronzaroli 1993, p. 34; Fronzaroli 1996, pp. 61 e 67. 332 CAD, A/2, p. 526. 328 Alla Capitolo IV 156 ðé-la-ba-tum, “fodero”. [1] ARET III 526 v. V:1-5: 2 ma-na a-gar®-gar® / 1 gín DILMUN nagga / ðé-laba-tum / 2 ma-na TAR a-gar®-gar® / x+8 2-NI [... La grafia presente una volta nei testi amministrativi eblaiti editi è considerata un nome personale dagli editori (con lettura Gan-la-ba-tum). Il termine indica piuttosto il nome di un oggetto realizzato in metallo. Il testo, da cui il passo proviene, è un inventario, purtroppo in gran parte lacunoso, di armi ed utensili in metallo, per lo più gír, šum, dub-nagar e tùn. Data proprio la presenza di gír, “pugnali”, è possibile, a nostro avviso, spiegare questo lemma, in conformità con le norme fonetiche del sillabario eblaita, che impiega i segni della serie ÐA per /å/ etimologica, come un nome di strumento femminile plurale con tema 1i2…3- dal sem. *ålp, “coprire; porre in un involucro”, noto in accadico, ugaritico, ebraico, arabo. La traduzione, in ragione del contesto, sarà, quindi, “foderi; guaine”. Successivamente, anche in ugaritico ed arabo da questa radice derivano sostantivi che indicano la “guaina” o il “fodero” di spade, pugnali ed altri oggetti. Si veda, ad esempio, nel poema di Aqhat (KTU 1.19:I:19) šblt bðlph, “la spiga nel suo involucro”. 333 iš-ga-lu, “(perla a forma di) grappolo”. [1] TM.75.G.2536 r. I:3: 334 7 iš-ga-lu geštin kù-sig¥±. La grafia è interpretabile come “grappolo”, sulla base del sem. *ƒiøk…l-, 335 di significato affine. Il riferimento è ad un ornamento in metallo prezioso, una perla o ciondolo, nei testi amministrativi, dove più spesso compare il sumerogramma corrispondente še geštin. 336 la-a-tum, “(un contenitore per liquidi)”. [1] TM.76.G.221 r. I:1' - IV:7: 337 ...] / wa / 1 la-a-tum mað geštin / ab / 1 la-atum tur ì-giš / ab-si / [...] / [¼ra-sa]-ap / ƒà-da-ni¾ / in / ¼AMA-ra / túg-túg / 1 an-dùl kù-sig¥± / á-tar / ¼ƒa®-da-bal / a-ru¥©-ga-du¾ / túg-túg / wa / 2 an-dùl kù-sig¥± / lú á-t[ar] / ¼‹ƒa®›[-da]-ba[l] / wa / ¼BAD-mí / lu-ba-an¾ / wa / en / du-du. 333 Da ultimo Margalit 1989, p. 358. Citato da Archi 2003, p. 35. 335 Per le attestazioni in semitico, DRS 2, p. 37. 336 Si veda anche VE 660 še geštin = iš¥¥-ga-um (fonti A, B), áš-ga-lum (fonte D), per cui Conti 1990, p. 177, con bibliografia. 337 Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, pp. 47 e 153; Archi 1997/98b, p. 247. 334 Il lessico degli oggetti 157 Il termine consta nella documentazione attualmente nota di una sola attestazione. Su base contestuale sembra potersi dedurre che si tratta del nome di un tipo di vaso, che poteva essere grande (mað) oppure piccolo (tur), adatto per contenere vino (geštin) ed olio (ì-giš). Recentemente questa grafia è stata spiegata come un forma semitizzata del sumerico la-ða, indicante un contenitore per olio e vino ed ampiamente attestato nei testi eblaiti, 338 ma l’ipotesi appare foneticamente improbabile. Una possibilità è spiegare questo raro termine mediante l’accadico râýu, indicante un vaso per liquidi che poteva essere realizzato in metallo prezioso. 339 Questo termine accadico deriva dal sem. *rhý/t, per cui si confronteranno l’ebraico biblico rhýym, “tinozza”, il siriaco r…hý…, “condotta” e l’arabo rahaýa, “ingurgitare acqua”. Termini derivati da questa radice ed indicanti un tipo di vaso si ritrovano nelle lettere di el-Amarna con grafia ra-ða-ta (EA 14:I:46) e nei testi egiziani del nuovo regno e del terzo periodo intermedio. 340 La grafia eblaita, regolare nell’indicare con un sillabogramma della serie LA /r/ etimologica, risulterebbe meno accurata nell’indicare /h/ con il segno a, meno specifico rispetto a ƒà. 341 má-ba-ðu, “cordoncino(?)”. [1] ARET II 12, r. III: 1-9: ša-pi-2 kù:babbar / in / bu-di-bu-di / 4 ma-na TAR zabar / 20 má-ba-ðu / 6 ma-na ša-pi zabar / 20 KA-dú-gíd bu-di / in / ir-mi; [2] ARET III 585 II: ...] 1 giš-šu­ / lú šu / 2 kù:babbar / al° / en-na-BAD / ugula simug / in / má-ba-ðu-má-ba-ðu / [... Questa grafia può essere spiegata, in conformità con le regole fonetiche del sillabario di Ebla, come un sostantivo a schema ma12a3- dal semitico *‚bð, “cingere”, attestato successivamente in accadico. 342 La radice è nota ad Ebla anche in alcuni testi rituali, dove designa una coppia di funzionari addetti alle statue degli dei tutelari (a-bù-ða-an, /‚abbuð…n/ duale dell’aggettivo verbale della forma 0/2) oppure qualifica sette giovani (ƒa®bù-ðu, “sono cinti”) e sette ragazze (ƒa®-bù-ða, “sono cinte”), che fungono da accoliti in una cerimonia cultuale. 343 In accadico è noto il sostantivo 338 Archi 1999, p. 153. Meno probabile semanticamente un confronto con la radice *lw/yý, “avvolgere; imballare” attestata nel’accadico di Mari, in ugaritico, ebraico ed arabo. 340 Hoch 1994, pp. 205-206. 341 Conti 1993, p. 97. 342 CAD, E, p. 8. 343 Fronzaroli 1988, pp. 17 e 21; 1989, p. 15; 1997a, pp. 6-8. 339 158 Capitolo IV nebeðu, “cintura” (sumerico íb-lá), morfologicamente corrispondente all’eblaita má-ba-ðu, ma i contesti sconsigliano una diretta equivalenza semantica tra questi due termini. Se il contesto [2] non aiuta, trattandosi di un passo lacunoso da cui si deduce solamente che una certa quantità d’argento viene consegnata al capo dei fabbri (ugula simug) per la realizzazione di un numero imprecisato di questi oggetti, 344 nel passo [1] 20 mába-ðu in bronzo sono immediatamente preceduti nell’assegnazione da un numero imprecisato di bu-di e seguito da 20 KA-dù-gíd bu-di. Un confronto semanticamente adeguato per questo termine eblaita può essere, pertanto, il termine paleoaccadico nabiðum, indicante un ornamento in oro. 345 Si veda altresì, sempre da *‚bð, il sostantivo accadico ebiðu, una corda. 346 Ad Ebla, è possibile si trattasse di una stringa o cordoncino in metallo prezioso, usata come accessorio dei bu-di. ma-da-a-um (var. ma-ti-a-um), “situla”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] ARET VII 64: 10 kù-sig¥± / 1 ma-da-a-um / NI-zi / na-gàr¾ / 6 kù-sig¥± / 1 zibar / NI-ba-KU-TU / dumu-nita / ði-da-ar / ma-rí¾ / en / ì-na-sum / 6 kù-sig¥± / 1 zi-bar / dumu-nita en / a-bù-la-du¾ / i-bí-zi-kir / ì-na-sum / lú é TI-túg; ARET VII 108: 6 an-zamµ 6 ma-ti-a-um zabar / ‹é› / du*-[bù*]-ðu-‹¼*›[ƒà*da*] / AB-N[E] / dub-sar / šu-ba­-‹ti› / iti i-si; ARET VIII 542 (= MEE 5 22) r. VI:13-19: 2 ma-na TAR kù-sig¥± / 1 giš-šu­ 1 níg-bànda / 56 kù-sig¥± / 1 an-zamµ 1 pad 1 ma-da-a-um 1 zi-bar / 6 kù-sig¥± / nu¥¥-za-SÙ / [...; ARET XII 107 r. I:1'-4': ‹53› kù-sig¥± 2-1/2 / 1 an-zamµ 1 pad 1 ma-da-a-um 1 zi-bar / níg-ba ‹en› / na-gà[r][¾]; ARET XII 600 II':3'-5': 1 an-zamµ 1 pad-SÙ 1 ma-da-a-um 1 zi-bar-SÙ / ì-nasum / ði-da-a[r] / [...; MEE 10 29 r. XVII:12-22: 13 gín DILMUN kù:babbar / wa / 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 ma-da:a:um / dam / a-dè / 1 ma-da:a:um-SÙ / lú ì-na-sum / ti-ša-li-im; MEE 10 29 r. XVII:23-34: 5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 ma-da:a:um / 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 pad 1 gi-zu / níg-šu-DU / en; TM.75.G.1556 r. II:1-8: 347 šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 an-zamµ 344 Anche per i termini semitici il plurale può essere indicato ad Ebla tramite la grafia reduplicata, come stabilito da Pomponio 1984, pp. 309 ss. 345 Gelb 1957, p. 12. 346 CAD, E, p. 14. 347 Citato da Pettinato - D’Agostino 1996, p. 152; Waetzoldt 1990, p. 15, n. 87. Il lessico degli oggetti 159 lú ra-ƒà-tum / wa / 1 pad-SÙ / 15 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 ma-da-a*um lú ra-ƒà-tum / wa / 1 pad-SÙ; [9] TM.75.G.10201 v. VII:8-15: 348 (oro) / 1 ma-da-a-um / i-bí-zi-kir / a-dè / 1 ma-da-a-um-SÙ / ì-na-sum / en / ND. Il termine ma-da-a-um, finora non interpratato, ricorre esclusivamente in passi relativi ad assegnazioni di metalli preziosi finalizzate alla realizzazione di vasi. In questi contesti l’oggetto si trova associato o contrapposto ad an-zamµ, zi-bar, giš-šu­, níg-bànda. In considerazione di ciò, è possibile ritenere sua variante grafica ma-ti-a-um, attestata per ora una sola volta in [2] e riferita ad un oggetto realizzato in bronzo (zabar) e consegnato insieme a vasi. Che ma-da-a-um debba considerarsi come il nome di un vaso pare assicurato anche da [8], dove si assegna una quantità d’oro per provvedere alla decorazione (nu¥¥-za) di uno di questi oggetti e del relativo coperchio (pad-SÙ). 349 In questo passo il vaso è qualificato lú ra-ƒàtum esattamente come il contenitore an-zamµ che lo precede nell’assegnazione. Questa indicazione si riferisce al materiale, ricavato da un animale acquatico, con cui i vasi erano realizzati o decorati. 350 Una possibilità è spiegare il termine come /madlay-um/, “secchio” o “situla”, da *dlw/y (anche con metatesi *dw/yl), “attingere acqua (da un pozzo)”, di ampia attestazione semitica (accadico, ebraico, aramaico ed arabo). 351 Da questa radice derivano, in paleoaccadico e nelle altre lingue successive che l’attestano, sostantivi per indicare il “secchio”. In particolare si osserverà che nei testi accadici si tratta spesso di un oggetto di pregio, che poteva es- 348 Citato da Archi 2002b, p. 13. Risulta pertanto difficile accogliere il confronto proposto da Archi 1988f, p. 226, ed accolto da Mander 1990, p. 167, con le glosse della lista lessicale bilingue VE 166 kur kur°-na-rú = ma-da-ù zi-ga-na-tim (fonte Cj), kurkur°-na = ma-da-u³ NA­.NA­, interpretabili come /mat…ïu sikkannatim/ ed indicanti lo sradicamento della stele, come confermato dalla fonte D che ha kurkur°-na-rú = na-ša-du, da intendere come /naz…‚tum/, “rimozione” (da *nz‚), seguendo l’interpretazione di Conti 1990, p. 91. I contesti portano, inoltre, ad escludere anche ogni riferimento alla glossa di VE 481, gišgu-RU-kakurudu = ma-ti-um (fonti A e D), interpretabile come /maýýiyum/, da *nýy/w, “bastone” (Conti 1990, p. 139). 350 Piuttosto che un riferimento a “manico” o “maniglia”, come proposto da Waetzoldt apud Mander 1990, p. 165. Per l’identificazione di ra-ƒà-tum come un materiale ricavato da un animale acquatico ed usato dagli artigiani eblaiti per la realizzazione o decorazione di importanti manufatti, Pasquali 2003a, e la scheda relativa nella sezione sui materiali. 351 DRS 4, pp. 235-236 e 262-263. 349 Capitolo IV 160 sere realizzato, oltre che in bronzo, anche in oro ed essere donato in occasione delle nozze di importanti personaggi. 352 ma-da-ðu (var. ma-da-ða), “(un gioiello)”. [1] ARET I 7 (55''): 1 ƒà-da-i 1 aktum-túg 1 íb-i-túg sa° gùn / ša-ra-bí-gú¾ / šumu-taka­ / ma-da-ðu / i-bí-zi-kir / [i]n / [du?]-‹u³›¾ / [šu-ba­-t]i; [2] ARET II 31 (1): 10 geštu-lá kù-sig¥± 2 kù-sal 1 ša-mu 1 ma-ða-na-gúm 4 zaµ sag 5 si-da-tum gugµ za-gìn / si­-si­ kù-sig¥± / 2 ti-ki-na / 1 ma-da-ðu / 1 giššu-dub / 1 ti-ba-ra-núm / 1 ù-nu-bù-bí-tum / 1 gú-zú-ra-tum kù-sig¥± gugµ zagìn / GÁxLÁ 1 ma-na ša-pi-6 kù-sig¥± / 2 giš-DU / 2 bu-di / sag / kù-sig¥± / GÁxLÁ 1 ma-na kù:babbar / 4 zara°-túg / 1 túg-NI:NI / 16 aktum-túg ti-túg / níg-ba / i-ti-mu-ud / in u­ / é / ru¥©-zi-ma-lik; [3] ARET III 545 II:1-2: 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / [...; [4] MEE 10 4 r. III:14'-16': 2 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 2 ma-da-‹ða› / [...; [5] MEE 10 20 r. X:21 - XII:8: 1 ma-na 18 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 10 1 gú-li-lum / TAR kù:babbar / 2 ti-gi-na / 17 3-NI 10 lá-2 gišgeštu-lá / TAR-6 4 ƒà-ra-ma-tum / wa / 2 buru­-mušen / 4 2 kù-sal / 12 92 ‹kur-gú›-ru¥© / 4 ðaza-nu / 3 2 ma-ða-na-LUM / 11 2-NI 86 du-ru¥©-gú / 6 1 šu-dub / 5 1 zi-bar / TAR kù:babbar / 2 bu-di / 15 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za sag-SÙ / 15 gín DILMUN kù:babbar / 1 an-zamµ / TAR kù:babbar / 2 giš-DU / 2 ma-na kù:babbar / 1 níg-bànda 1 giš-šu­ / 6 gín DILMUN nagga / šub si-in / TAR a-gar®-gar® / 1 sig±-igi / 1-1/2 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾ / šumu-taka­; [6] MEE 10 20 v. VII:27-33: 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 ma-da-ðu / rí-i-ma-lik / lú en-na-(...) / (...); [7] MEE 10 20 v. VIII:1-6: 6 2-NI gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 3-NI gín DILMUN kù-sig¥± / 1 ma-da-ðu / ir-NE / lú iš¥¥-gú-ma; [8] MEE 12 35 v. V:47-51: šušanaµ kù:babbar / šu-bal-aka / 4 kù-sig¥± / 1 ma-daðu / i-ti-¼NI-lam; [9] MEE 12 35 v. V:52 - VI:3: 1 3-NI kù:babbar / šu-bal-aka / 4?-NI kù-sig¥± / (...) giš-PA / 2? ma-da-ðu / i-bí-zi-kir; [10] TM.75.G.1962 r. X:1-11: 353 ...] / [x gur]-gú-ru¥© 13 / 1 mi-at gur-gú-ru¥© si­ / 1 mi-at gur-gú-ru¥© za:gìn sig¥±-za / 1 mi-at du-ru¥©-gú 19 / 1 ša-mu 1 / 1 kù:babbar / 1 ma-da-ðu / 2 al°-la-nu 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 6 kùsig¥± / 1 ‹x› [...; 352 CAD, 353 D, pp. 56-57, s.v. d…lu A; CAD, M/1, p. 19, s.v. madlû. Citato da Archi 2002a, p. 178. Il lessico degli oggetti 161 [11] TM 75.G.10088 v. XVII:24 - XVIIII:11: 354 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at 13 gurgú-ru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / <1*> šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP / [...]. Il termine (attestato anche al duale ma-da-ða, in [4]) indica un gioiello generalmente realizzato in modesta quantità di oro o argento, a cui si aggiungono in [2] corniola e lapislazuli (gugµ za-gìn). In [4], gli viene attribuita una “laminatura” (ni-zi-mu). L’oggetto può essere assegnato indistintamente a uomini o donne. Queste ultime lo ricevono assieme ad altri preziosi manufatti in occasione delle nozze o delle onoranze funebri. Sostanzialmente diverso il passo [1], che registra la consegna di ma-da-ðu, pagata in tessuti, da parte di un artigiano(?) di ša-ra-bí-gú¾ e la sua conseguente ricezione da parte del ministro i-bí-zi-kir. 355 L’interpretazione non è certa. Archi traduce “clasp”, 356 confrontando il lemma con l’acc. daðûm, deðûm, “stossen, drücken(?)”, dal semitico occ. *dïw/y “(an)stossen”, 357 ma sembra, tuttavia, difficile che la radice esista in accadico. 358 Il confronto risulta, comunque, foneticamente non ovvio, dato che ad Ebla i segni della serie ÐA non indicano /ï/. ma-ða-na-gúm, “girocollo”. [1] ARET II 8 (11): 5 kù-sig¥± / 1 ma-ða-na-gúm 1 / ¼nin-kar; [2] ARET II 31 (1): 10 geštu-lá kù-sig¥± 2 kù-sal 1 ša-mu 1 ma-ða-na-gúm 4 zaµ sag 5 si-da-tum gugµ za-gìn / si­-si­ kù-sig¥± / 2 ti-ki-na / 1 ma-da-ðu / 1 giššu-dub / 1 ti-ba-ra-núm / 1 ù-nu-bù-bí-tum / 61 gú-zú-ra-tum kù-sig¥± gugµ za-gìn / GÁxLÁ 1 ma-na ša-pi-6 kù-sig¥± / 2 giš-DU / 2 bu-di / sag / kù-sig¥± / GÁxLÁ 1 ma-na kù:babbar / 4 zara°-túg / 1 túg-NI:NI / 16 aktum-túg TI-túg / níg-ba / i-ti-mu-ud / in u­ / é / ru¥©-zi-ma-lik; [3] ARET III 218 r. III:1-5: 1 ma-na 8-1/2 kù-sig¥± / 2 ƒà-ra-ma-da 17 / 2 kù-sal 30 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at / [...; [4] MEE 10 20 r. III:16 - V:9: (...) šušanaµ geštin-še / šušanaµ kur-gú-ru¥© / 6 ðaza-nu / 4 ma-ða-na-gúm / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­; 354 Citato da Archi 2002a, p. 178. Un altro gioiello apparentemente oggetto di consegna nei testi amministrativi eblaiti è ša-mu, per cui si veda s. v. 356 Archi 2002a, p. 193. 357 Secondo l’etimologia proposta in AHw, p. 150. 358 Come osservano CAD, Ñ, p. 168, e DRS 4, p. 244. 355 Capitolo IV 162 [5] MEE 10 20 r. X:21 - XII:8: (...) 12 92 ‹kur-gú›-ru¥© / 3 ða-za-nu / 3 1 ma-ðana-gúm / 11 2-NI 86 du-ru¥©-gú / 6 1 šu-dub / (...) / zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾ / šu-mu-taka­ ; [6] MEE 12 35 v. XVII:22 - XVIII:4: 10 lá-2 gišgeštu-lá ‹šušanaµ?›-3 / 4 ƒà-ra-matum 14?-1/2 / 2 zà 7 / 60 du-ru¥©-gú 12-1/2 / 2 gú-zu-ra-tum 5-1/2 / 2 kù-sal 5 / 92 gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / KA-dù-gíd / sikil / ab / 2 gišDU ša-pi / 2 ti-(gi-na ...) / (2 ti-gi-na) giš-zú ša-pi / 1 šu-dub 4 / KA-dù-gíd / (...); [7] TM.75.G.1250+ARET XII 874 r. III:3: 359 (...) 1 mi-at 20 gur-gú-ru¥© 16 / 1 mi-at 23 du-ru¥©-gú 16 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 šu-dub 3-1/2 / 1 gú-zu-ra-tum 4 / 2 bu-di tur 6 / (...) / mu-túm / i-bí-zi-kir; [8] TM.75.G.1330 r. I:1 - V:6: 360 93 kur-gú-ru¥© / 3 kù-sig¥± / <3*> ða-za-nu / 3 kù-sig¥± / <1*> ma-ða-na-gúm / 11 2-NI kù-sig¥± / 86 du-ru¥©-gú / 4 kù-sig¥± / 1 šu-dub / (...) / zú-ga-lum / ma-lik-tum / ða-ra-an¾; [9] TM.75.G.1464 r. XI:6-13: 361 6 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / 1 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 10 gišgeštu-lá / 2 ti-gi-na / 62 du-ru¥©-gú / 1 mi-at kur-gú-ru¥© / 2 kù-sal / 1 ma-ða-na-gúm / 4 ða-za-nu / 1 šu-dub / 1 ša-mu / 2 ti-ba-ra-núm / wa / nu¥¥-za 2 sag 2 bu-di / TAR kù:babbar 2 bu-di / TAR kù:babbar / 2 giš-DU / ar-za-du / dumu-mí / en-na-¼utu; [10] TM.75.G.1679 r. II:3-7: 362 1 ma-ða-na-gúm 117 gur-gú-ru¥© 112 du-ru¥©-gú 10 al°-la-nu 10 giš-geštin 228 ða-za-nu; [11] TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 363 (...) 98 du-ru¥©-gú 12 / 1 mi-at 25 gur-gú-ru¥© 13-1/2 / 1 šu-dub 5 3-NI / 2 bu-di šušanaµ / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gú-zu-ratum 4 / (...) / lú mu-túm / i-bí-zi-kir / ti-iš-te-da-mu / dumu-mí en / si-in / É×PAP; [12] TM.75.G.2334 r. I:1 - III:17: 364 (...) 1 mi-at 60 lá-1 gur-gú-ru¥© 22 / 1 mi-at 20 du-ru¥©-gú 14 / 2 kù-sal 6 / 1 šu-kešda 4 2-NI / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 gúzu-ra-tum 3 / (...) / ša-du / mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / dam-dingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; [13] TM.75.G.2507 v. I:7'-15': 365 šušanaµ gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 6 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 2 ma-ða-na-gúm / 5 kù-sal / lú / ¼utu-¼utu / é ti-túg; [14] TM.75.G.2507 v. X:8-26: 366 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 giš geštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 ti-gi-na 359 Citato da Biga 1998a, p. 20. Join citato in ARET XII. Citato da Archi 2002a, pp. 167-169. 361 Citato da Pettinato 1992, p. 200; Archi 2002a, p. 164. 362 Citato da Archi 2002a, p. 192. 363 Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. 364 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 365 Citato da Pomponio - Xella 1997, p. 338. 366 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. 360 Il lessico degli oggetti 163 šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 gín DILMUN / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 gín DILMUN / 1 gú-zu-ra-tum 2 gín DILMUN / 2 kù-sal 3-1/2 / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 gín DILMUN / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ša-mu / ti-a-i-šar / dumu-mí en / ƒà-za-an¾; [15] TM.75.G.2507 v. XXI:24 - XXII:11: 367 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 gišgeštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 tigi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 / 1 gú-zu-ra-tum / 2 kù-sal ‹3›-1/2 gín DILMUN / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 / 1 kù:babbar / 1 ša-mu / rí-ìdu / dumu-mí / en / dam / ru¥©-zi-ma-lik / dumu-nita / ib-du-¼aš-dar; [16] TM 75.G.10088 v. XVII:24 - XVIIII:11: 368 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at 13 gurgú-ru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / <1*> šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP / [...]; [17] TM.76.G.288 r. II:6 - V:9: 369 (...) geštin-še / šušanaµ kur-gú-ru¥© / 6 ða-z[anu] / 4 ma-ða-na-gúm / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / du-du / si-in / lu-ba-an¾. Questo termine può essere tradotto “collana; girocollo”, in quanto sostantivo a schema ma12a3- dalla radice *ðnq, “porre sul collo; stringere al collo”, 370 di ampia attestazione semitica. 371 Si tratta di un importante gioiello indossato dalle dame della corte eblaita in occasione di nozze, investiture sacerdotali e cerimonie funebri, per la cui realizzazione erano richiesti vari tipi di perle (gur-gú-ru¥©, du-ru¥©-gú, al°-la-nu, še-geštin, ða-zanu), pendenti (kù-sal) ed un fermaglio (gú-zu-ra-tum). In [1] e [13] l’oggetto è destinato alle statue di culto delle dee ¼nin-kar e ¼utu-¼utu / é ti-túg. Si veda anche il lemma seguente. ma-ða-ne-gúm (var. ma-ða-ni-gúm). [1] MEE 2 50 v. I:4-9: 30 an-(...) / 2 ma-ða-ne-gúm kù:babbar / 4 ma-ða-ne-gúm zabar / 4 dè-li zabar / 2 tùn gal 2 tùn tur / 6 DUB.NAGAR / 1 ða-zi 4 dur(...) 1 LAK-397? zabar / 1 ma-(...) a-gar®-gar® / (...; 367 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. Citato da Archi 2002a, p. 178. 369 Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. 370 Come proposto da Waetzoldt apud Mander 1990, p. 87, ed accolto da Pomponio Xella 1997, pp. 293, 338; Archi 2002a, p. 193. 371 CDG, p. 263. 368 Capitolo IV 164 [2] MEE 10 23 v. XI:8-15: TAR kù:babbar / ma-ða-ne-gúm / [e]n / 6 gín DILMUN kù:babbar / zú-zú-ba-tum / en / 10 gín DILMUN kù:babbar / nígkaskal; [3] TM.75.G.1234 r. I:1 - II:4: 372 1 gír mar-tu ba-du-u­ kù-sig¥± / 1 gír mar-tu badu-u­ kù:babbar-sig¥± / 5 gír mar-tu ba-du-u­ kù:babbar / 3 gír mar-tu gišSAL kù:babbar / 10 lá-3 ma-na 30 zabar / 10 ma-ða-ne-gúm šušanaµ-5 / maškim / ìr-ƒà-ag-da-mu; [4] TM.75.G.1464 v. II:13-20: 373 10 gín DILMUN nagga / šub si-in / 1 ma-na agar®-gar® / kin®-aka / 1 ma-ða-ni-gúm / wa / 1 tùn gal / en; [5] TM.75.G.2251 r. IV:2 - v. I:2: 374 1 ma-ða-ne-gúm kù-sig¥± GÁ×LÁ 3 ma-na 15 kù-sig¥± ba-lu-ma giš; [6] TM.75.G.2341 v. IV:4 - V:5: 375 TAR kù-sig¥± / 1 íb-lá 1 si-ti-tum 1 gír kun / 1 ma-ða-ne-gúm ra-ƒà-tum kù-sig¥± / 1 gír mar-tu kù-sig¥± / 2 gu-zi-túg 3 ƒà-daum-túg-ii 5 aktum-túg 5 íb-iv-túg sa° gùn / níg-ba / en / [NI-ra-ar¾] / ì-nasum / in u­ / šu-ba­-ti / íl-wu-um¾. Le grafie ma-ða-ne-gúm e ma-ða-ni-gúm sono considerate varianti del lemma precedentemente discusso. 376 Formalmente un’interpretazione /maðniqum/ con vocalizzazione assira 377 appare, infatti, la più probabile. La diversità dei contesti, tuttavia, impone a nostro avviso di trattare separatamente i vocaboli, che pur presentando la stessa etimologia (sem. *ðnq, “porre sul collo; stringere al collo”), paiono indicare oggetti diversi tra loro. 378 Tenendo conto, infatti, dei testi finora disponibili, si osserva che ma-ða-na-gúm compare, come abbiamo visto, esclusivamente in contesti di oggetti preziosi destinati ai corredi cerimoniali delle nobildonne della corte eblaita, mentre ma-ða-ne-gúm e ma-ða-ni-gúm ricorrono in contesti di armi, dove figurano come destinatari solo personaggi maschili. Si noterà anche il peso inferiore di ma-ða-na-gúm rispetto all’oggetto qui descritto. I contesti [1, 3, 4] registrano ma-ða-ne/ni-gúm in argento (kù:babbar), bronzo (zabar) e rame (a-gar®-gar®), assegnati assieme ad asce (tùn), 379 vari 372 Citato da Archi 1987b, p. 71. Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 25. 374 Citato da Archi 2002a, p. 20. 375 Citato da de Urioste Sánchez 1996. 376 Ultimamente Waetzoldt 2001, p. 400, che pure mette giustamente in evidenza la diversità dei contesti. 377 GAG, p. 64. 378 Si veda già Pasquali 2003a, n. 12. 379 Il significato è sicuro in ragione delle glosse VE 477 (fonti A, B, C, D), giš-tùn = gur-du-mu(-um), gur-tu[m]-mu, /qurdum(m)-u(m)/ sulla base di ebr. ed ar. (come propone 373 Il lessico degli oggetti 165 tipi di pugnali (gír), bandoliere (dè-li) ed altri attrezzi. In [2], l’oggetto non contato, ancora in argento, è assegnato al re in occasione di un viaggio (níg-kaskal), assieme a zú-zú-ba-tum, “ lamine metalliche”, in genere impiegate per coprire parti di carri. 380 È, invece, in oro in [5], dove apparentemente 3 mine e 15 sicli sono il suo peso (GÁ×LÁ), che non include però il legno (ba-lu-ma giš), su cui si può supporre fosse fissato il rivestimento metallico. Ancora l’oro viene utilizzato in [6] con l’aggiunta di applicazioni in un materiale prezioso ricavato da un animale acquatico (ra-ƒà-tum, per cui si veda capitolo II). 381 In questo passo ma-ða-ne-gúm segue l’assegnazione di un cinturone cerimoniale con pendaglio e pugnale e precede immediatamente 1 pugnale mar-tu e un corredo di tessuti come offerta per il re. È evidente che in questi casi non si tratta di un gioiello, ma probabilmente, visto il significato di *ðnq, di una fascia metallica da portare intorno al collo come elemento protettivo. 382 mar-da-ma-núm, “un bastone (usato come arma)”. [1] MEE 7 13 v. II:3 - III:3: 20 lá-2 giš-gu-kak-gíd-šub / 13 giš-gu urudu / lú ðaza-rí / 1 mi-at 56 níg-sagšu zabar / 6 mar-da-ma-núm mað 1? / 10 mar-dama-núm / 11 mar-da-ma-núm 10? / 6 mar-da-ma-nún sal / lú TAG. Questa grafia è nota una sola volta nella documentazione finora disponibile in un inventario di armi e componenti dell’equipaggiamento militare. L’oggetto, di cui non si specifica il materiale, risulta distinto nelle tipologie grande (mað) e leggera (sal) e segue immediatamente l’assegnazione di lance e punte di lancia (giš-gu-kak-gíd-šub, giš-gu) 383 in rame e di elmi (níg-sagšu) in bronzo. È verosimile, quindi, che anche mar-da-ma- Conti 1990, p. 138), e VE 759 (fonti A e B) tùn urudu = ba-šum, /paƒš-um/, sulla base dell’accadico p…šum, “ascia” (come propone Pettinato 1980, p. 55). 380 L’interpretazione di questo termine come /ñuññup-…t-um/ dal sem. occ. *ñpy, “placcare”, si deve a Fronzaroli 1984, p. 127. Per la loro utilizzazione, Conti 1997, pp. 5253, con bibliografia. 381 Appare difficile per questa grafia un’interpretazione “Handgriff” in questo contesto, come invece propone Waetzoldt 2001, p. 400. 382 L’etimologia ed i contesti sconsigliano l’ipotesi di Archi 2002a, p. 193, che l’oggetto possa considerarsi come “the handle of an axe”, Genericamente di “eine Waffe bzw. ein Gerä/Werkzeug” si tratterebbe per Waetzoldt 2001, p. 400. 383 Per questi termini, Waetzoldt 1990, p. 2; Fronzaroli 1993, p. 49; Conti 1990, p. 139; Conti 1997, p. 66. Capitolo IV 166 núm indichi un attrezzo bellico. La parola può essere confrontata 384 con l’accadico, nardamu, noto nelle liste lessicali mesopotamiche come equivalente del sumerico gišguru®-uš, gišgušuruš, gišgušurµ(RAB.GAL), ed indicante un tipo di palo o attrezzo. 385 Grammaticalmente si tratta di un sostantivo a schema ma12a3- di incerta etimologia, probabilmente dal sem. *rdm, “fermare”, attestato in accadico, ebraico ed arabo. 386 Rispetto all’accadico, si noterà la presenza in eblaita dell’ampliamento in -…n. 387 Il sumerogramma giš-gušur è noto anche nella lista lessicale bilingue eblaita 388 e nel testo di cancelleria ARET XIII 9 (2), dov’è interpretabile come “tronco, trave; legname”. 389 ma-ra-šum (var. mar-šum), “stringa”. [1] ARET VII 16 (= MEE 2 43) r. V:6 - VI:3: ša-pi gín DILMUN kù:babbar / 1 m[i]-at 20 ma-ra-šum / kù:babbar / 5 ma-na zabar / 1 mi-at 20 bu-di-bu-di / ma-rí¾ / ða-su-mu / šu-ba­-ti; [2] MEE 12 37 v. XIX:3-14: 6 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1-1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 kù-sal / 1 buru­-mušen / wa / 1 mar-šum / [x]-da 2 šu / íl-ƒà-ag-da-mu / ¼ra-sa-ab / wa / ¼a-dam-ma-SÙ. Il termine si riferisce ad un oggetto realizzato in metallo prezioso (kùsig¥±, “oro”, kù:babbar, “argento”), del quale in [1] vengono assegnati 120 esemplari ad assieme altrettanti bu-di. In [2] un solo esemplare è citato in relazione ad un “monile” (kù-sal) in forma di “falco” (buru­-mušen), come dono del principe íl-ƒà-ag-da-mu per le statue di culto della coppia di divinità infere ¼ra-sa-ab e ¼a-dam-ma. Il confronto con l’accadico maršum, “stringa”, risulta adeguato. 390 È, quindi, possibile che il termine indicasse 384 Diversamente D’Agostino 1996b, p. 56, “arma-M”, dal sem. *rmm, “essere, mantenere in silenzio, acquietare, azzittire”. Questa ipotesi appare, tuttavia, improbabile. 385 CAD, N/1, pp. 351-352, “mooring pole”; AHw, p. 746, “eine Klammer?”. 386 AHw, p. 746; HAL, p. 1191. 387 La forma /mapras-…n-um/ è tipica del semitico occidentale. 388 Con glossa du-ma-nu (fonte A), du-ma-núm (fonte B, C), confrontabile con l’acc. tum…nu (AHw, p. 1370). 389 Fronzaroli 2003b, p. 105. Per il significato di questo sumerogramma, Marchesi 1999, pp. 104 s. 390 Proposto da Pettinato 1980, p. 301. Meno probabile su base contestuale, un confronto con la grafia mar-šu¥­(ŠUM), attestata ad Emar in due inventari relativi al tesoro (šukuttu) delle dee Išðara e Inanna (43:1, 4, 6 e 10; 282:1), riferibile ad un contenitore in argento, destinato a contenere oggetti preziosi, tra cui piccole statuette. L’editore traduce “plateau” (Arnaud 1986, pp. 59 e 277), ma Durand 1989, p. 184; 1988, p. 123 e n. 18, considera il termine analogo al nûbalum di Mari, “chaise-à-porteurs”. Il lessico degli oggetti 167 una sorta di “filo” in metallo prezioso, con il quale il pendente in forma di falco veniva appeso all’imagine della divinità. In [1], dove l’oggetto è in relazione con bu-di, può essere valida la stessa spiegazione, se questo gioiello è da intendersi come un “pendente”; 391 se invece bu-di indica una coppia di spille usate per fermare le stoffe, è possibile allora che si trattasse della catenella che le teneva unite. ma-ra-tum (var. ma-la-tum), “catena(?)”. [1] MEE 2 16 r. I:1 - II:5: 40 ma-na kù:babbar / 1 giš-šu­ kù-sig¥± / 1 ma-na 12 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 níg-bànda / 50 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 ma-ratum / 3 gín DILMUN kù-sig¥± / níg-ba / NI-zi; [2] MEE 12 25 r. IV:7 - V:9: 4 ma-na kù:babbar / 1 ma-na kù-sig¥± / 1 zabar kù:babbar // šušanaµ / 6 gín DILMUN zi-bar tur kù-sig¥± / 3 gín DILMUN kùsig¥± / gišgeštuµ-lá? / 1 bu-<di> zabar / 1 ma-la-tum zabar / 1 gír ‹zú› AN.LAGAB×AN / 10 ma-na gúg-gúg / 2? kaskal-kaskal sagi. Questo termine, nei due passi che finora lo attestano, si riferisce ad un oggetto realizzato in metallo, oro (kù-sig¥±) in [1] e bronzo (zabar) in [2]. In [1] l’oggetto è preceduto nell’assegnazione da due contenitori in metallo prezioso (giš-šu­, níg-bànda). In [2], oltre alla menzione di un contenitore (zi-bar), troviamo registrati anche gioielli (gišgeštuµ-lá e bu-di) e pugnali (gír). Si tratta apparentemente di beni assegnati al coppiere di corte (sagi) come provvigione per viaggi da lui effettuati. L’interpretazione non è certa, data la limitatezza delle attestazioni. I contesti sconsigliano la traduzione “tappeto”, 392 basata su un confronto con l’accadico mardatu. Per le stesse motivazioni, non sembra possibile neppure considerare ma-ra-tum come variante grafica di ma-rí-a-tum. 393 Il passo [1] sembrerebbe piuttosto suggerire che si tratti di un contenitore o un accessorio relativo ad un contenitore. 394 Una possibilità consentita dalle grafie è confrontarlo con l’accadico marratu, 395 termine raro e di attestazione quasi esclusivamente lessi 391 Fronzaroli 1993, p. 36, con bibliografia. Proposta da Pettinato 1980, pp. 113-114. 393 Come recentemente ha proposto Archi 2002a, p. 194. 394 Come osserva ora anche Waetzoldt 2001, p. 191. Non risulta, tuttavia, foneticamente adeguato il confronto proposto da questo autore con l’accadico malitu, indicante un tipo di contenitore (CAD, M/1, p. 165; AHw, p. 595). 395 Citato in proposito anche da Pettinato 1980, p. 114, come ipotesi alternativa a quella da lui accolta. 392 Capitolo IV 168 cale, 396 indicante un elemento decorativo, probabilmente una catena, data la sua equivalenza nelle liste con šeršerratu, “catena” (sem. *šršr). 397 La parola è nota anche in un inventario di oggetti preziosi ed utensili di età paleobabilonese proveniente da Išðali, A7693, r. I:10 - v. I:1: 1 si-ik-rum ša ab-ni-im ina ma-ra-tum 2/3 ma-na gín ki-lá-bi, da cui si deduce che l’oggetto poteva essere provvisto di un manico (šikru) in pietra dura. 398 mar-pi-ga-tum, “sostegno; piedistallo”. [1] ARET VIII 528 (= MEE 5 8) r. I:1 - II:7: 4 mi-at ma-na kù-sig¥± / 40 zi-ru¥© / 2 mi-at ma-na kù-sig¥± / 40 dug / 1 ma-na 55 kù-sig¥± / 1 giš-šu­ / 10 lá-3 mana 5 kù-sig¥± / 1 ÐA / TAR kù-sig¥± / 1 mar-pi-ga-tum / 5 ma-na / 53 kù-sig¥± / 6 kù:babbar / nu¥¥-za 1 giš-uštin / lú si / 15 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 kun si / an-šè-gú 6 mi-at 20 lá-1 ma-na ša-pi kù-sig¥±; [2] MEE 12 30 v. I:1-5: 399 3 kù-sig¥± / mu-dað / 1 mar-‹pi›-ga-tum / du-ur-NI / šu-ba­-ti; [3] MEE 12 35 v. XXVII:38 - XXVIII:7: 4 ma-na TAR kù:babbar / 1 níg-bànda 1 giš-šu­ / 1 mar-pi-ga-tum / 2 šu / en / 3 ma-na 55 gín DILMUN kù:babbar / 1 níg-bànda 1 giš-šu­ / 2 šu / ma-lik-tum; [4] TM.75.G.1904+ v. II:4-7: 400 5 gín DILMUN kù:babbar 1 mar-pi-ga!(SUM)tum šu-šu en; [5] TM.75.G.2109 r. I:1 - II:4: 3 ma-na 16 2-NI kù:babbar 1 giš-šu­ 1 níg-bànda PN¥ 13 lá-4-NI kù:babbar 1 mar-pi-ga-tum PN© taka­ mu-ti; [6] TM.75.G.2507 r. IX:13-15: 1 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 1 mar-piga-tum; [7] TM.75.G.10077 r. X:9-13: 4 ma-na TAR kù:babbar 1 giš-šu­ 1 níg-bànda 1 mar-pi-ga-tum (...) en; [8] TM.75.G.10148+ r. VI:4-8: 1 gín DILMUN [kù-sig¥±] / ni-zi-mu / 1 mar-piga-tum / lú 2 šu / en; [9] TM.75.10201 r. XXVIII:14-16: 4 ma-na 20 kù:babbar / 1 níg-bànda 1 giš-šu­ 1 mar-pi-ga-tum / en; [10] TM.75.G.10202 r. IV:9-11: 1 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 1 mar-piga-tum. 396 CAD, M/1, p. 287, s. v. marratu C. Per questa parola, Saporetti 1971, pp. 181-183; Fronzaroli 1990, p. 114, n. 10. 398 CAD, Š/2, p. 440. 399 Già edito da Biga SEb 1981, pp. 25-26. Le interpretazioni lì proposte per il termine (acc. marqantum, “a dagger”, o markutu, “a wooden implement”) sono, però, da abbandonare in ragione degli altri contesti ora noti. 400 Questo passo e i successivi sono citati da Archi 2005a. 397 Il lessico degli oggetti 169 Questa grafia indica un oggetto citato nella documentazione nota esclusivamente in contesti di vasi. In [1], infatti, un ampio inventario di oggetti artistici, mar-pi-ga-tum è preceduto da vasi di varia tipologia (ziru¥©, dug, giš-šu­, ÐA), 401 ed è immediatamente seguito dalla menzione di una quantità d’oro e d’argento da impiegare per la decorazione (nu¥¥-za) di un “trono” (giš-uštin), con parti in avorio o corno (si). In [2] precedono assegnazioni di metallo prezioso per la lavorazione di vasi giš-šu­ e nígbànda e di statue (an-dùl), mentre in [3, 5,7, 8, 9] un mar-pi-ga-tum pare formare proprio con i vasi giš-šu­ e níg-bànda un insieme di oggetti apparentemente di stretta pertinenza del sovrano. In [3], infatti, alla ma-lik-tum vengono assegnati gli stessi vasi, ma senza mar-pi-ga-tum. La relazione di questo oggetto con l’en è ribadita anche in [4, 7, 8]. In questi contesti, l’espressione 2 šu o šu-šu difficilmente può riferirsi alle “anse”, 402 ma sarà piuttosto da intendere “nelle mani di” e, quindi, “per” con riferimento al re. 401 Il sumerogramma ÐA ricorre nei testi amministrativi eblaiti, sempre in contesti di contenitori: ARET II 4 (10): ša-pi-5 gín DILMUN kù:babbar / ÐA / zi-bar / ti-ti-na / lú ENga-ba-an / šu-mu-taka­ / lugal / [iti ...]; ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. X:1-7: an-šè-gú 23 ma-na kù:babbar TAR-TAR / 10 ma-na 50 kù-sig¥± TAR-TAR / 6 mi-at 20 lá-1 ša-pi kù-sig¥± / 40 zi-lu 40 dug / 1 giš-šu­ 1 ÐA 1 giš-uštin si / 2 ma-na ša-pi-5 kù-sig¥± / lú du-gú-ra-su¾; TM.75.G.1559 v. III:9 - IV:7: 1 giš-šu­ kù:babbar 10 / 5 ma-na kù:babbar / 2 ÐA zabar / 1 aktum-túg 1 íb-túg sa° / 1 níg-lá-gaba / 1 níg-lá-sag / 1 gír mar-tu zú / al°-ma / nígMUL!.MUL! / ga-surµ¾ / TIL (edito da Archi 1981a, pp. 155 ss.). L’interpretazione ku°, “pesce”, proposta da Pettinato 1996, p. 162, nel qual caso potrebbe trattarsi di raffigurazioni teriomorfe impiegate come elementi decorativi dei vasi, pare sconsigliata dalle quantità piuttosto elevate di metallo utilizzate per la realizzazione di questo oggetto. È possibile, invece, confrontare questo raro sumerogramma con dugÐA, noto nei testi di Emar ed indicante un tipo di vaso, come assicura la presenza del determinativo dug (Fleming 1992, pp. 114 e 237). Inoltre, ÐA può considerarsi, a nostro avviso, una grafia abbreviata per giš-ÐA, attestato ad Ebla, ancora in associazione con un contenitore (zi-bar), nel passo seguente, relativo alle offerte in occasione della cerimonia funebre (É×PAP) per la morte del sovrano mariota ib-lul-il: ARET II 4 (16): 10 íb-l[á] si-ti-tum gír kun kù-sig¥± / 1 ma-na kù-sig¥± / 1 giš-ÐA 1 zi-bar kù-sig¥± / 11 gín DILMUN kù-sig¥± / 1 dib kù-sig¥± / šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / 1 si am kù-sig¥± / 1 zaµ-ða-da kù-sig¥± / 1 kun kù-sig¥± / 1 túg-gùn 1 zara°-túg 1 íbiii<-túg> sa° gù[n] / 1 šu-kešda gùn / bíl-za-il / la-da-ad / íl-zi-da-mu / ig-na-da-mu / šumu-taka­ / ib-lul-il / lugal / 1 mu / ug± / É×PAP / iti ì-nun. La lista lessicale bilingue non attesta giš-ÐA, ma solo il sumerogramma ÐA in VE 744, senza purtroppo attribuirgli nessuna traduzione. Ciò non consente, quindi, di capire se si tratta di un riferimento all’oggetto dei testi amministrativi oppure al termine generico per pesce (ku°). 402 Come traduce Waetzoldt 2001, p. 302. 170 Capitolo IV Per questa parola eblaita è stato proposto un confronto con l’accadico di Mari marp–qatum, 403 termine indicante un oggetto, la cui funzione purtroppo non è chiara e forse non univoca. 404 Possiamo, comunque, rivederne significato ed etimologia secondo l’analisi fatta da Durand: 405 non “collier”, 406 ma piuttosto “structure”, con rimando all’accadico rap…qum, “benageln”. 407 Questo verbo accadico è da porre in relazione con il sem. *rpq, noto successivamente in ebraico, aramaico, arabo ed etiopico, con il significato di “sostenere; appoggiarsi”. 408 Con questo significato la radice è presente nella lista lessicale bilingue eblaita in VE 248, s[ag-gub] = ra-ba-gu (fonti D e C), ra-ba-gu-um (fonte A), /rap…qu(m)/, “sostenere”, ed in VE 249, sag-e¥¥ = dar-da-bí-gu-um (fonti A, C), ra-ba-ga-tum (fonte D), /tartapiqum/ e /rap…qtum/, “sostegno”. 409 Il termine mariota, pur presentando la stessa etimologia, è possibile si riferisca ad un’altra tipologia di oggetto, dal momento che, almeno i contesti noti, non sembrano metterlo in relazione con vasi, ma piuttosto con elementi della gioielleria o con armi. L’oggetto, inoltre, a Mari è realizzato in ferro e solo più raramente in metallo prezioso. Anche ad Ebla. comunque, non lo si deve necessariamente suppore interamente realizzato in metallo prezioso. Come si deduce esplicitamente da [6, 8, 10], infatti, le modeste quantità d’argento assegnate servono alla “laminatura” (ni-zi-mu) del 403 Pettinato 1996, p. 162, sebbene risulti poco adeguata ai contesti la traduzione “uncino” fornita dall’autore. Diversamente Waetzoldt 2001, pp. 244-245, traduce “Kanne”, sulla base di un dubbio accostamento all’acc. râku, “ausschütten”, per AHw, p. 948, “to smear”, per CAD, R, p. 110. Da ultimo Archi 2005a propone l’interpretazione “(small) dish, saucer”, sulla base di un confronto foneticamente difficile con il sem. *rïq, “to withdraw; to depart”. 404 Il termine è per ora noto in ARMT IX, 20; X 133; XVIII 53; XXV 349, 581, 605; con variante narp–qatum in ARMT XXV 26, 489, 528, 599, 651. 405 Durand 1984, p. 134, n. 37. 406 Come propone CAD, M/1, p. 277, ed accoglie Limet 1984, p. 194, n. 18. Di “fermaglio” parlano Rouault 1976, p. 175 e n. 286; Reiter 1997, pp. 368-369. 407 AHw, p. 954 408 CDG, p. 463, che però non considera l’accadico. 409 Per l’interpretazione di queste glosse, Conti 1990, pp. 107-108, con bibliografia. Se è possibile seguire, per MEE 12 35 v. XIV:14, la lettura 1 sag-e¥¥ 1 giš-sal 2 an-dùl proposta da Bonechi 2003, p. 84 (anziché 1 sag 1 giš-sal-e¥¥ 2 an-dùl come leggono l’editore e precedentemente D’Agostino 1996, p. 178, mentre in Archi 1999, p. 155, troviamo 1 sag 1 GIŠ-SAL.X), troveremmo un’attestazione del sumerogramma sag-e¥¥, “sostegno”, anche in un contesto amministrativo relativo alla realizzazione e decorazione di una grande giara laða e delle sue molteplici componenti. Il lessico degli oggetti 171 mar-pi-ga-tum, che si può, quindi, pensare fosse in altro materiale, come legno o pietra, ad esempio, oppure metallo non prezioso. Capitolo IV 172 mu-a-tum, “...”. [1] MEE 12 36 v. XIV:3 - XV:7: 3 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / ša-pi-5 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 gú 3 NI-bù-gu / lú an-šè / 1 la-ða / 2 ma-na TAR-6 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / TAR-9 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 sag 1 giš-SAL-e¥¥ 2 an-dùl / 16 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / zu-pirig-SÙ / TAR-1 gín DILMUN nagga / šub si-in / 3 ma-na 9 a-gar®-gar® / 4 giš-zú / 4 mu-a-tum / 6 giš-kak / lú kin®aka / 1 la-ða. La grafia è per il momento attestata una sola volta in un contesto di assegnazioni di metallo non prezioso per la realizzazione di elementi costitutivi di una grande giara (la-ða). L’oggetto è citato in sequenza con giškak, “chiodi”, e con giš-zú, probabiilmente indicante un tipo di gancio. L’interpretazione risulta complessa a causa dell’unicità dell’attestazione e delle molteplici possibilità consentite dalla grafia. mu-rúm (var. mu-lum), “(un recipiente per unguenti)”. [1] MEE 2 35 r. VIII:8 - IX:1: 10 gín DILMUN kù:babbar / mu-rúm 410 / lú ì-giš / lú i-ku-wa-an / šu-mu-taka­; [2] MEE 7 34 v. XVII:2-9: 411 ...] / kin®-aka / 1 mu-rúm / wa / 1 gúm-a-nu / ‹wa› / 2 GIŠ.ALAM / su-da®-lik / en; [3] TM.75.G.272 r. III:1: 412 1 a-da-ða-ða-LUM kù-sig¥± 1 mu-lum kù-sig¥±. Di rara attestazione nei testi amministrativi finora disponibili, la grafia mu-rúm è stata recentemente interpretata come m¢rum, “(un récipient pour matières graisses)”, dal semitico mrƒ, “essere grasso”, un tipo di contenitore morfologicamente affine a giš-šu­. 413 La variante mu-lum, presente in [3], risulta attestata anche in ARET IX 79 r. I:1, dove indica una misura di capacità per unguenti. Da osservare, comunque, che lo scriba redattore di [3], un inventario di oggetti preziosi (si suppone per uso rituale), sembra preferire l’uso dei sillabogrammi della serie LA nella resa di /r/ etimologica, come dimostra la presenza in questo stesso testo al r. I:1 e r. I:3 delle grafie ƒà-la-ma-tum e gú-zu-la-na-tum, 414 varianti dei ben più attestati ƒàra-ma-tum e gú-zu-ra-na-tum. 410 NP per l’editore. 1996, p. 57. 412 Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 7, con lettura mu-qúm. 413 Fronzaroli 1996, p. 58. 414 Citato da Pettinato - D’Agostino 1995, p. 145. 411 Fronzaroli Il lessico degli oggetti 173 ne-a-tum, “ascia”. [1] ARET III 81 II: 1'-5': 1 ma-na 20 gín DILMUN kù:babbar / ne-a-tum / 3 BAR.AN / rí-ì-ða-labµ / šu-ba­-ti; [2] TM.75.G.1174 r. III:3 - IV:2: 415 21 gír 3 gír kù:sig¥± 10 lá-2 ba-su 6 ne-a-tum 44 an-dùl kù:babbar. Nei testi di cancelleria la grafia ne-a-tum, di cui è attestata anche la variante ni-a-ti(-ga), riferita ad un oggetto in rame destinato come offerta rituale al dio Hadda, è stato recentemente interpretata come /niƒt-um/, “ascia”, 416 sulla base di un confronto con l'accadico di Mari n‡tum e con l’ugaritico nit, che indica una delle armi di Ba‚al. 417 Si tratta con evidenza dello stesso termine che in [2] viene elencato assieme a pugnali in metallo prezioso e ad un altro tipo di ascia, ba-su (acc. di Mari p…šum), lettura semitica del sumerico tùn (come assicura VE 759 tùn urudu = ba-šum) impiegato ad Ebla come utensile piuttosto che come arma. 418 Lo stesso oggetto è a notro avviso citato anche nel passo [1], dove ne-a-tum indica un manufatto per la cui realizzazione sono occorsi una mina e venti sicli d’argento e che rí-ì-ða-labµ riceve assieme a tre muli (BAR.AN). NE-na-da, “...”. [1] TM.74.G.118 v. I:2 -III:3: 419 1 NE-na-da // kù:babbar / 2 ba-ða-NE-ga / [... La grafia, attestata una sola volta nella documentazione disponibile, indica un oggetto in argento. NI-bù-gu, “...”. [1] MEE 12 36 v. XIV:3 - XV:7: 3 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / ša-pi-5 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 gú 3 NI-bù-gu / lú an-šè / 1 la-ða / 2 ma-na TAR-6 gín DILMUN kù:babbar / š u-bal-aka / TAR-9 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 sag 1 giš-SAL-e¥¥ 2 an-dùl / 16 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 4 gín DILMUN kù-sig¥± / zu-pirig-SÙ / TAR-1 gín DILMUN nagga / šub si-in / 3 ma-na 9 a-gar®-gar® / 4 giš-zú / 4 mu-a-tum / 6 giš-kak / lú kin®aka / 1 la-ða. 415 Citato da Archi 2005d. Fronzaroli 2003b, p. 126, con bibliografia, a cui si rimanda per la possibile attestazione del termine con il significato di “lama” nel testo amministrativo ARET VII 141 v. I:2, 4 e v. IV:1). 417 Del Olmo Lete 1992, pp. 255 ss. 418 Archi 2005d. 419 Citato da Pettinato - D’Agostino 1997, p. 11. 416 Capitolo IV 174 Il termine consta di un unica attestazione in un passo relativo ad asseganzioni di metallo prezioso per la lavorazione di varie componenti di una giara la-ða. sar-ða-ba-LUM, “...”. [1] ARET II 10: 3 ma-na ša-pi-8 kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 sar-ða-ba-LUM / 3 ma-na šušanaµ-7 kù-sig¥± / 4 KA.SI / TAR kù:babbar / ru¥©-du-ga-tum-SÙ / 10 lá-2 ma-na šušanaµ kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 ‹giš*›-[uštin*] / 2[+x ma-na] / TAR kù:babbar / nu¥¥-za 1 ‹dub› 2 DU. Il termine è attestato per il momento una sola volta in una tavoletta lenticolare, dove oltre tre mine d’oro sono il quantitativo di metallo prezioso occorrente per il suo nu¥¥-za. Seguono altre importanti quantità d’oro per la realizzazione di 4 KA.SI, 420 provvisti di ru¥©-du-ga-tum, “legatura”, in argento, e per il nu¥¥-za di un trono (giš-uštin) e del suo sgabello poggia piedi (dub lú 2 DU). 421 L’interpretazione resta difficile a causa dell’unicità dell’attestazione. 422 sa-ða-wa (varr. sa, sa-ða), “pendente”. passim. Questo termine nei numerosi passi in cui è attestato è citato sempre ed esclusivamente in connessione con gú-li-lum, “braccialetto”, di cui costituisce verosimilmente un elemento accessorio. I testi non forniscono nessun altra informazione relativamente a questo oggetto. Il vocabolo, confrontato da Edzard con la glossa di VE 388, gišgeštu-lá-KA = sa-ða-wa-tum (fonte A, le altre fonti riportano il sumerogramma senza glossa), 423 viene tradotto “pendente” da P. Fronzaroli, sulla base di un confronto con il semitico occidentale *šðw/y, forma parallela di *šðð, “to get loose, to lower oneself”, noto in ebraico, arabo e sudarabico. 424 420 Per un résumé delle proposte interpretative formulate finora per questo sumerogramma, Conti 1990, pp. 50-51. 421 Pasquali 2004b, 2005a, pp. 272 ss. 422 Un confronto con l’arabo šurð¢b, “vertebre, ossa della spina dorsale” (Kazimirski, Dictionnaire, I, p. 121) non pare semanticamente adeguato. 423 Edzard 1981, p. 137. 424 Fronzaroli 1990, p. 118, n. 26. Il lessico degli oggetti 175 si-da-tum, “nastro”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] [8] ARET II 8 r. IV:8 - V:2: ša-pi-3 12-NI kù-sig¥± / 1 si-da-tum mað / ¼ba-rama; ARET II 8 r. V:3-6: 11-1/2 kù-sig¥± / 1 si-da-tum tur / ¼utu / SA-ZAµ¾; ARET II 8 v. III:1-4: šušanaµ lá-1/2 kù-sig¥± / 1 si-da-tum-ii / ¼a-dam-ma / gúnúm; ARET II 31 (1): 10 geštu-lá kù-sig¥± 2 kù-sal 1 ša-mu 1 ma-ða-na-gúm 4 zaµ sag 5 si-da-tum gugµ za-gìn / si­-si­ kù-sig¥± / 2 ti-ki-na / 1 ma-da-ðu / 1 giššu-dub / 1 ti-ba-ra-núm / 1 ù-nu-bù-bí-tum / 61 gú-zú-ra-tum kù-sig¥± gugµ za-gìn / GÁxLÁ 1 ma-na ša-pi-6 kù-sig¥± / 2 giš-DU / 2 bu-di / sag / kù-sig¥± / GÁxLÁ 1 ma-na kù:babbar / 4 zara°-túg / 1 túg-NI:NI / 16 aktum-túg ti-túg / níg-ba / i-ti-mu-ud / in u­ / é / ru¥©-zi-ma-lik; MEE 10 29 r. XIII:26-30: 5 ma-na ‹15› gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na 3 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 si-da-tum / ma-lik-tum; TM.75.G.1284 r. VII:1 - v. I:2: 425 2 al°-la-nu nab-ðu / wa / 1 al°-la-nu wa-raga-tum / 10 ar-ra-su gìn-gìn / 60 lá-2 gur<-gú>-ru¥© gìn-gìn / 1 mi<-at> gur<-gú>-ru¥© gìn si­ / 1 si-da-tum-ii; TM.75.G.1284 v. I:3 - III:3: 426 11 maš kù-sig¥± / 60 gur<-gú>-ru¥© mað / 1 miat 10 lá-2 gur<-gú>-ru¥© gìn kù-sig¥± tur / 1 mi-at 70 lá-1 gur<-gú>-ru¥© gìngìn / 2 mi-at 4 gur-gú-ru¥© gìn si­ / 1 si-da-tum-iii; TM.75.G.2618 r. II:1-2: 427 1 ma-na kù-sig¥± na­ 2 si-da-tum. Il termine si-da-tum indica un gioiello di pertinenza esclusiva di personaggi o divinità femminili. Ne sono, infatti, destinatarie la ma-lik-tum in [5] e in [6] (come rende noto Archi citando il passo), la principessa i-timu-ud in occasione delle sue nozze con ru¥©-zi-ma-lik in [4], e quindi i simulacri delle dee ¼a-dam-ma, ¼ba-ra-ma e ¼utu in [1-3]. Questa parola eblaita è stata spiegata con l’accadico šiddatu, 428 termine di attestazione neobabilonese, indicante un “piedistallo” in legno o argento per vasi di importanti dimensioni, 429 o un “contenitore”. 430 I contesti eblaiti, relativi ad assegnazioni di gioielli e mai di vasi, tuttavia sconsigliano quest’ipotesi, né d’altronde i significati attestati per la parola accadica sembrano in qualche modo incoraggiare l’interpretazione “cassetta” o “portagioie” recentemente 425 Citato da Archi 2002a, p. 195. Citato da Archi 2002a, p. 195. 427 Citato da Archi 2002a, p. 194. 428 Edzard 1981, p. 138. 429 Secondo CAD, Š, pp. 402-403. 430 Secondo AHw, p. 1230 426 Capitolo IV 176 proposta per il termine eblaita. 431 Analizzando i passi sopra riportati, si-datum risulta essere un gioiello realizzato in oro e pietra dura samipreziosa: corniola (gugµ), corniola rossa (si­-si­) e lapislazuli (za:gìn) in [4], semplicemente pietra dura (na­) in [8]. Nei contesti [6] e [7], è ragionevole supporre che le perle, menzionate nell’assegnazione, siano gli elementi costituenti il si-da-tum e non beni da riporre al suo interno. Pertanto, una possibilità, consentita dalla grafia, è confrontare il lemma con l’accadico šiddu, noto nei testi neobabilonesi, tra i cui significati risulta attestato anche quello di “nastro” o “fascia”, 432 che pare adattarsi semanticamente ai nostri contesti. La specificazione -ii, -iii potrebbe allora alludere al numero dei fili di perle che componevano la fascia. 433 si-ti-tum, si-ti, “pendaglio”; si-ti-a-tum (pl.). [1] ARET III 622 III:1'-2': ...] maš-maš 2 íb-lá 2 si-ti-a-tum 2 gír kun / ib-dur-išar [...; [2] MEE 7 27 v. VI:8 - VIII:4: šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 2 gú-lilum 2 esi šušanaµ-4 a-gar® 4 gú-li-lum 1 esi 15 a-gar® 3 gú-li-lum // 1 esi šušanaµ a-gar® / 1 ma-na kù-sig¥± / 2 íb-lá 2 si-ti-a-tum 2 gír kun / ME.SIG é en. Il termine eblaita si-ti-tum e la forma abbreviata si-ti sono molto frequenti, mentre il plurale si-ti-a-tum è noto solo nelle due attestazioni citate. Questo termine ricorre nei testi amministrativi esclusivamente in sequenza con con íb-lá, “cinturone (cerimoniale)”, e gír kun, “pugnale ricurvo”. È questa una tipologia di corredo pertinente solo a personaggi maschili d’alto rango, che la ricevono in genere per la cerimonia di purificazione (ì-gišsag) connessa a un rito funebre (É×PAP). Unica deviazione fin qui nota a questa norma risulta essere un passo di un testo amministrativo ancora inedito, TM.75.G.1464 r. XVI::4-6: 1/2 gín DILMUN kù-sig¥± / ni-zi-mu / 1 si-ti-tum, 434 in cui un’irrisoria quantità di metallo prezioso è assegnata per la laminatura (ni-zi-mu) di uno di questi oggetti, assegnato pare separatamente dagli altri elementi del corredo. 431 Pomponio 1993, p. 6; Archi 2002a, pp. 194-195, che accolgono entrambi la proposta etimologica di Edzard. 432 CAD, Š, pp. 407-408 s.v. šiddu B. 433 Difficile seguire la traduzione “cassetta a due manici”, proposta da Pomponio 1993, p. 6, per si-da-tum-ii, vista l’esistenza anche della variante si-da-tum-iii. 434 Citato da Waetzoldt 2001, p. 69. Il lessico degli oggetti 177 La parola è stata tradotta “pendaglio” o “portaspada” da G. Pettinato, MEE 2, p. 16, con rimando all’accadico šad…dum, 435 mentre gli editori di ARET interpretano “fermaglio; portaspada”, “fodero”, oppure “portapugnale; guaina”, senza fornire etimologia. Il confronto con *šdd, proposto da G. Pettinato, non può essere accolto in ragione della grafia si-ti-a-tum di [12], che rimanda ad una radice di terza debole. 436 Può essere, invece, mantenuta la traduzione “pendaglio”, proposta dallo stesso autore, nel senso di un accessorio decorativo, ma anche funzionale, del cinturone cerimoniale, a cui appendere il pugnale (gír kun), se si prende in considerazione la possibilità di un confronto del termine eblaita con il sem. occidentale *šdl, noto nell’arabo sadala, “lasciar scendere; ricadere”, da cui sidl, “velo; cortina”, ma anche “cordoncino di perle che scende dal collo”, e ƒasdal, “pendaglio”. 437 Le grafie eblaite possono pertanto interpretarsi come /šidiltum/ sing., /šid(i)l…tum/ pl., con resa regolare di /š/ etimologica con una segno della serie SA e, nel primo caso, omissione grafica di /l/ davanti alla dentale. ša-mu, “ago/fermaglio a forma di uncino”. 438 ARET II 31 (1): 10 <giš*>geštu<-lá> kù-sig¥± 2 kù-sal 1 ša-mu 1 ma-ða-na-gúm 4 zaµ sag 5 si-da-tum gugµ za-gìn / si­-si­ kù-sig¥± / 2 ti-ki-na / 1 ma-da-ðu / 1 giš-šu-dub / 1 ti-ba-ra-núm / 1 ù-nu-bù-bí-tum / 61 gú-zú-ra-tum kù-sig¥± gugµ za-gìn / GÁxLÁ 1 ma-na ša-pi-6 kù-sig¥± / 2 giš-DU / 2 bu-di / sag / kùsig¥± / GÁxLÁ 1 ma-na kù:babbar / 4 zara°-túg / 1 túg-NI:NI / 16 aktum-túg ti-túg / níg-ba / i-ti-mu-ud / in u­ / é / ru¥©-zi-ma-lik; [2] ARET IV 19 (17): (...) 2 kù-sig¥± / 1 ša-mu / 1 a-na-bù-bù-tum (...) gi-mi-NIza-du / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; [3] MEE 10 20 r. III:16 - V:9: 16 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 3 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / (...) / 2 1 ša-mu / wa / 1 ti-ba[1] 435 Così anche Pomponio 1980, p. 179, n. 13. Come nota ora anche Waetzoldt 2001, p. 70. 437 Kazimirski, Dictionnaire, I, p. 1072, Lane, Lexicon, p. 1333, Wehr, Dictionary, p. 470. 438 La grafia ša-mu ricorre anche nei tre successivi contesti ARET I (12): 1 gu-dùl-túg 1 gu-mug-túg 2 aktum-túg 1 sal-túg 3 íb-iii-túg gùn / 3 ar-mi¾ / al°-dab® / gi-za-an¾ / kin®aka / ša-mu; MEE 7 23 r. IX:2-5: 1 gu-mug-túg 1 íb-iii-túg gùn / 1 na-se¥¥ / kin®-aka / šamu; MEE 7 23 v. I:14 - II:1: 1 gu-mug-túg 1 íb-iii-túg gùn / da-rí-íb¾ / šu-mu-taka­ / ša-mu, dove indica un bene mai contato la cui realizzazione/lavorazione (kin®-aka) o consegna (šumu-taka­) viene ricompensata con tessuti anche di non particolare pregio. Allo stato attuale non è chiaro se si tratti dello stesso termine di cui sopra (come pensano gli editori), oppure di un termine omografo, come farebbe supporre l’analisi dei contesti relativi a ša-mu come gioiello. 436 Capitolo IV 178 [4] [5] [6] [7] [8] [9] [10] [11] ra-núm / wa / 1 a-na-bú-bí-tum / zaµ / gibil / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­; MEE 10 20, v. V:8 - VI:7: (...) 2 1 ša-mu / wa / 1 a-na-bù-bí-tum (...) gi-miNI-za-du / nin-ni / ma-lik-tum / si-in / É×PAP; TM.75.G.1250 r. III:3 ss: 439 (...) 1 ša-mu 1 a-na-bù-bí-tum / (...) / mu-túm / ibí-zi-kir; TM.75.G.1464 r.XI:4-23: 440 6 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 1 ma-na 14 gín DILMUN kù-sig¥± / kin®-aka / 10 gišgeštu-lá / 2 ti-gi-na / 62 du-ru¥©-gú / 2 kù-sal / 1 ma-ða-na-gúm / 4 ða-za-nu / 1 šu-dub / 1 ša-mu / 2 ti-ba-ra-núm / wa / nu¥¥-za 2 sag 2 bu-di / TAR kù:babbar 2 bu-di / TAR kù:babbar / 2 giš-DU / ar-za-du / dumu-mí / en-na-¼utu; TM.75.G.1962 r. X:1-11: 441 ...] / [x gur]-gú-ru¥© 13 / 1 mi-at gur-gú-ru¥© si­ / 1 mi-at gur-gú-ru¥© za:gìn sig¥±-za / 1 mi-at du-ru¥©-gú 19 / 1 ša-mu 1 / 1 kù:babbar / 1 ma-da-ðu / 2 al°-la-nu 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 6 kùsig¥± / 1 ‹x› [...; TM.75.G.2276 r. I:1 - III:4: 442 1 zara°-túg / 2 ma-na TAR-5 kù-sig¥± / (...) / 1 ša-mu 1 a-na-bù-bí-tum 1 / 1 gú-li-lum-i 10 / 1 ša-mu 1 kù:babbar / (...) / lú mu-túm / i-bí-zi-kir / ti-iš-te-da-mu / dumu-mí en / si-in / É×PAP; TM.75.G.2334 r. I:1 - III:17: 443 (...) / 1 ša-mu 1 a-na-bù-bí-tum 1 / (...) / šadu / mu-túm / i-bí-zi-kir / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en / dam-dingir / si-in / É×PAP / šu-mu-taka­; TM.75.G.2507 v. X:8-26: 444 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 giš geštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 ti-gi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 gín DILMUN / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 gín DILMUN / 1 gú-zu-ra-tum 2 gín DILMUN / 2 kù-sal 3-1/2 / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 gín DILMUN / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ša-mu / ti-a-i-šar / dumu-mí en / ƒà-za-an¾; TM.75.G.2507 v. XXI:24 - XXII:11: 445 1 ma-na ša-pi gín DILMUN kù-sig¥± / 10 lá-2 gišgeštu-lá 18 gín DILMUN / 2 giš-DU šušanaµ gín DILMUN / 2 tigi-na šušanaµ gín DILMUN / 1 mi-at gur-gú-ru¥© 14-1/2 / 1 mi-at du-ru¥©-gú 16 / 1 šu-dub 3 gín DILMUN / 1 ma-ða-na-gúm 2 / 1 gú-zu-ra-tum / 2 kù-sal ‹3›-1/2 gín DILMUN / 1 ša-mu 1 ti-ba-ra-nu 1 / 1 kù:babbar / 1 ša-mu / rí-ìdu / dumu-mí / en / dam / ru¥©-zi-ma-lik / dumu-nita / ib-du-¼aš-dar; 439 Citato da Biga 1998a, p. 20. Citato da Pettinato 1992, p. 200. 441 Citato da Archi 2002a, p. 178. 442 Citato da Archi 2002a, pp. 176-177. 443 Citato da Archi 2002a, pp. 174-175. 444 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. 445 Citato da Archi 2002a, pp. 163-164. 440 Il lessico degli oggetti 179 [12] TM.75.G.10088 v. XVII:24 - XVIII:10: 446 1 ma-na 8-1/2 gín DILMUN kùsig¥± / 2 ƒà-ra-ma-tum 17 / 2 kù-sal 6 / 1 ma-ða-na-gúm 3 / 1 mi-at gur-gúru¥© 13 / 1 mi-at du-ru¥©-gú // 19 / 1 ša-mu 1 / 2 al°-la-na 1 / šu-dub 5-1/2 / nu¥¥-za 1 kun 3 / 1 gín DILMUN kù:babbar / 1 ma-da-ðu / ama-gal en / si-in / É×PAP; [13] TM.76.G.288 r. II:6 - IV:14: 447 16 ma-na 10 gín DILMUN kù:babbar / šubal-aka / 5 ma-na 3 kù-sig¥± / kin®-aka / (...) / 2 1 ša-mu / wa / 1 ti-ba-ra-núm / 1 a-na-bú-bí-tum / (...) / níg-ba / di-ne-íb-du-lum / šu-mu-taka­ / in u­ / dudu / si-in / lu-ba-an¾. Questo oggetto, di cui sono destinatarie esclusive le nobildonne della corte eblaita in occasione di nozze, investiture sacerdotali e cerimonie funebri, e per la cui realizzazione è necessaria una modesta quantità (1 siclo) di oro o di argento (solo in [1] al metallo si uniscono anche gugµ za-gìn si­si­, “corniola, lapislazuli, corniola rossa”), ricorre in connessione o con ana-bù-bí-tum, “forcina tubolare”, o con ti-ba-ra-núm, “copricapo”, o con entrambi questi termini assieme (per i quali, si veda s.vv.). Se ne assegna sempre un’unità, solamente in [10] e [11] accanto ad un ti-ba-ra-núm in oro, si assegna uno ša-mu in oro ed uno in argento. Archi traduce “frontlet”, 448 ma questa interpretazione non si adatta ai contesti [7] e [12], dove il gioiello assieme a perle e pendenti sembra essere parte di un girocollo (ma-ða-na-gúm) offerto per la cerimonia funebre (É×PAP) della madre del re (ama-gal en). Qui il termine pare indicare una sorta di fermaglio per chiudere la collana (per altro di solito indicato dalla grafia gú-zu-ra-natum e varr.) o più probabilmente un gancio per tenere appeso ad essa il pendente formato dalle due perle in forma di ghianda (al°-la-na), come sembra notare anche lo stesso Archi, 449 che, limitatamente a questi due passi, abbandona la traduzione “frontlet” ed interpreta il termine come “fastener” (p. 178). Si confronti anche [8], dove 1 ša-mu in argento segue immediatamente la registrazione di un braccialetto (gú-li-lum), di cui evidentemente costituiva un accessorio. È a nostro avviso poco probabile che la parola abbia due significati così diversi, tanto più che una traduzione “fermaglio; gancio” risulta adeguata a spiegare tutte le attestazioni. Infatti, nei più numerosi casi in cui ša-mu si accompagna ad a-na-bù-bí-tum, probabilmente una forcina tubolare usata come fermacapelli, ša-mu può indicare il fermaglio o ago a forma di uncino che la teneva ferma all’acconcia446 Citato da Archi 2002a, p. 178. Citato da Archi 2002a, pp. 170-171. 448 Archi 2002a, p. 195. 449 Archi 2002a, p. 195 (“the š. was perhsaps used for fixing a string of beads”). 447 Capitolo IV 180 tura, come nell’antica Roma le hélikes, forcine tubolari in bronzo, argento od oro con terminazione a grani d’ambra o pendenti, indossate dalle nubendae il giorno delle nozze e dalle Vestali il giorno della consacrazione, erano tenute ferme dalla caelibaris hasta, un ago crinale a forma di uncino. Su questa acconciatura veniva poi steso il copricapo: il suffibulum per le Vestali, il flammeum per le nubendae. 450 Anche ad Ebla, lo ricordiamo, assieme a ša-mu e a-na-bù-bí-tum, viene assegnato sovente un ti-ba-ra-núm, “copricapo”. Etimologicamente allora, tenuto conto delle norme fonetiche del sillabario, ša-mu potrà derivare da una radice *ømH o *œmH, 451 “prendere; afferrare”, che trova continuità probabilmente nel raro termine accadico šumû (sum. giš-kul), indicante sia il manico di certi attrezzi, 452 sia lo scalmo tramite cui il remo viene agganciato al battello. 453 ù-bù, “...”. [1] MEE 12 35 r. XXIX:18-30: 11 ma-na šušanaµ-5 gín DILMUN kù:babbar / šu-bal-aka / 2 ma-na 17 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 da-bí-tum 16 / 2 ù-bù šušanaµ / 4 ar-ra-su šušanaµ / 8 mi-at 30 ða-za-nu / 9 mi-at 70 giš-ÍB? / 13 giš-SAL / 76 dug / 1 ma-na šušanaµ-1 gín DILMUN kù-sig¥±-SÙ / 1 dib armi¾ / en. La grafia ù-bù è nota come hapax nella documentazione eblaita finora disponibile, in un contesto di assegnazione di metallo prezioso per la realizzazione di vari manufatti destinati al sovrano (en). La sequenza di oggetti, non tutti di ovvia interpretazione, comprende gioielli e contenitori, tra cui ad esempio 830 “(perle in forma di) bulbo”, 13 “guaine” (giš-SAL), 76 “giare” (dug). Si noterà anche la presenza dell’enigmatico da-bí-tum (si veda s.v.), che precede ù-bù nell’assegnazione ed altrove ricorre con variante dar-bí-tum in connessione con nomi di contenitori: an-zamµ e, ancora una volta, dug. Waetzoldt pensa ad una variante grafica di ða-bù, “ascia”, 454 ma questa ipotesi non è foneticamente sostenibile. Il lemma può essere, invece, confrontato a nostro avviso con l’accadico uppu(m), sumerico gišmud (Ð-ð 450 Sensi 1980/81, pp. 58-59 e ss.; Torelli 1984, pp. 33 ss. Dove la terza consonante debole è preferibilmente y, non evidente nella grafia perché caduta in posizione intervocalica, come di norma ad Ebla (Fronzaroli 1993, p. 40; Conti 1997, p. 31). 452 AHw, p. 1276; CAD, Š/3, p. 298; Salonen 1968, pp. 130 e 161. 453 CAD, G, p. 100. s.v. gišallu. 454 Waetzoldt 2001, p. 357. 451 Il lessico degli oggetti 181 V 286) e giše¥¥ (Ð-ð V 290). Questo termine accadico è stato recentemente studiato da Kilmer, 455 la quale, in seguito all’analisi delle attestazioni, conclude che uppu(m) poteva indicare vari tipi di oggetti, la cui caratteristica comune era quella di essere “concavi”, conformemente al significato del sumerogramma equivalente (mud). 456 Resta, tuttavia, difficile allo stato attuale e sulla base di un unico contesto dare un’interpretazione precisa della parola eblaita. ù-nam-mi-lu, “(un gioiello)”. [1] ARET VII 46: 5 kù-sig¥± 2-1/2 / 1 ù-nam-mi-lu 3 / 1 gú-zu-ra-tum 2 / dumumí / i-bí-zi-kir / dam / mað-rí / lu-ma-NI / šu-ba­-ti / iti i-rí-sá / (anep.); [2] ARET VIII 537 (= MEE 5 17) r. IV:1-6: 1 ma-na šušanaµ kù:babbar / šu-balaka / šušanaµ kù-sig¥± / ù-na[m]-mi-lu / dam / ig-na-¼ƒa®-da-bal!(KUL). Solo due sono i contesti noti relativi a questo termine, che si riferisce ad un oggetto realizzato in oro destinato a personaggi femminili. In [1] il gioiello precede immediatamente nell’assegnazione 1 gú-zu-ra-tum, “fermaglio”, mentre in [2] è consegnato isolatamente. Il significato del termine resta oscuro, 457 sia a causa della rarità e sinteticità delle attestazioni disponibili, sia a causa delle molteplici possibilità di lettura consentite dalla grafia. Archi propone un confronto formale con un altro termine eblaita di altrettanto difficile interpretazione, gú-za-mi-lu, “(un attrezzo)”, 458 per la comune terminazione -mi-lu, che parrebbe ricorrere anche nel paleoassiro azami(l)lu e nell’ugaritico ƒazml e ƒizml, indicanti un tipo di tessile impiegato anche nella bardatura degli equidi. 459 za-a-ba-tum, “perla con incisioni decorative”. [1] TM.75.G.1969 r. II:1: 460 12 za-a-ba-tum gìn-gìn. Il termine indica un oggetto realizzato in lapislazuli (gìn-gìn). Il testo è una tavoletta lenticolare, le cui altre caselle del recto sono scarsamente 455 Kilmer 1977, pp. 129 ss.; Reiter 1997, p. 286 e n. 243. Questa interpretazione viene accolta in AHw, p. 1424. Precedentemente Gelb 1955, p. 304; Gelb 1957, p. 56; Salonen 1961, p. 90, avevano proposto rispettivamente le traduzioni “door-handle” e “Handgriff”. 457 Da escludere la possibilità che si tratti di un nome personale come intendono gli editori di [2]. 458 Più difficilmente sostenibile la lettura gú za-mi-lu, proposta da Waetzoldt 2001, p. 549. 459 Veenhof 1972, p. 4 e n. 13; Ribichini - Xella 1985, pp. 27-28. 460 Citato da Pettinato 1979, p. 127. 456 Capitolo IV 182 leggibili. Il verso ha una sola casella iscritta, che contiene il nome personale a-bù-ma-lik, probabilmente il destinatario o l’autore dell’assegnazione. 461 L’unicità dell’attestazione rende maggiormente difficile fornire un’interpretazione. 462 Come ipotesi di lavoro si può proporre un confronto con il sostantivo accadico zeƒpu, noto a partire da paleobabilonese ed indicante un’etichetta con l’impronta di un sigillo, uno stampo per realizzare oggetti in metallo, oppure nei testi più tardi un conio. 463 In ragione dei significati attestati per questo raro termine accadico, che suggeriscono l’idea origenaria di una piccola superficie di materiale vario incisa, si può supporre che il termine eblaita indicasse una perla o un pendente, nel nostro caso in pietra dura semipreziosa, su cui si trovavano scolpite delle raffigurazioni. zi-ru¥© (var. zi-lu, zi-rí, zi-ru¥©-lu), “giara”. [1] [2] [3] [4] [5] [6] ARET II 2 (4): 10 kù:babbar / 3 kù-sig¥± / al° / ìr-í-ba / in / kin®-aka / 1 zi-ru¥© / wa / giš-šu­-giš-šu­ / gi-zu-gi-zu; ARET VII 40: 8 ma-na kù-sig¥± 2 1/2 / in / 1 ƒa®-gi-tum / zi-ru¥© / è / gišgeštu-lágiš geštu-lá / níg-sa¥¤ gu­-gu­ / a-BU / šu-ba­-ti; ARET VII 62 (4): 10 ma-na 10 kù-sig¥± / lú zi-ru¥© / taka­; ARET VII 67: 1[+x] mi-[a]t [x?] ma-na kù-sig¥± / 30 lá-2 zi-rí / wa / 5 ma-na ku-sig¥± / 1 dug / na-gi-‹lu› / al°-gál / é siki / 90 ma-na kù-sig¥± / 10 lá-2 zi-rí / 1 mi<-at> 25 ma-na kù-sig¥± / 20 [...; ARET VIII 528 (= MEE 5 8) r. I:1 - II:7: 4 mi-at ma-na kù-sig¥± / 40 zi-ru¥© / 2 mi-at ma-na kù-sig¥± / 40 dug / 1 ma-na 55 kù-sig¥± / 1 giš-šu­ / 10 lá-3 ma-na 5 kù-sig¥± / 1 ÐA / TAR kù-sig¥± / 1 mar-pi-ga-tum / 5 ma-na / 53 kù-sig¥± / 6 kù:babbar / nu¥¥-za 1 giš-uštin / lú si / 15 gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za 1 kun si / an-šè-gú 6 mi-at 20 lá-1 ma-na ša-pi kù-sig¥±; ARET VIII 528 (= MEE 5 8) v. X:1-7: an-šè-gú 23 ma-na kù:babbar TARTAR / 10 ma-na 50 kù-sig¥± TAR-TAR / 6 mi-at 20 lá-1 ša-pi kù-sig¥± / 40 zilu 40 dug / 1 giš-šu­ 1 ÐA 1 giš-uštin si / 2 ma-na ša-pi-5 kù-sig¥± / lú du-gúra-su¾; 461 Comunicazione orale di P. Fronzaroli. Non è chiaro se la grafia debba essere confrontata con le glosse di VE 697, še-šutag = za-a-bù-um (fonte A), e di EV 377, še-BAD = za-a-bù-um (fonte i), finora non interpretate, per cui si veda Waetzoldt 2001, p. 126, che spiega così il sumerogramma della glossa: “še Getreide/Gerste oder vielleicht kornförmiger Gegenstand, šu-tag wörtl. "mit der Hand berühren", "verzieren" usw.”. 463 CAD, Z, pp. 86-87. Il contesto, che si riferisce ad un oggetto realizzato in lapislazuli (gìn-gìn), sconsiglia una confronto con l’accadico s…bu, che indica il nome di una pietra dura semipreziosa (CAD, S, p. 5). 462 Il lessico degli oggetti 183 [7] MEE 12 27 r. II:1-6: ‹3› li<-im> 5 mi-at 70 lá-1 ma-na kù:babbar / lú ƒa®-gitum / 6 mi-at ma-na kù:babbar / 60 zi-ru¥© / (anep.) / ib-rí-um; [8] MEE 12 27 r. V:6 - VI:7: 4 mi-at ma-na kù:babbar / 40 zi-ru¥© / ‹4› mi-at [m]a-na [k]ù:[babbar] / 80 gú-buµ / 40 ma-na ‹kù:babbar› / 10 bù-za-du / 8 mi-at 40 ma-na kù-sig¥± / 84 zi-ru¥© / 3 mi<-at> 20 ma-na kù-sig¥± / 64 gú-buµ / lú 5 ma-na / ‹11›+[...] / [...]; [9] MEE 12 36 v. XXVIII:30 - XXIX:12: 11-1/2 gín DILMUN kù:babbar / zi-badu / zi-ru¥©-lu / wa / dug-dug / 1 ma-na 4 gín DILMUN kù:babbar / šu-balaka / šušanaµ gín DILMUN kù-sig¥± / nu¥¥-za / 1 an-dùl sal / níg-ba / íl-ƒà-agda-mu / ¼ƒa®-da-bal / lu-ba-an¾; [10] MEE 12 37 v. XXII:26-28: 3 gín DILMUN kù:babbar / zi-ba-du / [z]i?-ru¥©[l]u? [...; [11] TM.75.G.1556 r. I:3-4: 464 3 mi-at ma-na kù:babbar 30 zi-ru¥©; [12] TM.75.G.1864 r. I:1-7: 465 3 mi-at 89 ma-na 30 kù:babbar TAR-TAR 10 mana 30 kù:babbar 1 giš-šu­ 1 níg-bànda maš-maš kù-sig¥± 3 mi-at ma-na kù:babbar 30 zi-ru¥©; [13] TM.75.G.1864 v. XI:1-8: 466 an-šè-gú 4 mi-at 66 ma-na 30 kù:babbar TAR.TAR 3 mi-at ma-na kù:babbar 30 zi-ru¥© 10 ma-na 30 kù:babbar 1 giššu­ 1 níg-bànda maš-maš kù-sig¥± šu-nígin 777 ma-na kù:babbar; [14] TM.75.G.2073 v. I:1-10: 467 7 mi-at 75 ma-na kù:babbar 90 ma-na kù-sig¥± 24 ma-na TAR-6 kù:babbar 1 la-ða ap gilim 1 alanµ(KÍD.ALAM) a-a-ti-mu 40 ma-na kù-sig¥± 4 zi-lu; [15] TM.75.G.2073 v. X:4-7: 468 25 ma-na 5 kù:babbar / lú kin®-aka / 1 la-ða / 4 ziru¥© 1 DUB 2 DU; [16] TM.75.G.2244 r. I:3-6: 469 12 ma-na šušanaµ kù-sig¥± 1 zi-ru¥© 28 kù-sig¥± nu¥¥za 1 mar-šir; [17] TM.75.G.2244 v. IX:1-5: 470 12 ma-na 48 kù-sig¥± zi-ru¥© nu¥¥-za mar-šir; [18] TM.75.G.2286 r. II:3-4: 471 6 mi-at ma-na kù:babbar 60 zi-ru¥©; [19] TM.75.G.2286 r. V:6-7: 472 4 mi-at ma-na kù:babbar 40 zi-ru¥©; [20] TM.75.G.2286 r. VI:2-3: 473 8 mi-at 40 ma-na kù-sig¥± 84 zi-ru¥©; [21] TM.75.G.2341 r. I:1-2: 474 1 mi-at ma-na kù:babbar 10 zi-ru¥©; 464 Citato da Archi 1999, p. 157. da Archi 1987b, p. 51. 466 Citato da Archi 1987b, p. 51. 467 Citato da Archi 1999, pp. 155 e 157. 468 Citato da Archi 2005d, p. 89, n. 26. 469 Citato da Archi 1987b, p. 52. 470 Citato da Archi 1987b, p. 52. 471 Citato da Archi 1999, p. 157. 472 Citato da Archi 1999, p. 157. 473 Citato da Archi 1999, p. 157. 474 Citato da Archi 1999, p. 157. 465 Citato Capitolo IV 184 [22] TM.76.G.974 r. I:1 - II:6: 475 4 [l]i<-im> 73 ma-na kù:babbar na-gu-um 70 lá2 ma-na kù-sig¥± 7 m[i]<-at> 32 ma-na [...] [...] wa zi-ru¥© na-gu-um wa ziru¥© ‹nu› [na-g]u-[u]m. Le grafie sopra riportate si riferiscono nei testi amministrativi eblaiti ad un vaso per la cui realizzazione sono necessarie importanti quantità di metallo prezioso (in genere 10 mine) e che viene assegnato assieme ad altri contenitori di grandi dimensioni, quali la-ða e dug. In [9] e [10] gli viene attribuita una “placcatura” (zi-ba-du). In [22] vasi zi-ru¥© qualificati come na-gu-um, vengono contrapposti ad altri esemplari simili definiti nu na-guum. La grafia na-gu-um può considerarsi come una variante grafica di nagu-lum, interpretata da Conti come una forma !a22u3 confrontabile con l’accadico nuqqurum, “incidere; cesellare”, con riferimento alla lavorazione dell’oro. 476 La radice è attestata anche in VE 214, zú-uš = ma-gàr-tum, /maqqartum/, “cesello” (fonte D, le altre fonti presentano la variante magàr-ru¥©). 477 Si noterà anche la grafia na-gi-lu che in [4] qualifica i vasi ziru¥© e dug immagazzinati nell’é siki. In conformità con le norme fonetiche del sillabario eblaita, è possibile confrontare questa parola con il termine s/ñ/z–rum, indicante un tipo di vaso, attestato in paleoassiro e nelle lettere di Amarna, 478 e, con l’ebraico biblico sîr, “giara; olla”, 479 un tipo di suppellettile impiegata sia per uso domestico sia per scopi cultuali. La variante zi-ru¥©-lu propria dei testi [9] e [10], che difficilmente può identificare un diverso vocabolo vista l’associazione almeno in un caso con dug, è spiegabile come una realizzazione fonetica indicante la vocale lunga mediante la geminata (/zirru/ per /z–ru/). 480 zi-zi-ði-tum, “figurina (usata come ciondolo)”. [1] MEE 7 34 v. IV:9-14: 5 gín DILMUN kù:babbar / kin®-aka / 1 zi-zi-ði-tum / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en. 475 Citato da Archi 2005a. Conti 1993 p. 104. L’interpretazione è accolta anche da Archi 2005b, che nota giustamente come la grafia na-gu-um non sia del tutto conforme alle norme del sillabario per cui “l-reduction is possible for /l/, not for the L-signs wich represent etymological /r/”. Precedentemente Archi 1999, p. 154, n. 33, aveva confrontato il termine con l’accadico nak…lu, “to execute in an ingeniuos, artistic way”, ma tale interpretazione parrebbe da abbandonare in quanto il segno gu è impiegato ad Ebla solo per /q/ etimologica. 477 Conti 1990, p. 97. 478 Da ultimo Liverani 1997. 479 Si veda HAL, p. 710, anche per la documentazione nelle varie lingue semitiche. 480 Per questo fenomeno, GAG § 20 d. 476 Il lessico degli oggetti 185 Il termine eblaita zi-zi-ði-tum, 481 presente come hapax nella documentazione finora disponibile, indica un oggetto in oro destinato alla figlia del re di Ebla. Su base contestuale, la parola indica verosimilmente un tipo di gioiello. 482 Una possibilità è considerare questo termine come un sostantivo *ñiåñiå-t-um con reduplicazione delle consonanti derivato dalla radice *ñwå, “fondere; colare in uno stampo”, attestata ancora in arabo con riferimento a lavori di oreficeria ed anche in ebraico e medio ebraico, sempre come forma reduplicata: ña‚ñau‚–m, “oggetti forgiati mediante fusione; piccole sculture”. 483 L’impiego del sillabogramma ði per la resa di /å/ etimologica è conforme alle regole stabilite per il sillabario eblaita, come pure l’omissione grafica del primo /å/ in posizione preconsonantica. La vocalizzazione non deve, invece, necessariamente fare supporre una variante di media /y/: anche in arabo è presente la vocalizazione in i come risultato di una contrazione di /iw/ in sostantivi derivati da questa radice. Nella Bibbia, il sostantivo compare in 2 Cr. 3:10 in opposizione metonimica con le statue dei cherubini, rivestite d’oro e collocate nel sancta sanctorum. Il termine poteva indicare nel passo eblaita una piccola figurina impiegata come monile o ciondolo. zú-ðu-a-tum (var. zu-ðu-wa-ti), “pendente”. [1] ARET III 166 r. II:1-3: ...] / 2 ti-ki-na / 1 kù-sal / zu-ðu-wa-ti; [2] TM.75.G.1464 r. X:15-22: 484 1 ma-na 10 kù:babbar / šu-bal-aka / 14 gín DILMUN kù-sig¥± / 2 ti-gi-na 2 giš-DU / 1 zú-ðu-a-tum / dar-ib-da-mu / dumu-mí / en. Queste grafie non sono state finora mai associate né interpretate. Per il passo [1], gli editori supponevano si trattasse di un nome personale. La somiglianza dei contesti rende, a nostro giudizio, plausibile che si tratti di 481 Pasquali 2005a, p. 276. Non è chiaro se il lemma debba essere messo in relazione con la glossa, finora non interpretata, di VE 410, GIŠ.KU.KU = zi-zi-ga-tum (fonte D), zu-zu-ga-da (fonte C). Il confronto è foneticamente possibile, dato che i segni della serie GA possono essere utilizzati, sebbene più raramente di quelli della serie ÐA, per rendere /å/ etimologica. 483 Formazioni nominali di questo tipo sono attestate anche altrove ad Ebla. Si veda ad esempio, la grafia na­ gi-gi-za-nu, “grandine fredda”, interpretata da Fronzaroli 1997b, p. 285 e n. 16, come kiñkiñ…nu(m), a partire dall’acc. kañû, “essere freddo”, o, alternativamente, qizqiz…nu(m), in base alla radice *qzz e *qzqz, di significato affine alla precedente ed attestata nelle lingue etiopiche. 484 Citato da Mander 1988, p. 51. 482 Capitolo IV 186 varianti dello stesso termine, essendo verosimilmente zu-ðu-wa-ti un genitivo dipendente da kù-sal. Nella sequenza dell’assegnazione, questo oggetto è menzionato immediatamente dopo ti-gi-na e giš-DU in [2], oppure immediatamente dopo ti-ki-na e kù-sal in [1]. In base all’analisi di contesti simili, sembrerebbe potersi affermare che zú-ðu-a-tum (e varr.) occupa nella parure esattamente lo stesso posto in genere attribuito a gišgeštu-lá. 485 Semanticamente e foneticamente appare possibile una derivazione di queste rare grafie dal semitico occidentale *ñåw, “pendere; inclinarsi”, successivamente noto in arabo. Il gioiello indicato sarà, pertanto, un “pendaglio”, da applicarsi eventualmente ad altri oggetti preziosi in qualità di ornamento o rifinitura, come lascia supporre in [1] l’espressione 1 kù-sal / zu-ðu-wa-ti, traducibile come “1 monile con pendaglio”. zu-bù (var. zú-bù), “(un tipo di vaso)”. [1] ARET II 51 (3): šušanaµ kù:babbar / zu-bù / ar-si-að; [2] ARET II 53: 13 zabar / 1 zu-bù / 1 níg-bànda / ba-ba / ma-rí¾ / šu-ba­-ti; [3] ARET VII 16 (20): 1 an-zamµ giš-PA kù-sig¥± / TAR kù-sig¥± / zú:bù / íl-gú-ušda-mu / šu-mu-taka­; [4] MEE 10 29 v. V:3-10: šušanaµ-2 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 1 giššu­ / wa / zú-bù / níg-bànda / lú zaµ / i-bí-zi-kir; [5] MEE 12 35 v. IV:47-57: 2 kù:babbar / ni-zi-mu / 1 zú-bù 1 níg-bànda / wa / 1 an-zamµ 1 zi-bar / 1 ma-na kù:babbar / šu-bal-aka / 12 kù-sig¥± / ni-zi-mu / 4 an-zamµ / é ti-túg; [6] MEE 12 35 v. XXII:28 - XXIII:5: 7 kù:babbar / ni-zi-mu / 3 zú-bù 3 nígbànda / wa / zi-ba-du / 1 giš-šu­ / lú é ti-túg; [7] MEE 12 36 v. XXVI:27-29: 1-1/2 gín DILMUN kù:babbar / ne-zi-mu / 2 zúbù TAR 2 níg-bànda; [8] MEE 12 37 r. XIII:2-9: 3 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 2 an-zamµ 2 zibar / 2 gín DILMUN kù:babbar / ni-zi-mu / 2 zú-bù / 2 níg-bànda / lú é ti-túg. Questo termine eblaita, di rara occorrenza nella documentazione disponibile, è interpretabile come il nome di un vaso su base contestuale. Nei 485 Difficile, tuttavia, un confronto con la glossa di VE 388, gišgeštu-lá-KA = sa-ðawa-tum (fonte A, mentre le altre fonti non glossano il sumerogramma). In conformità alle regole del sillabario eblaita, infatti, il termine amministrativo richiede un’etimologia di prima /s/, /ñ/ o /z/, mentre la grafia della lista lessicale indica una parola di prima /š/ o /õ/. E così è stata infatti interpretata da Fronzaroli 1990, p. 118 e n. 27, che pensa al sem. *šðw/y, forma parallela di *šðð, attestata in ebraico, aramaico giudaico e sudarabico col significato di “to get loose, to lower oneself”. Il lessico degli oggetti 187 contesti noti, infatti, lo troviamo in stretta associazione con níg-bànda, ed entrambi si contrappongono talora alla coppia costituita da an-zamµ e zibar, come si deduce da [5]. In [4], compare invece il giš-šu­. Quantità d’argento per lo più modeste sono impiegate per la “laminatura” (ni-zi-mu) di questo oggetto. Il lemma è stato recentemente confrontato con l’ugaritico e l’ebraico sp, indicante un tipo di vaso. 486 486 Waetzoldt 2001, p. 385. 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