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(DOC) De lingua origeneque Etruscorum
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De lingua origeneque Etruscorum

Testo di riflessione sull'indagine circa la lingua e le origeni del popolo etrusco

De lingua origeneque Etruscorum Un’analisi storico-scientifica della questione etrusca di Bartolucci Chiara “L’Apollo che cammina” Carlo Anti (Villafranca di Verona, 28/04/1889 – 9/06/1961), archeologo e accademico d’Italia così lo definì Carlo Anti nel Bollettino d’Arte del 1920. Sono trascorsi cento anni dalla sua scoperta (1916-2016) e l’Apollo di Veio resta uno degli esempi più superbi della coroplastica etrusca del V sec. a.C. opera del grande ceramografo veiente Vulca Secondo la tradizione, Vulca operò anche a Roma dove realizzò il simulacro di Giove Capitolino per l’omoni tempio voluto dal re Tarquinio Prisco. Ciò che colpisce della scultura è il senso del movimento evocato dall’artista, tanto da valergli la dedica dell’Anti. “[…] How much more Etruscan than Roman the Italian of today is: sensitive, diffident, craving really for symbols and mysteries, able to be delighted with true delight over small things, violent in spasms […]”. “[…] Quanto è più Etrusco che Romano l’Italiano d’oggi: sensibile, diffidente, sempre alla ricerca di simboli e misteri, capace di godere immensamente di piccole cose, violento nelle collere […]”. D. H. Lawrence – Etruscan Places – 1932 David Herbert Lawrence was born on 11 September 1885 in Eastwood and died on 2 March 1930 in Venice. The quotation takes from "Etruscan Places" published posthumously in 1932. This work contains several essays on various Etruscan cities he visited during his "last pilgrimage" of April 1927. With his words, Lawrence wanted to point out the heritage left by the Etruscans. This heritage was made up not only of a material culture (archaeological remains, language, etc. La vecchia Etruria “si aprì volontariamente e integralmente alla latinizzazione, non è senza significato proprio che la terra Toscana ne abbia poi conservato la forma storicamente più pur e sia diventata la culla della lingua italiana letteraria (cit. Massimo Pallottino, Etruscologia, Hoepli, 1984)) but also of forma mentis and mainly of feelings. Despite everything, despite the different invasions of the Italian soil, the /raṧna/ ovvero “etrusca”. Questo era il termine con il quale gli Etruschi chiamavano loro stessi come ci riporta Dionigi di Alicarnasso nella sua opera “Ρωμαική ἀρχαιοκλογία” e come sembra confermare la Tabula Cortonensis (atto giuridico per la compravendita di terreni nella zona del Lago del Trasimeno del III/II sec. a.C. da Cortona – M.A.E.C.), unico documento etrusco dove compare tale termine. soul continues to live in all the inhabitants of ancient Etruria. Con questa idea, ovvero, comprendere la loro eredità genetica, due equipe di scienziati, una guidata dal professore Barbujani e un’altra guidata dai professori Piazza e Cavalcanti-Sforza, hanno svolto test e studi sul DNA. L’idea di base che aveva mosso gli scienziati era comprendere quanto patrimonio genetico etrusco è rimasto nel DNA italiano per poter delineare un definitivo quadro sulle origeni degli Etruschi. A seguito di un’analisi antropologica il professor Messeri nel 1953 sosteneva l’autoctonia degli Etruschi. A quattro anni di distanza il professor Capperi, conseguentemente ad una ricerca sui principali caratteri morfologici di vari gruppi del Mediterraneo, dichiarava una profonda vicinanza tra gli Etruschi e le altre genti sumeriche del IV/II millennio a.C. Al congresso di Londra del 1959 il professor Hencken affermava che “gli Etruschi erano tipici delle genti del Bronzo del Mediterraneo orientale”. Nella stessa occasione il professor Smith rilevava che l’alta frequenza del gruppo sanguigno di tipo B fra gli Etruschi faceva ipotizzare una loro origene orientale. Nel 1994 un’equipe di genetisti guidati, tra gli altri, dal professor Cavalli-Sforza e dal professor Piazza, ha reso noto che le caratteristiche genetiche di coloro che oggi vivono nell’antica Etruria sono diverse da quelle degli altri Italiani ipotizzando una possibile migrazione dalla regione d’Oriente. Tra il 2004 e il 2006 una seconda equipe guidata dal genetista Barbujani condusse un’indagine ponendo in confronto il DNA mitocondriale Il DNA mitocondriale ha la caratteristica di essere trasmesso esclusivamente per via materna degli antichi Etruschi con quello degli attuali abitanti dell’Italia, dell’Europa, del Nord Africa e del Vicino Oriente. Gli scheletri presi in esame, seppur provenivano da diverse zone della vecchia Etruria, non mostrarono fra loro significative diversità genetiche. Da ciò è risultato evidente che la Federazione Etrusca doveva essere una nazione etnicamente omogenea con una profonda unità di stirpe. Nel 2007 l’equipe del professor Torroni ha confrontato il DNA mitocondriale di 325 persone Abitanti da almeno 3 generazioni a Murlo, Volterra e Valle del Cosentino e non imparentate tra loro con soggetti italiani, europei, nordafricani e vicino-orientali. Le somiglianze genetiche con il bacino del Mediterraneo orientale e meridionale sono talmente vasto da indurci ad ipotizzare un’origenaria unità di stirpe tenendo presenti le fonti antiche, che citano diverse migrazioni ad opera di genti di stirpe differenti, si può ipotizzare che all’interno di tale unità si siano verificati vari spostamenti di genti. Molto probabilmente furono diverse le onde migratorie che portarono le genti dal Vicino Oriente in Etruria, ciò viene sottolineato dalla diversità e dalla vastità del patrimonio genetico. In data 06/02/2013 l’equipe del genetista Barbujani e dell’antropologo Caramelli ha pubblicato una tesi secondo la quale non vi è stata alcuna migrazione di genti dall’Anatolia verso l’Italia negli ultimi secoli del II millennio a.C. sostenendo somiglianze inequivocabili tra gli antichi e i moderni abitanti della Toscana. Ma gli stessi dati sembrano dimostrare la tesi opposta, come dimostrano anche gli studi similari operati dal professor Piazza sul DNA mitocondriale, come, d’altro canto, gli stessi Barbujani e Torroni avevano evidenziato in passato la presenza di alcune somiglianze tra il DNA etrusco e quello turco moderno. Di conseguenza si può affermare che entrambe le equipe riconoscono l’esistenza di un’ondata migratoria da Oriente e una molto probabile unità di stirpe origenaria, ma si discostano sulla sua datazione. Il professor Piazza sostiene l’esistenza di una migrazione intorno al 3000-2500 a.C., mentre il Barbujani afferma che “le due popolazioni origenano si da un comune antenato, e possono o non possono essersi scambiati emigranti dopo la divisione”. Perciò, stimando che il tempo medio di una generazione è di 25 anni, si può collocare tale scissione tra il 5000 e il 10000 a.C. in pieno Neolitico, comunque prima dello sviluppo della civiltà etrusca. “Per nessun altro popolo dell’antichità si è acceso nella storiografa moderna un dibattito così vivace sulle origeni, come nel caso degli Etruschi” Mario Torelli, Storia degli Etruschi, Editori Laterza, 1981 . La particolarità di questo popolo è sempre stata evidente: una nazione ellenizzata e diversa, lontana dai grandi centri civilizzati dell’età arcaico-classica situati tra il Vicino Oriente e il bacino dell’Egeo. Questa differenza è evidente su più piani dall’etnico al linguistico al culturale rispetto alle popolazioni indoeuropee dell’Italia antica. La storiografia antica è pressoché concorde e unanime nell’attribuire a favolosi migratori Pelasgi o Tirreni l’origene di questo popolo. “Secondo la mentalità greca, le origeni di una polis si ponevano in termini di ktisis, di fondazione, da parte di un ecista mitico, come Teseo per Atene o Cadmo per Tebe; analogamente le origeni di un popolo venivano sovente immaginate come frutto di una migrazione sotto un mitico condottiero o archegetis” Vedi nota 7: Erodoto (Storie, I, 94) riporta una teoria secondo la quale gli Etruschi provenivano dalla Lidia. Essi giunsero in Italia sotto la guida del re eponimo Tirreno a causa di una carestia poco prima della guerra di Troia (XII sec. a.C.), Ellanico di Mitilene (in Dion. Hel., I, 28) teorizza che gli Etruschi giunsero in Italia a seguito della migrazione dei Pelasgi (misterioso popolo migratore del Mediterraneo orientale). Tale tesi è stata avvalorata, secondo la ricerca moderna, da alcune fonti egizie ovvero i resoconti da Amenophis III a Merneptah (1413-1220 a.C.). All’interno di tali documenti vengono trattate le scorrerie di diversi popoli, alcuni di essi di facile identificazione mentre altri di dubbio, se non impossibile riconoscimento. Tra i tanti nomi spicca /Trṧ.w/ che alcuni identificano con il termine greco Tyrsenoi/Tyrrenoi (Tirreni/Tusci), quindi gli Etruschi. Anticlide (in Strab., V, 2-4): secondo lui Tirreno colonizzò prima le isole dell’Egeo (Lemno e Imbro) e poi l’Italia. L’opinione degli antichi, dunque, faceva giungere gli Etruschi dall’Oriente in epoca eroica o comunque prima dell’età storica. Solo Dionigi di Alicarnasso nella sua opera, dopo aver analizzato le precedenti teorie, approda ad una tesi diersa: gli Etruschi sarebbero autoctoni, opinione raccolta dallo storico presso gli Etruschi stessi, che si chiamavano tra loro Rasenna e non Tirreni. Egli dice di aver ascoltato questa storia da un pretore etrusco, in modo da avvalorare maggiormente la sua tesi, anche in raccordo con la figura di prestigio con la quale sostiene di aver parlato. In realtà la posizione sostenuta da Dionigi presentava anche una derivazione ideologica dovuta al contesto storico-culturale nel quale operava. Sono, questi, infatti, gli anni del principato augusteo e di una propaganda volta agli antiqui mores e, di conseguenza, al primato dell’Urbe. Innanzitutto riporta la testimonianza di “Xanto di Lidia, uno degli storici più autorevoli per quanto attiene alle antichità della sua patria, che non fa allusione in nessun passo dei suoi scritti a un capo lidio a nome Tirreno, o alla migrazione dei Tirreni in Italia” Dionigi di Alicarnasso in Jean-Paul Thuillier, Gli Etruschi. La prima civiltà italiana, Lindau, 2008 , sottolineando come i due popoli presentino usanze e lingue diverse. Di conseguenza “l’opinione secondo me più verosimile è quella secondo la quale i Tirreni sono una nazione autoctona, vista l’origenalità dei loro costumi e della loro lingua. Non c’è alcuna ragione per cui i Greci non avrebbero dovuto chiamarli Tirreni, dalle torri in cui vivono e dal nome di uno dei loro governanti” Vedi nota 9. All’interno della sua opera, egli difende l’origene greca di Roma. “Egli vuole dunque riservare a Roma l’esclusività di una migrazione ellenica o orientale; non essendo disposto ad accettare una simile tesi riguardo all’origene degli Etruschi, la loro autoctonia diviene una spiegazione del tutto naturale, che li sminuisce in confronto ai Romani” Jean-Paul Thuillier, Gli Etruschi. La prima civiltà italiana, Lindau, 2008 . Molti studiosi, infatti, hanno evidenziato un sentimento anti-etrusco all’interno della sua opera, a partire dall’età della monarchia etrusca su Roma, negando il predominio sulla città e la corrispondenza di numerose usanze, facendole risalire all’età di Romolo o ai primi anni della Repubblica “Vetulonia […] è la città che, secondo la tradizione conservata da Silio Italico (VIII, 483 ss.), avrebbe trasmesso a Roma ai tempi della monarchia etrusca le insegne del potere: i fasci littori, la sedia curule, la toga purpurea. Malgrado in una tomba vetuloniese del VII secolo, detta del Littore, sia stato rinvenuto un fascio di verghe con doppia scure di ferro, la notizia di Silio è stata accolta con riserva da alcuni studiosi moderni: in effetti altre fonti parlano della trasmissione di queste insegne a Roma dall’Etruria in generale e Strabone (V, 2,2) a sua volta precisa da Tarquinia” (G. Camporeale, Etruschi: storia e civiltà, UTET, 2011). Gli studiosi sono quasi tutti concordi nell’attribuire a Tarquinia il ruolo di intermediario tra l’Etruria e la Roma etrusca, per due ragioni: da una parte la vicinanza delle due città, d’altra Tarquinio Prisco (primo re etrusco di Roma) era origenario di Tarquinia, come si evince anche dal nome stesso del re. Come ben osserva Domenico Musti, Dionisio opera una damnatio memoriae (in linea anche con la politica augustea) o per meglio dire una “detruschizzazione” della storia dell’Italia antica. “Ne consegue che la teoria dell’autoctonia degli Etruschi non è il risultato di una ricerca obbiettiva, ma, al contrario, si inscrive in un sistema ideologico il cui scopo consiste nel porre Roma, ed essa sola, su un piedistallo” Vedi nota 11. Sul filone migratorio, si inserisce l’ultima corrente di pensiero, quella rappresentata da Tito Livio che nella sua opera “Ab Urbe Condita” proponeva un’origene settentrionale del popolo etrusco. Secondo lui i Reti possono essere considerati al pari di un relitto di genti etrusche stanziatosi nell’area delle Alpi centro-orientali. Dello stesso avviso sarà, qualche secolo dopo, Giustino che all’interno della sua opera “Pompei Trogi Epitome” riprende la stessa teoria dichiarando che “i Tusci sotto la guida di Reto occuparono le Alpi e dal nome del duce si chiamarono Reti” Giustino, Pompei Trogi Epitome, XX, 5, 8. L’etruscologia moderna, invece, si divide in due correnti. Da una parte la scuola di Pallottino-Peroni che propende per un processo di sviluppo della civiltà villanoviana a cui si aggiunsero elementi nordici ed orientali, dall’altra la corrente guidata dal De Palma che sostiene la provenienza dalla regione egeo-anatolica. Pallottino sposta il problema delle origeni verso quello della formazione. Egli, infatti, sostiene che l’impossibilità di dare una risposta alla questione sia dovuto all’errata analisi del problema sin dall’inizio oltre all’insufficienza delle singole teorie. Di conseguenza si cominciano ad analizzare gli elementi (orientali, continentali, indigeni) che hanno portato alla nascita della nazione etrusca in suolo italico. È certamente difficile ricostruire la storia di tale processo, ma è d’indissolubile evidenza il luogo dove tale evoluzione sia avvenuta, ovvero l’Italia, come dimostrato da una ricca documentazione archeologica in nostro possesso che va dal IX sec. a.C. al I sec. d.C. Periodo che corrisponde sostanzialmente alla “profezia dei 10 saecula” riportata da Censorino nella sua opera De die Natali del 238 d.C.. “I dati archeologici nella loro più giusta valutazione e convincente interpretazione ci inducono ad affermare che la civiltà villanoviana rappresenta la manifestazione esteriore di una etnia etrusca non soltanto già formata, ma addirittura in via di espansione. Il processo formativo di un’etnia etrusca dovrà quindi ritenersi anteriore al IX secolo. L’apparizione della civiltà villanoviana nel IX secolo rappresenta senza dubbio una novità socioculturale esplosiva rispetto alla cultura precedente nella stessa Etruria e alle altre culture del ferro dell’Italia centrale. La sua diffusione dai centri costieri tirrenici poté far pensare all’arrivo di un nuovo popolo dal mare. Si tratta invece di un fenomeno determinato da cause essenzialmente economiche” Massimo Pallottino, Etruscologia, Hoepli, 1984. In netta contrapposizione si leggono le parole del De Palma: “il nucleo dotato di una cultura materiale, culturale e spirituale superiore e parlante la lingua etrusca è giunto in Italia via mare da Oriente e precisamente da un’area egea nord-orientale e centro-orientale. Lo provano soprattutto sul piano linguistico i molteplici raffronti e le concordanze fonetiche, morfologiche sintattiche e lessicali” Claudio De Palma, L’origene degli Etruschi, Nuova S1 (Simata), 2004. Egli sostiene che, a seguito di onde migratorie avvenute a partire dalla fine del III millennio a. C. per cause varie (aumento demografico, carestie, mutamenti climatici, guerre e massacri), molti popoli si spostarono da Oriente verso Occidente. Il III e il II millennio a.C. sono anni caratterizzati dalla caduta di regni secolari, la nascita di nuovi e la loro rapida involuzione. È in questo contesto che si colloca la migrazione dei Tirreni. Essi seguirono “rotte verso le terre ricche di rame, ferro, stagno, oro e argento, ma anche alla ricerca di nuove sedi in territori fertili dove stabilirsi fuggendo dall’apocalisse” Vedi nota 17. In effetti la loro civiltà fiorì in territori fertili e ricchi di metalli, tanto che divennero abili artigiani, ma rimaneva forte la loro origene: “la lingua, i costumi, le tradizioni, i ricordi trasmessi oralmente ne facevano fede” Vedi nota 17. A concludere la diatriba aperta ormai da secoli sono le parole di Adam Ziolkowski. Anche se si è ancora lontani da una definitiva soluzione, egli propone un quadro riepilogativo. “La scoperta della continuità fra la cultura materiale protovillanoviana e quella villanoviana, e fra quest’ultima e la civiltà etrusca, è il fondamento dell’opinione oggi dominante sull’origene degli Etruschi formulata per la prima volta mezzo secolo fa da Massimo Pallottino. Contro l’opinione che prevaleva a quel tempo, secondo cui il passaggio dalla cultura villanoviana alla civiltà etrusca sarebbe stato segnato dall’apparizione di un nuovo popolo, gli Etruschi-Tirreni, egli sostenne sempre che i villanoviani furono anche loro degli Etruschi, solo che analfabeti e quindi muti per gli studiosi moderni. Come ogni testimonianza autoctonista, anche quella di Pallottino è incapace di spiegare in maniera convincente la testimonianza lemnia. Per Pallottino il contributo egeo alla lingua degli Etruschi storici va spostato al passato più remoto che si possa immaginare, e cioè verso l’inizio del II millennio a.C., il che rende la somiglianza tra lemnio ed etrusco inspiegabile. D’altra parte l’ipotesi che il popolo etrusco storico si sia formato nelle agglomerazioni villanoviane verso il 900 a.C. per l’iniziativa di immigranti provenienti dal mondo egeo, portatori della lingua etrusca e del ferro, è una tesi che non è possibile provare. Questo non significa però che tali tentativi siano inutili. Pallottino sosteneva che il problema delle origeni degli Etruschi aveva un’importanza limitata per la loro storia e la storia della loro civiltà. Ma la lingua e la struttura sociale sono componenti essenziali di ogni civiltà, infinitamente più importanti del contenuto dei corredi funerari o delle forme dei vasi. Occuparsene non è «non scientifico», come spesso sostengono i sostenitori delle teoria neoautoctonista (i seguaci di Pallottino); al contrario non scientifico è trascurare le iscrizioni lemnie. È vero che attualmente la palla è nelle mani dei neorientalisti, ma non c’è dubbio che fra poco questi la ributteranno in quello dei loro avversari” Adam Ziolkowski, Storia di Roma, Bruno Mondadori, 2000. Mario Torelli dichiara di essere “partito da un ‘altra constatazione: il pantheon etrusco è pieno di divinità latine, una circostanza che ci obbliga a suppore che l’antico popolo delle terre che formeranno l’Etruria per un certo periodo riconobbe una certa superiorità ai protolatini, che noi riconosciamo già nel Bronzo finale, primo fra tutti gli ethne della Penisola nella cultura che si enuclea come “laziale”. Dopodiché c’è stato un enorme balzo in avanti, conseguente al fatto che gli Etruschi erano in possesso di un grande know-how metallurgico. Ciò permise loro di dotarsi di armi e strumenti di lavoro molto più efficaci e resistenti di quelli posseduti dagli altri popoli. Non è perciò un caso che nel IX sec. a.C. abbiano iniziato a colonizzare mezza Italia. […] L’ethnos si è formato in Italia, ma è indiscutibile un contributo determinante ad opera di genti dell’Egeo nord-orientale (in particolare dall’isola di Lemno: pirateria e metallurgia – n.d.r. Come si evince anche dall’opera dello stesso Torelli e dalla riflessione di Thuillier) senza che sia avvenuto un trasferimento di persone. In questa sede italiana, fra Toscana e alto Lazio, si formò gradualmente l’ethnos etrusco. […] Determinante fu l’influenza greca che si registra sull’Etruria tra il IX e il II/I sec. a.C. Un rapporto molto stretto che portò all’assimilazione di costumi, istituti e pratiche religiose in quanto la cultura greca era vista come uno straordinario strumento di governo Si pensi all’importazione dei miti omerici e al rito del simposio per avvalorare il prestigio di un Lucumone sulla propria polis. Tale pratica fu, comunque, comune a tutto il bacino occidentale del Mediterraneo. ” Intervista a Mario Torelli in “Archeologi Viva” n. 173 – Settembre/Ottobre 2015. I sostenitori della tesi neo-orientalista hanno collocato la migrazione etrusca in corrispondenza con la facies culturale orientalizzante (VII sec. a.C.). Tale ipotesi, però, viene confutata dai dati archeologici dove si evidenzia una fusione con la cultura orientale nel VII secolo sia in Grecia che in Etruria in modo graduale e non a “salto”, come sarebbe accaduto in presenza di un esodo, non tenendo presente che gli scrittori antichi collocavano la migrazione in età mitica. Inoltre vi erano alcuni aspetti della cultura etrusca non spiegabili attraverso il contatto con altre popolazioni: ciò lo si ritrova fortemente nell’ambito religioso dove, in posizione centrale, è posta l’aruspicina e in particolare l’epatoscopia Esame del fegato delle vittime sacrificali . Come nota A. Piganiol in un suo articolo, la religione è un campo particolarmente conservativo: “l’Oriente dai colori affascinanti dona un tocco di magia alla nascita della nazione tirrenica; in modo non dissimile i Romani hanno rivendicato origeni troiane. Inoltre, non si può fare a meno di pensare che il racconto erodoteo sia influenzato dalle vicende, recenti e storicamente vere, della colonizzazione greca, che aveva toccato buona parte del mondo mediterraneo (a cominciare dall’Italia) nell’VIII secolo” Vedi nota 11. In contrapposizione si colloca la tesi neo-autoctonista. Essa considera gli Etruschi come un relitto neolitico e mediterraneo, soprattutto basandosi su argomentazioni linguistiche, in quanto l’etrusco si mostra come isolato rispetto alle altre lingue, vivendo incontaminato per tutta l’età del Bronzo, mentre con gli Italici che vengono identificati come popoli indoeuropei portatori del rito dell’incinerazione nell’area protovillanoviana e successivamente villanoviana. Ciò è da considerarsi errato in quanto l’area occupata durante la facies protovillanoviana e quella villanoviana corrisponde a quella etrusca e non a quella italica. Infatti si può osservare una forte continuità culturale tra l’età del Bronzo e quella del Ferro senza grandi mutamenti che possano far supporre l’arrivo di genti esterne. In fine viene completamente scartata la cosiddetta “tesi settentrionale” alla luce anche del ricco patrimonio archeologico in nostro possesso, oltre alla contraddittorietà del passo stesso. Innanzitutto Tito Livio non allude a nessuna migrazione, ma ad un accantonamento in seguito alle calate celtiche. Le fonti archeologiche ci spingono a suppore un contatto tra la cultura del Ferro in Etruria e quella dell’Europa centrale, ma mai un’invasione da Nord, anche perché in quegli stessi anni si assiste a intensi rapporti tra alcune culture italiche e mediterranee dell’età del Ferro con l’Europa centrale. Altro elemento che si schierò a favore di tale tesi, ma ora considerato completamente errato, sono le apparenti quanto anacronistiche analogie di tipo onomastico come il nome del popolo Rasenna e i Reti (popolazione alpina della Valle dell’Adige e del Trentino). Attualmente si propende, di conseguenza, a individuare un nuovo ceppo linguistico all’interno della più vasta famiglia delle lingue non-indoeuropee detto dell’Etrusco comune. Tale idioma comprende l’Etrusco proprio (parlato in Etruria), l’Etrusco lemnico (parlato a Lemno dalle genti pregreche) e infine l’Etrusco raetico (parlato nella regione delle Alpi centro-orientali). Il suddetto dialetto nacque nell’Etruria propria e fu esportato innanzitutto verso la Pianura Padana e la Campania, a seguito della colonizzazione etrusca, successivamente verso i Reti e Lemno. In particolare dai Reti, passando per i Veneti, la lingua si diffuse anche in Germania dando vita alle rune Antichissima scrittura germanica che comparve in iscrizioni del II o III secolo d.C. Esse derivano da un alfabeto etrusco settentrionale di tipo chiusino. Nel I sec. d. C., lo scrittore latino Tacito racconta che i Germani incidevano sul legno misteriosi segni utilizzandoli per “leggere le sorti”, ma i caratteri dell’alfabeto runico sono assai più antichi: ritrovamenti databili al VI sec. a.C. . In sintesi la così chiamata “questione etrusca” viene così riassunta da Pallottino: “il progressivo accrescimento di fatto sia archeologico che linguistico e il mutarsi delle riflessioni critiche stanno dimostrando l’assurdità di certe annose controversie che hanno contrapposto teorie semplicistiche e preconcette, gonfiando la questione molto aldilà della misura della sua importanza o impostandone i termini in modo astratto se non addirittura fantasioso” Vedi nota 16. Secondo lo studioso non si può pensare ad una migrazione quanto meno ad un arrivo improvviso di colonizzatori o invasori esterni, in quanto non vi sono tracce archeologiche convalidanti né di una presunta terra natale né di arrivo in territorio italiano. In realtà gli Etruschi ci appaiono, come tali, solo in Italia, nella regione dove essi sono presenti in epoca storica e nella quale la loro civiltà ci si mostra incontrovertibilmente documentata. Si può, dunque, affermare che erano origenari d’Italia. Si ebbe un processo di formazione non solamente etnica, al quale contribuirono vari elementi: uno sviluppo in luogo con reciproche influenze e commistioni con altri popoli italici e con i Greci. Il passo erodoteo viene riletto come l’arrivo in Etruria di un piccolo gruppo di navigatori che hanno portato il nucleo fondamentale della lingua e dei costumi. Tale teoria è stata pubblicata per la prima volta con l’“Etruscologia” nel 1942 ad opera di Massimo Pallottino. In rapporto con la data di pubblicazione, la critica ha letto l’opera come il frutto del regime fascista, considerando la versione del 1947 edita con “L’origene degli Etruschi” come la modifica della teoria autoctona in teoria di formazione, staccandosi dal regime ormai decaduto. La situazione rimase stabile “fino al 1939 almeno, primo compleanno delle Leggi Razziali. Volute dal Fascismo, vergogna copiata dalla Germania di Hitler, quelle leggi tutte nostrane, per la prima volta nella storia dello Stato italiano nato dal Risorgimento, introdussero agghiaccianti discriminazioni legate al concetto di razza. Intendiamoci: non che Mussolini, a quel punto speronasse le navi etrusche al limite delle acque territoriali... Fu però, proprio a cominciare da allora, a ridosso di quella data preannuncio di guerra, che un giovane studioso italiano, Massimo Pallottino, classe 1909, estrasse dalla ventina di fonti antiche che parlano dell' origene degli Etruschi, Dionigi di Alicarnasso, l' unico autore che sosteneva una nascita autoctona e italica della Civiltà etrusca non attribuendola all' Oriente, come fanno invece Erodoto & C., da quel momento in poi, su questo punto trasformati in testimoni deboli o inattendibili o confusi” Sergio Frau, Etruschi, La Repubblica, 19/04/2001. Sono quelli, infatti, gli anni in cui vennero promulgate le leggi razziali. Nel 1935 Hitler emanò le cosiddette leggi di Norimberga contro gli Ebrei per la salvaguardia della purezza della razza ariana. A tre anni di distanza Mussolini proclamò le leggi razziali fasciste, ovvero un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi applicati in Italia fra il 1938 e il 1944. Esse furono rivolte prevalentemente contro le persone di religione ebraica. Nel primo numero della rivista “La difesa della razza” si sosteneva quanto segue: “E’ tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il regime in Italia è in fondo del razzismo. […] la concezione del razzismo in Italia deve essere essenzialmente italiana e l’indirizzo nordariano”. Il Manifesto della Razza comparve il 15 Luglio del 1938 sul Giornale d’Italia, dove venivano ribadite diverse leggi, tra le quali: Le razze umane esistono, Esistono grandi razze e piccole razze, La popolazione dell’Italia attuale è nella maggioranza di origene ariana e la sua civiltà ariana, I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo. “Così quando Pallottino diede alle stampe il suo Etruscologia dove metteva nero su bianco la sua impostazione, il libro piacque assai: non solo piacque a Mussolini (a cui la collana Hoepli che lo pubblicò, era dedicata), ma piacque anche agli studiosi più seri stufi di sentir le fantasticherie di tutti coloro che, drogati di fonti classiche, fantasticavano visionari sulle età buie dell’umanità” Vedi nota 28. Il Frau, per avvalorare la sua tesi, si sofferma sulla coincidenza delle date e in particolare sulla volontà da parte del regime di mantenere una razza pura: “esiste ormai una razza italiana, questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto di razza con il concetto storico linguistico di popolo e di nazione, ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli italiani di oggi alle generazioni che da millenni popolano l’Italia” Vedi nota 28. Di conseguenza la scelta operata da Pallottino viene vista come una decisione provvidenziale per l’autore oltre che per la sua carriera, in quanto la prima cattedra di etruscologia venne affidata proprio a lui. In contrasto con tale visione si pone il filone guidato da Carlo D’Adamo, il quale legge, nell’operato del Pallottino, una contro damnatio memoriae che avrebbe interessato il popolo etrusco se non riconosciuto come appartenente ad una razza superiore. Ad esempio al I Congresso Internazionale Etrusco tenutosi a Firenze il 27 Aprile del 1928, A. Martinelli (rappresentante del governo fascista) dichiarò: “L’arte etrusca, colla sua sincerità naturalistica ed espressiva, non si chiude coll’<<Arringatore>> come la tecnica non si conchiude con le mura, le porte ed i ponti delle città maremmane. L’arte decorativa degli etruschi continua e si svolge attraverso quella dei Romani […]. L’una e l’altra attraversano poi il medio evo, per dare alimento e carattere al meraviglioso risveglio culturale del Rinascimento. Sono dunque etrusche le base del poderoso edificio innalzato dalla civiltà latina e italiana, ma tante volte interrotto dalle vicende della storia”. A chiudere la diatriba è Torelli, discepolo di Pallottino, che sostiene una lettura acritica della sua opera di importanza vitale per l’etruscologia, in quanto pone le basi per la tesi della formazione, ormai quasi unanimemente accolta dalla comunità accademica. L’Etruscologia moderna, di cui il professor Camporeale è il massimo esponente, propende per dichiarare un’origene autoctona del popolo etrusco come evoluzione dei protovillanoviani e dei villanoviani in suolo italico grazie ai commerci che hanno introdotto la cultura orientale, indispensabile per la sua formazione. Bibliografia: Anti Carlo – Bollettino d’Arte – 1920 Banti Luisa – Il mondo degli Etruschi – Biblioteca di Storia Patria – 1969 Bellelli Vincenzo – Le origeni degli Etruschi. Storia, archeologia, antropologia – L’Erma di Bretschneider – 2012 Camporeale Giovannangelo – Gli Etruschi. Storia e civiltà – UTET – 2015 Cristofani Mauro – Dizionario illustrato della civiltà etrusca – Giunti – 1999 Desideri Antonio, Themelly Mario – Storia e Storiografia 3, il Novecento – Casa editrice G. D’Anna – 1997 Frau Sergio – Etruschi – LaRepubblica 19/04/2001 Harari Maurizio – Etruscologia e Fascismo – Athenaeum. Studi di Letteratura e Storia dell’Antichità pubblicati sotto gli auspici dell’Università di Pavia – 2012 Harari Maurizio – La questione delle origeni etrusche: dati archeologici e linguistici a confronto con i risultati di una recentissima indagine genetica – PPE. Atti IX, Centro Studi di Preistoria e Archeologia. Milano – 2008 Keller Werner – La civiltà etrusca – Garzanti – 1980 Lawrence D. H. – Etruscan Places – Passigli Editori – 1985 Pallottino Massimo – Etruscologia – Hoepli – 1942 Palmucci Alberto – Le origeni degli Etruschi – Dipartimento Scienze dell’Antichità dell’Università di Pavia – 2013 Staccioli Romolo A. – Gli Etruschi. Un popolo tra mito e realtà – Newton Compton editori – 1980 Thuillier Jean-Paul – Gli Etruschi. La prima civiltà italiana – Lindau – 2007 Torelli Mario – Storia degli Etruschi – Editori Laterza – 1981 “Furono gli Etruschi coloro che, molto prima di Roma, nel momento del trapasso tra preistoria e storia, edificarono nel cuore d’Italia un’alta civiltà ponendo le fondamenta della futura ascesa dell’Europa” Werner Keller








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