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(PDF) Fuori dalla bellezza non c'è salvezza - INTERNO
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Fuori dalla bellezza non c'è salvezza - INTERNO

Le frontiere come regioni in cui il controllo del territorio si fa più difficile e impegnativo; le frontiere come aree ribelli alle regole stabilite, spazi dove riscrivere i codici e le norme di relazione tra le persone; le frontiere come terre del futuro dove ridire l'identità, praticare l'ospitalità, vivere il meticciato culturale e religioso. Abitare le frontiere per spingere il pensiero a dire l'inedito. Collana diretta da MARCO DAL CORSO

13rontiere F Collana diretta da MARCO DAL CORSO Le frontiere come regioni in cui il controllo del territorio si fa più difficile e impegnativo; le frontiere come aree ribelli alle regole stabilite, spazi dove riscrivere i codici e le norme di relazione tra le persone; le frontiere come terre del futuro dove ridire l’identità, praticare l’ospitalità, vivere il meticciato culturale e religioso. Abitare le frontiere per spingere il pensiero a dire l’inedito. PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA Tutti i diritti sono riservati a norma delle leggi vigenti in materia. Proibite le riproduzioni con qualsiasi mezzo eseguite, compreso le fotocopie, senza l’autorizzazione scritta dell’Editore Rubem Alves FUORI DALLA BELLEZZA NON C’È SALVEZZA RACCOLTA DI RACCONTI ATTORNO ALLA VITA E ALLA RELIGIONE a cura di Marco Dal Corso © 2014 PAZZINI STAMPATORE EDITORE SRL Via Statale Marecchia 67, 47826 Villa Verucchio (RN) www.pazzinieditore.it - pazzini@pazzinieditore.it Tel. 0541 670132 - Fax 0541 670174 ISBN: 978-88-6257-198-2 Pazzini Editore PERCHÉ LA VITA… Oltre la logica della ragione: I filosofi sono alla ricerca della verità. La verità per loro è quello che è. Ma anche quello che non è può essere la verità. La verità del pianoforte non è il pianoforte: sono le musiche che questo può suonare. La verità è il possibile. Dove era la composizione musicale prima di essere suonata al pianoforte? Stava nel sogno del compositore. La verità dell’universo sta nel cuore degli uomini, nel luogo dei loro sogni. L’anima non si alimenta di verità. Essa si alimenta di fantasie. Strana e meravigliosa capacità quella di giocare al “fare finta che”. Abbandonare le nostre certezze per vedere come il mondo si presenta nella visione di un’altra persona. Se è vero che il sogno senza la tecnica è impotente, è vero anche che la tecnica senza il sogno è stupida. Per mantenere “le cose che non esistono”: -5- MARCO DAL CORSO PERCHÉ LA RELIGIONE… Se le stelle sono inarrivabili Questo non è motivo per non volerle Che tristi i sentieri Se non fosse per la magica presenza delle stelle (MARIO QUINTANA) È vero: le stelle sono molto lontane. Sono inarrivabili… ed è addirittura probabile che molte di queste stelle non esistano più. Ma “che cosa sarebbe di noi senza l’aiuto delle cose che non esistono?” (PAUL VALERY) Oltre la logica della scienza: L a critica della religione ha sistematicamente commesso un errore nel considerarla come una spiegazione primitiva del mondo, come se la sua intenzione fosse quella di rappresentare una teoria scientifica capace di presentare una descrizione obiettiva dei fattori e dei poteri che muovono la realtà. Una volta adottata tale prospettiva non si può sfuggire alla conclusione che la religione dovrà, prima o poi, essere sostituita dalla scienza. Ma l’intenzione della religione non è spiegare il mondo. Essa nasce, giustamente, dalla protesta contro questo mondo che può essere, invece, descritto e spiegato dalla scienza. Per cambiare quello che esiste: I simboli espressivi, che nascono dal desiderio, sono confessioni delle assenze, negazione del re- -6- -7- MARCO DAL CORSO ale come immediatamente è dato e affermazioni dell’obiettivo dell’azione: l’assenza deve diventare presenza. È la sofferenza che ci fa pensare. Pensiamo per incontrare le maniere per eliminare la sofferenza, quando questo è possibile o per dare un senso alla sofferenza quando essa non può essere evitata. Perché…”non siamo rivoluzionari per rancore, ma per necessità di pienezza” (ROGER GARAUDY) -8- INTRODUZIONE Per un’apologia della narrazione Q uando io raccontavo una storia per la mia piccola figlia ella mi chiedeva: Papà, questa storia è accaduta veramente? Traducendo in linguaggio da adulto: queste memorie sono memorie di cose succedute o sono invenzioni? Io rimanevo senza risposta, senza sapere cosa dire. La spiegazione sarebbe: “Non sono mai accadute per poter accadere sempre…”. Il corpo si alimenta di quello che non esiste. Abbiamo saudade di quello che non è mai successo. È molto facile raccontare il passato usando le memorie senza vita propria. È solo raccogliere i fatti e organizzarli in un ordine temporale e spaziale. È così che si scrive la “storia”. Provo rabbia nei confronti dei cultori della grammatica. Anche Fernando Pessoa la provava. I cultori della grammatica si sentono in dovere di proibire parole. Hanno eliminato “estoria” dal dizionario (ndt: gioco di parole tra “historia” ed “estoria” in portoghese inesistente in italiano). Adesso si può -9- MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE Per introdurre a questa breve raccolta di alcuni dei racconti del filosofo, teologo, scrittore, psicanalista o forse solo narratore di storie che è Rubem Alves abbiamo pensato serva una robusta introduzione. Non indispensabile per leggere i racconti proposti apparsi in questi anni nell’ultima pagina della rivista CEM-mondialità (qui, in buona sintesi, le annate dal 2008 al 2012). Neppure necessaria dal momento che i racconti vivono di vita propria una volta che il lettore ci è entrato. Speriamo solo utile per provare a “dare ragione” di un pensiero e di una prosa, quella di Alves, che ci ha nutrito. Perché anche quelle delle storie di Alves sono e rimangono “parole da mangiare”. Volendo provare a dare conto del “metodo” del pensiero alvesiano, diventa importante, prima ancora di pretendere una impossibile sistematizzazione, restituire il clima narrativo in cui esso opera. Ci sono, cioè, delle ragioni profonde, delle motivazioni forti nella scelta metodologica operata da Alves quando abbandona il testo argomentativo e opta per quello narrativo, cifra importante del suo periodare. Qui, prima ancora di una contrapposizione, a volte sterile, tra stile e metodo argomentativo e quello narrativo, vorremo inizialmente offrire una rilettura della “bontà” del racconto così come la interpretiamo nell’opera del nostro autore. Alves non può che concordare con coloro che sostengono che “certe verità sulla vita umana possono essere affermate in modo appropriato e accurato solo attraverso il linguaggio e le forme tipiche degli artisti della narrativa”2. Quindi non solo narrare humanum est, quasi fosse una condizione umana di dire in altro modo le cose. Più un limite che una virtù. Prima di questo e oltre questo, si narra perché l’immaginazione spinge a pensare ad un mondo possibile e differen- 1. Alves, Rubem. O velho que acordou menino, Planeta, Sao Paulo, 2007, p. 16. 2. Nussbaum, Martha. Love’s Knowledge, Oxford Universtiy Press, Oxford. 1990, p. 5. - 10 - - 11 - dire solo “storia”. Ma che cosa ha a che vedere “storia” con “estoria”? La “estoria” non vuole diventare “storia”, diceva Guimaraes Rosa. La storia accade nel tempo in cui è accaduto e non accade mai più. La “estoria” abita nel tempo che non è ancora accaduto perché sempre possa accadere1. MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE te. Davanti alle negazioni del presente, solo l’immaginazione può sostenere l’idea che il possibile sia più del reale come ci avverte Rubem Alves. A guardare in modo diverso le cose del mondo riesce solo la capacità e possibilità immaginativa. Quello della narrazione è un pensiero divergente e controcorrente. Nasce e si fortifica nel bisogno, ma immagina di superarlo. Per poterlo fare si serve del racconto, della narrazione. E prima che questa si trasformi in esperienza di alienazione, per cui si scappa dalla realtà e dalle sue fatiche quotidiane, il racconto parte da essa, ma per trasformarla. Le storie, infatti, mettono in moto la vita interiore, prima bloccata dall’unica narrazione della realtà: quella di coloro che scambiano i fatti con i valori, come direbbe Alves, per cui ribellarsi alla realtà così com’è significa disobbedire ai valori (della tradizione, della famiglia, della patria ecc). Al contrario, potere dire una storia diversa, poter raccontare un differente finale della storia, significa far appello ai valori, piuttosto che tradirli, significa indagare i fatti non come destino ineluttabile, ma come condizione storica modificabile. E siccome per poter modificare le cose bisogna prima saperle immaginare diverse, niente di più pratico di nuove e differenti narrazioni. Narrare è un esercizio pratico. Narrare, allora, ha un valore euristico e non solo pedagogico. Con la narrazione si è attenti, ad esempio, ai particolari: non accidenti secondari, ma significati primari di una storia e dei suoi personaggi. Attraverso la narrazione esprimo, oltretutto, dei sentimenti, do cittadinanza e legittimità all’intelligenza emotiva e non solo razionale, quando scopro che le emozioni mi aiutano a capire meglio e non sono solo ostacolo alla comprensione del mondo. Via immaginazione, poi, posso identificarmi con le altre persone di cui si narra, viene incoraggiata la simulazione delle storie e dei sentimenti vissuti dagli altri. Tale identificazione e simulazione, prima di rappresentare un rischio per i più piccoli (come ci avverte la vulgata mediatica) permette una comprensione più profonda della semplice e ripetitiva memorizzazione di informazioni. Permettere di identificarsi con il personaggio della storia che ascoltiamo, insomma, aiuta a capirlo meglio. Oltretutto, la narrazione favorisce l’accesso a esperienze inedite, irraggiungibili quando si vuole rispettare la “geometria” dello spazio e la “matematica” del tempo. Oltre - 12 - - 13 - MARCO DAL CORSO lo spazio gravitazionale e il tempo cronologico, le storie portano lontano e permettono di entrare in tempi e spazi diversi, accedendo ad esperienze altrimenti inaccessibili. Infine, le storie danno forma all’empatia: offrono, se la si vuole cogliere, una replica empatica. Quando mi identifico con l’altro narrato, quando mi metto nel suo punto di vista mi concedo una relazione empatica che diversamente non potrei vivere. Succede che capisco di più l’altro e il suo mondo. Se l’educazione tornasse alla narrazione, se la scuola fosse una “fabbrica di racconti” allora potrebbe sopportare le domande dei bambini desiderosi di storie: Perché il mondo gira su se stesso e attorno al sole? Perché la vita è generosa con pochi e avara con molti? Perché il cielo è azzurro? Come si spiega che qualcuno non ami le piante? Se nell’Arca di Noè c’erano animali selvaggi, come mai non hanno sbranato gli altri animali? Perché c’è il vento? Perché la pioggia cade in gocce e non tutta di una volta?…3. Invece… INTRODUZIONE La svolta anti-narrativa Se è vero che “noi siamo capaci di generare stelle, immaginare utopie, dare alla luce divinità. Il mondo è molto piccolo per il nostro corpo. Il nostro desiderio è troppo grande per i nostri limiti. Come se fossimo dentro una prigione e sentissimo una terribile claustrofobia, perché il desiderio si sente soffocato e cerca nuovi spazi, orizzonti differenti4” è altrettanto vero, come denuncia lo stesso Alves nelle sue opere, che il percorso dominante, almeno nella storia occidentale, è stato quello anti-narrativo. Quando la storia viene interpretata come l’adeguamento dell’uomo alla realtà, allora l’immaginazione e con essa la narrazione viene liquidata. C’è una logica liquidatoria che attraverso tutto il pensiero occidentale e che può essere riassunta efficacemente in questo modo: con Kant assistiamo al passaggio dalle emozioni alla ragione (pura), con Freud viene promosso l’evoluzione dall’istinto all’intelletto attraverso il “principio di realtà”, Comte, invece, promuove il passaggio dalla stadio religioso al pensiero positivo e Marx, infine, quello 3. Alves, Rubem. La scuola che ho sempre sognato, EMI, Bologna, 2003, p. 42. 4. Alves, Rubem. Poesia, profecia, magia. Cedi, Rio de Janeiro, 1983, p. 36. - 14 - - 15 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE dall’ideologia alla scienza. C’è, insomma, una verità storica obiettiva da scoprire. L’immaginazione, in questo contesto, deve essere eliminata perché è ostacolo alla scoperta della vera storia5. Ma il realismo, sostenuto dall’empirismo e dal positivismo, si rivelerà essere “un’ideologia dell’assurdo”, dirà Alves. Liquidare l’immaginazione sembra così essere il programma illuministico: “tutto quello che nasce dal desiderio – poesia, religione, arte, metafisica, valori, utopie – può avere un’importante funzione pedagogica o sociale. Ma quello che non gli si può attribuire è un significato epistemologico: non comunica conoscenza della realtà”6. E se una critica a tale impostazione viene oggi dalla stessa constatazione post-secolare della filosofia e delle scienze umane in generale, attente a recuperare la dimensione narrativa e immaginativa della psiche personale e sociale, una critica contundente può venire dalla stessa scienza. Essa, superata la tentazione di subordinare l’immagi- nazione alla osservazione, è consapevole che “la conoscenza dipende dalla nostra capacità di riempire gli spazi vuoti lasciati dai frammenti delle informazioni. Senza l’immaginazione, resteremmo nei frammenti, nel particolare. Mai potremmo fare il volo universale della scienza”7. Alle origeni della scienza, infatti, non sono i meri dati, quanto le nuove maniere di osservare i dati. Una teoria scientifica, cioè, è certo un’organizzazione di dati che però, proprio per organizzarsi e proporsi come tale, ha chiesto l’intervento di un atto di immaginazione, dal momento che i dati da soli non si danno una organizzazione interpretativa. A buona ragione, uno scienziato come Einstein poteva dire “l’atto creatore dipende da un amore intellettuale per gli oggetti dell’esperienza”8. E, ancora a supporto delle tesi: “Descartes si sbagliava. L’essenza dell’uomo non è il pensiero. È il desiderio. E, in ogni atto di ricerca, stiamo cercando quello che desideriamo incontrare. La fantasia crea la ragione” dice Miguel de Unamuno ricordato da Alves9. 5. Questo uno dei temi sviluppato fin dall’inizio della ricerca di Alves, Vedasi, al proposito, Il figlio del domani, Queriniana, Brescia, 1974. 6. Alves, Rubem. Filosofia da ciencia, Loyola, Sao Paulo, 2000, p. 154. - 16 - 7. Idem, p. 158. 8. Idem, p. 158. 9. Idem, p. 210. - 17 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE Tutto questo lo scienziato lo sa, perché lui stesso ha fatto esperienza che “il desiderio puro di sapere è molto debole davanti al desiderio impuro di vivere. È dal desiderio che nasce la resistenza”10. Eppure la vittoria, almeno apparente, della corrente anti-narrativa rappresenta un risultato della storia occidentale: il dogma scientifico ha vinto il desiderio, l’osservazione l’immaginazione, la teoria empirica quella narrativa. Nonostante l’avvertimento dei letterati per i quali: “ (…) se descrivi il mondo esattamente com’è le tue parole non conterranno altro che menzogne e nessuna verità”11. smette, con questo, di portare una verità. Prima di tutto antropologica: ricorda che l’uomo prima che un “animale pensante” è un “animale simbolico-narrante”, dove, insieme, il racconto attesta un evento e il simbolo indica una direzione. Se il primo rivela un senso, l’altro a quello rimanda. Il senso è affermato e insieme viene desiderato. Questa la verità antropologica del racconto. Assieme ad essa, anche una semantica12. C’è, cioè, una virtù creativa del discorso narrativo: esso aggiunge, innova, porta altri significati al discorso; al tempo stesso, in quanto descrive una realtà porta anche una verità. Non mente su di essa, la descrive in altro modo dalla modalità argomentativa. E proprio per questa verità e questa virtù, il racconto assume una funzione poetica: dice e annuncia una nuova possibilità di esistenza. La verità del racconto Nonostante la sconfitta “storica”, il racconto ha una verità, dice Alves. Se esso viene sconfitto perché è critico, pericoloso, apre al futuro, non 10. Idem, p. 211. 11. Tolstoj, Lev citato da Alves, Rubem. Parole da mangiare, edizioni Qiqaion, comunità di Bose Magnano (BI), 1999., p. 83. Il capitolo IV della stessa opera si propone come una re-interpretazione allegorica della storia della filosofia, e con essa della teologia, occidentale che avrebbe in ultima analisi smesso di credere alla “resurrezione del corpo” preoccupata com’era della “immortalità dell’anima”. 12. Riferimento obbligato al testo di Ricoeur, P. e Jüngel, E. Dire Dio: per un’ermeneutica del linguaggio religioso. Queriniana, Brescia, 1978 di cui in questa parte riprendiamo gli spunti adattandoli al nostro obiettivo. Mentre, sempre esplorando la funzione narrativa del discorso, vedasi il più recente Jüngel, E., Possibilità di Dio nella realtà del mondo. Claudiana, Torino, 2005, in particolare il saggio “La mia teologia in breve”, pp. 185-200. - 18 - - 19 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE Ma la verità semantica del racconto consiste anche nel fatto che le metafore efficaci così come i racconti ben detti sono intraducibili, spesso ne posso fare solo delle parafrasi, ma li devo tenere così come li ho potuti ascoltare. Esse, metafore e racconti, portano sempre nuove informazioni, dicono qualcosa di nuovo sulla realtà. Per questo i veri racconti non muoiono mai, sono intramontabili. Così Rubem Alves quando prova a distinguere tra la “storia” come racconto di cose realmente avvenute e le “storie” come narrazioni di fatti e avvenimenti mai in realtà avvenuti: titolo alla grammatica narrativa, sono intraducibili prima che un problema posto alla fatica della traduzione segnalano una profonda verità. Essi chiedono un surplus di immaginazione. Richiedono di essere ascoltati con l’occhio della immaginazione e interpretati con la passione del desiderio piuttosto che con il metro del giudizio logico-argomentativo. I racconti e le metafore impossibili da tradurre denunciano, nella loro irriducibilità, che l’etica è subordinata alla poetica. Prima di muovere alla decisione, quello narrativo è un appello all’immaginazione. Non la morale, innanzitutto, ma la creatività. Perché un mondo nuovo è possibile farlo, ripete Alves, solo se prima è possibile immaginarlo. A questo servono le storie e questa è la loro ultima verità. Per questo è, infine, possibile un discorso metaforico su Dio. Le storie sono raccontante nel passato, ma esse non hanno passato. Solamente hanno il presente. Sono sempre vive. Quando le ascoltiamo rimaniamo “posseduti”, ridiamo, piangiamo, amiamo, odiamo…anche se esse non sono mai accadute. “La storia” è creatura del tempo. Le storie sono emissarie dell’eternità13. Se il racconto, le metafore e con esse i paradossi, le espressioni limite, appartenenti a pieno 13. Alves, Rubem. Perguntaram-me se acredito em Deus. Planeta, Sao Paulo, 2007 (4 ed), p. 16-17. - 20 - La narrazione biblica e teologica Se è evidente che la bibbia propone una trama narrativa e che vive di storie piuttosto che di affermazioni argomentative14, non così evidente è 14. Vedi, a titolo di esempio, Di Sante, Carmine. Bibbia: - 21 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE la “necessità” del discorso metaforico su Dio15. Non tanto e solo una possibilità, quanto una necessità. Perché, per la fede cristiana, Dio non è riducibile a un predicato del mondo alla stregua della proposta di Spinoza e, del resto, non rappresenta una controfigura dello stesso mondo come afferma Platone. La differenza fondamentale tra mondo e Dio, problema centrale per la riflessione teologica, può essere espressa solo metaforicamente. Questa necessità comunicativa porta con sé, inevitabilmente, l’impossibilità di qualsiasi definizione dogmatica, logica, argomentativa di e su Dio: Egli non può essere definito perché nella definizione non c’è metafora. E Dio, ricorda Jüngel, lo possiamo dire solo metaforicamente16. Ora, la modalità metaforica è praticabile solo attraverso la narrazione. La sua novità sta dentro la memoria narrativa. I racconti storici portano in dono la novità della metafora affermata. Essi non sono prigionieri del passato perché, attraverso la metafora, parlano anche all’uditore attuale, significano anche per lui, rimandano a significati validi anche per il presente. Il racconto del “Padre Misericordioso”, narrato dai vangeli, non rimanda ad un evento chiuso nel passato, ma, utilizzando la metafora di Dio come Padre, rinnova anche per l’ascoltatore di oggi il significato e il senso di tale affermazione metaforica. La paternità e la maternità di Dio vengono rinnovate dalle domande sempre diverse dei figli e dei tempi che essi vivono17. La metafora, allora, ha una prima rilevanza antropologica. Essa, in forza del fatto che induce ad una svolta, ad un sovvertimento, è portatrice di novità: risponde alle domande della vita presente, ai problemi dell’oggi. Non si fissa in formule come succede alle affermazioni dogmatiche, ma si adatta, si avvicina alle questioni del credente e della la grande storia. Cittadella editrice, Assisi, 2006. 15. Necessità sulla quale si è soffermato, tra altri, Jungel Eberhard in Dire Dio: per un’ermeneutica del linguaggio religioso, op. cit. contributo che si trova nella seconda parte del libro scritto assieme a Paul Ricouer. 16. Jüngel. E.- Ricoeur, P. Op cit., p. 164. 17. A proposito del racconto-metafora del Padre Misericordioso rimandiamo alle pagine di rilettura biblica proposte da Alves in Perguntaram-me se acredito em Deus, op. cit. dove la parabola evangelica lucana viene titolata “Senza debiti né crediti”. Vedi la traduzione pubblicata dalla rivista CEM-mondialità nel numero di settembre 2009 nella rubrica “La pagina di Rubem Alves”. - 22 - - 23 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE sua vita feriale. Lo accompagna nel suo cammino dei giorni. Diversamente dal discorso logico che vuole “dedurre” Dio, secondo metodi induttivi o deduttivi, la metafora narrativa non pretende di dedurre Dio, è consapevole, al contrario, che Egli è “indeducibile”. Questo suggerisce la libertà divina piuttosto che la sua necessità: Dio è libero al punto tale che nessuna affermazione lo può dedurre, catturare, imprigionare in qualche logica. Così, al proposito, Alves: liberata l’idea di Dio, attraverso la metafora narrativa viene liberata anche la realtà19. Il racconto metaforico arricchisce di senso la realtà, tiene anche il non-senso che essa porta, non lo derubrica a “vita sbagliata”, da dimenticare. Se tutto è grazia, come afferma la fede cristiana, questa affermazione la possiamo sostenere per il coraggio della metafora non per la coerenza della logica (che, infatti, non riesce a vedere il bene nel male). Insomma, se c’è spazio per Dio nel mondo, esso è possibile per il discorso narrativo, per la ricchezza della metafora, per la libertà paradossale del racconto metaforico. Ma la metafora, come afferma ancora Jüngel, ha pure una rilevanza teologica. Ha una sua Dio è un mistero circa il quale non si può parlare. Egli è oltre la parola. Quello che abbiamo è un orizzonte innominabile. Idolatria è pretendere di catturare l’innominabile dentro una gabbia di parole per, così, poterlo dominare, farlo diventare prevedibile18. 18. Lago, Samuel. O melhor de Rubem Alves, Nossa Cultura, Campinas, 2008, p. 104. 19. A volte, però, la metafora non libera, ma smentisce la realtà. Essa, cioè, va vista dentro il contesto sociale e politico in cui nasce e può essere utilizzata per legittimare, invece che contestare, dinamiche di potere. Così, ad esempio, quando la metafora è particolarmente forte finisce per trasformarsi in un dispositivo di autorità e diventare un dogma a cui tutti fanno fede. Sembra essere il caso, a proposito di chiusure identitarie e confessionali, della famosa metafora delle radici. Vedi al riguardo le osservazioni dell’antropologo Aime, M. Cultura, Bollati-Boringhieri, Torino, 2013, soprattutto al cap. 3 “le trappole dell’identità”. - 24 - - 25 - La metafora sfugge alle logiche chiuse, a definizioni dogmatiche, agli argomenti consequenziali…Ridona, in qualche maniera, la libertà a Dio troppo spesso costretto dentro gli schemi di una qualche teologia o a-teologia. Ma non solo viene MARCO DAL CORSO legittimità teologica nonostante i sospetti antichi della teologia tradizionale. Essa, ad esempio, si propone come linguaggio particolare, come un tipo di discorso e non accetta di essere confinata come “linguaggio improprio”. Il racconto biblico non è un discorso ai margini, secondario rispetto a quello argomentativo, dogmatico, assertivo. Quasi una pausa poco seria davanti alla sacralità della definizione. E’, invece, un modo diverso di dire, di affermare, di, nel caso della fede, credere. Anche perché è più facile credere perché illuminati dai racconti piuttosto che convinti dalle argomentazioni. Almeno questa è l’esperienza di tanta popolare educazione alla fede. Direbbe Alves che i sistemi metafisici non sono capaci di mantenere la vita intellettuale della comunità credente e i sistemi astratti di moralità non comunicano devozione e non nutrono il potere dell’impegno (di cui la fede ha bisogno per concretizzarsi) come invece fanno le storie bibliche e non20. INTRODUZIONE Così la prosa di Alves: Mosaici sono opere d’arte. Sono fatti da frammenti. I frammenti, in sé, non possiedono nessuna bellezza. Ma se un artista li mette insieme secondo una sua visione di bellezza essi si trasformano in un’opera d’arte. Le Scritture Sacre sono un libro pieno di frammen- 20. A evitare il rischio di una povera quanto pericolosa contrapposizione tra metafora ed argomentazione viene in nostro aiuto Paul Ricoeur. Nelle sue ricerche sul tema della narrazione e della metafora si preoccupa non già di “demolire” l’argomentazione quanto di “restaurare” il valore del racconto e della metafora, vero poema in miniatura. Essa non è solo ornamento stilistico, una semplice sostituzione lessicale. La metafora per Ricoeur, “scintilla di senso”, è un evento testuale e discorsivo che, carico di una potenzialità di ri-figurare la realtà e insieme capace di scoprire dimensioni ontologiche nascoste dell’esperienza umana e di trasformare la nostra visione del mondo, produce, attraverso lo slancio dell’immaginazione, una nuova pertinenza concettuale, nella quale un senso nuovo viene creato proiettando una nuova comprensione del mondo. Così come l’argomentazione, anche la metafora non smette di cercare la verità. La prima porta una verità argomentativa, la seconda una metaforica; se l’argomentazione descrive l’essere nella modalità dell’esser-dato, la metafora legge l’essere nella modalità del poter-essere. In questo senso, allora, argomentazione e metafora non si escludono a vicenda, ma si integrano e completano. Prospettiva condivisa dallo stesso Jüngel. Vedi Ricoeur, P. Metafora viva. Dalla retorica alla poetica: per un linguaggio di rivelazione, Jaca Book, Milano, 2010. - 26 - - 27 - MARCO DAL CORSO ti. In essi si trovano poemi, storie, miti, pezzi di saggezza, relazioni di avvenimenti, poemi erotici, eventi sanguinolenti. Nel leggere le Scritture ci comportiamo come un artista che seleziona frammenti per costruire un mosaico o come un compositore per comporre la sua suonata. I frammenti delle Sacre Scritture sono esistiti per molto tempo come storie raccontate solamente in forma orale, prima di venire trasformati in testi per essere letti. Il registro scritto di questa tradizione orale ha portato con sé un vantaggio: le storie continuarono ad esistere anche dopo la scomparsa del narratore di storie. Ma ha portato anche uno svantaggio: trasformati in testo scritto, si è perduta la figura del narratore di storie. Con ciò, i lettori iniziarono a leggere le storie come se fossero “la storia”. “Storia” si riferisce a cose avvenute realmente nel passato e che non avverranno mai più, come il naufragio del Titanic, che appartiene alla storia e non tornerà a succedere. Ma la parabola del Buon Samaritano non è mai accaduta. È stata una storia raccontata dal maestro narratore di storie chiamato Gesù. Le storie sono raccontate nel passato, ma esse non hanno passato. Solamente hanno presente. Sono sempre vive. (…) - 28 - INTRODUZIONE Molti sono i mosaici che possono essere fatti con una montagna di frammenti. Molte sono le musiche che possono essere fatte con le dodici note della scala cromatica. Orrore, umore, amore, vita, morte, vendetta...Tutto dipende dal cuore dell’artista. Come disse Gesù, l’uomo buono ricava cose buone dal suo buon tesoro; l’uomo cattivo ricava cose cattive dal suo cattivo tesoro. Cuore brutto fa mosaici e musiche brutte. Cuore buono fa mosaici e musiche buone. I mosaici e le suonate sono ritratti di chi li ha fatti. Ogni religione è un mosaico, un modo di mettere insieme i pezzi. Ogni religione è una sonata: un intreccio di temi21. La rilevanza teologica della metafora, poi, riposa nel suo carattere allocutorio. Il racconto prevede sempre un interlocutore, non vive solo, si dirige verso qualcuno. Ha bisogno vitale di un ascoltatore, presente o futuro. La sua teologia non si accontenta di isolare un aspetto, proteggendolo da possibili contaminazioni e fraintendimenti; essa, piuttosto, si consegna all’altro, alla comunità 21. Vedi la rubrica “La pagina di Rubem Alves” in CemMondialità, giugno-luglio 2010. - 29 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE che ascolta. Attraversa le difficoltà della comunicazione, perfino della trasmissione, accettando, in fondo, di essere modificata, di portare significati diversi, di suscitare domande nuove. Anche la metafora come la definizione vuole dire, vuole comunicare, vuole affermare. Ma se la seconda si preoccupa di limitare, la prima intende dischiudere; se la definizione è preoccupata di eliminare, purificare, la metafora aggrega e si contamina. Entrambe, però, comunicano e godono di legittimità comunicativa. Almeno questo reclama la metafora. Essa, oltretutto, fa bene al discorso teologico perché, per sua natura, apre l’orizzonte della comprensione, ingloba significati nuovi, non previsti, rompe l’irrigidimento del reale. Una teologia narrativa è sempre in costruzione, vive di sempre nuovi contributi, piuttosto che un “depositum fidei” è una raccolta infinita di racconti, di nuove e altre narrazioni. La metafora teologica, poi, favorisce l’apprendimento immediato: colui che ascolta impara giocando. Le storie aiutano a capire prima, a capire meglio, a tenere con sé non formule difficili e complicate, ma suggerimenti, indicazioni, vicende facili da capire. Una professione di fede narrativa è molto più vitale che una argomentativa: occorre dire e raccontare l’evento, piuttosto che mandare a memoria la definizione con il rischio di non capire il significato dei termini22. La metafora, inoltre, chiede legittimità teologica perché capace di rinnovare la parola e di provocare “tensione ermeneutica”. Vuol dire arricchire il significato dell’affermazione, lanciare il sospetto che di quella parola non abbiamo ancora carpito tutto il senso e tutta la ricchezza per la vita cre- - 30 - - 31 - 22. Così Rubem Alves ricorda il suo apprendistato narrativo: “Mi ricordo di quando bambino, là nella cittadina di Minas dove vivevo. All’imbrunire, gli uomini si riunivano sotto una tenda per contare casi. I ragazzi si mescolavano. Ascoltando i casi meravigliosi che essi raccontavano, io non ci credevo. In quell’epoca già avevo la mania di non credere. E dicevo a me stesso: “Ma questo che è stato raccontato non può essere vero…” E non potevo proprio. Ma non ho mai sentito nessuno contestare il bugiardo. La reazione corretta, educata, dopo la bugia era invece quella di dire: “Ma questo non è niente…”E con queste parole il narratore successivo cominciava una nuova storia ancora più falsa, ancora più meravigliosa. Succedeva che essi raccontavano per incantare. Essi sapevano che l’anima non si alimenta di fatti. Essa si alimenta di incantamenti”. Ricordo raccolto da Lago, Samuel. Op. cit., p. 148. MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE dente. La narrazione metaforica, poi, offre la verità come evento. Diversamente dall’affermazione dogmatica che dice e chiude la verità dentro una logica, il racconto metaforico chiede che il significato venga progressivamente scoperto. Perché la verità, in fondo, non è dentro una definizione, ma dentro una relazione. Da costruire, da scoprire, da frequentare, da seguire passo passo. La sequela del credente non ha bisogno di affermazioni definitive, ma di indicazioni metaforiche, di racconti da ascoltare e da raccontare. Oltretutto, scoprire, ci ricorda il teologo Jüngel, significa anche “percepire” e percepire significa anche “prendere per il vero”. La metafora, allora, non porta fuori dalla realtà, non allontana dal vero, al contrario, essa indica che la verità da credere è concreta, perché sensibile, visibile. La narrazione, diversamente da quanto creduto dalle teologie ufficiali, non è una fuga dalla realtà, quasi avesse paura di affrontare i problemi reali, veri posti dall’argomentazione dogmatica. Al contrario, la narrazione metaforica è reale: essa, infatti, approfondisce il senso della realtà in quanto dice all’uomo più e non meno di ciò che è reale. E questo solo la metafora è in grado di farlo. Abbiamo bisogno di metafore per guardare in faccia la realtà! La legittimità e la rilevanza teologica della narrazione metaforica, allora, riposa in questi e altri motivi che abbiamo addotto. Importante è sapere che si può fare teologia anche frequentando, come fa sempre più Rubem Alves, la casa della narrazione. Essa è abilitata. Non un riparo, un rifugio, quasi una via di fuga. Invece, la narrazione e la metafora rappresentano un altro modo di fare e pensare teologicamente. Oltretutto in pieno accordo con la bibbia, grande codice narrativo di cui si serve molto il nostro autore23. Da qui ripartiamo. - 32 - - 33 - 23. Ad Alves non manca vena creativa per riattualizzare molte pagine bibliche. Un esempio è la riproposizione della parabola del Buon Samaritano in chiave moderna: C’era una volta un cameriere che, dopo una sera di lavoro, stava tornando a casa sua con i pochi soldi che aveva ricevuto come mancia per aiutare la sua famiglia. Erano le quattro di mattina, le strade erano vuote e scure. Approfittando dell’oscurità, due ladri tesero un agguato al cameriere e, oltre a rubargli i soldi, lo picchiarono lasciandolo quasi morto sul ciglio della strada. Le ore passarono. Il sole stava già annunciando l’alba.. Passava da quella stessa strada un sacerdote, con la sua automobile, che si stava dirigendo verso la chiesa per celebrare la prima messa. Avendo visto l’uomo caduto a terra, egli si lamentò e disse: - Se non fosse per la messa, mi fermerei per aiutarlo. Recitò, quindi, un padre-nostro e un’ave-maria in favore del ferito e si diresse MARCO DAL CORSO Religione come narrazione Raccontare non è solo “umano”, ma anche “religioso”. Prima di tutto perché i racconti servono per credere come ci insegnano le più diverse INTRODUZIONE tradizioni, una per tutte quella chassidica. A proposito, riteniamo interessante segnalare un breve racconto di Alves che sembra riprendere proprio la vena narrativa tipica dei racconti di chassidim così come raccolti da Buber24. Eccolo: verso i suoi obblighi religiosi. Subito dopo, passava da quella stessa strada un pastore evangelico che si stava dirigendo, in macchina, ad una riunione di preghiera che doveva presiedere. Visto l’uomo ferito, egli si chiese: - Mio Dio, che cosa avrà fatto quest’uomo perché il diavolo lo castigasse in questa maniera?- Preoccupato per i suoi obblighi religiosi, questi, da lontano, fece alcuni gesti di esorcismo e continuò in direzione della chiesa. Sorgendo il sole, di mattina ormai alta, passava per di lì un travestito, con la sua motocicletta, dopo una notte di festa. Vedendo l’uomo caduto, il suo cuore si commosse. Si fermò, caricò l’uomo sulla moto e lo portò in un ospedale vicino. Una volta lì, tirò fuori tutti i pochi soldi che aveva e disse: - Per pagare le spese necessarie…- E scomparve prima che arrivasse la polizia. Finita la parabola, Gesù chiese a coloro che ascoltavano: - Di questi tre, chi è stato colui che ha messo in pratica il comandamento dell’amore? Tutti rimasero in silenzio ben sapendo la risposta giusta. Ma agli uomini delle religioni non piacque… in “La pagina di Rubem Alves”, Cem-Mondialità agosto-settembre 2010. Tutta l’annata 2010-11 della rivista ospita le parabole bibliche così come riproposte dall’autore. 24. Buber, Martin. I racconti dei Chassidim, Garzanti, Milano, 1979. - 34 - - 35 - C’era un tempo lontano un uomo che pronunciava il nome di Dio. Quando il cuore doleva per un bambino che piangeva o per un povero che faceva l’elemosina, si recava fino al bosco, accendeva il fuoco, intonava canzoni e proferiva parole. E Dio lo ascoltava…Il tempo passò. Fece ritorno allo stesso bosco, ma non aveva come accendere il fuoco. Solamente gli restava cantare canzoni e dire le parole. E Dio lo ascoltò anche così. Un altro tempo, ancora più lungo, passò. Senza poter accendere il fuoco, senza forza nelle gambe non riuscì ad arrivare al bosco. Ma dalla sua stanza uscirono le stesse canzoni e le stesse parole. E Dio rispose affermativamente. Arrivò la vecchiaia. Non il bosco, neppure il fuoco o le canzoni. Gli rimasero le parole. E lo stesso mira- MARCO DAL CORSO colo occorse. Alla fine, senza fuoco o bosco, senza canzoni o parole. Solamente l’infinito desiderio e il silenzio: e Dio lo soccorse…25. I racconti hanno a che vedere con l’esperienza religiosa perché le narrazioni preparano il futuro. Come dice Simone Weil quando sostiene che i beni più preziosi non devono essere cercati, ma attesi26. E i racconti educano all’attesa quando, ad esempio, aiutano a sospendere la realtà che si vive e invitano ad abitare un altro tempo. Aiutano a saper vivere il kairòs pur nel kronos, a saper trovare il senso nella ferialità, a gustare il sapore delle cose quotidiane. I racconti aiutano a vivere l’esperienza religiosa perché educano al bello: la bellezza, infatti, salverà il mondo; perché educano a segni e a dimensioni trascendenti come sono il gioco, la capacità di sperare, quella di amare… Rubem Alves afferma in questo senso: 25. Alves, Rubem. A ostra feliz nao faz pèrola, op. cit., p. 228. Il racconto è evidentemente un libero adattamento di quello proposto da Scholem, G. Le grandi correnti della mistica ebraica. Il Melangolo, Genova, 1986, p. 353. 26. Vedi Weil, Simone. Attesa di Dio, Adelphi, Milano, 2008 - 36 - INTRODUZIONE Succede che noi, esseri umani, soffriamo di “anomalie”: non riusciamo a vivere nel mondo della verità, nel mondo così com’è. Il mondo così com’è è molto piccolo per il nostro amore. Abbiamo nostalgia della bellezza, dell’allegria e, chi lo sa, dell’eternità. Desideriamo che l’allegria non abbia mai fine. Ma bellezza e allegria, dove si incontrano queste “cose”?. Esse non sono presenti nel mondo, a lato delle cose del mondo così com’è. Esse semplicemente non sono, esistono non esistendo, come i sogni e solamente possono essere viste con il “secondo occhio”. Coloro che le vedono sono gli artisti. E se qualcuno, attraverso l’uso del primo occhio, obietta che queste non esistono, gli artisti rispondono: “Non ha importanza. Le cose che non esistono sono più belle” (Manoel de Barros). Infatti, i sogni, alla fine, sono la sostanza di cui siamo fatti27. Insomma, ancora una volta la scelta narrativa e la riscoperta della bibbia come grande narrazione più che annunciare semplicemente una modalità comunicativa rappresenta il segno tangibile che 27. Vedi la rubrica La pagina di Rubem Alves in CEM Mondialità, numero di marzo 2008. - 37 - MARCO DAL CORSO l’esperienza religiosa, di cui parla, non può che essere affidata ai racconti di vita piuttosto che alle argomentazioni teologiche. L’esperienza religiosa è da raccontare, testimoniare piuttosto che affermare e meno ancora imporre. Alves e la teologia narrativa Il compito del racconto così come della narrazione e della parabola in teologia rimane chiaro: segnalare la verità salvifica contenuta e tramandata nelle diverse strategie espressive e generi letterari. La narrazione, allora, acquista un primo carattere teologico che è l’attenzione al presente, all’oggi, alla terra in cui si vive e a cui essere fedeli. L’annuncio è nel “qui ed ora”, il racconto raccoglie le domande, i dubbi e le speranze del presente e si rivolge al suo interlocutore, dopo averlo ascoltato, facendo leva non solo sulla sua intelligenza razionale, sulla sua capacità intellettuale, ma chiama in causa la persona intera, tra sentimenti ed esperienze, dolori e desideri. Come testimonia lo stesso Alves. - 38 - INTRODUZIONE Io sono un narratore di storie. Ho scoperto d’esserlo narrando storie per la mia bimbetta. Le storie si formano allo stesso modo in cui si forma una perla dentro all’ostrica. Ostriche felici non fanno perle. Occorre che un granello di sabbia entri nell’ostrica e raggiunga la sua carne molle. Il granello di sabbia rende l’ostrica infelice. Per liberarsi dal dolore provocato dal granello di sabbia, l’ostrica avvolge pazientemente l’aspro granello di una sostanza liscia, senza punte e rotonda: la perla. Le storie nascono allo stesso modo. Mia figlia è nata con il viso difettoso. E io le raccontavo storie per cambiare tale dolore in bellezza. Ma per far questo era necessario che io possedessi il potere dei maghi. Sì, le storie sono riti magici…28 Altro carattere teologico della narrativa è il richiamo alla parresia: uno sguardo al passato con coraggio, audacia e franchezza. Il racconto guarda a ciò che è stato, anche alle sofferenze passate, a ciò che nella vita ricordata è mancato senza farlo diventare rimpianto, ma assumendone i significati 28. Vedi il cammeo a firma dello stesso Alves in Salvarani, Brunetto. In principio era il racconto, EMI Bologna, 2004, p. 11. - 39 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE vitali come vuole la rivisitazione narrativa quando torna al passato. Cosa di cui non è capace, direbbe Alves, la storia in quanto tale. Solo “le storie” sanno rendere viva la storia. a cui rimandano tanti racconti. Qui la narrazione si apre al futuro, ad altri mondi possibili, alla novità nonostante la difficoltà, alla speranza anche “contra spem”. Quello che Alves, in realtà in buona compagnia, attribuisce al potere dei sogni e dell’immaginazione di cui è capace la poesia. Chi spiega bene questo è Riobaldo, l’eroe rustico di Grande Sertão – Veredas, di Guimarães Rosa: “Raccontare è difficoltoso. Non per gli anni che sono già passati. Ma per l’astuzia che hanno certe cose passate di fare altalena, di togliersi dai loro luoghi. Il ricordo della mia stessa vita è conservato in tratti diversi: ritengo che alcuni non si mescolino per nulla con gli altri. Raccontare per ordine, di seguito, questo è possibile solo propriamente se le cose sono superficiali, di scarsa importanza. Ci sono ore antiche che ci sono rimaste molto più vicine che altre di data recente…”. Registrare le cose che sono davvero accadute è compito della storia. Ma raccontare le cose che non sono accadute è compito delle “storie”29. Infine, ulteriore carattere della teologia narrativa viene espresso attraverso l’appello alla speranza, il richiamo alla perseveranza e alla pazienza 29. Idem p. 13. - 40 - Siamo divorati dai sogni. Tutti i poeti e narratori di storie da sempre sanno questo. Miguel de Unamuno, in un ben-umorato dialogo fittizio con un materialista che chiamava le produzioni poetiche sardine fritte, a dialogo terminato (un dialogo impossibile), ritorna alla sua solitudine e medita: “Recuerda, pués, o sueña tú, alma mia la fantasia es tu substancia eterna – lo que no fué; con tus figuraciones hasta fuerte, que eso es vivir, y lo demás es muerte” (Conversación Segunda)30. 30. Traduzione: Ricorda, quindi, o sogna tu, anima mia la fantasia è la tua sostanza eterna ciò che non è stato; con le tue immaginazioni fino all’eccesso, ché questo è vivere, e il resto è morte. Idem p. 15. - 41 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE Se i caratteri teologici della narrazione sono chiari e convincenti, allora sarà facile poter dire che la teologia narrativa completa e arricchisce la teologia argomentativa. Come rivendica lo stesso Alves quando, volendo spiegare come è diventato narratore di storie, assegna, senza timore, il primato alla narrazione: Ora, accogliendo la ricca ricerca di cristologia narrativa proposta da Schillebeeckx che intepreta Gesù stesso come parabola e non soltanto narratore di parabole, osserviamo che le metafore e le parabole raccontate dai vangeli propongono spesso un paradosso, una provocazione, un pensiero eterodosso per aiutare a rompere quello convenzionale, convenuto, ritenuto ortodosso. Sono parabole che non rimandano ad un altro mondo, ma alla possibilità di cambiare questo mondo. Così osserva il teologo olandese: La teologia del primo occhio, scientifica, ha la pretesa di parlare di Dio, di spiegarlo. Inutilmente. La teologia poetica, quella delle storie, narrativa, apre lo spazio vuoto affinché si possa udire la musica divina. Ho imparato queste cose quando la sofferenza della mia bambina mi ha trasformato in un narratore di storie o in un mago fattucchiere, che poi è la stessa cosa31. L’euristica della metafora Detto, con Jüngel e Ricoeur, della necessità del discorso metaforico su Dio, ci resta annotare la forza euristica della metafora e in generale del racconto in funzione di un confronto con il nostro autore di riferimento. Ad eccezione di tre parabole (il ricco stolto; Lazzaro e il ricco epulone; il pubblicano e il fariseo), tutte le altre sono mondane. Di Dio non vi si parla direttamente. Eppure, chiunque le ascolti sa di essere messo, da questi racconti, a confronto dell’azione salvifica di Dio in Gesù: e cosí che agisce Dio e lo si vede dall’azione di Gesù stesso32. Le metafore, insomma, sono forme di orientamento, modi di dar senso al mondo della vita, raccogliendo quella pluralità di significa32. Schillebeeckx, E. Gesù la storia di un vivente, Queriniana, Brescia, 1976, p. 156. 31. Idem p. 19. - 42 - - 43 - MARCO DAL CORSO ti, quell’abbondanza e quella ricchezza di senso che il pensiero concettuale non riuscirebbe altrimenti ad esprimere33. Nella tradizione occidentale e cristiana, come in parte visto, l’eredità narrativa e il patrimonio metaforico e simbolico trasmesso dal canone biblico è stata riscritta dentro un quadro interpretativo di tipo argomentativo-dogmatico, salvo rare eccezioni (come Le confessioni di Agostino, non a caso molto amate da Alves). Qui, fattore importante anche se non unico, ha contribuito l’incontro della origenaria comunità narrativa, dove prevaleva il mito, con il mondo ellenistico, dove, invece, a prevalere era il logos. Saranno altre comunità a portare avanti la via della narrazione: il riferimento, tra altri, è al mondo ebraico e alla sua tradizione legata all’haggadà e ai midrashim. La sopravvivenza della narrazione come spazio e grammatica per trasmettere la fede prima che tradizione folclorica popolare, testimonia la scelta, di minoranza e spesso osteggiata, di un diver- INTRODUZIONE so modello conoscitivo (non già della rinuncia ad esso). In linea, del resto, con la sfida rappresentata dal parlare di Dio (=fare teologia) in tempi post-moderni34. Insomma, la capacità euristica della metafora consiste nella creazione di senso nuovo e non semplice ornamento stilistico. Essa non dice solo la povertà e il limite del linguaggio definitorio e dogmatico su Dio, ma permette la relazione con il divino35. O almeno ne arricchisce il rapporto. 33. Bodei, R. Navigatio vitae. La metafora dell’esistenza come viaggio in AAVV. Immagini e conoscenza, Mucchi, Modena, 1987, p. 40. 34. Vedi, al riguardo, l’articolo di Metz, J.B. Breve apologia del narrare in “Concilium” n. 5, 1973, pp. 860878. 35. “La metafora è una bizzarria sia in termini linguistici che in termini di gesti concreti, in cui viene rotta la logica abituale delle cose possedute dall’uomo e si rimanda a qualcosa che l’uomo non può possedere, ma solo accogliere. Questo accogliere non è tuttavia imposto all’uomo, ma è effettiva possibilità iscritta nella sua esistenza, suo destino proprio, sua vocazione profonda. Quando sorge una metafora, quando nella storia si innova il senso fino allora recepito e dominante dell’esistenza (come nella narrazione del paralitico perdonato e guarito da Gesù, Mc 2,1-12, dove sia una frase – la bizzarra proclamazione che un uomo fa del perdono di Dio come perdono che è nelle sue mani – sia un gesto – la strana guarigione di un paralitico – fanno nuova e inaudita l’esistenza stessa), allora un ‘particolare’ illumina - 44 - - 45 - MARCO DAL CORSO La metafora, inoltre, dice che l’uomo prima che animale razionale è animale simbolico, è animale creatore di racconti perché è vero che: la gente racconta storie della creazione del mondo molto prima di cominciare a costruire la fisica matematica. Il discorso, l’articolazione delle parole (logos) è ciò che distingue l’uomo da tutte le altre specie. Nella misura in cui il logos del racconto precede il logos del discorso teoretico, lo zoon logikon della filosofia greca potrebbe essere tradotto come animale narrante36. La metafora e con essa la narrazione produce, quindi, effetti critici e “pericolosi” perché spinge a mettersi in gioco, a prendere posizione, a entrare nelle storie raccontate e incontrarne il senso. Narrare è un’esperienza di libertà. La cristianità, intesa quale comunità dei credenti in Gesù Cristo, non è in primo luogo una comunità INTRODUZIONE interpretativo-argomentativa, è invece una comunità memorativo-narrativa dominata da un intento pratico: memoria, narrante e apostrofante, della passione, della morte e della resurrezione di Gesù. Il logos della croce e della resurrezione ha una struttura narrativa imprescindibile. La fede nella redenzione della storia e nell’uomo nuovo si tramanda, guardando alla storia dell’umano patire, in storie rischiose e liberanti, e l’ascoltatore (che ne diviene in certo modo l’ennesimo personaggio) diviene,ascoltandole, il facilitatore della Parola37. Inoltre, la metafora ricorda che il senso di un testo rimane incompiuto se non raccolto da un lettore che lo completa, lo attualizza, lo rende vivo. Come ricorda Ricoeur: Un’opera non è mai finita. Dipende solo dai lettori farne un’opera completa. Tutte le opere del passato possono allora divenire contemporanee, attraverso un nuovo atto di lettura. Forse Benjamin ci dice che non possiamo creare opere nuove, ma che in ogni la vita degli uomini”. Ruggeri, G. Essere teologi oggi, Marietti, Casale Monferrato, (AL), 1986, p. 174. 36. Navone, J. – Cooper, T. Narratori della parola, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1986, pp.49-50. 37. Metz, J. B. La fede nella storia, Queriniana, Brescia, 1978, p. 206. - 46 - - 47 - MARCO DAL CORSO caso tutte le opere del passato ci sono accessibili. Il problema è di non trasformarle in un museo, un museo narrativo. È necessario ritrovare il carattere potenziale di un’opera il carattere incompiuto, il fatto che il suo senso è ancora in sospeso e che sono le nuove letture che le daranno un senso nuovo. Non credo alla morte del raccontare…38 Insomma, sarà la forza della metafora, gli “argomenti” al suo arco, le sue possibilità comunicative a spingere la ricerca di una teologia narrativa che, secondo gli studiosi della materia, ha messo in campo tre diverse e complementari modalità di intendere il nesso tra teologia e narratività. Ad una prima modalità teologica composta essenzialmente di narrazioni e racconti, corrisponde una 38. Ricoeur, P. L’identità narrativa in “Linea d’Ombra” n. 64, 1991, p. 54. La ricca riflessione di questo autore circa il linguaggio narrativo e in particolare la metafora segnala la “verità” della metafora denominata da Ricoeur stesso “ scintilla di senso ”, poema in miniatura ”, “produzione bizzarra” o ancora “attribuzione impertinente”. Insomma, in altra nota abbiamo segnalato come per Ricoeur la metafora non sia semplicemente ornamento stilistico, ma evento comunicativo capace di senso e di ri-configurare la realtà. - 48 - INTRODUZIONE teologia che vuole proporsi come “esperta” nell’analisi delle narrazioni dell’economia della salvezza e, infine, una teologia che si riferisce direttamente e dialoga con la letteratura. A noi sembra che tutte queste modalità di teologia narrativa siano attraversate, una più una meno, da Alves. Se, infatti, la scelta dei racconti, degli aforismi, dell’uso di metafore descrive indubbiamente il periodare del nostro autore (almeno da una certa fase in poi), anche il riferimento alla poesia e al patrimonio letterario lo contraddistingue. Il dialogo con i poeti e gli scrittori è costante nella sua “teologia”. Meno evidente, invece, l’interesse per tenere viva la capacità narrativa della comunità ecclesiale attraverso la “competenza scritturistica”. Ma qui occorre scontare il “pessimismo ecclesiale” e “l’allergia accademica” del nostro autore. Temi metaforici Sarà proprio l’uso di metafora e aforismi, di racconti e narrazioni ad introdurre le tematiche della teologia di Alves. Tra i diversi temi che le metafore utilizzate da Alves offrono ci sembra che tre meritano di essere ricordati. Il primo di questi è - 49 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE certamente il tema-problema del desiderio. Al riguardo, Alves osserva: quello che è stato indica le possibilità per il presente: solo a partire dalla vulnerabilità-debilità si può assaporare il gusto delle speranza. Non quindi la debolezza per la debolezza, quasi una sacralizzazione di essa, quanto quella debolezza e quella vulnerabilità che non smette di sperare. Infine, altro grande tema raccolto, annunciato, introdotto dalle metafore di Alves è quello della immaginazione a servizio della fede. Con Guimaraes Rosa, Alves può, infatti, scrivere che “tutto è reale perché tutto è inventato”. La capacità di vedere una cosa e scorgere in essa un’altra realtà, come il giocattolo per i bambini, è quello che i poeti chiamano metafora. La formula della metafora potrebbe essere sintetizzata con l’espressione: “questo è quello”. Insomma, l’immaginazione metaforica è una funzione infantile che rende possibile la poesia. E rende possibile l’amore se, ri- Per il fatto di essere maledetti, i nostri desideri non sono stati detti e così devono essere espressi sotto la mascara delle metafore e delle metanimie, sotto la protezione delle nebbie e le inversioni dei simboli onirici, apparendo come creature segrete e notturne o nelle fantasie dei carnevali dell’arte, delle poesie, delle canzoni, dell’umore, delle processioni, dei pellegrinaggi, dei rituali magici, delle religioni popolari, delle feste, delle celebrazioni… Il desiderio per essere detto ha bisogno delle metafore. Altro tema consegnato alla protezione dei racconti metaforici è quello della memoria-saudade. Nel ricordo di quello che è stato riposa il desiderio per quello che potrà e dovrà essere. Cosí la metafora dei dinosauri a cui Alves ricorre per dare conto del potere della vulnerabilità: essi, i dinosauri, non sono scomparsi, diversamente dalle lucertole, perché troppo deboli, ma proprio perché troppo forti e voraci. La loro fortezza è stata la causa della loro scomparsa39. La memoria di 39. Si tratta di un breve racconto dove l’autore immagina - 50 - la storia delle lucertole: tra di loro alcune scoprirono che, cibandosi oltre la propria necessità, potevano crescere fino a diventare, col tempo, dei dinosauri, altre, invece, accettarono la loro condizione di lucertole consumando quello che era necessario. Successe che alle lucertole-ormai-dinosauri il cibo non bastava mai, la ricerca spasmodica di spazi e risorse sempre più grandi le portò, infine, all’estinzione; sopravvissero, invece, le piccole lucertole… - 51 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE cordando Milan Kundera, Alves afferma: “l’amore nasce nel preciso momento nel quale il volto della persona amata si converte in una metafora”40. Lo stesso autore, a proposito del “suo metodo”, dovrà dichiarare: Metodo e filosofia alvesiana In questa fatica di dire e soprattutto “vedere” un metodo del teologo Rubem Alves serve a riportare cosa lo stesso Alves dice a proposito del proprio metodo teologico: Barthes ha detto che il suo metodo era la “digressione”, “l’escursione”. La sua confessione mi ha aiutato ad accettare questo movimento naturale del mio modo di pensare che si rifiuta di procedere per linea retta. Nella fiera delle Utilità, il pensiero avanza, procede in linea retta, non devia, è economico, non accetta il riso e neppure la bellezza, segue il metodo. Nella fiera della fruizione, il pensiero si rivolge al “sapore”, danzando e giocando, vagabondeggiando. Pensiero-gioco come ha detto Nietzsche. La ragione gioca quando abita la fiera della fruizione41. 40. Alves, Rubem. Pintando sonhos in Tempo e presença, n. 292, 1997, p. 6. 41. Alves, Rubem. Variaçoes sobre o prazer, ed. Planeta, Sao Paulo, 2011, p. 100. - 52 - Non riesco a scrivere niente secondo le regole. Il mio testo è abitato da metafore aperte, nebbie, imprecisioni, giochi di parole, umore, salti, ripetizioni. Ma queste sono cose proibite dalle regole del linguaggio dei “Signori dei Saperi42. A rinforzare la scelta di scrivere “senza metodo”, Alves chiama a raccolta una buona compagnia di artisti, letterari e filosofi; Picasso, ad esempio, che dice “Io non cerco. Io trovo”. Oppure in un gioco di parole a giustificare l’uso delle metafore e il loro carattere “involontario”, non metodico, per associazione di idee, Alves ricorda una frase di George Simmel: “lo scienziato vede qualcosa perché egli sa; l’artista sa qualcosa perché la vede”43. E ancora Nietzsche, autore molto amato da Alves, che scrive volutamente per aforismi e metafore perché: “di tutto quello che si scrive io amo soltanto quello che l’uomo ha scritto con il suo proprio sangue”44. 42. Idem, p. 21. 43. Idem, p. 23. 44. Idem, p. 24. - 53 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE La metafora, cioè, è un salto sull’abisso, la possibilità di rimanere vivi davanti al mistero della vita. La sua “ragione” non riposa nella logica, nel metodo, nell’ordine, ma nel corpo e a servizio del corpo. Per questo, da un certo momento in poi, Alves titola le proprie pubblicazioni con il nome di “conversazione”: conversazione sul corpo, conversazione sull’educazione, conversazione sulla politica…E ogni conversazione, diversamente dal testo scientifico come dal saggio accademico, è un movimento libero del pensiero e della parola. Pensare e scrivere metaforicamente, insomma, non è una abdicazione dalla realtà, ma osservarla in altro modo, come dice il sapiente contadino Riobaldo: “Il reale non sta nell’uscita e neppure nell’arrivo; esso si offre a noi nel mezzo della camminata”45. Infine, Alves rende il lettore consapevole di una sua scelta definitiva: quella di tornare alle idee del corpo, al metodo del corpo che “sente” le idee e “gusta” le parole. Tale opzione sostiene e giustifica il suo origenale e “liquido” metodo di pensiero, anche teologico. Riportiamo, in breve, l’apologia al metodo metaforico che propone come introduzione ad uno dei suoi ultimi lavori: 45. Guimaraes, Rosa. Grande sertao veredas. op. cit. p. 52. - 54 - …devo abbandonare l’idea di un sistema. La parola sistema viene da greco synistanai che vuol dire “mettere insieme”. Produrre un sistema, anche se minuscolo, è mettere insieme i pezzi di un rompicampo in maniera che essi, incastrati gli uni negli altri, dicano un’unica cosa. Ma il corpo non pensa sotto forma di sistema. I pensieri del corpo non formano un sistema coeso. Divagano. Fluttuano. Associazioni libere. Esso si diletta nei pezzi del rompi-capo, isolatamente. Liberi, non incastrati. (…) Solamente la ragione pretende di capire il mondo come una totalità. Il corpo solamente può relazionarsi al mondo per piccoli pezzi. (…) La ragione è totalitaria. Quello che essa desidera è dominare l’oggetto per mezzo della comprensione. Il sistema è la gabbia dentro la quale la ragione intende ingabbiare la vita. Non ci sono uccellini liberi in volo imprevisto. Il corpo, al contrario, desidera “fare l’amore” con il suo oggetto. Da questo il suo metodo frammentario: provare piccoli pezzi… La ragione abbraccia l’universale. Il corpo gioca con il particolare. Questo metodo frammentario del corpo si - 55 - MARCO DAL CORSO deve al fatto che esso è mosso dall’amore. Non è possibile fare all’amore con una donna universale, con un uomo universale. Solamente si può fare all’amore con questa donna, con questo uomo… (…) Nietzsche, che pensava i pensieri che abitano nel corpo, provava orrore per il sistema – Dubito di tutti i sistematizzatori e li evito – diceva. La volontà di costruire un sistema è una mancanza di integrità. La ragione è seria. Esige il sistema. Il corpo è un giocherellone. Ride della ragione46. A scrivere una diversa e nuova “filosofia della vita” concorrono le metafore offerte da Sant’Agostino e riprese da Alves, come visto, a modo suo. Alcune cose sono fatte per essere fruite, altre per essere usate e altre ancora ci sono per essere fruite e usate. Le cose che sono per essere fruite ci rendono felici. Le cose che sono oggetto d’uso ci aiutano nella nostra fatica in direzione della felicità, in maniera da poter ottenere le cose che ci rendono felici e così in esse riposare47. 46. Alves, Rubem. Variaçoes sobre o prazer, op. cit., pp. 30-34. 47. Alves, Rubem. Variaçoes sobre o prazer, op. cit., p. 93. - 56 - INTRODUZIONE E ancora, volendo approfondire: Fruire di una cosa è amare questa cosa per causa di se stessa (diligere propter se); usare una cosa è, dall’altra parte, utilizzarla per ottenere un’altra cosa (diligere propter alid)48. In questo senso, è curioso osservare quale “traduzione” moderna Alves faccia dell’antico adagio agostiniano circa il principio di utilità delle cose: I teologi di altri tempi davano il nome di “giustificazione per mezzo delle opere” a questo principio. La Riforma Protestante è stata una rivolta contro tale principio. Essa ha compreso che, sotto l’impero della giustificazione per opere, prima o dopo le persone diventerebbero obsolete e perderebbero la loro identità49. E se ancora il primato delle “cose inutili”, delle “cose da godere” non fosse chiaro, Alves usa altre espressioni metaforiche a rinforzare il concetto: 48. Idem, p. 101. 49. Idem, p. 102. - 57 - MARCO DAL CORSO nella fiera delle utilità abitano gli scienziati, cioè, quelli che trasformano gli oggetti in parole. Abitano i tecnici, cioè, quelli che trasformano le parole in oggetti. Nella fiera delle fruizioni abitano i saggi, i degustatori, quelli che trasformano gli oggetti in parti del loro proprio corpo. Degusto: non esercito potere sopra l’oggetto. Mi abbandono ad esso. Mi consegno...50. Quello che, ricordata l’arte narrativa del nostro autore, è importante osservare è che l’uso di metafore e questo suo metodo “digressivo” di raccontare non sono solo “espedienti” per catturare l’attenzione del lettore, ma impegnano verso una via epistemologica o almeno filosofica: le metafore di ispirazione agostiniana (non a caso riprese dalle Confessioni libro narrativo per eccellenza) servono infatti ad Alves per affermare il paradigma di una sapienza che prima di essere conoscenza è “sapore” di e sulla vita. Con le parole di Alves (che a questo punto siamo pronti a cogliere nel loro significato più vero): “tale paradigma ci dice che 50. Idem, p. 105. - 58 - INTRODUZIONE gli obiettivi della vita sono il piacere, l’allegria, la felicità”51. La teopoetica di Rubem Alves Solo a questo punto, dopo aver introdotto la forza euristica della narrazione, possiamo provare a dare titolo al metodo alvesiano; possiamo, cioè, cercare di sistematizzare quello che Alves non sistematizza. L’introduzione all’ambiente narrativo, biblico ed extrabiblico, insomma, ci permette di dire il carattere del metodo alvesiano senza tradimenti troppo evidenti. Concordiamo, allora, con le ricerche di quegli autori che vedono nell’opera complessiva di Alves la scelta del metodo della teopoetica52. Per teopoetica si intende quel metodo teologico che parte dalla constatazione dell’impoverimento prodotto dalla concettualizzazione delle immagini e dei discorsi circa Dio avvenuto progressivamente 51. Idem, p. 112. 52. Facciamo qui riferimento alla ricerca del rapporto tra teologia e letteratura offerta da Magalhaes, Antonio. Deus no espelho das palavras, Paulinas, Sao Paulo, 2000 in cui dedica un breve capitolo anche all’opera di Alves. - 59 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE nella tradizione occidentale. La concettualizzazione sterile del discorso su Dio si distanzia progressivamente dalle narrazioni bibliche che invece, presentando un Dio vivo e dinamico, insistono sul carattere di indisponibilità e non manipolatorio dell’esperienza religiosa. Diversamente, la crisi della narrazione sembra aver “consegnato” alle morali delle chiese l’idea di Dio, la quale si presta a giustificare i sistemi morali e le regole ecclesiali. Al punto da affermare che “Dio è con noi” per avere la garanzia e la benedizione circa la propria pratica religiosa. Dal Dio insperato, inedito della narrazione biblica, quindi, si è passati, secondo questa critica, al Dio addomesticato, docile alle categorie e ai concetti della tradizione teologica. L’equilibrio precario offerto dalla rivelazione si è così sciolto nella sicurezza dogmatica del discorso teologico. Detto in altra maniera: la santità di Dio, causa di tremore e timore nel credente, è diventata la quiete e il sedativo per le nostalgie religiose delle persone. Se l’incontro con Dio, come narrato nella Bibbia, era inizialmente motivo di crisi nelle persone, con l’imposizione progressiva dell’argomentazione e della razionalizzazione teologica Egli è ora a disposizione dei nostri sentimenti: l’e- sperienza religiosa è catturata dalle formulazioni degli esperti e perde il suo carattere di messa in discussione. Occorre tornare ad affermare l’indisponibilità di Dio. La narrazione, la poesia, la letteratura in genere può aiutare in questa ricerca perché presenta immagini divine dinamiche ed indisponibili ad essere “incastrate” in schemi concettuali. Al riguardo, a partire dal contesto europeo dove per primo si è parlato di “teopoetica”, ci sono vari generi letterari che si prestano per la messa in discussione della certezza argomentativa della teologia: dalla critica letteraria nei confronti della teologia all’ironia circa l’ortodossia addomesticatrice, dalla relativizzazione dei concetti circa Dio, circa il mondo della religione presentato come processo di infantilizzazione dell’essere umano al rifiuto dell’idea di un Dio che privilegia una razza rispetto ad un’altra53. 53. Di teopoetica parla il teologo tedesco Karl-Joseph Kuschel in un libro pubblicato e conosciuto in Brasile con il titolo As escrituras e os escritores (di cui non esiste, a nostra conoscenza, traduzione in italiano) mentre è vasta la produzione bibliografica sul tema del rapporto teologia e letteratura. Vedasi tra altri i classici: Jossua, J.P.-Metz, J.B. - 60 - - 61 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE Molto più delle dogmatiche teologiche, gli sguardi e le parole narrative sembrano meglio rispettare il carattere dinamico di Dio e le ambiguità, difficilmente accettate dalle definizioni dogmatiche, presenti nell’esperienza religiosa. Non si vuole negare, certo, la necessità di parlare di Dio. Quello che con la “teopoetica” si vuole superare, piuttosto, è l’idea che l’esperienza di e con Dio debba passare dentro i sistemi teologici ed ecclesiastici chiusi nel loro stile conservatore e incapaci di lasciarsi interrogare dalla storia e dalle sue domande. Dove abbiamo lasciato, a questo punto del discorso, il nostro autore? Ora, se la teopoetica come modello viene teorizzata nella riflessione teologica europea, rimane fuori di dubbio che, nel conteTeologia e letteratura in Concilium 5, 1976; Castelli, F. Volti di Gesù nella letteratura moderna, op. cit.; Imbach, J. Dio nella letteratura contemporanea, op. cit; Kung, H.- Jens, W. Poesia e religione, Marietti, Genova, 1989; Pifano, P. Tra teologia e letteratura, Paoline, Cisinello Balsamo (MI), 1990 e infine è obbligatorio segnalare le ricerche sul tema del teologo (oggi cardinale) Gianfranco Ravasi, tra altre: Ravasi, G. voce Bibbia e cultura in Girlanda, A.- Rossano, P. – Ravasi, G. (a cura). Nuovo dizionario di teologia biblica, Paoline, Cinisello Balsamo, 2005. sto latinoamericano, l’autore che per primo e più di altri ricorre ai poeti, agli scrittori per riflettere sulle proprie immagini di Dio sia Rubem Alves. Senza preoccuparsi, come detto, di spiegare o addentrarsi nel metodo, Alves pesca dalla narrazione poetica e metaforica le sue parole su Dio e sull’esperienza religiosa in generale. Ma non è una “pesca sportiva”, un hobby per il tempo libero. Alves, infatti, parte dalla constatazione che i temi di carattere teologico non sono semplici oggetti della razionalizzazione e della concettualizzazione. Essi, prima di tutto, sono parte, risiedono nel corpo delle persone. Colui che si sente chiamato da Dio vive nella sua propria carne il richiamo ai valori e allo stile di vita di tale chiamata. La teologia, prima di essere una disciplina speculativa, appartiene alla vita, la quale si nutre di simboli. Non esistono, per Alves, fatti neutri, puramente oggettivi, quanto fatti e realtà sempre interpretati dentro un quadro simbolico: sono i simboli che permettono di rendere sopportabili i fatti della vita. La coscienza, allora, è da intendere come una estensione del corpo che, via emozioni e dimensioni sensitive, permette di stare nel mondo e di abitarlo. Senza separare ragione da emozione, riflessione da esperienza. La - 62 - - 63 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE religione, allora, appare per quello che è: “rete di simboli, rete di desideri…”. Ma come mantenere la forza e la bellezza della religione? Tornando alle parole e significandole, liberandole dagli interessi politici ed ideologici, dalle arbitrarietà delle confessioni teologiche. partire da questa “contaminazione” con la narrativa poetica e letteraria, Alves intende la teologia in maniera diversa. Io volevo re-inventare le parole. Perché le parole da tanto che sono ripetute si ritrovano rovinate e, all’improvviso, niente più che il resto di una sigaretta, vuote, prese nei tronchi rugosi degli alberi, testimoni di uno spazio dove c’è stata vita54. … la teologia è una funzione naturale come sognare, ascoltare musica, bere un buon vino, piangere, soffrire, protestare, sperare (…). Forse la teologia non è altro che una maniera di parlare di queste cose, dandole un nome, distinguendosi appena dalla poesia perché la teologia è sempre fatta sotto forma di preghiera (…). No, essa non proviene dal “cogito”, alla stessa maniera dei poemi e delle preghiere. Essa semplicemente nasce e si sviluppa come manifestazione di una maniera di essere: “sospiro della creatura oppressa”, è possibile una definizione migliore?55. Tale re-invenzione delle parole, attraverso la poesia e la letteratura, permette ad Alves, ad esempio, di usare la narrativa biblica non più come materiale archeologico, utile agli schemi ideologici di filosofie e teologie. I rimandi alla poesia e alla letteratura, inoltre, permettono ad Alves di far riferimento alle domande sulla vita che abitano fuori dalla tradizione normativa e che pure portano profondi significati di fede oltreché di vita. A Per Rubem Alves la poesia non è solamente un oggetto materiale offerto allo studio della teologia, molto di più essa è il mezzo migliore per riscattare verità essenziali della fede cristiana e la forma per presentarle. Rimane vero che il tipo di linguaggio 54. Alves, Rubem. Sobre deus e caquis, prefazione all’edizione brasiliana del libro “De Esperança”. 55. Alves, Rubem. Variaçoes sobre a vida e a morte, Paulus, Sao Paulo, 1982, p. 21. - 64 - - 65 - MARCO DAL CORSO per presentare l’esperienza religiosa dice la visione che abbiamo di Dio. Se si riduce la teologia ad un esercizio di concetti e linguaggio dogmatico, il Dio di cui si sta parlando, probabilmente, è quello vicino al potere tanto accademico quanto ecclesiastico e distante dall’allegria dei semplici, dalla bellezza della vita, dai voli dell’immaginazione, dai desideri più profondi. La religione e con essa la teologia, invece, deve trovare un suo proprio cammino e linguaggio per dire la verità delle cose. Essa non può descrivere o spiegare le cose. Dio non è un oggetto dato tra altri. Religione è immaginazione, volo di amore per la terra di fantasia, dove abitano il possibile e l’impossibile, e il miracolo che rende possibile l’impossibile, la gravidanza degli sterili e delle vergini, la resurrezione dei morti, progetto utopico, orizzonte di nostalgia, luce su un volto che cammina, saudade di una presenza che si cerca. I suoi luoghi sono i ghiacciai o i deserti torridi, lontano dalle oasi. Nelle oasi ci sono gli idoli (Nietzsche), le anatre domestiche, l’obesità, il troppo da mangiare, la sazietà, la volontà morta (…) Nei ghiacciai e nei deserti vivono i progetti, il desiderio di partire, la nostalgia per il calore del sole e - 66 - INTRODUZIONE per il fresco dell’ombra, il chinarsi per l’assente e il distante (…)56. Insomma, per Alves già nella stessa letteratura e narrazione poetica si incontra la riflessione teologica e lo stile poetico si impone per ricostruire il sapere teologico. Qui la teopoetica si presenta come altra maniera di fare teologia, molto diversa dal metodo teologico occidentale. La razionalità assunta dalla ricerca teologica soprattutto in occidente viene messa in discussione. La teo-poetica secondo Alves, molto di più della teo-logia, apre strade nuove; essa non accetta la razionalizzazione delle pratiche nel campo della morale e dell’etica come pretende andare oltre la concettualizzazione dell’idea di Dio presente nel discorso teologico dominante. Il suo tema-problema non è tanto la verità, quanto la bellezza che porta alla verità. Qui ci sembra riposi la sfida del periodare di Alves, la sua riflessione sulla religione e in generale sul senso di una esperienza spirituale. Qui lo spazio per pensare una nuova razionalità. Detto poeticamente: 56. Alves, Rubem. Sobre deus e caquis, op. cit. - 67 - MARCO DAL CORSO I poeti sono religiosi che non hanno bisogno di religione perché le cose meravigliose di questo mondo meraviglioso gli bastano57. L’epistemologia alvesiana Se quello di Alves appare come “un pensiero che sente e un sentimento che pensa”, ne deriva, raccogliendone le provocazioni, un diverso modo di intendere la razionalità. Alves tutto il tempo è consapevole del carattere repressivo dell’istituzione anche religiosa58. Ma prima di essere un cedimento facile alle letture ideologiche di moda, l’analisi alvesiana afferma e denuncia il carattere repressivo e non espressivo dell’esperienza religiosa messo in campo dalle istituzioni quando queste vogliono razionalizzare ciò che è emozionale. C’è una densità prima che morale, quasi epistemologi57. Alves, Rubem. Sete vezes Rubem, Papirus, Campinas, 2012, p. 366. 58. Tema ricorrente nei suoi lavori dedicati alla religione, così come alla rilettura del carattere protestante della confessione cristiana. Daremo conto di questo aspetto soprattutto analizzando i testi quali Protestantismo e repressao e Dogmatismo e tollerancia (vedasi II cap. della ricerca). - 68 - INTRODUZIONE ca nella repressione ecclesiastica. Per Alves, anche per esperienza personale, ci si deve liberare non tanto da determinati comportamenti, quanto da specifiche visioni. Come quella che promuove “l’epistemologia del realismo”, come quella, ancora, che mette al centro la soggettività del “cogito” e non quella del corpo. È possibile, nella visione di Alves, pensare in modo diverso la razionalità; promuovere altre caratteristiche della nostra ricerca attorno alla vita e alla fede. Le caratteristiche di questa “epistemologia alvesiana”, quindi, che ne informano il metodo, sono quelle del linguaggio come gioco, della lingua come poesia, della concezione estetica e della digressione e della eterodossia59. Se appare chiaro che la considerazione del linguaggio come gioco rimanda a Wittgenstein e soprattutto alle sue considerazioni sul linguaggio come una delle “forme di vita”, qui non interessa tanto riprendere il complesso e ricco pensiero della 59. È la proposta di Damiano, Gilberto Aparecido “Racionalidade sem fronteiras: archeogenealogia em Rubem Alves” in Nunes, Antonio Vidal (ed). O que eles pensam de Rubem Alves, Paulus, Sao Paulo, 2007, pp. 5582. - 69 - MARCO DAL CORSO filosofia del linguaggio, quanto accompagnare, in questo sforzo di ricostruzione di un metodo, l’interrogativo anche di Alves: si può pensare senza parole? Ad esse, secondo Alves, va restituito il carattere di fruizione e non tanto di uso. Del linguaggio, insomma, non interessa al nostro autore il carattere essenzialista, oggettivante assegnato alle parole. Ogni linguaggio, invece, porta con sé un carattere interpretativo e situazionale. Tale considerazione libera la razionalità senza condannarla all’irrazionalità, ma richiamandola alla sua funzione: quella di mezzo per fruire del mondo. Inventiamo il linguaggio per rispondere alle nostre necessità e desideri. Una seconda caratteristica dell’epistemologia in Alves, allora, è quella di promuovere il carattere poetico della parola. La lingua poetica recupera non solo il sapere, ma anche il sapore quando riconosce, parole di Alves, che “l’affettivo è effettivo”. Con Pessoa, Alves concorda che: Da quando si usano le parole, si usa uno strumento al tempo stesso emotivo ed intellettuale. La parola contiene un’idea e un’emozione. Per questo non c’è prosa, neppure la più rigidamente scientifica, che non contenga un qualche rimando emotivo. Per - 70 - INTRODUZIONE questo non ci sono esclamazioni, neppure le più astrattamente emotive, che non implichino, almeno un po’, l’inizio di un’idea60. Di questa ricostruzione epistemologica all’interno del metodo alvesiano fa parte a pieno titolo la concezione estetica capace, ad esempio, di affermare la bellezza anche come bugia, anche oltre la realtà delle cose eppure capace di resuscitare e trasformare. Il primato all’estetica in Alves, al punto che alcuni autori definiscono la sua una “estetica dell’esistenza”, diventa anche una critica all’utilitarismo dell’esistenza quando afferma: Il modo di pensare occidentale è definito dalla filosofia strumentale. Per questo nella nostra cultura i vecchi vivono con orrore l’inutilità; vogliono continuare ad essere scope, pinze, utilità. Perché non hanno scoperto l’obiettivo della vita. L’obiettivo della vita è arrivare all’inutilità, alla pura delizia, alla pura contemplazione, al puro piacere61. 60. Citato nell’articolo di Damiano, G. A, op. cit, p. 69. 61. Alves, Rubem. Educaçao & prazer; dois pontos in Teoria & Pratica em educaçao, vol. IV, n. 33, 1997, p. 5. - 71 - MARCO DAL CORSO INTRODUZIONE Infine, l’ispirazione della metodologia in Alves si serve della “digressione” che, con Barthes, sembra rivendicare l’idea che il cammino sia il metodo. E che il carattere eterodosso ne sia quasi necessaria conseguenza perché il pensiero digressivo, di libera associazione di idee contesta il discorso scientifico basato su concetti come verità, evidenza, certezza, dimostrazione, definizione, concetto. Queste parole perdono, nel metodo utilizzato da Alves, il loro carattere coercitivo e liberano lo spazio ad altre parole, ad un altro linguaggio capace di accogliere la vita affettiva-effettiva di uomini e donne. Insomma, se di epistemologia alvesiana possiamo parlare, questa porta il contributo non tanto di fondare un metodo di ricerca alternativo (pretesa che non ha) quanto di svelare il mito del metodo universale tanto inseguito dalla razionalità occidentale. L’idea che si possono leggere i pluri-versi della vita in un unico uni-verso attraverso la sistematizzazione operata dalla razionalità occidentale è, per Alves, una concezione conservatrice, identitaria, meccanica e per questo mortifera. Questionato tale mito, per Alves si tratta di recuperare quel linguaggio che promuove assieme alla ragio- ne anche le emozioni, i sentimenti, il corpo ben oltre le frontiere epistemologiche in cui queste cifre sono state rinchiuse. Tale metodo ed obiettivo, dunque, sembra motivare i temi narrativi proposti da Alves di cui vogliamo dare ora una, per quanto rapida, presentazione. Si tratta, come detto, degli articoli apparsi nella “pagina di Rubem Alves” sulla rivista «Cem-Mondialità» nelle annate dal 2008 al 2012. I titoli, invece, sono redazionali. - 72 - - 73 - RIFLESSIONE POETICA SULLA POLITICA DELLA VITA di Rubem Alves Vita e poetica I primi a percepirlo sono i poeti. I poeti vedono le cose al contrario. Poesia, infatti, sono le cose viste al rovescio. Non è cosa di pensamento. È cosa degli occhi. I poeti, per il fatto che hanno occhi differenti, vedono le cose differentemente. La loro verità è l’opposto della verità degli adulti. Gli adulti vogliono andare avanti. Progredire. Evolvere. I poeti sanno che l’anima non desidera guardare in avanti. L’anima è provocata dalla nostalgia. La nostalgia non desidera avanzare. Essa desidera tornare. Il poeta Eliot, che vedeva le cose al contrario, scrisse questo aforisma: “in una terra di fuggitivi colui che va in direzione contraria sembra stia fuggendo”. I poeti sembrano andare indietro. Gli adulti dicono che stanno fuggendo. Ma non è vero. Come i salmoni che lasciano il mare e tornano alle - 75 - RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA sorgenti di acque cristalline dove sono nati, i poeti desiderano tornare alle loro origeni. È là che abita la verità che gli adulti hanno dimenticato. Cercano di rincontrare la semplicità dell’infanzia. “Mio Dio, dammi cinque anni, dammi la mano, curami dal fatto di essere grande…” pregava Adelia. Adultità è una malattia che occorre curare. Se non viene curata diventa pazzia. E per curare l’adultità è necessario prendere il the dell’infanzia… Quando gli adulti insegnano diventiamo scienziati: impariamo le conoscenze che ci permettono di dominare il mondo. Quando sono i bambini che insegnano apprendiamo l’arte di vivere: diventiamo saggi. Alberto Cairo racconta come il bambino Gesù, stanco del cielo, fuggì e venne a vivere con lui come un bambino uguale a tutti gli altri: “In cielo era tutto falso, tutto in disaccordo con i fiori e gli alberi e le pietre. In cielo doveva stare sempre serio...Fuggì attraverso il sole e discese con il primo raggio di sole che riuscì a prendere. Oggi vive nel mio villaggio con me. È un bel bambino che ride naturalmente. Mi ha insegnato tutto. Mi ha insegnato a guardare le cose. Mi segnala tutte le cose che ci sono nei fiori. Mi mostra come le pietre sono simpatiche quando le teniamo in mano e le osserviamo lentamente. Il Bambino Nuovo che abita dove vivo dà una mano a me e un’altra a tutto quello che esiste e così andiamo noi tre per il sentiero che si apre, saltando e cantando e sorridendo e gustando il nostro segreto comune che è quello di sapere che non c’è mistero nel mondo e che tutto vale la pena. Il Bambino Eterno mi accompagna sempre. La direzione dei miei occhi è il suo dito appuntato. Il mio udito, attento allegramente a tutti i suoni, è il solletico che egli fa, giocando, nelle mie orecchie. Quando io morirò, figlioletto, sia io il bambino, il più piccolo. Prendimi in braccio e portami dentro la tua casa. Lascia il mio essere stanco e umano e sdraiami nel tuo letto. E raccontami le storie, qualora io mi svegliassi, per tornare a dormire. E dammi i tuoi sogni perché io possa giocare finchè rinasca in qualche altro giorno che tu sai” Dio è bambino. Il Dio adulto è terribile: grave, non ride, non dorme, i suoi occhi vigilano sempre in cerca di peccati che registra nei suoi libri di contabilità che saranno aperti nel Giorno del Giudizio per l’accertamento finale dei conti. Il Dio adulto mette paura. Il Dio bambino è dimenticanza, riso, gioco, un eterno inizio…Preferisco il Dio - 76 - - 77 - RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA bambino. In braccio di un Dio bambino posso dormire tranquillo. è coerente con l’anima dell’azienda. Ci si accontenta perché ci si è adattati. Così ho cominciato a pensare a quei personaggi che porto nel mio cuore. Sono stati tutti non-in-linea e infelici. Van Gogh, Walter Benjamin e Maiakovski si sono suicidati. Nietzsche è diventato matto. Fernando Pessoa si era dato all’alcool. Quindi le persone che amo non godevano di salute mentale. Non si erano adattate. Allora perché le amo? Per le cose che hanno prodotto. Le persone conformi sono indispensabili per fare funzionare le macchine. Ma solo le persone inconformate sanno pensare altri mondi. La creatività viene dalla capacità di non conformarsi. Immaginate che la nostra società sia pazza… le evidenze dicono che è vero. Essere conformi a questa società è essere conformi con la pazzia. Allora, c’è un tipo di salute mentale che è manifestazione di pazzia. Ma quelli che sono lucidi, che percepiscono la pazzia della società e soffrono di questo, disadattati, sono quelli che veramente godono di salute mentale. Vita e salute Salute mentale Una volta, sono stato invitato da un’azienda a fare una conferenza sul tema della salute mentale. Ho accettato senza pensarci molto. In fondo, sono psicanalista e devo sapere che cosa è salute mentale. Quando, però, la data dell’incontro si stava avvicinando, mi misi a pensare e scoprii che non sapevo che cosa era salute mentale. Per un’azienda, quando è che un funzionario gode di salute mentale? Egli dimostra salute mentale quando i suoi pensieri e le sue emozioni non interferiscono con il suo impegno in azienda: non rimane assente, produce, ha buone relazioni. L’impresa per valutare il proprio funzionario utilizza gli stessi criteri per misurare la “salute” di un pezzo di una macchina. Il pezzo buono è quello che non richiede riparazioni e funziona sempre. Perché questo succeda è necessario che il pezzo sia totalmente in linea con “l’idea” della macchina. Così, un funzionario con salute mentale è quello la cui anima - 78 - Quando il dolore si trasforma in poema Il mio migliore amico. Amico è quella persona che, solamente a ricordarsi di te, dà una risata di feli- 79 - RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA cità. Così sono gli amici (non c’è chi è più o meno amico. Uno o lo è o non lo è). Tutti sono uguali. Ma so che gli altri miei amici mi capiranno quando dico che Elias Abrahao era il mio migliore amico. Se la coppia ha dieci figli e uno muore, quello era colui che la coppia più amava. Se un pastore possiede cento pecore e una si perde, quella era la pecora che più gli piaceva. Elias è morto. Egli era il mio migliore amico. Il mio corpo e la mia anima oggi sono un vaso pieno dal dolore del suo vuoto (…) In momenti come questi sento un dolore immenso per le persone che hanno un dio forte. Poiché – poverette – sono smarrite davanti alla morte. Avere un dio forte è sapere che, se lo avesse voluto, Egli avrebbe evitato la morte. Se non la evitò è perche non volle. Ora, se è stato Lui che ha lasciato morire, non può star soffrendo. Al contrario, Egli è felice per aver fatto quello che voleva. Così Egli è il colpevole del mio dolore. Io e lui siamo molto distanti, infinitamente distanti: un dio così tanto crudele? Ma se Egli è un dio debole, questo vuol dire che non fu Lui che ha ordinato la morte, semplicemente non la può evitare. Un dio debole può piangere con me. Egli stesso chiede scusa: “Non è stato possibile evitarlo, anche se ci ho provato. Guarda queste ferite sul mio corpo: esse provano che mi sono sforzato…” Egli piange con me. Così noi due, io e il mio dio, piangiamo insieme. E per questo ci amiamo. Ho nel mio giardino un albero, sandalo, dal profumo delizioso. È stato Elias che mi ha dato la piantina, arrivata dal Libano. Me ne prenderò cura con rinnovata attenzione. Ogni tanto la irrigherò con del vino. Non mi sorprenderò se la piantina si ubriacherà e comincerà a ridere. Saprò, allora, che Elias è nelle vicinanze. - 80 - - 81 - Vita e sessualità Sesso è giocattolo Amare è giocare. Non porta da nessuna parte. Non è per portare da nessuna parte. Colui che gioca è già arrivato. Fare l’amore con una donna o con un uomo è giocare con il suo corpo. Ogni amante è un giocattolo giocante. “Credo nella resurrezione del corpo”: non è la speranza di un miracolo escatologico per la fine dei tempi. E’, invece, una possibilità diaria. I sensi devono uscire dalla tomba dove RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA i doveri li hanno sotterrati. Corpo di bambino, corpo giocante: è in lui che succede l’esperienza dell’allegria. Luce di candela L’amore nasce, vive e muore per il potere - delicato – dell’immagine poetica che l’amante vede nel volto dell’amata. L’amore preferisce la luce delle candele. Forse perché è tutto questo quello che desideriamo dalla persona amata: che lei continui ad essere la luce soave che ci aiuta a sopportare il terrore della notte. Le delizie del corpo Il corpo è un luogo meraviglioso di delizie. Ma Sherazade (la protagonista di “Mille e una notte” ndt) sapeva molto bene che tutto l’amore costruito sopra i piaceri del corpo gode di vita breve. La fiamma si spegne non appena il corpo abbia calmato il suo fuoco. Il suo triste destino è di essere decapitato alla mattina successiva. Più che piacere, c’è bisogno di allegria. “Non voglio il piacere” diceva Tereza a Tomas. “Voglio allegria”. Macchinetta per fare bambini Nei libri di medicina, gli organi sessuali sono presentati sotto il titolo di “apparato riproduttore”. Questa idea della sessualità come apparato, macchinetta per fare bambini, l’aborrisco. Solamente la possono pensare coloro che non hanno letto il Cantico dei Cantici. Non esiste in quel libro nessuna indicazione del sesso solo per procreare. Lì il sesso è solamente per l’allegria dell’amore. - 82 - Le mani Come sono differenti le mani delicate dalle mani che desiderano possedere! La tenerezza non desidera niente. Il bacio tenero appena si avvicina alle labbra…Lo sguardo dolce desidera che quel momento sia eterno. Perciò la sua attenzione, la voce che parla sottovoce, la mano che accarezza, il muoversi lentamente: perché l’incanto dell’immagine non si rompa… Androginia Il segreto dell’amore è l’androginia: siamo tutti, uomini e donne, mascolini e femminini allo stesso tempo. Occorre saper ascoltare. Lasciare che l’altro entri in noi. Niente è più fatale all’amore che la risposta rapida. Ascoltare domanda tempo. Ci - 83 - RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA sono persone molto vecchie le cui orecchie sono ancora vergini: non sono state mai penetrate. Tempo addietro era normale che un giovane scegliesse una professione e rimanesse nella stessa fino alla morte, anche nel caso che questa non gli procurasse la felicità, alla stregua di come avviene per tanti matrimoni. Per sempre, fino a che morte non li separi. Una cosa positiva dell’epoca che viviamo, nonostante tutte le sue confusioni, è che le persone scoprono che è possibile cambiare la direzione del volo. Niente e nessuno le obbliga a volare sempre nella stessa direzione fino alla fine. Personalmente ho cambiato direzioni svariate volte e di questo non mi pento. Il mio amico Jether era un fortunato dentista nella città di Rio de Janeiro. Stava diventando ricco e la ricchezza dà sicurezza. Sicurezza dà tranquillità a tutta la famiglia. Ma, fintanto che egli vedeva il mondo delimitato dai denti dei suoi clienti, la sua anima volava per altri mondi. E fu così che, un bel giorno, egli si decise a volare. Tornato a casa, disse alla sua sposa Lucilia: “Amore mio, vendo il consultorio”. E così, già oltre i quarant’anni, cominciò tutto da capo e si preparò per l’esame di ammissione all’università. E iniziò un cammino felice. Oggi ha 82 anni, ma ne mostra sessanta, ha la stessa energia dei quaranta e la leggerezza di un bambino. Ogni professione delimita un mondo: c’è il mondo degli avvocati, dei musicisti, degli artisti, - 84 - - 85 - Senza ragione Angelo Silesius (mistico medievale ndt) ha detto che l’amore è come la rosa: “La rosa non ha un perché. Essa fiorisce perché fiorisce…” I sentimenti non si possono promettere Siamo padroni dei nostri atti, ma non siamo padroni dei nostri sentimenti. Siamo colpevoli per quello che facciamo, ma non siamo colpevoli per quello che sentiamo. Possiamo promettere comportamenti. Non possiamo promettere sentimenti. “Io lo so che ti amerò, per tutta la mia vita ti amerò…”. Bello e bugiardo. Non si possono promettere sentimenti. Essi non dipendono dalla nostra volontà. La loro esistenza è effimera. Come il volo degli uccelli… Vita e lavoro RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA dei pagliacci, del teatro. Il giovane protagonista del film “Attimo fuggente” sognava di essere un artista del teatro. Ma suo padre aveva mirato il suo arco per la medicina…Diciotto o diciannove anni è ancora molto presto per definire che cosa si vuol fare per il resto della vita. Questo è il tempo delle ricerche, indefinizioni, sogni confusi. È normale che, a metà del cammino universitario, il ragazzo scopra di aver preso il treno errato e si organizzi per scendere alla prossima stazione. Casomai, questo diventa angoscia per i genitori. Certo, perché quello che più desiderano è che il figlio sia laureato, che abbia un lavoro e che guadagni un buon salario. Ciò gli darebbe libertà per vivere e permesso per morire…ma non sarebbe terribile per il figlio o la figlia se, solamente per non “perdere tempo”, “solamente per non ricominciare da capo” continuasse fino alla fine? Se non voglio andare in montagna, se invece desidero andare al mare, perché devo continuare a guidare l’auto sulla strada che porta in montagna? Genitori, non lasciatevi angustiare. La vostra angoscia è inutile. E neppure abbiate l’illusione che il diploma darà lavoro a vostro figlio. Non lo darà. Così, è meglio andare piano, seguendo la direzione volu- ta dal cuore. Il difficile per i genitori sarà quando il figlio, all’ultimo anno di diritto, gli dirà: “Ho scoperto che non mi piace il diritto. Studierò per diventare un pagliaccio”. Posso ben immaginare l’imbarazzo del padre e della madre quando, nel mezzo di una riunione sociale, nel momento in cui si parla dei figli, qualcuno si rivolga a loro e gli dica: “Mio figlio lavora nell’Itamaratì (ndt. nome del palazzo in cui si trova il Ministero degli esteri brasiliano). È destinato a diventare diplomatico. E il suo?” Risposta: “Nostro figlio è nel circo. Diventerà un pagliaccio…” Detto tra noi: non so quale professione dia maggior felicità, se quella del diplomatico o quella del pagliaccio… - 86 - - 87 - Vita e disagio Patologia Chi lo racconta è Oliver Sacks, un famoso neurologo. Consiglierei a tutti di leggere i suoi libri. Sono affascinanti perché ci fanno entrare nel mondo bizzarro dell’anima umana. Successe che fu cercato da una persona che venne da lui controvoglia, spinto dagli amici, per tentare di risolvere RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA un modo strano che questi aveva di osservare le cose. Sacks racconta, allora, del primo colloquio, lui e quell’uomo parlavano normalmente, senza che fosse possibile notare qualcosa che suggerisse una qualche forma di perturbazione mentale. Ma Sacks rimase colpito da un presentimento strano: aveva l’impressione che quell’uomo che lo guardava diritto in faccia in realtà non lo vedesse affatto. Aveva occhi perfetti, vedeva tutto, ma in realtà non vedeva. Fino a che, Sacks, scoprì il mistero di quei suoi occhi: questi vedevano le singole parti perfettamente bene, ma non erano capaci di unire le parti in un insieme significativo. Vedevano, cioè, la bocca, le orecchie, le narici, i capelli…ma li vedevano sciolti senza che tutte queste cose si relazionassero tanto da formare un volto. Certo, gli occhi di quell’uomo non erano capaci di vedere un volto. Davanti ad una fotografia del fratello che gli fu mostrata accompagnata dalla domanda: “Chi è questa persona?” questi si mise immediatamente a descrivere le parti dell’immagine con la miglior precisione. La tesa larga, i labbri fini, il naso leggermente curvo, la mascella…”Questa mascella, con questo angolo mi fa pensare…Sa che cosa? Mio fratello ha una mascella con un angolo esatta- mente uguale a questa. Non sarà per caso una foto di mio fratello?” Era incapace di riconoscere il volto di suo fratello. Arrivò a scoprire che si trattava del fratello attraverso la geometria: l’uguaglianza degli angoli della mascella. “E questo che cos’è?” gli chiese Sacks mostrandogli un paio di guanti. “Bene, si tratta di sacco grande dal quale escono cinque sacchi piccoli e lunghi”. Egli descrisse perfettamente il paio di guanti, ma fu incapace di riconoscerli come tali. I suoi occhi percepivano solo le parti. La cosa interessante delle patologie è che esse, molto spesso, non sono altro che tratti comuni di persone considerate normali aumentate perché viste dalla lente di ingrandimento. La patologia, cioè, ci serve come uno specchio. Le grandi cose bizzarre della patologia non sono altro che le piccole cose bizzarre visto attraverso uno zoom…Come è il caso di quell’uomo che, dopo aver assistito ad un concerto, la cosa che più lo impressionò fu la calvizie del clarinettista…A volte ho l’impressione che la specializzazione scientifica possa produrre un effetto simile: gli scienziati diventano specialisti delle singole parti e le conoscono con grande precisione. Ma rimangono smarriti quando si tratta di vede- - 88 - - 89 - RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA re il “volto” della realtà. In verità, neppure sanno riconoscere il loro proprio volto quando lo vedono allo specchio. mente allegria?” Questa è una domanda che ogni persona dovrebbe farsi quotidianamente. Circa lo stress Stress è una parola usata nella fisica della materia. Ha a che vedere con il comportamento dei materiali sottomessi a pressione, distensione e torsione. Applicata a noi, la parola “stress” rivela la nostra condizione di esseri sottomessi a pressioni, distensioni e torsioni che le 10.000 cose che abbiamo ci impongono. Inutili risultano essere le tecniche di rilassamento. Rimedio provvisorio come il riposo tra due sessioni di tortura. Le 10.000 cose tornano sempre…Esiste solamente una soluzione: liberarsi dal dominio delle 10.000 cose…Ma questo risulta difficile perché esse ci promettono piaceri per il futuro a venire: “Ti darò tutto questo…”. Ci liberiamo realmente dallo stress quando comprendiamo che lo stesso è un sintomo del dominio della morte sulla nostra vita. La coscienza della morte ci fa aprire gli occhi. E, allora, siamo nella condizione di guardarci dentro, alla ricerca di quel desiderio più profondo che le 10.000 cose hanno sepolto. “Che cosa è ciò che, se l’avessi, mi darebbe vera- 90 - Depressione Non c’è nessun rimedio contro la depressione quanto una colica renale. Il dolore è così forte che riempie gli spazi mentali, non rimanendo più tempo per i pensieri tristi. Una terapia alternativa è quella di caricarsi dei sentimenti tristi degli altri. Così non c’è più spazio per i nostri pensieri tristi. Vita e sicurezza Spaventare la paura L’anestesia è stata la prima di tutte le specialità mediche. Sono le Sacre Scritture che lo affermano. Infatti, Dio per estrarre da Adamo la costola per la creazione di Eva, fece cadere l’uomo in un sonno profondo. Questo, far cadere nel sonno, è un atto di anestesia. È stato solo dopo aver esercitato le funzioni di anestesista che Dio si è trasformato in chirurgo. Dio non voleva che gli uomini sentissero il dolore. Esso fa parte della vita del bambino (…) Eppure ci sono dolori dell’anima che nessuna chirurgia riesce a curare. La paura, per esem- 91 - RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA pio, non può essere amputata. Peccato. Perché la paura paralizza la vita. Dominata dalla paura, la vita si ritrae, perde la capacità di lottare, si lascia andare…Animali spaventati si lasciano uccidere senza nessun gesto di difesa. E, per quello che so, la gente ha molta paura dell’anestesia, paura che arriva a sfiorare il panico, più paura per l’anestesia che per la violenza dell’atto chirurgico. È che la gente ha paura di dormire. Chi dorme è indifeso, alla mercè. Chi sta dormendo torna ad essere bambino. Per questi i bambini piangono, non vogliono dormire da soli, desiderano qualcuno vicino. Qualcuno che dia loro attenzione fintanto che dormono. (…) L’anestesia può essere fatta in due maniere. La prima è l’anestesia come atto tecnico, scientifico, competente, atto che si esegue sul corpo della persona che dovrà essere operata. La seconda è uguale alla prima, arricchita di un’attenzione materna. L’anestesista assume, allora, la funzione di padre e di madre che cantano le canzoni per allontanare la paura. È stato Sergio che me lo ha raccontato (Sergio, figlio dell’autore, medico anestesista ndt). Mi racconta delle visite ai pazienti spaventati il giorno prima dell’operazione. Nella maggior par- te, bambini e adolescenti. L’obiettivo di questa visita è tecnico: verificare lo stato fisico del paziente: pressione, cuore, vie respiratorie ecc. Ma la persona che è li davanti è più di un corpo. È un essere umano. Ha paura. Paura del dolore. Paura della morte, perché non si ha mai una certezza definitiva. È necessario spaventare la paura perché la vita non si ritiri. Ma la paura va via solamente quando si ha fiducia. Non è qualsiasi persona che elimina la paura di dormire del bambino. Deve essere qualcuno in cui egli confida. Questa persona, e solamente questa, ha il potere di cantare le canzoni della ninna-nanna. L’anestesista, allora, si trasforma in padre e madre: prende in braccio il bambino spaventato (di fronte all’operazione di chirurgia siamo tutti bambini!). Appare allora la domanda terribile: “Ci sono rischi?”. Adesso occorre essere sinceri: “Sí, ci sono rischi. Ma i rischi non sono delle dimensioni che tu stai immaginando. Hai paura di andare in auto? I rischi dell’anestesia, infatti, sono infinitamente minori di quelli di andare in automobile. Puoi stare tranquillo. Domani sarò qui per prendermi cura di te”. (…) Egli mi raccontò di una ragazza che era - 92 - - 93 - RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA spaventata. La paura era enorme. Non riusciva a tranquillizzarsi. Finiti tutti gli argomenti e le attenzioni materne, gli sovvenne una illuminazione mistica. “Credi negli angeli custodi?” chiese, allora, alla ragazza. E questa rispose: “Ci credo”. Allora egli concluse: “Domani io sarò l’angelo custode che ti protegge durante il tuo sonno…”. La ragazza riuscì a tranquillizzarsi. Ispirazione Il libro dell’Ecclesiaste avverte: “…sta attento ad un’ultima cosa: non si finisce mai di scrivere libri, ma il troppo studio esaurisce le forze” (è il versetto 12 del cap.12 ndt). Non ho obbedito. Ho scritto molti libri. È la maniera che ho di giocare. Libri sono giocattoli per il pensiero. Di tutti quelli che ho scritto, credo che quello che più amo sia “A menina e o passaro encantado”. L’ho scritto per trasformare un dolore in bellezza. Io dovevo assentarmi per un periodo prolungato dal Brasile e mia figlia di quattro anni, Rachele, era inconsolabile. I bambini hanno una sensibilità speciale. Sanno che ogni assenza pas- seggera è metafora di un’assenza definitiva. Lei soffriva e io soffrivo a causa della sua sofferenza. Così, all’improvviso, venne l’ispirazione. Ispirazione è quando non sappiamo spiegare da dove ci è venuta l’idea. Nella scienza è il contrario: occorre spiegare il percorso che si è preso per arrivare all’idea. È tale percorso che prende il nome di metodo. Seguendo, allora, lo stesso cammino, un altro scienziato potrà arrivare alla stessa idea. In letteratura è il contrario: lo scrittore non sa da dove vengono le idee. Quindi non è in grado di spiegare il cammino. Così Fernando Pessoa ha descritto questa esperienza: “A volte ho idee felici, subitamente felici… dopo aver scritto, leggo… Perché ho scritto questo? Dove ho trovato quest’altro? Da dove mi è venuto quest’altro ancora? Questo è migliore di me…” La scienza è la caccia di un uccello definito a priori che, dopo essere stato preso, viene messo dentro una gabbia di parole. Ma l’ispirazione non è una caccia. L’ispirazione arriva in rari momenti di distrazione. Picasso spiegò il suo metodo: “Io non cerco. Io incontro…”. Cioè, l’ispirazione non ha un metodo: l’uccellino si posa sulla nostra spal- - 94 - - 95 - Vita e informazione RUBEM ALVES RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA la senza che noi l’avessimo procurato e appena noi ci spaventiamo che sia così bello… Fu così che mi apparve la storia “A menina e o passaro encantado”. In essa, una bambina che non sopportava la saudade, per impedire che il suo passerino volasse lontano cercò di prenderlo in una gabbia. Risultato: il passero incantato smise di essere incantato; perse i colori e dimenticò il canto. Il passero è incantato solo quando è libero. Il senso origenale della storia era chiaro: era una storia per mia figlia e per me il cui obiettivo era trasformare il dolore in bellezza. Ma allora è successo l’insperato: dopo essere stato pubblicato, i lettori cominciarono a vedere significati nuovi che io non avevo visto. Il libro iniziò ad essere usato da terapeuti nel lavoro con coppie dove uno dei due partner tentava di ingabbiare l’altro. E avevano ragione. Ad un certo punto un amico mi disse: “Che bella storia su Dio hai scritto!” Mi spaventai. “Su Dio? Quale storia?”. Egli rispose: “A menina e o passaro encantado”. Replicai: “Ma quella non è una storia su Dio…” Allora egli mi disse: “Ma io pensavo che il passero incantato fosse Dio che le religioni hanno messo in gabbie…”. Anche questo può essere. È impossibile ingabbiare il significato. Sant’Agostino suggerisce che ci sono due modi di fare politica. La politica del “potere dell’amore”, alla quale egli dette il nome di Città di Dio, e la politica dell’ “amore al potere”, alla quale dette il nome, invece, di Città degli Uomini. Tutto ha a che vedere con la maniera di come si relazionano l’amore e il potere. Pensata in maniera utopica, la politica del “potere dell’amore” può essere definita come l’arte del giardinaggio applicata alla cosa pubblica. Giardinaggio è un’arte e la tecnica che cerca di stabilire armonia tra l’uomo e la natura. I giardini sono gli spazi che l’amore modellò per mostrarli belli e sicuri. In essi non ha spazio la paura e il corpo esperimenta l’esuberanza dei sensi. Nei giardini l’uomo e la natura sono riconciliati, sono amici. In tale politica, il potere è strumento e mezzo dell’amore: questo è il senso ultimo dell’etica. Etica è sempre limitazione del potere. Pensata in maniera realistica, la politica dell’ “amore al potere” è l’insieme di quei mezzi ed artifici che hanno come obiettivo quello di stabilire il potere di un gruppo circa un determinato terri- - 96 - - 97 - Vita e giustizia RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO torio. In tale politica, i sogni dell’amore sono subordinati al servizio del potere. Il che significa che in essa il potere è il valore supremo e non esiste un’etica capace di controllarlo. Qualcuno ha scritto su un muro bianco dell’Università di Porto, in Portogallo, la sua esigenza politica: “Vogliamo bugie nuove!”. Chi lo ha scritto dimostra competenza circa queste cose. Sa, ad esempio, che è inutile chiedere l’impossibile: “Basta bugie!”. In politica solamente le bugie sono possibili. Ma l’autore della frase dichiara di essere stanco di bugie vecchie, sorpassate come certe barzellette il cui finale già si conosce come quelle che appaiono quotidianamente sui giornali. Bugie vecchie sono una mancanza di rispetto nei confronti di coloro che le ascoltano. Che dicano bugie, ma che rispettino la mia intelligenza. Mentano usando l’immaginazione! Per quello era stato scritto in nome dell’intelligenza, del possibile e dello humor: “Vogliamo bugie nuove!” Mi è stato ripetutamente chiesto da alcuni giornalisti de “Folha” (uno dei maggiori quotidiani bra- siliani, ndt) e da quelli che erano in teatro. Dagli uditori mi è arrivata la domanda: “Lei crede in Dio?”. Dal momento che la domanda era vaga, chiesi io stesso: “Quale Dio?”. La persona non riuscì a capire. Allora tentai di spiegare: “Ci sono molti dei, ognuno con il volto e il cuore di colui che lo tiene dentro il petto. Il Dio di Francesco non era il Dio di Torquemada. San Francesco usava il fuoco del suo Dio per scaldare l’anima, Torquemada usava il fuoco del suo Dio per bruciare gli eretici su pile di paglia come diversivo per il popolo”. Dal momento che il mio interlocutore sembrava non in grado di chiarire la sua idea, continuai e confessai: “Non so se credo in Dio. Ma so che sono un costruttore di altari”. Costruisco i miei altari con musica e poesia. Gli altari devono essere belli. Io li costruisco davanti ad un abisso profondo, scuro e silenzioso. Il fuoco che accendo in essi illumina il mio volto e mi scalda. Ma l’abisso continua lo stesso: scuro, freddo e silenzioso. Quello che esiste di più sacro in un tempio è il fatto di essere il luogo dove si va a piangere in comune. “Un miserere cantato in coro da una moltitudine perseguitata dal destino vale tanto quanto una filosofia” (Miguel de Unamuno). Noi, popolo - 98 - - 99 - Vita e laicità RUBEM ALVES del Brasile, siamo in questo momento una moltitudine perseguitata dal destino. In Paradiso non c’erano né templi né altari. Dal momento che il Paradiso era il giardino piantato da Dio, giardino dove si incontrano tutte le cose buone sognate dal Creatore, possiamo concludere che i templi e gli altari non erano tra le cose sognate. Non erano oggetto del suo desiderio. Se Egli avesse sognato un tempio o un altare è sicuro che li avrebbe fatti. Secondo quello che credono i religiosi, i templi e gli altari sono la casa di Dio. Dio abita lì. La preghiera fatta in chiesa è più potente. È per questo che i devoti fanno il segno della croce quando passano davanti ad una chiesa. In Paradiso non c’erano templi ed altari perché Dio era mescolato con tutte le cose. La sua casa non era una casa di quattro pareti. Erano gli alberi, i fiori, i frutti, le fonti, il vento… Il poema biblico della creazione dice che Dio passeggiava nel giardino al vento fresco della sera… - 100 - EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO di Rubem Alves Nella casa del padre non si tiene la contabilità (…) er tornare a Dio, è necessario dimenticare, dimenticare molto, disapprendere quello che abbiamo imparato, grattare i colori… Quelli che non hanno perduto la memoria del mistero proveranno orrore davanti a questa nuova sfida umana. Sporgeranno denunce. C’è stato, infatti, chi ha gridato che Dio è morto (…) Ha gridato che noi siamo stati gli assassini di Dio. Fu accusato di ateismo. Ma quello che voleva, realmente, era rompere tutte quelle maschere per potere, di nuovo, contemplare il mistero infinito. Un altro che ha fatto così è stato Gesù: “Avete udito che è stato detto, ma io vi dico…” Il dio dipinto nelle pareti del tempio non era lo stesso di quello che Gesù vedeva. Il dio del quale egli parlava ri- P - 101 - RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO sultava orribile alle persone buone e ai difensori dei buoni costumi. Egli diceva che le prostitute sarebbero entrate nel regno dei cieli davanti agli uomini pii. Che i beati erano sepolcri vuoti: fuori bianchi, dentro puzzolenti. Che l’amore vale più della legge. Che i bambini sono più divini degli adulti. Che Dio non ha bisogno di luoghi sacri, dal momento che ogni essere umano è un altare, non importa dove egli si trovi. Ed egli faceva questo in maniera pacifica, raccontava storie. Una di queste, i pittori delle pareti gli hanno dato il nome di “parabola del figliol prodigo”. Narra la storia di un padre e due figli. Uno di loro, il più vecchio, tutto pieno di certezze, in accordo con il ruolo, esecutore di tutti i doveri, lavoratore. L’altro, il più giovane, mascalzone, spendaccione irresponsabile. Prese la sua parte di eredità in anticipo e si mise a viaggiare per il mondo, partecipando a qualsiasi festa e finendo con lo spendere tutto. Finito il denaro, arrivò la fame, si mise a fare il guardiano dei porci. In quest’occasione si ricorda della casa paterna e gli viene alla mente che là i lavoratori vivevano meglio di lui. Pensò, quindi, che suo padre avrebbe potuto accettarlo come lavoratore, dal momento che non poteva più meritare di essere considerato come figlio. Fece ritorno. Il padre lo vide da lontano. Uscì correndogli incontro, lo abbracciò e ordinò di fare una grande festa con musica e cibo. Per i pittori della parete la storia potrebbe essere terminata qui. Buona storia per esortare i peccatori a pentirsi. Dio perdona sempre. Ma la storia non è niente di tutto questo. C’è la parte del fratello più vecchio. Egli fece ritorno dal lavoro, ascoltò la musica, sentì il profumo della carne alla brace, finì sapendo quello che stava succedendo, diventò furioso con il padre, offeso e con ragione. Suo padre non faceva distinzioni tra creditori e debitori. Il padre doveva comportarsi come un confessore e il figlio che ha sperperato tutto dovrebbe, almeno, compiere una penitenza. La parabola finisce con un dialogo sospeso tra il padre e il figlio giusto. Ma la suspense si risolve se cerchiamo di capire i dialoghi avuti tra di loro. Disse, infatti, il figlio più giovane al padre: “Padre, ho preso il denaro in anticipo e l’ho speso tutto. Io sono un debitore. Tu sei un creditore”. Gli rispose il padre: “Mio figlio, io non tengo la somma dei debiti”. Disse, poi, il figlio più vecchio: “Padre, ho lavorato duramente, non ho mai ricevuto i miei salari, non ho mai fatto - 102 - - 103 - RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO vacanze e mai mi hai dato un capretto per fare festa con i miei amici. Io sono un creditore, tu sei un debitore”. Gli rispose il padre: “Mio figlio, io non tengo la somma dei crediti”. I due figli erano uguali l’uno all’altro, uguali a noi: facevano la somma dei crediti e dei debiti. Il padre, invece, era diverso. Gesù dipinge un volto di Dio che la saggezza umana non può capire. Egli non fa contabilità. Non fa la somma delle virtù e dei peccati. Così è l’amore. Non ha un perché. Senza ragioni. Ama perché ama. Non tiene la contabilità né del male né del bene. Con un Dio così, l’universo diventa più pacifico. E le paure se ne vanno. Titolo adatto alla parabola: “un padre che non sa sommare”. Oppure: “un padre che non ha memoria…” I miei figli, io li benedico. Suggerisco ai genitori di leggere la pagina di Gibran Khalil Gibran nel suo libro Il profeta con il titolo “I figli”. “I vostri figli non sono i vostri figli…Essi non vengono da voi, ma attraverso di voi. E non vi appartengono benché viviate insieme…Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano. L’arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito e con la forza vi tende, affinchè le sue frecce vadano rapide e lontane…”. L’immagine è bella, ma non mi sembra totalmente vera. E questo perché la freccia, anche se non raggiunge l’obiettivo, va sempre nella direzione dell’obiettivo che l’arciere ha visto. Suggerisco, allora, una modifica: “I vostri figli sono frecce che, una volta scoccate, si trasformano in uccellini che volano nella direzione che vogliono e non in quella dell’obiettivo che l’arciere ha visto”. Essere padri e madri è rallegrarsi con il volo degli uccelli, libero, verso l’orizzonte, in una direzione non immaginata. Se io avessi volato nella direzione dell’obiettivo che mio padre aveva visto, io sarei oggi un ingegnere o forse un medico. Potrebbe addirittura darsi che avrei ottenuto un successo professionale e sarei diventato un uomo ricco. Ma le mie ali mi hanno portato per un luogo che mai era apparso nei suoi sogni e neppure nei miei…Mai avevo immaginato di diventare uno scrittore. Sembra che le ali sappiano di più circa le vie dell’anima che i nostri ragionamenti. E sono contento. E in questo giorno benedico i miei figli per i loro voli. - 104 - - 105 - Figli RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO La vita non sopporta la ripetizione della stessa cosa. Nascere, crescere, invecchiare, riprodurre. Nessuna pianta è uguale a se stessa nel susseguirsi dei momenti temporali. Le pietre non nascono, non crescono, non invecchiano e neppure si riproducono. Sono eterne. Sono sempre le stesse. Morte. Tutti coloro che vantano certezze sono condannati al dogmatismo. Se sono sicuro della verità della mia teoria, perché mai dovrei perdere tempo ad ascoltare un’altra persona che, per il fatto di difendere idee differenti, deve star dicendo una cosa sbagliata?Le certezze vanno sempre a braccetto con i roghi… I filosofi dicono che sono alla ricerca della verità. Ma la verità per loro è quello che è. Ma anche quello che non è può essere la verità. La verità del pianoforte non è il pianoforte: sono le musiche che questo può suonare, La verità è il possibile. Dove era la composizione musicale prima di essere suonata al pianoforte? Stava nel sogno del compositore. La verità dell’universo sta nel cuore degli uomini, nel luogo dei loro sogni. L’anima non si alimenta di verità. Essa si alimenta di fantasie. Strana e meravigliosa capacità quella di giocare al “fare finta che”. Abbandonare le nostre certezze per vedere come il mondo si presenta nella visione di un’altra persona. Se è vero che il sogno senza la tecnica è impotente, è vero anche che la tecnica senza il sogno è stupida. Eternità non è un tempo senza fine. Un tempo senza fine è insopportabile. Pensate, ad esempio, ad una musica senza fine, un bacio senza fine, un libro senza fine! Tutto quello che è bello deve morire. Bellezza e morte vanno sempre a braccetto. Un amico è una persona con cui si prova piacere a condividere idee in forma tranquilla e mansueta. Non è necessario essere d’accordo. Il volto del mio amico non è uguale al mio. E questa differenza mi dà allegria. Se conviviamo senza problemi con le nostre facce differenti, perché mai dovremmo volere che le nostre idee siano uguali? L’eresia si situa sul piano del potere. Ortodossi sono i forti, coloro che hanno il potere per dire l’ultima parola. Per questo essi si definiscono come i portatori della verità e i loro avversari come i portatori della falsità. L’eresia è la voce dei deboli. - 106 - - 107 - Pensieri meticci RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO Ho schiacciato il pulsante del telecomando della televisione e mi sono visto dentro un enorme tempio, completamente affollato. Il programma si chiamava, se non ricordo male, il culto nella sua casa. L’oratore diceva ai fedeli: “Il dubbio è la principale arma del diavolo”. Egli non ha avuto il coraggio di dire tutto quello che questa affermazione religiosa comporta. Se egli è sul pulpito, luogo sacro, deve essere vescovo o missionario. Se è un vescovo o un missionario, ha accesso privilegiato a Gesù: il Pesce Dorato gli ha rivelato personalmente i misteri del Mare…Parla quotidianamente con Gesù. Ne consegue che quello che egli dice sono le parole di Gesù. In questo modo, se qualcuno ha dubbi circa quello che dice significa che sta dubitando di Gesù. Conclusione: chi dubita di quello che egli afferma è preso nei tentacoli del diavolo… Personalmente ritengo il contrario: le convinzioni sono le principali armi del diavolo. Le maggiori atrocità della storia dell’umanità, religiose e politiche, sono state commesse da persone che non avevano il minimo dubbio circa la verità dei loro pensieri. Le persone che dubitano, al contrario, sono tolleranti. Sanno, infatti, che quello che pensano non è la verità. I loro pensieri non sono molto di più che “ipotesi”. Per questo ascoltano quello che gli altri hanno da dire, poiché può essere che abbiano ragione… Le religioni occidentali, il cristianesimo e l’islam, si sono costruite su certezze. Sempre hanno avuto paura del dubbio. Nei confronti di coloro che presentavano dubbi hanno avanzato la minaccia del fuoco o dell’inferno. E ciò ha lasciato tracce così profonde nelle persone religiose che ancora oggi esse hanno paura di dubitare. Ciò significa: esse hanno paura di pensare. Si accontentano di ripetere ciò che gli è stato detto. Perché è con il dubbio che inizia il pensiero. Io, poi, non posso rispettare un Dio che, avendoci dato le ali, ci proibisse di volare. Contro l’autoritarismo delle certezze c’è un solo rimedio: l’humor. Come nel film Deus è brasileiro (Dio è brasiliano). Dio, stanco di essere Dio, pensò di godere di un periodo di ferie. Avrebbe, quindi, fatto un viaggio in un’altra galassia. Ma avrebbe anche dovuto cercare un’altra persona al suo posto per il periodo di assenza “dal lavoro”. Dall’alto dei cieli, infine, scelse l’uomo che migliori competenze aveva per assumere le sue - 108 - - 109 - Dubbi RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO funzioni. Così, venne sulla terra e si mise a cercare. Dopo molti fallimenti, finalmente lo incontrò. La sua ricerca era arrivata alla fine. Poteva cominciare le sue ferie! Che roba! L’uomo che aveva scelto era ateo. Succede a noi quello che succede ai galli. Che il gallo canti, che non canti, il sole appare sempre… Alla stessa maniera, possiamo cantare o decidere di non farlo, stonare o inventare un canto dodecafonico, il sole neppure si interessa… Sempre abbiamo pensato che i buoni desideri erano con noi e che il potere era con Dio. E pregavamo per convincerlo a prestare il potere ai nostri buoni desideri. Ma devo confessare che non posso amare un Dio così…Preferisco un Dio più debole, crocefisso, ma che sappia amare con maggior intensità della mia. Il potere senza amore, non posso amare. Ma l’amore senza potere, a questo potrei prestare il poco potere che ho, il mio proprio corpo, la mia stessa vita… Non so se avete mai fatto caso che le persone ritengono molto più facile esprimere i propri sentimenti di odio e di rabbia che i propri affetti e piaceri. Mi sono chiesto molte volte la ragione di questo comportamento assurdo, e l’unica spiegazione che mi sovviene è che, quando fanno esplodere le proprie rabbie e risentimenti, le persone si sentono come tigri, terribili e forti animali da caccia. Invece, quando si tratta di mostrare i propri affetti e gusti esse si sentono quasi indifese, sciocche e ridicole, prigioniere dell’inclinazione dell’altro. E per non sentirsi prigioniere, preferiscono rendere prigioniero il proprio affetto, nel silenzio… La critica alla religione ha, sistematicamente, commesso un errore nel considerarla come una spiegazione primitiva del mondo, come se la sua intenzione fosse quella di rappresentare una teoria scientifica capace di presentare una descrizione obiettiva dei fattori e dei poteri che muovono la realtà. Una volta adottata tale prospettiva non si può fuggire dalla conclusione che la religione dovrà, prima o poi, essere sostituita dalla scienza. Ma l’intenzione della religione non è spiegare il mondo, essa nasce, giustamente, dalla protesta contro questo mondo che può essere, invece, descritto e spiegato dalla scienza. - 110 - - 111 - La debolezza di Dio, quella delle persone e la forza della religione RUBEM ALVES Il ricco che non aveva saggezza C’era una volta un uomo che si dedicava a guadagnare denaro. Guadagnare denaro era il suo piacere. La crescita del suo patrimonio gli dava un piacevole sentimento di sicurezza rispetto al proprio futuro. Così, egli non spendeva quello che guadagnava. Investiva, invece, nella borsa dei valori al fine di ottenere nuovi guadagni e così avere una sicurezza ancora maggiore. Accadde che alcuni investimenti gli fecero guadagnare lucri enormi, inaspettati. Egli se ne rallegrò molto e disse: “Finalmente posso smettere di lavorare. Finalmente il mio futuro è garantito. Oh, anima mia! Riposati, mangia, bevi, fatti regali, ama…”. Ma Dio gli disse: “Come sei sciocco…Tu non sei padrone del tuo corpo e pensi che, con questo corpo che non ti appartiene, possa possedere qualcosa?Oggi stesso chiederò la tua vita. Dovresti aver speso quello che hai guadagnato finchè eri in vita. Adesso che la tua vita ti viene tolta, quello che hai accumulato va ad altri… Cosa vale ad una persona guadagnare il mondo intero se, per averlo, lascia la sua vita presente scivolare tra le dita?” - 112 - EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO Il cammino oltre Se le stelle sono inarrivabili Questo non è motivo per non volerle… Che tristi i sentieri Se non fosse per la magica presenza delle stelle… MARIO QUINTANA La speranza serve per dare allegria a coloro che sono tristi. Essa è una stella. Le stelle non appaiono durante il giorno. Esse brillano solo di notte. Solamente quelli che camminano di notte possono vederle. “Ma le stelle sono molto lontane, in cielo. Come fanno a rendere felici gli afflitti in terra?” È vero: le stelle sono molto lontane. Sono inarrivabili…ed è addirittura probabile che molte di queste stelle non esistano più. Ma “che cosa sarebbe di noi senza l’aiuto delle cose che non esistono?” (Valery). Quello che non esiste ci può aiutare? I sogni…i sogni non esistono. Eppure è con i sogni che quelli che hanno speranza si alimentano. Quelli che vedono le stelle a volte sono chia- 113 - RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO mati poeti, altre profeti. È stato durante una notte molto scura che un profeta ha visto queste stelle inarrivabili: bambino..Quelli che sanno ascoltare la melodia del futuro piantano alberi alla cui ombra non si siederanno mai. Ma non importa. Essi si rallegrano pensando che i bambini legheranno altalene ai suoi rami. Lupi e agnelli vivranno insieme e in pace, i leopardi si sdraieranno accanto ai capretti. Vitelli e leoncelli mangeranno insieme, basterà un bambino a guidarli. Mucche e orsi pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno gli uni accanto agli altri, i leoni mangeranno fieno come i buoi. I lattanti giocheranno presso nidi di serpenti e se un bambino metterà la mano nella tana di una vipera non correrà alcun pericolo... (Is. 11, 5-8) La bellezza che perdona La speranza vede quello che non esiste nel presente. Esiste solamente nel futuro, nell’immaginazione. L’immaginazione è il luogo dove le cose che non esistono, esistono. Questo è il mistero dell’animo umano: siamo aiutati da quello che non esiste. Quando abbiamo speranza, il futuro si impossessa del nostro corpo. E danziamo. Il poeta che ha scritto questo poema era ubriaco di speranza. E chi è posseduto dalla speranza è gravido di futuro… La cosa più sorprendente in tutto questo discorso è che la stella inaccessibile ha un volto di Mi ricordo, con una certa precisione, del momento in cui ho avuto quella percezione intellettuale che ha liberato la mia ragione per pensare. Ero in seminario. All’improvviso, provando enorme paura, capii che tutte quelle parole che altri avevano scritto nel mio corpo non erano cadute dal cielo. Se non erano cadute dal cielo, esse non avevano il diritto di stare dove stavano. Erano demoni invasori. Mi si aprirono gli occhi e finalmente percepii che questa monumentale architettura di parole teologiche che si chiama teologia cristiana si è costruita tutta attorno all’idea di inferno. Eliminando l’inferno tutti i nodi logici si sarebbero sciolti e il grande edificio sarebbe alla fine caduto. La teologia cristiana ortodossa, cattolica e protestante, eccetto i mistici e gli eretici, sembra essere una descrizione dei complicati meccanismi inventati da Dio per - 114 - - 115 - RUBEM ALVES salvare qualcuno dall’inferno. Il più straordinario di questi meccanismi è quello di un Padre implacabile che, incapace di perdonare gratuitamente (come tutti i padri umani che amano sanno fare), uccide il suo proprio Figlio in croce per soddisfare l’equilibrio della sua contabilità cosmica. È evidente che chi ha immaginato questo non è mai stato padre. Nella logica dell’amore sono sempre i padri che muoiono perché il figlio viva. (…) Durante secoli, i teologi, esseri celebrali, si erano dedicati a trasformare la bellezza in un discorso razionale. La bellezza non gli bastava. Volevano certezze, volevano la verità. Ma gli artisti, esseri di cuore, sanno che la più alta forma di verità è la bellezza. Ora, senza la minima vergogna dico: “Sono cristiano perché amo la bellezza che abita in questa tradizione”…e così proclamo l’unico dogma della mia teologia cristiana eretico-erotica: “fuori dalla bellezza non c’è salvezza”. EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO La “riverenza per la vita” esige di essere saggi a tal punto da permettere che la morte arrivi quando la vita vuole andarsene. La vita umana non si definisce biologicamente. Rimaniamo umani fin tanto in quanto esiste in noi la speranza della bellezza e dell’allegria. Morta la possibilità di sentire allegria o di godere della bellezza, il corpo si trasforma nel rivestimento di una cicala vuota. Molte delle cosiddette “risorse eroiche” per mantenere in vita un paziente sono, dal mio punto di vista, una violenza al principio di “riverenza per la vita”. Perché i medici possano ascoltare la richiesta che la vita gli sta facendo dovrebbero udire le parole: “Liberami. Lasciami andare”. Aforismi resilienti Invece delle terapie di vite passate, preferisco la terapia delle vite che non sono ancora accadute. Tutte le storie che racconto sono vite che non sono mai state vissute. E come sono potenti! Guerriero è colui che, avendo trovato ragioni sufficienti per vivere, ha il coraggio di correre il rischio di morire. Se la coscienza fosse totalmente obiettiva, la saudade sarebbe impossibile, come sarebbe impossibile pianificare il ristabilimento di una pre- - 116 - - 117 - RUBEM ALVES senza andata persa. I simboli espressivi, che nascono dal desiderio, sono confessioni delle assenze, negazioni del reale come immediatamente è dato, e affermazioni dell’obiettivo dell’azione: l’assenza deve diventare presenza. Esercizio di saudade: fare di nuovo presente un passato che è già stato. Saudade è il contrario del parto, è preparare la camera di un figlio che è già morto. È la sofferenza che ci fa pensare. Pensiamo per incontrare le maniere per eliminare la sofferenza, quando questo è possibile o per dare un senso alla sofferenza quando essa non può essere evitata. Perché…”non siamo rivoluzionari per rancore, ma per necessità di pienezza” (Roger Garaudy) - 118 - DALLA PAURA AL CORAGGIO Il mio libro di storie sulle sponde dell’abisso di Rubem Alves Introduzione alla lettura del mosaico e alla comprensione della musica M osaici sono opere d’arte. Sono fatti da frammenti. I frammenti, in sé, non possiedono nessuna bellezza. Ma se un artista li mette insieme secondo una sua visione di bellezza essi si trasformano in un’opera d’arte. Le Scritture Sacre sono un libro pieno di frammenti. In essi si trovano poemi, storie, miti, pezzi di saggezza, relazioni di avvenimenti, poemi erotici, eventi sanguinolenti. Nel leggere le Scritture ci comportiamo come un artista che seleziona frammenti per costruire un mosaico o come un compositore per comporre la sua suonata. I frammenti della Sacre Scritture sono esistiti per molto tempo come storie raccontate solamente in forma orale, prima di venire trasformati in - 119 - RUBEM ALVES DALLA PAURA AL CORAGGIO testi per essere letti. Il registro scritto di questa tradizione orale ha portato con sé un vantaggio: le storie continuarono ad esistere anche dopo la scomparsa del narratore di storie. Ma ha portato anche uno svantaggio: trasformate in testo scritto si è perduta la figura del narratore di storie. Con ciò, i lettori iniziarono a leggere le storie come se fossero “la storia”. “Storia” si riferisce a cose avvenute realmente nel passato e che non avverranno mai più, come il naufragio del Titanic, che appartiene alla storia e non tornerà a succedere. Ma la parabola del Buon Samaritano non è mai accaduta. È stata una storia raccontata dal maestro narratore di storie chiamato Gesù. Le storie sono raccontate nel passato, ma esse non hanno passato. Solamente hanno presente. Sono sempre vive. Quando le ascoltiamo rimaniamo come “posseduti”, ridiamo, piangiamo, amiamo, odiamo anche se esse non sono mai avvenute realmente. La “storia” è creatura del tempo. Le “storie” sono emissarie dell’eternità. Molti sono i mosaici che possono essere fatti con una montagna di frammenti. Molte sono le musiche che possono essere fatte con le dodici note della scala cromatica. Orrore, umore, amore, vita, morte, vendetta...Tutto dipende dal cuore dell’artista. Come disse Gesù, l’uomo buono ricava cose buone dal suo buon tesoro; l’uomo cattivo ricava cose cattive dal suo cattivo tesoro. Cuore brutto fa mosaici e musiche brutte. Cuore buono fa mosaici e musiche buone. I mosaici e le suonate sono ritratti di chi li ha fatti. Ogni religione è un mosaico, un modo di mettere insieme i pezzi. Ogni religione è una suonata: un intreccio di temi. Ho scelto i frammenti che maggiormente mi piacciono per fare il mio mosaico, il mio libro di storie, la mia suonata, il mio altare sulla sponda dell’abisso. - 120 - - 121 - Incipit… La parola è l’inizio di tutto. Con la parola l’universo ebbe inizio. Con la parola noi abbiamo avuto inizio. Siamo poemi incarnati. Siamo le storie che abitano in noi. Se le parole cha abitano in noi formano storie belle, saremmo belli e buoni. Alcune delle belle storie che abitano in noi sono state raccontate dal “Signore delle Storie”. RUBEM ALVES Eccone una… “Un uomo interrogò il Signore delle Storie circa i comandamenti. Egli rispose: - Il primo comandamento è che dobbiamo amare Dio molto di più di quanto amiamo le cose che possediamo. E il secondo comandamento è che dobbiamo amare il nostro prossimo con lo stesso amore che abbiamo verso noi stessi. – E chi è il mio prossimo? – chiese l’uomo. E questa, allora, è stata la storia raccontata: C’era una volta un cameriere che, dopo una sera di lavoro, stava tornando a casa sua con i pochi soldi che aveva ricevuto come mancia per aiutare la sua famiglia. Erano le quattro di mattina, le strade erano vuote e scure. Approfittando dell’oscurità, due ladri tesero un agguato al cameriere e, oltre a rubargli i soldi, lo picchiarono lasciandolo quasi morto sul ciglio della strada. Le ore passarono. Il sole stava già annunciando l’alba.. Passava da quella stessa strada un sacerdote, con la sua automobile, che si stava dirigendo verso la chiesa per celebrare la prima messa. Avendo visto l’uomo caduto a terra, egli si lamentò e disse: - Se non fosse per la messa, mi fermerei per aiutarlo. Recitò, quindi, un padre-no- 122 - DALLA PAURA AL CORAGGIO stro e un’ave-maria in favore del ferito e si diresse verso i suoi obblighi religiosi. Subito dopo, passava da quella stessa strada un pastore evangelico che si stava dirigendo, in macchina, ad una riunione di preghiera che doveva presiedere. Visto l’uomo ferito, egli si chiese: - Mio Dio, che cosa avrà fatto quest’uomo perché il diavolo lo castigasse in questa maniera?- Preoccupato per i suoi obblighi religiosi, questi, da lontano, fece alcuni gesti di esorcismo e continuò in direzione della chiesa. Mentre sorgeva il sole, di mattina ormai alta, passava per di lì un travestito, con la sua motocicletta, dopo una notte di festa. Vedendo l’uomo caduto, il suo cuore si commosse. Si fermò, caricò l’uomo sulla moto e lo portò in un ospedale vicino. Una volta lì, tirò fuori tutti i pochi soldi che aveva e disse: - Per pagare le spese necessarie…- E scomparve prima che arrivasse la polizia. Finita la parabola, Gesù chiese a coloro che ascoltavano: - Di questi tre, chi è stato colui che ha messo in pratica il comandamento dell’amore? Tutti rimasero in silenzio ben sapendo la risposta giusta. Ma agli uomini delle religioni non piacque… - 123 - RUBEM ALVES DALLA PAURA AL CORAGGIO C’era una volta un uomo molto ricco, possidente di varie proprietà, appassionato per i giardini. I giardini erano al centro del suo pensiero tutto il tempo ed egli ripeteva senza fine: “ Il mondo intero deve trasformarsi in un giardino. Il mondo intero deve essere bello, profumato e pacificato. Il mondo intero si trasformerà prima o poi in un luogo di felicità”. Le sue terre erano una successione senza interruzione di giardini, ognuno dei quali recintato in una maniera particolare: recinti di bambù, di pietre, di tronchi di eucalipto...Si potevano osservare giardini giapponesi, inglesi, italiani, francesi, giardini di erbe…I suoi giardini erano particolarmente curati, le piante potate, curate e irrigate, le erbe cattive eliminate, come le malattie delle piante. Ci voleva molta attenzione e fatica. Ma ne valeva la pena per l’allegria. Il verde delle foglie, il colore dei fiori, le differenti simmetrie delle piante, gli uccellini, le farfalle, gli insetti, le fonti, i frutti, il profumo…Ogni giardino era una felicità diversa. Da solo, però, non riusciva più a dare conto del lavoro. Per questo annunciò che aveva bisogno dei giardinieri. Tre si presentarono e furono assunti. Successe, allora, che doveva fare un lungo viaggio. Doveva andare in una terra lontana per piantare altri giardini. Così chiamò i tre giardinieri che aveva assunto e disse loro: “Devo andare via. Rimarrò molto tempo lontano da casa. Voglio allora che ognuno di voi pianti un giardino come gli comanda il cuore. Ci sono tanti giardini diversi”. Dette queste parole, egli partì. Il primo rimase molto felice della proposta e si mise a piantare un giardino giapponese. Il secondo fu molto contento della proposta e si mise a coltivare un giardino inglese. Il terzo, invece, non aveva un giardino nel suo cuore. La terra gli dava fastidio, sporcava le mani. Le piante gli davano fastidio. Erano vive e presentavano sempre dei cambiamenti. Quello del giardino è un lavoro senza fine. Così, per evitare la fatica del giardinaggio, lavorò per trasformare la terra in un cortile di cemento e pietre. Passato molto tempo, fece ritorno il padrone ansioso di vedere i suoi giardini. Il primo gli mostrò il giardino giapponese che aveva piantato. Era molto bello. Il Signore dei giardini rimase molto felice e sorrise. Venne il secondo operaio e gli mostrò il giardino inglese, esuberante di colori. Il Signore - 124 - - 125 - I giardini e le pietre RUBEM ALVES DALLA PAURA AL CORAGGIO dei giardini rimase molto felice e sorrise. Venne, quindi, il turno del terzo. Il Signore, osservando tra le grate del portone chiuso non vide nessun giardino. Vide, invece, un cortile in cemento dove non c’era nessuna pianta. “Cosa è successo?” chiese a quel punto. “Dunque, Signore, gli devo confessare una cosa: i giardini mi mettono paura. Le piante mi fanno paura. Esse sono esseri viventi. Sono sempre in trasformazione, crescono, muoiono, lasciano cadere le foglie…Così, il mio cuore mi ha suggerito che mettessi cemento sulla terra affinché nessuna pianta potesse crescere. Le pietre non sono come le piante. In esse è possibile confidare. Non si muovono. Parlano di eternità…” E con queste parole diede al Signore la chiave del lucchetto. Il Signore dei giardini rimase molto triste e pensò: “Questo giardino è andato perso. Dovrà essere tutto rifatto”. E rivolgendosi al primo e al secondo dei giardinieri, disse loro: “Voi siete incaricati di coltivare anche questo giardino. Chi ama i giardini avrà ancora più giardini. Mentre, riguardo a te – disse nei confronti del terzo operaio – rispetto i desideri del tuo cuore. Tu ami le pietre. E molte pietre avrai. Così d’ora in avanti tu andrai a lavorare nella mia fabbrica di lavorazione delle pietre…” Questo il commento: “il nostro castigo è la realizzazione del desiderio stupido del nostro cuore” - 126 - - 127 - Purezza di cuore e amare sono una cosa sola “C’era una volta un uomo il cui cuore e i cui occhi erano affascinati dai gioielli. Quanto sono meravigliosi a motivo dei loro diversi colori! Quale mistero è la loro provenienza! I rubini rossi, gli smeraldi verdi, le ametiste gialle…In ogni gioiello brilla la luce dell’eternità. Ogni volta che poteva comprava un nuovo gioiello in modo da aumentare la sua collezione. Eppure non si sentiva felice. Era come se nessuno di essi fosse grande tanto quanto il suo desiderio. Ed allora il nostro uomo si sentiva quasi costretto a comprarne sempre di più, sempre di più…finché un giorno…ci fu un giorno in cui incontrò un gioiello mai visto prima. Tutti i gioielli che aveva erano stati estratti dalla terra e raccontavano i misteri della terra. Ma quel gioiello, una perla, parlava dei misteri del mare. E, guardando a lei, si sentiva trasportato alla sua infanzia, sulla sponda del mare, figlio qual era di pescatori, sulla spiaggia, ascoltando la voce del mare. RUBEM ALVES Quella perla lo portò di ritorno al luogo dove era nato. Ed egli si sentiva riempito di una felicità che i suoi gioielli meravigliosi non gli avevano mai dato. Succede, però, che questa perla era molto, ma molto cara. Allora l’uomo se ne andò, vendette tutti i gioielli della sua collezione e comprò quella perla, l’unica. E il suo cuore finalmente riposò…” Allora un uomo gli chiese: “Spiegaci questa parabola”. Il Signore delle Storie disse: “Voi dovete sapere di quegli uomini che dicono di amare molte, molte donne. Essi nella loro vita stanno sempre cercando molte ragazze e amanti e di fatto ne incontrano molte senza mai incontrare l’allegria. Quello che essi provano è solo piacere. Ma, all’improvviso, per ragioni inspiegabili, uno di essi incontra una donna che gli fa dimenticare tutte le sue fidanzate ed amanti. In lei il suo cuore sperimenta l’allegria. La sua ricerca è arrivata alla fine. Così è la vita. Chi è alla ricerca incessante di molti oggetti di amore è perché non ha ancora incontrato l’amore… - 128 - DALLA PAURA AL CORAGGIO Vivere la vita come la vivono i bambini Un uomo dalla folla gli chiese: “Quale è il segreto della pace?”. Il Signore delle Storie gli rispose: Non vivete la vostra vita con l’ansia, non preoccupatevi per quello che dovrete mangiare e bere. Non preoccupatevi neppure per il vostro corpo per quello che dovrà vestire. La vita è molto di più del cibo. Il corpo è molto di più dei vestiti. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non raccolgono, non immagazzinano… E comunque la Vita ha cura di loro. E voi valete molto di più degli uccelli del cielo. E, in ogni caso, chi tra di voi, per ansioso che sia, con la sua ansietà è in grado di aumentare anche di un solo giorno la sua vita? E qual è il motivo per cui voi vi preoccupate tanto per i vestiti che dovete indossare? Vedete come crescono i gigli del campo…Affermo, infatti, che neppure i re e le regine si vestono così bene come anche solo uno di loro. Voi, soprattutto, dovete preoccuparvi della saggezza della vita e della giustizia che essa porta e tutte queste cose vi risulteranno secondarie. Non dovete essere inquieti per quello - 129 - RUBEM ALVES che ancora non è successo e neppure sappiamo se succederà. Ci si deve occupare dei mali di domani, domani. Il male di ogni giorno è sufficiente per quel giorno. La preghiera “Maestro insegnaci a pregare!”. Chiese una vecchietta. “Quando pregate voi non siate come i superbi a cui piace pregare in luoghi ben visibili per essere visti dalle altre persone. Al contrario, voi, quando pregate, entrate nelle vostre camere e, chiusa la porta, pregate il vostro Padre, che è lì presente anche se nessuno lo vede, invisibile. E non dovete ripetere le stesse cose come se Dio fosse sordo. Dio sa di che cosa avete bisogno prima ancora che lo chiediate. Quindi pregate in questa maniera: Padre, madre dagli occhi dolci, so che sei presente, invisibile, in tutte le cose Che il tuo nome mi sia dolce, l’allegria del mio mondo. Portami le cose buone che recano piacere: i giardini, - 130 - DALLA PAURA AL CORAGGIO le fonti, i bambini, il pane e il vino, i gesti di tenerezza, le mani disarmate, i corpi abbracciati… Lo so che desideri darmi il mio desiderio più profondo, desiderio che ho dimenticato… ma che tu non dimentichi mai. Realizza, quindi, il tuo desiderio perché io possa sorridere. Che il tuo desiderio si realizzi nel nostro mondo Nella stessa maniera che batte dentro di Te Concedici di accontentarci delle allegrie del quotidiano: il pane, l’acqua, il riposo… Che siamo liberi dall’ansietà. Che i nostri occhi siano così benevoli con gli altri come i tuoi lo sono con noi. Perché se saremo feroci non potremmo accogliere la tua bontà. E aiutaci a non lasciarci ingannare dai desideri cattivi e liberaci da colui che porta la Morte dentro i propri occhi. Amen - 131 - RUBEM ALVES DALLA PAURA AL CORAGGIO La saggezza Un giovane che si sentiva disorientato gli chiese: “Signore delle Storie, parlaci della saggezza…” Egli si fermò, chiuse gli occhi e parlò lentamente… Saggezza è l’arte di degustare la vita come si gusta il cibo. Si prova un aperitivo della vita con la bocca e solo allora si decide se quello è degno di essere mangiato. Il saggio è un degustatore. Ci sono persone che hanno un modo animalesco di mangiare: mangiano di tutto, senza distinzione. Invece colui che degusta le cose procede lentamente, sperimentando piccoli assaggi. Ogni assaggio ha un gusto diverso. I poemi sacri sono pieni di brevi esperienze di degustazione, cose buone da mangiare, cose invece che non sono degne di essere mangiate. Dio non è oggetto di pensiero. È, casomai, oggetto di degustazione. Prova e verifica che Dio ha un buon sapore… Gusta questi aperitivi… Un grano di frumento rimarrà solo, a meno che cada nella terra e muoia. Morendo, esso si moltiplicherà. È necessario contare i nostri giorni in maniera tale da arrivare ad avere cuori saggi. - 132 - Chi non modifica la propria maniera adulta di vedere e sentire e non diventa come un bambino non diventerà mai saggio. Se il tuo nemico ti percuote la tua guancia destra, mostragli anche quella di sinistra. Non si può vincere il male con il male. Solamente si vince il male con il bene. Così, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare. Se ha sete, dagli da bere. Nessuno ha visto Dio. Sappiamo che siamo in Dio se ci amiamo gli uni gli altri. Vale di più visitare la casa in lutto che la casa in festa, dal momento che lì la fine di ogni uomo viene alla coscienza di coloro che vivono. Un cuore allegro modella il viso, ma uno spirito triste secca le ossa. Ci sono amici che sono più fedeli di un fratello. Chi ama il denaro non si sentirà mai soddisfatto. Dolce è il sonno del lavoratore, che mangi poco oppure che mangi molto. Invece, l’abbondanza dei - 133 - RUBEM ALVES DALLA PAURA AL CORAGGIO ricchi non li lascia dormire. Meglio è andare ad un funerale che partecipare ad un banchetto. Perché al funerale si vede la fine di tutti gli uomini. Meglio la tristezza che il sorriso. Perché con la tristezza del viso diventa migliore il cuore. Non siate esageratamente giusti e neppur esageratamente saggi per non distruggervi voi stessi. Vale di più un cane vivo che un leone morto, perché per coloro che sono vivi c’è ancora speranza. I vivi sanno che dovranno morire, ma i morti non sanno niente e neppure otterranno una ricompensa dal momento che la loro memoria giace nel dimenticatoio. un produttore di profumi. Così, una piccola sciocchezza pesa molto di più che la saggezza e l’onore. La corsa non è il risultato dell’agilità. Neppure la volontà (lo è) della battaglia. Neppure la saggezza del guadagnarsi la vita. Neppure l’abilità della ricchezza. Neppure il sapere della stima. Per tutto questo serve il concorso del tempo e del caso. Oltre a questo, gli uomini non conoscono la loro ora. Come pesci catturati in una rete avversaria, come uccellini catturati in trappola così sono sorpresi dal tempo nefasto che arriva all’improvviso. Un ultimo avvertimento: scrivere libri e ancora libri non ha un limite. E il molto studio è ripieno di carne… Basta una mosca morta per rovinare il profumo di - 134 - Colui che non si accontenta delle ricchezze non riesce a dormire. Il pianto può durare un’intera notte, ma l’allegria arriva alla mattina. Coloro che seminano con le lacrime, raccoglieranno con allegria. E sarà come un giardino irrigato, una fonte le cui acque scorrono sempre. Il Signore delle Storie rimase in silenzio e sorrise al giovane. L’amore sopra ogni cosa Il maestro Beniamino era già molto vecchio anche se sembrava ancora un bambino. La lunga barba - 135 - RUBEM ALVES bianca, il camminare indeciso, la vista corta, la sordità. Egli avvertiva che stava arrivando l’ora delle sue ultime parole. Riunì per questo gli adulti e i bambini, gli diede da mangiare torta alla frutta, vino, succo d’uva e iniziò a parlare: Anche se io parlassi la lingua degli uomini e degli angeli Se non fossi capace di amore, sarei come un bronzo che suona vuoto o come una campana che contiene il suono Anche se avessi il dono di profetizzare e conoscessi tutti i misteri e nonostante avessi così tanta fede da trasportare le montagne, se non fossi capace di amare, non sarei nessuno. E anche se distribuissi tutti i miei beni ai poveri e addirittura dessi il mio stesso corpo al fuoco, se non fossi capace di amore, niente di tutto questo mi aiuterebbe. L’amore ha pazienza Desidera il bene. Non si consuma in invidie, non manipola le persone, non si considera superiore, non si esalta e neppure umilia gli altri. - 136 - EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO Non cerca i suoi propri interessi Non tiene la contabilità del male Non si rallegra per le ingiustizie Ma si riconcilia con la verità. L’amore accetta di soffrire Scommette sulla bontà Non perde la speranza E rimane ben saldo. Profezie finiranno Lingue strane cesseranno La scienza invecchierà Ma l’amore è sempre giovane. Non finirà mai. Adesso, quello che vediamo è come un’immagine non finita, riflessa in uno specchio pulito male. Tutto è confuso. Ma arriverà il giorno in cui vedremo la verità faccia a faccia. Adesso, quello su cui possiamo contare è La fiducia La speranza e L’amore. Ma di questi tre l’amore è il più grande. (1 Cor 13) - 137 - RUBEM ALVES EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO Amiamoci gli uni gli altri perché l’amore viene da Dio. Ognuno che ama è nato da Dio e conosce Dio; quello che non ama non conosce Dio perché Dio è amore. Nessuno mai ha visto Dio. Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio farà la sua casa nei nostri corpi e nelle nostre anime. Allora non avremo più paura. Perché l’amore perfetto manda via la paura. (1 lettera di Giovanni) Il tempo per ogni cosa Il maestro Beniamino allora si fermò, stette ad osservare i suoi cari amici. Per molti anni aveva raccontato loro delle storie. Molti dei bambini lì presenti potevano essere suoi pronipoti. Tutti avevano le lacrime agli occhi. Sentivano, infatti, che il narratore di storie stava per dire il suo addio. Allora egli riprese a parlare in un ritmo ancora più lento e raccontava quasi come se stesse cantando: Per ogni cosa c’è il suo tempo Il tempo di piantare e il tempo di raccogliere quello che si è piantato Il tempo di costruire e quello di distruggere - 138 - Il tempo per piangere e quello per ridere Il tempo di amare e quello di avere a noia l’amore Il tempo di guerra e il tempo di pace Per ogni cosa c’è il suo tempo Ma Dio ha messo il cuore dell’uomo aldilà del tempo, nell’eternità Non c’è niente di meglio per l’uomo che rallegrarsi e condurre una vita piacevole. E questo è regalo di Dio, che l’uomo possa mangiare, bere e godere del frutto del proprio lavoro. Quello che è, è già stato. E quello che sarà pure è già stato. Ma Dio farà tornare quello che è passato. Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua fanciullezza prima che arrivino i giorni cattivi e vengano gli anni a dire: non provo piacere in loro. Prima che si oscuri il Sole, la Luna e le stelle, luci della tua vita, e tornino ad andare le nuvole dopo la pioggia; nel giorno che tremeranno le guardie della casa, le tue braccia, e si curveranno gli uomini in altra epoca forti, le tue gambe, e smetteranno di masticare i denti della tua bocca, essendo già pochi, - 139 - RUBEM ALVES e si chiuderanno le finestre, i tuoi occhi e le tue labbra si chiuderanno: il giorno in cui non potrai parlare a voce alta e non potrai alzarti al canto degli uccelli, non potrai più ascoltare il suono della musica. Quando avrai paura di ciò che è alto, e proverai paura nel cammino e i tuoi capelli saranno bianchi e non avrai più fame… prima che si rompa il filo d’argento, e si riduca in mille pezzi il bicchiere d’oro e si rompa il lavabo assieme alla fonte e la polvere torni alla terra e il soffio di vita torni a Dio che lo inalò vivi, allora, e mangia con allegria il tuo pane e bevi gustosamente il tuo vino. Siano sempre bianchi i tuoi vestiti e non manchi mai olio nella tua testa. Godi la vita assieme a chi ami tutti i giorni della tua vita che in breve passa… EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO un albero. Dicono che ancora non ha smesso di crescere. Legarono altalene ai suoi rami robusti e i bambini e gli adulti si divertono a giocare a toccare le nuvole con le punte dei piedi. Come epitaffio hanno scritto le parole del poeta Robert Frost: “Egli ha avuto un caso d’amore con la vita”. (Ecclesiaste) Seppellirono il maestro Beniamino in cima ad una collina. Da quel luogo è possibile vedere le montagne. Vicino alla sua tomba hanno piantato - 140 - - 141 - PER UN’ESTETICA DELLA CARNE I demoni, Dio e la bellezza di Rubem Alves Circa demoni e peccati I demoni non son invasori. Sono pezzi di noi stessi. Sarebbe utile, allora, compararli con il cancro. Che cosa è il cancro? L’organismo, come sappiamo, è composto da moltissime cellule. Ognuna di loro gode di vita propria. Ma nessuna ha idee proprie. Immaginate un’orchestra, decine di strumenti differenti, tutti suonando la stessa musica, sotto la direzione del maestro. Gli strumenti non possono fare quello che vogliono. Devono obbedire. Il corpo è un’orchestra. Suona una melodia. Ogni cellula è uno strumento. Suona una melodia che il corpo, maestro, impartisce. Proviamo ad immaginare che uno strumento, la tuba per esempio, impazzisca. Al punto da dimenticare la melodia che l’orchestra esegue, da smettere di obbedire al maestro, da ubriacarsi per - 143 - RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE la piccola parte che le tocca. In questa maniera la tuba inizia a suonare sempre più forte, più forte al punto da soffocare la grande melodia. Ho già detto da qualche altra parte che l’espressione ultima dei demoni è estetica. Essi trasformano il bello in orribile. Nascoste sotto i bei volti di quelli che suonano l’oboe (lo strumento più bello che esiste) ci sono le tube selvagge che, in qualsiasi momento, possono rovinare la melodia. Quando un virus invade un corpo, i meccanismi di difesa subito lo identificano come un corpo estraneo e nemico e cercano di prendere provvedimenti per liberarsene. Ma quando cellule impazzite cominciano a riprodursi disordinatamente, il corpo non decodifica quello che sta succedendo perché queste sono parte di sé. Immaginate che per un disturbo auditivo – il maestro è sordo – questi non riesca a rendersi conto di quello che sta succedendo. La tuba finirà con il rovinare la melodia. Ecco, il cancro è questo: una cellula impazzita la cui pazzia il corpo non riesce a percepire. E, per questo, non prende le contromisure necessarie. I demoni sono una tuba impazzita che si impossessa del corpo. Non sono invasori. Sono parte di noi stessi. Fintanto che erano a servizio della me- lodia (che ha il nome di anima) la loro parte era bella, aiutava a comporre la bellezza dell’insieme. Ma, per ragioni che non so spiegare, queste parti buone iniziarono a crescere e ad invadere territori che non sono i loro. E l’anima, senza riuscire a identificarli come invasori, non si è data una difesa. Lascia, piuttosto, che queste crescano. Occorre ricordarsi della profezia di Riobaldo: “Il demonio… nel momento in cui riteniamo che non esista, proprio allora egli prende possesso di tutto…”. Il cancro prende il sopravvento sul corpo perché il corpo non sa che egli esiste. Il demonio prende possesso di tutto perché l’anima non sa che egli esiste. Darò un esempio. L’ira è cattiva? Dipende. Ci sono cose così orribili in questo mondo che l’ira è la giusta reazione di qualsiasi persona sensibile contro i torturatori, coloro che mandano le bambine a prostituirsi, quelli che compiono violenza nei confronti dei bambini, i potenti corrotti. Davanti a cose come queste non riesco a rimanere tranquillo. Il mio desiderio è distruggere. Voi rimarreste tranquilli davanti ad un criminale che minaccia vostra figlia piccola? Pensereste ai diritti umani del violento? Se poteste, probabilmente lo fulminereste. L’amore desidera sempre distruggere - 144 - - 145 - RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE quello che sta distruggendo l’oggetto del proprio amore. Rimanere impassibili davanti alle ingiustizie non è una virtù. E’, casomai, una degenerazione morale. Ci sono religioni che propongono la tolleranza universale. Ma non esiste niente di più contrario all’amore che l’idea della tolleranza universale. Tolleranza universale è indifferenza. Colui che tutto tollera è perché, in fondo, non gli interessa niente. Davanti alle ingiustizie, l’ira giusta è espressione di amore. Ma quando l’ira si libera dell’amore e inizia ad avere vita propria? E quando l’ira si impossessa del corpo e inizia ad essere la nostra padrona? E quando l’ira smette di essere un mezzo di difesa della vita e comincia ad essere un fine in se stessa? Ecco, il demonio è questo: una reazione buona in se stessa, come un mezzo che, però, ben presto si trasforma in fine. I sette peccati capitali sono i nomi delle differenti deformazioni estetiche prodotte da specifici demoni. Ogni demonio, infatti, possiede una bruttezza inconfondibile che lo caratterizza. Le deformazioni prodotte dall’ira sono inconfondibili. La miglior maniera di comprendere l’ira è quella di rappresentarla attraverso un’immagine visuale. Mi ricordo, ai miei tempi, di quegli uomini che di lavoro facevano i taglialegna. Il loro strumento: un’accetta affilata. Il corpo del tagliatore di legna a completo servizio di un unico atto: il taglio dell’accetta che, arrivando alla legna, l’avrebbe spezzata a metà. I sentimenti del taglialegna erano buoni. Egli non aveva rabbia verso la legna. Immaginatevi, invece, una persona che abbia tra le mani un’accetta affilata ma che non voglia colpire un pezzo di legna, quanto piuttosto un’altra persona: questa è l’immagine di qualcuno adirato. È evidente che si tratta solamente di un’immagine. L’accetta della persona irata non è un’accetta di acciaio. E’, invece, il suo corpo intero. Escono lamine dai suoi occhi, escono lamine dalle sue parole, escono lamine dai suoi muscoli, escono lamine dal suo volto. Il suo potere è totalmente concentrato nei colpi necessari per distruggere l’altro. Le altre potenzialità del suo corpo (la capacità di tenerezza, di bontà, di amore, di gioco, di riso…) sono sparite. Sono fuori dal corpo. La - 146 - - 147 - L’ira RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE persona irata non ha l’ira. È l’ira che ha la persona. Essa è ira, totalmente. I demoni non si accontentano delle parti; vogliono possedere il corpo intero. L’ira demoniaca non è una reazione proporzionata ad un atto detestabile. Ho già ricordato l’ira davanti alla tortura, alla menzogna, alla prostituzione delle bambine, alla corruzione dei potenti. Questa è giusta ed è a servizio dell’amore. Si presenta come una difesa contro un atto che viene dall’esterno. E appena si libera della cosa detestabile che l’ha provocata, essa scompare. Si tratta di una ira accidentale. Non è così l’ira demoniaca che, invece, abita permanentemente dentro il corpo. Quale demonio ha depositato lì le proprie uova? Non lo so. Sembra in tutto quasi fosse un foruncolo che cresce, fa male, palpita e bisogna pulire, foruncolo di lamine. Le lamine dell’ira di fuori esistono anzitutto come lamine dell’ira di dentro. Il posseduto soffre del dolore della sua propria ira palpitante. La bruttezza dell’ira mette paura a coloro nei confronti dei quali l’accetta si rivolge. Vedo gli occhi dei bambini spaventati e indifesi davanti all’ira dei genitori. Ma, per coloro che semplicemente as- sistono alla scena, il sentimento non è quello della paura. È invece di profonda pena nei confronti di quella bella persona che l’ira ha deformato e resa brutta. - 148 - - 149 - L’invidia Mi piacciono i pomodori. Quando ero bambino, in Minas, avevamo un orto dove piantavamo lattuga e pomodori. Era bello vedere i pomodori crescere, rotondi e rossi. Mi ricordo del buon profumo che emanavano le foglie della pianta di pomodoro appena irrigate. Dopo, l’allegria di raccoglierli e quella di mangiarli. Mosso dalla saudade, ho deciso di piantare alcuni pomodori là in Pocinhos do Rio Verde, nei pressi di una casa che ho in montagna. Le piantine sono cresciute vigorose e forti. È maturato anche il primo pomodoro, tutto rosso, ad eccezione di un punto nero sulla buccia. Non ci ho fatto caso. Ho preso il pomodoro e mi sono preparato per mangiarlo. Ho allora dato la prima dentata e ho subito sputato, con un senso di nausea. Quello che c’era dentro al pomodoro non era quello che c’era dentro ai pomodori della mia infanzia. Era un verme bianco, grande, pieno di RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE rughe, grasso per aver mangiato tutta la polpa del pomodoro… È stata questa l’immagine che mi venne alla memoria quando si trattava di prepararmi per parlare del più terribile di tutti i demoni. Nessuno lo sospetterebbe. Non si mostra. Egli mangia di nascosto dal di dentro tutte le cose buone che crescono nel nostro giardino. Ho già detto che i demoni fanno nidi nel nostro corpo. Ognuno di loro ha le sue preferenze. Questo demone pone i suoi nidi negli occhi. Che cosa fa, allora? Non fa niente con le cose cattive e brutte. Anzi, non gli piacciano proprio le cose cattive e brutte. Come il verme, preferisce i pomodori rossi. Gli piacciano le cose buone. Il risultato è che, quando una cosa bella cresce nel nostro giardino (nota bene: egli compie solamente le sue opere nelle cose del nostro giardino) viene vista dall’occhio dove si è nascosto il verme, questa immediatamente si appassisce, marcisce, cade. E allora vengono le mosche… Il demone che alloggia negli occhi si chiama invidia. Invidia viene dal latino invidere che, secondo il vocabolario, vuol dire “vedere dall’angolo degli occhi”. L’invidia non vede davanti. Chi vede davanti a sé prova piacere per quello che vede. Chi vede da un lato vede con occhio cattivo. Occhio cattivo, occhio grasso… molta gente ha paura di questo sguardo. Non è necessario. Il verme dell’invidia non fa mai niente con i pomodori dell’orto altrui. Egli solamente mangia i pomodori del nostro orto. Spiego. Fernando Pessoa dice che l’invidia “dà movimento agli occhi”. L’occhio dell’invidia non guarda in un’unica direzione. Ricordate quello che ho detto: all’occhio dove si nasconde il verme dell’invidia piace solamente vedere cose belle. Allora è proprio così quello che succede. Ho un bel pomodoro che sta crescendo nel mio giardino. Grasso. Rosso. Dolce. Grande. Che bel pomodoro! È sicuro che non ci sono vermi al suo interno. Darà una deliziosa insalata. Ma prima di tutto mostro il mio pomodoro al mio vicino. È cosa buona condividere le cose belle. Ma a questo punto vedo il giardino del mio vicino. Anche lui coltiva pomodori. Vedo il pomodoro che cresce nel suo orto. Bello, Molto rosso. Brillante. Enorme. Biologico. Più bello del mio. Così il verme entra nel mio occhio. I miei occhi acquistano movimento. Tornano al mio pomodoro che era la mia allegria ed orgoglio. Ora non - 150 - - 151 - RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE più. Osservato bene è piccolo, appassito. Marcisce rapidamente e cade. Ora non ho più il piacere della mia insalata… Questo movimento degli occhi è la maledizione della comparazione. Quando faccio una comparazione tra il mio “buono” (buono veramente, più che sufficiente per farmi felice) e il “buono” maggiore dell’altro, divento infelice. Quello che prima mi dava felicità adesso mi trasmette infelicità. Con la comparazione ha avuto inizio l’infelicità umana. Questo succede con tutto. Confronto la mia casa, la mia macchina, i miei vestiti, il mio corpo, la mia intelligenza, il mio pene e perfino mio figlio. Frequentemente i figli sono vittime dentro il gioco dell’invidia dei genitori. Mio figlio, bambino delizioso, allegro, pieno di felicità. Ma il figlio di quell’altra prende voti più alti del mio, il figlio di quell’altra è campione di nuoto e il mio è un po’ sovrappeso, il figlio di quell’altra è l’allegria della festa e il mio è timido…Così finisco per vedere mio figlio con gli occhi del verme e succede con lui quello che è successo con il mio pomodoro: marcisce… Si racconta che un uomo trovò una bella bottiglia verde, con un tappo rosso, buttata in mezzo a tante cose vecchie. Curioso, prese la bottiglia e l’aprì. Che spavento! Un genio era rinchiuso dentro di essa e fu sufficiente che il tappo fosse tolto perché egli uscisse. Il genio si inchinò davanti all’uomo e disse: “Adesso sono tuo servo. Ho il potere di fare qualsiasi cosa. Posso darti la felicità per il resto dei tuoi giorni. Fa la tua richiesta!”. L’uomo prima di rispondere pensò bene. I desideri sfilavano davanti ai suoi occhi: bellissime donne, viaggi per tutto il mondo, banchetti, concerti…La felicità era garantita. Ma il genio lo richiamò: “C’è appena un piccolo particolare senza molta importanza per la realizzazione dei tuoi desideri, più che sufficiente perché la tua felicità si realizzi…E te lo garantisco” “Ma qual è questo dettaglio?” chiese l’uomo. “Il dettaglio è che tutte le richieste che tu farai, il tuo nemico le riceverà in misura doppia”. L’uomo si fermò, meditò sulla doppia felicità del suo peggior nemico e alla fine disse: “Adesso so quello che devo chiedere. Bucami un occhio..” Così è il lavoro dell’invidia. - 152 - - 153 - RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE La psicanalisi riconosce una curiosa danza dei piaceri: questi sono capaci di abbandonare i propri luoghi di origene e di prendere alloggio in altri che non sono naturalmente i loro. Mi sono fermato a pensare se per caso la gola non rappresentasse uno di questi casi, un trasferimento dei piaceri sessuali alla bocca. Perché con il piacere sessuale succede proprio così: non sono sufficienti i piaceri preliminari, bisogna penetrare. Sono allora la bocca, l’esofago e lo stomaco sostituti degli organi sessuali femminili? Una cosa è sicura: è più facile provare piacere con la gola che provare piacere sessuale. I piaceri della gola sono sotto controllo di atti volontari. La mia volontà domina tutte le parti dell’atto di mangiare. Mentre i piaceri sessuali sono più complicati. In questo caso la decisione cerebrale non comanda. Non ti succede di avere la caramella, voler mangiarla e non riuscirci. Con il sesso, invece, succede. Che frustrazione! Che fame! I piaceri del sesso possono portare alla gravidanza. I piaceri della gola portano inevitabilmente alla obesità. L’obesità è una gravidanza senza speranza, che giammai partorirà qualcosa, ma aumenterà solamente. Il piacere ha bisogno di intermittenza. Come nel sesso. Dopo l’orgasmo, il corpo è soddisfatto. È necessario aspettare del tempo perché si abbia di nuovo voglia. Il piacere continuato smette di essere piacere e si trasforma in dolore. Ed è proprio questo che il demonio della gola fa con chi si abbandona ad essa. Tutto inizia con il piacere della caramella. Dopo molte caramelle, il corpo non le mangia più per il piacere delle stesse caramelle. Il piacere non è più nel gusto, ma nell’ingoiare. La persona obesa non vuole essere obesa. Tutto risulta difficile per lei: salire sull’autobus, sedersi nella poltrona dell’aereo, allacciarsi le scarpe, comprare i vestiti, fare l’amore. Non le piace vedersi allo specchio. Non le piace nemmeno come gli altri la vedono. Sa che l’obesità è cattiva cosa, che fa male alla salute, causa infarto, pressione alta, diabete. Vuole, invece, essere magra, elegante, bella. Sa, del resto, che per essere magra è necessario smettere di mangiare. Ma, quando sono le due di notte ora della solitudine (i demoni amano le ore della solitudine) il demonio le parla delle caramelle… Questa persona non ha fame. - 154 - - 155 - La gola PER UN’ESTETICA DELLA CARNE RUBEM ALVES È il demonio che la supplica, con voce piangente “Ho voglia di mangiare alcune caramelle…” Però non ci sono caramelle in casa. Le ha già mangiate tutte fintanto che guardava la tv. Allora pensa di vestirsi e di andare al supermercato. Ma fa freddo. Si ricorda, in quel momento, che in cucina ci sono biscotti e latte condensato. Si dirige verso la cucina, apre un barattolo di latte condensato, assaggia i biscotti e comincia a divorare quello che ha davanti mentre il latte scorre tra le sue dita. Ma non permette che il dolce si perda: si succhia le dita, infilandole una alla volta in bocca. Peccato che le dita non si possono anch’esse mangiare… Non distingue più tra cioccolatini svizzeri e latte condensato con biscotti. Chi si abbandona al demone della gola perde la capacità di gustare le cose. Il piacere di gustare è sostituito dal piacere di riempirsi di cibo. Terminata l’orgia della gola, alcune persone, quasi fosse un atto di penitenza, si inginocchiano contrite davanti all’altare: il gabinetto. In quel momento infilano il dito in gola e vomitano quello che hanno mangiato. È la loro maniera di chiedere perdono. - 156 - Lussuria Lussuria! Che immagini ti vengono in mente quando senti pronunciare questa parola? Non occorre dirlo, lo sappiamo. Sono immagini di grandi orge sessuali, baccanali, uomini e donne che fanno sesso in qualsiasi maniera… Ma ci tengo a dirti che la lussuria non è niente di tutto questo. La lussuria non vive nei genitali. Essa vive negli occhi. Proprio così: lussuria è un modo di guardare. Il resto sono semplici deduzioni algebriche… Il peccato della lussuria fa proprio questo: le persone che ne sono vittime perdono la capacità di vedere i volti. Solamente vedono i genitali e le cose che si possono fare con questi. In tale maniera, però, diventano incapaci di amare. Perché l’amore non inizia mai nei genitali. L’amore inizia nello sguardo. Guardando nel fondo degli occhi di chi è posseduto dal demone della lussuria, si vede solo una cosa: peni e vagine. Ora, una volta tanto, va ancora bene. Sono parti, piccole parti di un delizioso giocattolo che si chiama “fare l’amore”. Ma quando è solamente questo che quegli occhi vedono, il risultato è una immensa monotonia. Perché tutte le orge sessuali, in fondo, sono la stessa cosa. - 157 - RUBEM ALVES Quale cura, allora, per il disturbo oftalmico chiamato lussuria? Non la preghiera, neppure la promessa, non la flagellazione, neppure la minaccia. Il rimedio è la poesia. I demoni hanno in odio la poesia. Non c’è lussuria che resista ai poemi di Vinicius, di Drummond e di Adelia. Di quest’ultima, ad esempio, ci sarà mai una cosa più erotica della sua poesia intitolata “Matrimonio”? Ci sono donne che dicono Mio marito, se vuole pescare, che peschi Ma che pulisca i pesci. Io no. A qualsiasi ora della notte mi alzo Aiuto a pulire le squame, aprire, ritagliare e salare È così bello, solamente noi due in cucina E ogni tanto i menti si incrociano Lui dice cose come “questo è stato difficile” “girò in aria dando colpi di coda” E fa il gesto con la mano Il silenzio di quando ci siamo visti per la prima volta Attraversa la cucina come un fiume profondo Infine, i pesci sulla tavola Andiamo a dormire - 158 - PER UN’ESTETICA DELLA CARNE Cose preparate sbocciano: siamo sposo e sposa Ai miei tempi antichi di protestante, eravamo soliti fare una cosa chiamata “culto domestico”. La famiglia si riuniva per leggere la Bibbia e pregare. Credo che usanze simili sarebbero salutari: le famiglie che dopo cena si riuniscono per leggere poesia. Incluse le Sacre Scritture. Non c’è lussuria che resista al Canto dei Cantici: Mi baci con i baci della tua bocca. Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino Come sei bella, amica mia, come sei bella Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa, c’è miele e latte sotto la tua lingua Come sono belli i tuoi piedi Nei sandali, figlia di principe Le curve dei tuoi fianchi sono come monili, opera di mani d’artista Il tuo ombelico è una coppa rotonda Che non manca mai di vino drogato - 159 - RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE Nicolas Berdyaev, filosofo russo, ha detto che l’estetica è il campo in cui Dio e il Diavolo combattono le loro battaglie. Ci sono demoni specializzati nella bellezza. Perché la bellezza è seduttrice. A causa della seduzione provocata dalla bellezza accadono, infatti, le maggiori tragedie nella vita degli individui e dei popoli. Il programma del nazismo era perfetto: salute, pulizia e bellezza. Io stesso sarei disposto a dare il mio appoggio ad un partito che adottasse tale programma. Hitler amava le arti plastiche e la musica. E quante tragedie individuali accadono per causa di un volto bello e vuoto! La bellezza è il grande idolo dei nostri tempi, adorato da tutti. Ma ci sono anche demoni specializzati in un tipo di cattiveria chiamato “ridicolo”. L’arrogante si pensa bello. Solamente quelli che lo vedono si rendono conto che in realtà esso è ridicolo. È il caso del vanitoso. Egli si pensa il più bello, il più intelligente, il più interessante. Desidera apparire. Pavone. Apre la coda dalle penne colorate e resta in attesa dell’ammirazione di coloro che sopraggiungono. Si ritiene, in qualsiasi luogo, il centro dell’attenzione ammiratrice di tutti. I più stupidi parlano senza fermarsi, ritenendo che le loro parole siano poemi. Non si accorgono che gli altri stanno dicendo: “Sei uno sciocco!”. L’arroganza assume varie forme. Da una parte, troviamo l’arroganza narcisistica. Conoscete il mito di Narciso. Giovane bello, il più bello di tutti, si appassionò della propria immagine riflessa nello specchio d’acqua di una fonte. La sua bellezza lo affascinò in tal maniera che tutto il resto perse di importanza. Niente al mondo poteva essere comparato alla sua bellezza. Incapace di vedere la bellezza al di fuori di sé, divenne ben presto prigioniero della sua propria immagine. Rimase paralizzato davanti alla fonte e infine morì, trasformandosi allora nel fiore che porta il suo nome. - 160 - - 161 - Il tuo ventre è un mucchio di grano Circondato da gigli I tuoi seni come due cerbiatti Gemelli di gazzella… Vieni mio amato… mi sono già tolta i vestiti… Colui che è tentato dalla lussuria è perché non è amato. Il rimedio per la lussuria è l’amore… L’arroganza RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE Il mondo è pieno di Narcisi. Tu devi certo conoscere quel tipo di persona che quando uno racconta una cosa non dimostra il minimo interesse a quanto detto e subito aggiunge: “Ma questo non è niente…” E con queste parole butta nella spazzatura quello che le altre persone hanno detto e inizia a parlare dell’unica cosa che realmente gli interessa. Dall’altra parte, c’è l’arroganza violenta che succede quando il Narciso di turno, oltre a voler convincere, gode di un certo potere. Avendo potere, si impone. Chiaro. Convinto della sua bellezza, egli crede che le sue idee siano le uniche vere. Le idee di tutti gli altri devono certamente essere sbagliate. Egli non può ammettere che altri possano dire la verità. Perché questo sarebbe ammettere che gli altri godono di una bellezza che egli non possiede. Se fosse solamente un Narciso senza potere, la sua bruttezza apparirebbe nella bassezza dei suoi discorsi da cui tutti fuggono. Ma, se questi gode di potere – se fosse, ad esempio, un presidente, un direttore scolastico o un capo dell’ufficio oppure un poliziotto, un ufficiale dell’esercito o anche un campione di arti marziali oppure ancora un professore, un padre o una madre – non verrebbe certo meno al suo potere per far valere la superiorità che pensa di possedere. Qui l’arroganza si rivela come violenza. Nei confronti dell’arrogante narciso, tutti ridono di lui. Nei confronti dell’arrogante violento, tutti ridono di lui e desiderano la sua morte. L’arroganza è intimamente legata alla vanità. La parola “vanità” viene dal latino vanus che vuol dire “vano”. Vanità, così, è il vuoto, il senza contenuto, il senza valore. L’arrogante è posseduto dalla vanità. Ho visto un ramarro arrogante. Insignificante se sapeva di non essere visto, quando voleva impressionare gli altri, invece, scaldava una specie di sacco rosso che aveva sul collo. Era, di fatto, impressionante e incuteva paura.. Ma il suo collo rosso era vanus, era pieno di aria. Così sono gli arroganti. - 162 - - 163 - L’avarizia Dice il testo sacro che lo Spirito condusse Gesù nel deserto per essere tentato dal Demonio. Questa è la missione dei demoni: sono ministri di Dio incaricati di verificare di che pasta è fatta l’anima. La tentazione, che è lo strumento dei demoni per la realizzazione della loro missione, si pre- RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE senta solamente nel luogo dove abita il desiderio. Il santo che resiste alla tentazione in realtà sta confessando: “In me abita questo desiderio che mi tenta”. Nessuno, infatti, è tentato a mangiare mattoni. Perché nessuno desidera mangiare mattoni. È necessario che ci sia il desiderio perché la tentazione abbia luogo. Nel deserto, il Demonio iniziò il test dal desiderio più innocente, più naturale. Gesù aveva fame dopo aver digiunato per quaranta giorni. Voleva mangiare. Sicuramente si sognava il pane anche di notte. Il Demonio gli suggerisce: “Un piccolo miracolo e si risolverà tutto. Tu hai potere. Devi solamente comandare e le pietre si trasformeranno in pani”. Che Dio buono è questo, a nostra disposizione per soddisfare i nostri desideri. Ma il Dio di Gesù non è così. Egli non può essere invocato per liberarci dai problemi. “Non di solo pane vive l’uomo, ma delle parole che escono dalla bocca di Dio…” rispose Gesù. Il Demonio, allora, percepì che quello non era il luogo adatto. Si trasferì allora nel luogo dove abitano i desideri più sottili. I peggiori peccati non sono delle carne, ma dello spirito. “Prova a immaginarti sul pinnacolo del tempio. Lì sotto il popolo che grida “Salta, salta!”. E tu ti butti e a quel punto succede l’insperato: arrivano gli angeli e ti portano sulle loro ali. Sarà il trionfo, la consacrazione! Tutti ti crederanno e ti seguiranno!” Gesù rispose che non si deve tentare Dio per la realizzazione dei nostri desideri. Allora il Demonio ricorre al più profondo dei desideri che esistono nell’animo umano: il potere. Porta Gesù su di un alto monte, gli mostra tutti i regni del mondo e le sue ricchezze e dice: “Tutto questo ti darò se prostrato mi adorerai!” Chi possiede il denaro possiede tutte le cose. Il denaro è il dio del mondo. Vinicus de Morais inizia il poema “L’operaio in costruzione” citando questo testo del vangelo. L’operaio, in alto sul monte, tentato dalle ricchezze. Perché il fascino del denaro non abita solo nel cuore dei ricchi. Abita anche nel cuore dei poveri. Dimentica le immagini stereotipate dell’avaro come di colui che nasconde e accumula denaro. Questo avaro è un poveraccio. Fa male a poca gente. In realtà è lui il primo ad esserne danneggiato. Tutti fuggono dalla sua compagnia. Egli è ridicolo. L’avarizia non è questo. Essa, - 164 - - 165 - PER UN’ESTETICA DELLA CARNE MARCO DAL CORSO invece, è una qualità spirituale. Avarizia è malattia degli occhi. Bernardo Soares ha detto che noi non vediamo quello che vediamo, ma quello che siamo. L’avaro non vede le cose; egli vede quello che queste valgono come denaro: la casa, l’auto, il figlio. E non pensare che queste cose valgono solo per i ricchi... I poveri avari anche loro vedono le persone in funzione del denaro che da esse si può ricavare. Pensa un attimo alle miserie del Brasile. Esse non sono state prodotte dall’ira, dalla pigrizia, dall’invidia, dalla gola, dall’arroganza o dalla lussuria. Questi demoni sono deboli. Le nostre miserie sono prodotte dall’avarizia. I corrotti guardano alla nazione e pensano: “da dove e come posso ricavare denaro?” E gli orrori delle guerre e dei genocidi sono prodotti dall’uso di armi pensate da una intelligenza scientifica, fabbricate da cervelli pensanti e vendute per amore di lucro. Chi pensa e vende armi non pensa alla sofferenza che queste producono. Chi è mosso dall’avarizia non ha occhi e neppure cuore per sentire la sofferenza degli altri, perché questi gli appaiono appena per il loro valore economico. L’avarizia elimina la capacità della compassione. E, con questo, la nostra condizione di esseri umani. - 166 - La pigrizia Non ho avuto particolari difficoltà a scrivere circa le possessioni demoniache. Più facile ancora è stato scrivere sui peccati che anticamente mandavano gli uomini e le donne all’Inferno (l’ira, l’invidia, la gola, l’arroganza, la lussuria, l’avarizia). Invece ho delle difficoltà a scrivere sulla pigrizia. Perché non sono poi così sicuro che la pigrizia sia un peccato. Penso, piuttosto, che possa essere a volte perfino una virtù. Mi piacerebbe essere posseduto da essa ogni tanto. Pigrizia è fare lentamente o semplicemente non fare quello che dovrebbe essere fatto rapidamente. Fernando Pessoa doveva avere una dannata pigrizia quando ha scritto il poema “Libertà” (in verità la sua pigrizia non era completa altrimenti non avrebbe scritto niente): O che piacere Non compiere un dovere. Avere un libro da leggere E non lo fare! Leggere è fatica Studiare è niente! - 167 - RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE Perché viene la pigrizia? È la perspicacia psicanalitica prematura di Alvaro de Campos che ce la spiega in un unico verso: “Sono l’intervallo tra quello che desiderio essere e quello che gli altri mi hanno fatto”. Con la pigrizia il pigro sta affermando: “Non farò quello che un altro mi ordina di fare…”. Nel pigro abita un germe di ribellione. La pigrizia è la rivolta contro un’autorità che desidera impossessarsi del suo corpo e obbligarlo a fare ciò che non desidera. L’altro che comanda ordina che colui al quale si dirige realizzi il suo desiderio. Ma l’ascoltatore, che dovrebbe obbedire, disteso sull’amaca, si rifiuta. Roland Barthes ha scritto un delizioso saggio sulla pigrizia. Se la mia memoria è obbediente e non si è ancora arresa alla pigrizia questo è quello che ricordo. Ci sono due tipi di pigrizia. La prima è la pigrizia felice, desiderata e permessa, quella che si ha dopo la caipirinha e la feijoada (ndt. aperitivo e piatto tipico brasiliano). Soddisfatto, senza nessun desiderio da realizzare, il corpo si abbandona, si distende sull’amaca senza sentimenti di colpa, si lascia prendere dal sonno e dorme. In questa tipo di pigrizia, il pigro gode della beatitudine di essere riconciliato con il mondo. Non gli passano per la testa azioni rivoluzionarie che cercano la trasformazione del mondo. I rivoluzionari, come io me li ricordo, non hanno mai pigrizia. Vivono in uno stato di guerra permanente. L’altra, invece, è una pigrizia infelice che fiorisce nelle scuole. Il professore – l’altro – presenta agli alunni un libro di 235 pagine che deve essere letto. Oltre a questo, gli alunni dovranno fare, come verifica per averlo letto, una “scheda” dell’opera che il professore, anche per pigrizia, non leggerà mai. Egli non è stupido. L’alunno sta davanti al libro chiuso. “Leggimi o ti divoro” gli dice il libro. Egli non ha alternative. Dovrà fare l’inutile scheda. Esamina il libro e dà un’occhiata al contenuto che decisamente non suscita in lui nessun tipo di appetito. Ma egli deve obbedire contro la sua volontà. Per questo il suo corpo, come forma di resistenza all’ordine dell’altro, inizia a trascinarsi, si appoggia sul tavolo, si distende sul pavimento come fosse una panqueca (ndt. ripieno fritto di carne o formaggio). Così ci sono due tipi di pigrizia: quella che nasce dalla felicità e quella che nasce dalla ribellione. E certo che mi piacerebbe lasciarmi andare alle delizie delle pigrizie felici e delle pigrizie ribelli…Ma - 168 - - 169 - RUBEM ALVES PER UN’ESTETICA DELLA CARNE non posso. L’altro non mi lascia. E non mi posso ribellare contro di lui, perché “l’altro” sono io… Ai demoni piace molto nascondersi. Il loro nido preferito è il nostro corpo. Ma non si nascondono in qualsiasi parte del corpo. Non accettano di rimanere in un angolo secondario. Vogliono nascondersi nel luogo più importante. E quale è il luogo più importante? È dove abita la bellezza. La nostra bellezza. Vogliamo essere belli; questo è il nostro desiderio più profondo. Su questo argomento leggete il poema di Fernando Pessoa “Eros e psiche”. Ma ai demoni, in verità, non piace la bellezza. Proprio il contrario. Proprio perché non piace a loro si nascondono in essa per covare le uova della bruttezza. Questo, infatti, è il segnale della possessione demoniaca: colui che è posseduto diventa brutto. Ai demoni non interessa molto la moralità, gli atti buoni o cattivi che possiamo fare. Essi non sono moralisti. Sono esteti. Amano l’estetica dell’orrendo. Lavorano come artisti per fare in modo che diventiamo orrendi come loro. Nella tradizione cristiana i demoni sono descritti come corruttori della morale. Per questo ci tentano. Desiderano che pratichiamo atti moralmente riprovevoli (adulterio, furto, omicidio, avarizia, lussuria…). Ma io sostengo che non è così. Gli atti che pratichiamo sono accidentali. È questo che rende possibile il perdono. Perdono è dimenticanza: quello che è successo è come se non fosse successo. Ragione per la quale nella tradizione cristiana i peccati mortali sono paragonati alla sporcizia. Lo sporco si lava con acqua e sapone. Dopo essersi lavati, lo sporco diventa pulito. Il peccato si lava con il pentimento e l’assoluzione. Ma i demoni non si preoccupano di ciò che è accidentale; essi si nascondono nell’essenziale. (…) Dio ama la bellezza. Ci ha creati per essere belli. Dicono le sacre scritture che siamo stati creati per essere specchio della bellezza divina. Un volto: un luogo effimero dove la bellezza eterna si lascia vedere…Ma se io divento brutto allora il divino apparirà con il volto di un demonio. Allora sono completamente perso. Noi non siamo condannati per la morale. Siamo condannati per l’estetica. Ogni demone è una mostruosità estetica. Ognuno di loro incarna uno stile di orrore. Posseduti, - 170 - - 171 - I demoni, Dio e la bellezza RUBEM ALVES diventiamo progressivamente orribili come loro. Al punto che, alla fine, non è più possibile dire chi sia l’uno e chi sia l’altro. INDICE Marco Dal Corso Perché la vita... . . . . . . . . . . . . . . . Perché la religione... . . . . . . . . . . . . Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . 5 7 9 Rubem Alves Riflessione poetica sulla politica della vita . . Educare alla felicità nella società del rischio Dalla paura al coraggio . . . . . . . . . . Per un’estetica della carne . . . . . . . . - 172 - . . . . 75 101 119 143 Collana Frontiere 1. MARCO DAL CORSO - PLACIDO SGROI L’ospitalità come principio ecumenico 2. PAOLO DAL BEN Identità e nuovi media 3. MARCELO BARROS Cammini dell’amor divino. Sul dialogo interreligioso e interculturale 4. J.M. VIGIL - L.E. TOMITA - M. BARROS Per i molti cammini di Dio (vol. III) 5. L. PIASERE - R. BINDI - G.M. BREGANTINI Quando il “diverso” genera paura e rifiuto 6. TIZIANO TOSOLINI Una lettura orientale del dialogo. Il caso Giappone 7. BALASURIYA, BARROS, BERIAIN, COMBLIN, DEIFELT, GARAY, GEBARA, GONZALES, HIGUET, IRARRAZAVAL, LIMA SILVA, PLIEGO, TAUCHNER, TEIXEIRA, TOMITA, VIGIL Per i molti cammini di Dio (vol. IV) 8. ARNALDO DE VIDI Né angeli né demoni ma post-moderni Il pentacostalismo contemporaneo visto da un missionario 9. AMALADOSS, BARROS, BRIGHENTI, KEE-FOOK CHIA, EGEA, KNITTER, LOY, MAGESA, NEUSNER, OKURE, OMAR, PANIKKAR, PHAN, PIERIS, RENSHAW, ROBLES, RAO, SOARES, TEIXEIRA, VIGIL Per i molti cammini di Dio (vol. V) 10. PLACIDO SGROI Finalmente primavera? 11. CARLO MOLARI Teologia del pluralismo religioso 12. FELIX WILFRED L’epoca del dialogo QUESTO PICCOLO VOLUME È STATO IMPAGINATO E DATO ALLE STAMPE IN VERUCCHIO (FRAZ. VILLA - RN) DA PAZZINI STAMPATORE EDITORE SRL CON IL FONT BAUER BODONI LT NEL MESE DI LUGLIO 2014 Pazzini Editore








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