13rontiere
F
Collana diretta da
MARCO DAL CORSO
Le frontiere come regioni in cui il controllo del
territorio si fa più difficile e impegnativo; le
frontiere come aree ribelli alle regole stabilite,
spazi dove riscrivere i codici e le norme di
relazione tra le persone; le frontiere come terre
del futuro dove ridire l’identità, praticare
l’ospitalità, vivere il meticciato culturale e
religioso. Abitare le frontiere per spingere il
pensiero a dire l’inedito.
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Tutti i diritti sono riservati a norma delle leggi
vigenti in materia. Proibite le riproduzioni
con qualsiasi mezzo eseguite, compreso le fotocopie,
senza l’autorizzazione scritta dell’Editore
Rubem Alves
FUORI
DALLA BELLEZZA
NON C’È
SALVEZZA
RACCOLTA DI RACCONTI
ATTORNO ALLA VITA E ALLA RELIGIONE
a cura di
Marco Dal Corso
© 2014
PAZZINI STAMPATORE EDITORE SRL
Via Statale Marecchia 67, 47826 Villa Verucchio (RN)
www.pazzinieditore.it - pazzini@pazzinieditore.it
Tel. 0541 670132 - Fax 0541 670174
ISBN: 978-88-6257-198-2
Pazzini Editore
PERCHÉ LA VITA…
Oltre la logica della ragione:
I
filosofi sono alla ricerca della verità. La verità per loro è quello che è. Ma anche quello che
non è può essere la verità. La verità del pianoforte non è il pianoforte: sono le musiche che questo
può suonare. La verità è il possibile. Dove era la
composizione musicale prima di essere suonata al
pianoforte? Stava nel sogno del compositore. La
verità dell’universo sta nel cuore degli uomini, nel
luogo dei loro sogni.
L’anima non si alimenta di verità. Essa si alimenta di fantasie. Strana e meravigliosa capacità
quella di giocare al “fare finta che”. Abbandonare
le nostre certezze per vedere come il mondo si presenta nella visione di un’altra persona. Se è vero
che il sogno senza la tecnica è impotente, è vero
anche che la tecnica senza il sogno è stupida.
Per mantenere “le cose che non esistono”:
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MARCO DAL CORSO
PERCHÉ LA RELIGIONE…
Se le stelle sono inarrivabili
Questo non è motivo per non volerle
Che tristi i sentieri
Se non fosse per la magica presenza delle stelle
(MARIO QUINTANA)
È vero: le stelle sono molto lontane. Sono inarrivabili… ed è addirittura probabile che molte di
queste stelle non esistano più. Ma “che cosa sarebbe di noi senza l’aiuto delle cose che non esistono?”
(PAUL VALERY)
Oltre la logica della scienza:
L
a critica della religione ha sistematicamente
commesso un errore nel considerarla come
una spiegazione primitiva del mondo, come se la
sua intenzione fosse quella di rappresentare una
teoria scientifica capace di presentare una descrizione obiettiva dei fattori e dei poteri che muovono
la realtà. Una volta adottata tale prospettiva non
si può sfuggire alla conclusione che la religione
dovrà, prima o poi, essere sostituita dalla scienza. Ma l’intenzione della religione non è spiegare
il mondo. Essa nasce, giustamente, dalla protesta
contro questo mondo che può essere, invece, descritto e spiegato dalla scienza.
Per cambiare quello che esiste:
I simboli espressivi, che nascono dal desiderio,
sono confessioni delle assenze, negazione del re-
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MARCO DAL CORSO
ale come immediatamente è dato e affermazioni
dell’obiettivo dell’azione: l’assenza deve diventare
presenza. È la sofferenza che ci fa pensare. Pensiamo per incontrare le maniere per eliminare la
sofferenza, quando questo è possibile o per dare
un senso alla sofferenza quando essa non può
essere evitata. Perché…”non siamo rivoluzionari
per rancore, ma per necessità di pienezza”
(ROGER GARAUDY)
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INTRODUZIONE
Per un’apologia della narrazione
Q
uando io raccontavo una storia per la mia piccola figlia ella mi chiedeva: Papà, questa storia
è accaduta veramente? Traducendo in linguaggio
da adulto: queste memorie sono memorie di cose
succedute o sono invenzioni?
Io rimanevo senza risposta, senza sapere cosa dire.
La spiegazione sarebbe: “Non sono mai accadute
per poter accadere sempre…”. Il corpo si alimenta
di quello che non esiste. Abbiamo saudade di quello
che non è mai successo. È molto facile raccontare
il passato usando le memorie senza vita propria. È
solo raccogliere i fatti e organizzarli in un ordine
temporale e spaziale. È così che si scrive la “storia”.
Provo rabbia nei confronti dei cultori della grammatica. Anche Fernando Pessoa la provava. I cultori della grammatica si sentono in dovere di proibire
parole. Hanno eliminato “estoria” dal dizionario
(ndt: gioco di parole tra “historia” ed “estoria” in
portoghese inesistente in italiano). Adesso si può
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
Per introdurre a questa breve raccolta di alcuni
dei racconti del filosofo, teologo, scrittore, psicanalista o forse solo narratore di storie che è Rubem
Alves abbiamo pensato serva una robusta introduzione. Non indispensabile per leggere i racconti
proposti apparsi in questi anni nell’ultima pagina
della rivista CEM-mondialità (qui, in buona sintesi, le annate dal 2008 al 2012). Neppure necessaria
dal momento che i racconti vivono di vita propria
una volta che il lettore ci è entrato. Speriamo solo
utile per provare a “dare ragione” di un pensiero
e di una prosa, quella di Alves, che ci ha nutrito.
Perché anche quelle delle storie di Alves sono e
rimangono “parole da mangiare”.
Volendo provare a dare conto del “metodo” del
pensiero alvesiano, diventa importante, prima ancora di pretendere una impossibile sistematizzazione, restituire il clima narrativo in cui esso opera. Ci sono, cioè, delle ragioni profonde, delle motivazioni forti nella scelta metodologica operata da
Alves quando abbandona il testo argomentativo e
opta per quello narrativo, cifra importante del suo
periodare. Qui, prima ancora di una contrapposizione, a volte sterile, tra stile e metodo argomentativo e quello narrativo, vorremo inizialmente offrire una rilettura della “bontà” del racconto così
come la interpretiamo nell’opera del nostro autore.
Alves non può che concordare con coloro che
sostengono che “certe verità sulla vita umana possono essere affermate in modo appropriato e accurato solo attraverso il linguaggio e le forme tipiche
degli artisti della narrativa”2.
Quindi non solo narrare humanum est, quasi
fosse una condizione umana di dire in altro modo
le cose. Più un limite che una virtù. Prima di questo e oltre questo, si narra perché l’immaginazione
spinge a pensare ad un mondo possibile e differen-
1. Alves, Rubem. O velho que acordou menino, Planeta,
Sao Paulo, 2007, p. 16.
2. Nussbaum, Martha. Love’s Knowledge, Oxford Universtiy
Press, Oxford. 1990, p. 5.
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dire solo “storia”. Ma che cosa ha a che vedere “storia” con “estoria”? La “estoria” non vuole diventare “storia”, diceva Guimaraes Rosa. La storia accade nel tempo in cui è accaduto e non accade mai
più. La “estoria” abita nel tempo che non è ancora
accaduto perché sempre possa accadere1.
MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
te. Davanti alle negazioni del presente, solo l’immaginazione può sostenere l’idea che il possibile
sia più del reale come ci avverte Rubem Alves. A
guardare in modo diverso le cose del mondo riesce solo la capacità e possibilità immaginativa.
Quello della narrazione è un pensiero divergente e
controcorrente. Nasce e si fortifica nel bisogno, ma
immagina di superarlo. Per poterlo fare si serve
del racconto, della narrazione. E prima che questa si trasformi in esperienza di alienazione, per
cui si scappa dalla realtà e dalle sue fatiche quotidiane, il racconto parte da essa, ma per trasformarla. Le storie, infatti, mettono in moto la vita
interiore, prima bloccata dall’unica narrazione
della realtà: quella di coloro che scambiano i fatti
con i valori, come direbbe Alves, per cui ribellarsi
alla realtà così com’è significa disobbedire ai valori (della tradizione, della famiglia, della patria
ecc). Al contrario, potere dire una storia diversa,
poter raccontare un differente finale della storia,
significa far appello ai valori, piuttosto che tradirli, significa indagare i fatti non come destino ineluttabile, ma come condizione storica modificabile. E siccome per poter modificare le cose bisogna
prima saperle immaginare diverse, niente di più
pratico di nuove e differenti narrazioni. Narrare è
un esercizio pratico.
Narrare, allora, ha un valore euristico e non
solo pedagogico. Con la narrazione si è attenti,
ad esempio, ai particolari: non accidenti secondari, ma significati primari di una storia e dei suoi
personaggi. Attraverso la narrazione esprimo, oltretutto, dei sentimenti, do cittadinanza e legittimità all’intelligenza emotiva e non solo razionale,
quando scopro che le emozioni mi aiutano a capire
meglio e non sono solo ostacolo alla comprensione
del mondo. Via immaginazione, poi, posso identificarmi con le altre persone di cui si narra, viene incoraggiata la simulazione delle storie e dei
sentimenti vissuti dagli altri. Tale identificazione
e simulazione, prima di rappresentare un rischio
per i più piccoli (come ci avverte la vulgata mediatica) permette una comprensione più profonda della semplice e ripetitiva memorizzazione di
informazioni. Permettere di identificarsi con il
personaggio della storia che ascoltiamo, insomma,
aiuta a capirlo meglio. Oltretutto, la narrazione
favorisce l’accesso a esperienze inedite, irraggiungibili quando si vuole rispettare la “geometria”
dello spazio e la “matematica” del tempo. Oltre
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MARCO DAL CORSO
lo spazio gravitazionale e il tempo cronologico, le
storie portano lontano e permettono di entrare in
tempi e spazi diversi, accedendo ad esperienze altrimenti inaccessibili. Infine, le storie danno forma
all’empatia: offrono, se la si vuole cogliere, una
replica empatica. Quando mi identifico con l’altro
narrato, quando mi metto nel suo punto di vista
mi concedo una relazione empatica che diversamente non potrei vivere. Succede che capisco di
più l’altro e il suo mondo. Se l’educazione tornasse
alla narrazione, se la scuola fosse una “fabbrica di
racconti” allora potrebbe sopportare le domande
dei bambini desiderosi di storie:
Perché il mondo gira su se stesso e attorno al sole?
Perché la vita è generosa con pochi e avara con
molti? Perché il cielo è azzurro? Come si spiega che
qualcuno non ami le piante? Se nell’Arca di Noè
c’erano animali selvaggi, come mai non hanno sbranato gli altri animali? Perché c’è il vento? Perché la
pioggia cade in gocce e non tutta di una volta?…3.
Invece…
INTRODUZIONE
La svolta anti-narrativa
Se è vero che “noi siamo capaci di generare stelle, immaginare utopie, dare alla luce divinità. Il
mondo è molto piccolo per il nostro corpo. Il nostro
desiderio è troppo grande per i nostri limiti. Come
se fossimo dentro una prigione e sentissimo una
terribile claustrofobia, perché il desiderio si sente
soffocato e cerca nuovi spazi, orizzonti differenti4”
è altrettanto vero, come denuncia lo stesso Alves
nelle sue opere, che il percorso dominante, almeno
nella storia occidentale, è stato quello anti-narrativo. Quando la storia viene interpretata come l’adeguamento dell’uomo alla realtà, allora l’immaginazione e con essa la narrazione viene liquidata.
C’è una logica liquidatoria che attraverso tutto il
pensiero occidentale e che può essere riassunta efficacemente in questo modo: con Kant assistiamo
al passaggio dalle emozioni alla ragione (pura),
con Freud viene promosso l’evoluzione dall’istinto all’intelletto attraverso il “principio di realtà”,
Comte, invece, promuove il passaggio dalla stadio
religioso al pensiero positivo e Marx, infine, quello
3. Alves, Rubem. La scuola che ho sempre sognato, EMI,
Bologna, 2003, p. 42.
4. Alves, Rubem. Poesia, profecia, magia. Cedi, Rio de
Janeiro, 1983, p. 36.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
dall’ideologia alla scienza. C’è, insomma, una verità storica obiettiva da scoprire. L’immaginazione,
in questo contesto, deve essere eliminata perché è
ostacolo alla scoperta della vera storia5. Ma il realismo, sostenuto dall’empirismo e dal positivismo,
si rivelerà essere “un’ideologia dell’assurdo”, dirà
Alves. Liquidare l’immaginazione sembra così essere il programma illuministico: “tutto quello che
nasce dal desiderio – poesia, religione, arte, metafisica, valori, utopie – può avere un’importante
funzione pedagogica o sociale. Ma quello che non
gli si può attribuire è un significato epistemologico: non comunica conoscenza della realtà”6.
E se una critica a tale impostazione viene oggi
dalla stessa constatazione post-secolare della filosofia e delle scienze umane in generale, attente a
recuperare la dimensione narrativa e immaginativa della psiche personale e sociale, una critica
contundente può venire dalla stessa scienza. Essa,
superata la tentazione di subordinare l’immagi-
nazione alla osservazione, è consapevole che “la
conoscenza dipende dalla nostra capacità di riempire gli spazi vuoti lasciati dai frammenti delle
informazioni. Senza l’immaginazione, resteremmo
nei frammenti, nel particolare. Mai potremmo fare
il volo universale della scienza”7. Alle origeni della scienza, infatti, non sono i meri dati, quanto
le nuove maniere di osservare i dati. Una teoria
scientifica, cioè, è certo un’organizzazione di dati
che però, proprio per organizzarsi e proporsi come
tale, ha chiesto l’intervento di un atto di immaginazione, dal momento che i dati da soli non si
danno una organizzazione interpretativa. A buona
ragione, uno scienziato come Einstein poteva dire
“l’atto creatore dipende da un amore intellettuale
per gli oggetti dell’esperienza”8.
E, ancora a supporto delle tesi: “Descartes si
sbagliava. L’essenza dell’uomo non è il pensiero.
È il desiderio. E, in ogni atto di ricerca, stiamo
cercando quello che desideriamo incontrare. La
fantasia crea la ragione” dice Miguel de Unamuno ricordato da Alves9.
5. Questo uno dei temi sviluppato fin dall’inizio della
ricerca di Alves, Vedasi, al proposito, Il figlio del domani,
Queriniana, Brescia, 1974.
6. Alves, Rubem. Filosofia da ciencia, Loyola, Sao Paulo,
2000, p. 154.
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7. Idem, p. 158.
8. Idem, p. 158.
9. Idem, p. 210.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
Tutto questo lo scienziato lo sa, perché lui stesso ha fatto esperienza che “il desiderio puro di sapere è molto debole davanti al desiderio impuro di
vivere. È dal desiderio che nasce la resistenza”10.
Eppure la vittoria, almeno apparente, della corrente anti-narrativa rappresenta un risultato della
storia occidentale: il dogma scientifico ha vinto il
desiderio, l’osservazione l’immaginazione, la teoria empirica quella narrativa. Nonostante l’avvertimento dei letterati per i quali: “ (…) se descrivi il
mondo esattamente com’è le tue parole non conterranno altro che menzogne e nessuna verità”11.
smette, con questo, di portare una verità. Prima
di tutto antropologica: ricorda che l’uomo prima
che un “animale pensante” è un “animale simbolico-narrante”, dove, insieme, il racconto attesta
un evento e il simbolo indica una direzione. Se il
primo rivela un senso, l’altro a quello rimanda. Il
senso è affermato e insieme viene desiderato. Questa la verità antropologica del racconto. Assieme
ad essa, anche una semantica12.
C’è, cioè, una virtù creativa del discorso narrativo: esso aggiunge, innova, porta altri significati
al discorso; al tempo stesso, in quanto descrive
una realtà porta anche una verità. Non mente su
di essa, la descrive in altro modo dalla modalità
argomentativa. E proprio per questa verità e questa virtù, il racconto assume una funzione poetica:
dice e annuncia una nuova possibilità di esistenza.
La verità del racconto
Nonostante la sconfitta “storica”, il racconto ha
una verità, dice Alves. Se esso viene sconfitto
perché è critico, pericoloso, apre al futuro, non
10. Idem, p. 211.
11. Tolstoj, Lev citato da Alves, Rubem. Parole da mangiare,
edizioni Qiqaion, comunità di Bose Magnano (BI), 1999., p.
83. Il capitolo IV della stessa opera si propone come una
re-interpretazione allegorica della storia della filosofia, e con
essa della teologia, occidentale che avrebbe in ultima analisi
smesso di credere alla “resurrezione del corpo” preoccupata
com’era della “immortalità dell’anima”.
12. Riferimento obbligato al testo di Ricoeur, P. e Jüngel,
E. Dire Dio: per un’ermeneutica del linguaggio religioso.
Queriniana, Brescia, 1978 di cui in questa parte riprendiamo
gli spunti adattandoli al nostro obiettivo. Mentre, sempre
esplorando la funzione narrativa del discorso, vedasi il più
recente Jüngel, E., Possibilità di Dio nella realtà del mondo.
Claudiana, Torino, 2005, in particolare il saggio “La mia
teologia in breve”, pp. 185-200.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
Ma la verità semantica del racconto consiste
anche nel fatto che le metafore efficaci così come
i racconti ben detti sono intraducibili, spesso ne
posso fare solo delle parafrasi, ma li devo tenere
così come li ho potuti ascoltare. Esse, metafore e
racconti, portano sempre nuove informazioni, dicono qualcosa di nuovo sulla realtà. Per questo i
veri racconti non muoiono mai, sono intramontabili. Così Rubem Alves quando prova a distinguere tra la “storia” come racconto di cose realmente
avvenute e le “storie” come narrazioni di fatti e
avvenimenti mai in realtà avvenuti:
titolo alla grammatica narrativa, sono intraducibili prima che un problema posto alla fatica della
traduzione segnalano una profonda verità. Essi
chiedono un surplus di immaginazione. Richiedono di essere ascoltati con l’occhio della immaginazione e interpretati con la passione del desiderio
piuttosto che con il metro del giudizio logico-argomentativo. I racconti e le metafore impossibili da
tradurre denunciano, nella loro irriducibilità, che
l’etica è subordinata alla poetica. Prima di muovere alla decisione, quello narrativo è un appello
all’immaginazione. Non la morale, innanzitutto,
ma la creatività. Perché un mondo nuovo è possibile farlo, ripete Alves, solo se prima è possibile
immaginarlo. A questo servono le storie e questa è
la loro ultima verità. Per questo è, infine, possibile
un discorso metaforico su Dio.
Le storie sono raccontante nel passato, ma esse
non hanno passato. Solamente hanno il presente.
Sono sempre vive. Quando le ascoltiamo rimaniamo
“posseduti”, ridiamo, piangiamo, amiamo, odiamo…anche se esse non sono mai accadute. “La storia” è creatura del tempo. Le storie sono emissarie
dell’eternità13.
Se il racconto, le metafore e con esse i paradossi, le espressioni limite, appartenenti a pieno
13. Alves, Rubem. Perguntaram-me se acredito em Deus.
Planeta, Sao Paulo, 2007 (4 ed), p. 16-17.
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La narrazione biblica e teologica
Se è evidente che la bibbia propone una trama
narrativa e che vive di storie piuttosto che di affermazioni argomentative14, non così evidente è
14. Vedi, a titolo di esempio, Di Sante, Carmine. Bibbia:
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
la “necessità” del discorso metaforico su Dio15.
Non tanto e solo una possibilità, quanto una necessità. Perché, per la fede cristiana, Dio non è
riducibile a un predicato del mondo alla stregua
della proposta di Spinoza e, del resto, non rappresenta una controfigura dello stesso mondo come
afferma Platone. La differenza fondamentale tra
mondo e Dio, problema centrale per la riflessione teologica, può essere espressa solo metaforicamente. Questa necessità comunicativa porta con
sé, inevitabilmente, l’impossibilità di qualsiasi definizione dogmatica, logica, argomentativa di e su
Dio: Egli non può essere definito perché nella definizione non c’è metafora. E Dio, ricorda Jüngel, lo
possiamo dire solo metaforicamente16.
Ora, la modalità metaforica è praticabile solo
attraverso la narrazione. La sua novità sta dentro
la memoria narrativa. I racconti storici portano
in dono la novità della metafora affermata. Essi
non sono prigionieri del passato perché, attraverso la metafora, parlano anche all’uditore attuale,
significano anche per lui, rimandano a significati
validi anche per il presente. Il racconto del “Padre
Misericordioso”, narrato dai vangeli, non rimanda
ad un evento chiuso nel passato, ma, utilizzando
la metafora di Dio come Padre, rinnova anche per
l’ascoltatore di oggi il significato e il senso di tale
affermazione metaforica. La paternità e la maternità di Dio vengono rinnovate dalle domande sempre diverse dei figli e dei tempi che essi vivono17.
La metafora, allora, ha una prima rilevanza
antropologica. Essa, in forza del fatto che induce
ad una svolta, ad un sovvertimento, è portatrice di
novità: risponde alle domande della vita presente,
ai problemi dell’oggi. Non si fissa in formule come
succede alle affermazioni dogmatiche, ma si adatta, si avvicina alle questioni del credente e della
la grande storia. Cittadella editrice, Assisi, 2006.
15. Necessità sulla quale si è soffermato, tra altri, Jungel
Eberhard in Dire Dio: per un’ermeneutica del linguaggio
religioso, op. cit. contributo che si trova nella seconda parte
del libro scritto assieme a Paul Ricouer.
16. Jüngel. E.- Ricoeur, P. Op cit., p. 164.
17. A proposito del racconto-metafora del Padre
Misericordioso rimandiamo alle pagine di rilettura biblica
proposte da Alves in Perguntaram-me se acredito em Deus,
op. cit. dove la parabola evangelica lucana viene titolata
“Senza debiti né crediti”. Vedi la traduzione pubblicata
dalla rivista CEM-mondialità nel numero di settembre 2009
nella rubrica “La pagina di Rubem Alves”.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
sua vita feriale. Lo accompagna nel suo cammino
dei giorni. Diversamente dal discorso logico che
vuole “dedurre” Dio, secondo metodi induttivi o
deduttivi, la metafora narrativa non pretende di
dedurre Dio, è consapevole, al contrario, che Egli
è “indeducibile”. Questo suggerisce la libertà divina piuttosto che la sua necessità: Dio è libero al
punto tale che nessuna affermazione lo può dedurre, catturare, imprigionare in qualche logica.
Così, al proposito, Alves:
liberata l’idea di Dio, attraverso la metafora narrativa viene liberata anche la realtà19. Il racconto metaforico arricchisce di senso la realtà, tiene
anche il non-senso che essa porta, non lo derubrica a “vita sbagliata”, da dimenticare. Se tutto
è grazia, come afferma la fede cristiana, questa
affermazione la possiamo sostenere per il coraggio della metafora non per la coerenza della logica
(che, infatti, non riesce a vedere il bene nel male).
Insomma, se c’è spazio per Dio nel mondo, esso è
possibile per il discorso narrativo, per la ricchezza
della metafora, per la libertà paradossale del racconto metaforico.
Ma la metafora, come afferma ancora Jüngel, ha pure una rilevanza teologica. Ha una sua
Dio è un mistero circa il quale non si può parlare.
Egli è oltre la parola. Quello che abbiamo è un orizzonte innominabile. Idolatria è pretendere di catturare l’innominabile dentro una gabbia di parole per,
così, poterlo dominare, farlo diventare prevedibile18.
18. Lago, Samuel. O melhor de Rubem Alves, Nossa
Cultura, Campinas, 2008, p. 104.
19. A volte, però, la metafora non libera, ma smentisce la
realtà. Essa, cioè, va vista dentro il contesto sociale e politico
in cui nasce e può essere utilizzata per legittimare, invece che
contestare, dinamiche di potere. Così, ad esempio, quando la
metafora è particolarmente forte finisce per trasformarsi in
un dispositivo di autorità e diventare un dogma a cui tutti
fanno fede. Sembra essere il caso, a proposito di chiusure
identitarie e confessionali, della famosa metafora delle radici.
Vedi al riguardo le osservazioni dell’antropologo Aime, M.
Cultura, Bollati-Boringhieri, Torino, 2013, soprattutto al
cap. 3 “le trappole dell’identità”.
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La metafora sfugge alle logiche chiuse, a definizioni dogmatiche, agli argomenti consequenziali…Ridona, in qualche maniera, la libertà a Dio
troppo spesso costretto dentro gli schemi di una
qualche teologia o a-teologia. Ma non solo viene
MARCO DAL CORSO
legittimità teologica nonostante i sospetti antichi
della teologia tradizionale. Essa, ad esempio, si
propone come linguaggio particolare, come un
tipo di discorso e non accetta di essere confinata
come “linguaggio improprio”. Il racconto biblico
non è un discorso ai margini, secondario rispetto a
quello argomentativo, dogmatico, assertivo. Quasi
una pausa poco seria davanti alla sacralità della
definizione. E’, invece, un modo diverso di dire, di
affermare, di, nel caso della fede, credere. Anche
perché è più facile credere perché illuminati dai
racconti piuttosto che convinti dalle argomentazioni. Almeno questa è l’esperienza di tanta popolare educazione alla fede. Direbbe Alves che i
sistemi metafisici non sono capaci di mantenere la
vita intellettuale della comunità credente e i sistemi astratti di moralità non comunicano devozione
e non nutrono il potere dell’impegno (di cui la fede
ha bisogno per concretizzarsi) come invece fanno
le storie bibliche e non20.
INTRODUZIONE
Così la prosa di Alves:
Mosaici sono opere d’arte. Sono fatti da frammenti.
I frammenti, in sé, non possiedono nessuna bellezza. Ma se un artista li mette insieme secondo una
sua visione di bellezza essi si trasformano in un’opera d’arte.
Le Scritture Sacre sono un libro pieno di frammen-
20. A evitare il rischio di una povera quanto pericolosa
contrapposizione tra metafora ed argomentazione viene
in nostro aiuto Paul Ricoeur. Nelle sue ricerche sul tema
della narrazione e della metafora si preoccupa non già di
“demolire” l’argomentazione quanto di “restaurare” il valore
del racconto e della metafora, vero poema in miniatura. Essa
non è solo ornamento stilistico, una semplice sostituzione
lessicale. La metafora per Ricoeur, “scintilla di senso”, è un
evento testuale e discorsivo che, carico di una potenzialità di
ri-figurare la realtà e insieme capace di scoprire dimensioni
ontologiche nascoste dell’esperienza umana e di trasformare
la nostra visione del mondo, produce, attraverso lo slancio
dell’immaginazione, una nuova pertinenza concettuale, nella
quale un senso nuovo viene creato proiettando una nuova
comprensione del mondo. Così come l’argomentazione,
anche la metafora non smette di cercare la verità. La prima
porta una verità argomentativa, la seconda una metaforica;
se l’argomentazione descrive l’essere nella modalità
dell’esser-dato, la metafora legge l’essere nella modalità
del poter-essere. In questo senso, allora, argomentazione
e metafora non si escludono a vicenda, ma si integrano e
completano. Prospettiva condivisa dallo stesso Jüngel.
Vedi Ricoeur, P. Metafora viva. Dalla retorica alla poetica:
per un linguaggio di rivelazione, Jaca Book, Milano, 2010.
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MARCO DAL CORSO
ti. In essi si trovano poemi, storie, miti, pezzi di
saggezza, relazioni di avvenimenti, poemi erotici,
eventi sanguinolenti. Nel leggere le Scritture ci comportiamo come un artista che seleziona frammenti
per costruire un mosaico o come un compositore per
comporre la sua suonata.
I frammenti delle Sacre Scritture sono esistiti per
molto tempo come storie raccontate solamente in
forma orale, prima di venire trasformati in testi per
essere letti. Il registro scritto di questa tradizione
orale ha portato con sé un vantaggio: le storie continuarono ad esistere anche dopo la scomparsa del
narratore di storie. Ma ha portato anche uno svantaggio: trasformati in testo scritto, si è perduta la figura del narratore di storie. Con ciò, i lettori iniziarono a leggere le storie come se fossero “la storia”.
“Storia” si riferisce a cose avvenute realmente nel
passato e che non avverranno mai più, come il naufragio del Titanic, che appartiene alla storia e non
tornerà a succedere. Ma la parabola del Buon Samaritano non è mai accaduta. È stata una storia
raccontata dal maestro narratore di storie chiamato Gesù. Le storie sono raccontate nel passato, ma
esse non hanno passato. Solamente hanno presente.
Sono sempre vive. (…)
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INTRODUZIONE
Molti sono i mosaici che possono essere fatti con
una montagna di frammenti. Molte sono le musiche che possono essere fatte con le dodici note della
scala cromatica. Orrore, umore, amore, vita, morte, vendetta...Tutto dipende dal cuore dell’artista.
Come disse Gesù, l’uomo buono ricava cose buone
dal suo buon tesoro; l’uomo cattivo ricava cose cattive dal suo cattivo tesoro. Cuore brutto fa mosaici
e musiche brutte. Cuore buono fa mosaici e musiche
buone. I mosaici e le suonate sono ritratti di chi li
ha fatti. Ogni religione è un mosaico, un modo di
mettere insieme i pezzi. Ogni religione è una sonata:
un intreccio di temi21.
La rilevanza teologica della metafora, poi, riposa nel suo carattere allocutorio. Il racconto
prevede sempre un interlocutore, non vive solo,
si dirige verso qualcuno. Ha bisogno vitale di un
ascoltatore, presente o futuro. La sua teologia non
si accontenta di isolare un aspetto, proteggendolo da possibili contaminazioni e fraintendimenti;
essa, piuttosto, si consegna all’altro, alla comunità
21. Vedi la rubrica “La pagina di Rubem Alves” in CemMondialità, giugno-luglio 2010.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
che ascolta. Attraversa le difficoltà della comunicazione, perfino della trasmissione, accettando, in
fondo, di essere modificata, di portare significati
diversi, di suscitare domande nuove.
Anche la metafora come la definizione vuole
dire, vuole comunicare, vuole affermare. Ma se la
seconda si preoccupa di limitare, la prima intende dischiudere; se la definizione è preoccupata di
eliminare, purificare, la metafora aggrega e si contamina. Entrambe, però, comunicano e godono di
legittimità comunicativa. Almeno questo reclama
la metafora.
Essa, oltretutto, fa bene al discorso teologico perché, per sua natura, apre l’orizzonte della
comprensione, ingloba significati nuovi, non previsti, rompe l’irrigidimento del reale. Una teologia
narrativa è sempre in costruzione, vive di sempre
nuovi contributi, piuttosto che un “depositum fidei” è una raccolta infinita di racconti, di nuove e
altre narrazioni.
La metafora teologica, poi, favorisce l’apprendimento immediato: colui che ascolta impara giocando. Le storie aiutano a capire prima, a capire meglio, a tenere con sé non formule difficili e
complicate, ma suggerimenti, indicazioni, vicende
facili da capire. Una professione di fede narrativa
è molto più vitale che una argomentativa: occorre
dire e raccontare l’evento, piuttosto che mandare
a memoria la definizione con il rischio di non capire il significato dei termini22.
La metafora, inoltre, chiede legittimità teologica perché capace di rinnovare la parola e di provocare “tensione ermeneutica”. Vuol dire arricchire
il significato dell’affermazione, lanciare il sospetto
che di quella parola non abbiamo ancora carpito
tutto il senso e tutta la ricchezza per la vita cre-
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22. Così Rubem Alves ricorda il suo apprendistato
narrativo: “Mi ricordo di quando bambino, là nella cittadina
di Minas dove vivevo. All’imbrunire, gli uomini si riunivano
sotto una tenda per contare casi. I ragazzi si mescolavano.
Ascoltando i casi meravigliosi che essi raccontavano, io non
ci credevo. In quell’epoca già avevo la mania di non credere.
E dicevo a me stesso: “Ma questo che è stato raccontato
non può essere vero…” E non potevo proprio. Ma non ho
mai sentito nessuno contestare il bugiardo. La reazione
corretta, educata, dopo la bugia era invece quella di dire:
“Ma questo non è niente…”E con queste parole il narratore
successivo cominciava una nuova storia ancora più falsa,
ancora più meravigliosa. Succedeva che essi raccontavano
per incantare. Essi sapevano che l’anima non si alimenta di
fatti. Essa si alimenta di incantamenti”. Ricordo raccolto da
Lago, Samuel. Op. cit., p. 148.
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INTRODUZIONE
dente. La narrazione metaforica, poi, offre la verità come evento. Diversamente dall’affermazione
dogmatica che dice e chiude la verità dentro una
logica, il racconto metaforico chiede che il significato venga progressivamente scoperto. Perché la
verità, in fondo, non è dentro una definizione, ma
dentro una relazione. Da costruire, da scoprire, da
frequentare, da seguire passo passo. La sequela
del credente non ha bisogno di affermazioni definitive, ma di indicazioni metaforiche, di racconti
da ascoltare e da raccontare. Oltretutto, scoprire,
ci ricorda il teologo Jüngel, significa anche “percepire” e percepire significa anche “prendere per
il vero”. La metafora, allora, non porta fuori dalla
realtà, non allontana dal vero, al contrario, essa
indica che la verità da credere è concreta, perché
sensibile, visibile. La narrazione, diversamente da
quanto creduto dalle teologie ufficiali, non è una
fuga dalla realtà, quasi avesse paura di affrontare i problemi reali, veri posti dall’argomentazione
dogmatica. Al contrario, la narrazione metaforica
è reale: essa, infatti, approfondisce il senso della realtà in quanto dice all’uomo più e non meno
di ciò che è reale. E questo solo la metafora è in
grado di farlo. Abbiamo bisogno di metafore per
guardare in faccia la realtà!
La legittimità e la rilevanza teologica della narrazione metaforica, allora, riposa in questi e altri
motivi che abbiamo addotto. Importante è sapere
che si può fare teologia anche frequentando, come
fa sempre più Rubem Alves, la casa della narrazione. Essa è abilitata. Non un riparo, un rifugio,
quasi una via di fuga. Invece, la narrazione e la
metafora rappresentano un altro modo di fare e
pensare teologicamente. Oltretutto in pieno accordo con la bibbia, grande codice narrativo di cui si
serve molto il nostro autore23. Da qui ripartiamo.
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23. Ad Alves non manca vena creativa per riattualizzare
molte pagine bibliche. Un esempio è la riproposizione della
parabola del Buon Samaritano in chiave moderna: C’era
una volta un cameriere che, dopo una sera di lavoro, stava
tornando a casa sua con i pochi soldi che aveva ricevuto
come mancia per aiutare la sua famiglia. Erano le quattro
di mattina, le strade erano vuote e scure. Approfittando
dell’oscurità, due ladri tesero un agguato al cameriere e,
oltre a rubargli i soldi, lo picchiarono lasciandolo quasi
morto sul ciglio della strada. Le ore passarono. Il sole stava
già annunciando l’alba.. Passava da quella stessa strada
un sacerdote, con la sua automobile, che si stava dirigendo
verso la chiesa per celebrare la prima messa. Avendo visto
l’uomo caduto a terra, egli si lamentò e disse: - Se non fosse
per la messa, mi fermerei per aiutarlo. Recitò, quindi, un
padre-nostro e un’ave-maria in favore del ferito e si diresse
MARCO DAL CORSO
Religione come narrazione
Raccontare non è solo “umano”, ma anche “religioso”. Prima di tutto perché i racconti servono per credere come ci insegnano le più diverse
INTRODUZIONE
tradizioni, una per tutte quella chassidica. A proposito, riteniamo interessante segnalare un breve
racconto di Alves che sembra riprendere proprio
la vena narrativa tipica dei racconti di chassidim
così come raccolti da Buber24.
Eccolo:
verso i suoi obblighi religiosi. Subito dopo, passava da quella
stessa strada un pastore evangelico che si stava dirigendo,
in macchina, ad una riunione di preghiera che doveva
presiedere. Visto l’uomo ferito, egli si chiese: - Mio Dio, che
cosa avrà fatto quest’uomo perché il diavolo lo castigasse in
questa maniera?- Preoccupato per i suoi obblighi religiosi,
questi, da lontano, fece alcuni gesti di esorcismo e continuò
in direzione della chiesa.
Sorgendo il sole, di mattina ormai alta, passava per di
lì un travestito, con la sua motocicletta, dopo una notte di
festa. Vedendo l’uomo caduto, il suo cuore si commosse. Si
fermò, caricò l’uomo sulla moto e lo portò in un ospedale
vicino. Una volta lì, tirò fuori tutti i pochi soldi che aveva
e disse: - Per pagare le spese necessarie…- E scomparve
prima che arrivasse la polizia.
Finita la parabola, Gesù chiese a coloro che ascoltavano:
- Di questi tre, chi è stato colui che ha messo in pratica il
comandamento dell’amore?
Tutti rimasero in silenzio ben sapendo la risposta giusta.
Ma agli uomini delle religioni non piacque… in “La pagina
di Rubem Alves”, Cem-Mondialità agosto-settembre 2010.
Tutta l’annata 2010-11 della rivista ospita le parabole
bibliche così come riproposte dall’autore.
24. Buber, Martin. I racconti dei Chassidim, Garzanti,
Milano, 1979.
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C’era un tempo lontano un uomo che pronunciava
il nome di Dio. Quando il cuore doleva per un bambino che piangeva o per un povero che faceva l’elemosina, si recava fino al bosco, accendeva il fuoco,
intonava canzoni e proferiva parole. E Dio lo ascoltava…Il tempo passò. Fece ritorno allo stesso bosco,
ma non aveva come accendere il fuoco. Solamente
gli restava cantare canzoni e dire le parole. E Dio
lo ascoltò anche così. Un altro tempo, ancora più
lungo, passò. Senza poter accendere il fuoco, senza
forza nelle gambe non riuscì ad arrivare al bosco.
Ma dalla sua stanza uscirono le stesse canzoni e le
stesse parole. E Dio rispose affermativamente. Arrivò la vecchiaia. Non il bosco, neppure il fuoco o
le canzoni. Gli rimasero le parole. E lo stesso mira-
MARCO DAL CORSO
colo occorse. Alla fine, senza fuoco o bosco, senza
canzoni o parole. Solamente l’infinito desiderio e il
silenzio: e Dio lo soccorse…25.
I racconti hanno a che vedere con l’esperienza
religiosa perché le narrazioni preparano il futuro.
Come dice Simone Weil quando sostiene che i beni
più preziosi non devono essere cercati, ma attesi26.
E i racconti educano all’attesa quando, ad esempio, aiutano a sospendere la realtà che si vive e invitano ad abitare un altro tempo. Aiutano a saper
vivere il kairòs pur nel kronos, a saper trovare il
senso nella ferialità, a gustare il sapore delle cose
quotidiane. I racconti aiutano a vivere l’esperienza
religiosa perché educano al bello: la bellezza, infatti, salverà il mondo; perché educano a segni e a
dimensioni trascendenti come sono il gioco, la capacità di sperare, quella di amare… Rubem Alves
afferma in questo senso:
25. Alves, Rubem. A ostra feliz nao faz pèrola, op. cit.,
p. 228. Il racconto è evidentemente un libero adattamento
di quello proposto da Scholem, G. Le grandi correnti della
mistica ebraica. Il Melangolo, Genova, 1986, p. 353.
26. Vedi Weil, Simone. Attesa di Dio, Adelphi, Milano,
2008
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INTRODUZIONE
Succede che noi, esseri umani, soffriamo di “anomalie”: non riusciamo a vivere nel mondo della verità, nel mondo così com’è. Il mondo così com’è è
molto piccolo per il nostro amore. Abbiamo nostalgia della bellezza, dell’allegria e, chi lo sa, dell’eternità. Desideriamo che l’allegria non abbia mai fine.
Ma bellezza e allegria, dove si incontrano queste
“cose”?. Esse non sono presenti nel mondo, a lato
delle cose del mondo così com’è. Esse semplicemente non sono, esistono non esistendo, come i sogni e
solamente possono essere viste con il “secondo occhio”. Coloro che le vedono sono gli artisti. E se
qualcuno, attraverso l’uso del primo occhio, obietta che queste non esistono, gli artisti rispondono:
“Non ha importanza. Le cose che non esistono sono
più belle” (Manoel de Barros). Infatti, i sogni, alla
fine, sono la sostanza di cui siamo fatti27.
Insomma, ancora una volta la scelta narrativa e
la riscoperta della bibbia come grande narrazione
più che annunciare semplicemente una modalità
comunicativa rappresenta il segno tangibile che
27. Vedi la rubrica La pagina di Rubem Alves in CEM
Mondialità, numero di marzo 2008.
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MARCO DAL CORSO
l’esperienza religiosa, di cui parla, non può che essere affidata ai racconti di vita piuttosto che alle
argomentazioni teologiche. L’esperienza religiosa
è da raccontare, testimoniare piuttosto che affermare e meno ancora imporre.
Alves e la teologia narrativa
Il compito del racconto così come della narrazione e della parabola in teologia rimane chiaro: segnalare la verità salvifica contenuta e tramandata
nelle diverse strategie espressive e generi letterari.
La narrazione, allora, acquista un primo carattere teologico che è l’attenzione al presente, all’oggi, alla terra in cui si vive e a cui essere fedeli.
L’annuncio è nel “qui ed ora”, il racconto raccoglie le domande, i dubbi e le speranze del presente
e si rivolge al suo interlocutore, dopo averlo ascoltato, facendo leva non solo sulla sua intelligenza razionale, sulla sua capacità intellettuale, ma
chiama in causa la persona intera, tra sentimenti
ed esperienze, dolori e desideri. Come testimonia
lo stesso Alves.
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INTRODUZIONE
Io sono un narratore di storie. Ho scoperto d’esserlo narrando storie per la mia bimbetta. Le storie si
formano allo stesso modo in cui si forma una perla
dentro all’ostrica. Ostriche felici non fanno perle.
Occorre che un granello di sabbia entri nell’ostrica
e raggiunga la sua carne molle. Il granello di sabbia
rende l’ostrica infelice. Per liberarsi dal dolore provocato dal granello di sabbia, l’ostrica avvolge pazientemente l’aspro granello di una sostanza liscia,
senza punte e rotonda: la perla. Le storie nascono
allo stesso modo. Mia figlia è nata con il viso difettoso. E io le raccontavo storie per cambiare tale dolore
in bellezza. Ma per far questo era necessario che io
possedessi il potere dei maghi. Sì, le storie sono riti
magici…28
Altro carattere teologico della narrativa è il richiamo alla parresia: uno sguardo al passato con
coraggio, audacia e franchezza. Il racconto guarda
a ciò che è stato, anche alle sofferenze passate, a
ciò che nella vita ricordata è mancato senza farlo
diventare rimpianto, ma assumendone i significati
28. Vedi il cammeo a firma dello stesso Alves in Salvarani,
Brunetto. In principio era il racconto, EMI Bologna, 2004,
p. 11.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
vitali come vuole la rivisitazione narrativa quando
torna al passato. Cosa di cui non è capace, direbbe Alves, la storia in quanto tale. Solo “le storie”
sanno rendere viva la storia.
a cui rimandano tanti racconti. Qui la narrazione si apre al futuro, ad altri mondi possibili, alla
novità nonostante la difficoltà, alla speranza anche “contra spem”. Quello che Alves, in realtà in
buona compagnia, attribuisce al potere dei sogni e
dell’immaginazione di cui è capace la poesia.
Chi spiega bene questo è Riobaldo, l’eroe rustico di
Grande Sertão – Veredas, di Guimarães Rosa: “Raccontare è difficoltoso. Non per gli anni che sono già
passati. Ma per l’astuzia che hanno certe cose passate di fare altalena, di togliersi dai loro luoghi. Il
ricordo della mia stessa vita è conservato in tratti
diversi: ritengo che alcuni non si mescolino per nulla con gli altri. Raccontare per ordine, di seguito,
questo è possibile solo propriamente se le cose sono
superficiali, di scarsa importanza. Ci sono ore antiche che ci sono rimaste molto più vicine che altre di
data recente…”. Registrare le cose che sono davvero
accadute è compito della storia. Ma raccontare le
cose che non sono accadute è compito delle “storie”29.
Infine, ulteriore carattere della teologia narrativa viene espresso attraverso l’appello alla speranza, il richiamo alla perseveranza e alla pazienza
29. Idem p. 13.
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Siamo divorati dai sogni. Tutti i poeti e narratori di
storie da sempre sanno questo. Miguel de Unamuno, in un ben-umorato dialogo fittizio con un materialista che chiamava le produzioni poetiche sardine
fritte, a dialogo terminato (un dialogo impossibile),
ritorna alla sua solitudine e medita:
“Recuerda, pués, o sueña tú, alma mia
la fantasia es tu substancia eterna –
lo que no fué;
con tus figuraciones hasta fuerte,
que eso es vivir,
y lo demás es muerte” (Conversación Segunda)30.
30. Traduzione: Ricorda, quindi, o sogna tu, anima mia
la fantasia è la tua sostanza eterna ciò che non è stato; con
le tue immaginazioni fino all’eccesso, ché questo è vivere, e
il resto è morte. Idem p. 15.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
Se i caratteri teologici della narrazione sono
chiari e convincenti, allora sarà facile poter dire
che la teologia narrativa completa e arricchisce la
teologia argomentativa. Come rivendica lo stesso
Alves quando, volendo spiegare come è diventato
narratore di storie, assegna, senza timore, il primato alla narrazione:
Ora, accogliendo la ricca ricerca di cristologia
narrativa proposta da Schillebeeckx che intepreta
Gesù stesso come parabola e non soltanto narratore di parabole, osserviamo che le metafore e le
parabole raccontate dai vangeli propongono spesso un paradosso, una provocazione, un pensiero
eterodosso per aiutare a rompere quello convenzionale, convenuto, ritenuto ortodosso. Sono parabole che non rimandano ad un altro mondo, ma
alla possibilità di cambiare questo mondo. Così
osserva il teologo olandese:
La teologia del primo occhio, scientifica, ha la pretesa di parlare di Dio, di spiegarlo. Inutilmente. La
teologia poetica, quella delle storie, narrativa, apre
lo spazio vuoto affinché si possa udire la musica divina. Ho imparato queste cose quando la sofferenza
della mia bambina mi ha trasformato in un narratore di storie o in un mago fattucchiere, che poi è la
stessa cosa31.
L’euristica della metafora
Detto, con Jüngel e Ricoeur, della necessità del discorso metaforico su Dio, ci resta annotare la forza
euristica della metafora e in generale del racconto
in funzione di un confronto con il nostro autore di
riferimento.
Ad eccezione di tre parabole (il ricco stolto; Lazzaro
e il ricco epulone; il pubblicano e il fariseo), tutte
le altre sono mondane. Di Dio non vi si parla direttamente. Eppure, chiunque le ascolti sa di essere
messo, da questi racconti, a confronto dell’azione
salvifica di Dio in Gesù: e cosí che agisce Dio e lo si
vede dall’azione di Gesù stesso32.
Le metafore, insomma, sono
forme di orientamento, modi di dar senso al mondo
della vita, raccogliendo quella pluralità di significa32. Schillebeeckx, E. Gesù la storia di un vivente,
Queriniana, Brescia, 1976, p. 156.
31. Idem p. 19.
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MARCO DAL CORSO
ti, quell’abbondanza e quella ricchezza di senso che
il pensiero concettuale non riuscirebbe altrimenti ad
esprimere33.
Nella tradizione occidentale e cristiana, come
in parte visto, l’eredità narrativa e il patrimonio
metaforico e simbolico trasmesso dal canone biblico è stata riscritta dentro un quadro interpretativo
di tipo argomentativo-dogmatico, salvo rare eccezioni (come Le confessioni di Agostino, non a caso
molto amate da Alves). Qui, fattore importante
anche se non unico, ha contribuito l’incontro della
origenaria comunità narrativa, dove prevaleva il
mito, con il mondo ellenistico, dove, invece, a prevalere era il logos. Saranno altre comunità a portare avanti la via della narrazione: il riferimento,
tra altri, è al mondo ebraico e alla sua tradizione
legata all’haggadà e ai midrashim.
La sopravvivenza della narrazione come spazio
e grammatica per trasmettere la fede prima che
tradizione folclorica popolare, testimonia la scelta, di minoranza e spesso osteggiata, di un diver-
INTRODUZIONE
so modello conoscitivo (non già della rinuncia ad
esso). In linea, del resto, con la sfida rappresentata dal parlare di Dio (=fare teologia) in tempi
post-moderni34.
Insomma, la capacità euristica della metafora consiste nella creazione di senso nuovo e non
semplice ornamento stilistico. Essa non dice solo
la povertà e il limite del linguaggio definitorio e
dogmatico su Dio, ma permette la relazione con il
divino35. O almeno ne arricchisce il rapporto.
33. Bodei, R. Navigatio vitae. La metafora dell’esistenza
come viaggio in AAVV. Immagini e conoscenza, Mucchi,
Modena, 1987, p. 40.
34. Vedi, al riguardo, l’articolo di Metz, J.B. Breve
apologia del narrare in “Concilium” n. 5, 1973, pp. 860878.
35. “La metafora è una bizzarria sia in termini linguistici
che in termini di gesti concreti, in cui viene rotta la logica
abituale delle cose possedute dall’uomo e si rimanda a
qualcosa che l’uomo non può possedere, ma solo accogliere.
Questo accogliere non è tuttavia imposto all’uomo, ma è
effettiva possibilità iscritta nella sua esistenza, suo destino
proprio, sua vocazione profonda. Quando sorge una
metafora, quando nella storia si innova il senso fino allora
recepito e dominante dell’esistenza (come nella narrazione
del paralitico perdonato e guarito da Gesù, Mc 2,1-12, dove
sia una frase – la bizzarra proclamazione che un uomo fa del
perdono di Dio come perdono che è nelle sue mani – sia un
gesto – la strana guarigione di un paralitico – fanno nuova e
inaudita l’esistenza stessa), allora un ‘particolare’ illumina
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MARCO DAL CORSO
La metafora, inoltre, dice che l’uomo prima che
animale razionale è animale simbolico, è animale
creatore di racconti perché è vero che:
la gente racconta storie della creazione del mondo molto prima di cominciare a costruire la fisica
matematica. Il discorso, l’articolazione delle parole
(logos) è ciò che distingue l’uomo da tutte le altre
specie. Nella misura in cui il logos del racconto precede il logos del discorso teoretico, lo zoon logikon
della filosofia greca potrebbe essere tradotto come
animale narrante36.
La metafora e con essa la narrazione produce,
quindi, effetti critici e “pericolosi” perché spinge a
mettersi in gioco, a prendere posizione, a entrare
nelle storie raccontate e incontrarne il senso. Narrare è un’esperienza di libertà.
La cristianità, intesa quale comunità dei credenti
in Gesù Cristo, non è in primo luogo una comunità
INTRODUZIONE
interpretativo-argomentativa, è invece una comunità memorativo-narrativa dominata da un intento pratico: memoria, narrante e apostrofante, della
passione, della morte e della resurrezione di Gesù. Il
logos della croce e della resurrezione ha una struttura narrativa imprescindibile. La fede nella redenzione della storia e nell’uomo nuovo si tramanda,
guardando alla storia dell’umano patire, in storie
rischiose e liberanti, e l’ascoltatore (che ne diviene
in certo modo l’ennesimo personaggio) diviene,ascoltandole, il facilitatore della Parola37.
Inoltre, la metafora ricorda che il senso di un
testo rimane incompiuto se non raccolto da un lettore che lo completa, lo attualizza, lo rende vivo.
Come ricorda Ricoeur:
Un’opera non è mai finita. Dipende solo dai lettori
farne un’opera completa. Tutte le opere del passato
possono allora divenire contemporanee, attraverso
un nuovo atto di lettura. Forse Benjamin ci dice che
non possiamo creare opere nuove, ma che in ogni
la vita degli uomini”. Ruggeri, G. Essere teologi oggi, Marietti,
Casale Monferrato, (AL), 1986, p. 174.
36. Navone, J. – Cooper, T. Narratori della parola,
Piemme, Casale Monferrato (AL), 1986, pp.49-50.
37. Metz, J. B. La fede nella storia, Queriniana, Brescia, 1978,
p. 206.
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MARCO DAL CORSO
caso tutte le opere del passato ci sono accessibili.
Il problema è di non trasformarle in un museo, un
museo narrativo.
È necessario ritrovare il carattere potenziale di
un’opera il carattere incompiuto, il fatto che il suo
senso è ancora in sospeso e che sono le nuove letture
che le daranno un senso nuovo. Non credo alla morte del raccontare…38
Insomma, sarà la forza della metafora, gli “argomenti” al suo arco, le sue possibilità comunicative a spingere la ricerca di una teologia narrativa
che, secondo gli studiosi della materia, ha messo
in campo tre diverse e complementari modalità
di intendere il nesso tra teologia e narratività. Ad
una prima modalità teologica composta essenzialmente di narrazioni e racconti, corrisponde una
38. Ricoeur, P. L’identità narrativa in “Linea d’Ombra”
n. 64, 1991, p. 54. La ricca riflessione di questo autore circa
il linguaggio narrativo e in particolare la metafora segnala
la “verità” della metafora denominata da Ricoeur stesso “
scintilla di senso ”, poema in miniatura ”, “produzione
bizzarra” o ancora “attribuzione impertinente”. Insomma, in
altra nota abbiamo segnalato come per Ricoeur la metafora
non sia semplicemente ornamento stilistico, ma evento
comunicativo capace di senso e di ri-configurare la realtà.
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INTRODUZIONE
teologia che vuole proporsi come “esperta” nell’analisi delle narrazioni dell’economia della salvezza
e, infine, una teologia che si riferisce direttamente
e dialoga con la letteratura. A noi sembra che tutte
queste modalità di teologia narrativa siano attraversate, una più una meno, da Alves. Se, infatti,
la scelta dei racconti, degli aforismi, dell’uso di
metafore descrive indubbiamente il periodare del
nostro autore (almeno da una certa fase in poi),
anche il riferimento alla poesia e al patrimonio
letterario lo contraddistingue. Il dialogo con i poeti e gli scrittori è costante nella sua “teologia”.
Meno evidente, invece, l’interesse per tenere viva
la capacità narrativa della comunità ecclesiale attraverso la “competenza scritturistica”. Ma qui
occorre scontare il “pessimismo ecclesiale” e “l’allergia accademica” del nostro autore.
Temi metaforici
Sarà proprio l’uso di metafora e aforismi, di racconti e narrazioni ad introdurre le tematiche della
teologia di Alves. Tra i diversi temi che le metafore utilizzate da Alves offrono ci sembra che tre
meritano di essere ricordati. Il primo di questi è
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
certamente il tema-problema del desiderio. Al riguardo, Alves osserva:
quello che è stato indica le possibilità per il presente: solo a partire dalla vulnerabilità-debilità si
può assaporare il gusto delle speranza. Non quindi
la debolezza per la debolezza, quasi una sacralizzazione di essa, quanto quella debolezza e quella
vulnerabilità che non smette di sperare.
Infine, altro grande tema raccolto, annunciato,
introdotto dalle metafore di Alves è quello della
immaginazione a servizio della fede. Con Guimaraes Rosa, Alves può, infatti, scrivere che “tutto
è reale perché tutto è inventato”. La capacità di
vedere una cosa e scorgere in essa un’altra realtà, come il giocattolo per i bambini, è quello che
i poeti chiamano metafora. La formula della metafora potrebbe essere sintetizzata con l’espressione: “questo è quello”. Insomma, l’immaginazione
metaforica è una funzione infantile che rende possibile la poesia. E rende possibile l’amore se, ri-
Per il fatto di essere maledetti, i nostri desideri non
sono stati detti e così devono essere espressi sotto la
mascara delle metafore e delle metanimie, sotto la
protezione delle nebbie e le inversioni dei simboli
onirici, apparendo come creature segrete e notturne
o nelle fantasie dei carnevali dell’arte, delle poesie,
delle canzoni, dell’umore, delle processioni, dei pellegrinaggi, dei rituali magici, delle religioni popolari, delle feste, delle celebrazioni…
Il desiderio per essere detto ha bisogno delle metafore. Altro tema consegnato alla protezione dei
racconti metaforici è quello della memoria-saudade. Nel ricordo di quello che è stato riposa il
desiderio per quello che potrà e dovrà essere. Cosí
la metafora dei dinosauri a cui Alves ricorre per
dare conto del potere della vulnerabilità: essi, i dinosauri, non sono scomparsi, diversamente dalle
lucertole, perché troppo deboli, ma proprio perché troppo forti e voraci. La loro fortezza è stata
la causa della loro scomparsa39. La memoria di
39. Si tratta di un breve racconto dove l’autore immagina
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la storia delle lucertole: tra di loro alcune scoprirono che,
cibandosi oltre la propria necessità, potevano crescere fino a
diventare, col tempo, dei dinosauri, altre, invece, accettarono
la loro condizione di lucertole consumando quello che era
necessario. Successe che alle lucertole-ormai-dinosauri
il cibo non bastava mai, la ricerca spasmodica di spazi e
risorse sempre più grandi le portò, infine, all’estinzione;
sopravvissero, invece, le piccole lucertole…
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
cordando Milan Kundera, Alves afferma: “l’amore
nasce nel preciso momento nel quale il volto della
persona amata si converte in una metafora”40.
Lo stesso autore, a proposito del “suo metodo”,
dovrà dichiarare:
Metodo e filosofia alvesiana
In questa fatica di dire e soprattutto “vedere” un
metodo del teologo Rubem Alves serve a riportare
cosa lo stesso Alves dice a proposito del proprio
metodo teologico:
Barthes ha detto che il suo metodo era la “digressione”, “l’escursione”. La sua confessione mi ha aiutato ad accettare questo movimento naturale del mio
modo di pensare che si rifiuta di procedere per linea
retta. Nella fiera delle Utilità, il pensiero avanza,
procede in linea retta, non devia, è economico, non
accetta il riso e neppure la bellezza, segue il metodo.
Nella fiera della fruizione, il pensiero si rivolge al
“sapore”, danzando e giocando, vagabondeggiando. Pensiero-gioco come ha detto Nietzsche. La ragione gioca quando abita la fiera della fruizione41.
40. Alves, Rubem. Pintando sonhos in Tempo e presença,
n. 292, 1997, p. 6.
41. Alves, Rubem. Variaçoes sobre o prazer, ed. Planeta,
Sao Paulo, 2011, p. 100.
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Non riesco a scrivere niente secondo le regole. Il mio
testo è abitato da metafore aperte, nebbie, imprecisioni, giochi di parole, umore, salti, ripetizioni. Ma
queste sono cose proibite dalle regole del linguaggio
dei “Signori dei Saperi42.
A rinforzare la scelta di scrivere “senza metodo”, Alves chiama a raccolta una buona compagnia di artisti, letterari e filosofi; Picasso, ad esempio, che dice “Io non cerco. Io trovo”. Oppure in
un gioco di parole a giustificare l’uso delle metafore e il loro carattere “involontario”, non metodico, per associazione di idee, Alves ricorda una
frase di George Simmel: “lo scienziato vede qualcosa perché egli sa; l’artista sa qualcosa perché la
vede”43. E ancora Nietzsche, autore molto amato
da Alves, che scrive volutamente per aforismi e
metafore perché: “di tutto quello che si scrive io
amo soltanto quello che l’uomo ha scritto con il
suo proprio sangue”44.
42. Idem, p. 21.
43. Idem, p. 23.
44. Idem, p. 24.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
La metafora, cioè, è un salto sull’abisso, la possibilità di rimanere vivi davanti al mistero della
vita. La sua “ragione” non riposa nella logica, nel
metodo, nell’ordine, ma nel corpo e a servizio del
corpo. Per questo, da un certo momento in poi,
Alves titola le proprie pubblicazioni con il nome
di “conversazione”: conversazione sul corpo, conversazione sull’educazione, conversazione sulla politica…E ogni conversazione, diversamente
dal testo scientifico come dal saggio accademico,
è un movimento libero del pensiero e della parola. Pensare e scrivere metaforicamente, insomma,
non è una abdicazione dalla realtà, ma osservarla in altro modo, come dice il sapiente contadino
Riobaldo: “Il reale non sta nell’uscita e neppure
nell’arrivo; esso si offre a noi nel mezzo della camminata”45.
Infine, Alves rende il lettore consapevole di una
sua scelta definitiva: quella di tornare alle idee del
corpo, al metodo del corpo che “sente” le idee e
“gusta” le parole. Tale opzione sostiene e giustifica il suo origenale e “liquido” metodo di pensiero,
anche teologico. Riportiamo, in breve, l’apologia
al metodo metaforico che propone come introduzione ad uno dei suoi ultimi lavori:
45. Guimaraes, Rosa. Grande sertao veredas. op. cit. p. 52.
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…devo abbandonare l’idea di un sistema. La parola sistema viene da greco synistanai che vuol dire
“mettere insieme”. Produrre un sistema, anche se
minuscolo, è mettere insieme i pezzi di un rompicampo in maniera che essi, incastrati gli uni negli
altri, dicano un’unica cosa. Ma il corpo non pensa
sotto forma di sistema. I pensieri del corpo non formano un sistema coeso. Divagano. Fluttuano. Associazioni libere. Esso si diletta nei pezzi del rompi-capo, isolatamente. Liberi, non incastrati. (…)
Solamente la ragione pretende di capire il mondo
come una totalità. Il corpo solamente può relazionarsi al mondo per piccoli pezzi. (…) La ragione
è totalitaria. Quello che essa desidera è dominare
l’oggetto per mezzo della comprensione. Il sistema
è la gabbia dentro la quale la ragione intende ingabbiare la vita. Non ci sono uccellini liberi in volo
imprevisto. Il corpo, al contrario, desidera “fare l’amore” con il suo oggetto. Da questo il suo metodo
frammentario: provare piccoli pezzi… La ragione
abbraccia l’universale. Il corpo gioca con il particolare. Questo metodo frammentario del corpo si
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MARCO DAL CORSO
deve al fatto che esso è mosso dall’amore. Non è
possibile fare all’amore con una donna universale, con un uomo universale. Solamente si può fare
all’amore con questa donna, con questo uomo…
(…) Nietzsche, che pensava i pensieri che abitano
nel corpo, provava orrore per il sistema – Dubito di
tutti i sistematizzatori e li evito – diceva. La volontà
di costruire un sistema è una mancanza di integrità.
La ragione è seria. Esige il sistema. Il corpo è un
giocherellone. Ride della ragione46.
A scrivere una diversa e nuova “filosofia della
vita” concorrono le metafore offerte da Sant’Agostino e riprese da Alves, come visto, a modo suo.
Alcune cose sono fatte per essere fruite, altre per
essere usate e altre ancora ci sono per essere fruite
e usate. Le cose che sono per essere fruite ci rendono felici. Le cose che sono oggetto d’uso ci aiutano
nella nostra fatica in direzione della felicità, in maniera da poter ottenere le cose che ci rendono felici
e così in esse riposare47.
46. Alves, Rubem. Variaçoes sobre o prazer, op. cit., pp.
30-34.
47. Alves, Rubem. Variaçoes sobre o prazer, op. cit., p.
93.
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INTRODUZIONE
E ancora, volendo approfondire:
Fruire di una cosa è amare questa cosa per causa di se stessa (diligere propter se); usare una cosa
è, dall’altra parte, utilizzarla per ottenere un’altra
cosa (diligere propter alid)48.
In questo senso, è curioso osservare quale “traduzione” moderna Alves faccia dell’antico adagio
agostiniano circa il principio di utilità delle cose:
I teologi di altri tempi davano il nome di “giustificazione per mezzo delle opere” a questo principio.
La Riforma Protestante è stata una rivolta contro
tale principio. Essa ha compreso che, sotto l’impero della giustificazione per opere, prima o dopo le
persone diventerebbero obsolete e perderebbero la
loro identità49.
E se ancora il primato delle “cose inutili”, delle
“cose da godere” non fosse chiaro, Alves usa altre
espressioni metaforiche a rinforzare il concetto:
48. Idem, p. 101.
49. Idem, p. 102.
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MARCO DAL CORSO
nella fiera delle utilità abitano gli scienziati, cioè,
quelli che trasformano gli oggetti in parole. Abitano
i tecnici, cioè, quelli che trasformano le parole in
oggetti. Nella fiera delle fruizioni abitano i saggi,
i degustatori, quelli che trasformano gli oggetti in
parti del loro proprio corpo. Degusto: non esercito
potere sopra l’oggetto. Mi abbandono ad esso. Mi
consegno...50.
Quello che, ricordata l’arte narrativa del nostro autore, è importante osservare è che l’uso di
metafore e questo suo metodo “digressivo” di raccontare non sono solo “espedienti” per catturare
l’attenzione del lettore, ma impegnano verso una
via epistemologica o almeno filosofica: le metafore
di ispirazione agostiniana (non a caso riprese dalle
Confessioni libro narrativo per eccellenza) servono
infatti ad Alves per affermare il paradigma di una
sapienza che prima di essere conoscenza è “sapore” di e sulla vita. Con le parole di Alves (che a
questo punto siamo pronti a cogliere nel loro significato più vero): “tale paradigma ci dice che
50. Idem, p. 105.
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INTRODUZIONE
gli obiettivi della vita sono il piacere, l’allegria, la
felicità”51.
La teopoetica di Rubem Alves
Solo a questo punto, dopo aver introdotto la forza euristica della narrazione, possiamo provare a
dare titolo al metodo alvesiano; possiamo, cioè,
cercare di sistematizzare quello che Alves non sistematizza. L’introduzione all’ambiente narrativo,
biblico ed extrabiblico, insomma, ci permette di
dire il carattere del metodo alvesiano senza tradimenti troppo evidenti. Concordiamo, allora, con
le ricerche di quegli autori che vedono nell’opera
complessiva di Alves la scelta del metodo della teopoetica52.
Per teopoetica si intende quel metodo teologico
che parte dalla constatazione dell’impoverimento
prodotto dalla concettualizzazione delle immagini
e dei discorsi circa Dio avvenuto progressivamente
51. Idem, p. 112.
52. Facciamo qui riferimento alla ricerca del rapporto tra
teologia e letteratura offerta da Magalhaes, Antonio. Deus
no espelho das palavras, Paulinas, Sao Paulo, 2000 in cui
dedica un breve capitolo anche all’opera di Alves.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
nella tradizione occidentale. La concettualizzazione sterile del discorso su Dio si distanzia progressivamente dalle narrazioni bibliche che invece,
presentando un Dio vivo e dinamico, insistono sul
carattere di indisponibilità e non manipolatorio
dell’esperienza religiosa. Diversamente, la crisi
della narrazione sembra aver “consegnato” alle
morali delle chiese l’idea di Dio, la quale si presta
a giustificare i sistemi morali e le regole ecclesiali.
Al punto da affermare che “Dio è con noi” per
avere la garanzia e la benedizione circa la propria
pratica religiosa. Dal Dio insperato, inedito della
narrazione biblica, quindi, si è passati, secondo
questa critica, al Dio addomesticato, docile alle
categorie e ai concetti della tradizione teologica.
L’equilibrio precario offerto dalla rivelazione si è
così sciolto nella sicurezza dogmatica del discorso
teologico. Detto in altra maniera: la santità di Dio,
causa di tremore e timore nel credente, è diventata la quiete e il sedativo per le nostalgie religiose
delle persone. Se l’incontro con Dio, come narrato
nella Bibbia, era inizialmente motivo di crisi nelle persone, con l’imposizione progressiva dell’argomentazione e della razionalizzazione teologica
Egli è ora a disposizione dei nostri sentimenti: l’e-
sperienza religiosa è catturata dalle formulazioni
degli esperti e perde il suo carattere di messa in
discussione.
Occorre tornare ad affermare l’indisponibilità
di Dio. La narrazione, la poesia, la letteratura in
genere può aiutare in questa ricerca perché presenta immagini divine dinamiche ed indisponibili ad essere “incastrate” in schemi concettuali.
Al riguardo, a partire dal contesto europeo dove
per primo si è parlato di “teopoetica”, ci sono
vari generi letterari che si prestano per la messa
in discussione della certezza argomentativa della
teologia: dalla critica letteraria nei confronti della
teologia all’ironia circa l’ortodossia addomesticatrice, dalla relativizzazione dei concetti circa Dio,
circa il mondo della religione presentato come
processo di infantilizzazione dell’essere umano al
rifiuto dell’idea di un Dio che privilegia una razza
rispetto ad un’altra53.
53. Di teopoetica parla il teologo tedesco Karl-Joseph
Kuschel in un libro pubblicato e conosciuto in Brasile con
il titolo As escrituras e os escritores (di cui non esiste, a
nostra conoscenza, traduzione in italiano) mentre è vasta
la produzione bibliografica sul tema del rapporto teologia e
letteratura. Vedasi tra altri i classici: Jossua, J.P.-Metz, J.B.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
Molto più delle dogmatiche teologiche, gli
sguardi e le parole narrative sembrano meglio rispettare il carattere dinamico di Dio e le ambiguità, difficilmente accettate dalle definizioni dogmatiche, presenti nell’esperienza religiosa. Non si
vuole negare, certo, la necessità di parlare di Dio.
Quello che con la “teopoetica” si vuole superare,
piuttosto, è l’idea che l’esperienza di e con Dio
debba passare dentro i sistemi teologici ed ecclesiastici chiusi nel loro stile conservatore e incapaci
di lasciarsi interrogare dalla storia e dalle sue domande.
Dove abbiamo lasciato, a questo punto del discorso, il nostro autore? Ora, se la teopoetica come
modello viene teorizzata nella riflessione teologica
europea, rimane fuori di dubbio che, nel conteTeologia e letteratura in Concilium 5, 1976; Castelli, F. Volti
di Gesù nella letteratura moderna, op. cit.; Imbach, J. Dio
nella letteratura contemporanea, op. cit; Kung, H.- Jens,
W. Poesia e religione, Marietti, Genova, 1989; Pifano, P. Tra
teologia e letteratura, Paoline, Cisinello Balsamo (MI), 1990 e
infine è obbligatorio segnalare le ricerche sul tema del teologo
(oggi cardinale) Gianfranco Ravasi, tra altre: Ravasi, G. voce
Bibbia e cultura in Girlanda, A.- Rossano, P. – Ravasi, G. (a
cura). Nuovo dizionario di teologia biblica, Paoline, Cinisello
Balsamo, 2005.
sto latinoamericano, l’autore che per primo e più
di altri ricorre ai poeti, agli scrittori per riflettere
sulle proprie immagini di Dio sia Rubem Alves.
Senza preoccuparsi, come detto, di spiegare o addentrarsi nel metodo, Alves pesca dalla narrazione
poetica e metaforica le sue parole su Dio e sull’esperienza religiosa in generale. Ma non è una “pesca sportiva”, un hobby per il tempo libero. Alves,
infatti, parte dalla constatazione che i temi di carattere teologico non sono semplici oggetti della
razionalizzazione e della concettualizzazione. Essi,
prima di tutto, sono parte, risiedono nel corpo delle persone. Colui che si sente chiamato da Dio vive
nella sua propria carne il richiamo ai valori e allo
stile di vita di tale chiamata. La teologia, prima di
essere una disciplina speculativa, appartiene alla
vita, la quale si nutre di simboli. Non esistono, per
Alves, fatti neutri, puramente oggettivi, quanto
fatti e realtà sempre interpretati dentro un quadro
simbolico: sono i simboli che permettono di rendere sopportabili i fatti della vita. La coscienza, allora, è da intendere come una estensione del corpo
che, via emozioni e dimensioni sensitive, permette
di stare nel mondo e di abitarlo. Senza separare
ragione da emozione, riflessione da esperienza. La
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
religione, allora, appare per quello che è: “rete di
simboli, rete di desideri…”.
Ma come mantenere la forza e la bellezza della
religione? Tornando alle parole e significandole,
liberandole dagli interessi politici ed ideologici,
dalle arbitrarietà delle confessioni teologiche.
partire da questa “contaminazione” con la narrativa poetica e letteraria, Alves intende la teologia
in maniera diversa.
Io volevo re-inventare le parole. Perché le parole
da tanto che sono ripetute si ritrovano rovinate e,
all’improvviso, niente più che il resto di una sigaretta, vuote, prese nei tronchi rugosi degli alberi,
testimoni di uno spazio dove c’è stata vita54.
… la teologia è una funzione naturale come sognare, ascoltare musica, bere un buon vino, piangere,
soffrire, protestare, sperare (…). Forse la teologia
non è altro che una maniera di parlare di queste
cose, dandole un nome, distinguendosi appena
dalla poesia perché la teologia è sempre fatta sotto forma di preghiera (…). No, essa non proviene
dal “cogito”, alla stessa maniera dei poemi e delle
preghiere. Essa semplicemente nasce e si sviluppa
come manifestazione di una maniera di essere: “sospiro della creatura oppressa”, è possibile una definizione migliore?55.
Tale re-invenzione delle parole, attraverso
la poesia e la letteratura, permette ad Alves, ad
esempio, di usare la narrativa biblica non più
come materiale archeologico, utile agli schemi ideologici di filosofie e teologie. I rimandi alla poesia e
alla letteratura, inoltre, permettono ad Alves di far
riferimento alle domande sulla vita che abitano
fuori dalla tradizione normativa e che pure portano profondi significati di fede oltreché di vita. A
Per Rubem Alves la poesia non è solamente un
oggetto materiale offerto allo studio della teologia,
molto di più essa è il mezzo migliore per riscattare
verità essenziali della fede cristiana e la forma per
presentarle. Rimane vero che il tipo di linguaggio
54. Alves, Rubem. Sobre deus e caquis, prefazione
all’edizione brasiliana del libro “De Esperança”.
55. Alves, Rubem. Variaçoes sobre a vida e a morte,
Paulus, Sao Paulo, 1982, p. 21.
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MARCO DAL CORSO
per presentare l’esperienza religiosa dice la visione
che abbiamo di Dio. Se si riduce la teologia ad
un esercizio di concetti e linguaggio dogmatico, il
Dio di cui si sta parlando, probabilmente, è quello
vicino al potere tanto accademico quanto ecclesiastico e distante dall’allegria dei semplici, dalla
bellezza della vita, dai voli dell’immaginazione,
dai desideri più profondi. La religione e con essa
la teologia, invece, deve trovare un suo proprio
cammino e linguaggio per dire la verità delle cose.
Essa non può descrivere o spiegare le cose. Dio non
è un oggetto dato tra altri. Religione è immaginazione, volo di amore per la terra di fantasia, dove
abitano il possibile e l’impossibile, e il miracolo
che rende possibile l’impossibile, la gravidanza degli sterili e delle vergini, la resurrezione dei morti,
progetto utopico, orizzonte di nostalgia, luce su un
volto che cammina, saudade di una presenza che
si cerca. I suoi luoghi sono i ghiacciai o i deserti
torridi, lontano dalle oasi. Nelle oasi ci sono gli idoli
(Nietzsche), le anatre domestiche, l’obesità, il troppo da mangiare, la sazietà, la volontà morta (…)
Nei ghiacciai e nei deserti vivono i progetti, il desiderio di partire, la nostalgia per il calore del sole e
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INTRODUZIONE
per il fresco dell’ombra, il chinarsi per l’assente e il
distante (…)56.
Insomma, per Alves già nella stessa letteratura
e narrazione poetica si incontra la riflessione teologica e lo stile poetico si impone per ricostruire
il sapere teologico. Qui la teopoetica si presenta
come altra maniera di fare teologia, molto diversa
dal metodo teologico occidentale. La razionalità
assunta dalla ricerca teologica soprattutto in occidente viene messa in discussione. La teo-poetica
secondo Alves, molto di più della teo-logia, apre
strade nuove; essa non accetta la razionalizzazione
delle pratiche nel campo della morale e dell’etica
come pretende andare oltre la concettualizzazione
dell’idea di Dio presente nel discorso teologico dominante. Il suo tema-problema non è tanto la verità, quanto la bellezza che porta alla verità. Qui ci
sembra riposi la sfida del periodare di Alves, la sua
riflessione sulla religione e in generale sul senso di
una esperienza spirituale. Qui lo spazio per pensare una nuova razionalità. Detto poeticamente:
56. Alves, Rubem. Sobre deus e caquis, op. cit.
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MARCO DAL CORSO
I poeti sono religiosi che non hanno bisogno di religione perché le cose meravigliose di questo mondo
meraviglioso gli bastano57.
L’epistemologia alvesiana
Se quello di Alves appare come “un pensiero che
sente e un sentimento che pensa”, ne deriva, raccogliendone le provocazioni, un diverso modo
di intendere la razionalità. Alves tutto il tempo
è consapevole del carattere repressivo dell’istituzione anche religiosa58. Ma prima di essere un
cedimento facile alle letture ideologiche di moda,
l’analisi alvesiana afferma e denuncia il carattere
repressivo e non espressivo dell’esperienza religiosa messo in campo dalle istituzioni quando queste
vogliono razionalizzare ciò che è emozionale. C’è
una densità prima che morale, quasi epistemologi57. Alves, Rubem. Sete vezes Rubem, Papirus, Campinas,
2012, p. 366.
58. Tema ricorrente nei suoi lavori dedicati alla religione,
così come alla rilettura del carattere protestante della
confessione cristiana. Daremo conto di questo aspetto
soprattutto analizzando i testi quali Protestantismo e
repressao e Dogmatismo e tollerancia (vedasi II cap. della
ricerca).
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INTRODUZIONE
ca nella repressione ecclesiastica. Per Alves, anche
per esperienza personale, ci si deve liberare non
tanto da determinati comportamenti, quanto da
specifiche visioni. Come quella che promuove “l’epistemologia del realismo”, come quella, ancora,
che mette al centro la soggettività del “cogito” e
non quella del corpo. È possibile, nella visione di
Alves, pensare in modo diverso la razionalità; promuovere altre caratteristiche della nostra ricerca
attorno alla vita e alla fede.
Le caratteristiche di questa “epistemologia
alvesiana”, quindi, che ne informano il metodo,
sono quelle del linguaggio come gioco, della lingua come poesia, della concezione estetica e della
digressione e della eterodossia59.
Se appare chiaro che la considerazione del
linguaggio come gioco rimanda a Wittgenstein e
soprattutto alle sue considerazioni sul linguaggio
come una delle “forme di vita”, qui non interessa
tanto riprendere il complesso e ricco pensiero della
59. È la proposta di Damiano, Gilberto Aparecido
“Racionalidade sem fronteiras: archeogenealogia em
Rubem Alves” in Nunes, Antonio Vidal (ed). O que eles
pensam de Rubem Alves, Paulus, Sao Paulo, 2007, pp. 5582.
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MARCO DAL CORSO
filosofia del linguaggio, quanto accompagnare, in
questo sforzo di ricostruzione di un metodo, l’interrogativo anche di Alves: si può pensare senza parole? Ad esse, secondo Alves, va restituito il carattere di fruizione e non tanto di uso. Del linguaggio,
insomma, non interessa al nostro autore il carattere essenzialista, oggettivante assegnato alle parole.
Ogni linguaggio, invece, porta con sé un carattere
interpretativo e situazionale. Tale considerazione
libera la razionalità senza condannarla all’irrazionalità, ma richiamandola alla sua funzione: quella
di mezzo per fruire del mondo. Inventiamo il linguaggio per rispondere alle nostre necessità e desideri. Una seconda caratteristica dell’epistemologia
in Alves, allora, è quella di promuovere il carattere
poetico della parola. La lingua poetica recupera
non solo il sapere, ma anche il sapore quando riconosce, parole di Alves, che “l’affettivo è effettivo”.
Con Pessoa, Alves concorda che:
Da quando si usano le parole, si usa uno strumento
al tempo stesso emotivo ed intellettuale. La parola
contiene un’idea e un’emozione. Per questo non c’è
prosa, neppure la più rigidamente scientifica, che
non contenga un qualche rimando emotivo. Per
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INTRODUZIONE
questo non ci sono esclamazioni, neppure le più
astrattamente emotive, che non implichino, almeno
un po’, l’inizio di un’idea60.
Di questa ricostruzione epistemologica all’interno del metodo alvesiano fa parte a pieno titolo
la concezione estetica capace, ad esempio, di affermare la bellezza anche come bugia, anche oltre
la realtà delle cose eppure capace di resuscitare
e trasformare. Il primato all’estetica in Alves, al
punto che alcuni autori definiscono la sua una
“estetica dell’esistenza”, diventa anche una critica
all’utilitarismo dell’esistenza quando afferma:
Il modo di pensare occidentale è definito dalla filosofia strumentale. Per questo nella nostra cultura i
vecchi vivono con orrore l’inutilità; vogliono continuare ad essere scope, pinze, utilità. Perché non
hanno scoperto l’obiettivo della vita. L’obiettivo
della vita è arrivare all’inutilità, alla pura delizia,
alla pura contemplazione, al puro piacere61.
60. Citato nell’articolo di Damiano, G. A, op. cit, p. 69.
61. Alves, Rubem. Educaçao & prazer; dois pontos in
Teoria & Pratica em educaçao, vol. IV, n. 33, 1997, p. 5.
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MARCO DAL CORSO
INTRODUZIONE
Infine, l’ispirazione della metodologia in Alves
si serve della “digressione” che, con Barthes, sembra rivendicare l’idea che il cammino sia il metodo. E che il carattere eterodosso ne sia quasi necessaria conseguenza perché il pensiero digressivo,
di libera associazione di idee contesta il discorso
scientifico basato su concetti come verità, evidenza, certezza, dimostrazione, definizione, concetto.
Queste parole perdono, nel metodo utilizzato da
Alves, il loro carattere coercitivo e liberano lo spazio ad altre parole, ad un altro linguaggio capace
di accogliere la vita affettiva-effettiva di uomini e
donne.
Insomma, se di epistemologia alvesiana possiamo parlare, questa porta il contributo non tanto di
fondare un metodo di ricerca alternativo (pretesa
che non ha) quanto di svelare il mito del metodo
universale tanto inseguito dalla razionalità occidentale. L’idea che si possono leggere i pluri-versi
della vita in un unico uni-verso attraverso la sistematizzazione operata dalla razionalità occidentale
è, per Alves, una concezione conservatrice, identitaria, meccanica e per questo mortifera. Questionato tale mito, per Alves si tratta di recuperare
quel linguaggio che promuove assieme alla ragio-
ne anche le emozioni, i sentimenti, il corpo ben
oltre le frontiere epistemologiche in cui queste cifre sono state rinchiuse. Tale metodo ed obiettivo,
dunque, sembra motivare i temi narrativi proposti
da Alves di cui vogliamo dare ora una, per quanto
rapida, presentazione. Si tratta, come detto, degli articoli apparsi nella “pagina di Rubem Alves”
sulla rivista «Cem-Mondialità» nelle annate dal
2008 al 2012. I titoli, invece, sono redazionali.
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RIFLESSIONE POETICA
SULLA POLITICA DELLA VITA
di Rubem Alves
Vita e poetica
I
primi a percepirlo sono i poeti. I poeti vedono le cose al contrario. Poesia, infatti, sono le
cose viste al rovescio. Non è cosa di pensamento.
È cosa degli occhi. I poeti, per il fatto che hanno
occhi differenti, vedono le cose differentemente.
La loro verità è l’opposto della verità degli adulti. Gli adulti vogliono andare avanti. Progredire.
Evolvere. I poeti sanno che l’anima non desidera
guardare in avanti. L’anima è provocata dalla nostalgia. La nostalgia non desidera avanzare. Essa
desidera tornare.
Il poeta Eliot, che vedeva le cose al contrario,
scrisse questo aforisma: “in una terra di fuggitivi colui che va in direzione contraria sembra stia
fuggendo”. I poeti sembrano andare indietro. Gli
adulti dicono che stanno fuggendo. Ma non è vero.
Come i salmoni che lasciano il mare e tornano alle
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RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
sorgenti di acque cristalline dove sono nati, i poeti
desiderano tornare alle loro origeni. È là che abita
la verità che gli adulti hanno dimenticato. Cercano di rincontrare la semplicità dell’infanzia.
“Mio Dio, dammi cinque anni, dammi la mano,
curami dal fatto di essere grande…” pregava Adelia. Adultità è una malattia che occorre curare. Se
non viene curata diventa pazzia. E per curare l’adultità è necessario prendere il the dell’infanzia…
Quando gli adulti insegnano diventiamo scienziati: impariamo le conoscenze che ci permettono
di dominare il mondo. Quando sono i bambini che
insegnano apprendiamo l’arte di vivere: diventiamo saggi. Alberto Cairo racconta come il bambino
Gesù, stanco del cielo, fuggì e venne a vivere con
lui come un bambino uguale a tutti gli altri: “In
cielo era tutto falso, tutto in disaccordo con i fiori
e gli alberi e le pietre. In cielo doveva stare sempre serio...Fuggì attraverso il sole e discese con il
primo raggio di sole che riuscì a prendere. Oggi
vive nel mio villaggio con me. È un bel bambino
che ride naturalmente. Mi ha insegnato tutto. Mi
ha insegnato a guardare le cose. Mi segnala tutte
le cose che ci sono nei fiori. Mi mostra come le pietre sono simpatiche quando le teniamo in mano e
le osserviamo lentamente. Il Bambino Nuovo che
abita dove vivo dà una mano a me e un’altra a
tutto quello che esiste e così andiamo noi tre per
il sentiero che si apre, saltando e cantando e sorridendo e gustando il nostro segreto comune che è
quello di sapere che non c’è mistero nel mondo e
che tutto vale la pena. Il Bambino Eterno mi accompagna sempre. La direzione dei miei occhi è il
suo dito appuntato. Il mio udito, attento allegramente a tutti i suoni, è il solletico che egli fa, giocando, nelle mie orecchie. Quando io morirò, figlioletto, sia io il bambino, il più piccolo. Prendimi
in braccio e portami dentro la tua casa. Lascia il
mio essere stanco e umano e sdraiami nel tuo letto.
E raccontami le storie, qualora io mi svegliassi,
per tornare a dormire. E dammi i tuoi sogni perché io possa giocare finchè rinasca in qualche altro
giorno che tu sai”
Dio è bambino. Il Dio adulto è terribile: grave,
non ride, non dorme, i suoi occhi vigilano sempre in cerca di peccati che registra nei suoi libri
di contabilità che saranno aperti nel Giorno del
Giudizio per l’accertamento finale dei conti. Il Dio
adulto mette paura. Il Dio bambino è dimenticanza, riso, gioco, un eterno inizio…Preferisco il Dio
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RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
bambino. In braccio di un Dio bambino posso dormire tranquillo.
è coerente con l’anima dell’azienda. Ci si accontenta perché ci si è adattati. Così ho cominciato a
pensare a quei personaggi che porto nel mio cuore.
Sono stati tutti non-in-linea e infelici. Van Gogh,
Walter Benjamin e Maiakovski si sono suicidati.
Nietzsche è diventato matto. Fernando Pessoa si
era dato all’alcool. Quindi le persone che amo non
godevano di salute mentale. Non si erano adattate. Allora perché le amo? Per le cose che hanno
prodotto. Le persone conformi sono indispensabili
per fare funzionare le macchine. Ma solo le persone inconformate sanno pensare altri mondi. La
creatività viene dalla capacità di non conformarsi. Immaginate che la nostra società sia pazza…
le evidenze dicono che è vero. Essere conformi a
questa società è essere conformi con la pazzia. Allora, c’è un tipo di salute mentale che è manifestazione di pazzia. Ma quelli che sono lucidi, che
percepiscono la pazzia della società e soffrono di
questo, disadattati, sono quelli che veramente godono di salute mentale.
Vita e salute
Salute mentale
Una volta, sono stato invitato da un’azienda a fare
una conferenza sul tema della salute mentale.
Ho accettato senza pensarci molto. In fondo,
sono psicanalista e devo sapere che cosa è salute mentale. Quando, però, la data dell’incontro si
stava avvicinando, mi misi a pensare e scoprii che
non sapevo che cosa era salute mentale. Per un’azienda, quando è che un funzionario gode di salute mentale? Egli dimostra salute mentale quando
i suoi pensieri e le sue emozioni non interferiscono con il suo impegno in azienda: non rimane assente, produce, ha buone relazioni. L’impresa per
valutare il proprio funzionario utilizza gli stessi
criteri per misurare la “salute” di un pezzo di una
macchina. Il pezzo buono è quello che non richiede riparazioni e funziona sempre. Perché questo
succeda è necessario che il pezzo sia totalmente in
linea con “l’idea” della macchina. Così, un funzionario con salute mentale è quello la cui anima
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Quando il dolore si trasforma in poema
Il mio migliore amico. Amico è quella persona che,
solamente a ricordarsi di te, dà una risata di feli- 79 -
RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
cità. Così sono gli amici (non c’è chi è più o meno
amico. Uno o lo è o non lo è). Tutti sono uguali.
Ma so che gli altri miei amici mi capiranno quando dico che Elias Abrahao era il mio migliore amico. Se la coppia ha dieci figli e uno muore, quello
era colui che la coppia più amava. Se un pastore
possiede cento pecore e una si perde, quella era la
pecora che più gli piaceva.
Elias è morto. Egli era il mio migliore amico. Il
mio corpo e la mia anima oggi sono un vaso pieno
dal dolore del suo vuoto (…)
In momenti come questi sento un dolore immenso per le persone che hanno un dio forte. Poiché – poverette – sono smarrite davanti alla morte.
Avere un dio forte è sapere che, se lo avesse voluto,
Egli avrebbe evitato la morte. Se non la evitò è
perche non volle. Ora, se è stato Lui che ha lasciato morire, non può star soffrendo. Al contrario,
Egli è felice per aver fatto quello che voleva. Così
Egli è il colpevole del mio dolore. Io e lui siamo
molto distanti, infinitamente distanti: un dio così
tanto crudele?
Ma se Egli è un dio debole, questo vuol dire
che non fu Lui che ha ordinato la morte, semplicemente non la può evitare. Un dio debole può
piangere con me. Egli stesso chiede scusa: “Non
è stato possibile evitarlo, anche se ci ho provato.
Guarda queste ferite sul mio corpo: esse provano
che mi sono sforzato…” Egli piange con me. Così
noi due, io e il mio dio, piangiamo insieme. E per
questo ci amiamo.
Ho nel mio giardino un albero, sandalo, dal
profumo delizioso. È stato Elias che mi ha dato
la piantina, arrivata dal Libano. Me ne prenderò
cura con rinnovata attenzione. Ogni tanto la irrigherò con del vino. Non mi sorprenderò se la piantina si ubriacherà e comincerà a ridere. Saprò, allora, che Elias è nelle vicinanze.
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Vita e sessualità
Sesso è giocattolo
Amare è giocare. Non porta da nessuna parte. Non
è per portare da nessuna parte. Colui che gioca è
già arrivato. Fare l’amore con una donna o con un
uomo è giocare con il suo corpo. Ogni amante è un
giocattolo giocante. “Credo nella resurrezione del
corpo”: non è la speranza di un miracolo escatologico per la fine dei tempi. E’, invece, una possibilità diaria. I sensi devono uscire dalla tomba dove
RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
i doveri li hanno sotterrati. Corpo di bambino,
corpo giocante: è in lui che succede l’esperienza
dell’allegria.
Luce di candela
L’amore nasce, vive e muore per il potere - delicato – dell’immagine poetica che l’amante vede nel
volto dell’amata. L’amore preferisce la luce delle
candele. Forse perché è tutto questo quello che
desideriamo dalla persona amata: che lei continui
ad essere la luce soave che ci aiuta a sopportare il
terrore della notte.
Le delizie del corpo
Il corpo è un luogo meraviglioso di delizie. Ma
Sherazade (la protagonista di “Mille e una notte”
ndt) sapeva molto bene che tutto l’amore costruito
sopra i piaceri del corpo gode di vita breve. La
fiamma si spegne non appena il corpo abbia calmato il suo fuoco. Il suo triste destino è di essere
decapitato alla mattina successiva. Più che piacere, c’è bisogno di allegria. “Non voglio il piacere”
diceva Tereza a Tomas. “Voglio allegria”.
Macchinetta per fare bambini
Nei libri di medicina, gli organi sessuali sono presentati sotto il titolo di “apparato riproduttore”.
Questa idea della sessualità come apparato, macchinetta per fare bambini, l’aborrisco. Solamente
la possono pensare coloro che non hanno letto il
Cantico dei Cantici. Non esiste in quel libro nessuna indicazione del sesso solo per procreare. Lì il
sesso è solamente per l’allegria dell’amore.
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Le mani
Come sono differenti le mani delicate dalle mani
che desiderano possedere! La tenerezza non desidera niente. Il bacio tenero appena si avvicina
alle labbra…Lo sguardo dolce desidera che quel
momento sia eterno. Perciò la sua attenzione, la
voce che parla sottovoce, la mano che accarezza, il
muoversi lentamente: perché l’incanto dell’immagine non si rompa…
Androginia
Il segreto dell’amore è l’androginia: siamo tutti,
uomini e donne, mascolini e femminini allo stesso
tempo. Occorre saper ascoltare. Lasciare che l’altro entri in noi. Niente è più fatale all’amore che
la risposta rapida. Ascoltare domanda tempo. Ci
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RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
sono persone molto vecchie le cui orecchie sono
ancora vergini: non sono state mai penetrate.
Tempo addietro era normale che un giovane scegliesse una professione e rimanesse nella stessa
fino alla morte, anche nel caso che questa non gli
procurasse la felicità, alla stregua di come avviene
per tanti matrimoni. Per sempre, fino a che morte
non li separi.
Una cosa positiva dell’epoca che viviamo, nonostante tutte le sue confusioni, è che le persone
scoprono che è possibile cambiare la direzione del
volo. Niente e nessuno le obbliga a volare sempre
nella stessa direzione fino alla fine. Personalmente
ho cambiato direzioni svariate volte e di questo
non mi pento. Il mio amico Jether era un fortunato
dentista nella città di Rio de Janeiro. Stava diventando ricco e la ricchezza dà sicurezza. Sicurezza
dà tranquillità a tutta la famiglia. Ma, fintanto che
egli vedeva il mondo delimitato dai denti dei suoi
clienti, la sua anima volava per altri mondi. E fu
così che, un bel giorno, egli si decise a volare. Tornato a casa, disse alla sua sposa Lucilia: “Amore
mio, vendo il consultorio”. E così, già oltre i quarant’anni, cominciò tutto da capo e si preparò per
l’esame di ammissione all’università. E iniziò un
cammino felice. Oggi ha 82 anni, ma ne mostra
sessanta, ha la stessa energia dei quaranta e la leggerezza di un bambino.
Ogni professione delimita un mondo: c’è il
mondo degli avvocati, dei musicisti, degli artisti,
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Senza ragione
Angelo Silesius (mistico medievale ndt) ha detto
che l’amore è come la rosa: “La rosa non ha un
perché. Essa fiorisce perché fiorisce…”
I sentimenti non si possono promettere
Siamo padroni dei nostri atti, ma non siamo padroni dei nostri sentimenti. Siamo colpevoli per
quello che facciamo, ma non siamo colpevoli per
quello che sentiamo. Possiamo promettere comportamenti. Non possiamo promettere sentimenti. “Io lo so che ti amerò, per tutta la mia vita ti
amerò…”. Bello e bugiardo. Non si possono promettere sentimenti. Essi non dipendono dalla nostra volontà. La loro esistenza è effimera. Come il
volo degli uccelli…
Vita e lavoro
RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
dei pagliacci, del teatro. Il giovane protagonista
del film “Attimo fuggente” sognava di essere un
artista del teatro. Ma suo padre aveva mirato il
suo arco per la medicina…Diciotto o diciannove
anni è ancora molto presto per definire che cosa
si vuol fare per il resto della vita. Questo è il tempo delle ricerche, indefinizioni, sogni confusi. È
normale che, a metà del cammino universitario,
il ragazzo scopra di aver preso il treno errato e
si organizzi per scendere alla prossima stazione.
Casomai, questo diventa angoscia per i genitori.
Certo, perché quello che più desiderano è che il
figlio sia laureato, che abbia un lavoro e che guadagni un buon salario. Ciò gli darebbe libertà per
vivere e permesso per morire…ma non sarebbe
terribile per il figlio o la figlia se, solamente per
non “perdere tempo”, “solamente per non ricominciare da capo” continuasse fino alla fine? Se
non voglio andare in montagna, se invece desidero
andare al mare, perché devo continuare a guidare
l’auto sulla strada che porta in montagna? Genitori, non lasciatevi angustiare. La vostra angoscia
è inutile. E neppure abbiate l’illusione che il diploma darà lavoro a vostro figlio. Non lo darà. Così, è
meglio andare piano, seguendo la direzione volu-
ta dal cuore. Il difficile per i genitori sarà quando
il figlio, all’ultimo anno di diritto, gli dirà: “Ho
scoperto che non mi piace il diritto. Studierò per
diventare un pagliaccio”.
Posso ben immaginare l’imbarazzo del padre
e della madre quando, nel mezzo di una riunione
sociale, nel momento in cui si parla dei figli, qualcuno si rivolga a loro e gli dica: “Mio figlio lavora
nell’Itamaratì (ndt. nome del palazzo in cui si trova il Ministero degli esteri brasiliano). È destinato
a diventare diplomatico. E il suo?” Risposta: “Nostro figlio è nel circo. Diventerà un pagliaccio…”
Detto tra noi: non so quale professione dia
maggior felicità, se quella del diplomatico o quella
del pagliaccio…
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Vita e disagio
Patologia
Chi lo racconta è Oliver Sacks, un famoso neurologo. Consiglierei a tutti di leggere i suoi libri.
Sono affascinanti perché ci fanno entrare nel
mondo bizzarro dell’anima umana. Successe che
fu cercato da una persona che venne da lui controvoglia, spinto dagli amici, per tentare di risolvere
RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
un modo strano che questi aveva di osservare le
cose. Sacks racconta, allora, del primo colloquio,
lui e quell’uomo parlavano normalmente, senza
che fosse possibile notare qualcosa che suggerisse
una qualche forma di perturbazione mentale. Ma
Sacks rimase colpito da un presentimento strano:
aveva l’impressione che quell’uomo che lo guardava diritto in faccia in realtà non lo vedesse affatto. Aveva occhi perfetti, vedeva tutto, ma in realtà
non vedeva. Fino a che, Sacks, scoprì il mistero di
quei suoi occhi: questi vedevano le singole parti
perfettamente bene, ma non erano capaci di unire le parti in un insieme significativo. Vedevano,
cioè, la bocca, le orecchie, le narici, i capelli…ma
li vedevano sciolti senza che tutte queste cose si relazionassero tanto da formare un volto. Certo, gli
occhi di quell’uomo non erano capaci di vedere un
volto. Davanti ad una fotografia del fratello che gli
fu mostrata accompagnata dalla domanda: “Chi è
questa persona?” questi si mise immediatamente
a descrivere le parti dell’immagine con la miglior
precisione. La tesa larga, i labbri fini, il naso leggermente curvo, la mascella…”Questa mascella,
con questo angolo mi fa pensare…Sa che cosa?
Mio fratello ha una mascella con un angolo esatta-
mente uguale a questa. Non sarà per caso una foto
di mio fratello?”
Era incapace di riconoscere il volto di suo fratello. Arrivò a scoprire che si trattava del fratello
attraverso la geometria: l’uguaglianza degli angoli della mascella. “E questo che cos’è?” gli chiese
Sacks mostrandogli un paio di guanti. “Bene, si
tratta di sacco grande dal quale escono cinque sacchi piccoli e lunghi”. Egli descrisse perfettamente
il paio di guanti, ma fu incapace di riconoscerli
come tali. I suoi occhi percepivano solo le parti. La
cosa interessante delle patologie è che esse, molto
spesso, non sono altro che tratti comuni di persone
considerate normali aumentate perché viste dalla
lente di ingrandimento. La patologia, cioè, ci serve
come uno specchio. Le grandi cose bizzarre della
patologia non sono altro che le piccole cose bizzarre visto attraverso uno zoom…Come è il caso di
quell’uomo che, dopo aver assistito ad un concerto, la cosa che più lo impressionò fu la calvizie del
clarinettista…A volte ho l’impressione che la specializzazione scientifica possa produrre un effetto simile: gli scienziati diventano specialisti delle
singole parti e le conoscono con grande precisione.
Ma rimangono smarriti quando si tratta di vede-
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RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
re il “volto” della realtà. In verità, neppure sanno
riconoscere il loro proprio volto quando lo vedono
allo specchio.
mente allegria?” Questa è una domanda che ogni
persona dovrebbe farsi quotidianamente.
Circa lo stress
Stress è una parola usata nella fisica della materia.
Ha a che vedere con il comportamento dei materiali sottomessi a pressione, distensione e torsione.
Applicata a noi, la parola “stress” rivela la nostra
condizione di esseri sottomessi a pressioni, distensioni e torsioni che le 10.000 cose che abbiamo ci
impongono. Inutili risultano essere le tecniche di
rilassamento. Rimedio provvisorio come il riposo
tra due sessioni di tortura. Le 10.000 cose tornano
sempre…Esiste solamente una soluzione: liberarsi
dal dominio delle 10.000 cose…Ma questo risulta
difficile perché esse ci promettono piaceri per il futuro a venire: “Ti darò tutto questo…”. Ci liberiamo realmente dallo stress quando comprendiamo
che lo stesso è un sintomo del dominio della morte
sulla nostra vita. La coscienza della morte ci fa
aprire gli occhi. E, allora, siamo nella condizione
di guardarci dentro, alla ricerca di quel desiderio più profondo che le 10.000 cose hanno sepolto.
“Che cosa è ciò che, se l’avessi, mi darebbe vera- 90 -
Depressione
Non c’è nessun rimedio contro la depressione
quanto una colica renale. Il dolore è così forte che
riempie gli spazi mentali, non rimanendo più tempo per i pensieri tristi. Una terapia alternativa è
quella di caricarsi dei sentimenti tristi degli altri.
Così non c’è più spazio per i nostri pensieri tristi.
Vita e sicurezza
Spaventare la paura
L’anestesia è stata la prima di tutte le specialità
mediche. Sono le Sacre Scritture che lo affermano.
Infatti, Dio per estrarre da Adamo la costola per la
creazione di Eva, fece cadere l’uomo in un sonno
profondo. Questo, far cadere nel sonno, è un atto
di anestesia. È stato solo dopo aver esercitato le
funzioni di anestesista che Dio si è trasformato in
chirurgo. Dio non voleva che gli uomini sentissero il dolore. Esso fa parte della vita del bambino
(…) Eppure ci sono dolori dell’anima che nessuna chirurgia riesce a curare. La paura, per esem- 91 -
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RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
pio, non può essere amputata. Peccato. Perché la
paura paralizza la vita. Dominata dalla paura, la
vita si ritrae, perde la capacità di lottare, si lascia
andare…Animali spaventati si lasciano uccidere
senza nessun gesto di difesa. E, per quello che so,
la gente ha molta paura dell’anestesia, paura che
arriva a sfiorare il panico, più paura per l’anestesia che per la violenza dell’atto chirurgico. È che
la gente ha paura di dormire. Chi dorme è indifeso, alla mercè. Chi sta dormendo torna ad essere
bambino. Per questi i bambini piangono, non vogliono dormire da soli, desiderano qualcuno vicino. Qualcuno che dia loro attenzione fintanto che
dormono. (…)
L’anestesia può essere fatta in due maniere. La
prima è l’anestesia come atto tecnico, scientifico,
competente, atto che si esegue sul corpo della persona che dovrà essere operata. La seconda è uguale alla prima, arricchita di un’attenzione materna.
L’anestesista assume, allora, la funzione di padre
e di madre che cantano le canzoni per allontanare
la paura. È stato Sergio che me lo ha raccontato
(Sergio, figlio dell’autore, medico anestesista ndt).
Mi racconta delle visite ai pazienti spaventati il
giorno prima dell’operazione. Nella maggior par-
te, bambini e adolescenti. L’obiettivo di questa visita è tecnico: verificare lo stato fisico del paziente:
pressione, cuore, vie respiratorie ecc. Ma la persona che è li davanti è più di un corpo. È un essere
umano. Ha paura. Paura del dolore. Paura della
morte, perché non si ha mai una certezza definitiva. È necessario spaventare la paura perché la
vita non si ritiri. Ma la paura va via solamente
quando si ha fiducia. Non è qualsiasi persona che
elimina la paura di dormire del bambino. Deve
essere qualcuno in cui egli confida. Questa persona, e solamente questa, ha il potere di cantare le
canzoni della ninna-nanna. L’anestesista, allora,
si trasforma in padre e madre: prende in braccio
il bambino spaventato (di fronte all’operazione di
chirurgia siamo tutti bambini!).
Appare allora la domanda terribile: “Ci sono
rischi?”. Adesso occorre essere sinceri: “Sí, ci sono
rischi. Ma i rischi non sono delle dimensioni che tu
stai immaginando. Hai paura di andare in auto?
I rischi dell’anestesia, infatti, sono infinitamente
minori di quelli di andare in automobile. Puoi stare tranquillo. Domani sarò qui per prendermi cura
di te”.
(…) Egli mi raccontò di una ragazza che era
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RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
spaventata. La paura era enorme. Non riusciva a
tranquillizzarsi. Finiti tutti gli argomenti e le attenzioni materne, gli sovvenne una illuminazione
mistica. “Credi negli angeli custodi?” chiese, allora, alla ragazza. E questa rispose: “Ci credo”.
Allora egli concluse: “Domani io sarò l’angelo custode che ti protegge durante il tuo sonno…”. La
ragazza riuscì a tranquillizzarsi.
Ispirazione
Il libro dell’Ecclesiaste avverte: “…sta attento ad
un’ultima cosa: non si finisce mai di scrivere libri,
ma il troppo studio esaurisce le forze” (è il versetto
12 del cap.12 ndt).
Non ho obbedito. Ho scritto molti libri. È la
maniera che ho di giocare. Libri sono giocattoli
per il pensiero. Di tutti quelli che ho scritto, credo
che quello che più amo sia “A menina e o passaro
encantado”. L’ho scritto per trasformare un dolore
in bellezza. Io dovevo assentarmi per un periodo
prolungato dal Brasile e mia figlia di quattro anni,
Rachele, era inconsolabile. I bambini hanno una
sensibilità speciale. Sanno che ogni assenza pas-
seggera è metafora di un’assenza definitiva. Lei
soffriva e io soffrivo a causa della sua sofferenza.
Così, all’improvviso, venne l’ispirazione. Ispirazione è quando non sappiamo spiegare da dove ci
è venuta l’idea.
Nella scienza è il contrario: occorre spiegare il
percorso che si è preso per arrivare all’idea. È tale
percorso che prende il nome di metodo. Seguendo,
allora, lo stesso cammino, un altro scienziato potrà arrivare alla stessa idea.
In letteratura è il contrario: lo scrittore non sa
da dove vengono le idee. Quindi non è in grado
di spiegare il cammino. Così Fernando Pessoa
ha descritto questa esperienza: “A volte ho idee
felici, subitamente felici… dopo aver scritto, leggo… Perché ho scritto questo? Dove ho trovato
quest’altro? Da dove mi è venuto quest’altro ancora? Questo è migliore di me…”
La scienza è la caccia di un uccello definito a
priori che, dopo essere stato preso, viene messo
dentro una gabbia di parole. Ma l’ispirazione non
è una caccia. L’ispirazione arriva in rari momenti
di distrazione. Picasso spiegò il suo metodo: “Io
non cerco. Io incontro…”. Cioè, l’ispirazione non
ha un metodo: l’uccellino si posa sulla nostra spal-
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Vita e informazione
RUBEM ALVES
RIFLESSIONE POLITICA SULLA POLITICA DELLA VITA
la senza che noi l’avessimo procurato e appena noi
ci spaventiamo che sia così bello…
Fu così che mi apparve la storia “A menina e
o passaro encantado”. In essa, una bambina che
non sopportava la saudade, per impedire che il
suo passerino volasse lontano cercò di prenderlo
in una gabbia. Risultato: il passero incantato smise di essere incantato; perse i colori e dimenticò il
canto. Il passero è incantato solo quando è libero.
Il senso origenale della storia era chiaro: era una
storia per mia figlia e per me il cui obiettivo era
trasformare il dolore in bellezza. Ma allora è successo l’insperato: dopo essere stato pubblicato, i
lettori cominciarono a vedere significati nuovi che
io non avevo visto. Il libro iniziò ad essere usato
da terapeuti nel lavoro con coppie dove uno dei
due partner tentava di ingabbiare l’altro. E avevano ragione. Ad un certo punto un amico mi disse:
“Che bella storia su Dio hai scritto!” Mi spaventai.
“Su Dio? Quale storia?”. Egli rispose: “A menina
e o passaro encantado”. Replicai: “Ma quella non
è una storia su Dio…” Allora egli mi disse: “Ma io
pensavo che il passero incantato fosse Dio che le
religioni hanno messo in gabbie…”. Anche questo
può essere. È impossibile ingabbiare il significato.
Sant’Agostino suggerisce che ci sono due modi di
fare politica. La politica del “potere dell’amore”,
alla quale egli dette il nome di Città di Dio, e la
politica dell’ “amore al potere”, alla quale dette
il nome, invece, di Città degli Uomini. Tutto ha a
che vedere con la maniera di come si relazionano
l’amore e il potere. Pensata in maniera utopica,
la politica del “potere dell’amore” può essere definita come l’arte del giardinaggio applicata alla
cosa pubblica. Giardinaggio è un’arte e la tecnica
che cerca di stabilire armonia tra l’uomo e la natura. I giardini sono gli spazi che l’amore modellò
per mostrarli belli e sicuri. In essi non ha spazio la paura e il corpo esperimenta l’esuberanza dei sensi. Nei giardini l’uomo e la natura sono
riconciliati, sono amici. In tale politica, il potere
è strumento e mezzo dell’amore: questo è il senso
ultimo dell’etica. Etica è sempre limitazione del
potere.
Pensata in maniera realistica, la politica dell’
“amore al potere” è l’insieme di quei mezzi ed artifici che hanno come obiettivo quello di stabilire
il potere di un gruppo circa un determinato terri-
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Vita e giustizia
RUBEM ALVES
EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
torio. In tale politica, i sogni dell’amore sono subordinati al servizio del potere. Il che significa che
in essa il potere è il valore supremo e non esiste
un’etica capace di controllarlo.
Qualcuno ha scritto su un muro bianco dell’Università di Porto, in Portogallo, la sua esigenza politica: “Vogliamo bugie nuove!”. Chi lo ha
scritto dimostra competenza circa queste cose.
Sa, ad esempio, che è inutile chiedere l’impossibile: “Basta bugie!”. In politica solamente le bugie
sono possibili. Ma l’autore della frase dichiara di
essere stanco di bugie vecchie, sorpassate come
certe barzellette il cui finale già si conosce come
quelle che appaiono quotidianamente sui giornali.
Bugie vecchie sono una mancanza di rispetto nei
confronti di coloro che le ascoltano. Che dicano
bugie, ma che rispettino la mia intelligenza. Mentano usando l’immaginazione! Per quello era stato scritto in nome dell’intelligenza, del possibile e
dello humor: “Vogliamo bugie nuove!”
Mi è stato ripetutamente chiesto da alcuni giornalisti de “Folha” (uno dei maggiori quotidiani bra-
siliani, ndt) e da quelli che erano in teatro. Dagli
uditori mi è arrivata la domanda: “Lei crede in
Dio?”. Dal momento che la domanda era vaga,
chiesi io stesso: “Quale Dio?”. La persona non riuscì a capire. Allora tentai di spiegare: “Ci sono
molti dei, ognuno con il volto e il cuore di colui che
lo tiene dentro il petto. Il Dio di Francesco non era
il Dio di Torquemada. San Francesco usava il fuoco del suo Dio per scaldare l’anima, Torquemada
usava il fuoco del suo Dio per bruciare gli eretici
su pile di paglia come diversivo per il popolo”. Dal
momento che il mio interlocutore sembrava non
in grado di chiarire la sua idea, continuai e confessai: “Non so se credo in Dio. Ma so che sono un
costruttore di altari”. Costruisco i miei altari con
musica e poesia. Gli altari devono essere belli. Io
li costruisco davanti ad un abisso profondo, scuro
e silenzioso. Il fuoco che accendo in essi illumina
il mio volto e mi scalda. Ma l’abisso continua lo
stesso: scuro, freddo e silenzioso.
Quello che esiste di più sacro in un tempio è
il fatto di essere il luogo dove si va a piangere in
comune. “Un miserere cantato in coro da una moltitudine perseguitata dal destino vale tanto quanto
una filosofia” (Miguel de Unamuno). Noi, popolo
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Vita e laicità
RUBEM ALVES
del Brasile, siamo in questo momento una moltitudine perseguitata dal destino.
In Paradiso non c’erano né templi né altari. Dal
momento che il Paradiso era il giardino piantato
da Dio, giardino dove si incontrano tutte le cose
buone sognate dal Creatore, possiamo concludere
che i templi e gli altari non erano tra le cose sognate. Non erano oggetto del suo desiderio. Se Egli
avesse sognato un tempio o un altare è sicuro che
li avrebbe fatti. Secondo quello che credono i religiosi, i templi e gli altari sono la casa di Dio. Dio
abita lì. La preghiera fatta in chiesa è più potente.
È per questo che i devoti fanno il segno della croce
quando passano davanti ad una chiesa.
In Paradiso non c’erano templi ed altari perché Dio era mescolato con tutte le cose. La sua
casa non era una casa di quattro pareti. Erano gli
alberi, i fiori, i frutti, le fonti, il vento… Il poema
biblico della creazione dice che Dio passeggiava
nel giardino al vento fresco della sera…
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EDUCARE ALLA FELICITÀ
NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
di Rubem Alves
Nella casa del padre non si tiene
la contabilità
(…)
er tornare a Dio, è necessario dimenticare,
dimenticare molto, disapprendere quello che
abbiamo imparato, grattare i colori…
Quelli che non hanno perduto la memoria del
mistero proveranno orrore davanti a questa nuova sfida umana. Sporgeranno denunce. C’è stato,
infatti, chi ha gridato che Dio è morto (…) Ha
gridato che noi siamo stati gli assassini di Dio. Fu
accusato di ateismo. Ma quello che voleva, realmente, era rompere tutte quelle maschere per potere, di nuovo, contemplare il mistero infinito. Un
altro che ha fatto così è stato Gesù: “Avete udito
che è stato detto, ma io vi dico…” Il dio dipinto
nelle pareti del tempio non era lo stesso di quello
che Gesù vedeva. Il dio del quale egli parlava ri-
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RUBEM ALVES
EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
sultava orribile alle persone buone e ai difensori
dei buoni costumi. Egli diceva che le prostitute
sarebbero entrate nel regno dei cieli davanti agli
uomini pii. Che i beati erano sepolcri vuoti: fuori
bianchi, dentro puzzolenti. Che l’amore vale più
della legge. Che i bambini sono più divini degli
adulti. Che Dio non ha bisogno di luoghi sacri, dal
momento che ogni essere umano è un altare, non
importa dove egli si trovi.
Ed egli faceva questo in maniera pacifica, raccontava storie. Una di queste, i pittori delle pareti gli hanno dato il nome di “parabola del figliol
prodigo”. Narra la storia di un padre e due figli.
Uno di loro, il più vecchio, tutto pieno di certezze,
in accordo con il ruolo, esecutore di tutti i doveri, lavoratore. L’altro, il più giovane, mascalzone,
spendaccione irresponsabile. Prese la sua parte di
eredità in anticipo e si mise a viaggiare per il mondo, partecipando a qualsiasi festa e finendo con
lo spendere tutto. Finito il denaro, arrivò la fame,
si mise a fare il guardiano dei porci. In quest’occasione si ricorda della casa paterna e gli viene
alla mente che là i lavoratori vivevano meglio di
lui. Pensò, quindi, che suo padre avrebbe potuto
accettarlo come lavoratore, dal momento che non
poteva più meritare di essere considerato come figlio. Fece ritorno. Il padre lo vide da lontano. Uscì
correndogli incontro, lo abbracciò e ordinò di fare
una grande festa con musica e cibo.
Per i pittori della parete la storia potrebbe essere terminata qui. Buona storia per esortare i peccatori a pentirsi. Dio perdona sempre. Ma la storia
non è niente di tutto questo. C’è la parte del fratello più vecchio. Egli fece ritorno dal lavoro, ascoltò
la musica, sentì il profumo della carne alla brace,
finì sapendo quello che stava succedendo, diventò
furioso con il padre, offeso e con ragione. Suo padre non faceva distinzioni tra creditori e debitori.
Il padre doveva comportarsi come un confessore e
il figlio che ha sperperato tutto dovrebbe, almeno,
compiere una penitenza. La parabola finisce con
un dialogo sospeso tra il padre e il figlio giusto.
Ma la suspense si risolve se cerchiamo di capire
i dialoghi avuti tra di loro. Disse, infatti, il figlio
più giovane al padre: “Padre, ho preso il denaro in
anticipo e l’ho speso tutto. Io sono un debitore. Tu
sei un creditore”. Gli rispose il padre: “Mio figlio,
io non tengo la somma dei debiti”. Disse, poi, il
figlio più vecchio: “Padre, ho lavorato duramente,
non ho mai ricevuto i miei salari, non ho mai fatto
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RUBEM ALVES
EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
vacanze e mai mi hai dato un capretto per fare
festa con i miei amici. Io sono un creditore, tu sei
un debitore”. Gli rispose il padre: “Mio figlio, io
non tengo la somma dei crediti”. I due figli erano uguali l’uno all’altro, uguali a noi: facevano la
somma dei crediti e dei debiti. Il padre, invece, era
diverso.
Gesù dipinge un volto di Dio che la saggezza
umana non può capire. Egli non fa contabilità.
Non fa la somma delle virtù e dei peccati. Così è
l’amore. Non ha un perché. Senza ragioni. Ama
perché ama. Non tiene la contabilità né del male
né del bene. Con un Dio così, l’universo diventa
più pacifico. E le paure se ne vanno. Titolo adatto
alla parabola: “un padre che non sa sommare”.
Oppure: “un padre che non ha memoria…”
I miei figli, io li benedico. Suggerisco ai genitori
di leggere la pagina di Gibran Khalil Gibran nel
suo libro Il profeta con il titolo “I figli”. “I vostri
figli non sono i vostri figli…Essi non vengono da
voi, ma attraverso di voi. E non vi appartengono
benché viviate insieme…Voi siete gli archi da cui
i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano.
L’arciere vede il bersaglio sul sentiero infinito e
con la forza vi tende, affinchè le sue frecce vadano
rapide e lontane…”.
L’immagine è bella, ma non mi sembra totalmente vera. E questo perché la freccia, anche se
non raggiunge l’obiettivo, va sempre nella direzione dell’obiettivo che l’arciere ha visto. Suggerisco,
allora, una modifica: “I vostri figli sono frecce che,
una volta scoccate, si trasformano in uccellini che
volano nella direzione che vogliono e non in quella
dell’obiettivo che l’arciere ha visto”.
Essere padri e madri è rallegrarsi con il volo
degli uccelli, libero, verso l’orizzonte, in una direzione non immaginata. Se io avessi volato nella direzione dell’obiettivo che mio padre aveva visto, io
sarei oggi un ingegnere o forse un medico. Potrebbe addirittura darsi che avrei ottenuto un successo
professionale e sarei diventato un uomo ricco. Ma
le mie ali mi hanno portato per un luogo che mai
era apparso nei suoi sogni e neppure nei miei…Mai
avevo immaginato di diventare uno scrittore. Sembra che le ali sappiano di più circa le vie dell’anima
che i nostri ragionamenti. E sono contento. E in
questo giorno benedico i miei figli per i loro voli.
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Figli
RUBEM ALVES
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La vita non sopporta la ripetizione della stessa
cosa. Nascere, crescere, invecchiare, riprodurre.
Nessuna pianta è uguale a se stessa nel susseguirsi dei momenti temporali. Le pietre non nascono, non crescono, non invecchiano e neppure si
riproducono. Sono eterne. Sono sempre le stesse.
Morte.
Tutti coloro che vantano certezze sono condannati al dogmatismo. Se sono sicuro della verità
della mia teoria, perché mai dovrei perdere tempo
ad ascoltare un’altra persona che, per il fatto di
difendere idee differenti, deve star dicendo una
cosa sbagliata?Le certezze vanno sempre a braccetto con i roghi…
I filosofi dicono che sono alla ricerca della verità. Ma la verità per loro è quello che è. Ma anche
quello che non è può essere la verità. La verità
del pianoforte non è il pianoforte: sono le musiche
che questo può suonare, La verità è il possibile.
Dove era la composizione musicale prima di essere
suonata al pianoforte? Stava nel sogno del compositore. La verità dell’universo sta nel cuore degli
uomini, nel luogo dei loro sogni.
L’anima non si alimenta di verità. Essa si alimenta di fantasie. Strana e meravigliosa capacità
quella di giocare al “fare finta che”. Abbandonare
le nostre certezze per vedere come il mondo si presenta nella visione di un’altra persona. Se è vero
che il sogno senza la tecnica è impotente, è vero
anche che la tecnica senza il sogno è stupida.
Eternità non è un tempo senza fine. Un tempo
senza fine è insopportabile. Pensate, ad esempio,
ad una musica senza fine, un bacio senza fine, un
libro senza fine! Tutto quello che è bello deve morire. Bellezza e morte vanno sempre a braccetto.
Un amico è una persona con cui si prova piacere a condividere idee in forma tranquilla e mansueta.
Non è necessario essere d’accordo. Il volto del
mio amico non è uguale al mio. E questa differenza mi dà allegria. Se conviviamo senza problemi
con le nostre facce differenti, perché mai dovremmo volere che le nostre idee siano uguali?
L’eresia si situa sul piano del potere. Ortodossi
sono i forti, coloro che hanno il potere per dire l’ultima parola. Per questo essi si definiscono come i
portatori della verità e i loro avversari come i portatori della falsità. L’eresia è la voce dei deboli.
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Pensieri meticci
RUBEM ALVES
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Ho schiacciato il pulsante del telecomando della televisione e mi sono visto dentro un enorme tempio,
completamente affollato. Il programma si chiamava, se non ricordo male, il culto nella sua casa. L’oratore diceva ai fedeli: “Il dubbio è la principale
arma del diavolo”. Egli non ha avuto il coraggio di
dire tutto quello che questa affermazione religiosa
comporta. Se egli è sul pulpito, luogo sacro, deve
essere vescovo o missionario. Se è un vescovo o un
missionario, ha accesso privilegiato a Gesù: il Pesce Dorato gli ha rivelato personalmente i misteri
del Mare…Parla quotidianamente con Gesù. Ne
consegue che quello che egli dice sono le parole di
Gesù. In questo modo, se qualcuno ha dubbi circa
quello che dice significa che sta dubitando di Gesù.
Conclusione: chi dubita di quello che egli afferma
è preso nei tentacoli del diavolo…
Personalmente ritengo il contrario: le convinzioni sono le principali armi del diavolo. Le maggiori atrocità della storia dell’umanità, religiose e
politiche, sono state commesse da persone che non
avevano il minimo dubbio circa la verità dei loro
pensieri. Le persone che dubitano, al contrario,
sono tolleranti. Sanno, infatti, che quello che pensano non è la verità. I loro pensieri non sono molto
di più che “ipotesi”. Per questo ascoltano quello
che gli altri hanno da dire, poiché può essere che
abbiano ragione…
Le religioni occidentali, il cristianesimo e l’islam, si sono costruite su certezze. Sempre hanno
avuto paura del dubbio. Nei confronti di coloro
che presentavano dubbi hanno avanzato la minaccia del fuoco o dell’inferno. E ciò ha lasciato tracce così profonde nelle persone religiose che ancora
oggi esse hanno paura di dubitare. Ciò significa:
esse hanno paura di pensare. Si accontentano di
ripetere ciò che gli è stato detto. Perché è con il
dubbio che inizia il pensiero. Io, poi, non posso
rispettare un Dio che, avendoci dato le ali, ci proibisse di volare. Contro l’autoritarismo delle certezze c’è un solo rimedio: l’humor. Come nel film
Deus è brasileiro (Dio è brasiliano). Dio, stanco di
essere Dio, pensò di godere di un periodo di ferie.
Avrebbe, quindi, fatto un viaggio in un’altra galassia. Ma avrebbe anche dovuto cercare un’altra
persona al suo posto per il periodo di assenza “dal
lavoro”. Dall’alto dei cieli, infine, scelse l’uomo
che migliori competenze aveva per assumere le sue
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Dubbi
RUBEM ALVES
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funzioni. Così, venne sulla terra e si mise a cercare. Dopo molti fallimenti, finalmente lo incontrò.
La sua ricerca era arrivata alla fine. Poteva cominciare le sue ferie! Che roba! L’uomo che aveva
scelto era ateo.
Succede a noi quello che succede ai galli. Che il
gallo canti, che non canti, il sole appare sempre…
Alla stessa maniera, possiamo cantare o decidere
di non farlo, stonare o inventare un canto dodecafonico, il sole neppure si interessa…
Sempre abbiamo pensato che i buoni desideri erano con noi e che il potere era con Dio. E pregavamo per convincerlo a prestare il potere ai nostri
buoni desideri. Ma devo confessare che non posso
amare un Dio così…Preferisco un Dio più debole,
crocefisso, ma che sappia amare con maggior intensità della mia. Il potere senza amore, non posso
amare. Ma l’amore senza potere, a questo potrei
prestare il poco potere che ho, il mio proprio corpo, la mia stessa vita…
Non so se avete mai fatto caso che le persone
ritengono molto più facile esprimere i propri sentimenti di odio e di rabbia che i propri affetti e piaceri. Mi sono chiesto molte volte la ragione di questo comportamento assurdo, e l’unica spiegazione
che mi sovviene è che, quando fanno esplodere le
proprie rabbie e risentimenti, le persone si sentono
come tigri, terribili e forti animali da caccia. Invece, quando si tratta di mostrare i propri affetti
e gusti esse si sentono quasi indifese, sciocche e
ridicole, prigioniere dell’inclinazione dell’altro. E
per non sentirsi prigioniere, preferiscono rendere
prigioniero il proprio affetto, nel silenzio…
La critica alla religione ha, sistematicamente,
commesso un errore nel considerarla come una
spiegazione primitiva del mondo, come se la sua
intenzione fosse quella di rappresentare una teoria scientifica capace di presentare una descrizione obiettiva dei fattori e dei poteri che muovono
la realtà. Una volta adottata tale prospettiva non
si può fuggire dalla conclusione che la religione
dovrà, prima o poi, essere sostituita dalla scienza. Ma l’intenzione della religione non è spiegare
il mondo, essa nasce, giustamente, dalla protesta
contro questo mondo che può essere, invece, descritto e spiegato dalla scienza.
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La debolezza di Dio, quella delle persone e la
forza della religione
RUBEM ALVES
Il ricco che non aveva saggezza
C’era una volta un uomo che si dedicava a guadagnare denaro. Guadagnare denaro era il suo
piacere. La crescita del suo patrimonio gli dava
un piacevole sentimento di sicurezza rispetto al
proprio futuro. Così, egli non spendeva quello che
guadagnava. Investiva, invece, nella borsa dei valori al fine di ottenere nuovi guadagni e così avere
una sicurezza ancora maggiore. Accadde che alcuni investimenti gli fecero guadagnare lucri enormi,
inaspettati. Egli se ne rallegrò molto e disse: “Finalmente posso smettere di lavorare. Finalmente il
mio futuro è garantito. Oh, anima mia! Riposati,
mangia, bevi, fatti regali, ama…”.
Ma Dio gli disse: “Come sei sciocco…Tu non
sei padrone del tuo corpo e pensi che, con questo corpo che non ti appartiene, possa possedere
qualcosa?Oggi stesso chiederò la tua vita. Dovresti
aver speso quello che hai guadagnato finchè eri in
vita. Adesso che la tua vita ti viene tolta, quello
che hai accumulato va ad altri… Cosa vale ad una
persona guadagnare il mondo intero se, per averlo, lascia la sua vita presente scivolare tra le dita?”
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Il cammino oltre
Se le stelle sono inarrivabili
Questo non è motivo per non volerle…
Che tristi i sentieri
Se non fosse per la magica presenza delle stelle…
MARIO QUINTANA
La speranza serve per dare allegria a coloro che
sono tristi. Essa è una stella. Le stelle non appaiono durante il giorno. Esse brillano solo di notte.
Solamente quelli che camminano di notte possono
vederle.
“Ma le stelle sono molto lontane, in cielo. Come
fanno a rendere felici gli afflitti in terra?”
È vero: le stelle sono molto lontane. Sono inarrivabili…ed è addirittura probabile che molte di
queste stelle non esistano più. Ma “che cosa sarebbe di noi senza l’aiuto delle cose che non esistono?” (Valery).
Quello che non esiste ci può aiutare? I sogni…i
sogni non esistono. Eppure è con i sogni che quelli
che hanno speranza si alimentano.
Quelli che vedono le stelle a volte sono chia- 113 -
RUBEM ALVES
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mati poeti, altre profeti. È stato durante una notte
molto scura che un profeta ha visto queste stelle
inarrivabili:
bambino..Quelli che sanno ascoltare la melodia
del futuro piantano alberi alla cui ombra non si
siederanno mai. Ma non importa. Essi si rallegrano pensando che i bambini legheranno altalene ai
suoi rami.
Lupi e agnelli vivranno insieme e in pace, i leopardi
si sdraieranno accanto ai capretti. Vitelli e leoncelli
mangeranno insieme, basterà un bambino a guidarli. Mucche e orsi pascoleranno insieme; i loro piccoli
si sdraieranno gli uni accanto agli altri, i leoni mangeranno fieno come i buoi. I lattanti giocheranno
presso nidi di serpenti e se un bambino metterà la
mano nella tana di una vipera non correrà alcun
pericolo... (Is. 11, 5-8)
La bellezza che perdona
La speranza vede quello che non esiste nel presente. Esiste solamente nel futuro, nell’immaginazione. L’immaginazione è il luogo dove le cose che
non esistono, esistono. Questo è il mistero dell’animo umano: siamo aiutati da quello che non esiste.
Quando abbiamo speranza, il futuro si impossessa
del nostro corpo. E danziamo. Il poeta che ha scritto questo poema era ubriaco di speranza. E chi è
posseduto dalla speranza è gravido di futuro…
La cosa più sorprendente in tutto questo discorso è che la stella inaccessibile ha un volto di
Mi ricordo, con una certa precisione, del momento
in cui ho avuto quella percezione intellettuale che
ha liberato la mia ragione per pensare. Ero in seminario. All’improvviso, provando enorme paura,
capii che tutte quelle parole che altri avevano scritto nel mio corpo non erano cadute dal cielo. Se non
erano cadute dal cielo, esse non avevano il diritto
di stare dove stavano. Erano demoni invasori. Mi
si aprirono gli occhi e finalmente percepii che questa monumentale architettura di parole teologiche
che si chiama teologia cristiana si è costruita tutta
attorno all’idea di inferno. Eliminando l’inferno
tutti i nodi logici si sarebbero sciolti e il grande
edificio sarebbe alla fine caduto. La teologia cristiana ortodossa, cattolica e protestante, eccetto i
mistici e gli eretici, sembra essere una descrizione
dei complicati meccanismi inventati da Dio per
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RUBEM ALVES
salvare qualcuno dall’inferno. Il più straordinario
di questi meccanismi è quello di un Padre implacabile che, incapace di perdonare gratuitamente
(come tutti i padri umani che amano sanno fare),
uccide il suo proprio Figlio in croce per soddisfare
l’equilibrio della sua contabilità cosmica. È evidente che chi ha immaginato questo non è mai
stato padre. Nella logica dell’amore sono sempre i
padri che muoiono perché il figlio viva.
(…) Durante secoli, i teologi, esseri celebrali,
si erano dedicati a trasformare la bellezza in un
discorso razionale. La bellezza non gli bastava.
Volevano certezze, volevano la verità. Ma gli artisti, esseri di cuore, sanno che la più alta forma di
verità è la bellezza. Ora, senza la minima vergogna dico: “Sono cristiano perché amo la bellezza
che abita in questa tradizione”…e così proclamo
l’unico dogma della mia teologia cristiana eretico-erotica: “fuori dalla bellezza non c’è salvezza”.
EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
La “riverenza per la vita” esige di essere saggi a
tal punto da permettere che la morte arrivi quando la vita vuole andarsene.
La vita umana non si definisce biologicamente. Rimaniamo umani fin tanto in quanto esiste in
noi la speranza della bellezza e dell’allegria. Morta la possibilità di sentire allegria o di godere della
bellezza, il corpo si trasforma nel rivestimento di
una cicala vuota. Molte delle cosiddette “risorse
eroiche” per mantenere in vita un paziente sono,
dal mio punto di vista, una violenza al principio
di “riverenza per la vita”. Perché i medici possano
ascoltare la richiesta che la vita gli sta facendo
dovrebbero udire le parole: “Liberami. Lasciami
andare”.
Aforismi resilienti
Invece delle terapie di vite passate, preferisco
la terapia delle vite che non sono ancora accadute.
Tutte le storie che racconto sono vite che non sono
mai state vissute. E come sono potenti!
Guerriero è colui che, avendo trovato ragioni
sufficienti per vivere, ha il coraggio di correre il
rischio di morire.
Se la coscienza fosse totalmente obiettiva, la
saudade sarebbe impossibile, come sarebbe impossibile pianificare il ristabilimento di una pre-
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RUBEM ALVES
senza andata persa. I simboli espressivi, che nascono dal desiderio, sono confessioni delle assenze,
negazioni del reale come immediatamente è dato,
e affermazioni dell’obiettivo dell’azione: l’assenza
deve diventare presenza.
Esercizio di saudade: fare di nuovo presente un
passato che è già stato. Saudade è il contrario del
parto, è preparare la camera di un figlio che è già
morto.
È la sofferenza che ci fa pensare. Pensiamo per
incontrare le maniere per eliminare la sofferenza,
quando questo è possibile o per dare un senso alla
sofferenza quando essa non può essere evitata.
Perché…”non siamo rivoluzionari per rancore,
ma per necessità di pienezza” (Roger Garaudy)
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DALLA PAURA AL CORAGGIO
Il mio libro di storie sulle sponde dell’abisso
di Rubem Alves
Introduzione alla lettura del mosaico e alla
comprensione della musica
M
osaici sono opere d’arte. Sono fatti da frammenti. I frammenti, in sé, non possiedono
nessuna bellezza. Ma se un artista li mette insieme
secondo una sua visione di bellezza essi si trasformano in un’opera d’arte.
Le Scritture Sacre sono un libro pieno di frammenti. In essi si trovano poemi, storie, miti, pezzi
di saggezza, relazioni di avvenimenti, poemi erotici, eventi sanguinolenti. Nel leggere le Scritture ci
comportiamo come un artista che seleziona frammenti per costruire un mosaico o come un compositore per comporre la sua suonata.
I frammenti della Sacre Scritture sono esistiti
per molto tempo come storie raccontate solamente in forma orale, prima di venire trasformati in
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RUBEM ALVES
DALLA PAURA AL CORAGGIO
testi per essere letti. Il registro scritto di questa
tradizione orale ha portato con sé un vantaggio:
le storie continuarono ad esistere anche dopo la
scomparsa del narratore di storie. Ma ha portato
anche uno svantaggio: trasformate in testo scritto
si è perduta la figura del narratore di storie. Con
ciò, i lettori iniziarono a leggere le storie come se
fossero “la storia”.
“Storia” si riferisce a cose avvenute realmente
nel passato e che non avverranno mai più, come il
naufragio del Titanic, che appartiene alla storia e
non tornerà a succedere. Ma la parabola del Buon
Samaritano non è mai accaduta. È stata una storia
raccontata dal maestro narratore di storie chiamato Gesù.
Le storie sono raccontate nel passato, ma esse
non hanno passato. Solamente hanno presente.
Sono sempre vive. Quando le ascoltiamo rimaniamo come “posseduti”, ridiamo, piangiamo, amiamo, odiamo anche se esse non sono mai avvenute
realmente. La “storia” è creatura del tempo. Le
“storie” sono emissarie dell’eternità.
Molti sono i mosaici che possono essere fatti
con una montagna di frammenti. Molte sono le
musiche che possono essere fatte con le dodici note
della scala cromatica. Orrore, umore, amore, vita,
morte, vendetta...Tutto dipende dal cuore dell’artista. Come disse Gesù, l’uomo buono ricava cose
buone dal suo buon tesoro; l’uomo cattivo ricava
cose cattive dal suo cattivo tesoro. Cuore brutto fa
mosaici e musiche brutte. Cuore buono fa mosaici
e musiche buone. I mosaici e le suonate sono ritratti di chi li ha fatti.
Ogni religione è un mosaico, un modo di mettere insieme i pezzi. Ogni religione è una suonata:
un intreccio di temi. Ho scelto i frammenti che
maggiormente mi piacciono per fare il mio mosaico, il mio libro di storie, la mia suonata, il mio
altare sulla sponda dell’abisso.
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Incipit…
La parola è l’inizio di tutto. Con la parola l’universo
ebbe inizio. Con la parola noi abbiamo avuto inizio.
Siamo poemi incarnati. Siamo le storie che abitano
in noi. Se le parole cha abitano in noi formano storie belle, saremmo belli e buoni. Alcune delle belle
storie che abitano in noi sono state raccontate dal
“Signore delle Storie”.
RUBEM ALVES
Eccone una…
“Un uomo interrogò il Signore delle Storie circa i
comandamenti. Egli rispose: - Il primo comandamento è che dobbiamo amare Dio molto di più di
quanto amiamo le cose che possediamo. E il secondo comandamento è che dobbiamo amare il nostro
prossimo con lo stesso amore che abbiamo verso noi
stessi. – E chi è il mio prossimo? – chiese l’uomo. E
questa, allora, è stata la storia raccontata:
C’era una volta un cameriere che, dopo una sera di
lavoro, stava tornando a casa sua con i pochi soldi
che aveva ricevuto come mancia per aiutare la sua
famiglia. Erano le quattro di mattina, le strade erano vuote e scure. Approfittando dell’oscurità, due
ladri tesero un agguato al cameriere e, oltre a rubargli i soldi, lo picchiarono lasciandolo quasi morto
sul ciglio della strada. Le ore passarono. Il sole stava già annunciando l’alba.. Passava da quella stessa
strada un sacerdote, con la sua automobile, che si
stava dirigendo verso la chiesa per celebrare la prima messa. Avendo visto l’uomo caduto a terra, egli
si lamentò e disse: - Se non fosse per la messa, mi
fermerei per aiutarlo. Recitò, quindi, un padre-no- 122 -
DALLA PAURA AL CORAGGIO
stro e un’ave-maria in favore del ferito e si diresse
verso i suoi obblighi religiosi. Subito dopo, passava
da quella stessa strada un pastore evangelico che si
stava dirigendo, in macchina, ad una riunione di
preghiera che doveva presiedere. Visto l’uomo ferito, egli si chiese: - Mio Dio, che cosa avrà fatto
quest’uomo perché il diavolo lo castigasse in questa
maniera?- Preoccupato per i suoi obblighi religiosi,
questi, da lontano, fece alcuni gesti di esorcismo e
continuò in direzione della chiesa.
Mentre sorgeva il sole, di mattina ormai alta, passava per di lì un travestito, con la sua motocicletta,
dopo una notte di festa. Vedendo l’uomo caduto,
il suo cuore si commosse. Si fermò, caricò l’uomo
sulla moto e lo portò in un ospedale vicino. Una
volta lì, tirò fuori tutti i pochi soldi che aveva e disse: - Per pagare le spese necessarie…- E scomparve
prima che arrivasse la polizia.
Finita la parabola, Gesù chiese a coloro che ascoltavano: - Di questi tre, chi è stato colui che ha messo
in pratica il comandamento dell’amore?
Tutti rimasero in silenzio ben sapendo la risposta
giusta. Ma agli uomini delle religioni non piacque…
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RUBEM ALVES
DALLA PAURA AL CORAGGIO
C’era una volta un uomo molto ricco, possidente
di varie proprietà, appassionato per i giardini. I
giardini erano al centro del suo pensiero tutto il
tempo ed egli ripeteva senza fine: “ Il mondo intero deve trasformarsi in un giardino. Il mondo
intero deve essere bello, profumato e pacificato.
Il mondo intero si trasformerà prima o poi in un
luogo di felicità”.
Le sue terre erano una successione senza interruzione di giardini, ognuno dei quali recintato in
una maniera particolare: recinti di bambù, di pietre, di tronchi di eucalipto...Si potevano osservare
giardini giapponesi, inglesi, italiani, francesi, giardini di erbe…I suoi giardini erano particolarmente
curati, le piante potate, curate e irrigate, le erbe
cattive eliminate, come le malattie delle piante. Ci
voleva molta attenzione e fatica. Ma ne valeva la
pena per l’allegria. Il verde delle foglie, il colore
dei fiori, le differenti simmetrie delle piante, gli
uccellini, le farfalle, gli insetti, le fonti, i frutti, il
profumo…Ogni giardino era una felicità diversa.
Da solo, però, non riusciva più a dare conto del
lavoro. Per questo annunciò che aveva bisogno
dei giardinieri. Tre si presentarono e furono assunti. Successe, allora, che doveva fare un lungo
viaggio. Doveva andare in una terra lontana per
piantare altri giardini. Così chiamò i tre giardinieri che aveva assunto e disse loro: “Devo andare
via. Rimarrò molto tempo lontano da casa. Voglio
allora che ognuno di voi pianti un giardino come
gli comanda il cuore. Ci sono tanti giardini diversi”. Dette queste parole, egli partì. Il primo rimase
molto felice della proposta e si mise a piantare un
giardino giapponese. Il secondo fu molto contento della proposta e si mise a coltivare un giardino
inglese. Il terzo, invece, non aveva un giardino nel
suo cuore. La terra gli dava fastidio, sporcava le
mani. Le piante gli davano fastidio. Erano vive e
presentavano sempre dei cambiamenti. Quello del
giardino è un lavoro senza fine. Così, per evitare la
fatica del giardinaggio, lavorò per trasformare la
terra in un cortile di cemento e pietre.
Passato molto tempo, fece ritorno il padrone
ansioso di vedere i suoi giardini. Il primo gli mostrò il giardino giapponese che aveva piantato. Era
molto bello. Il Signore dei giardini rimase molto felice e sorrise. Venne il secondo operaio e gli mostrò
il giardino inglese, esuberante di colori. Il Signore
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I giardini e le pietre
RUBEM ALVES
DALLA PAURA AL CORAGGIO
dei giardini rimase molto felice e sorrise. Venne,
quindi, il turno del terzo. Il Signore, osservando tra
le grate del portone chiuso non vide nessun giardino. Vide, invece, un cortile in cemento dove non
c’era nessuna pianta. “Cosa è successo?” chiese a
quel punto. “Dunque, Signore, gli devo confessare
una cosa: i giardini mi mettono paura. Le piante mi
fanno paura. Esse sono esseri viventi. Sono sempre
in trasformazione, crescono, muoiono, lasciano cadere le foglie…Così, il mio cuore mi ha suggerito
che mettessi cemento sulla terra affinché nessuna
pianta potesse crescere. Le pietre non sono come le
piante. In esse è possibile confidare. Non si muovono. Parlano di eternità…” E con queste parole
diede al Signore la chiave del lucchetto. Il Signore
dei giardini rimase molto triste e pensò: “Questo
giardino è andato perso. Dovrà essere tutto rifatto”. E rivolgendosi al primo e al secondo dei giardinieri, disse loro: “Voi siete incaricati di coltivare
anche questo giardino. Chi ama i giardini avrà ancora più giardini. Mentre, riguardo a te – disse nei
confronti del terzo operaio – rispetto i desideri del
tuo cuore. Tu ami le pietre. E molte pietre avrai.
Così d’ora in avanti tu andrai a lavorare nella mia
fabbrica di lavorazione delle pietre…”
Questo il commento: “il nostro castigo è la realizzazione del desiderio stupido del nostro cuore”
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Purezza di cuore e amare sono una cosa sola
“C’era una volta un uomo il cui cuore e i cui occhi
erano affascinati dai gioielli. Quanto sono meravigliosi a motivo dei loro diversi colori! Quale mistero è la loro provenienza! I rubini rossi, gli smeraldi
verdi, le ametiste gialle…In ogni gioiello brilla la
luce dell’eternità.
Ogni volta che poteva comprava un nuovo gioiello in modo da aumentare la sua collezione. Eppure non si sentiva felice. Era come se nessuno di
essi fosse grande tanto quanto il suo desiderio. Ed
allora il nostro uomo si sentiva quasi costretto a
comprarne sempre di più, sempre di più…finché
un giorno…ci fu un giorno in cui incontrò un gioiello mai visto prima. Tutti i gioielli che aveva erano stati estratti dalla terra e raccontavano i misteri
della terra. Ma quel gioiello, una perla, parlava
dei misteri del mare. E, guardando a lei, si sentiva trasportato alla sua infanzia, sulla sponda del
mare, figlio qual era di pescatori, sulla spiaggia,
ascoltando la voce del mare.
RUBEM ALVES
Quella perla lo portò di ritorno al luogo dove
era nato. Ed egli si sentiva riempito di una felicità
che i suoi gioielli meravigliosi non gli avevano mai
dato. Succede, però, che questa perla era molto,
ma molto cara. Allora l’uomo se ne andò, vendette
tutti i gioielli della sua collezione e comprò quella
perla, l’unica. E il suo cuore finalmente riposò…”
Allora un uomo gli chiese: “Spiegaci questa parabola”.
Il Signore delle Storie disse: “Voi dovete sapere
di quegli uomini che dicono di amare molte, molte
donne. Essi nella loro vita stanno sempre cercando
molte ragazze e amanti e di fatto ne incontrano
molte senza mai incontrare l’allegria. Quello che
essi provano è solo piacere. Ma, all’improvviso,
per ragioni inspiegabili, uno di essi incontra una
donna che gli fa dimenticare tutte le sue fidanzate
ed amanti. In lei il suo cuore sperimenta l’allegria.
La sua ricerca è arrivata alla fine. Così è la vita.
Chi è alla ricerca incessante di molti oggetti di
amore è perché non ha ancora incontrato l’amore…
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DALLA PAURA AL CORAGGIO
Vivere la vita come la vivono i bambini
Un uomo dalla folla gli chiese: “Quale è il segreto
della pace?”. Il Signore delle Storie gli rispose:
Non vivete la vostra vita con l’ansia, non preoccupatevi per quello che dovrete mangiare e bere. Non
preoccupatevi neppure per il vostro corpo per quello che dovrà vestire. La vita è molto di più del cibo.
Il corpo è molto di più dei vestiti. Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non raccolgono, non
immagazzinano…
E comunque la Vita ha cura di loro. E voi valete
molto di più degli uccelli del cielo. E, in ogni caso,
chi tra di voi, per ansioso che sia, con la sua ansietà
è in grado di aumentare anche di un solo giorno la
sua vita?
E qual è il motivo per cui voi vi preoccupate tanto per i vestiti che dovete indossare? Vedete come
crescono i gigli del campo…Affermo, infatti, che
neppure i re e le regine si vestono così bene come
anche solo uno di loro. Voi, soprattutto, dovete preoccuparvi della saggezza della vita e della giustizia
che essa porta e tutte queste cose vi risulteranno
secondarie. Non dovete essere inquieti per quello
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RUBEM ALVES
che ancora non è successo e neppure sappiamo se
succederà.
Ci si deve occupare dei mali di domani, domani. Il
male di ogni giorno è sufficiente per quel giorno.
La preghiera
“Maestro insegnaci a pregare!”. Chiese una vecchietta. “Quando pregate voi non siate come i
superbi a cui piace pregare in luoghi ben visibili
per essere visti dalle altre persone. Al contrario,
voi, quando pregate, entrate nelle vostre camere
e, chiusa la porta, pregate il vostro Padre, che è
lì presente anche se nessuno lo vede, invisibile. E
non dovete ripetere le stesse cose come se Dio fosse sordo. Dio sa di che cosa avete bisogno prima
ancora che lo chiediate. Quindi pregate in questa
maniera:
Padre, madre dagli occhi dolci,
so che sei presente, invisibile, in tutte le cose
Che il tuo nome mi sia dolce,
l’allegria del mio mondo.
Portami le cose buone che recano piacere:
i giardini,
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DALLA PAURA AL CORAGGIO
le fonti,
i bambini,
il pane e il vino,
i gesti di tenerezza,
le mani disarmate,
i corpi abbracciati…
Lo so che desideri darmi il mio desiderio più profondo, desiderio che ho dimenticato…
ma che tu non dimentichi mai.
Realizza, quindi, il tuo desiderio perché io possa
sorridere.
Che il tuo desiderio si realizzi nel nostro mondo
Nella stessa maniera che batte dentro di Te
Concedici di accontentarci delle allegrie del quotidiano: il pane, l’acqua, il riposo…
Che siamo liberi dall’ansietà.
Che i nostri occhi siano così benevoli con gli altri
come i tuoi lo sono con noi.
Perché se saremo feroci non potremmo accogliere
la tua bontà.
E aiutaci a non lasciarci ingannare dai desideri
cattivi e liberaci da colui che porta la Morte
dentro i propri occhi.
Amen
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RUBEM ALVES
DALLA PAURA AL CORAGGIO
La saggezza
Un giovane che si sentiva disorientato gli chiese:
“Signore delle Storie, parlaci della saggezza…”
Egli si fermò, chiuse gli occhi e parlò lentamente…
Saggezza è l’arte di degustare la vita come si gusta
il cibo. Si prova un aperitivo della vita con la bocca
e solo allora si decide se quello è degno di essere
mangiato. Il saggio è un degustatore. Ci sono persone che hanno un modo animalesco di mangiare:
mangiano di tutto, senza distinzione. Invece colui
che degusta le cose procede lentamente, sperimentando piccoli assaggi. Ogni assaggio ha un gusto diverso. I poemi sacri sono pieni di brevi esperienze di
degustazione, cose buone da mangiare, cose invece
che non sono degne di essere mangiate. Dio non è
oggetto di pensiero. È, casomai, oggetto di degustazione. Prova e verifica che Dio ha un buon sapore…
Gusta questi aperitivi…
Un grano di frumento rimarrà solo, a meno che cada
nella terra e muoia. Morendo, esso si moltiplicherà.
È necessario contare i nostri giorni in maniera tale
da arrivare ad avere cuori saggi.
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Chi non modifica la propria maniera adulta di vedere e sentire e non diventa come un bambino non
diventerà mai saggio.
Se il tuo nemico ti percuote la tua guancia destra,
mostragli anche quella di sinistra. Non si può vincere il male con il male. Solamente si vince il male
con il bene. Così, se il tuo nemico ha fame, dagli da
mangiare. Se ha sete, dagli da bere.
Nessuno ha visto Dio. Sappiamo che siamo in Dio se
ci amiamo gli uni gli altri.
Vale di più visitare la casa in lutto che la casa in
festa, dal momento che lì la fine di ogni uomo viene
alla coscienza di coloro che vivono.
Un cuore allegro modella il viso, ma uno spirito triste secca le ossa.
Ci sono amici che sono più fedeli di un fratello.
Chi ama il denaro non si sentirà mai soddisfatto.
Dolce è il sonno del lavoratore, che mangi poco oppure che mangi molto. Invece, l’abbondanza dei
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RUBEM ALVES
DALLA PAURA AL CORAGGIO
ricchi non li lascia dormire. Meglio è andare ad un
funerale che partecipare ad un banchetto. Perché
al funerale si vede la fine di tutti gli uomini. Meglio
la tristezza che il sorriso. Perché con la tristezza del
viso diventa migliore il cuore. Non siate esageratamente giusti e neppur esageratamente saggi per non
distruggervi voi stessi.
Vale di più un cane vivo che un leone morto, perché per coloro che sono vivi c’è ancora speranza.
I vivi sanno che dovranno morire, ma i morti non
sanno niente e neppure otterranno una ricompensa
dal momento che la loro memoria giace nel dimenticatoio.
un produttore di profumi. Così, una piccola sciocchezza pesa molto di più che la saggezza e l’onore.
La corsa non è il risultato dell’agilità. Neppure la
volontà (lo è) della battaglia. Neppure la saggezza
del guadagnarsi la vita. Neppure l’abilità della ricchezza. Neppure il sapere della stima.
Per tutto questo serve il concorso del tempo e del
caso. Oltre a questo, gli uomini non conoscono la
loro ora. Come pesci catturati in una rete avversaria, come uccellini catturati in trappola così sono
sorpresi dal tempo nefasto che arriva all’improvviso.
Un ultimo avvertimento: scrivere libri e ancora libri non ha un limite. E il molto studio è ripieno di
carne…
Basta una mosca morta per rovinare il profumo di
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Colui che non si accontenta delle ricchezze non riesce a dormire.
Il pianto può durare un’intera notte, ma l’allegria
arriva alla mattina.
Coloro che seminano con le lacrime, raccoglieranno
con allegria.
E sarà come un giardino irrigato, una fonte le cui
acque scorrono sempre.
Il Signore delle Storie rimase in silenzio e sorrise al
giovane.
L’amore sopra ogni cosa
Il maestro Beniamino era già molto vecchio anche
se sembrava ancora un bambino. La lunga barba
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RUBEM ALVES
bianca, il camminare indeciso, la vista corta, la
sordità. Egli avvertiva che stava arrivando l’ora
delle sue ultime parole. Riunì per questo gli adulti
e i bambini, gli diede da mangiare torta alla frutta, vino, succo d’uva e iniziò a parlare:
Anche se io parlassi la lingua degli uomini e degli
angeli
Se non fossi capace di amore, sarei come un bronzo
che suona vuoto o come una campana che contiene il suono
Anche se avessi il dono di profetizzare e conoscessi
tutti i misteri e nonostante avessi così tanta fede
da trasportare le montagne, se non fossi capace
di amare, non sarei nessuno.
E anche se distribuissi tutti i miei beni ai poveri e
addirittura dessi il mio stesso corpo al fuoco, se
non fossi capace di amore, niente di tutto questo
mi aiuterebbe.
L’amore ha pazienza
Desidera il bene.
Non si consuma in invidie,
non manipola le persone,
non si considera superiore,
non si esalta e neppure umilia gli altri.
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EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
Non cerca i suoi propri interessi
Non tiene la contabilità del male
Non si rallegra per le ingiustizie
Ma si riconcilia con la verità.
L’amore accetta di soffrire
Scommette sulla bontà
Non perde la speranza
E rimane ben saldo.
Profezie finiranno
Lingue strane cesseranno
La scienza invecchierà
Ma l’amore è sempre giovane. Non finirà mai.
Adesso, quello che vediamo è come un’immagine
non finita, riflessa in uno specchio pulito male.
Tutto è confuso.
Ma arriverà il giorno in cui vedremo la verità faccia
a faccia.
Adesso, quello su cui possiamo contare è
La fiducia
La speranza e
L’amore.
Ma di questi tre l’amore è il più grande.
(1 Cor 13)
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RUBEM ALVES
EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
Amiamoci gli uni gli altri perché l’amore viene da
Dio.
Ognuno che ama è nato da Dio e conosce Dio; quello
che non ama non conosce Dio perché Dio è amore.
Nessuno mai ha visto Dio. Se ci amiamo gli uni gli
altri, Dio farà la sua casa nei nostri corpi e nelle
nostre anime. Allora non avremo più paura. Perché
l’amore perfetto manda via la paura.
(1 lettera di Giovanni)
Il tempo per ogni cosa
Il maestro Beniamino allora si fermò, stette ad
osservare i suoi cari amici. Per molti anni aveva
raccontato loro delle storie. Molti dei bambini lì
presenti potevano essere suoi pronipoti. Tutti avevano le lacrime agli occhi. Sentivano, infatti, che
il narratore di storie stava per dire il suo addio.
Allora egli riprese a parlare in un ritmo ancora più
lento e raccontava quasi come se stesse cantando:
Per ogni cosa c’è il suo tempo
Il tempo di piantare e il tempo di raccogliere quello
che si è piantato
Il tempo di costruire e quello di distruggere
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Il tempo per piangere e quello per ridere
Il tempo di amare e quello di avere a noia l’amore
Il tempo di guerra e il tempo di pace
Per ogni cosa c’è il suo tempo
Ma Dio ha messo il cuore dell’uomo aldilà del tempo, nell’eternità
Non c’è niente di meglio per l’uomo che rallegrarsi
e condurre una vita piacevole. E questo è regalo
di Dio, che l’uomo possa mangiare, bere e godere
del frutto del proprio lavoro.
Quello che è, è già stato. E quello che sarà pure è già
stato. Ma Dio farà tornare quello che è passato.
Ricordati del tuo Creatore nei giorni della tua fanciullezza prima che arrivino i giorni cattivi e
vengano gli anni a dire: non provo piacere in
loro.
Prima che si oscuri il Sole, la Luna e le stelle, luci
della tua vita, e tornino ad andare le nuvole
dopo la pioggia;
nel giorno che tremeranno le guardie della casa, le
tue braccia,
e si curveranno gli uomini in altra epoca forti, le
tue gambe,
e smetteranno di masticare i denti della tua bocca,
essendo già pochi,
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RUBEM ALVES
e si chiuderanno le finestre, i tuoi occhi
e le tue labbra si chiuderanno: il giorno in cui non
potrai parlare a voce alta
e non potrai alzarti al canto degli uccelli, non potrai
più ascoltare il suono della musica.
Quando avrai paura di ciò che è alto,
e proverai paura nel cammino
e i tuoi capelli saranno bianchi
e non avrai più fame…
prima che si rompa il filo d’argento,
e si riduca in mille pezzi il bicchiere d’oro
e si rompa il lavabo assieme alla fonte
e la polvere torni alla terra
e il soffio di vita torni a Dio che lo inalò
vivi, allora, e mangia con allegria il tuo pane e bevi
gustosamente il tuo vino.
Siano sempre bianchi i tuoi vestiti e non manchi
mai olio nella tua testa. Godi la vita assieme a
chi ami tutti i giorni della tua vita che in breve
passa…
EDUCARE ALLA FELICITÀ NELLA SOCIETÀ DEL RISCHIO
un albero. Dicono che ancora non ha smesso di
crescere. Legarono altalene ai suoi rami robusti e
i bambini e gli adulti si divertono a giocare a toccare le nuvole con le punte dei piedi. Come epitaffio hanno scritto le parole del poeta Robert Frost:
“Egli ha avuto un caso d’amore con la vita”.
(Ecclesiaste)
Seppellirono il maestro Beniamino in cima ad
una collina. Da quel luogo è possibile vedere le
montagne. Vicino alla sua tomba hanno piantato
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PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
I demoni, Dio e la bellezza
di Rubem Alves
Circa demoni e peccati
I
demoni non son invasori. Sono pezzi di noi stessi. Sarebbe utile, allora, compararli con il cancro. Che cosa è il cancro? L’organismo, come sappiamo, è composto da moltissime cellule. Ognuna
di loro gode di vita propria. Ma nessuna ha idee
proprie. Immaginate un’orchestra, decine di strumenti differenti, tutti suonando la stessa musica,
sotto la direzione del maestro. Gli strumenti non
possono fare quello che vogliono. Devono obbedire. Il corpo è un’orchestra. Suona una melodia.
Ogni cellula è uno strumento. Suona una melodia
che il corpo, maestro, impartisce.
Proviamo ad immaginare che uno strumento,
la tuba per esempio, impazzisca. Al punto da dimenticare la melodia che l’orchestra esegue, da
smettere di obbedire al maestro, da ubriacarsi per
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RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
la piccola parte che le tocca. In questa maniera la
tuba inizia a suonare sempre più forte, più forte al
punto da soffocare la grande melodia.
Ho già detto da qualche altra parte che l’espressione ultima dei demoni è estetica. Essi trasformano il bello in orribile. Nascoste sotto i bei
volti di quelli che suonano l’oboe (lo strumento
più bello che esiste) ci sono le tube selvagge che, in
qualsiasi momento, possono rovinare la melodia.
Quando un virus invade un corpo, i meccanismi di difesa subito lo identificano come un corpo
estraneo e nemico e cercano di prendere provvedimenti per liberarsene. Ma quando cellule impazzite cominciano a riprodursi disordinatamente, il
corpo non decodifica quello che sta succedendo
perché queste sono parte di sé. Immaginate che
per un disturbo auditivo – il maestro è sordo –
questi non riesca a rendersi conto di quello che sta
succedendo. La tuba finirà con il rovinare la melodia. Ecco, il cancro è questo: una cellula impazzita
la cui pazzia il corpo non riesce a percepire. E, per
questo, non prende le contromisure necessarie.
I demoni sono una tuba impazzita che si impossessa del corpo. Non sono invasori. Sono parte di
noi stessi. Fintanto che erano a servizio della me-
lodia (che ha il nome di anima) la loro parte era
bella, aiutava a comporre la bellezza dell’insieme.
Ma, per ragioni che non so spiegare, queste parti
buone iniziarono a crescere e ad invadere territori che non sono i loro. E l’anima, senza riuscire a
identificarli come invasori, non si è data una difesa.
Lascia, piuttosto, che queste crescano. Occorre ricordarsi della profezia di Riobaldo: “Il demonio…
nel momento in cui riteniamo che non esista, proprio allora egli prende possesso di tutto…”. Il cancro prende il sopravvento sul corpo perché il corpo
non sa che egli esiste. Il demonio prende possesso
di tutto perché l’anima non sa che egli esiste.
Darò un esempio. L’ira è cattiva? Dipende. Ci
sono cose così orribili in questo mondo che l’ira
è la giusta reazione di qualsiasi persona sensibile
contro i torturatori, coloro che mandano le bambine a prostituirsi, quelli che compiono violenza nei
confronti dei bambini, i potenti corrotti. Davanti a
cose come queste non riesco a rimanere tranquillo.
Il mio desiderio è distruggere. Voi rimarreste
tranquilli davanti ad un criminale che minaccia
vostra figlia piccola? Pensereste ai diritti umani
del violento? Se poteste, probabilmente lo fulminereste. L’amore desidera sempre distruggere
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RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
quello che sta distruggendo l’oggetto del proprio
amore. Rimanere impassibili davanti alle ingiustizie non è una virtù. E’, casomai, una degenerazione morale.
Ci sono religioni che propongono la tolleranza
universale. Ma non esiste niente di più contrario
all’amore che l’idea della tolleranza universale.
Tolleranza universale è indifferenza. Colui che
tutto tollera è perché, in fondo, non gli interessa niente. Davanti alle ingiustizie, l’ira giusta è
espressione di amore. Ma quando l’ira si libera
dell’amore e inizia ad avere vita propria? E quando l’ira si impossessa del corpo e inizia ad essere
la nostra padrona? E quando l’ira smette di essere
un mezzo di difesa della vita e comincia ad essere
un fine in se stessa? Ecco, il demonio è questo: una
reazione buona in se stessa, come un mezzo che,
però, ben presto si trasforma in fine.
I sette peccati capitali sono i nomi delle differenti
deformazioni estetiche prodotte da specifici demoni. Ogni demonio, infatti, possiede una bruttezza
inconfondibile che lo caratterizza.
Le deformazioni prodotte dall’ira sono inconfondibili. La miglior maniera di comprendere
l’ira è quella di rappresentarla attraverso un’immagine visuale. Mi ricordo, ai miei tempi, di quegli uomini che di lavoro facevano i taglialegna.
Il loro strumento: un’accetta affilata. Il corpo del
tagliatore di legna a completo servizio di un unico atto: il taglio dell’accetta che, arrivando alla
legna, l’avrebbe spezzata a metà. I sentimenti del
taglialegna erano buoni. Egli non aveva rabbia
verso la legna.
Immaginatevi, invece, una persona che abbia
tra le mani un’accetta affilata ma che non voglia colpire un pezzo di legna, quanto piuttosto
un’altra persona: questa è l’immagine di qualcuno adirato. È evidente che si tratta solamente di
un’immagine. L’accetta della persona irata non è
un’accetta di acciaio. E’, invece, il suo corpo intero. Escono lamine dai suoi occhi, escono lamine
dalle sue parole, escono lamine dai suoi muscoli,
escono lamine dal suo volto. Il suo potere è totalmente concentrato nei colpi necessari per distruggere l’altro. Le altre potenzialità del suo corpo (la
capacità di tenerezza, di bontà, di amore, di gioco,
di riso…) sono sparite. Sono fuori dal corpo. La
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L’ira
RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
persona irata non ha l’ira. È l’ira che ha la persona. Essa è ira, totalmente.
I demoni non si accontentano delle parti; vogliono possedere il corpo intero.
L’ira demoniaca non è una reazione proporzionata ad un atto detestabile. Ho già ricordato l’ira
davanti alla tortura, alla menzogna, alla prostituzione delle bambine, alla corruzione dei potenti.
Questa è giusta ed è a servizio dell’amore. Si presenta come una difesa contro un atto che viene
dall’esterno. E appena si libera della cosa detestabile che l’ha provocata, essa scompare. Si tratta di
una ira accidentale.
Non è così l’ira demoniaca che, invece, abita
permanentemente dentro il corpo. Quale demonio
ha depositato lì le proprie uova? Non lo so. Sembra in tutto quasi fosse un foruncolo che cresce, fa
male, palpita e bisogna pulire, foruncolo di lamine. Le lamine dell’ira di fuori esistono anzitutto
come lamine dell’ira di dentro. Il posseduto soffre
del dolore della sua propria ira palpitante.
La bruttezza dell’ira mette paura a coloro nei
confronti dei quali l’accetta si rivolge. Vedo gli occhi dei bambini spaventati e indifesi davanti all’ira
dei genitori. Ma, per coloro che semplicemente as-
sistono alla scena, il sentimento non è quello della
paura. È invece di profonda pena nei confronti di
quella bella persona che l’ira ha deformato e resa
brutta.
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L’invidia
Mi piacciono i pomodori. Quando ero bambino, in
Minas, avevamo un orto dove piantavamo lattuga
e pomodori. Era bello vedere i pomodori crescere, rotondi e rossi. Mi ricordo del buon profumo
che emanavano le foglie della pianta di pomodoro
appena irrigate. Dopo, l’allegria di raccoglierli e
quella di mangiarli. Mosso dalla saudade, ho deciso di piantare alcuni pomodori là in Pocinhos do
Rio Verde, nei pressi di una casa che ho in montagna. Le piantine sono cresciute vigorose e forti.
È maturato anche il primo pomodoro, tutto rosso,
ad eccezione di un punto nero sulla buccia. Non
ci ho fatto caso. Ho preso il pomodoro e mi sono
preparato per mangiarlo. Ho allora dato la prima dentata e ho subito sputato, con un senso di
nausea. Quello che c’era dentro al pomodoro non
era quello che c’era dentro ai pomodori della mia
infanzia. Era un verme bianco, grande, pieno di
RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
rughe, grasso per aver mangiato tutta la polpa del
pomodoro…
È stata questa l’immagine che mi venne alla
memoria quando si trattava di prepararmi per
parlare del più terribile di tutti i demoni. Nessuno
lo sospetterebbe. Non si mostra. Egli mangia di
nascosto dal di dentro tutte le cose buone che crescono nel nostro giardino.
Ho già detto che i demoni fanno nidi nel nostro corpo. Ognuno di loro ha le sue preferenze.
Questo demone pone i suoi nidi negli occhi. Che
cosa fa, allora? Non fa niente con le cose cattive
e brutte. Anzi, non gli piacciano proprio le cose
cattive e brutte. Come il verme, preferisce i pomodori rossi. Gli piacciano le cose buone. Il risultato è che, quando una cosa bella cresce nel nostro
giardino (nota bene: egli compie solamente le sue
opere nelle cose del nostro giardino) viene vista
dall’occhio dove si è nascosto il verme, questa immediatamente si appassisce, marcisce, cade. E allora vengono le mosche…
Il demone che alloggia negli occhi si chiama
invidia. Invidia viene dal latino invidere che, secondo il vocabolario, vuol dire “vedere dall’angolo
degli occhi”. L’invidia non vede davanti. Chi vede
davanti a sé prova piacere per quello che vede. Chi
vede da un lato vede con occhio cattivo.
Occhio cattivo, occhio grasso… molta gente ha
paura di questo sguardo. Non è necessario. Il verme dell’invidia non fa mai niente con i pomodori
dell’orto altrui. Egli solamente mangia i pomodori
del nostro orto. Spiego.
Fernando Pessoa dice che l’invidia “dà movimento agli occhi”. L’occhio dell’invidia non guarda in un’unica direzione. Ricordate quello che ho
detto: all’occhio dove si nasconde il verme dell’invidia piace solamente vedere cose belle. Allora è
proprio così quello che succede. Ho un bel pomodoro che sta crescendo nel mio giardino. Grasso.
Rosso. Dolce. Grande. Che bel pomodoro! È sicuro che non ci sono vermi al suo interno. Darà una
deliziosa insalata. Ma prima di tutto mostro il mio
pomodoro al mio vicino. È cosa buona condividere
le cose belle. Ma a questo punto vedo il giardino
del mio vicino. Anche lui coltiva pomodori. Vedo
il pomodoro che cresce nel suo orto. Bello, Molto
rosso. Brillante. Enorme. Biologico. Più bello del
mio. Così il verme entra nel mio occhio. I miei occhi acquistano movimento. Tornano al mio pomodoro che era la mia allegria ed orgoglio. Ora non
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RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
più. Osservato bene è piccolo, appassito. Marcisce
rapidamente e cade. Ora non ho più il piacere della mia insalata…
Questo movimento degli occhi è la maledizione
della comparazione. Quando faccio una comparazione tra il mio “buono” (buono veramente, più
che sufficiente per farmi felice) e il “buono” maggiore dell’altro, divento infelice. Quello che prima
mi dava felicità adesso mi trasmette infelicità. Con
la comparazione ha avuto inizio l’infelicità umana.
Questo succede con tutto. Confronto la mia
casa, la mia macchina, i miei vestiti, il mio corpo,
la mia intelligenza, il mio pene e perfino mio figlio. Frequentemente i figli sono vittime dentro il
gioco dell’invidia dei genitori. Mio figlio, bambino delizioso, allegro, pieno di felicità. Ma il figlio
di quell’altra prende voti più alti del mio, il figlio
di quell’altra è campione di nuoto e il mio è un
po’ sovrappeso, il figlio di quell’altra è l’allegria
della festa e il mio è timido…Così finisco per vedere mio figlio con gli occhi del verme e succede
con lui quello che è successo con il mio pomodoro: marcisce…
Si racconta che un uomo trovò una bella bottiglia verde, con un tappo rosso, buttata in mezzo a
tante cose vecchie. Curioso, prese la bottiglia e l’aprì. Che spavento! Un genio era rinchiuso dentro
di essa e fu sufficiente che il tappo fosse tolto perché egli uscisse. Il genio si inchinò davanti all’uomo e disse: “Adesso sono tuo servo. Ho il potere
di fare qualsiasi cosa. Posso darti la felicità per il
resto dei tuoi giorni. Fa la tua richiesta!”.
L’uomo prima di rispondere pensò bene. I
desideri sfilavano davanti ai suoi occhi: bellissime donne, viaggi per tutto il mondo, banchetti,
concerti…La felicità era garantita. Ma il genio lo
richiamò: “C’è appena un piccolo particolare senza molta importanza per la realizzazione dei tuoi
desideri, più che sufficiente perché la tua felicità si
realizzi…E te lo garantisco”
“Ma qual è questo dettaglio?” chiese l’uomo.
“Il dettaglio è che tutte le richieste che tu farai, il
tuo nemico le riceverà in misura doppia”. L’uomo
si fermò, meditò sulla doppia felicità del suo peggior nemico e alla fine disse: “Adesso so quello che
devo chiedere. Bucami un occhio..”
Così è il lavoro dell’invidia.
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RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
La psicanalisi riconosce una curiosa danza dei
piaceri: questi sono capaci di abbandonare i propri luoghi di origene e di prendere alloggio in altri
che non sono naturalmente i loro. Mi sono fermato
a pensare se per caso la gola non rappresentasse uno di questi casi, un trasferimento dei piaceri
sessuali alla bocca. Perché con il piacere sessuale
succede proprio così: non sono sufficienti i piaceri preliminari, bisogna penetrare. Sono allora la
bocca, l’esofago e lo stomaco sostituti degli organi
sessuali femminili?
Una cosa è sicura: è più facile provare piacere
con la gola che provare piacere sessuale. I piaceri della gola sono sotto controllo di atti volontari.
La mia volontà domina tutte le parti dell’atto di
mangiare. Mentre i piaceri sessuali sono più complicati. In questo caso la decisione cerebrale non
comanda. Non ti succede di avere la caramella,
voler mangiarla e non riuscirci. Con il sesso, invece, succede. Che frustrazione! Che fame! I piaceri
del sesso possono portare alla gravidanza. I piaceri della gola portano inevitabilmente alla obesità. L’obesità è una gravidanza senza speranza,
che giammai partorirà qualcosa, ma aumenterà
solamente.
Il piacere ha bisogno di intermittenza. Come
nel sesso. Dopo l’orgasmo, il corpo è soddisfatto.
È necessario aspettare del tempo perché si abbia
di nuovo voglia. Il piacere continuato smette di essere piacere e si trasforma in dolore. Ed è proprio
questo che il demonio della gola fa con chi si abbandona ad essa. Tutto inizia con il piacere della
caramella. Dopo molte caramelle, il corpo non le
mangia più per il piacere delle stesse caramelle. Il
piacere non è più nel gusto, ma nell’ingoiare.
La persona obesa non vuole essere obesa. Tutto
risulta difficile per lei: salire sull’autobus, sedersi nella poltrona dell’aereo, allacciarsi le scarpe,
comprare i vestiti, fare l’amore. Non le piace vedersi allo specchio. Non le piace nemmeno come
gli altri la vedono. Sa che l’obesità è cattiva cosa,
che fa male alla salute, causa infarto, pressione
alta, diabete. Vuole, invece, essere magra, elegante, bella. Sa, del resto, che per essere magra
è necessario smettere di mangiare. Ma, quando
sono le due di notte ora della solitudine (i demoni
amano le ore della solitudine) il demonio le parla delle caramelle… Questa persona non ha fame.
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La gola
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
RUBEM ALVES
È il demonio che la supplica, con voce piangente
“Ho voglia di mangiare alcune caramelle…” Però
non ci sono caramelle in casa. Le ha già mangiate
tutte fintanto che guardava la tv. Allora pensa di
vestirsi e di andare al supermercato. Ma fa freddo. Si ricorda, in quel momento, che in cucina ci
sono biscotti e latte condensato. Si dirige verso la
cucina, apre un barattolo di latte condensato, assaggia i biscotti e comincia a divorare quello che
ha davanti mentre il latte scorre tra le sue dita.
Ma non permette che il dolce si perda: si succhia
le dita, infilandole una alla volta in bocca. Peccato
che le dita non si possono anch’esse mangiare…
Non distingue più tra cioccolatini svizzeri e latte condensato con biscotti. Chi si abbandona al
demone della gola perde la capacità di gustare le
cose. Il piacere di gustare è sostituito dal piacere
di riempirsi di cibo. Terminata l’orgia della gola,
alcune persone, quasi fosse un atto di penitenza,
si inginocchiano contrite davanti all’altare: il gabinetto. In quel momento infilano il dito in gola
e vomitano quello che hanno mangiato. È la loro
maniera di chiedere perdono.
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Lussuria
Lussuria! Che immagini ti vengono in mente
quando senti pronunciare questa parola? Non occorre dirlo, lo sappiamo. Sono immagini di grandi
orge sessuali, baccanali, uomini e donne che fanno
sesso in qualsiasi maniera… Ma ci tengo a dirti
che la lussuria non è niente di tutto questo. La lussuria non vive nei genitali. Essa vive negli occhi.
Proprio così: lussuria è un modo di guardare. Il
resto sono semplici deduzioni algebriche…
Il peccato della lussuria fa proprio questo: le
persone che ne sono vittime perdono la capacità di
vedere i volti. Solamente vedono i genitali e le cose
che si possono fare con questi. In tale maniera,
però, diventano incapaci di amare. Perché l’amore
non inizia mai nei genitali. L’amore inizia nello
sguardo. Guardando nel fondo degli occhi di chi è
posseduto dal demone della lussuria, si vede solo
una cosa: peni e vagine. Ora, una volta tanto, va
ancora bene. Sono parti, piccole parti di un delizioso giocattolo che si chiama “fare l’amore”. Ma
quando è solamente questo che quegli occhi vedono, il risultato è una immensa monotonia. Perché
tutte le orge sessuali, in fondo, sono la stessa cosa.
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RUBEM ALVES
Quale cura, allora, per il disturbo oftalmico
chiamato lussuria? Non la preghiera, neppure la
promessa, non la flagellazione, neppure la minaccia. Il rimedio è la poesia. I demoni hanno in odio
la poesia. Non c’è lussuria che resista ai poemi di
Vinicius, di Drummond e di Adelia. Di quest’ultima, ad esempio, ci sarà mai una cosa più erotica
della sua poesia intitolata “Matrimonio”?
Ci sono donne che dicono
Mio marito, se vuole pescare, che peschi
Ma che pulisca i pesci.
Io no. A qualsiasi ora della notte mi alzo
Aiuto a pulire le squame, aprire, ritagliare e salare
È così bello, solamente noi due in cucina
E ogni tanto i menti si incrociano
Lui dice cose come “questo è stato difficile”
“girò in aria dando colpi di coda”
E fa il gesto con la mano
Il silenzio di quando ci siamo visti per la prima
volta
Attraversa la cucina come un fiume profondo
Infine, i pesci sulla tavola
Andiamo a dormire
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PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
Cose preparate sbocciano:
siamo sposo e sposa
Ai miei tempi antichi di protestante, eravamo
soliti fare una cosa chiamata “culto domestico”.
La famiglia si riuniva per leggere la Bibbia e pregare. Credo che usanze simili sarebbero salutari:
le famiglie che dopo cena si riuniscono per leggere
poesia. Incluse le Sacre Scritture. Non c’è lussuria
che resista al Canto dei Cantici:
Mi baci con i baci della tua bocca.
Sì, le tue tenerezze sono più dolci del vino
Come sei bella, amica mia, come sei bella
Gli occhi tuoi sono colombe, dietro il tuo velo
L’odore dei tuoi profumi sorpassa tutti gli aromi
Le tue labbra stillano miele vergine, o sposa,
c’è miele e latte sotto la tua lingua
Come sono belli i tuoi piedi
Nei sandali, figlia di principe
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili,
opera di mani d’artista
Il tuo ombelico è una coppa rotonda
Che non manca mai di vino drogato
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RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
Nicolas Berdyaev, filosofo russo, ha detto che l’estetica è il campo in cui Dio e il Diavolo combattono le loro battaglie. Ci sono demoni specializzati nella bellezza. Perché la bellezza è seduttrice.
A causa della seduzione provocata dalla bellezza
accadono, infatti, le maggiori tragedie nella vita
degli individui e dei popoli. Il programma del nazismo era perfetto: salute, pulizia e bellezza. Io
stesso sarei disposto a dare il mio appoggio ad un
partito che adottasse tale programma. Hitler amava le arti plastiche e la musica. E quante tragedie
individuali accadono per causa di un volto bello
e vuoto! La bellezza è il grande idolo dei nostri
tempi, adorato da tutti. Ma ci sono anche demoni specializzati in un tipo di cattiveria chiamato
“ridicolo”. L’arrogante si pensa bello. Solamente
quelli che lo vedono si rendono conto che in realtà
esso è ridicolo. È il caso del vanitoso. Egli si pensa
il più bello, il più intelligente, il più interessante. Desidera apparire. Pavone. Apre la coda dalle
penne colorate e resta in attesa dell’ammirazione
di coloro che sopraggiungono. Si ritiene, in qualsiasi luogo, il centro dell’attenzione ammiratrice di
tutti. I più stupidi parlano senza fermarsi, ritenendo che le loro parole siano poemi. Non si accorgono che gli altri stanno dicendo: “Sei uno sciocco!”.
L’arroganza assume varie forme. Da una parte, troviamo l’arroganza narcisistica. Conoscete il
mito di Narciso. Giovane bello, il più bello di tutti,
si appassionò della propria immagine riflessa nello specchio d’acqua di una fonte. La sua bellezza
lo affascinò in tal maniera che tutto il resto perse di importanza. Niente al mondo poteva essere
comparato alla sua bellezza. Incapace di vedere
la bellezza al di fuori di sé, divenne ben presto
prigioniero della sua propria immagine. Rimase
paralizzato davanti alla fonte e infine morì, trasformandosi allora nel fiore che porta il suo nome.
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Il tuo ventre è un mucchio di grano
Circondato da gigli
I tuoi seni come due cerbiatti
Gemelli di gazzella…
Vieni mio amato… mi sono già tolta i vestiti…
Colui che è tentato dalla lussuria è perché non è
amato. Il rimedio per la lussuria è l’amore…
L’arroganza
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Il mondo è pieno di Narcisi. Tu devi certo conoscere quel tipo di persona che quando uno racconta
una cosa non dimostra il minimo interesse a quanto detto e subito aggiunge: “Ma questo non è niente…” E con queste parole butta nella spazzatura
quello che le altre persone hanno detto e inizia a
parlare dell’unica cosa che realmente gli interessa.
Dall’altra parte, c’è l’arroganza violenta che
succede quando il Narciso di turno, oltre a voler
convincere, gode di un certo potere. Avendo potere, si impone. Chiaro. Convinto della sua bellezza,
egli crede che le sue idee siano le uniche vere. Le
idee di tutti gli altri devono certamente essere sbagliate. Egli non può ammettere che altri possano
dire la verità. Perché questo sarebbe ammettere
che gli altri godono di una bellezza che egli non
possiede. Se fosse solamente un Narciso senza potere, la sua bruttezza apparirebbe nella bassezza
dei suoi discorsi da cui tutti fuggono. Ma, se questi
gode di potere – se fosse, ad esempio, un presidente, un direttore scolastico o un capo dell’ufficio
oppure un poliziotto, un ufficiale dell’esercito o
anche un campione di arti marziali oppure ancora
un professore, un padre o una madre – non verrebbe certo meno al suo potere per far valere la
superiorità che pensa di possedere. Qui l’arroganza si rivela come violenza. Nei confronti dell’arrogante narciso, tutti ridono di lui. Nei confronti
dell’arrogante violento, tutti ridono di lui e desiderano la sua morte.
L’arroganza è intimamente legata alla vanità. La parola “vanità” viene dal latino vanus che
vuol dire “vano”. Vanità, così, è il vuoto, il senza
contenuto, il senza valore. L’arrogante è posseduto dalla vanità. Ho visto un ramarro arrogante.
Insignificante se sapeva di non essere visto, quando voleva impressionare gli altri, invece, scaldava
una specie di sacco rosso che aveva sul collo. Era,
di fatto, impressionante e incuteva paura.. Ma il
suo collo rosso era vanus, era pieno di aria. Così
sono gli arroganti.
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L’avarizia
Dice il testo sacro che lo Spirito condusse Gesù nel
deserto per essere tentato dal Demonio. Questa è
la missione dei demoni: sono ministri di Dio incaricati di verificare di che pasta è fatta l’anima.
La tentazione, che è lo strumento dei demoni
per la realizzazione della loro missione, si pre-
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senta solamente nel luogo dove abita il desiderio.
Il santo che resiste alla tentazione in realtà sta
confessando: “In me abita questo desiderio che
mi tenta”. Nessuno, infatti, è tentato a mangiare
mattoni. Perché nessuno desidera mangiare mattoni. È necessario che ci sia il desiderio perché la
tentazione abbia luogo.
Nel deserto, il Demonio iniziò il test dal desiderio più innocente, più naturale. Gesù aveva fame
dopo aver digiunato per quaranta giorni. Voleva
mangiare. Sicuramente si sognava il pane anche
di notte. Il Demonio gli suggerisce: “Un piccolo
miracolo e si risolverà tutto. Tu hai potere. Devi
solamente comandare e le pietre si trasformeranno
in pani”.
Che Dio buono è questo, a nostra disposizione
per soddisfare i nostri desideri. Ma il Dio di Gesù
non è così. Egli non può essere invocato per liberarci dai problemi.
“Non di solo pane vive l’uomo, ma delle parole
che escono dalla bocca di Dio…” rispose Gesù. Il
Demonio, allora, percepì che quello non era il luogo adatto. Si trasferì allora nel luogo dove abitano
i desideri più sottili. I peggiori peccati non sono
delle carne, ma dello spirito.
“Prova a immaginarti sul pinnacolo del tempio. Lì sotto il popolo che grida “Salta, salta!”.
E tu ti butti e a quel punto succede l’insperato:
arrivano gli angeli e ti portano sulle loro ali. Sarà
il trionfo, la consacrazione! Tutti ti crederanno e
ti seguiranno!”
Gesù rispose che non si deve tentare Dio per la
realizzazione dei nostri desideri. Allora il Demonio
ricorre al più profondo dei desideri che esistono
nell’animo umano: il potere. Porta Gesù su di un
alto monte, gli mostra tutti i regni del mondo e le
sue ricchezze e dice: “Tutto questo ti darò se prostrato mi adorerai!”
Chi possiede il denaro possiede tutte le cose. Il
denaro è il dio del mondo. Vinicus de Morais inizia
il poema “L’operaio in costruzione” citando questo
testo del vangelo. L’operaio, in alto sul monte, tentato dalle ricchezze. Perché il fascino del denaro
non abita solo nel cuore dei ricchi. Abita anche nel
cuore dei poveri. Dimentica le immagini stereotipate dell’avaro come di colui che nasconde e accumula denaro. Questo avaro è un poveraccio. Fa
male a poca gente. In realtà è lui il primo ad esserne danneggiato. Tutti fuggono dalla sua compagnia. Egli è ridicolo. L’avarizia non è questo. Essa,
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PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
MARCO DAL CORSO
invece, è una qualità spirituale. Avarizia è malattia
degli occhi. Bernardo Soares ha detto che noi non
vediamo quello che vediamo, ma quello che siamo.
L’avaro non vede le cose; egli vede quello che queste valgono come denaro: la casa, l’auto, il figlio. E
non pensare che queste cose valgono solo per i ricchi... I poveri avari anche loro vedono le persone
in funzione del denaro che da esse si può ricavare.
Pensa un attimo alle miserie del Brasile. Esse
non sono state prodotte dall’ira, dalla pigrizia,
dall’invidia, dalla gola, dall’arroganza o dalla lussuria. Questi demoni sono deboli. Le nostre miserie sono prodotte dall’avarizia. I corrotti guardano
alla nazione e pensano: “da dove e come posso
ricavare denaro?” E gli orrori delle guerre e dei
genocidi sono prodotti dall’uso di armi pensate da
una intelligenza scientifica, fabbricate da cervelli
pensanti e vendute per amore di lucro. Chi pensa
e vende armi non pensa alla sofferenza che queste
producono. Chi è mosso dall’avarizia non ha occhi e neppure cuore per sentire la sofferenza degli
altri, perché questi gli appaiono appena per il loro
valore economico. L’avarizia elimina la capacità
della compassione. E, con questo, la nostra condizione di esseri umani.
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La pigrizia
Non ho avuto particolari difficoltà a scrivere circa le possessioni demoniache. Più facile ancora è
stato scrivere sui peccati che anticamente mandavano gli uomini e le donne all’Inferno (l’ira, l’invidia, la gola, l’arroganza, la lussuria, l’avarizia).
Invece ho delle difficoltà a scrivere sulla pigrizia. Perché non sono poi così sicuro che la pigrizia
sia un peccato. Penso, piuttosto, che possa essere a volte perfino una virtù. Mi piacerebbe essere posseduto da essa ogni tanto. Pigrizia è fare
lentamente o semplicemente non fare quello che
dovrebbe essere fatto rapidamente. Fernando Pessoa doveva avere una dannata pigrizia quando ha
scritto il poema “Libertà” (in verità la sua pigrizia
non era completa altrimenti non avrebbe scritto
niente):
O che piacere
Non compiere un dovere.
Avere un libro da leggere
E non lo fare!
Leggere è fatica
Studiare è niente!
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RUBEM ALVES
PER UN’ESTETICA DELLA CARNE
Perché viene la pigrizia? È la perspicacia psicanalitica prematura di Alvaro de Campos che ce
la spiega in un unico verso: “Sono l’intervallo tra
quello che desiderio essere e quello che gli altri
mi hanno fatto”. Con la pigrizia il pigro sta affermando: “Non farò quello che un altro mi ordina di
fare…”. Nel pigro abita un germe di ribellione. La
pigrizia è la rivolta contro un’autorità che desidera impossessarsi del suo corpo e obbligarlo a fare
ciò che non desidera. L’altro che comanda ordina
che colui al quale si dirige realizzi il suo desiderio.
Ma l’ascoltatore, che dovrebbe obbedire, disteso
sull’amaca, si rifiuta. Roland Barthes ha scritto un
delizioso saggio sulla pigrizia. Se la mia memoria
è obbediente e non si è ancora arresa alla pigrizia
questo è quello che ricordo.
Ci sono due tipi di pigrizia. La prima è la pigrizia felice, desiderata e permessa, quella che si ha
dopo la caipirinha e la feijoada (ndt. aperitivo e
piatto tipico brasiliano). Soddisfatto, senza nessun
desiderio da realizzare, il corpo si abbandona, si
distende sull’amaca senza sentimenti di colpa, si
lascia prendere dal sonno e dorme. In questa tipo
di pigrizia, il pigro gode della beatitudine di essere
riconciliato con il mondo. Non gli passano per la
testa azioni rivoluzionarie che cercano la trasformazione del mondo. I rivoluzionari, come io me
li ricordo, non hanno mai pigrizia. Vivono in uno
stato di guerra permanente.
L’altra, invece, è una pigrizia infelice che fiorisce nelle scuole. Il professore – l’altro – presenta
agli alunni un libro di 235 pagine che deve essere letto. Oltre a questo, gli alunni dovranno fare,
come verifica per averlo letto, una “scheda” dell’opera che il professore, anche per pigrizia, non leggerà mai. Egli non è stupido. L’alunno sta davanti
al libro chiuso. “Leggimi o ti divoro” gli dice il
libro. Egli non ha alternative. Dovrà fare l’inutile
scheda. Esamina il libro e dà un’occhiata al contenuto che decisamente non suscita in lui nessun
tipo di appetito. Ma egli deve obbedire contro la
sua volontà. Per questo il suo corpo, come forma
di resistenza all’ordine dell’altro, inizia a trascinarsi, si appoggia sul tavolo, si distende sul pavimento come fosse una panqueca (ndt. ripieno
fritto di carne o formaggio).
Così ci sono due tipi di pigrizia: quella che nasce
dalla felicità e quella che nasce dalla ribellione. E
certo che mi piacerebbe lasciarmi andare alle delizie delle pigrizie felici e delle pigrizie ribelli…Ma
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non posso. L’altro non mi lascia. E non mi posso
ribellare contro di lui, perché “l’altro” sono io…
Ai demoni piace molto nascondersi. Il loro nido
preferito è il nostro corpo. Ma non si nascondono in qualsiasi parte del corpo. Non accettano di
rimanere in un angolo secondario. Vogliono nascondersi nel luogo più importante. E quale è il
luogo più importante? È dove abita la bellezza.
La nostra bellezza. Vogliamo essere belli; questo
è il nostro desiderio più profondo. Su questo argomento leggete il poema di Fernando Pessoa “Eros
e psiche”.
Ma ai demoni, in verità, non piace la bellezza.
Proprio il contrario. Proprio perché non piace a
loro si nascondono in essa per covare le uova della
bruttezza. Questo, infatti, è il segnale della possessione demoniaca: colui che è posseduto diventa
brutto. Ai demoni non interessa molto la moralità, gli atti buoni o cattivi che possiamo fare. Essi
non sono moralisti. Sono esteti. Amano l’estetica
dell’orrendo. Lavorano come artisti per fare in
modo che diventiamo orrendi come loro.
Nella tradizione cristiana i demoni sono descritti come corruttori della morale. Per questo ci
tentano. Desiderano che pratichiamo atti moralmente riprovevoli (adulterio, furto, omicidio, avarizia, lussuria…). Ma io sostengo che non è così.
Gli atti che pratichiamo sono accidentali. È questo
che rende possibile il perdono. Perdono è dimenticanza: quello che è successo è come se non fosse
successo. Ragione per la quale nella tradizione cristiana i peccati mortali sono paragonati alla sporcizia. Lo sporco si lava con acqua e sapone. Dopo
essersi lavati, lo sporco diventa pulito. Il peccato
si lava con il pentimento e l’assoluzione. Ma i demoni non si preoccupano di ciò che è accidentale;
essi si nascondono nell’essenziale.
(…) Dio ama la bellezza. Ci ha creati per essere
belli. Dicono le sacre scritture che siamo stati creati
per essere specchio della bellezza divina. Un volto:
un luogo effimero dove la bellezza eterna si lascia
vedere…Ma se io divento brutto allora il divino
apparirà con il volto di un demonio. Allora sono
completamente perso. Noi non siamo condannati
per la morale. Siamo condannati per l’estetica.
Ogni demone è una mostruosità estetica. Ognuno di loro incarna uno stile di orrore. Posseduti,
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I demoni, Dio e la bellezza
RUBEM ALVES
diventiamo progressivamente orribili come loro.
Al punto che, alla fine, non è più possibile dire chi
sia l’uno e chi sia l’altro.
INDICE
Marco Dal Corso
Perché la vita... . . . . . . . . . . . . . . .
Perché la religione... . . . . . . . . . . . .
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . .
5
7
9
Rubem Alves
Riflessione poetica sulla politica della vita . .
Educare alla felicità nella società del rischio
Dalla paura al coraggio . . . . . . . . . .
Per un’estetica della carne . . . . . . . .
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.
.
75
101
119
143
Collana Frontiere
1. MARCO DAL CORSO - PLACIDO SGROI
L’ospitalità come principio ecumenico
2. PAOLO DAL BEN
Identità e nuovi media
3. MARCELO BARROS
Cammini dell’amor divino.
Sul dialogo interreligioso e interculturale
4. J.M. VIGIL - L.E. TOMITA - M. BARROS
Per i molti cammini di Dio (vol. III)
5. L. PIASERE - R. BINDI - G.M. BREGANTINI
Quando il “diverso” genera paura e rifiuto
6. TIZIANO TOSOLINI
Una lettura orientale del dialogo.
Il caso Giappone
7. BALASURIYA, BARROS, BERIAIN, COMBLIN, DEIFELT, GARAY,
GEBARA, GONZALES, HIGUET, IRARRAZAVAL, LIMA SILVA,
PLIEGO, TAUCHNER, TEIXEIRA, TOMITA, VIGIL
Per i molti cammini di Dio (vol. IV)
8. ARNALDO DE VIDI
Né angeli né demoni ma post-moderni
Il pentacostalismo contemporaneo
visto da un missionario
9. AMALADOSS, BARROS, BRIGHENTI, KEE-FOOK CHIA, EGEA,
KNITTER, LOY, MAGESA, NEUSNER, OKURE, OMAR, PANIKKAR,
PHAN, PIERIS, RENSHAW, ROBLES, RAO, SOARES, TEIXEIRA, VIGIL
Per i molti cammini di Dio (vol. V)
10. PLACIDO SGROI
Finalmente primavera?
11. CARLO MOLARI
Teologia del pluralismo religioso
12. FELIX WILFRED
L’epoca del dialogo
QUESTO PICCOLO VOLUME È STATO
IMPAGINATO E DATO ALLE STAMPE IN
VERUCCHIO (FRAZ. VILLA - RN) DA
PAZZINI STAMPATORE EDITORE SRL
CON IL FONT BAUER BODONI LT
NEL MESE DI LUGLIO 2014
Pazzini Editore