Guardare attraverso gli esempi
di
Martino Feyles
L’editore Castelvecchi ha recentemente ripubblicato Estetica. Uno
sguardo-attraverso (Roma 2020), uno dei libri più importanti di Emilio
Garroni e uno dei testi di riferimento dell’estetica italiana del secolo
scorso. Trent’anni dopo la sua prima pubblicazione, benché l’orizzonte degli studi di estetica sia profondamente mutato, questo libro
rimane attuale. In questo articolo vorrei mostrare le ragioni di questa attualità, analizzando il problema dell’esemplarità dell’arte. A mio
avviso questo problema è il centro intorno a cui si dispongono i vari
temi presenti nel libro 1: l’interpretazione della terza Critica di Kant,
1
Anche nelle ricostruzioni storiografiche del dibattito interno agli studi di estetica
del secolo scorso il centro del pensiero di Garroni viene il più delle volte individuato in questo problema. Desideri e Cantelli, nel paragrafo dedicato a Garroni
della loro storia dell’estetica occidentale, citano lo stesso passaggio di Estetica. Uno
sguardo-attraverso da cui prendo le mosse in questo articolo, evidenziando la relazione tra l’estetica intesa come filosofia non speciale e il problema dell’esemplarità
dell’arte (F. Desideri-C. Cantelli, Storia dell’estetica occidentale, Carocci, Firenze 2020,
p. 603). Paolo D’Angelo, nella sua ricostruzione del dibattito interno all’estetica italiana del secolo scorso, distingue giustamente due fasi nell’evoluzione del pensiero
di Garroni: una prima fase legata al dialogo tra estetica e semiotica e una seconda
fase, in cui viene in primo piano il problema trascendentale kantiano del risalimento alle condizioni dell’esperienza. In questa seconda fase, in cui si situa Estetica.
Uno sguardo-attraverso, «[L]’estetica si configura allora per Garroni non come una
filosofia dell’arte, ma come una «filosofia non speciale della condizione estetica
dell’esperienza in genere» […] Ne derivano conseguenze notevoli anche sullo statuto di ciò che chiamiamo ‘opera d’arte’» perché – rileva D’Angelo – «l’estetica non
ha ciò che comunemente chiamiamo ‘arte’ come proprio oggetto epistemico, bensì
solo come referente, ovvero come occasione – sia pure ‘esemplare’ – per porre il
problema del senso». P. D’Angelo, L’estetica italiana del Novecento, Laterza, RomaBari 2007, p. 341.
Syzetesis VIII (2021) 000-000 / note e discussioni
ISSN 1974-5044 - http://www.syzetesis.it
DOI:
9
Martino Feyles
la rilettura in chiave kantiana di Burke e Batteux, la tematizzazione
del “circolo estetico”, la rielaborazione dell’interrogazione trascendentale in termini di “guardare attraverso”. Nello stesso tempo la
questione dell’esemplarità è particolarmente significativa perché
– come ha notato Stefano Velotti 2 e come cercherò di mostrare in
questo articolo – implica un notevole allargamento degli orizzonti
dell’estetica. Il modello della normatività esemplare, pur avendo un
legame essenziale con le questioni fondanti dell’estetica kantiana,
non è applicabile solo all’interno del mondo dell’arte o del gusto,
ma anche nei diversi ambiti della filosofia della tecnica, della filosofia morale e politica, della ricerca storica in senso lato. In questo
articolo, dopo aver delineato la relazione tra esemplarità e “guardare
attraverso”, cercherò dunque di mostrare in che modo la questione
dell’esemplarità si possa riproporre al di fuori dei confini disciplinari
dell’estetica, mantenendo però uno stretto legame con quello che,
secondo Garroni, era il problema critico fondamentale.
1. Guardare attraverso l’arte
Estetica. Uno sguardo-attraverso è probabilmente il libro di Garroni che
più somiglia a una storia dell’estetica. In realtà, l’approccio non è mai
quello dello storico del pensiero, interessato a ricostruire l’evoluzione
effettiva di una o più idee 3. Anche se si confronta con alcuni dei più
2
In un articolo pubblicato su Studi di estetica qualche anno fa Stefano Velotti rilevava la centralità della questione dell’esempio non solo per l’estetica, ma per la
filosofia in generale: «[M]olte parole-chiave che sono circolate in questi anni in
ambito filosofico sono “esempi” di questo tipo: non, cioè, “casi” che sono membri
di una classe previamente e surrettiziamente stabilita da un pensiero classificatorio, ma “casi” di una classe che non esiste, “esempi” di un senso normativo che
non è già dato […]. Foucault, per esempio, non ha fatto altro che proporre “esempi”
(dall’esame del panopticon a quei comportamenti che mettono capo alla “cura di sé”
o alla “parresia”); a una “logica” (meglio sarebbe dire a “un’estetica”) dell’esemplarità dobbiamo probabilmente parole-chiave disparate ma ampiamente circolanti
in ambito filosofico, come quella di “spettacolo” (Debord) o di “sublime isterico”
(Jameson), di “stato di eccezione” (Agamben) o di “rischio” (Beck) […]» (S. Velotti,
Dare l’esempio. Cosa è cambiato nell’estetica degli ultimi trent’anni?, «Studi di estetica»
1-2 (2014), pp. 339-367, p. 344).
3
Questo approccio teoretico è molto evidente nei capitoli dedicati a Batteux e
Burke. Garroni rilegge questi due autori in una prospettiva kantiana, con lo scopo
di mostrare che anche prima della terza Critica l’estetica è stata intesa come una
10
Guardare attraverso gli esempi
significativi protagonisti della storia dell’estetica (Burke, Batteux,
Kant, Hegel, Heidegger, Croce, Gentile e, più sullo sfondo, MerleauPonty, Derrida, Wittgenstein), Garroni legge la storia dell’estetica in
una prospettiva teoretica: i “classici” dell’estetica sono reinterpretati
all’interno di un discorso che ha una sua propria originalità. Al centro di questo discorso c’è una «tesi di fondo» 4 che, fin dalle prime
pagine viene presentata come il «filo conduttore» che il lettore è chiamato a seguire:
Ora ciò che chiamiamo “estetica” – questo, il filo conduttore del
nostro discorso – è solo marginalmente una disciplina speciale
volta all’esame di certi oggetti, per saperne di più, ad esempio
scienza dell’arte o del bello, ed è invece essenzialmente uso critico del pensiero, che ha nell’arte, in ciò che da non molto tempo
chiamiamo “arte”, non un oggetto epistemico, ma un referente
privilegiato. In un certo senso l’arte o il bello sono per l’estetica solo occasioni di riflessione, anche se si tratta di occasioni non
solo rilevanti, ma anche esemplari, nel senso forte kantiano 5.
riflessione trascendentale sulle condizioni di possibilità dell’esperienza e non come
un sapere specialistico sull’arte o sulla bellezza. Questa lettura ha certamente un
fondamento testuale. Garroni valorizza sapientemente l’ultima sezione dell’Inchiesta sul bello e sul sublime, dove Burke analizza la relazione tra linguaggio ed emozioni (cfr. E. Burke, A Philosophical Enquiry into the Origin of Our Ideas of the Sublime
and Beautiful, Trad. it. di G. Sertoli-G. Miglietta, Inchiesta sul Bello e sul Sublime,
Aesthetica, Mimesis, Milano 2020, p. 173) per mostrare che anche per Burke il senso
fonda la possibilità dei significati (E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p.
171). Allo stesso modo Garroni legge Le Belle Arti ricondotte a un unico principio dando
rilievo ai passaggi del testo in cui Batteux sembra delineare una concezione dei
rapporti tra le facoltà umane «straordinariamente spregiudicata e consonante» con
gli esiti della terza Critica, stabilendo una priorità genetica del sentimento rispetto
alla ragione (ivi, p. 182). È chiaro però che una lettura di questo genere implica un
certo grado di forzatura ermeneutica dei testi e lo stesso Garroni mostra di esserne
consapevole. Per esempio, che Batteux non avesse alcune intenzione di fondare
un sistema delle arti, che non avesse affatto «un intento classificatorio» (ivi, p. 184)
sembra difficile da sostenere, se ci si colloca dal punto di vista di una ricostruzione storico filosofica tendente all’oggettività, per quanto questa parola possa avere
senso per la storia della filosofia. Anche il fatto che Baumgarten, l’autore che ha
formalizzato lo statuto disciplinare dell’estetica, sia citato più volte, ma non analizzato in modo sistematico, come Burke e Batteux, non è casuale: evidentemente
era più difficile interpretare il suo pensiero alla luce di una concezione dell’estetica
che era, in realtà, originale e che, al di là di Kant, aveva solo antecedenti vaghi nella
storia del pensiero.
4
Ivi, p. 27.
5
Ivi, pp. 43-44.
11
Martino Feyles
Si tratta dunque di ripensare lo statuto dell’estetica in quanto disciplina filosofica. Nell’opinione comune l’estetica si colloca all’interno del
sistema dei saperi filosofici come quella disciplina che si occupa di
un oggetto particolare ben definito, l’arte bella, con l’accento che può
cadere più sulla parola “arte” o più sulla parola “bellezza” a seconda
dei momenti, degli autori, dei contesti. Questa opinione – ancora
molto diffusa, anche tra gli studiosi di filosofia – è il bersaglio principale della polemica sviluppata in Estetica. Uno sguardo-attraverso.
L’idea che l’estetica debba essere pensata come una sorta di «scienza
dell’arte», sia pure una scienza “filosofica”, appare a Garroni come un
ingiustificabile «pregiudizio teorico» 6. L’estetica non è una filosofia specialistica che ha come oggetto l’arte o il bello, perché essa non è in grado
nemmeno di determinare chiaramente lo statuto concettuale di quello che dovrebbe essere il suo oggetto epistemico. Dal punto di vista di
Garroni non è possibile dare una definizione concettuale né della nozione di
arte, né della nozione di bellezza; ma è chiaro che non si può pensare di
costruire un sapere specialistico su un oggetto che non è nemmeno
possibile circoscrivere in modo esatto dal punto di vista concettuale 7.
Questa tesi negativa – l’estetica non è una filosofia speciale – ha
come contropartita una tesi positiva: l’estetica è essenzialmente un “guardare attraverso”. È qui che compare il problema che vorrei analizzare,
mostrandone l’attualità, cioè il problema dell’esemplarità dell’arte.
Che cosa vuol dire infatti l’espressione “guardare attraverso”, che
Garroni prende in prestito da Wittgenstein?8 La metafora del guardare
attraverso serve a riformulare il problema critico kantiano. Il pensiero critico è un’interrogazione filosofica che ha lo scopo, non di conoscere un
qualche oggetto particolare, ma di risalire alle condizioni di possibilità
dell’esperienza in generale. La metafora di Wittgenstein esprime in
modo particolarmente efficace il carattere paradossale e antimetafisico
di questa indagine. Nel guardare si guarda sempre qualcosa: il guardare
attraverso non è mai un puro guardare attraverso. Se guardo fuori dalla
finestra, vedo “qualcosa” “attraverso” il vetro. Se decido di rivolgere la
mia attenzione al medium, cioè alla finestra, vedo comunque qualcosa
di determinato: il “vetro” o il “telaio” della finestra. In realtà non posso
mai scegliere di non vedere “niente” e semplicemente di “guardare
6
Ivi, p. 44.
Ivi, p. 52 e p. 111.
8
Cfr. L. Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen, Trad. it. di M. Trinchero,
Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1999, p. 60.
7
12
Guardare attraverso gli esempi
attraverso”. Se scelgo di guardare il “mezzo”, il “ciò attraverso cui”, non
sto più “guardando attraverso” e sto di nuovo vedendo un “qualcosa” di
determinato. Allo stesso modo per Garroni non è possibile tematizzare
direttamente le condizioni di possibilità dell’esperienza. L’analisi delle
condizioni di possibilità dell’esperienza è possibile solo all’interno dell’esperienza stessa e sull’occasione di un’esperienza particolare. Ma in questa
indiscernibilità c’è qualcosa di paradossale, quasi una antinomia:
«Tesi: è possibile che semplicemente si guardi solo alla condizione
di un guardare attraverso; Antitesi: ma il guardare-attraverso non è
possibile, se semplicemente si guarda» 9.
Nello stesso tempo la metafora del guardare attraverso chiarisce
il carattere antimetafisico dell’indagine critica, così come la concepisce Garroni: non è mai possibile per l’uomo situarsi al di fuori
dell’esperienza e comprendere l’esperienza stessa dall’esterno, a partire da un “punto di vista” superiore 10. Ma se non è possibile situarsi
al di fuori dell’esperienza (“guardare da fuori”) e se la filosofia non
è semplicemente un sapere che si rivolge a un oggetto particolare
(un “guardare qualcosa di determinato”), come è possibile, nei fatti,
il “guardare attraverso”? È qui che si situa, nel percorso teorico di
Garroni, l’opera d’arte. L’arte ha un valore esemplare, proprio perché
rende possibile il “guardare attraverso”.
Certamente nell’opera d’arte “qualcosa” si dà a vedere. L’opera
mostra sempre qualcosa di determinato: veicola idee, contenuti,
emozioni. In questo senso potremmo dire che l’opera d’arte, nella
misura in cui ha un contenuto, implica anche un semplice “guardare qualcosa”. Ma nello stesso tempo, mentre mostra qualcosa di
determinato, l’opera dà a vedere anche le condizioni del guardare
in generale, cioè le condizioni dell’esperienza. L’esemplarità dell’arte significa esattamente questo: che «attraverso di essa» possiamo
«comprendere meglio la possibilità dell’esperienza in genere» 11. La
metafora del guardare attraverso potrebbe dunque essere integrata
in una formulazione più completa: l’estetica guarda il senso attraverso
le opere d’arte, perché in quest’ultime, proprio in quanto sono esemplari, le
condizioni dell’esperienza in generale si danno a vedere 12. Naturalmente
9
E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 35.
Ivi, p. 44.
11
Ibidem.
12
In Immagine, linguaggio, figura Garroni precisa che l’esemplarità dell’arte implica
una «singolarità che nello stesso tempo, aprendosi alla totalità, è anche univer10
13
Martino Feyles
in ogni esperienza particolare sono implicate – per definizione – le
condizioni generali dell’esperienza. Da questo punto di vista «l’arte
non si differenzia da alcun altro oggetto o esperienza» 13. In realtà dal
punto di vista di Garroni una differenza c’è, perché nell’opera d’arte,
diversamente da quel che accade con gli oggetti comuni, le condizioni
di possibilità dell’esperienza sono tematizzate, sono esibite e diventano in qualche modo percepibili 14.
In questa prospettiva teorica l’oggetto proprio dell’interrogazione
estetica non è l’arte in se stessa, ma l’esperienza considerata sotto
il profilo delle sue condizioni di possibilità. Per Garroni si configura così una coincidenza tra la filosofia critica e l’estetica. Da una parte,
l’estetica è una disciplina autenticamente filosofica e non semplicemente un sapere specialistico di dubbia legittimità scientifica, solo
quando si inserisce nel più ampio progetto di una filosofia critica;
dall’altra parte, la filosofia critica ha necessariamente il suo «compimento caratteristico» 15 nell’estetica. Il pensiero di Kant resta il punto
di riferimento imprescindibile. La Critica della facoltà di giudizio non
è un’opera composita, priva di una vera e propria organicità, in cui
confluirebbero problemi tutto sommato secondari rispetto al progetto critico nel suo complesso. Al contrario per Garroni la terza Critica
rappresenta il necessario punto di arrivo dell’indagine trascendentale. Kant per primo riconosce che la condizione preliminare – non l’unica, ma per certi versi la più originaria – di ogni esperienza conoscitiva umana ha una natura non concettuale: è appunto un sentimento
estetico. Ciò che l’estetica “guarda”, attraverso i casi esemplari sempre
diversi e sempre contingenti delle opere d’arte, sono le infinite rimodulazioni di questo “senso” che precede e fonda la possibilità di ogni
significato determinato.
salità, pur restando singolarità» (E. Garroni, Immagine, linguaggio, figura, Laterza,
Roma-Bari 2005, p. 71). Come vedremo, anche Agamben descrive l’esemplarità
evidenziando – quasi con gli stessi termini – questo strano intreccio di singolarità
e universalità.
13
E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 111.
14
In Estetica ed epistemologia la questione dell’esemplarità viene presentata da un
altro punto di vista: il giudizio estetico – che non è circoscrivibile solo al caso
dell’arte – è il giudizio che esemplifica la regola del giudicare in generale; dal
momento che l’esperienza umana è sostanzialmente attività di giudizio, perché
ogni forma di rapporto conoscitivo con la realtà implica un giudizio, nell’esperienza estetica viene esibita la condizione più generale dell’esperienza umana. Cfr. E.
Garroni, Estetica ed epistemologia, Bulzoni, Roma 1976, p. 70.
15
E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 45.
14
Guardare attraverso gli esempi
2. Guardare oltre l’arte
Estetica. Uno sguardo-attraverso si chiude con un breve capitolo – intitolato “Sul senso, sul non-senso e sull’arte, oggi” – in cui Garroni
ritorna sul problema dell’esemplarità dell’arte, aprendo una prospettiva teorica particolarmente interessante per comprendere alcuni
sviluppi recenti della riflessione filosofica nell’ambito dell’estetica e
non solo. Il problema che viene posto in quelle pagine è quello della
«perdita di esemplarità» 16. In un certo senso si tratta di una riformulazione della nota tesi della “morte dell’arte”, anche se la prospettiva di
Garroni è quanto mai lontana dall’idea hegeliana di un “superamento” dell’arte, che implicherebbe una ricomprensione del suo valore
di verità nella sfera superiore del concetto. Come si è visto, nella
prospettiva delineata in Estetica. Uno sguardo-attraverso l’opera d’arte
è esemplare perché è un’esibizione del senso, inteso come condizione fondamentale dell’esperienza in generale. Tuttavia la nozione
di esemplarità non può essere dissociata dall’idea di una radicale
contingenza. L’esempio è sempre un evento contingente. L’esempio ha
sempre il carattere di una singolarità la cui occorrenza non è necessaria. Garroni radicalizza questo nesso tra esemplarità e contingenza.
Se l’opera d’arte è tale solo nella misura in cui è esemplare, allora
anche il nesso che unisce la riflessione estetica alla storia di ciò che
chiamiamo “arte” non è affatto un nesso necessario.
Ma che sia necessario, che il senso transiti attraverso quel contingente che è l’“arte” in senso estetico moderno, non è in alcun modo lecito affermare. Anzi, per noi, che nel frattempo
abbiamo messo in questione il circolo estetico e abbiamo non
casualmente messo in questione anche la possibilità di una sua
perdita di esemplarità, ciò che da Hegel in poi si è detto “dissolvimento” o “morte dell’arte”, la coscienza di quella doppia
contingenza è d’obbligo 17.
Garroni offre qui un’ipotesi di lettura che, a distanza di trent’anni,
rimane feconda. L’età contemporanea sarebbe caratterizzata, tra le
altre cose, dal venir meno del carattere esemplare dell’arte. Questa
tesi viene presentata con molte cautele: nel testo la perdita dell’esemplarità è evocata come una «possibilità», come una «tendenza»,
16
17
Ivi, p. 227.
Ibidem.
15
Martino Feyles
come una eventualità ancora in fieri. Ma il lettore capisce molto presto
che non si tratta affatto, per Garroni, di qualcosa che può accadere e
forse accadrà, ma di qualcosa che è già accaduto, anche se forse non
in modo irreversibile 18. Il fatto che nelle ultime pagine si valuti l’arte
contemporanea in termini di possibilità di “sopravvivenza” lascia
pochi dubbi al riguardo 19.
La perdita di esemplarità dell’arte implica una ridefinizione degli orizzonti dell’estetica. Tra arte ed estetica c’è un nesso che non è necessario,
come abbiamo visto, ma si tratta comunque di un nesso di reciprocità. La questione è analizzata in modo approfondito nel capitolo II di
Estetica. Uno sguardo-attraverso, dove viene formalizzata la nozione di
«circolo estetico». L’arte, abbiamo detto, è per Garroni indefinibile.
Tuttavia, anche se rimane impossibile darne una definizione rigorosa, non è impossibile darne una definizione circolare: l’arte è ciò che,
mostrando qualcosa, nello stesso tempo si offre al guardare attraverso. Questa definizione è circolare, perché l’arte è definita come ciò che
si offre all’estetica in quanto riflessione critica, ma, d’altra parte, l’estetica
è definita come il pensiero che si esercita sull’occasione esemplare dell’arte.
La nozione di «circolo estetico» formalizza a livello teorico il nesso
di reciprocità che sussiste, solo in età moderna, tra una certa interrogazione filosofica e determinate pratiche creative. Questo nesso
circolare può essere documentato, non solo dal punto di vista teorico,
ma anche dal punto di vista storico. La storia dell’estetica dimostra
in modo indiscutibile che la nozione di “arte bella”, cioè la nozione
tipicamente moderna di arte, è estranea alla cultura medioevale e
18
A questo riguardo sembrerebbe che vi sia nel pensiero di Garroni un’evoluzione.
In Estetica ed epistemologia l’arte veniva ancora presentata come un fenomeno per
certi versi necessario. Il ragionamento era pressappoco il seguente: dal momento
che nell’arte si mostra in modo esemplare un principio dell’esperienza in generale,
qualcosa come l’arte – anche se non si tratta proprio dell’arte nel senso specificamente estetico della modernità – è necessario che esista ogni volta che c’è l’esperienza: «Una qualche “arte”, specializzata o no, più o meno specializzata, dovrà
sempre esistere se la conoscenza possibile» (E. Garroni, Estetica ed epistemologia, cit.,
p. 100). La medesima tesi è ripetuta anche in Creatività (cfr. E. Garroni, Creatività,
Quodlibet, Macerata 2010, p. 174). In Estetica. Uno sguardo-attraverso Garroni sembra
avere una posizione diversa: l’arte diventa un fenomeno contingente e non viene
esclusa la possibilità di una cultura umana senz’arte, ovvero di una cultura dove
l’arte non è più il luogo dove si mostrano le condizioni dell’esperienza in generale.
19
«[…] l’“arte” in senso estetico moderno potrebbe ancora sopravvivere, se deve e
può sopravvivere […]». E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 233.
16
Guardare attraverso gli esempi
a quella greca 20. D’altra parte, è noto che l’estetica è una disciplina
moderna, che non esiste prima del Settecento 21. Dal punto di vista di
Garroni non si tratta affatto di una casualità: ci può essere arte, nel senso
che noi diamo a questa parola, solo quando c’è una riflessione estetica 22.
Potremmo dire, riprendendo una nota formula di Kant, che l’arte, di
per sé indefinibile, può essere tuttavia definita come ciò che “dà da
pensare” all’estetica; e che l’estetica può a sua volta essere definita
come ciò che riflette, non sull’arte, ma attraverso l’arte.
Se le cose stanno così, la domanda che rimane aperta, la domanda
che è ancora significativa oggi, è la seguente: cosa accade quando il circolo arte-estetica si spezza? Garroni pone questa domanda in modo del
tutto esplicito. Terminata la stagione delle avanguardie, che hanno
sperimentato le più estreme possibilità di sottrazione negativa del
senso, si verifica un profondo rivolgimento culturale. Certamente
l’arte non viene cancellata d’un colpo dalla storia e dalla società. Ma
il suo scopo e il suo significato cambiano in modo radicale. L’arte –
suggerisce Garroni – torna ad essere «arte d’intrattenimento» 23, cioè
una pratica creativa, che può continuare a produrre opere per molti
versi degne di nota, ma che non pone più il problema del senso dell’esperienza. Ora è chiaro che quest’arte di intrattenimento, può essere
molto significativa dal punto di vista storico, sociologico, politico, culturale; ma non è veramente significativa dal punto di vista filosofico.
Non è più l’oggetto di quel guardare attraverso, che, come abbiamo
visto, definisce la riflessione estetica. Con ciò l’estetica è dunque condannata al silenzio? Se l’estetica e l’arte sono legate l’una all’altra, la
perdita dell’esemplarità, cioè la fine dell’arte nel senso moderno, non
conduce forse alla fine di ogni riflessione estetica?
In realtà anche se questo interrogativo non viene affrontato direttamente, in diversi passaggi Garroni autorizza il lettore a pensare
che la riflessione estetica non finisca affatto con la fine dell’arte e
nemmeno risulti sminuita o ridimensionata nelle sue ambizioni teoretiche. Nel capitolo II Garroni spiega che la nozione di esemplarità
ha una portata generale che va al di là dell’orizzonte dell’arte intesa
nel senso moderno.
Cfr. W. Tatarkiewicz, Dzieje sześciu pojęć, Trad. it. di O. Burba-K. Jaworska, Storia di
sei idee, Aesthetica Edizioni, Palermo 2002, p. 43.
21
Cfr. D. Guastini, Prima dell’estetica, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. VII-X.
22
E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 87.
23
Ivi, p. 230.
20
17
Martino Feyles
Prima dell’arte – via via che si delineavano le condizioni di un
pensiero critico, nel senso che abbiamo chiarito all’inizio del
capitolo – è forse possibile rintracciare candidati effettivi o
possibili di una analoga esemplarità. Non azzarderemo ipotesi
che qui non potrebbero essere giustificate. Diremo soltanto, di
sfuggita, che l’esperienza religiosa e politica per esempio possono aver svolto e svolgere funzioni simili in certi tempi, in certi
contesti, in certi gruppi o individui 24.
Dunque prima dell’estetica e prima dell’arte nel senso moderno,
altri oggetti e altre esperienze hanno avuto il medesimo valore di
esemplarità o comunque un’esemplarità «analoga». Garroni qui
menziona l’esperienza politica, pensando forse all’età antica, e l’esperienza religiosa, pensando verosimilmente all’età medioevale.
Anche se il problema di questa esemplarità che si situa al di fuori del
mondo dell’arte non viene veramente sviluppato, questo passaggio
importante ci autorizza a pensare che la questione del senso – così come
Garroni la intende – possa porsi, prima e dopo l’età moderna, in un ambito
diverso da quello dell’arte 25. Giungiamo così a un nuovo interrogativo:
dove si pone per noi, che siamo postmoderni, il problema del senso?
Se non è più possibile guardare attraverso l’arte, è possibile tuttavia
che il circolo che caratterizza la riflessione estetica si ricostituisca,
avendo come termine di riferimento altri oggetti che hanno un valore
di esemplarità «analogo».
È qui che si può intravedere uno dei punti di passaggio tra la
riflessione di Garroni e le domande che ancora oggi sono al centro
del dibattito filosofico, all’interno dell’estetica, ma non solo. Nei prossimi paragrafi vorrei dunque indicare tre “esempi” – e qui la parola va
24
Ivi, p. 110.
Stefano Velotti rileva un aspetto nella sua introduzione alla nuova edizione di
Estetica. Uno sguardo-attraverso: «L’arte nel senso estetico moderno del termine,
dunque, non è affatto una classe di oggetti o cose, come tale suscettibile di una
definizione, ma un insieme di pratiche e opere singolari in cui accade – se e quando accade – che si riconosca la manifestazione esemplare di quella condizione di
senso che, come abbiamo visto, è comprensibile solo nel suo far corpo con una
“cosa”, con un’esperienza determinata. Né è detto che la cosiddetta arte sia l’unica “cosa” in cui quella condizione può manifestarsi esemplarmente: riti, pratiche
religiose, azioni politiche, certe forme di convivialità o chissà cos’altro sono state o
potrebbero essere candidate a manifestare esemplarmente quella condizione, che
invece potremmo non avvertire più nelle arti» (S. Velotti, Introduzione, in E. Garroni,
Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 16).
25
18
Guardare attraverso gli esempi
intesa in senso forte – che mostrano tre possibilità recenti di ripensamento del nesso tra riflessione filosofica e oggetti esemplari.
3. Esemplarità e creatività tecnica
In Bioestetica Pietro Montani ritorna sul problema dell’esemplarità dell’arte, facendo riferimento in modo esplicito al pensiero di
Garroni. In un certo senso il paragrafo intitolato “Crisi o riqualificazione dell’esemplarità” riprende il discorso precisamente dal punto
in cui Garroni lo aveva interrotto in Estetica. Uno sguardo-attraverso. Il
punto di partenza di Montani è il dato di fatto storico della crisi del
valore di esemplarità dell’arte. Il circolo virtuoso che univa la riflessione estetica all’arte moderna sembra definitivamente spezzato 26.
Nel contesto attuale l’esemplarità dell’arte appare a Montani «irrimediabilmente compromessa» 27. Ma questa constatazione non apre
la strada a una crisi dell’estetica, ma a un fondamentale allargamento
dei suoi orizzonti. Non è più all’arte nel senso moderno che l’estetica deve
innanzitutto guardare, ma al più generale ambito della creatività tecnica.
Garroni aveva sottolineato il carattere essenzialmente contingente
del legame tra l’estetica e le pratiche artistiche. Ma se le opere d’arte sono esempi contingenti, i mutamenti delle condizioni storiche,
sociali e soprattutto tecniche, possono implicare uno spostamento di
orizzonte per la riflessione estetica. Il pensiero critico dialoga ormai
con altri oggetti, che sono ancora contingenti per questo stesso pensiero, ma che non sono più necessariamente opere d’arte. «Si dovrà
mostrare – spiega Montani in un passo particolarmente esplicito –
che queste “contingenze” sono eminentemente tecniche» 28. L’estetica,
in questa prospettiva, continua ad essere un guardare attraverso, ma
gli oggetti che la riflessione è chiamata ad “attraversare” con il suo
sguardo critico sono innanzitutto oggetti tecnici. Possiamo dire che
l’atteggiamento critico rimane lo stesso – perché rimane l’impostazione kantiana del problema – ma si allarga l’orizzonte dell’esemplarità
cui fare riferimento.
Questo allargamento dell’orizzonte dell’esemplarità estetica è in
26
Montani ritorna più volte su questo problema, non solo in Bioestetica. Cfr. per es.
P. Montani, L’immaginazione intermediale, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 62.
27
P. Montani, Bioestetica, Carocci, Roma 2007, p. 82.
28
Ivi, p. 24.
19
Martino Feyles
continuità con il pensiero di Garroni, ma nello stesso tempo lo sviluppa in una direzione che Estetica. Uno sguardo-attraverso prefigurava
soltanto. Certamente anche Montani considera esemplari e significative alcune opere che possiamo senza esitazioni definire “artistiche”.
La nozione di “arte” viene però ridefinita in termini che vanno al di
là dei confini stabiliti dalla modernità. Infatti il dialogo non è più
innanzitutto con la letteratura – che era ancora il referente più importate per Garroni 29 – o con le altre arti “tradizionali” come la pittura e
la scultura. Anche se queste arti tradizionali non sono mai escluse, in
virtù di una qualche decisione pregiudiziale, come possibili referenti
per la riflessione estetica, di fatto – qui è la contingenza storica – le
opere che Montani quasi sempre analizza si situano in quella zona di intersezione tra arte e tecnica che si è aperta con la comparsa dei mass media
prima e dei nuovi media poi 30. Così la riflessione estetica di Montani
dialoga con il cinema di Ejzenštejn e di Vertov – tanto per fare degli
esempi – o con gli ambienti immersivi creati da Studio Azzurro.
Certamente gli autori che ho appena menzionato sono “artisti” e
le loro opere, che pure si situano nell’orizzonte dei cosiddetti “mass
media”, hanno ancora un significato specificamente “estetico”, nel
senso che la modernità attribuisce a questo termine. Ma ci sono altri
casi, tra quelli analizzati da Montani, in cui il riferimento alla nozione di “opera d’arte” sarebbe del tutto inappropriato. Per esempio in
Tre forme di creatività: arte, tecnica, politica e in Emozioni dell’intelligenza
vengono analizzati – tra gli altri – due episodi esemplari che sono
particolarmente significativi: il primo caso è rappresentato dalla
marcia degli ologrammi organizzata a Madrid dal gruppo No somos
delito, nell’aprile del 2015, per protestare contro una legge che limitava
il diritto di manifestazione 31; il secondo caso è il video pubblicato su
TikTok della giovane studentessa americana di origine afgana Feroza
Aziz, per denunciare le violenze perpetrate dal regime cinese nei confronti delle minoranze musulmane degli Uiguri 32. È del tutto evidente
che in entrambi i casi non si tratta di “opere d’arte”, né di immagini
29
Anche se va detto che Garroni ha sempre riservato un’attenzione particolare al
cinema: cfr. E. Garroni, Scritti sul cinema, Aragno, Torino 2006.
30
Anche qui non bisogna irrigidire troppo il discorso perché anche Montani, talvolta, analizza esempi illustri che provengono dal mondo delle arti più tradizionali:
è il caso, per esempio, dell’Antigone di Sofocle che ha più volte commentato. Cfr. P.
Montani (ed.), Antigone e la filosofia, Donzelli, Roma 2017.
31
P. Montani, Tre forme di creatività: tecnica, arte, politica, Cronopio, Napoli 2017, p. 137.
32
P. Montani, Emozioni dell’intelligenza, Meltemi, Milano 2020, p. 13.
20
Guardare attraverso gli esempi
che hanno una qualunque velleità specificamente “estetica”; tuttavia,
dal punto di vista di Montani, si tratta di “oggetti”, o forse di “eventi”,
che hanno un valore esemplare per la riflessione estetica. C’è dunque
un’esemplarità, all’interno del mondo della creatività tecnica in senso
lato, che è analoga all’esemplarità delle opere d’arte e in certi casi,
forse, addirittura, più interessante per la riflessione estetica:
È questo, infine, l’ambito specifico nel quale alcuni prodotti
della creatività tecnica possono aspirare a ricostituire su un
piano storicamente connotato la sinergia tra originalità ed
esemplarità considerata da Kant come il principale requisito
politico dell’opera d’arte innovativa 33.
È opportuno notare che il capitolo di Tre forme di creatività da cui ho
tratto questa citazione e da cui ho tratto anche l’esempio della marcia
degli ologrammi di Madrid, si intitola “Esemplarità politica della creatività tecnica”. In effetti, nella prospettiva di Montani, l’allargamento
dell’orizzonte dell’estetica implica necessariamente un’accentuazione del suo legame con la sfera del politico. L’estetica non guarda più
soltanto “attraverso” le opere d’arte, ma anche “attraverso” i media e
gli oggetti tecnici. Ma in entrambi i casi è naturale che venga in primo
piano la dimensione politica dell’esemplarità, perché i cambiamenti
provocati dalla tecnica contemporanea e dai media sono cambiamenti culturali, certamente, ma sono anche e forse soprattutto cambiamenti politici. In questo modo la riflessione estetica di Montani, pur
restando fedele al nesso istituito da Garroni tra guardare attraverso
ed esemplarità, si ritrova a dialogare in modo quasi naturale con la
filosofia politica (per esempio, in Bioestetica, con la filosofia politica
di Arendt, di Agamben, di Esposito).
4. L’esemplarità politica e morale
Se nel pensiero di Montani l’estetica si apre al dialogo con la filosofia
politica, nella riflessione di Alessandro Ferrara si evidenzia il movimento inverso corrispondente: in questo caso è la filosofia politica
che si apre al dialogo con l’estetica. Garroni non è esplicitamente
menzionato, nel libro in cui Ferrara riflette sulla questione dell’e33
P. Montani, Tre forme di creatività: tecnica, arte, politica, cit., p. 138.
21
Martino Feyles
semplarità – La forza dell’esempio –, ma il legame tra la sua filosofia
politica e la concezione dell’estetica che ho ricostruito nei paragrafi
precedenti è più che evidente 34. Il paradigma del giudizio politico che
Ferrara propone è un ripensamento del giudizio riflettente kantiano, che è
in debito soprattutto con la lettura della terza Critica proposta dalla
Arendt 35. Ma, dal momento che la forma paradigmatica del giudizio
riflettente, è il giudizio estetico, è inevitabile che la filosofia politica
guardi all’estetica critica come a un modello.
La Critica della facoltà di giudizio è un trattato di estetica, e
questo fatto in qualche modo è stato una disgrazia, perché
ha contribuito a confinare la fortuna delle intuizioni in essa
contenute agli ambiti dell’arte e della bellezza naturale. Invece
il paradigma metodologico da essa inaugurato estende la sua rilevanza ben oltre questi due territori. L’idea che la normatività
possa emanare tanto dalla forza ispiratrice dell’esempio quanto dal potere sussuntivo di leggi e principi può trovare applicazione virtualmente in qualsiasi campo oltre l’estetica 36.
Per rendere queste affermazioni del tutto congruenti con l’interpretazione di Kant proposta da Garroni, è necessario soltanto precisare
che la «disgrazia» non è tanto che la terza Critica sia un «trattato di
estetica», quanto piuttosto che sia stata recepita solo come un trattato
di estetica. In Estetica. Uno sguardo-attraverso viene evidenziata una
situazione per certi versi paradossale: «Kant è senza dubbio il vero
“fondatore” dell’estetica moderna, anche se, o proprio perché, non
ha composto un’estetica come disciplina» 37. Da una parte, Kant è il
primo che in modo veramente consapevole individua l’esperienza
estetica come un’esperienza autonoma, non riducibile agli schemi
34
Va ricordato che Ferrara è stato invitato a tenere la lezione magistrale della
Cattedra Internazionale Emilio Garroni del 2014 e in quell’occasione ha riconosciuto in modo esplicito la vicinanza tra il suo punto di vista e quello di Garroni. Cfr.
A. Ferrara, Estetica ed esemplarità. Una riflessione filosofico-politica, https://www.cieg.
info/category/lezioni-magistrali/ [27.07.2021]
35
Ferrara critica la Arendt, prendendo le distanze dalla sua equiparazione delle
nozioni di schema ed esempio, ma nello stesso tempo le riconosce il merito di aver
colto che il testo di Kant più significativo, dal punto di vista del pensiero politico,
è la Critica della facoltà di giudizio. Cfr. in particolare H. Arendt, Lectures on Kant’s
Political Philosophy, Trad. it. di P. Portinaro, Teoria del giudizio politico, il melangolo,
Genova 1990, p. 27.
36
A. Ferrara, La forza dell’esempio, Feltrinelli, Milano 2008, p. 41.
37
Ivi, p. 106.
22
Guardare attraverso gli esempi
della conoscenza concettuale, né alle regole dell’agire pratico; dall’altra parte, l’autonomia dell’estetica non implica affatto che essa possa
dare origine a un sapere disciplinare, né che possa chiudersi all’interno di uno spazio separato dagli interessi della conoscenza teoretica
e dagli scopi dell’agire pratico. Al contrario nell’interpretazione di
Garroni è essenziale che l’esperienza estetica abbia una rilevanza
trascendentale di carattere generale. In questa prospettiva, dunque,
è senza dubbio vero che il giudizio estetico è un «paradigma» – questa è
l’espressione che utilizza più volte Ferrara – in cui si esibisce in modo
esemplare una regola del giudicare, che non vale solo nel campo dell’arte o
della bellezza naturale, ma in ogni campo dell’esperienza umana.
In effetti Ferrara distingue due «modalità» dell’esemplarità, che corrispondono alle due modalità del giudizio che vengono distinte nella terza
Critica: il giudizio determinante e il giudizio riflettente. In alcuni casi
«ciò che è esemplare incorpora e riflette una normatività di cui siamo
già consapevoli» 38 Si tratta, in questi casi, di ciò che Kant avrebbe
chiamato «esibizione» di un concetto 39: una rappresentazione singolare appare, cioè, come un’istanza di una regola già data. In questo
senso il fiore contingente che posso incontrare nella realtà può apparire come un esempio del concetto di “rosa”, cioè come l’esibizione di
un concetto empirico già dato. Ma c’è anche un’altra possibilità:
Altre volte, tuttavia, l’esemplarità dell’esempio è così pura e
innovativa che dapprima ne abbiamo solo una vaga sensazione, grazie al rifarci ad analogie con esperienze passate, e solo
in seguito riusciamo ad identificare quel momento normativo
così potentemente riflesso nell’oggetto o nell’azione che abbiamo di fronte. In questo caso per cogliere appieno l’esemplarità
abbiamo bisogno di formulare ad hoc il principio di cui costituisce
un’esemplificazione 40.
Questa seconda modalità dell’esemplarità corrisponde a ciò che Kant
chiamava “giudizio riflettente”. In questo caso la regola non è già
data, ma deve essere “formulata ad hoc” proprio per comprendere il
caso che appare esemplare. Gli esempi di questo secondo genere hanno la
capacità di ridefinire il sistema vigente delle regole e dei concetti e proprio
38
Ivi, p. 19.
I. Kant, Kritik der Urteilskraft, Trad. it. di E. Garroni-H. Hohenegger, Critica della
facoltà di giudizio, Einaudi, Torino 1999, p. 28.
40 A. Ferrara, La forza dell’esempio, cit., p. 19.
39
23
Martino Feyles
per questo appaiono “innovativi”. Questo processo di riorganizzazione
del sistema delle regole di riferimento, messo in moto da un caso che
ha un valore esemplare, era stato analizzato da Kant. Nel § 46 della
terza Critica l’arte veniva definita istituendo una relazione essenziale
tra originalità e esemplarità 41. L’opera d’arte autentica – l’opera «che
dà impulso, conformemente a scopi, alle facoltà dell’animo» 42, diceva
Kant – è originale nel senso che introduce una regola che prima non
esisteva ed è esemplare nella misura in cui questa regola diventa un
punto di riferimento per tutti, modificando di fatto un sistema normativo vigente.
Ferrara si appropria del modello kantiano, che associa esemplarità e originalità, e lo generalizza, estendendolo al di là dell’ambito
dell’arte. Il medesimo processo di riorganizzazione delle norme vigenti che
si verifica quando un’opera innovativa introduce un nuovo criterio estetico,
si verifica anche nel campo politico, giuridico e morale. In questo caso ad
essere esemplare non è più un’opera d’arte, ma un’azione politica
(per esempio una rivoluzione), o una condotta di vita (per esempio
la vita di un santo), o anche un’istituzione giuridica (per esempio la
Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino). Quello che è essenziale, è che anche in questi casi, proprio come accade con l’opera d’arte,
la regola viene introdotta dal caso singolo e non si lascia mai separare del
tutto dall’evento in cui si presenta e in cui rimane in un certo senso “incorporata”. «Le azioni che rivestono significatività esemplare» sono dunque
«l’equivalente dell’opera d’arte» 43.
5. L’esemplarità storica
Nello stesso anno in cui esce La forza dell’esempio di Ferrara, Agamben
pubblica Signatura rerum, una raccolta di tre studi in cui riflette sul
proprio metodo di ricerca. Nel primo dei tre studi, intitolato “Che
cos’è un paradigma?”, il problema dell’esemplarità è affrontato direttamente. Agamben riconosce in modo esplicito il legame che unisce il
suo metodo a quello di Foucault. Il pensiero di Foucault è un pensiero
che riflette sistematicamente su fenomeni storici che vengono considerati
come «paradigmi». Così la celebre analisi del panopticon presentata in
41
I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., p. 143.
Ivi, p. 149.
43
A. Ferrara, La forza dell’esempio, cit., p. 82.
42
24
Guardare attraverso gli esempi
Sorvegliare e punire è certamente una riflessione su un «fenomeno
storico singolare», ma questa singolarità contingente ha un valore
paradigmatico 44. Il panopticon è interessante, per il filosofo e per lo
storico, perché è un «modello» che esibisce una certa concezione
del potere, della tecnologia, della disciplina. Lo stesso discorso vale
per i casi esemplari analizzati da Agamben, come l’Homo sacer o il
Muselmann. In questo senso possiamo dire che nella ricerca storica –
così come la concepiscono Foucault e Agamben – un paradigma è un
caso esemplare, ovvero «un oggetto singolare che, valendo per tutti gli
altri della stessa classe, definisce l’intelligibilità dell’insieme di cui fa
parte e che, nello stesso tempo, costituisce» 45.
Anche Agamben, come Ferrara, definisce l’esemplarità paradigmatica facendo riferimento alla Critica della facoltà di giudizio. Questo
rimando a Kant apre la possibilità di un dialogo con l’estetica critica,
così come è concepita da Garroni. Nel § 18 della terza Critica, Kant
spiega che il giudizio estetico, dal punto di vista della modalità, ha
uno statuto particolare, perché implica una necessità «di tipo speciale», una necessità «esemplare» 46. Il giudizio di gusto che esprime
il compiacimento del soggetto nei confronti di un oggetto singolare
(“questa rosa qui”, per esempio), viene considerato come «esempio di
una regola che non si può addurre» 47. Poiché il gusto non può essere
definito concettualmente, la regola del gusto non si può formulare: il
che significa che non può essere definita in termini razionali. Il giudizio estetico non è semplicemente “sregolato”, perché altrimenti non si
darebbe la necessità di un accordo di tutti i giudicanti. Tuttavia la sua
regola può essere mostrata solo in atto, cioè solo nell’eventualità contingente del giudizio estetico. In altre parole: il gusto non si può “spiegare”,
se non tramite esempi.
In Estetica. Uno sguardo-attraverso Garroni commenta i passaggi
fondamentali del § 18 della terza Critica richiamando, ancora una
volta, la sua “tesi di fondo”: «Il principio o la condizione possono
dunque essere colti solo indirettamente o appunto guardati attraverso il condizionato: il singolo giudizio di gusto o il bello» 48. Solo a
partire dall’esempio di un’esperienza estetica determinata è possibile
44
G. Agamben, Signatura rerum, Bollati Boringhieri, Torino 2008, p. 18.
Ivi, p. 19.
46
I. Kant, Critica della facoltà di giudizio, cit., p. 72.
47
Ibidem.
48
E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 142.
45
25
Martino Feyles
risalire alla condizione estetica, che è a fondamento dell’esperienza
in generale. Ma questo primato di un’esperienza contingente implica per Garroni un «cortocircuito di condizione e condizionato, di
trascendentale ed empirico, di a priori e a posteriori» 49. Il trascendentale si dà solo nell’empirico e rimane necessariamente legato all’empirico.
Naturalmente Kant non arriva a formulare fino fondo questo paradosso e Garroni lo sa bene. Tuttavia la nozione di validità esemplare
avrebbe potuto «mutare profondamente l’orientamento generale
della filosofia critica» 50. Secondo Garroni, se Kant avesse sviluppato tale nozione, seguendo fino in fondo l’intuizione presente nella
terza Critica, si sarebbe probabilmente trovato a dover «sconfessare
e riformulare daccapo» alcune delle tesi di fondo delle due critiche
precedenti.
Questa interpretazione radicale del problema kantiano della validità esemplare è molto vicina alla lettura che Agamben propone in
Signatura rerum:
Come il giudizio estetico secondo Kant, il paradigma presuppone in realtà l’impossibilità della regola; ma se questa manca
o è informulabile, da dove potrà l’esempio trarre il suo valore
probativo? E come è possibile fornire gli esempi di una regola
inassegnabile? L’aporia si risolve solo se si comprende che il
paradigma implica l’abbandono senza riserve della coppia particolare-generale come modello dell’inferenza logica. La regola
(se di regola si può qui ancora parlare) non è una generalità che
preesiste ai singoli casi e si applica ad essi, né qualcosa che risulta dall’enumerazione esaustiva dei casi particolari. Piuttosto
è la sola esibizione del caso paradigmatico a costituire una regola, che, come tale, non può essere né applicata né enunciata 51.
Per Agamben il caso paradigmatico ha un rapporto con il paradigma
teorico che esibisce che non è riducibile all’opposizione classica tra particolare e universale. Nella logica classica si può inferire il particolare
dall’universale, per deduzione, oppure si può ricavare l’universale
dal particolare, per induzione. Ma il rapporto che lega il caso paradigmatico al corrispondente paradigma teorico non è riducibile né
alla logica dell’induzione, né a quella della deduzione. Il paradigma
49
Ivi, p. 143.
Ivi, p. 142.
51
G. Agamben, Signatura rerum, cit., p. 23.
50
26
Guardare attraverso gli esempi
è, infatti, un singolare che però costituisce una regola e che, dunque,
ha significato generale.
L’intreccio di singolarità e generalità che Agamben descrive, per
spiegare che cos’è un caso paradigmatico, è l’altro lato di quel cortocircuito tra trascendentale ed empirico che Garroni leggeva nella
terza Critica. In entrambi i casi è la nozione di esemplarità che rimette
in discussione le opposizioni classiche. L’opera d’arte è un evento
contingente che esibisce in modo esemplare una condizione trascendentale dell’esperienza; allo stesso modo il caso paradigmatico
è un evento singolare che esibisce in modo esemplare un paradigma
teorico generale. Innestando il linguaggio di Garroni su quello di
Agamben potremmo dire che il caso paradigmatico è un evento storico
che deve essere “guardato attraverso”, affinché sia possibile scorgere
in esso un modello teorico che non preesisteva e che tuttavia ha un
significato generale.
Il problema dell’esemplarità viene così formulato nella sua massima generalità. In Signatura rerum Agamben sostiene in modo piuttosto esplicito che il metodo che sta descrivendo, non è un’opzione tra
le altre, per lo studioso che intraprende una ricerca storica. In realtà
«la capacità di riconoscere e articolare paradigmi definisce il rango
del ricercatore non meno della sua abilità nell’esaminare i documenti
di un archivio» 52. Saper leggere la storia, significa saper costruire dei paradigmi teorici. Ma i paradigmi teorici non possono mai essere separati
dai casi esemplari che li esibiscono. Dunque la ricerca storica, così
come la concepisce Agamben, ha con i casi paradigmatici, esattamente lo stesso rapporto che l’estetica, così come la concepisce Garroni,
ha con le opere d’arte: in entrambi i casi quel che è necessario è un
pensiero critico che sappia guardare attraverso gli esempi.
Università Telematica eCampus
martinomaria.feyles@uniecampus.it
52
Ivi, p. 33.
27