LEONARDO CAFFO – VALENTINA SONZOGNI
L’ANIMALISMO COME CONTEMPORANEO:
FILOSOFIA, ARTE, ANIMAL STUDIES
Qui c’è troppa puzza di Dio.
Carmelo Bene
I
1. Prima di tutto, una (apparente) stranezza
Quanto segue è il risultato di una tesi: non tanto l’animalismo nella
filosofia contemporanea quanto, piuttosto, l’animalismo come filosofia
contemporanea. “Animalismo” è parola particolare: esiste col significato
che normalmente le attribuiamo solo in lingua italiana e pare che il padre
del termine sia stato Alberto Pontillo, fondatore della LAV (la lega antivivisezione). Negli intenti di Pontillo, poi effettivamente rispettati dalla
vulgata animalista, la parola “vuol dire” più o meno atteggiamento di protezione degli altri animali da parte della specie Homo Sapiens. In tal senso
l’animalismo contemporaneo filosofico, soddisfacendo la semantica della
parola, comincia nel 1975 con la pubblicazione dell’ormai storico Animal
Liberation di Peter Singer. Prima del 1975? Moltissimi libri, centinaia
di gruppi e movimenti, ma niente filosofia strutturata: Singer, con circa
duecento pagine, rivoluzionò il modo ordinario che i filosofi avevano di
pensare gli animali – non più oggetti ma soggetti. Eppure Singer non è animalista, proprio perché animalismo nella sua lingua si dice antispecismo, e
significa molte altre cose.
1.1 Adesso, una (apparente) digressione
Qualche mese fa, in biblioteca, leggevamo Think, una delle riviste del
The Royal Institute of Philosophy. Eccola che ci appare, anche in lingua
inglese, la parola “animalism”: il significato, tuttavia, è radicalmente diverso – posizione filosofica che descrive gli umani, proprio come tutti gli
260
Bestie, filosofi e altri animali
animali, come semplici organismi biologici.1 La nostra tesi è che la storia
dell’animalismo contemporaneo vada interpretata alla luce di questo nuovo e più recente significato della parola; solo così, attraverso un cambio di
dizionario, si può comprendere perché l’animalismo non è una parte della
filosofia contemporanea: l’animalismo è la filosofia contemporanea o, meglio, l’animalismo è il contemporaneo.
2. Animalismo contemporaneo
Le storie dell’animalismo hanno ormai un elenco di nomi classici: il già
citato Peter Singer, con Animal Liberation (1975), Tom Regan con Empty
Cages (2004), Paola Cavalieri con The Animal Question (2001)… e potremmo andare avanti per molto. Il senso dell’animalismo filosofico cambia, tuttavia, a seconda delle due definizioni di animalismo che abbiamo
appena esposto. Classicamente l’animalismo è letto alla luce della prima
sfumatura di senso: e dunque Singer, Regan, ecc. altro non sono che dei
produttori di teorie che consentano di rendere il rispetto per gli animali non
più una scelta di gusto ma un obbligo morale. In questo quadro l’utilitarismo delle preferenze (scoperte) di Singer, o il giusnaturalismo di Regan,
sono una sorta di meta-apparato volto a vincolare le scelte di quel settore
della filosofia morale che chiamiamo etica applicata: è sbagliato uccidere
gli animali per mangiarli, vestirsene o sperimentarci farmaci e simili. Niente a che vedere, dunque, con quello che è spesso chiamato dibattito sulla
“teoria dell’animalità”:2 nell’animalismo che segue la definizione “di protezione animale” si tratta solo di stabilire principi e parametri del rispetto
dell’uomo nei confronti degli altri animali. In questo variegato scenario
dell’etica contemporanea, e soprattutto delle sue teorie spesso in contrapposizione tra loro, emerge un punto comune su cui è necessario soffermarsi
che è quello della considerazione di un individuo come un’entità capace
di provare piacere e dolore: tale animalismo, almeno, comincia proprio da
qui. Prima di addentrarsi nei meandri dell’utilitarismo o dell’egualitarismo, del contrattualismo o deontologismo, va infatti tenuto bene in mente
questo: essere, all’interno di una teoria metaetica, significa essere il valore
di questa relazione piacere/dolore. In modo più articolato, e meno soggetto
a facili controesempi, diciamo che essere individui – tali per cui l’etica
1
2
J.A. Licon, You’re an animal, plain and simple, in «Think: journal of The Royal
Institute of Philosophy», V. 13, N. 36 (Spring 2014), pp. 61-70.
Cfr. F. Cimatti, Filosofia dell’animalità, Laterza, Roma-Bari 2014.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
261
debba tenerne conto – significa essere capaci di provare esperienze. Risulta
da subito centrale discutere di “individui”, in senso generico, perché il collasso della distinzione umano/animale – attraverso argomenti come quelli
dello “Species Overlap”3 – è parte integrante dell’animalismo filosofico.
Prima di discutere la nostra tesi, su una diversa lettura dell’animalismo, è
però necessaria un’esplorazione del “dolore” come asse portante del dibattito intorno all’animalismo più recente.
2.1 Animalismo e dolore
Se mettiamo al centro dell’etica certe capacità, e non certe dotazioni
biologiche (razza, specie, sesso, ecc.), allora non è importante quale sia
il “supporto corporeo” di cui tali capacità sono espressione. Ma perché
essere individui senzienti dovrebbe essere rilevante, ovvero condizione necessaria e sufficiente, per la considerazione morale? Cominciamo con una
definizione:
Individuo senziente: individuo capace di provare esperienze positive e
negative.
La prima domanda a cui una teoria metaetica deve rispondere, infatti, non è tanto relativa al realismo o antirealismo della morale, o inerente
alla teoria della mente che decidiamo di assumere quanto, più immediatamente, a quella riguardante chi sono coloro per cui questa teoria ha senso
di esistere. Per quanto il testo Animal Liberation di Peter Singer sia noto
come manifesto contro lo specismo è stato più che altro, a nostro avviso,
un manifesto contro un’idea: che l’etica abbia senso soltanto dinnanzi certe
capacità cognitive. Nel corso della storia della filosofia recente, infatti, si
è sostenuto che certe proprietà, talvolta anche quella non ben definibile di
“essere un essere umano”, quando non certe abilità linguistiche e mentali,4
siano ciò che rende “qualcuno” oggetto di una determinata teoria morale.
Gli argomenti, più o meno raffinati, si basavano su idee di derivazione
cartesiana (gli animali non parlano), quando più legati alla tradizione filosofica analitica, o di matrice heideggeriana (gli animali non muoiono),
quando legati a forme e strutture di ragionamento continentali. Se l’animale non pensa, o non pensa il suo pensiero, o non parla, o non è in grado
3
4
O. Horta, The Scope of the Argument from Species Overlap, in «Journal of Applied
Philosophy», 31, 2014, 142-154.
Per una ricostruzione critica di questi argomenti si veda D. Bruni, L. Caffo, Can
you speak? Well, Are You Moral?, in «Methode – Analytic Perspectives», Vol. II,
n. 3: 2013, pp. 50-57, DOI: http://dx.doi.org/10.13135/2281-0498%2F22
262
Bestie, filosofi e altri animali
di calcolare, ecc., allora è giustificato escluderlo dal “cerchio dei diritti”5
e postulare teorie morali che non tengano conto dei suoi interessi. Il già
citato strumento dello “Species Overlap”, attraverso gli argomenti dei “casi
marginali”,6 ha mostrato che se davvero fossero certe capacità il discrimine
dell’etica allora avremmo casi paradossali in cui, per esempio, posta la teoria della mente come cartina di tornasole, avremmo fuori dalla considerazione morale certi umani (gli autistici, per esempio) e dentro certi animali
(alcuni primati superiori, solo per muoversi tra le certezze). Sussumere
alcune capacità come “importanti” o, peggio ancora, condizioni necessarie
e sufficienti, per la considerazione morale, è spesso strategia che rivela
un gioco a carte truccate: l’umano sceglie le qualità che crede lo caratterizzino, come specie, affinché ovviamente coloro che ne sono “biologicamente” fuori vengano esclusi anche moralmente. Va da sé che ogni specie
(ammesso che esista, davvero, qualcosa come la ‘specie’ in senso stretto) è
un enorme contenitore di vite in grado di stupire attraverso qualità uniche
per altre. L’albatros è in grado di volare per dieci anni ininterrottamente e
di dormire in volo, senza mai atterrare, con le due metà del cervello che
si spengono a turno; l’armadillo a nove fasce (Dasypus novemcinctus) è il
mammifero con il pene più lungo, tanto da averlo reso (suo malgrado) leader mondiale nella ricerca sulla funzione del pene nei mammiferi; i castori
sono in grado di abbattere alberi dall’ampio diametro in meno di un’ora e
sono dei mirabili pescatori, tanto che svolgono questo (sporco) lavoro per i
tenditori canadesi; le piovre sono campionesse di mimo, fingendosi spesso
animali diversi come serpenti, pesci cobra e scorpioni (ma anche alghe o
noci di cocco). Senza continuare in un elenco stereotipato, sembra ovvio
che molti animali fanno cose che altri (compreso l’uomo) non fanno e non
sapranno mai fare. Perché la mia capacità di pensare il mio pensiero (teoria
della mente di ordine superiore) dovrebbe essere moralmente più rilevante
del lungo pene dell’armadillo o del volo incantato e sonnecchiante dell’albatros? Ovviamente è una provocazione, e possiamo immaginare perché la
vita mentale sia correlata alla vita morale – ma lo “Species Overlap” sembra dissipare ogni dubbio a meno di non accettare, cosa che qui non discuteremo, morali paradossali di derivazione nietzschiana in cui “bene e male”
vengono sostituiti da “debole e forte” (pensiamo alla Genealogia della morale) creando, di fatto, non più etiche speciste quanto, piuttosto, etiche del
5
6
P. Singer, The Expanding Circle: Ethics and Sociobiology, Farrar, Straus and
Giroux, New York 1981.
M. Bernstein, Marginal cases and moral relevance, «Journal of Social Philosophy»,
33: 2002, pp. 523-539.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
263
più potente (una legittimazione culturale della massima attribuita a Plauto
“homo homini lupus”). Se “essere uomini”, dunque, non pare bastevole per
chiudere l’etica entro il recinto dell’antropocentrismo (si badi bene, anche
John Rawls adottava una strategia di tale matrice antropocentrica per la sua
teoria della giustizia), anche il possesso di certe capacità, come argomento
specista, lo abbiamo detto, apre lo spazio ad alcuni problemi filosofici in
cui si instaurano anche le critiche allo specismo dei primi pensatori antispecisti come Peter Singer e Tom Regan. In questa intercapedine, dunque,
si fa teoria della classica e assai diffusa opinione di Bentham secondo cui
non è importante chiedersi se gli animali (tutti, umani e non) siano in grado
di ragionare o di parlare, ma conta piuttosto se siano capaci di soffrire.
Ovvero è la senzienza che conta per la considerazione morale e il tempo
in cui ogni discussione filosofica sugli animali doveva iniziare con riferimenti all’animal cognition che mostrassero, in modo più o meno fondato,
argomenti in favore delle loro capacità cognitive è ormai volto al termine.7
Se rispettiamo l’altro, dunque, perché crediamo sbagliato farlo soffrire,
e giusto garantirgli la possibilità di provare piacere, questo deve essere
valido dinnanzi a chiunque possieda questa capacità. Se la maggior parte degli animali, dotati di sistemi nervosi centrali o decentralizzati,8 è in
grado di provare dolore allora, va da sé, la barriera di specie cade e si apre
un’etica sensibile alla sofferenza e al piacere su cui, in un secondo momento, costruire cornici metaetiche come utilitarismo, egualitarismo, ecc. Una
volta che si mette la senzienza alla base dell’etica “rispettare qualcuno”
significa, dunque, considerare gli interessi di tale individuo nel momento in cui stiamo decidendo come agire, valutando la nostra responsabilità
nell’azione, cercando di fare ciò che è meglio per lei o lui. Il discorso può
sembrare vago o inapplicabile ma è, invece, estremamente semplice e regolatore delle pratiche di vita quotidiane: teniamo qualcuno in considerazione, nel momento in cui agiamo, se ci troviamo in una situazione tale per
cui possiamo fargli del male se facciamo qualcosa valutando dunque di non
compiere l’azione. Per l’etica animale l’esempio, va da sé, è banale: se ci
rifiutiamo di mangiare carne è perché sappiamo che un animale sarà ucciso
per questo e quale che sia il nostro piacere nel gustare una bistecca, ovviamente, non è lontanamente paragonabile al dolore e alla sofferenza di un
7
8
Come mostrato in L. Caffo, In the Corridors of Animal Minds, in «Journal of
Animal Ethics», 4 :2013 (1), pp. 103-108, DOI: 10.5406/janimalethics.4.1.0103.
Questo, va da sé, è il limite delle teorie sensiocentriche discusso, spesso maldestramente e in modo non risolutivo ma giustamente critico, da certa letteratura
contemporanea – cfr. M. Calarco, Zoographies: The Question of the Animal from
Heidegger to Derrida, Columbia UP, New York 2008.
264
Bestie, filosofi e altri animali
essere vivente sacrificato per questo motivo. Il principio, mutatis mutandis,
vale anche per azioni che scegliamo di non fare e che invece sarebbe stato
meglio fare: se vediamo qualcuno che sta annegando, anche se siamo estranei ai motivi che hanno portato a quella situazione, non possiamo esimerci
dall’intervenire per evitare sofferenza all’individuo coinvolto.
In modo più formale questa situazione è cristallizzata dal cosiddetto
“The argument from relevance” (Hare 1989) – diviso in due parti:9
PARTE PRIMA
(a) We should make our decisions on the basis of what is relevant to the
effects they will have.
(Dovremmo decidere in base a ciò che è rilevante per gli effetti che si determineranno)
(b) When we respect someone, we take into account how our decisions can
harm or benefit them, and try to benefit and not harm.
(Quando si rispetta qualcuno, si prenda in considerazione come le nostre
decisioni possano arrecare danno o beneficio e propendere per il beneficio e
non per il danno)
(c) What is relevant to someone being benefited or harmed is their capacity
to be benefited or harmed.
(Ciò che è rilevante per qualcuno che si trova a essere beneficiato o danneggiato è la propria capacità di essere beneficiato o danneggiato)
(d) We should respect those who can be benefited or harmed.
(Dovremmo rispettare coloro che possono essere beneficiati o danneggiati)
PARTE SECONDA
(4) We should respect those who can be benefited or harmed.
(Dovremmo rispettare coloro che possono essere beneficiati o danneggiati)
(5) Sentient beings are the ones that can be benefited or harmed.
(Gli esseri senzienti sono coloro che possono essere beneficiati o danneggiati)
Va da sé che si può essere senzienti in molti modi diversi, e in parte già
tutto ciò dovrebbe essere chiaro. Il tipo di esperienze di animali tra loro
diversissime, come quelle dei delfini, stambecchi, cimici o esseri umani,
potrebbero essere assolutamente incomparabili (come suggeriva, infatti,
Ludwig Wittgenstein a proposito delle diverse “forme di vita”) – ed è una
9
Si veda anche la ricostruzione dell’argomento in: http://www.animal-ethics.org/
argument-relevance/3/
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
265
strategia grave e fallace quella di assimilare esperienze animali tra loro
distanti.10 Eppure, e questo deve essere messo in risalto, ciò che queste
esperienze hanno in comune è che tutte possono essere positive o negative per l’individuo che esperisce. Tale criterio agisce, dunque, anche come
discrimine tra soggetti e oggetti:11 un oggetto come un minerale che non
è cosciente, e quindi non è neanche senziente, non può avere un’esistenza
sensibile alle esperienze positive e negative. Questo è il motivo per cui, per
poter essere danneggiati o aiutati, bisogna essere senzienti. Tutte le altre
condizioni possibili sono irrilevanti e la senzienza, dunque, si caratterizza
come condizione necessaria e sufficiente per l’etica – senza che questo,
ovviamente, comporti uguaglianza tra individui su diversi piani quando
entrano in gioco altre capacità. Se Aristotele è stato un filosofo migliore
di Cartesio allora si merita maggiore spazio su un manuale di filosofia ma,
non per questo, meno considerazione morale. Non si tratta, infatti, di eliminare le differenze tra diversi viventi quanto, semplicemente, di considerare
tutti sullo stesso piano all’interno di un particolare contesto di riferimento:
la morale. Seppur con le dovute precauzioni, infatti, l’argomento in favore
della senzienza consente un discrimine efficace per costruire teorie etiche
che, da un lato, non siano più antropocentriche ma che, dall’altro, non rischino di giungere a una qualche forma di stallo tale per cui non è più possibile conoscere il confine tra lecito e illecito.12
Nelle società contemporanee il rispetto, e dunque la considerazione morale di qualcuno, è ancora basata su principi tali per cui – quando va male
– è necessario appartenere alla specie umana mentre, quando va bene, si
è ancorati a un punto di vista ambientalista che non considera il benessere degli individui ma la conservazione di particolari ecosistemi o specie.
L’argomento della rilevanza, e la strategia che pone la senzienza al centro
dell’etica, mostrano invece che tutto ciò è sbagliato e che nessuna delle caratteristiche normalmente assunte come importanti per essere oggetti della
morale è in alcun modo rilevante. Non serve poter dimostrare, uno a uno,
che ogni animale è in grado di soffrire e provare esperienza perché anche
10
11
12
L. Caffo, The Anthropocentrism of Anti-realism, in «Philosophical Readings»,
Vol.VI: 2014, N. 2, pp. 65-74.
In modo molto più immediato di altri criteri proposti nella storia della filosofia
come, per esempio, quello di Brentano che discrimina tra soggetti e oggetti sulla
base del possesso di intenzionalità.
Cosa che capita, a nostro avviso, con alcuni contemporanei tentativi in etica
animale volti ad abolire anche la distinzione tra essere senziente e non: M.
Calarco, Identity, Difference, Indistinction, in «CR: The New Centennial Review»
11/2: 2011, pp. 41-60.
266
Bestie, filosofi e altri animali
questa, come l’assunzione secondo cui ogni umano sia dotato di pensiero,
altro non è che un’astrazione di senso comune in accordo con le attuali conoscenze tecniche e scientifiche. Ciò che invece è necessario è comprendere i limiti delle attuali regole alla base dell’etica socialmente diffusa, basata
su argomenti spesso validi e infondati, e l’importanza di un cambiamento
verso modelli più razionali in grado di massimizzare il benessere degli
individui che abitano questo mondo.
In un certo senso l’etica animale altro non è che l’etica tout court: perché
non si tratta di fare distinzioni tra uomini e animali ma di comprendere
quali criteri sono indispensabili per tenere in considerazione qualcuno che
è coinvolto dallo spettro delle nostre azioni. E se un criterio è necessario
per tenere in considerazione un individuo x, dunque, non può che esserlo
per un individuo y, per un individuo z, e via dicendo. Non importa quale
sia la specie, la razza o il sesso di quell’individuo: ciò che conta è la capacità di provare esperienze positive e negative. Tutto il resto è pregiudizio
mascherato, più o meno in modo articolato, da qualche scusa filosofica per
non cambiare in nessun modo lo stato di cose presente cosa che conviene,
come sempre, a coloro che detengono il potere.
L’animalismo, come ricostruito fin qui, è una strategia. Ogni strategia, come
un progetto, ha una sua planimetria. Ma se provassimo a leggere l’animalismo
contemporaneo come il contemporaneo? In questo caso, quella definizione
trovata su Think, secondo cui animalismo è essere essenzialmente organismi
biologici, ovvero corpi, farebbe assumere all’animalismo tutta un’altra forma.
3. Prima di tutto, un’altra (apparente) stranezza
Close-up su un volto di ragazzo dalla faccia pulita e con indosso una
felpa della marca Robe di Kappa, siamo a metà degli anni Novanta, in
un luogo non specificato. Potrebbe essere un mondo fantastico o futuro,
oppure antichissimo in cui animale umano e non umano si sono ibridati in
una terza identità sconosciuta. Il ragazzo, l’artista Diego Perrone, ha una
gallina in testa, una vera gallina. Se Luca Cerizza in un testo sull’artista
descrive efficacemente questo lavoro con l’espressione “ritratto dell’artista
da cucciolo”13 a significare che, qui, si intuiscono molte delle curiosità intellettuali e artistiche di Perrone, è l’artista stesso a dichiarare al riguardo:
13
L. Cerizza, Troppo strano per morire. Movimento in tre parti e comunque incompleto su Diego Perrone, in Diego Perrone. La mamma di Boccioni in ambulanza
e la fusione della campana, a cura di C. Laubard e A. Viliani, Skira, Milano 2007.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
267
“volevo mettere la mia testa e quella della gallina a contatto”.14 Non c’è
molto antispecismo in questo e non c’è forse neanche dell’animalismo, ma
la gallina non è un copricapo bensì un corpo altro da indagare attraverso
il nostro corpo. Non è una stranezza e forse neanche una banalità: l’arte
contemporanea si rivela uno strumento potentissimo quando di tratta di
indagare l’animalismo contemporaneo e l’animalità come progetto.
3.1 Adesso, una (rapida) digressione
Crediamo sia indubbio che negli ultimi anni ci sia stato un visibile incremento di opere d’arte che utilizzano il corpo dell’animale oltre che la
sua rappresentazione. Al di là dei ben noti Damien Hirst e Maurizio Cattelan, la questione dell’animalità – intesa come testa d’ariete per abbattere
la barriera che ci separa dall’alterità tutta – attraversa il lavoro di numerosi
artisti la cui ricerca non verte in particolare su quel tema. Tutto conduce
all’animale, si potrebbe dire, ma come? Attraverso quali snodi del pensiero
l’antispecismo filosofico sconfina, transita e si trasforma nell’animalismo
contemporaneo, ovvero nella questione dell’animalità?
Un recente intervento di Giovanni Aloi, segna un punto fondamentale in
un dibattito che, abbandonate le tavole rotonde e i pochi timidi gruppi di
Animal Studies, si va affacciando nel mondo dell’arte. In Animal Studies
and Art: Elephants in the Room,15 Aloi affronta gli “elefanti” metaforici
che ingombrano il campo di un confronto moderno e aperto sul rapporto
tra il pensiero contemporaneo e l’animalità, come definito poche righe qui
sopra: “l’animalismo non è una parte della filosofia contemporanea: l’animalismo è la filosofia contemporanea o, meglio, l’animalismo è il contemporaneo”. Secondo Aloi, molti degli studi sull’animale nell’arte contemporanea non tengono conto della complessità etica ed estetica e, aggiungiamo
noi, dell’incompatibilità di fondo tra molte importanti opere d’arte e i diritti
degli animali non umani. Basterebbe seguire le linee guida alla “Dichiarazione Universale dei diritti degli animali”, pubblicata nel 1977 a Parigi per
14
15
Dichiarazione dell’artista durante l’incontro a Casa Cavazzini Museo d’Arte
Moderna e Contemporanea di Udine, 2 luglio 2015.
G. Aloi, Animal Studies and Art: Elephants in the Room, in «Antennae. The Journal
of Nature in Visual Culture» marzo 2015, scaricabile da http://www.antennae.org.
uk. Su una posizione diametralmente opposta, seppur specifica rispetto al contesto
americano e alla storia dell’autore, si veda S. Best, Ascesa e caduta dei Critical
Animal Studies, in «Liberazioni»: http://www.liberazioni.org/articoli/BestS-Asce
saECadutaDeiCriticalAnimalStudies.pdf.
268
Bestie, filosofi e altri animali
rifiutare la maggior parte della produzione visiva contemporanea su questo
tema. La Dichiarazione, infatti, oltre a non contemplare lo sfruttamento
degli animali per qualsivoglia attività ricreativa per l’uomo (Articolo 10)
contempla anche il rispetto per il cadavere dell’animale, spesso utilizzato
in performance o opere che lo utilizzano come materiale di supporto.
Il punto fondamentale che il testo di Aloi porta all’attenzione, però,
è che la complessità tematica sollevata dall’ingresso del corpo animale,
dell’animale vivo, o della sua uccisione, esige che le risposte da parte di chi
si occupa di questo tema, siano altrettanto complesse. Non buttare l’acqua
sporca e il bambino implica, in questo caso, che il lavoro di artisti come
Hermann Nitsch o Damien Hirst non debbano essere giudicati come inappropriati tout court dalla maggior parte degli Animal Studies (come oggi,
appunto, accade di frequente) ma che l’atto di “acknowledging” (prendere
atto) e quello di “praising” (approvare) debbano essere tenuti separati per
trarre eventualmente un sapere storico e teorico su quello che certi lavori
hanno da raccontarci sugli animali. Ma questo agire è possibile nella cornice filosofica che stiamo esplorando?
4. Animalismo contemporaneo: qualche sfumatura di blu di Prussia
L’animale è da sempre presente nella storia dell’arte ovviamente come
soggetto/oggetto dall’arte classica in poi, ma anche nella prima opera d’arte che l’umanità ricordi: l’arte parietale nella Grotte di Lascaux. Meno ovviamente l’animale, il suo corpo, sono presenti come materia dell’arte: dai
derivati dell’uovo presenti nella tempera, al siero bovino usato per il blu di
Prussia fino ai pennelli realizzati in setole di maiale e via discorrendo.16 Ma
è solo di recente che i due livelli di significato “protezione degli animali”
e “teoria dell’animalità” si sono incontrati, raramente scontrati, più spesso ignorati. Casi celebri come appunto le vicende che hanno coinvolto il
sopracitato Hirst oppure la recente mostra di Hermann Nitsch rifiutata dal
Museo Jumex di Città del Messico, hanno comportato lo schieramento di
forze su due postazioni ben definite: “non si deve mai usare il corpo dell’animale, in qualsivoglia forma, in arte” contro “non si deve mai attentare
alla libertà dell’arte”, ovvero l’arte è al di là o al di sopra o prima dell’etica.
Ma è possibile, ed è sensato, cercare di analizzare e criticare alcune ope16
Cfr. L. Caffo; V. Sonzogni, Food as social object: ontology, ethics and art,
intervento alla conferenza «Minding Animals 3», Nuova Delhi, gennaio 2015 e
G. Aloi, Animal Studies and Art: Elephants in the Room, cit.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
269
razioni sulla base di un rapporto maturo e profondo con il mondo dell’animale non umano, evitando di censurare il lavoro intellettuale degli artisti
ma anche di concedere loro “tutto” (che è comunque un “tutto” che include
i dominati, mai i dominatori)? In fondo, un mondo in cui si può far tutto,
non è detto che sia il migliore dei mondi in cui vivere. Se questo variegato
scenario dell’etica contemporanea – e di molte discipline con cui la storia
dell’arte si incrocia nel tentativo di antropodecentrarsi – ci fornisce degli
strumenti effettivi per tentare di far avanzare la discussione, vale la pena
anche ripartire dal fatto, ormai acclarato, che noi e loro siamo individui,
abbiamo delle storie personali, gusti e aspettative, e che sono soprattutto la
volontà di godere e quella di non soffrire ad accomunarci.
4.1 Animalismo e dolore
Immaginiamo di dover redigere, tra cento anni o più, il capitolo di un
manuale, basato sul “The argument from relevance” – che ormai conosciamo bene17 in cui si selezionano alcune opere d’arte prodotte da un artista
umano che includono la presenza di una animale non umano. Sulla base di
queste indicazioni etiche analizzeremo alcune opere d’arte che esplicitano
visivamente le affermazioni di Hare:
a) We should make our decisions on the basis of what is relevant to the
effects they will have.
Nell’opera Helena & El Pescador, 2000, già utilizzata ampiamente come
case study,18 l’artista cileno Marco Evaristti situa, dentro dieci frullatori
Moulinex, dei pesci rossi vivi. Gli spettatori, con un gesto, possono attivare
il frullatore, decidendo così della sorte del pesce. Il significato dell’opera è
indagare tre tipi di persone: il sadico, il guardone e il moralista a partire dai
singoli atteggiamenti rispetto all’opzione di premere il bottone di avvio. I
frullatori erano effettivamente collegati alla corrente e rimasero attivi, nonostante l’ingiunzione, da parte della polizia danese, di scollegarli poiché lesivi del benessere animale. Il processo, in seguito a perizie che dimostrarono
che i pesci morivano istantaneamente uccisi dalla lama e che comunque essi
17
18
Cfr. nota numero 9.
Cfr. la ricostruzione dell’opera in G. Aloi, Art & Animals, I.B. Tauris, Londra e
New York 2012, pp. 121-122 e S. Baker, Artist / Animal, University of Minnesota
Press, Minneapolis e Londra 2013, pp. 16-19. Un resoconto è presente in dettaglio
sul sito web dell’artista: http://evaristti.com/index.php/helena.
270
Bestie, filosofi e altri animali
non possiedono coscienza ma solo sensi, risultò a favore del direttore che
non dovette pagare la multa. Il bottone fu premuto alcune volte.
b) When we respect someone, we take into account how our decisions can
harm or benefit them, and try to benefit and not harm.
Per evadere dagli stretti confini della pratica artistica e volgere la propria
ricerca verso l’azione, Hans Haacke in Ten Turtles Set Free, 1970, acquista
dieci tartarughe in un negozio di animali e le libera in un bosco vicino alla
Fondation Maeght, a Saint-Paul de Vence.19 Questo lavoro fa parte, insieme ad altre opere come Chicken Hatchings del 1969, di un corpus di lavori
in cui l’artista costruisce gesti artistici le cui conseguenze sono in toto o
in parte fuori dal suo controllo. L’opera consiste nella documentazione del
rilascio degli animali sul territorio. Non sappiamo cosa ne sia stato delle
tartarughe.
(c) What is relevant to someone being benefited or harmed is their capacity
to be benefited or harmed.
In Infinity Kisses, 1981-7 e 1990-98, l’artista e performer americana Carole Schneemann esplora in assieme ai propri gatti Cluny prima e Vesper
poi, un possibile terreno di intersezione della sensualità e del piacere umano e non-umano.20 Baci, carezze ed effusioni assumono una nuova connotazione, mettendo in crisi la sensibilità carnofallogocentrica e l’erotismo
eterosessuale e riproduttivo. Sconfinando reciprocamente nell’altrui corporeità, la Schneemann e i suoi gatti danno vita a un’indagine sui tabù e sui
confini di specie e di genere, culminata nel film del 2008, Infinity Kisses
– The Movie. Entrambi i gatti sono stati compagni della vita dell’artista e
non solamente usati per la realizzazione dell’opera.
(d) We should respect those who can be benefited or harmed.
Alcuni animali non umani sono stati uccisi durante alcune azioni artistiche di rilievo per la letteratura artistica: Ana Mendieta, Untitled (Chicken
Piece), 1972; Kim Jones, Rat Piece, 1976; Adel Abdessemed, Don’t Trust
19
20
W. Grasskamp ( a cura di), Hans Haacke, Phaidon, Londra 2004, p. 42 e sgg.
R. Riley, Infinity Kisses, in Carolee Schneemann, Imaging Her Erotics. Essays,
Interviews, Projects, MIT Press, Londra e Cambridge 2002, pp. 263-265. Per
un’analisi del bacio interspecifico si veda L. Turner, When Species Kiss: Some
Recent Correspondence Between Animots, in «Humananimalia», 2:1, pp. 60-85.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
271
Me, 2007. Nella prima opera che consiste in un video installato a monitor,
l’artista cubana cosparge in proprio corpo con il sangue di un pollo appena
decapitato.21 Nella performance di Jones, alcuni topi vengono bruciati vivi
in una gabbia, a più riprese.22 Nel terzo lavoro, sei video in loop mostrano
alcuni animali mentre vengono uccisi brutalmente a colpi di martello davanti alla telecamera.23
In queste tre opere alcuni individui non umani vengono uccisi nel contesto dell’opera e pertanto la registrazione della loro morte non può essere
compresa come pura documentazione, ma deve essere inclusa tra le opere
che hanno scientemente danneggiato esseri senzienti. Questa appare essere
la china più scivolosa, in cui libertà creativa ed etica si scontrano in maniera inevitabile.
Se dobbiamo rispettare coloro che possono beneficiare o soffrire in seguito alle nostre azioni, alcune opere, però, sembrano appartenere ed eccedere questa categoria, allo stesso tempo. Nell’opera Art Farm del 2004,
l’artista Wim Delvoye ha tatuato alcuni maiali ai quali, una volta morti
naturalmente, verrà asportata la pelle per essere venduta come opera d’arte,
talvolta reinstallata su un’anima in fibra che simula il corpo dell’animale.24
Grazie alla loro trasformazione in future opere d’arte, questi individui senzienti hanno avuto la garanzia di una lunga vita, seppur disturbata da un
tatuaggio, male certamente minore del mattatoio…o no? Quali sono i limiti
entro i quali l’etica contemporanea e l’animalismo come contemporaneo
devono e possono estendersi? Queste opere si pongono come oggetti chiave per la riflessione etica e artistica attorno all’animalismo come filosofia
del contemporaneo.
PARTE SECONDA
(4) We should respect those who can be benefited or harmed.
(5) Sentient beings are the ones that can be benefited or harmed.
Nella parte seconda dell’argomentazione di Hare, proviamo per un
istante a estendere il campo alla sfera dell’umano, analizzando un’opera
21
22
23
24
Cfr. la scheda dell’opera su Electronic Arts Intermix http://www.eai.org/title.
htm?id=13680
Cfr. l’analisi di S. Baker in Artist / Animal, cit. pp. 4-12.
Adel Abdessemed: Situation and Practice, MIT List Visual Arts Center, LondraCambridge 2009, pp. 15-16.
Wim Delvoye. Artfarming, Recta Publishers, 2008 e Pigs, Cultureel Ambassadeur
Van Vlaanderen, Bruxelles 1999.
272
Bestie, filosofi e altri animali
d’arte, o considerata tale, prodotta da un umano attraverso l’utilizzo di un
altro umano vivo.
Alla Biennale di Venezia del 1972 Gino De Dominicis allestisce una sala
che include “l’opera” (e qui le virgolette sembrano un imperativo morale,
quasi più che nei paragrafi precedenti) 2˚ soluzione di immortalità (L’universo è immobile), composta da molti elementi, incluse precedenti opere dell’artista, oltre a un giovane ragazzo portatore di sindrome di Down, Paolo Rosa,
conosciuto volgarmente per molti anni come “il mongoloide di De Dominicis” che però fu presto sostituito da una bambina.25 Nelle intenzioni dell’artista, il ragazzo down avrebbe dovuto simboleggiare l’immortalità, l’assenza
di ricordi del passato e di proiezioni future. Nella stessa linea di pensiero, De
Dominicis aveva esposto nel 1970 un gattino corredato di didascalia relativa
alla sua indagine sull’immortalità e, ancora su questo binario, avrebbe organizzato, nel 1975, una mostra riservata agli animali, in cui il pubblico era
composto da un bue, un asino e altri non umani, spiati dal pubblico, tenuto
fuori dalla galleria di Lucrezia De Domizio a Pescara. Gli individui come Paolo Rosa o gli animali invitati nella galleria rappresentano per De Dominicis
lo stesso strumento che veicola l’incoscienza della morte e pertanto incarna,
nelle sue messe in scena, il tanto vagheggiato concetto di immortalità.
In seguito a una sollevazione dell’opinione pubblica, i genitori querelarono
l’artista adducendo come motivazione quella di non aver compreso il reale scopo del coinvolgimento del loro figlio. L’artista fu assolto “perché il fatto non
sussiste”.26 Suonano ancora attuali le antiche parole di Pier Paolo Pasolini che
dalle pagine de “Il Tempo” del 25 giugno 1972 tuonava contro il vuoto della
(sotto)cultura italiana, contro la svalutazione operata in un contesto caratterizzato dal qualunquismo più sfrenato e da una confusione ideologica che aveva
permesso che un portatore di sindrome di Down fosse lasciato dall’artista, ma
anche dai suoi stessi genitori, alla mercé di sguardi che non vedono.27
A Roma, pochi anni prima, Jannis Kounellis “espone” l’opera Senza titolo (12 cavalli), 1969, presso la galleria L’Attico. Nella volontà di indagare
25
26
27
Cfr. E. Charans, Gino De Dominicis. 2ª soluzione di immortalità (l’universo è
immobile), Scalpendi, Milano 2012.
Ibidem, p. 43.
L’opera fu riallestita nella cornice di Frieze Art Fair a Londra nel 2006 nello stand
di Wrong Gallery (un progetto di Maurizio Cattelan, Massimiliano Gioni, Ali Subotnick)con un’attrice portatrice di sindrome di Down, perfettamente consapevole del
suo ruolo. Nel rimettere in scena “eticamente” l’opera d’arte, se ne tradisce l’originario intento. Si veda: A. Somers Cocks, Wrong Gallery re-enacts 1972 performance
which outraged Italy and the Vatican A man with Down’s Syndrome will contemplate
three objects during Frieze, in «The Art Newspaper», 11 ottobre, 2006, p. 1.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
273
la realtà del materiale artistico e la sua presenza viva per eliminare la soglia
tra il reale e la rappresentazione, l’artista di origine greca tenta una ridefinizione dell’atto del mostrare facendo entrare nella Galleria L’Attico dodici
cavalli vivi.28 In una foto della vernice, si intravede De Dominicis, che si
guarda intorno sornione. L’opera è stata riproposta quest’anno alla Galleria
Gavin Brown di New York, generando uno strascico di commenti e articoli
completamente diversi dalla prima volta in cui l’opera fu proposta.29 Mentre
quasi quarant’anni fa, fu l’opera a creare interesse, il suo potenziale ora
sembra decaduto, come quello di un materiale radioattivo che a poco a poco
si scarica. Il cavallo che diventa supporto per l’opera d’arte non guadagna e
non perde, non soffre e non gioisce, in tal senso non vive e non muore: non
esiste nella negazione delle sue caratteristiche etologiche e di specie.
(6) We should respect sentient beings
A proposito del rispetto degli esseri senzienti, in vita e in morte, scriviamo nel nostro Un’arte per l’altro: “Il titolo di questo lavoro di Cattelan del
1997 è Novecento. Si tratta di un cavallo tassidermizzato al quale sono state
allungate le gambe durante tale processo. È un’“opera” impressionante,
di una potenza straordinaria, che rende visibile la forza di gravitazione e
l’inutilità dell’energia al tempo stesso e che, con il suo titolo, irride crudelmente al secolo passato. Contrariamente a quanto sostenuto dagli animalisti, che sovente hanno scritto al museo in cui è conservato per protestare
contro la sua esibizione, si tratta di un cavallo scelto quando era già morto.
[…] Del cavallo la provenienza si sa ed è simile a quella delle mummie del
British Museum: trattasi di morto. A proposito, quelle mummie a te danno
fastidio? Turbano la tua sensibilità o anche tu, come milioni di turisti, hai
scattato una foto ricordo a quei denti osceni che sporgono dal cranio?”.30
Se siamo cresciuti con l’idea che una mummia è un reperto museale al
quale si può scattare una fotografia, ci siamo dovuti negli anni adeguare al
pensiero che essa non lo sia – o almeno che non sia solo o più quello ma
anche altro. Le mummie del Museo Egizio del Cairo sono state collocate in
28
29
30
Cfr. G. Celant (a cura di ), Kounellis, Fabbri, Milano 1992, p. 130 e L. M. Barbero;
F. Pola (a cura di), L’attico di Fabio Sargentini, 1966-1978, Electa, Milano 2010,
pp. 42-45.
R. Smith, Review: Art That Snorts, From Jannis Kounellis, at Gavin Brown’s
Enterprise, in «The New York Times», 25 giugno 2015: http://www.nytimes.
com/2015/06/26/arts/design/review-art-that-snorts-from-jannis-kounellis-atgavin-browns-enterprise.html?_r=0
L.Caffo; V. Sonzogni, Un’arte per l’altro. L’animale nella filosofia e nell’arte,
Graphe, Perugia 2014, pp. 35-36.
274
Bestie, filosofi e altri animali
un’ala apposita dove è assolutamente vietato fotografare. Un reperto museale è ridiventato quello che è sempre stato: il cadavere di un individuo che
merita un atteggiamento improntato a scelte culturali, certo, ma soprattutto
etiche, anche dopo migliaia di anni. Anche per Novecento, un giorno – e
forse non troppo lontano – sarà così, tanto che già oggi, la sua esposizione
viene preceduta da una targa che avvisa gli spettatori di un possibile turbamento della loro sensibilità.
II
Il contemporaneo attraversa l’animalità: dall’uso dei corpi animali, ma
anche dall’immagine che degli animali utilizziamo, è possibile comprendere molte delle articolazioni dell’immagine dell’umano di oggi. Il dibattito
sugli Animal Studies è molte cose, una buona bussola per orientarsi nella
filosofia che ne analizza principi e parametri è quella che segue:
Animal Studies:
Animal Cognition Filosofia – Animalità
Etica Animale
Disciplina
principale
Scienza
Politica (questioni
normative)
Quali domande? Cosa sanno fare
gli animali non
umani?
Filosofia (ontologia)
Che cos’è l’animalità? Gli animali hanno
Cosa significa essere diritti? Quali sono
animali?
gli argomenti per la
liberazione animale?
Le tre polarità degli Animal Studies – Animal Cognition, Filosofia
dell’animalità ed Etica Animale – pongono problemi assai diversi e, ogni
grappolo di tali problemi, costituisce un complesso settore di studi. Gli
Animal Studies arrivano dopo ognuna di queste tre discipline facendo tesoro delle diverse/rispettive acquisizioni e considerando, successivamente, il
problema dell’animalità alla luce di queste differenti articolazioni. Il tabellone serve a evitare ogni confusione ma anche, e sopratutto, per cominciare
a fare ordine tra le varie questioni che sono oggetto degli Animal Studies.
Animal Cognition
Quando Jane Goodall, sono gli anni ’60, comincia a studiare gli scimpanzé del Gombe Stream National Park,31 in Africa, degli animali non
31
Il resoconto di questi studi è in J. Goodall, L’ombra dell’uomo, Castelvecchi,
Torino 2014.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
275
umani – ovvero delle loro capacità – sappiamo poco e niente. Certo il primo etologo è Aristotele, collegato con da un filo rosso a La Mettrie, per
non parlare di Köhler, eppure si segua quanto stiamo per dire. La Goodall,
giovane ricercatrice (dottoranda in etologia) di Cambridge, sta per scoprire
un mondo inesplorato – questo mondo è l’Animal Cognition orientata da
dei principi etici (seppur ancora molto deboli) che, nel suo caso, opera in
condizioni ecologiche (animali nei loro ambienti naturali), piuttosto che in
laboratorio. Cartesio è autore di uno strano paradosso: proprio negando una
dimensione cognitiva agli animali non umani, soprattutto nelle sue Meditazioni Metafisiche, ha costretto generazioni intere di filosofi, psicologi e
neuroscienziati a lavorare sulla verifica di questo suo argomento. Ciò che
ne è venuto fuori, malgrado la buona argomentazione di Cartesio – che agli
animali riservò il paragone con gli orologi rotti –, è che i confini tra umano
e non umano, proprio a partire da alcune essenziali proprietà individuate
dal cartesianesimo, sono assai sfumati. L’Animal Cognition, nelle sue varie
articolazioni, ha un funzionamento di questo genere:32 si individuano capacità cognitive essenziali nella specie Homo Sapiens che, intuitivamente,
potrebbero essere rintracciate anche in altre specie – come il linguaggio,
la teoria della mente, la coscienza, l’autocoscienza, ecc. Si costruiscono
esperimenti volti a indagare tali capacità anche in altre specie animali – e il
tutto, tendenzialmente, può procedere alla luce di uno dei due paradigmi33
(entrambi già falsificati sulla base del lavoro svolto nella prima parte di
questo capitolo) che seguono:
A) Dimensione comparativa “migliore/peggiore”: individuate certe caratteristiche nell’umano si utilizza, il paradigma umano stesso, per giudicare ed elaborare teorie sulla base dei risultati e dei riscontri di cognizione
in altre specie animali;
B) Dimensione non relazionale: si osservano le capacità degli altri animali al di là di un confronto con le capacità di Homo Sapiens. Questa tradizione che ha le sue origini negli studi di Jakob von Uexküll,34 contesta che
umani e animali (e, in generale, le diverse specie) vivano negli stessi spazi
senso/motori: ogni paragone è impossibile e falsa le indagini.
32
33
34
Si vedano i saggi contenuti in J. Smith, A. Mitchell, Experiencing Animal Minds:
An Anthology of Animal-human Encounters, Columbia University Press, New
York 2012.
Mi sono concentrato sulle differenze di tali paradigmi in Caffo (2014).
Cfr. J. von Uexküll, Ambienti animali e ambienti umani: una passeggiata in
mondi sconosciuti e invisibili, Quodlibet, Macerata 2010.
276
Bestie, filosofi e altri animali
Infine si decreta se una determinata specie – diciamo S1 – ha o non ha
una determinata capacità – diciamo C1. A questo livello siamo a una pura
procedura scientifica, scevra da implicazioni filosofiche o etiche e, non a
caso, si riguardi il tabellone in tal senso, la domanda che regola queste
indagini è: “cosa sanno fare gli animali non umani?”. La risposta banale è
che gli animali non umani sanno fare tante cose, proprio come gli umani,
quella meno banale è che il nostro stereotipo sui non umani si trova a dover
affrontare alcune prove, così dure, da costringerci a ripensare anche la nostra idea di umanità. In un certo senso uno studioso di cognizione animale,
ante-litteram, fu Charles Darwin con la sua Sull’origine delle specie per
mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella
lotta per la vita del 1859: per la prima volta (da uno scienziato e non da un
filosofo) viene mostrato come, tra noi e gli animali, non vi siano differenze
qualitative e quantitative tali per cui sia possibile immaginare l’umanità
come una scatola, isolata dalle altre, per capacità e potenzialità. Il nostro
stereotipo sugli animali, infatti, è inversamente proporzionale allo stereotipo di umano: noi siamo gli unici esseri parlanti, pensanti, sofferenti, ecc.
Gli studi della Goodall sono solo alcuni, tra le infinite ricerche, che hanno
mostrato scimmie parlanti, mammiferi con teoria della mente o pappagalli
in grado di contare.35 Ma questo non è un capitolo su Animal Cognition ciò
che è interessante, infatti, in questa sede, è capire che valore filosofico attribuire a tali ricerche e perché sono poi diventate patrimonio non negoziabile
dei contemporanei Animal Studies.
In primo luogo l’Animal Cognition ha mostrato, scientificamente, una
cosa che Jacques Derrida aveva teoricamente evidenziato: dietro la parola
singolare “animale” si celano infinite specie, miliardi di individui, in grado di compiere attività diversificate, e possessori di molteplici proprietà,
su cui troppo poco, e troppo velocemente, abbiamo ragionato. In secondo
luogo ha sfatato il falso mito dei confini insfumabili e decisivi dell’umanità
e qui, infatti, si è insediato il primo progetto che ha anche rotto i confini tra
due delle caselle della nostra tabella: Animal Cognition ed Etica Animale.
Siamo nel 1993 quando Paola Cavalieri e Peter Singer si fanno promotori
del Great Ape Project,36 un’associazione internazionale che si propone di
ottenere, da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, una Dichiarazione dei Diritti delle Grandi Scimmie, tale da estendere anche ai primati
superiori (oranghi, bonobo, gorilla e scimpanzé) i diritti della specie Homo
35
36
Molti di questi studi sono descritti nell’ottimo manuale di F. Cimatti, Mente e linguaggio negli animali. Introduzione alla zoosemiotica cognitiva, Carocci, Roma 2012.
Cfr. P. Cavalieri, P. Singer, Il Progetto Grande Scimmia, Theoria, Roma 1994.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
277
Sapiens. L’idea è, finalmente, quella di ribaltare l’argomento di Cartesio
colpendolo dove più nuoce: le implicazioni etiche. Se non si danno diritti
a qualcuno solo perché incapace di linguaggio o teoria della mente allora,
se qualcuno che prima non si riteneva in grado si scopre capace di tali
attività, siamo costretti a riconoscergli i diritti prima negati – è la prima, e
imponente, rottura scientifica dei confini morali tra umani e non umani. Su
questa ibridazione tra i due lati opposti della nostra tabella si inserisce il
primo tassello degli Animal Studies, proprio a partire dall’antenato Animal
Cognition: non esistono animali umani e non umani – esistono gli animali – umani, maiali, mosche, vermi, il nostro essere speciali è un costrutto
sociale, figlio di stereotipi che vanno sfatati.
Filosofia dell’animalità
Questo essere tutti animali, per parafrasi, significa condividere tutti la
proprietà “animalità – proprietà necessaria, biologicamente, ma filosoficamente problematica. Fare una filosofia dell’animalità può voler dire molte
cose – dal ragionare sugli argomenti con cui ci siamo distanziati come
umanità, fino a concepire una diversa soggettività rispetto a quella “inclusiva/esclusiva” tipicamente umana. Se l’Animal Cognition rappresenta
la fetta scientifica degli Animal Studies, l’animalità ne è quella filosofica:
come la filosofia del linguaggio indaga condizioni di possibilità, principi e
parametri del linguaggio, e idem quella della mente, così la filosofia dell’animalità – anche questa disciplina filosofica specialistica – indaga l’animalità come oggetto filosofico ed è, essenzialmente, si guardi sempre la
nostra tabella, un’indagine ontologica. Se si prende in mano l’insuperabile
Categorie di Aristotele si entra, immediatamente, in media res:
Vivente
Vegetale
Volatile
Animale
Acquatico
Terrestre
Quadrupedi
Bipide
Uomo
278
Bestie, filosofi e altri animali
Lo schema ad albero ripropone una classica tassonomia aristotelica,
contro quella di matrice platonica basata sull’istanziazione delle idee in
particolari (ciò che oggi arriva fino al modello “type/token”),37 in cui dal
vivente si scende, per particolari, fino all’umano. Questa immagine ontologica ci permette di introdurre, per la prima volta, tre approcci metafisici
all’animalità – nati in senso alla sua filosofia – che a nostro avviso ci accompagneranno nel futuro della ricerca in tal senso:
A) Identità: teoria che cerca di comprendere in cosa i diversi enti, umani
e/o animali, siano tra loro identici soffermandosi, idealmente, su ciò che
esiste prima di biforcazioni che tendono a diversificare. Per esempio animali diversi tra loro accomunati per capacità quali “sofferenza”, “linguaggio”, “vita mentale”, ecc.
B) Differenza: teoria che cerca di comprendere e valutare le differenze
tra i diversi enti, umani e/o animali, soffermandosi sulla tesi che la diversificazione è talmente vasta e complessa che non abbiamo elementi per
ragionare sull’identità, se non metaforicamente o strumentalmente, degli
enti in questione.
C) Indistinzione: teoria che contesta alla radice la tassonomia ontologica degli enti viventi: non abbiamo, e non dobbiamo per motivi morali,
organizzare il vivente attraverso una teoria delle categorie. Questo apparentemente strampalato approccio metafisico ha antenati nobili: si pensi al
topos dell’indicibilità già di derivazione omerica. Dinnanzi a «qualcosa di
immensamente grande o sconosciuto, di cui non si sa ancora abbastanza o
di cui non si saprà mai»,38 è meglio o tacere, o fare elenchi e liste approssimative che mirino, comunque, all’indistinto indefinito.
Crediamo sia necessario comprendere le condizioni primarie per una
filosofia dell’animalità e in che senso, dunque, si discuta di ontologia. Se
decidiamo di fare una filosofia/teoria dell’animalità dobbiamo, prima di
tutto, operare una scelta di campo – tale scelta, tra uno dei tre paradigmi
in questione, condiziona tutte le operazioni successive – etiche, normative,
scientifiche (si noti il parallelismo con i due paradigmi isolati nell’Animal
Cognition), ecc. Come abbiamo detto, inserendo la domanda nella casella del nostro tabellone, la questione è “che cos’è l’animalità?” – considerando, dunque, lo schema aristotelico che abbiamo riportato significa, per
37
38
Cfr. L. Wetzel, «Types and Tokens», in The Stanford Encyclopedia of Philosophy
(Edizione primavera 2014), a cura di Edward N. Zalta (online).
U. Eco, Vertigini della lista, Bompiani, Milano 2009, p. 49.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
279
parafrasi, cosa si prova a stare nella casella “animale” e, solo dopo, comprendere attraverso una delle tre teorie appena esposte il fenomeno della
selezione in categorie diverse che particolareggiano l’animalità. La filosofia dell’animalità è il cuore pulsante degli Animal Studies, ed è al centro
della nostra tabella, perché consente subito di ragionare sulla interdisciplinarità che degli studi animali è caratterizzante. Innanzitutto ci permette di
operare una distinzione che sarà fondamentale per tutto il lavoro di ricerca
su questi temi, ovvero, quella tra animale e umano intesi, da un lato come
oggetti naturali, dall’altro come oggetti sociali. Prima di tutto definiamoli:
• Oggetti naturali (laghi, pianeti, ecc.,) esistenti nello spazio-tempo in
modo del tutto indipendente dai soggetti che li conoscono, anche se talvolta possono cadere nella sotto-categoria di “artefatti” (tavoli, lampadari,
ecc.);
• Oggetti sociali (denaro, cittadini, ecc.,), privi di esistenza spaziale, ma
con una chiara durata temporale (ad esempio la lira italiana, oramai in disuso), dipendenti dai soggetti che vi accedono.
Poi vediamo di usare queste due categorie per la distinzione di cui stiamo parlando:
• Umani/Animali come oggetti naturali: si intendono gli individui nella
loro esistenza biologica, indipendentemente da come vengano concettualizzati, e al di là delle interpretazioni corrette o scorrette che su di essi
possiamo avere;
• Umani/Animali come oggetti sociali: si intendono i ruoli e le convenzioni connesse che negli individui biologici hanno il loro supporto materiale. In questo contesto (e mai nel caso degli oggetti naturali) vale il detto
di Michel Foucault «l’uomo è un’invenzione recente» – nel senso che ci si
riferisce non a cosa uomini o animali sono, ma cosa si pensa tali individui
siano.
Prima facie, una filosofia dell’animalità serve proprio a indagare che
relazione esista tra queste due diverse caratterizzazioni di animali umani
e non umani. Se nel caso degli oggetti naturali siamo dinnanzi a batterie
argomentative di ordine scientifico nel secondo, ovviamente, entrano in
gioco una serie di considerazioni politiche che gli Animal Studies acquisiranno come componente primaria. Come e perché si passa da una distinzione biologica a una gerarchia morale? E in che modo questa distinzione
politica influenza la nostra esistenza? Ma per rispondere a queste domande
280
Bestie, filosofi e altri animali
abbiamo ancora tempo – prima, così possiamo poi cominciare a esplorare
gli Animal Studies, osserviamo la terza polarità della nostra tabella – quella
su cui abbiamo tanto detto nella prima parte del capitolo e a cui ora diamo
un degno posizionamento.
Etica Animale
L’etica animale è la regina indiscussa della nostra tabella almeno per
due motivi: popolarità e capacità di traino delle altre polarità degli Animal
Studies. Non è un caso che ancora molti credono che occuparsi di Animal
Studies significhi, essenzialmente, pronunciarsi in favore dei diritti degli
animali non umani. L’etica animale è la disciplina che problematizza lo status morale degli animali non umani e, anche in questo caso, sono possibili
approcci radicalmente diversi al problema (che, in parte, abbiamo già visto). La domanda che guida questa disciplina è “gli animali hanno diritti?”
oppure, in prospettive che contestano l’applicabilità di nozioni normative
come “i diritti” agli animali non umani la domanda diventa, piuttosto, “gli
animali possono o non possono essere sfruttati dagli umani?”. La storia
dell’etica animale è una storia recente e poco senso ha, davvero, rifarsi
a Plutarco, ai Pitagorici, ecc. La questione, lo abbiamo detto, si sviluppa
organicamente dal 1975 con la pubblicazione del libro Animal Liberation
da parte del filosofo utilitarista Peter Singer che si chiede “esistono buoni
argomenti per non dare gli stessi diritti ai non umani che diamo agli umani?”. Con questa domanda le caselle della tabella sgretolano i loro rispettivi
confini, si fondono, e cominciano a fare da battistrada agli Animal Studies.
Si segua il ragionamento.
Il motivo per cui Singer e poi, più in generale gli etici animali, possono
farsi la domanda in questione è che tutta una serie di stereotipi sugli animali – proprio grazie all’Animal Cognition, per esempio – cominciano a
vacillare. Il caso standard è quello della sofferenza – ma le cose non sono
semplici come potremmo pensare. Si ripensi all’argomento cartesiano accennato precedentemente: gli animali sono degli automi. L’argomento di
Cartesio ha un funzionamento e una struttura di questo genere:
Premessa A: Gli animali sono automi (perché privi di linguaggio);
Premessa B: Se gli animali sono automi, allora sono privi di stati mentali;
Premessa C: Se gli animali sono privi di stati mentali, allora sono privi
anche dello stato mentale del dolore;
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
281
Premessa D: Se gli animali sono privi dello stato mentale del dolore,
allora, non hanno status morale;
Conclusione: Se gli animali non hanno status morale è giustificato per
noi, allora, abusare di loro per diversi motivi (abbigliamento, ricerca, divertimento e alimentazione).
L’argomento cartesiano è problematico in più premesse (a cominciare
dalla A) ma è sulla scoperta che gli animali possano soffrire che Peter Singer, e molti altri, muovono una strada antagonista al cartesianesimo. Se non
avessimo idea del fatto che gli animali soffrono, effettivamente, fare etica
animale sarebbe, ne più e ne meno, come fare etica del nostro frullatore.
Per cui è da una scoperta scientifica (prima casella della tabella), problematizzata alla luce della filosofia (seconda casella), che si passa considerazioni di ordine etico e normativo (terza casella). Se nel caso scientifico,
o filosofico, tuttavia la “rottura dei confini” rimane più problematica nel
caso etico, invece, i confini tra umano e non umano sfumano del tutto: il
nostro preconcetto sulla superiorità morale di Homo Sapiens è, finalmente,
in pericolo. Molto spesso questa strategia è stata definitiva “espansione del
cerchio dei diritti” perché, idea di base, è che esista già una zona inviolabile dei diritti umani in cui poi, in un secondo momento, inseriamo anche
i non umani – capito che i motivi per includere i primi non sono diversi da
quelli per includere i secondi. Questa è una strategia controversa e spesso contestata e tutto il ragionamento che potremmo fare, in tal senso, è
speculare alle categorie metafisiche isolate per la filosofia dell’animalità:
identità, differenza e indistinzione. Vediamo, ancora una volta, nel dettaglio quelle che sono, in questo caso, le correlazioni etiche delle categorie
precedentemente isolate:
A) Etica identitaria: teoria etica secondo cui, sulla base di un nucleo di
enti già portatori di diritti e status morale riconosciuti, individua le caratteristiche essenziali di tale riconoscimento affinché, trovate anche in enti
prima esclusi da tale nucleo, si possa consentire anche l’inserimento di tali
enti.
B) Etica della differenza: teoria etica che contesta alla radice l’idea che
si possa dare status morale a certi enti non valorizzandone le specificità
quanto, piuttosto, appiattendone le caratteristiche entro un analogo identitario con enti il cui status morale è già riconosciuto. L’etica deve problematizzare le differenze e comprendere che è impossibile passare, argomentativamente, da differenze estrinseche (biologiche, per esempio) a differenze
morali.
282
Bestie, filosofi e altri animali
C) Etica dell’indistinzione: teoria etica che contesta alla radice qualsiasi paragone tra enti diversi per promuovere una qualche elaborazione
morale/normativa. Il problema sta alla radice: nel fare un’etica – prendendosi un diritto che non è giustificabile in partenza (decidere della vita
altrui).
Basti comprendere come, anche per l’etica animale, le cose sono assai
più complicate di come potrebbero intuitivamente sembrare. E cominciamo dunque, infine, a vedere nello specifico come queste tre polarità esposte
articolino la questione filosofica degli Animal Studies che è, infatti, in senso aristotelico, assai più vasta delle parti che la compongono.
La questione filosofica degli Animal Studies
Ermeneutica
La questione filosofica degli Animal Studies emerge nel momento in
cui, attraverso il loro filtro, sezioni intere della filosofia appaiono sotto
una luce nuova e inaspettata. Una filosofia degli Animal Studies è, essenzialmente, una filosofia dei punti di vista che popolano il mondo: dovrebbe essere subito chiaro, dunque, perché l’ermeneutica – come teoria
dell’interpretazione – è immediatamente investita da questo settore. Nella
seconda edizione di Estetica Razionale Maurizio Ferraris, che dell’ermeneutica era stato uno dei maggiori teorici e sostenitori, sintetizza brevemente il nocciolo della questione: «c’è un mondo intero che non dipende
da quello che sappiamo, e non è affatto un mondo laterale o occasionale:
è il mondo in cui viviamo e che condividiamo con altri esseri viventi i
quali non condividono i nostri schemi concettuali»39 che significa, brevemente, che il nostro punto di vista è solo uno tra i molteplici possibili
sul mondo. Questo costringe a rivedere, del tutto, la maggior parte delle
nostre idee sul rapporto tra soggetto e oggetto – e, ancora una volta, più
o meno c’entra Cartesio e la sua eredità. Si consideri il classico rapporto
soggetto/mondo cartesiano:
39
M. Ferraris, Estetica Razionale (2°ed.), Raffaello Cortina, Milano 2011, p. 577.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
283
Soggetto
Mondo
Penso, dunque sono,
che, per parafrasi, significa: il mondo dipende dal pensiero. La frase di Ferraris, da sola, è esplicativa del perché tale rapporto è un assurdo filosofico ed è
anche, lo vedremo quando sarà il momento, ciò che garantisce all’antropocentrismo le sue condizioni di possibilità. Il riconoscimento di altri animali come
soggetti su cui, per esempio, è incentrata tutta la ricerca di Derrida nel suo
L’animale che dunque sono40 – è la base degli Animal Studies e, ovviamente,
il motivo per cui l’ermeneutica è costretta a reinvertarsi o, quantomeno, a
localizzare le sue pretese (diventando, per esempio, un’ermeneutica umana
– ma perderebbe di senso). Segue un aforisma che rappresenta, plasticamente, la versione dell’ermeneutica postmoderna che, tranquillamente, potrebbe
abbracciare visioni come quelle di Jean-François Lyotard o Gianni Vattimo:
Il soggetto comprende il mondo, quasi trascendendolo – non esisterebbe
senza il soggetto conoscente.
Il primo problema è che, in casi del genere, è sempre di soggetti umani
che stiamo parlando – l’ermeneutica, già nei suoi formulatori più celebri
come Hans-Georg Gadamer, è sempre una sorta di teoria della verità come
chimera irraggiungibile e soggettiva41 – una teoria dell’impossibilità della
traduzione tra lo sguardo e i suoi oggetti (gli oggetti dello sguardo sono
spesso interni al soggetto stesso, filtro insuperabile). Questo nega un pia40
41
(Derrida 2006).
Si veda soprattutto il classico (Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano
2000).
284
Bestie, filosofi e altri animali
no di realtà che trascende lo sguardo, se interpretiamo debolmente i suoi
assunti, oppure la rivaluta ribaltando la prospettiva. Questa seconda via è
quella inaugurata dal raggio degli Animal Studies – ogni occhio ragiona
a modo suo, e molteplici sono gli sguardi sul mondo – noi e gli animali
viviamo un mondo identico e che ci trascende, ma ognuno di noi ha un
mondo diverso – perché diversi sono gli apparati percettivi ed esponenziali
che alla realtà si approcciano. Interpretare è conoscere un mondo che c’è
già dato, e che condividiamo con altre menti, alla luce di un filtro specifico
che non ci rende superiori – ma diversi. Su questo “già darsi” del mondo
gli Animal Studies interpellano, e con loro noi, il campo primario della
filosofia: l’ontologia.
Ontologia
L’ontologia è la branca della filosofia che si occupa di rispondere alla
domanda “che cosa c’è?”.42 Per l’ermeneutica il collegamento era più chiaro mentre qui, se si esclude l’espressione sociale dell’ontologia di cui abbiamo già detto, il collegamento è più sottile. Ancora una volta è dal “punto
di vista” che dobbiamo partire: è l’umano a chiedersi cosa esiste, ed è dalla sua prospettiva che valuta possibili risposte. Si riporti alla mente l’immagine dell’uomo vitruviano di Leonardo da Vinci. Sappiamo bene come
questa rappresentazione non costituisca tanto, o soltanto, un canone ideale
per le costruzioni geometriche quanto, piuttosto, un metaforico manifesto
dell’antropocentrismo: il mondo a disposizione dell’umano. Tra le varie
teorie ontologiche “sul mercato” filosofico si presti particolare attenzione,
per adesso, alle seguenti:43
• COSTRUTTIVISMO: Approccio che considera la realtà come ontologicamente dipendente dal soggetto epistemico e dai suoi processi cognitivi.
Per esempio, in ontologia della matematica, è un approccio per cui gli enti
matematici sono realizzazioni concettuali del pensiero, esistenti solo nella
misura in cui sono ottenibili dimostrativamente in modo diretto
• NOMINALISMO: Teoria che nega l’esistenza di universali, intesi
come entità indipendenti (ad esempio non esiste la bianchezza, ma soltanto
questo foglio bianco, o quel muro bianco), sostenendo che universali sono
solo i nomi.
42
43
Cfr. W. V. Quine, On What There Is, in «Review of Metaphysics», 2 (1948/ 1949).
Entrambe le definizioni derivano da L. Floridi, G. Terravecchia, Le parole della
filosofia contemporanea, Carocci, Roma 2009.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
285
L’uomo vitruviano si innesta, come canone, in entrambi gli approcci. Da
un lato la realtà, stiamo parlando del costruttivismo, è dipendente dal soggetto conoscente – che è sempre un soggetto umano – mentre, dall’altro, lo
scudo del nominalismo, difende i suoi argomenti sostenendo che esistono
solo particolari concreti o “nomi” – e ancora una volta siamo noi gli arbitri
assoluti. Non sono certo concezioni interscambiabili, gravissimo pensarlo,
ma sono analizzabili sotto lo stesso filtro per quello che qui è interessante:
l’inventario del mondo è sempre, e soltanto, il “nostro” (ovvero di Homo
Sapiens, quando non è proprio di un Homo Sapiens). Più che oggetti che popolano il mondo esistono liste con cui lo sezioniamo: al di là della lista, niente – siamo a una sorta di reinvenzione del “non c’è fuori testo” di Derrida in
un diversamente antropocentrico, anche se filosoficamente più robusto, “non
c’è fuori lista”. Come abbiamo visto nel caso dell’ermeneutica filosofica, ancora una volta, introdurre altri soggetti portatori di mondo nel nostro sistema
di riferimento ontologico cambia, radicalmente, il nostro approccio ai problemi fondamentali della catalogazione dell’essere (l’ontologia, appunto).
Introdurre altri punti di vista nei nostri sistemi di riferimento, che abbiamo detto essere compito primario degli Animal Studies, conduce ad
arginare, o comunque a rielaborare, anche alcune delle principali teorie
ontologiche in filosofia. La realtà, almeno quella che non è espressione di
oggetti sociali da noi costruiti, è indipendente dai soggetti che vi si approcciano che, sicuramente la interpretano e vivono in modo differente, ma
questa differenziazione è possibile proprio perché, alla base, c’è un terreno
comune su cui tutti camminiamo. La vita, poi, diventa un differenziante
della realtà: e il realismo, forse, una chimera.
Estetica
Certo, i “punti di vista” saranno pure molteplici – ma c’è vista e vista,
penseranno in tanti. Che ne è, per esempio, del vedere – più in generale
del percepire – che sta alla base dell’estetica? La questione è: altri animali
nel nostro sistema di riferimento filosofico mettono in crisi anche l’idea,
più o meno accettata, che Homo Sapiens sia l’unico in grado di esperienza
estetica in senso tecnico? Sì, la risposta è secca.44 Ma va articolata. Siamo
sempre ancorati alla questione del rapporto “soggetto-mondo” che è, non
serve ripeterlo, la questione fondamentale della filosofia. L’estetica è spesso maldestramente intesa come sinonimo di “filosofia dell’arte” mentre è,
44
L’argomentazione migliore su cui la nostra ricostruzione, più o meno, si basa è in
F. Cimatti, Una bestiale sovranità, in «Liberazioni: rivista di critica antispecista»,
5: 2011, pp. 38-52.
286
Bestie, filosofi e altri animali
invece, primariamente legata alla ƠѷƱƧƦƱƨư, ovvero alla “sensazione”, e ha
le sue radici nel verbo ƠѳƱƧнƬƮƫƠƨ – che significa “percepire attraverso la
mediazione del senso”. Martin Heidegger sostenendo la povertà di mondo
degli animali è autore, contemporaneamente, e come spesso capita a chi
sostiene tesi filosofiche in modo confuso (in fatto di confusione argomentativa era un maestro), di un duplice sentiero che è possibile percorrere – (1)
gli animali, poveri di mondo, non percepiscono attraverso la mediazione
del senso – sono al di qua dell’estetica; (2) gli animali – proprio perché
percepiscono senza mediazione dei sensi sono gli unici in grado di autentica esperienza estetica. La (2) è una strada che poco ci appare interessante
(ed è antropocentrica in modo palese) ma che in un capitolo, come questo,
sembra necessario riportare.
Il rapporto umano/mondo è sempre un rapporto di aspettative. Se andiamo a fare una passeggiata in un bosco ci aspettiamo una serie di cose
che, a prescindere dalla loro reale verificabilità, fanno si che non vi sia
autentico stupore qualora dovessero capitare. In un bosco un volatile potrebbe presentarsi dinnanzi ai nostri occhi con molta più facilità che in
una stanza d’albergo così come, in una galleria d’arte contemporanea, non
ci stupiremmo così tanto nel trovare un qualche animale tassidermizzato
per rappresentare qualche allegoria umana (stile Novecento di Maurizio
Cattelan – al Castello di Rivoli Museo d’ Arte Contemporanea). Questo
rapporto di aspettative è la spedizione umano/mondo che porta la realtà
a essere sempre estremamente concettualizzata per coloro che seguono
questa strategia (2), di derivazione heideggeriana, per gli animali avviene
invece l’inverso. La mancata separazione, e dunque concettualizzazione,
dal/del mondo permette agli animali di stupirsi, realmente, dinnanzi ai più
disparati accadimenti – questo “stupore”, che è percezione all’ennesima
potenza, garantisce autentica esperienza estetica al non umano.
Va da sé che basta quello che fin qui abbiamo detto per riconoscere l’antropocentrismo in questa concezione che, con la scusa di ridare agli animali
capacità di ƠѷƱƧƦƱƨư, li relega ancora una volta in un mondo stereotipato e
maldestro. Il punto filosofico in cui gli Animal Studies articolano questioni
estetiche è, a mio avviso, un altro. Si consideri la più classica delle illusioni
percettive – l’anatra/lepre. Sappiamo qual è il problema: l’occhio ragiona
a modo suo, non ci sono esperienze che tengano. Conosciamo l’illusione,
siamo coscienti che ci sono sia un’anatra che una lepre – ovvero una congiunzione, ma non possiamo che vedere la disgiunzione: o un’anatra, o una
lepre. Questa vittoria dei sensi sulla ragione è, esattamente, ciò che dobbiamo cercare nell’animalità: l’estetica è il terreno filosofico che davvero
congiunge animali. Gli Animal Studies sono la messa in scacco dell’idea
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
287
secondo cui la ragione – come emblema dell’umanità – sia metro e giudizio
di ogni cosa. C’è qui una questione, assai complessa, che risiede nella comprensione dell’animalità, come entità teorica, in grado di ricongiungere almeno funzionalmente la grande frattura concettuale che esiste tra i sistemi
di pensiero occidentali “logocentrici” e quelli orientali, prendiamo per non
essere vaghi quello cinese,45 in cui si dà risalto a un modo completamente
diverso di ragionare.
Riconsiderare l’animalità significa considerare un diverso modo di stare
e guardare il mondo (l’animalismo dunque è davvero il contemporaneo)
– non è un caso che molte delle filosofie orientali considerino gli animali
come soggetti integranti del mondo in modo assai più radicale che i sistemi
di pensiero occidentale – sta qui, forse, l’essenza della questione animale:
una rivoluzione di pensiero, prima che di comportamenti.
Morale
Dulcis in fundo, ovviamente, la morale. Quale sia lo sconvolgimento
assoluto degli Animal Studies rispetto all’etica è ormai ovvio e lo abbiamo
già detto: questa introduzione di altri punti di vista, infatti, non poteva
limitarsi alla pura dimensione speculativa (come in Derrida o Deleuze).
Decentrare la prospettiva, d’altronde, significa “curarsi” anche di soggetti
inaspettatamente presenti nel nostro sistema di riferimento. Ora, tradizionalmente, etica e morale non sono sovrapponibili:46 se l’etica è la regolamentazione dei comportamenti – distingue i buoni o moralmente leciti,
dai cattivi o illeciti – la morale ne è in qualche modo l’oggetto (anche che
se è controverso capire se le proprietà della morale possano essere completamente considerate come “oggetto” delle proposizioni dell’etica).47 Su
questi due piani, comunque, la prospettiva degli Animal Studies articola la
sua trasformazione: da un lato, infatti, impone di regolamentare i comportamenti non soltanto tra umano e umano, ma anche tra umano e animale
45
46
47
Fondamentale l’analisi che compie Anne Cheng a proposito della differenza
del pensiero cinese con quello occidentale in cui si procede per rivelazioni e
rielaborazioni di senso comune, piuttosto che per argomentazioni – cfr. A. Cheng,
Storia del pensiero cinese: Dalle origini allo «Studio del mistero», Einaudi,
Torino 2000.
Come è chiaro da About Ethics in P. Singer, Practical Ethics, Cambridge
University Press, Cambridge 1993, pp. 1-15).
Cfr. Kevin M. DeLapp, Metaethics, The Internet Encyclopedia of Philosophy:
http://www.iep.utm.edu/metaethi/#SH3b
288
Bestie, filosofi e altri animali
mentre, dall’altro, cerca di comprendere se siamo strutturalmente adatti a
condividere il mondo in modo non violento con gli animali.
La grande questione è capire se una morale per gli animali è possibile
solo entro uno spazio culturale oppure se, al contrario, ci sia una qualche
tendenza naturale che lega a doppio filo l’etica umana a quella animale.
Diciamo subito che dirimere la questione non ha nulla a che vedere con
la possibilità stessa di un’etica animale: che una cosa sia o meno naturale,
infatti, non è argomento in favore di una sua istituzionalizzazione – noto,
infatti, l’argomento della fallacia di Hume. Tale fallacia, spesso detta anche ghigliottina, sancisce l’impossibilità (debole) di passare dall’essere al
dover essere ex-abrupto – e anche questo, ovviamente, sarebbe il nostro
caso se cercassimo il “perché” dell’etica animale nella nostra natura. Tuttavia gli Animal Studies impongono di ripensare la morale come fenomeno completamente convenzionale: qualcosa che consenta di non ricadere
nell’argomento “paese che vai, usanze che trovi”. Sembra una banalità,
ma così non è. Melanie Joy, una psicologa americana, comincia il suo più
noto libro48 con un esperimento mentale – ricostruiamolo, liberamente, e
cerchiamo di capirne il valore filosofico.
L’esperimento del Golden Retriever:
Una famiglia americana organizza una bella cena – piatto centrale arrosto
con patate. Gli invitati, deliziati dal pasto, si complimentano con la cuoca: “che
buona questa cena, davvero complimenti!”. La cuoca, con garbo, risponde che
il segreto è nella carne: “il Golden Retriever è davvero gustoso, se ben cucinato”. Dopo attimi di imbarazzante silenzio, gli invitati, ormai disgustati, si
rifiutano di continuare a mangiare. Il senso di disgusto continuerà anche dopo
aver scoperto che era uno scherzo.
Analizziamo l’esperimento mentale.
Gli invitati erano convinti di mangiare della “normale” carne, presumibilmente di vitello, eppure scoperto che la carne era “anomala” – ovvero
di cane, nonostante ne avessero apprezzato il gusto, credono che la cosa
sia disgustosa. La Joy analizza la cosa psicologicamente ma cerchiamo
invece di capire, filosoficamente, cosa è successo o, almeno, come possiamo descrivere tutto ciò. La carne che è stata servita era la stessa sia prima
che dopo la falsa rivelazione: ciò che cambia, dunque, non è il suo statuto
ontologico ma la nostra epistemologia – l’accesso che abbiamo alle cose
48
M. Joy, Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche?,
Sonda, Casale Monferrato (AL) 2013.
L. Caffo, V. Sonzogni - L’animalismo come contemporaneo
289
che conosciamo e, in questo caso, mangiamo. Ragionando in generale non
si capisce per qualche motivo una cosa C, che prima trovavamo gustosa,
dovrebbe risultare disgustosa una volta che sappiamo che in realtà è una
C1. Lo capiamo se ci relazioniamo con un contesto socioculturale, chiamiamolo SC, tale per cui C entro SC è consueto mentre C1, laddove non
è proprio illegale, è desueto in SC. Ma il problema è comprendere perché,
ovvero operare una decostruzione di questi dati di fatto, cercando di capire
se esiste un motivo reale per questo discrimine. Chiaramente non esiste
nessun motivo intrinseco, nel senso di strutturale,49 per cui mangiare un
animale piuttosto che un altro sia moralmente rilevante – tuttavia il disgusto avviene nel momento in cui si è superata la barriera culturale il che ci
porta ad immaginare, per contrappasso, un esperimento mentale in cui sia
lecito mangiare il cane e non il vitello.
In questo senso gli Animal Studies conducono a riflettere anche sulla caducità delle nozioni culturali quando si tratta di fare i conti con argomenti
delicati, come quelli morali, portandoci a postulare teorie che conducano a
rendere saldi, e non culturalmente relativiste, acquisizioni etiche.
E se al posto del cane ci fosse stato un bambino… sicuri che avremmo
ancora gridato al relativismo dei costumi?
L’animalismo: non solo di animali, ma del tempo presente. Per questo la
filosofia del futuro comincia proprio da qui.
Lo spettatore deve solo abbandonarsi all’ascolto.
Ma anche, non solo l’orecchio è ascolto, ma l’occhio è ascolto.
Carmelo Bene
49
Nel senso di T. Sider, Writing the Book of the World, Oxford University Press,
New York 2011, pp. 1-8.