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Lara Michelacci, Il microscopio e l'allucinazione: Luigi Capuana tra letteratura, scienza e anomalia. / Serafini, Stefano. In: Annali d' Italianistica, Vol. 34, 10.2016, p. 583585. Book/Film/Article review Lara Michelacci. Il microscopio e l'allucinazione: Luigi Capuana tra letteratura, scienza e anomalia. Bologna: Pendragon, 2015. Pp. 175. In questo libro inconsueto quanto interessante, Lara Michelacci, docente di Letteratura Italiana presso l'Università di Bologna, si addentra negli oscuri meandri della narrativa italiana di fine Ottocento, esplorandone i legami con le scienze mediche e le aperture verso i territori dell'occulto e dell'ignoto. Questa apparente contraddizione caratterizza l'arte e il pensiero di Luigi Capuana, il cui percorso creativo e conoscitivo è qui investigato a partire dalle figure femminili che appaiono in Profili di donne , Giacinta (1879) e Profumo (1890).

Lara Michelacci, Il microscopio e l’allucinazione: Luigi Capuana tra letteratura, scienza e anomalia. / Serafini, Stefano. In: Annali d'Italianistica, Vol. 34, 10.2016, p. 583-585. Book/Film/Article review Lara Michelacci. Il microscopio e l’allucinazione: Luigi Capuana tra letteratura, scienza e anomalia. Bologna: Pendragon, 2015. Pp. 175. In questo libro inconsueto quanto interessante, Lara Michelacci, docente di Letteratura Italiana presso l’Università di Bologna, si addentra negli oscuri meandri della narrativa italiana di fine Ottocento, esplorandone i legami con le scienze mediche e le aperture verso i territori dell’occulto e dell’ignoto. Questa apparente contraddizione caratterizza l’arte e il pensiero di Luigi Capuana, il cui percorso creativo e conoscitivo è qui investigato a partire dalle figure femminili che appaiono in Profili di donne (1877), Giacinta (1879) e Profumo (1890). Nell’epoca del positivismo, che ha posto al centro del dibattito culturale termini tratti dal linguaggio medico-biologico come anomalia e diversità, Capuana sfrutta la patologia come strumento ermeneutico per portare alla luce ciò che la fisiologia nasconde e che invece il corpo malato può rivelare. La malattia, intesa come alterazione dell’equilibrio, diviene essenziale per indagare il mistero umano, e la donna, per il medico come per l’artista, rappresenta il campo privilegiato d’indagine: è proprio a partire dalla figura femminile che lo scrittore può percepire le trasformazioni indotte dalla modernità nel vissuto individuale. Nel primo capitolo di questo studio, Michelacci affronta il problema del dissidio tra lo studio del “documento umano”, ovvero l’analisi dal vero, e l’ispirazione letteraria. La dimensione artistica del vero costituiva un imperativo costante per Capuana, ma egli era altresì convinto che la sola analisi della realtà non potesse trasformarsi in arte senza l’intervento dell’immaginazione. Questo rapporto di reciproca esclusione tra l’analisi del reale e l’ispirazione letteraria mette in crisi la fede positivista di Capuana: tale contraddizione di fondo è alla base del suo intero percorso artistico e conoscitivo, caratterizzato da ripensamenti, revisioni e vere e proprie abiure. È nell’ultimo capitolo che Michelacci si occupa di quel primordiale “laboratorio d’idee” che è la breve raccolta di novelle Profili di donne, con cui Capuana mirava a “cogliere la variabilità del reale oltre la fisiologia” (117). Dominata dal tema della visione, questa raccolta deve molto alla lettura dei racconti di Diderot — per il richiamo all’immediatezza delle sensazioni e la tensione natura-cultura — e alla frequentazione, nella Firenze degli anni Sessanta, del gruppo dei macchiaioli. L’obiettivo di Capuana è esprimere sentimenti e sensazioni concrete, in modo che il lettore ne abbia un’impressione immediata. Già in questa raccolta giovanile, dunque, lo scrittore rivendica l’autonomia dell’atto artistico, rifiutando l’impegno romantico-risorgimentale e aprendo alla crisi dell’io unitario. Profili di donne è immediatamente antecedente a Giacinta, che racconta la vita “sbagliata” di una bambina vittima di una violenza sessuale, macchiata da un peccato originale da cui non riuscirà a riprendersi, sino al suicidio. Michelacci esamina il romanzo alla luce dell’interessante carteggio che Capuana ebbe negli anni Ottanta con la giornalista e scrittrice lombarda Anna Radius Zuccari, in arte Neera. I suoi romanzi, in cui si descrive l’esperienza della marginalità della donna, costretta semplicemente a osservare un mondo dal quale è condannata all’esclusione, affascinavano moltissimo Capuana. Per quanto Giacinta abbia come interlocutori principali i modelli francesi (Dumas fils, Balzac, Zola), il dialogo tra lo scrittore siciliano e Neera si rivela fondamentale. Il lungo decennio che intercorre tra la prima pubblicazione di Giacinta e le sue incessanti revisioni servì a fornire un impianto diverso al lavoro e a ripensare alle caratteristiche di alcuni personaggi. Si veda ad esempio il dottor Follini, la cui evoluzione nel corso degli anni si deve anche alle posizioni profondamente critiche espresse da Neera nei confronti delle scienze mediche: se nella prima edizione del testo il dottore “ha le stesse coordinate scientifiche dell’autore” (74), successivamente il suo sguardo clinico sembra “un fallimento […] dal punto di vista della donna” (75), giacché il riconoscimento dei sintomi non permette al medico di penetrare concretamente l’animo femminile nei momenti di crisi. Grazie al dialogo con Neera, dunque, il romanzo si trasforma da puro caso di psicopatologia morale “in un inquietante episodio di vita vissuta, attinente alla condizione femminile, in grado di aprire più di uno spiraglio sull’orizzonte della vita contemporanea” (77). Nel terzo capitolo, Michelacci analizza Profumo, in cui Capuana muove verso i territori della patologia fisica. Patrizio, morbosamente succube della madre Geltrude e vittima di una nevrosi ossessiva, è incapace di amare carnalmente la moglie Eugenia, che manifesta il proprio dolore represso nell’isteria, malattia che le fa emanare un insistente profumo di zàgara: “[...] la sorte di queste patologiche figure umane trascende rapidamente nell’ignoto e nell’oltremondo” (109). Con questo romanzo, Capuana si addentra fra le pieghe dei legami familiari, scandagliati attraverso un triangolo edipico il cui nucleo è rappresentato dall’ossessivo ritorno del materno. Lo scrittore siciliano inizia in questi anni a rielaborare la sua posizione critica, allontanandosi dall’idea di arte come imitazione della scienza e rivelando il progressivo logoramento del puro impianto naturalista. Profumo rappresenta probabilmente il passaggio fondamentale verso questa revisione critica. È emblematica la figura del medico, che qui non appare più il positivista che ha cieca fiducia nella scienza ma piuttosto un medico confessore con istanze spiritualistiche. La progressiva disillusione nei confronti del positivismo si muove dunque parallelamente all’idea dell’arte come forma di creazione: “[...] si rovescia il paradigma d’indagine che era partito dall’arte come corollario della scienza [...] per approdare a un modello che propone la creazione artistica come strumento d’indagine” (109-10). L’interesse scientifico iniziale “transita velocemente verso le forme dell’irrazionale, com’era stato intuito dagli scapigliati, in una sorta di sincretismo tra sperimentazione del vero e indagine dell’occulto” (110). Se la scienza ha fallito il suo compito, è dovere dell’arte tentare di interpretare un reale sempre più complesso. A lettura ultimata, ci troviamo di fronte all’irrequietezza e a tutte le contraddizioni dello scrittore siciliano: Lara Michelacci ci consegna il ritratto di un’artista aperto alle suggestioni più varie, pronto a mettere in discussione i propri principi, e tuttavia sempre alla ricerca di una chiave di interpretazione del mondo. Dialogando con un’ampia gamma di testi critici, Michelacci ricostruisce in queste pagine il cangiante percorso creativo di Luigi Capuana affrontando il nesso letteratura-scienza da diverse angolazioni, e al tempo stesso fornendo uno spaccato importante della cultura italiana del secondo Ottocento. Stefano Serafini, Università di Bologna
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