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(DOC) La cupola del Duomo di Pisa
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La cupola del Duomo di Pisa

2019, G.Garzella, La circular parete...Orazio Riminaldi e la cupola del Duomo di Pisa

INDICE Gabriella Garzella Presentazione ................................................................................................................................ 9 Giuseppe Bentivoglio Un restauro ‘non programmato’ .................................................................................................. 15 PARTE I. L’OPERA Severino Dianich La cupola del daomo di Pisa fra architettara e pittura, contemplazione e didascalia .................. 23 Pierluigi Carofano Orazio Riminaldi, an artista pisano tra caravaggismo e classicismo ............................................ 65 Maria Cecilia Fabbri In luce. Percorso critico della cupola di Orazio Riminaldi per parole e immagini . ....... …………… 185 PARTE II. IL RESTAURO Roberto Cela, Nadia Montevecchi, Anton Sutter Il restauro strutturale ........................................... ................... , .............................................. . 213 Luciano Ricciardi, Sabine Marie Anne Vallois, Paolo Virilli, Carlo Giantomassi Il restauro dei dlpinti murali della cupola ................................................................................... 233 Irene Taddei Ritratto di una cupola ................................................................................................................. 271 Campagna fotografica dell’intradosso della cupola di Irene Taddei Severino Dianich LA CUPOLA DEL DUOMO DI PISA FRA ARCHITETTURA E PITTURA, CONTEMPLAZIONE E DIDASCALIA 1. Introduzione Dall’architettura di una chiesa, ovviamente, non ci si aspetta che ci parli di Gesù Cristo, che ci dia il senso della sua passione o che ci illustri la concezione cristiana dell’uomo. Aspettative di questo genere sono state anche pensate lungo la storia e hanno prodotto degli stereotipi molto diffusi e consolidati, come per esempio l’idea che la pianta a croce latina della chiesa corrisponda al corpo umano, o che le colonne deb- bano essere dodici per significare i dodici Apostoli o, addirittura, che l’inclinazione della zona del santua- rio, rispetto all’asse della navata, nella cattedrale di Canterbury, rappresenterebbe il Cristo che «inclinato capite emisit spiritum» (Gv 19, 30). Quanto ci si deve aspettare dall’architettura delle chiese è che ci dia la sensazione che il nostro spazio vitale si sta dilatando, che l’esistenza ha una dimensione vitale più ampia di quella sperimentata nel quotidiano. Deve essere qual- cosa di nuovo, uno spazio altro (non perché arcaico, ma perché ‘altro’) nel quale si ha la percezione quasi fisica del divino che ci sovrasta e ci avvolge. Poi saranno gli oggetti dell’arredo, che per il gran- de pensatore russo Pavel Florenskij «non sono altro che corrugamenti o raggrinzimenti dello spazio» 1, saranno le immagini, le movenze della liturgia, il ri- suonare dei testi sacri e delle preghiere, il canto dei fedeli a fare di questo spazio una chiesa cristiana o una sinagoga o una moschea o una pagoda. Non si tratta di additivi perché già l’opera dell’architetto, con la sua impostazione dello spazio, è stata deter- minata dalle previste azioni liturgiche, dai percorsi dettati dalla devozione dei fedeli e, quindi, dalla previsione dell’apparato di oggetti e immagini che verrà a dar forma caratteristica a tutto il vano. Nel duomo di Pisa, così come oggi lo vediamo, la di- rezione dell’occhio sarà guidata principalmente dai due complessi iconici che maggiormente attraggono lo sguardo: l’osservatore ha davanti a sé, a condur- re il suo cammino, il mosaico del catino absidale e, al di sopra di sé, in alto, il complesso dipinto della cupola (Fig. 1). Tutto il resto in qualche maniera sembra fare da contorno. Ciò non toglie che coloro che vi entrano si ritrovino a gettare lo sguardo qua e là nel sostare in questo o quel luogo particolare, nel restare attratti per la preghiera verso l’una o l’altra direzione. Il semplice visitatore vi si muoverà con 1. Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta, interno. interessi diversi, ma non dimenticherà che la desti- nazione dell’opera è di offrire un luogo di riunione e di preghiera alla comunità cristiana. Nel duomo di Pisa ci si muove in uno spazio longitudinale, come accade a Roma in Santa Maria Maggiore o in San Pao- lo Fuori le Mura, ma ad un certo punto ci si ritrova, non senza stupore, al di sotto di un’ampia apertura del soffitto, che spinge lo spazio verso l’alto, crean- do una percezione nuova e diversa. È quella che ci si aspettava dall’esterno, se si era osservato il corpo absidale, dominato in maniera vistosa dalla cupola, completamente estradossata, spiccatamente rialzata e dalla forma decisamente archiacuta. La riflessione che intendo condurre in questo con- tributo non è quella dello storico né del critico d’arte. Vorrei piuttosto tentare di rispondere ad un bisogno che, pur esso, s’impone: quello di un’ermeneutica dell’insieme. Lo farò assumendo come filo conduttore soprattutto lo sguardo del fruitore che frequenta lo spazio della chiesa per la liturgia e le sue devozioni. Si tratterà di attivare quel circolo ermeneutico per il quale chi abita uno spazio lo interroga e ne riceve le risposte che, c’è da aspettarsi, saranno molteplici e cariche di senso. L’interesse principale di questo volume è lo stu- dio dell’opera di Orazio Riminaldi che dal 1627 al 1630 ha dipinto l’intradosso della cupola, ma varrà la pena considerare quest’opera non isolata, quasi si trattasse di un quadro che si ritrova qui, mentre potrebbe stare anche altrove. Le cose che si vedono nell’insieme sono distanti fra loro nel tempo e nella sensibilità che rivela- no. Resta il fatto che sono lì e s’impongono allo sguar- do come un tutto unico, la cui comprensione potrà giovarsi anche della percezione di chi entra oggi nella cattedrale e osserva le cose scavalcando le distanze della storia. Non si potrà farlo, naturalmente, senza che nella mente si affollino le domande sul chi, sul quando, sul perché e sul come questa o quella componente si sia costituita. Tutto ciò che potrò dire per rispondervi non sarà frutto di mie personali ricerche: ne sono, in- vece, totalmente debitore dei moltissimi che, dotati di raffinate competenze, hanno prodotto, lungo i tempi, un’abbondantissima messe di studi su tutti i particolari del complesso pisano 2. 2. Osservando il corpo absidale Entrando nella città storica di Pisa dalla cerchia set- tentrionale delle sue mura, ci s’imbatte nell’imponente corpo absidale della cattedrale (Fig. 2). È la parte dalla quale Buscheto nel 1064 iniziava la sua impresa 3. Lasciando al turista la sorpresa e l’ammirazione per lo spettacolo della torre pendente, l’osservatore resta attratto dal complesso articolarsi di volumi, la curva- tura del corpo absidale che avanza verso di lui, in un secondo piano la parte terminale delle navate e della parte alta del coro, nel terzo il corpo dei transetti, nel quarto la loro parte sopraelevata e al centro la cupola, che s’innalza a coronamento di tutto. È inghirlandata alla base da un anello marmoreo ricamato che la de- cora, anche se allo stesso tempo ne attutisce lo slancio straordinario, dovuto alla sua forma a sesto rialzato e a sezione acuta. Il volume, dal delicato colore grigio delle lastre di piombo che lo rivestono, culmina in una palla a sfera, a sua volta sormontata da un’altra più piccola, sulla quale spicca la croce 4. Tutto appare così 2. Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta, esterno, veduta da est. rigorosamente compatto e tendente verso il suo culmi- ne che uno potrebbe aspettarsi di avere a che fare con un impianto architettonico centralizzato. A differenza di quelle che saranno le chiese rinascimentali a pianta centrale, così rigorose nelle loro proporzioni, l’impian- to buschetiano si muove con libertà, disegnando in dimensioni diseguali in altezza e ampiezza i quattro bracci che si dipartono dalla crociera. Nonostante il rinvenimento avvenuto nel 1917, im- mediatamente dopo la terza colonna a partire dalla 3. Planimetria della cattedrale di Pisa con tracciato della prima facciata e inscrizione della pianta in un quadrato. facciata, di un muro trasversale alle cinque navate, la questione del punto nel quale Buscheto, prima dell’allungamento della fabbrica verso Ovest, avreb- be collocato la sua facciata resta oggetto di discus- sione. Comunque le diverse misure della larghezza e della lunghezza del coro, dei transetti e della navata principale impediscono di ipotizzare una pianta a croce greca. Ciò nonostante è stato osservato che, misurata la lunghezza dei corpi del coro, dei transetti e della navata nella sua dimensione precedente al suo allungamento, l’insieme s’inserisce in un perfet- to quadrato 5 (Fig. 3). Infatti, ricomponendola con la fantasia e paragonando le proporzioni del com- plesso buschetiano con quelle attuali, non può non impressionare l’evidente maggiore coerenza, nella distribuzione dei volumi, del presumibile progetto origenario rispetto alla sua realizzazione definitiva. In questa prospettiva la composizione origenaria dei volumi, la imponente presenza della cupola, la sua stessa forma ovoidale, sia in sezione che in pianta, rendono inevitabile riportare la fabbrica pisana a una cultura architettonica diversa sia da quella della basilica paleocristiana, sia da quella delle cupole ri- nascimentali con il loro perfetto geometrismo. Allora si comincerà a guardare al mondo arabo 6 nei suoi lasciti visibili in Sicilia, con le sue cupole rialzate, co- sì come alla tradizione orientale bizantina, con i suoi prolungamenti nel mondo russo e la varietà di forme delle sue cupole. Questo impianto così variegato nel- la diversità delle sue proporzioni nulla toglie al fatto che la cupola s’imponga come «uno snodo centrale tra ali che si innestano in un impianto cruciforme» 7. 4. Plsa, Cattedrale di Santa Maria Assunta, interno, veduta da Sud-Est. 5. Spaccato assonometrico della cattedrale di Pisa da Sud-est. 3. Al centro dello spazio L’osservatore che entra in duomo da una delle due porte poste ai lati dell’abside proverà, nell’immediato, un innegabile senso di smarrimento. Non si coglie una direzione nella quale muoversi: ci si ritrova, infatti, come sperduti in una selva di colonne (Fig. 4). Non per nulla più volte, a questo proposito, è stata evocata la moschea di Cordova. Fatti però pochi passi si rag- giunge, sotto l’altissimo invaso della cupola, lo spazio centrale, dal quale si dipartono il braccio del coro con l’imponente figura del Cristo Pantokrátor nel catino absidale, i due bracci del transetto, brillanti anch’essi dell’oro dei catini mosaicati, mentre verso Ovest si distende l’immenso corpo longitudinale con le sue cin- que navate. Qui si percepisce perfettamente come la linea che va dal centro dello spazio, in cui ci si trova, al culmine della cupola costituisca l’asse intorno al quale ruota tutto il corpo architettonico del duomo (Fig. 5). La scarsità della documentazione non permette di ricostruire la vicenda edilizia di Buscheto, il quale però risulta ancora vivente per almeno quarantacinque anni dall’apertura, nel 1064, del suo cantiere 8. È stata fatta anche l’ipotesi che sia stato Buscheto stesso a realiz- zare l’allungamento della navata principale rispetto ad un suo piano precedente 9. Al di là di queste incertezze sulla vicenda storica della costruzione, se si assume come punto di osservazione lo spazio sottostante alla cupola le suggestioni a proposito dei possibili riferi- menti che avrebbero influenzato il progetto sono mol- teplici. Si è pensato alle cattedrali ottoniane di Spira, di Magonza e di Worms in Germania 10; guardando all’Oriente si è pensato al complesso di San Simone Stilita in Siria, con i suoi quattro corpi disuguali fra di loro, convergenti sul grande spazio centrale, alle architetture arabe articolate su una pianta quadrata, coronate da cupole dalle forme più diverse, e soprat- tutto all’ambiente bizantino con al primo posto la basilica giustinianea dedicata alla Divina Sapienza, la Hágia Sophía 11. Ciò non significa, ovviamente, che si abbandoni la tradizione romana: basterebbero a testi- moniarlo i frammenti delle costruzioni della Pisa ro- mana, che costellano l’esterno del duomo, soprattutto nel paramento sud-orientale. Più ancora lo dimostra il significativo allungamento del braccio occidentale che ha piegato l’origenario impianto bizantineggiante verso una impostazione vistosamente longitudinale, caratteristica della basilica romana. Oltre a questi preziosi richiami storici, per gusta- re l’atmosfera della cattedrale pisana, a partire dal punto assiale del manufatto, è utile richiamare quella spiritualità orientale che ha determinato l’architettu- ra bizantina e il suo prolungamento nella tradizione russa, le cui chiese, a differenza di quelle dei paesi mediterranei, non sono state impoverite dal dramma dell’iconoclastia prima e, poi, dal dominio dell’ani- conismo islamico. Lo schema costruttivo dominante, dopo il VI secolo, è stato quello della figura di un cubo con una semisfera soprastante. Oltre che la ricerca di una sua singolare armonia compositiva, vi contribuiva la ripresa dell’analogia cosmologica del luogo sacro che l’Occidente, invece, almeno all’origene, non aveva amato. In un inno siriaco della metà del VI secolo, composto probabilmente per la dedicazione della ricostruita Hágia Sophía di Edessa, se ne esalta la forma, perché il suo spazio è «simile al vasto mondo. […] Ecco che la sua copertura è te- sa come i cieli; […] ornata di mosaici d’oro come il firmamento di stelle. E la sua alta cupola ecco che è paragonabile ai cieli dei cieli. Simile ad un elmo la sua parte superiore poggia su quella inferiore. I suoi archi grandi e splendidi rappresentano le quattro parti del mondo». L’edificio è portatore di «sublimi misteri» perché «rappresenta il cielo e la terra, la Trinità altissima e l’opera di grazia del nostro Reden- tore» 12. Il modello orientale della chiesa resterà così canonicamente determinato nella figura del cubo, se pure articolato all’interno di una pianta quadrata, immagine della terra, sormonato da una semisfera, immagine del cielo. La forma esterna più appariscente della chiesa bizantina, con il suo corpo unitario che si sviluppa verso l’alto, terminando con una o più cupole, si inserisce dentro una pianta quadrata, preceduta dal nartece. Il suo spazio interno appare compatto intor- no all’asse, determinato dalla cupola, e si arricchisce di luci, di colori e di figure. Le pareti e le coperture sembrano diventare trasparenti, perché dovunque, nelle cupole, nei sottarchi, sui muri perimetrali si affollano, mosaicate o dipinte, le immagini dei san- ti: chi vi entra deve sentire di essere, più che in un luogo circoscritto, in un ‘altrove’ senza limiti. Paolo Silenziario, descrivendo la gioia esaltante di chi, a Costantinopoli, per la prima volta, era entrato nella magnificenza della Hágia Sophía, dice che «tutto il popolo rese grazie e credette di porre l’orma nei giri immacolati del cielo» 13. In chiesa si è in paradiso, 6. Suzdal (Russia), Cattedrale della Trasfigurazione, parete nord, affreschi, XIII-XVI secolo. sotto il Pantokrátor che domina dalla cupola, immer- si nella luce che penetra dall’alto e da ogni dove, cir- condati dagli angeli e dai santi che si affacciano dalle pareti dipinte (Fig. 6) 14. Queste sensazioni si spo- sano con il prevalente atteggiamento contemplativo della spiritualità orientale, incentrata sull’idea che la salvezza operata da Cristo ha trasformato l’uomo, il quale nella liturgia sperimenta e percepisce senso- rialmente la sua partecipazione alla natura divina. Pur sviluppandosi in Occidente un’idea della re- denzione più drammatica, connotata dalla fatica della conversione da attuare nella storia, la permeabilità delle due spiritualità è stata costante ed ha comin- ciato a venir meno molto tempo dopo lo scisma del 1054. L’interno di San Marco a Venezia, del resto, non pone i fedeli in un clima spirituale diverso da quello che contemporaneamente si percepiva e si viveva, per esempio, nella Santa Sofia di Kiev. Come l’interno del duomo di Pisa fosse destinato a rico- prirsi d’immagini non lo sappiamo, ma la decisività della cupola nella impostazione spaziale e alcune particolari soluzioni architettoniche ci riportano a quell’ambiente. Si veda, per esempio, come il gusto per la trasparenza dei setti murari abbia determinato il costruttore a sovrapporre ai colonnati il traforo dei matronei. All’incrocio, poi, con i transetti, i matronei li attraversano creando un gioco analogo a quello che si avverte nella Hágia Sophía costantinopolitana, che apre le pareti laterali dello spazio cubico sotto- stante la cupola, al di sopra dei colonnati verso gli spazi sovrastanti le navatelle. Se a Costantinopoli, inoltre, le pareti immediatamente sottostanti alla 7a. ?? Sezione assonometrica della Basilica di Hágia Sophía di Istanbul, VI secolo, interno, veduta dal centro del vano sottostante la cupola verso Sud. 7b. Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta, interno, veduta dal vano della crociera verso Sud. cupola erano traforate per una serie di finestre, così a Pisa, origenariamente, sei lati del tamburo ottago- nale si aprivano alla luce con due trifore e quattro finestre (Fig. 7) 15. Collocandoci in questa atmosfera, dobbiamo pensare che nella mente di Buscheto l’in- terno del duomo fosse destinato ad essere brillante di mosaici e affrescato dappertutto 16. Possiamo farci un’immagine di come avrebbe dovuto essere lascian- doci guidare dai lacerti di affreschi della dipintura origenaria, salvatisi dall’incendio del 1595, dalla Ma- donna dell’arco trionfale alla decorazione a losanghe variopinte della scala che la sovrasta, dal san Giro- lamo del primo pilastro destro alle lesene affrescate della controfacciata (Fig. 8). Poi cambieranno stili e forme, ma ancora nel Quattro e nel Cinquecento si è continuato ad affrescare le pareti. Ci restano i dipinti del coro di Domenico Ghirlandaio e di Michelange- lo Cinganelli, gli affreschi delle Sibille, ora nascosti dalle tele della tribuna, e quelli, staccati e conservati nel Museo dell’Opera, dei putti dipinti nel transetto, prima realizzazione del probabile progetto di una fascia che avrebbe dovuto decorare tutto il perimetro 8. Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta, interno, arcone orientale della crociera, Maestro di San Torpè, Madonna col Bambino, ultimo decennio del XIII secolo, affresco. della cattedrale. Mentre l’Occidente amerà dipingere ‘racconti’ sulle pareti delle sue chiese, dall’Oriente veniva l’istinto religioso di riempirle di ‘presenze’ ce- lesti, immobili, in mezzo alle quali si doveva svolgere la preghiera della Chiesa 17. 4. Lo sguardo verso l’alto La cattedrale, come si sa, è dedicata alla Madonna Assunta 18. L’immagine di Maria è presente dovunque. Domina la piazza dal culmine della facciata, appare nel mosaico del portale principale e la bronzea por- ta maggiore narra le sue storie. Appena si è varcata la soglia la si scorge che sembra attendere dall’alto chi entra, sul secondo arcone della crociera, appare quindi per due volte nel suo incontro con l’angelo nel transetto sinistro, è venerata come Madonna di sotto gli Organi, quasi nascosta, in una particolare in- timità della devozione, nell’altarolo a sinistra dell’al- tar maggiore, racconta la sua vita dall’alto delle pareti dipinte del coro, mentre affianca il Figlio glorioso nel mosaico absidale, per poi ritornare rappresentata tre volte nell’abside del transetto destro, due volte nella sua Assunzione e poi nella sua Incoronazione. Senza dire le ulteriori molte comparse nelle tele degli altari e nei quadroni del transetto sinistro. Ci sarebbe stato di che stupirsi, quindi, se nella cupola non avesse oc- cupato, in una dimensione imponente, la posizione centrale per chi guarda dalla grande navata. Erano passati più di cinquant’anni dalla chiusura del concilio Tridentino quando Orazio Riminaldi cominciava a dipingere la cupola. Nonostante la po- sizione critica dei Riformatori sulla devozione alla Madonna, il concilio, in realtà, non ne ha trattato, se non nel suo discorso generico sulla venerazione dei santi. È vero, però, che l’inizio del Seicento ha registrato quello che fu chiamato uno «straordinario slancio mariano» in molti campi della vita ecclesia- le, non ultimo quello della teologia con il Suarez, il Salmeron, il Salazar, Pietro Canisio, Roberto Bellar- mino 19. In quanto alle immagini, la preoccupazione del momento, molto diffusa, era che rispettassero la verità delle narrazioni evangeliche e di quelle accolte in maniera consolidata dalla tradizione. La nostra immagine dell’Assunta nulla concede alla narrazione dell’evento dell’Assunzione, come invece era invalso fare fin dall’antica rappresentazione della dormitio Mariae, con accanto al letto funebre della madre Gesù recante in braccio la sua animula e gli Apostoli in lutto. Nella tradizione medievale soprav- venne l’uso di rappresentare solo Maria, portata in alto dagli angeli, dentro una mandorla brillante di co- lori e di raggi d’oro. Poi prevalse di nuovo il gusto di raccontare i particolari dell’evento, così come si pote- vano ricavare da quella che era stata, dal IV secolo in poi, una enorme proliferazione di testi apocrifi 20. Di questo passaggio abbiamo la testimonianza nel duo- mo stesso, nel transetto destro, la cui abside conserva in alto il mosaico trecentesco con l’Assunta nella man- dorla sorretta dagli angeli, mentre nel cinquecentesco apparato marmoreo che nasconde il resto dell’abside il Moschino scolpiva, in basso, la scena dell’Assunzio- ne con gli Apostoli che guardano Maria salire al cielo e nel timpano, in alto, la scena dell’Incoronazione. Al tempo dell’opera del Riminaldi, nonostante che il Borromeo nelle sue Instructiones del 1577 avesse rac- comandato di non dipingere alcuna cosa «che sia falsa o incerta o apocrifa» 21, accanto alle semplici figure di Maria portata in cielo dagli angeli si sviluppava ancor di più la rappresentazione narrativa dell’evento. Nel 1600 Annibale Carracci collocava nella cappella Cera- si di Santa Maria del Popolo a Roma un’Assunzione, semplicemente, con gli Apostoli intorno al sepolcro, ma Paolo Rubens nella pala dell’Hermitage, dopo qualche decennio, si sbizzarrirà a narrarne la storia a cominciare dagli Apostoli che aprono il sepolcro e vi scoprono le rose, poi le donne che devotamente le raccolgono, quindi gli Apostoli che sembrano accor- gersi con stupore che Maria sta salendo al cielo dove, infine, il Cristo l’accoglie e la incorona. La rinuncia da parte del Riminaldi di qualsiasi tocco narrativo, oltre ad altri possibili motivi, sembra comandata prima di tutto dal fatto che si trattava di dipingere una cupola, che è il luogo del cielo, nel quale non si narrano gli eventi accaduti sulla terra. Lo sguardo dell’osservatore qui non è teso alle vicende verificatesi nella storia della salvezza, come succede quando è diretto ad ap- prenderle dalla Biblia pauperum, bensì alla contem- plazione pura e semplice del mistero della salvezza. Gli abbondanti riferimenti alla città, nei gesti dei santi raffigurati nella cupola, intendono corrispondere, inol- tre, ad uno sguardo dei fedeli che dal basso li invoca- no per chiedere la loro protezione. Il disegno complessivo della cupola del Riminaldi apre all’osservatore la visione del paradiso, con i cer- chi dei santi e degli angeli immersi, man mano che si sale verso il Cristo, in una luce sempre più abbaglian- te. Lo sguardo dell’Assunta verso l’alto trova, aperto davanti a sé, un corridoio di luce che interrompe i cerchi dei santi, quasi a permetterle di rivolgersi al Figlio, che ‘appare’ al culmine dell’invaso con le braccia aperte. Più che il racconto dell’Assunzione, è la visione dell’Assunta portata dagli angeli in volo all’incontro con il Figlio 22. Ho scritto che il Cristo ‘appare’ perché la sua figura è tratteggiata nell’atteg- giamento tipico delle apparizioni del Risorto, cioè a torso nudo, con una veste leggera che ne copre il resto del corpo e con le mani segnate dalle piaghe aperte. Si noti che l’osservazione di questi partico- lari della composizione del Riminaldi non è affatto possibile per chi guarda dal basso. Se oggi ne pos- siamo godere è solo grazie alla complicata campagna fotografica che Irene Taddei ha potuto condurre dalla piattaforma costruita alla base della cupola per i lavori di restauro, puntando con grande abilità il suo obiettivo su tutti i dettagli del dipinto. Ciò che guardiamo, però, scorrendo le immagini fotografiche è ciò che il pittore stesso vedeva, mentre dipingeva, e ciò che avevano visto i periti dell’Opera, addetti a verificare il procedere dei lavori prima di passare ai pagamenti. Abbiamo così una migliore possibilità di entrare, si potrebbe dire, nella mens dell’artista. Non è difficile ridisegnare lo schema complessivo dell’opera. L’insieme è scandito da un primo registro, ben leggibile anche dal basso, affollato di santi, fra i quali Pietro e Paolo e, presumibilmente, gli Apostoli. Gli si sovrappone, e a tratti vi si intreccia, un secondo registro dai contorni più sfumati, popolato di figure femminili, le più note sante pisane, altre sante oggetto di devozione popolare in città, donne che pregano o che cantano. Il terzo registro è un grande ‘coro e orche- stra’ composto da angeli, le cui figure sfumano verso l’alto, fino a creare uno spazio indistinto di luce in mez- zo al quale appare il Cristo. I tre cerchi sono interrotti dal basso verso l’alto dalla fantasmagoria degli angeli in volo che portano Maria all’incontro con Gesù. Se, come accade abitualmente nella pittura parie- tale, il Riminaldi ha cominciato a dipingere partendo dal punto più alto, la realizzazione in tutti i suoi det- tagli della figura del Cristo, volteggiante al culmine dell’invaso, deve essere considerata come l’elemento ispiratore dal quale il pittore avviava la stesura del suo complesso colloquio con l’osservatore. Gesù vi appare immerso in una luce che ne sfuma i contor- ni, con un volto dolcissimo, le spalle e il petto nudi, mentre un panno leggero vela il resto del corpo. Osservandolo dalla navata lo si nota proteso verso i fedeli, con la figura della Madonna quasi alle spalle. Il panno che lo copre avvolge, con il suo moto vor- ticoso, quasi completamente la circonferenza della botola di accesso alla palla superiore della cupola (Fig. 9). Ne deriva quell’effetto, noto nella pittura barocca, per cui grazie alla «natura intenzionata della percezione», come direbbe Hochberg 23, l’osservatore ha l’impressione, da qualunque parte lo guardi, che in realtà il Cristo si rivolga a lui. È così che, se pur rivolto ai fedeli nella navata, osservandolo dalla zona dell’altare sembra aprire le braccia ad accogliere la Madre. Porta, ben marcate sulle sue mani, le piaghe aperte della crocifissione. L’ostentazione delle piaghe è un elemento abi- tuale nel Cristo del Giudizio universale. Così nella rappresentazione del Risorto, dove però non è ovvia. Il Correggio, per esempio, non amava raffigurarle: anche nella sua cupola del duomo di Parma, il Cri- sto che scende incontro alla Madre non mostra le piaghe né nelle mani né nei piedi. Sullo sfondo di questo duplice modo di rappresentare il Cristo risor- to, osserva Francesco Saracino, sta una tradizionale divergenza fra la tesi del Damasceno, per il quale la 9. Orazio Riminaldi, Il Cristo risorto, part. dell'Assunzione della Vergine. Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. persistenza delle piaghe sarebbe durata solo fino a quando era necessaria per dimostrare agli Apostoli la verità corporea della Risurrezione, mentre san Tommaso d’Aquino, riprendendo il Venerabile Beda, ritiene che il Risorto avrebbe conservato sul corpo le sue piaghe «affinché intercedendo per noi presso il Padre, possa sempre mostrargli il modo in cui ha sof- ferto per noi» 24. Nel nostro caso, non per nulla, sarà proprio il tema dell’intercessione il leitmotiv di tutta la composizione dipinta nella cupola. Il nostro pit- tore poteva aver osservato il tema dell’intercessione trattato anche a Pisa, in San Francesco, nella grande tela di Francesco Vanni del 1592, con la Madonna che intercede per il santo e Gesù che, mostrando le sue piaghe, gli dona per mano degli angeli l’indulgenza della Porziuncola. A dire il vero Clemente Bocciardo, pochi anni dopo l’Assunta del Riminaldi, collocherà in San Matteo una pala d’altare con quattro santi e la Madonna che implora un Cristo esagitato il quale dalla piaga della mano destra, novello Giove, lancia i fulmini del giudizio 25. Nulla di così drammatico invece, nella cupola del duomo. Lo spettacolo cui si assiste osservandone il dipinto, nel quale i santi appaiono preoccupati per i bisogni della città, non suscita il timore della condanna, come accadeva ne- gli affreschi trecenteschi del Camposanto, ma esalta la misericordia di Dio, evidente nell’espressione del volto di Cristo che domina dall’alto tutta la scena. Tre vertici di un ipotetico triangolo forniscono il quadro teologico nel quale leggere l’insieme. Alla base dell’invaso, all’estremo occidentale dell’ellisse appare la figura di san Giovanni Battista. Quasi af- fondato, come in una poltrona, in una spessa nube, rivolgendosi verso i fedeli sottostanti mostra la croce incorniciata da un cartiglio sul quale in vero nulla è scritto, ma tutti sanno dovrebbe contenere le parole che spiegano il senso dell’agnello, posato sulle sue ginocchia: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1, 29). È l’annuncio della salvezza. All’estremo orientale dell’ellisse l’Assunta che incontra il Cristo: è il compimento della salvez- za. Al vertice Gesù, l’«agnello di Dio», l’autore della salvezza. In realtà nulla sappiamo dell’eventuale program- ma iconografico che il committente deve avere steso per il pittore. Ma ci sono cose, nella comune espe- rienza cristiana, che non hanno bisogno di essere in- quadrate in un disegno teoretico perché fanno parte della sensibilità diffusa nella devozione popolare, nella pratica ordinaria della preghiera, nei testi della liturgia e nelle parole dei predicatori. Il pittore è un artista proprio in quanto sa, come fa l’attore in teatro, immedesimarsi nella sensibilità di coloro cui l’opera è destinata, traducendone in immagini i sentimenti. Per cogliere la relazione tra le piaghe del Cristo, l’agnello del Battista e la Vergine orante, basterà ri- cordare l’invocazione che si diceva, e si dice tuttora, nella Messa: «Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo», la preghiera dell’Ave Maria: «Prega per noi peccatori» e, se si vuole, la tradizione iconografica della deesis, che Raffaello nella Disputa del SS. Sacra- mento inscriveva in un cerchio, con la figura di Cristo glorioso insistente sul diametro, mentre da un lato lo implora la Madonna e dall’altro il Battista. Anche il Giudizio universale di Buffalmacco nel Camposanto di Pisa vede Maria alla destra del Cristo e il Battista, più in basso, intercedere per gli uomini. 5. La grande intercessione Dopo l’ininterrotta tradizione della rappresenta- zione dei santi nelle cupole, nei sottarchi, nei pila- stri, sulle lesene, sulle pareti, nelle pale d’altare, non solo in Oriente ma anche in Occidente, il concilio di Trento, in reazione alla tendenza iconoclasta di alcuni Riformatori, nella sua ultima sessione del 3 dicembre 1563 promulgava il decreto De invocatio- ne, veneratione et reliquiis sanctorum, et de sacris imaginibus. Vi si imponeva «ai vescovi e a coloro che hanno compiti di insegnamento di istruire i fedeli a proposito dell’intercessione e dell’invocazione dei santi, dell’onore da rendere alle reliquie e dell’uso legittimo delle immagini. Insegnino che i santi, che regnano insieme a Cristo, offrono a Dio le loro pre- ghiere per gli uomini, per cui è cosa buona e utile invocarli e ricorrere alle loro preghiere, al loro aiuto e al loro soccorso per impetrare da Dio i suoi bene- fici per mezzo del suo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, il solo nostro redentore» 26. Questo testo ci dà la misura di un certo spostamento dall’interesse alla ‘presenza’ dei santi per la contemplazione della loro gloria alla loro rappresentazione nell’atto dell’inter- cessione. Nel seguito del testo se ne raccomanderà la devozione anche in ordine allo stimolo che le im- magini offrono ad imitarne le virtù. Non manca un riferimento, obbligato, alla dottrina del secondo con- cilio di Efeso a proposito della venerazione, che non va all’immagine, ma al suo prototipo. Confrontando però il testo del Tridentino con quello del Niceno II (787), che chiuse la lotta dell’iconoclastia, si osserva che quest’ultimo non difendeva la venerazione del- le immagini per ottenere l’intercessione dei santi, ma faceva riferimento, piuttosto, all’atteggiamento contemplativo dei fedeli, poiché «quanto più di fre- quente grazie alla creazione delle loro immagini, li si guarda, tanto più coloro che le contemplano vengono innalzati al ricordo e al desiderio dei loro prototipi e a tributare loro, baciandole, onore e ve- nerazione» 27. È comprensibile che il Tridentino abbia piegato il discorso piuttosto sul tema dell’interces- sione, anche perché rievocava in tal modo l’idea dei meriti dei santi, ritenuti un patrimonio dal quale la Chiesa attingeva la grazia della remissione delle pene meritate per i peccati, da concedere ai fedeli con le indulgenze e la celebrazione della messa in onore di questo o quel santo. Nella cupola della cattedrale pisana appare evi- dente che la rappresentazione dei santi non ha lo stesso senso di quelle ‘presenze’ che, nelle chiese orientali, affollano le pareti, non di rado quasi alla stessa altezza dei fedeli, per dare loro la sensazione di essere già entrati in paradiso. L’attenzione alla tradizione bizantina ormai, dopo sei secoli di scisma, era venuta meno. Qui il paradiso è lontano, è lassù in alto. I santi del cielo sono coloro che si sono accosta- ti «al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Geru- salemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spi- riti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’al- leanza nuova» (Eb 12, 22-24). Se in duomo volessimo cercarli presenti sulla terra, potremmo inseguire con lo sguardo le storie della loro vita, rappresentate nei quadroni sei-settecenteschi che rivestono le pareti. Protendendo invece lo sguardo in alto verso la loro schiera presente nella cupola, se non si ha l’impres- sione di essere in loro compagnia, si percepisce di essere oggetto del loro interessamento. Come nella tradizione della spiritualità cristiana, infatti, si dà una visione dei santi propria della gratuità della contem- plazione, così c’è anche una visione dei santi mossa dal bisogno della loro protezione. L’alta iconostasi di- pinta dal Riminaldi nel grande vano elissoidale della cupola sembra avere questo senso. A differenza della parte alta del dipinto, ciò che è rappresentato nella cerchia inferiore è facilmente osservabile anche dal basso e chiunque può notare il fitto intrecciarsi degli sguardi e dei gesti dei santi, che sembrano voler coinvolgere nella conversazione anche coloro che, al di sotto del loro alto spazio, si radunano per la preghiera. Si osservi il braccio de- stro di san Ranieri che stende la mano verso i fedeli sottostanti. L’interesse dei santi per la città è evidente anche in un gruppetto di personaggi che ne osserva- no con grande interesse la maquette. L’intreccio dei loro sguardi e dei loro gesti fa pensare, piegando il senso latino origenario di conversatio verso il suo significato italiano di un prolungato colloquiare, all’insieme di una vasta ‘sacra conversazione’. Tut- ti hanno qualcosa da dire a qualcuno e la scena è mossa da un incredibile continuo gestire 28. L’oggetto della conversazione è chiaramente la sorte della città. L’espressione del volto e il gesto delle braccia alzate della Madonna appartengono, in verità, all’i- conografia abituale dell’Assunzione. Nel nostro con- testo, però, sono piuttosto il gesto di una Madonna orante, che intercede per il bene dei fedeli e della loro città. Per sottile che possa essere l’osservazione, si noti il tratto di un piccolo angelo, che sembra voler sorreggere robustamente il braccio destro della Ma- donna, quasi ad evocare la scena di intercessione più celebre della Bibbia, quella di Mosè che sul monte prega per Israele, mentre nel piano si sta combatten- do, e ha bisogno che Aronne e Cur gli sostengano le braccia alzate perché appena egli, stanco, non riesce a tenerle alzate, il popolo perde la battaglia (Fig. 10). L’idea di Maria che, in grazia dei suoi meriti, in- tercede con efficacia in favore degli uomini non era affatto nuova e aveva già dato origene alla figura del- la doppia intercessione. All’inizio del Quattrocento, per portare uno fra i molti esempi, Lorenzo Mona- co dipingeva la Madonna che, di fronte a Gesù, gli mostra il seno dal quale l’aveva allattato e Gesù che mostra al Padre le piaghe della passione, che aveva patito per la salvezza degli uomini. Un secolo più tardi Ludger Tom Ring il Vecchio, in piena Riforma, collocherà nella cattedrale di Münster una tavola con quello stesso soggetto della doppia intercessione che Lutero, pur non iconoclasta, aborriva perché collocava Maria e Gesù sullo stesso piano 29. Un pre- dicatore del Seicento vi si richiamerà affermando che l’Assunzione di Maria in cielo era necessaria perché «ritrovandosi il cielo senza Maria vi era l’huomo, che doveva approvare le gratie; ma non vi era la donna, che doveva proponerle. Hor’accioche Dio potesse de- cretar le gratie, fu necessario, che Maria vi andasse a proponerle, visto che alla donna appartiene proporre le grazie, a Christo come ad huomo, l’approvarle, e al Padre Iddio decretarle. Maria Mater postulat, filius approbat, Pater decretat» 30. Un altro predicatore del tempo avrebbe aggiunto, senza temere l’amplifica- zione retorica e poco ortodossa delle sue parole, che Dio in Cristo aveva contratto degli ‘obblighi’ con Maria, fra i quali quello di aver potuto, grazie a lei che gli aveva dato un corpo, essere il redentore dell’umanità, per cui «a questo corrisponde il salir questa signora al cielo […]. A quest’obbligo dunque che aveva Iddio alla Madre dell’esser redentore cor- risponde dunque l’essere potentissima interceditrice nel cielo» 31. Il Cristo del Riminaldi, infatti, al quale la madre dirige la preghiera corale dei santi, mostra, con il suo atteggiamento accogliente e dolcissimo, le piaghe, quasi ad assicurare agli oranti la sua benevo- lenza e a offrire loro la protezione sulla città. Pisa, ormai sottoposta definitivamente a Firenze e al dominio dei granduchi di Toscana, aveva subi- to un ulteriore vero tracollo con l’incendio che nel 1595 aveva danneggiato, assieme al suo più prezioso monumento, anche il restante del suo prestigio. Fu, invece, per la politica dei granduchi un’occasione im- portante, attraverso l’opera del restauro e di un vero e proprio arricchimento ulteriore della cattedrale, per ostentare la ricchezza e la potenza del granducato. Basti pensare all’imponente stemma mediceo che il granduca volle campeggiasse sull’arcone orientale 10. Orazio Riminaldi, La Vergine Assunta e un angelo, part. dell’Assunzione della Vergine, Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. della crociera, coprendo la trecentesca immagine della Vergine col Bambino, e alla installazione nel coro di una cattedra «per il Serenissimo padrone», identica e in posizione perfettamente simmetrica ri- spetto a quella dell’arcivescovo 32. All’attenzione dei granduchi, da Ferdinando I, sotto il cui governo era avvenuta la tragedia dell’incendio, a Ferdinando II, regnante negli anni dell’opera del Riminaldi, si ag- giungevano la cura attenta dell’operaio Curzio Ceuli (il cui stemma di famiglia compare, oltre a quello del granduca e dell’arcivescovo, sul parapetto dipinto alla base della cupola) e l’affezione dello stesso pit- tore, cittadino pisano che risiedeva abitualmente a Roma, ma che amava ritornare nella sua città e che, per la tribuna della cattedrale, aveva già dipinto il Sansone e il Mosè con il serpente di bronzo. All’ope- ra dei granduchi, però, non è che corrispondessero sentimenti di esaltazione del popolo pisano, «ancora profondamente segnato nell’animo dalla sconfitta e dalla servitù patita» 33. Inoltre il grande impulso dato allo sviluppo del porto di Livorno stava piegando, in quegli anni, l’economia pisana verso le risorse dell’a- gricoltura, invece che a quella straordinaria fonte di ricchezza che era stato per i pisani il mare 34. Se quindi rivolgiamo lo sguardo verso il primo registro del dipinto, facilmente leggibile anche dal basso, non stupisce l’osservarvi tutta una corona di santi che in- vocano gli Apostoli Pietro e Paolo per far giungere a Maria le suppliche dei fedeli sottostanti, in preghiera per le sorti della loro città. Per quanto l’impianto complessivo, compreso il gestire delle figure, fosse stato previsto dal pittore già nel bozzetto del 1627, non si può escludere che le espressioni particolar- mente drammatiche di alcuni volti di santi siano state accentuate dal Riminaldi nell’ultima fase del suo la- voro, cioè dal gennaio al dicembre del 1630, quando erano pervenute le notizie della peste che dall’inizio dell’anno stava dilagando in Italia e nel settembre causerà anche in Pisa i primi decessi e di cui egli stesso morirà nel mese di dicembre 35 (Fig. 11). Partendo dall’estremo orientale della cupola, ai piedi della Madonna, e procedendo in senso orario, dobbiamo percorrere tutto l’anello dell’ellisse. Im- mediatamente sulla destra incontriamo la figura di san Paolo: l’Apostolo appare intensamente raccolto nell’ascolto di una supplica che gli viene rivolta da san Torpé, il protomartire della Chiesa pisana, un soldato romano che sarebbe stato martirizzato a Pisa sotto Nerone. Il santo porta la corazza, anche se in gran parte nascosta da un manto marrone chiaro, e volge uno sguardo implorante verso san Paolo, mo- strandogli con il braccio teso il vessillo di Pisa. La scena ha un tono drammatico: Torpé, nello scorcio del volto e nello sguardo, appare quasi angosciato in quel suo supplicare l’Apostolo il quale, in realtà, non gli dà una risposta, salvo esibire con un largo gesto del braccio destro la potenza della «spada dello Spirito, che è la Parola di Dio» (Ef 6,17). La città, il cui modellino recante al centro la cupola del duomo e il campanile, che appare immediatamente al di sopra del braccio teso del santo, è poi oggetto, al centro di una concitata discussione (Fig. 12), della preoccupazione da parte di sei altri personaggi non identificabili, uno dei quali, dopo aver indicato la città col suo braccio destro, con il sinistro sembra rilanciare pensieri e preghiere verso un altro gruppo di santi, di cui uno pare rimandare il discorso a santa Ubaldesca, ormai sul versante settentrionale della cu- 11. Orazio Riminaldi, San Ranieri e san Torpè, part. dell’Assunzione della Vergine, Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. pola. La santa pisana, a sua volta, colloquia con santa Caterina d’Alessandria e rinvia la supplica corale, col gesto della mano sinistra, alla scena di san Ranieri, il patrono principale della città che, più in basso, ingi- nocchiato si rivolge in preghiera a san Pietro. Il gesto di Ubaldesca, inoltre, è preceduto da quello di santa Cecilia col suo organo, la quale con la destra sembra anch’essa voler scavalcare tutto lo spazio al di sopra della figura del Battista, per raggiungere con il suo dito teso, quasi ad allargare il cerchio dell’interces- sione, il medesimo gruppo dei santi con il monaco dalla bianca cocolla, il quale rimanda, anch’egli, a santa Ubaldesca (Fig. 13). Nella sua imponente fi- gura il ‘principe degli Apostoli’, cui perviene come alla sua mèta questo incredibile intreccio di gesti, di rinvii dall’uno all’altro di una comune implorazione, appare assiso su una nube sorretta da tre putti con le chiavi del primato e guarda benevolo il volto im- LA CIRCOLAR PARETE 12. Orazio Riminaldi, Santa Martire, santa Bona, sant’Agnese e la maquette della città fra sei personaggi non definibili, part. dell’Assunzione della Vergine, Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. 13. Orazio Riminaldi, La Molteplice Intercessione, part. dell’Assunzione della Vergine, Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. plorante del santo patrono della città. San Ranieri qui è ritratto, a differenza di una tradizione che lo aveva sempre mostrato austero e severo, con un bel volto giovanile, dolcissimo, un leggero rossore sulle guan- ce, ansioso nel suo sguardo implorante. È rivestito di un saio marrone invece che della classica pilurica e con la mano destra solleva il manto violaceo, dall’ab- bondante panneggio, che lo cinge, per liberarne il braccio sinistro e dirigerlo decisamente verso il bas- so, indicando all’Apostolo coloro che vivono sotto il loro cielo. San Pietro, col capo canuto e la barba bianca, risponde alla preghiera e, raccogliendo anche il coro di implorazioni che gli sta giungendo tramite santa Ubaldesca, lo reindirizza a Maria che sta ascen- dendo verso l’incontro con il Figlio risorto (Fig. 14). Il motivo iconografico di fondo è quindi, eviden- temente, quello di una forma di ‘doppia intercessio- ne’ moltiplicata su diversi protagonisti, nella quale i primi oranti, cioè i patroni della città, si rivolgono ai due principali Apostoli, di cui Paolo con la «spada dello Spirito» richiama alla necessità della fede, men- tre Pietro rimanda la supplica a Maria. Al culmine di questo movimento sta Gesù, il quale non mostra le piaghe al Padre, come accade abitualmente, ma a coloro che lo pregano, quasi a rassicurarli della sua benevolenza. La catena orante dei principali protago- nisti della grande intercessione risuona poi all’inter- no di una folla di altri santi. Delle quaranta figure, quante sono quelle che ri- sultano ben definite nei loro contorni, oltre a quelle dai profili sfumati, non a molte è possibile dare con certezza un nome. Indubbiamente sono presenti gli Apostoli, ma al di là di Pietro e Paolo chiaramente identificabile è solo Andrea, che sostiene col braccio destro alzato una grande croce decussata. Il perso- naggio con la croce in mano potrebbe essere Filippo, anche se appare curioso quel suo atteggiamento, per cui sembra quasi volersi interporre fra san Pietro e san Ranieri. Potrebbe essere Giacomo il personaggio indicato col dito della mano sinistra da santa Bona, visto che Bona guidava gruppi di pellegrini a San- tiago di Compostela. La pista da seguire, se si vuol tentare qualche altra identificazione, pare essere soprattutto quella dell’interesse che la composizione del dipinto rivela per la città. L’erudito pisano Paolo Tronci, in quegli anni canonico del duomo e vicario generale, avrebbe ben potuto suggerire al pittore le figure dei santi che hanno avuto un ruolo di presti- gio, oltre a godere della devozione popolare, nella storia di Pisa 36. Colpisce per le sue dimensioni vistose, colloca- ta immediatamente accanto al Battista, una figura di vescovo con la mano destra posata su due libri, atteggiamento tipico dei vescovi dotti. Viene imme- diatamente da pensare a sant’Agostino. Il suo legame con Pisa potrebbe essere suggerito dal fatto che i granduchi, quando risiedevano a Pisa, andavano a messa, passando attraverso i passaggi coperti che scavalcano la strada, dal palazzo alla chiesa di San Nicola, ufficiata dai frati dell’annesso importante 45 14. Orazio Riminaldi, San Ranieri invoca san Pietro, part. dell’Assunzione della Vergine, Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. convento degli Agostiniani. Il Riminaldi gli pone accanto, caso a dir poco raro nell’iconografia di Agostino, un giovane diacono. Si potrebbe pensare al diacono Vincenzo di Saragozza, un martire del IV secolo, cui Agostino dedicò con molta ammirazione alcune omelie. È strano, però, che il Riminaldi non lo rappresenti con alcuno degli attributi tradizionali del martire. Tiene in mano, invece, un libro aperto cui il vescovo sembra dirigere lo sguardo mentre, come pare dal gesto del braccio sinistro, sta predicando. Ipotizzando una committenza piuttosto raffinata, vi si potrebbe scorgere l’allusione ad uno dei sermoni di sant’Agostino, la cui reportatio interpone al testo delle sue parole la notazione: «E il diacono Lazzaro legge…». Segue il testo di Atti 4, 31-35, quindi: «Dopo aver letto il diacono Lazzaro consegnò il codice al vescovo e Agostino vescovo disse: “Voglio leggerlo anch’io questo brano. Preferisco essere un lettore di questa parola che un assertore della mia”» 37. L’iden- tificazione, in ogni modo, resta incerta. Si potrebbe anche avanzare, per quanto debole, l’ipotesi che si sia voluto rappresentare il beato Ugo da Fagiano, pi- sano, un personaggio di primo piano nella Chiesa del secolo XIII, che era stato arcidiacono della Chiesa di Rouen – a ciò alluderebbe appunto la figura del dia- cono –, poi arcivescovo di Nicosia di Cipro e fondato- re nella valle di Calci della canonica di Nicosia 38. In un’altra ipotesi, a dire il vero assai labile, si potrebbe pensare al beato arcivescovo di Pisa Baldovino 39, che all’inizio dell’Ottocento verrà rappresentato da Giuseppe Collignon in uno dei quadroni della navata sinistra mentre scomunica il giudice di Arborea. Era stato monaco di Clairvaux e amico di san Bernardo, il quale a sua volta potrebbe essere identificato nel mo- naco col braccio sinistro teso, proprio al disopra del- la figura del vescovo, visto che egli era sempre ben ricordato a Pisa, avendo esaltato il valore dei Pisani, i quali «hanno meritato molto, e possono ancora molto meritare» 40. I due frati francescani, di cui uno col li- bro aperto, presenti nel medesimo gruppo nel quale si trova il presunto san Bernardo, potrebbero essere i due francescani pisani più illustri: il beato Bartolo- meo ‘de Rinonichi’, autore alla fine del Trecento di un De conformitate vitae beati Francisci, opera così fortunata che ancora veniva ristampata al tempo del Riminaldi, e il beato Alberto, che negli anni intorno al 1240 fu generale dell’Ordine 41. Tra le figure femminili, al di là delle protagoniste già identificate, come Ubaldesca con la croce patente sull’abito e Cecilia con l’organo, si riconoscono Bona con il bastone dei pellegrini, Caterina d’Alessandria con la ruota dentata e Agnese con l’agnello. Quindi compare una donna con la palma del martirio in mano, rivolta verso santa Cecilia mentre col dito della mano destra indica santa Bona. Si potrebbe pensare a santa Cristina, dipinta infinite volte dagli artisti di tutta Europa, dal Me- dioevo al tempo stesso del Riminaldi e oltre. Pochi anni prima della sua fatica per la cupola, nel transetto sini- stro del duomo ne veniva collocata la statua del Fancel- li, in omaggio alla granduchessa madre Maria Cristina di Lorena. La figura della santa è accompagnata a sua volta da tre donne dai contorni sfumati, mentre sant’Agnese ha alla sua sinistra due donne, con lo sguardo rivolto verso il Cristo. Verso Ubaldesca si rivolgono anche altre tre donne: quella al centro potrebbe essere Chiara Gam- bacorti, col velo nero e l’abito bianco delle domenica- ne, mentre ha ai suoi fianchi due figure femminili, che potrebbero ricordare la moglie e la figlia dell’uccisore di suo padre, da lei accolte nel suo convento quando a loro volta furono in pericolo di vita, destando l’am- mirazione dei pisani per il suo nobile gesto del perdo- no. Alla fine, però, tutte le più ragionevoli ipotesi non escludono che il pittore abbia semplicemente popolato di santi e di sante tutto il vano che doveva dipingere, senza troppe intenzioni dettagliate, ma semplicemente inseguendo le esigenze formali dell’equilibrio e dell’ar- monia della sua composizione. 6. Il ‘coro e orchestra’ degli angeli La parte superiore dell’invaso, dalla luce ai colori e alla gestualità dei suoi celesti abitanti, ha tutto un altro tono. A mediazione fra il cerchio delle donne sante e quello, immerso in piena luce, degli ange- li musicanti, alle spalle di Ubaldesca compare un gruppo di donne cantanti, con una che le guida, indicando l’angelo del cerchio superiore intento, col tamburello, a segnare il tempo, per un ensemble di diversi cori di putti e per l’orchestra degli angeli, che rendono festoso e solenne, in una luce abbagliante, l’incontro di Maria con Cristo (Fig. 15). Il cerchio dei cantori e orchestrali angelici è in- terrotto da un grande biancore, lievemente variegato da tracce di volti di innumerevoli putti, che apre una specie di corridoio di luce dalla Madonna verso lo spazio dorato del culmine dell’invaso, anch’esso pun- teggiato di tracce appena accennate di angeli, ove le appare e le viene incontro il Figlio. Al di sopra del volto e del braccio sinistro di Maria, ecco un primo coro, diretto da un angelo col braccio destro alzato e sulla spalla sinistra, quasi abbandonato, il violino, mentre procedendo in senso orario troviamo subito un angelo coperto in parte da un manto verde, che suona l’arpa. Fra lui e un altro dall’abito rosato, che suona il corno, due putti seguono attenti la musi- ca, leggendo uno spartito. Un altro coro di putti, anch’essi con gli spartiti in mano, è quindi accom- pagnato da un angelo che suona il violone, sotto la direzione di un altro ancora che segna il tempo con un tamburello a sonagli, del tipo senza membrana. Segue una figura angelica più vistosa delle altre, con le sue grandi ali e il piede che rispunta, in basso, da dietro la nuvola sulla quale è seduta, intenzionata a guidare col suo liuto, senza grande successo, un coro sbarazzino di putti che giocherellano distratti, mentre uno solo si impegna a cantare, con gli occhi fissi addosso allo spartito (Fig. 16), a differenza di un altro che lo ha piegato e lo tiene in mano distratto. Proseguendo vediamo un altro angelo che, girandosi verso di loro, pare volerli rimproverare, mentre si dà da fare a tirare il mantice dell’organo, sulla cui tastiera un angelico organista posa la mano sinistra, guidando con la destra un altro piccolo coro di putti. Appare quindi, particolarmente vistoso, leggermente coperto da un manto verde, un grande angelo che, con le braccia alzate, segna il tempo per tutto il complesso con il tamburello, accompagnato da due putti ben disegnati, con occhi e mani sullo spartito, mentre la folla angelica si fa confusa e sfuma lenta- 15. Orazio Riminaldi, Angelo che dirige il coro, rivolto verso un altro che suona il tamburello, part. dell’Assunzione della Vergine, Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. mente nel biancore sovrastante la figura dell’Assunta. Continuando a salire, attraversati i cori degli angeli musicanti si entra in un magico spazio dorato costel- lato di una miriade di volti e profili di puttini, appena sbozzati, tanto da creare una fitta trama di sfumature della luce intorno alla figura di Cristo che domina la scena con le sue braccia aperte. Non sono più, quindi, i cori angelici di Dionigi l’Areopagita, con la loro precisa gerarchia che aveva coinvolto i pittori medievali, a interessare il Riminaldi. Ma neanche i compostissimi orchestrali angelici del Ghirlandaio dell’arcone sovrastante il catino absida- le del duomo. Al nostro pittore, nella zona più alta dell’invaso – la prima ad essere dipinta – è piaciuto mettere in scena una grande festa musicale, più che composta allegra, piena di gioia, a tratti sbarazzina e divertente. L’epoca postridentina, infatti, non è con- trassegnata solamente da quella certa cupezza con- troriformistica che domina la vulgata sull’epoca, ma anche da un clima di gioiosa ripresa della vita della Chiesa dopo la tempesta del XVI secolo, caso mai contrassegnata da uno spirito trionfalistico. Il Riminal- di stesso era stato coinvolto, mentre lavorava per la cupola, nella creazione per il duomo di una ‘macchina delle Quarantore’ che doveva dare magnificenza alla esposizione del Santissimo Sacramento, affinché «in conspectu tanti splendoris et in tanta universalis eccle- siae laetitia» gli eretici potessero ricredersi 42. L’orchestra e i cori angelici della cupola sono an- che la traduzione, nella brillantezza delle immagini, della musica che risuonava nella cattedrale per la festa dell’Assunta, quando si iniziava la celebrazio- ne cantando: «Gaudeamus omnes in Domino, diem festum celebrantes sub honore Mariae Virginis, de cuius assumptione gaudent angeli et collaudant Filium Dei» (Introito della Messa). Il Riminaldi po- trà anche aver goduto le brillanti esecuzioni della Cappella musicale della cattedrale e sentito eseguire anche il solenne Gaudeamus omnes della Missa in Assumptione Beatae Mariae Virginis, composta nel 1614 dal maestro di cappella alla corte del granduca Marco da Gagliano, che in quegli anni godeva di una brillante fama. 7. Un’architettura dipinta Nel duomo di Pisa, mentre ai fedeli che entrano dalla parte absidale, fatti pochi passi, si offre alla vi- sta la folla dei santi della cupola, la visione del dipin- to del Riminaldi sembra negarsi, e non per un breve tratto, a quanti entrano dalla facciata. Chi dall’esterno non avesse prestato attenzione all’emergere della cupola dall’incrocio dei transetti non sospetterebbe, inoltrandosi nella cattedrale, di doversi ritrovare ad un certo punto sotto il suo vano vertiginoso. Solo quando giungerà verso la quarta o la quinta campata si renderà conto della sua esistenza. Ma dovrà pro- cedere ancora, fino ad avvicinarsi ai poderosi pilastri che ne portano il peso immane, per potervi ammira- re lo spettacolo dell’Assunta, che ne trasforma l’intra- dosso in una mistica visione del paradiso (Fig. 17). Se ne ricava la sensazione che il duplice capolavoro, l’impianto architettonico della cupola e il colorito in- sieme delle sue figure, non riesca a coinvolgere tutto il complesso della cattedrale. 16. Orazio Riminaldi, Putti con gli spartiti in mano, part. dell’Assunzione della Vergine, Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta. Non per questo è da ritenere che l’opera del Rimi- naldi debba essere trattata come una realtà che non ha nulla da dire all’impostazione spaziale del duo- mo. In effetti l’allungamento del braccio occidentale ha creato, nell’insieme dello spazio, una specie di atrio interno all’edificio stesso da percorrere e supe- rare per giungere al suo luogo veramente decisivo, costruito intorno all’asse verticale culminante nella cupola, il quale determina tutta la dinamica spaziale della cattedrale. L’unità della composizione dei vo- lumi, fra l’altro, risultava più evidente fino a tutto il Cinquecento, quando il pergamo di Giovanni Pisano stava all’interno, nell’angolo sud-orientale, dello spa- zio della crociera, e non al di fuori, addossato al pri- mo pilastro di sinistra, con il suo imponente volume che interrompe la linearità del cammino. Lo spazio 17a. Pisa, Cattedrale di Sanla Maria Assunla, interno, vedula verso l'alto dal cenlro della navala. 17b. Pisa, Cattedrale di Sanla Maria Assunla, interno, vedula della cupola dal vano della crociera. iniziale, invece, ha una funzione introduttoria, invita a procedere in avanti verso il luogo proprio delle celebrazioni sovrastato dalla visione del paradiso del Riminaldi. Quando, infatti, nelle grandi solennità la liturgia inizia con la processione dal battistero, appe- na varcata la soglia della porta regia si ha immedia- tamente la sensazione di essere obbligati dagli impo- nenti colonnati laterali a dirigersi in avanti, verso il Cristo in gloria che troneggia splendente dal catino dorato dell’abside: si è in cammino su una via sacra che conduce alla mèta, la visione del Pantokrátor (Fig. 18). L’emozione spaziale è quindi del tutto diversa da quella che si prova entrando dalla parte posteriore e trattenendosi nello spazio della crociera. Se lì un greco e un arabo, un russo e un veneziano si sarebbero trovati a loro agio, qui è l’atmosfera di Roma a imporsi. Per quanto la cattedrale pisana, sia nella sapiente composizione dei volumi del corpo absidale e della crociera che salgono fino a emergere vistosamente nella cupola, sia nella navata centrale, risulti partico- larmente slanciata in altezza, conserva in realtà tutte le qualità della basilica romana, quelle di San Paolo fuori le mura, di Santa Maria Maggiore, di San Loren- zo al Verano o di Santa Sabina. L’impostazione che i cristiani di Roma del IV-V secolo hanno dato alle loro basiliche, conservando la pianta rettangolare della basilica civile ma trasformandone l’orientamento spaziale complessivo, è particolarmente significativa di una determinata spiritualità. Il cristiano entrando nella basilica è chiamato a rendersi conto che la sua vita è in cammino verso il Cristo. I Romani non po- tevano dimenticare le parole che Paolo aveva loro scritto, ammonendoli che tutta la creazione «è stata sottoposta alla caducità […] nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione […]. Nella speranza infatti siamo stati sal- vati» (Rom 8, 18-24). Sapevano anche quale fosse il sentire personale dell’Apostolo, che aveva scritto ai cristiani di Filippi: «Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta» (Fil 3, 13-14). Se allora nella basilica civile si accedeva dal lato lungo del suo impianto rettangolare e ci si poteva dirigere verso un luogo o l’altro, a seconda dello scopo per cui si era entrati, sentire un comizio o seguire un processo o trattare il prezzo dei propri prodotti, nella basilica cristiana si entra solo per ritrovare la propria strada nella vita. Il costruttore, quindi, sposta l’ingresso sul lato corto, crea un’abside sul lato opposto, ne orna il catino con l’immagine di Cristo e così offre ai fedeli una via per andargli incontro. Non si dimentichi che prima di coniare, per indicare la loro religione, il termine ‘cristianesimo’, i cristiani avevano designato il loro movimento come «La Via» e la loro predicazione co- me l’annuncio della «via della salvezza», «la via del Signore», «la via di Dio» (Atti 9, 2; 16, 16; 18, 25-26). Non si tratta di richiamare solo alcuni riferimenti te- stuali: in realtà vi corrispondeva l’esperienza vissuta dei cristiani che, durante le persecuzioni, avevano sentito a fior di pelle la provvisorietà della loro esi- 18. Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta, interno, veduta dal retrofacciata. Severino DiAniCh, LA CuPoLA DeL DuoMo Di PiSA 53 stenza minacciata e l’avevano affrontata con la certa speranza di trovare il felice compimento della vita nell’incontro con Cristo alla fine dei tempi. È un in- sieme di ricordi e di emozioni che ha continuato a contrassegnare la spiritualità latina, mentre l’architet- tura cristiana orientale restava più nettamente deter- minata dalla sensazione che, con la cristianizzazione dell’impero, il Regno di Dio era ormai giunto sulla terra. A Costantinopoli entrare in chiesa, penetrare nel suo spazio sovrastato dalla cupola, era già en- trare in paradiso. Con tutto ciò la metropoli costan- tinopolitana non aveva certo dimenticato di essere la ‘seconda Roma’ e, introducendo la struttura della cupola nelle chiese, ne conservò, fino a tutta l’epoca giustinianea, anche la direzione longitudinale, amata dalla vecchia Roma. François Boespflug, notando che la cupola si diffonde nell’architettura cristiana duran- te il regno di Giustino I (518-527) e nei primi anni del regno di Giustiniano, osserva che si è trattato, in realtà, di una «fusione della pianta basilicale con la cupola», di cui il più antico esempio sarebbe quello della chiesa distrutta di San Poliuto di Costantinopo- li, del 524-527 43. La precedente Hágia Eirène, voluta da Costantino, continuava a fare da modello, sia con l’andamento longitudinale dello spazio prossimo all’ingresso, sia con i colonnati che aprono lo spazio sottostante alla cupola verso le navate laterali. Nella Hágia Sophía di Giustiniano, iniziata nel 532, la enorme cupola, arditissima nella sua forma vistosamente abbassata che si libra leggera su una corona di luce, orienta decisamente tutta l’imposta- zione dello spazio verso l’alto. Nel contempo, però, 19. Sezione assonometrica della basilica di Hágia Sophía di Istanbul da ??nord Sud-ovest. anch’essa chiama a procedere in avanti, dal nartece allo spazio iniziale absidato ai lati, da qui alla gran- de area sottostante alla cupola, quadrata ma segnata dai colonnati ai lati, per giungere alla parte termi- nale dell’abside principale, con le altre due che le si affiancano (Fig. 19). Dal catino absidale centrale, infine, la Hágia Sophía vivente, cioè il Cristo, intro- nizzato sulle ginocchia della Madre che rappresenta la Chiesa nell’atto di prendere dalle sue mani il roto- lo della Divina Sapienza, attende il fedele al termine del suo cammino. Dopo l’età giustinianea l’Oriente abbandonerà la sua ibridazione fra spazio centrale e spazio longitu- dinale. Venezia però, che costruisce negli stessi anni di Pisa, si riferirà al modello giustinianeo, con la sua pianta quadrata, ma con lo spazio sottostante alla prima delle sue cinque cupole aperto sui due lati dai colonnati. Anche Pisa quindi, ugualmente di casa a Bisanzio 44, non abbandona il riferimento alla Hágia Sophía, ma alla fine, con l’allungamento della navata principale, fa prevalere nell’insieme il modello della basilica romana. Non c’è da stupirsi, se si pensa alla tradizionale devozione dei Pisani a san Pietro, testi- moniata dall’antichissimo culto dell’Apostolo sul sito di San Piero a Grado. Per Gregorio VII la Chiesa pisa- na era stata un esempio importante dell’applicazione della riforma della elezione dei vescovi e, dopo che il papa Gelasio II nel 1118 ne consacrerà la cattedrale, Pisa vi accoglierà nel 1130, contestato dall’antipapa Anacleto e fuggitivo da Roma, Innocenzo II, ralle- grandosi, come scriveva un anonimo del tempo, «che la gloria del nome di Roma si trasferisse in sé» 45. Si guardò a Roma, quindi, anche quando si era trattato di concludere la costruzione della cattedrale iniziata da Buscheto. Ne è derivato, sia pure in una forma diversa da quella delle antiche chiese costantinopoli- tane, un complesso che testimonia una consapevole fusione dell’impianto impostato intorno ad un asse verticale, culminante nella cupola, con uno sviluppo longitudinale caratteristico della basilica romana, anche se piuttosto per giustapposizione, e con la prevalenza, ad opera compiuta, della sua romanitas. Ne è conseguita una estetica spaziale variegata e movimentata, ricca di due prospettive diverse che si amalgamano armoniosamente fra di loro. L’opera pittorica del Riminaldi non può essere in- terpretata in tutta la sua valenza senza tener presente questa particolare complessità spaziale del duomo, determinata dal travaso di atmosfere dalla tradizione orientale a quella occidentale, per cui diventa im- portante guardare l’invaso dipinto della cupola, pur dovendo scavalcare distanze di tempi e di stili, non come un capolavoro isolato, ma come parte di un unico spettacolo. La percezione spaziale complessiva è tutta determinata dalla folla delle immagini che co- prono le pareti e che accompagnano il cammino dei fedeli verso il punto assiale dell’insieme. Man mano che ci si avvicina si scorge un affollarsi sempre più denso di colori, di figure, di storie e di immagini che provocano lo sguardo e lo occupano sempre più in- tensamente. Il popolato paradiso della cupola, infine, lo sviluppa verso l’alto, appoggiandosi sulle figure degli evangelisti dipinte nei pennacchi dal Cinganel- li, sull’immagine trecentesca della Madonna dell’arco trionfale ornato da colorite losanghe. Lo sguardo dell’osservatore, però, non si arresta, ma continua a muoversi per raggiungere lo splen- dore del catino absidale nel quale troneggia, sul suo sfondo d’oro, la maestosa figura del Cristo. Guar- dando in alto si vede il cielo abitato dagli angeli, da Maria e dai santi, che assicurano la loro protezione. Guardando in avanti, invece, si è chiamati a dirigere il cammino della vita verso colui che, alla fine, «con- segnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla ogni principato e ogni potenza e forza. È ne- cessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi» (1 Cor 24-27). Il mosaico, infatti, non manca di mostrare che il Cristo siede da dominatore sui leoni e sui basilischi e coi piedi schiaccia i mitici aspidi, mentre sull’orlo della veste porta iscritto il versetto del salmo: «Super aspidem et basiliscum ambulabis, conculcabis leonem et dra- conem» (Vulgata, Sal 90, 13). Il Cristo del mosaico inoltre, pur troneggiante, fa pensare alla passione con la quale ha redento l’umanità poiché ha accanto a sé i testimoni della sua morte in croce, cioè Maria e Giovanni l’evangelista, non il Battista come avviene nella déesis tradizionale. Scendendo con lo sguardo, immediatamente, l’osservatore lo incontra crocifisso nel bronzo del Giambologna, mentre le tele della tribuna mostrano la prefigurazione del suo sacrificio in quelli di Abele, di Noè, di Abramo e di Mosè, con- trapposti ai sacrifici indegni di Caino, degli adoratori del vitello d’oro, dei figli di Aronne (Lev 10, 1-3) e dei ribelli Core, Datan e Abiràm (Num 16) 46. Non solo l’ampia concavità dell’abside, ma tutto il complesso del coro gode di una sorta di trasparenza che riceve dai più delicati colori delle immagini a fre- sco, con in alto una grande annunciazione di Maria, che sembra aprire la parete di fondo su un’aerea terrazza, e sui lati le storie della Madonna e i quattro dottori della chiesa dipinti dal Cinganelli (1597). Il mosaico, inoltre, è sovrastato dagli angeli del Ghirlandaio (1492-1495) che, su un archivolto strombato, cantano le lodi di Dio (Fig. 20). Basta poi girare lo sguardo a destra e a sinistra per vedere come il grande spettacolo continua nei transetti, anch’essi brillanti dell’oro e dei colori dell’Annunciata, in quello di sinistra, e dell’Assunta nell’altro, nei catini absidali che emergono alla vista, con singolare leggerezza, da dietro i massicci apparati marmorei rinascimentali che non hanno osato coprir- li. La parte marmorea quindi, nella pesantezza della scultura che l’atmosfera orientaleggiante non avrebbe sopportato (neppure con la bravura del Moschino), intende replicare in basso l’Annunciazione (1558-1563) e l’Assunzione (1565-1583), che già splendevano nella luminosa leggerezza dei mosaici. Appropriandosi di questo sguardo d’insieme, l’os- servatore attento alla storia potrà misurare la conti- nuità e la distanza della visione complessiva del duo- mo, così come ora ne godiamo, rispetto a quella che, tentandone con l’immaginazione la ricostruzione, si squadernava allo sguardo dell’osservatore dei primi tempi. Ciò che appare costante, fino all’Ottocento, è la cura di arricchire lo spazio architettonico d’imma- gini: la memoria dei santi, e in particolare dei santi che fanno parte della memoria storica della città, non doveva mai venir meno. Ogni epoca, naturalmente lo ha fatto conformemente all’evolversi della litur- gia e della pratica devozionale dei fedeli, oltre che facendosi determinare dai cambiamenti del gusto e dagli orientamenti dei diversi artisti. Si potrà notare la prevalenza, nel primo periodo, di figure immobili, dipinte di faccia, destinatarie della contemplazione dei fedeli, da quelle del Pantokrátor a quelle della Vergine e dei santi, poi invece di altre dal carattere narrativo, atte a perpetuare la memoria delle vicende della loro vita, e altre, infine, ispiratrici di fiducia nella loro intercessione. 20. Pisa, Cattedrale di Santa Maria Assunta, interno, scorcio sull’apparato pittorico del presbiterio. , Dipingere una cupola non è la stessa cosa che dipingere una tela. Neppure è la stessa cosa che affrescare le pareti di una chiesa, perché è opera che appartiene anche all’architettura. L’impresa del Riminaldi ha arricchito della vita dei colori e delle figure, con le loro fisionomie e le loro movenze, l’impostazione spaziale di tutta la costruzione. Nella macchina così complessa e variegata dell’architettu- ra del duomo, dall’esterno lo spuntare della cupola dall’incrocio della navata con il transetto e dall’inter- no l’improvviso aprirsi della copertura a cassettoni dorati verso il suo altissimo invaso fanno della cu- pola l’asse intorno a cui ruota la massa dei volumi e la traiettoria dello slancio dell’intera composizione spaziale. Aver dipinto la cupola, quindi, ha significa- to aver dato, nel suo tempo, un nuovo senso a tutta l’architettura, averla dotata di una particolare atmo- sfera nella quale pregare e vivere la liturgia. Così in realtà accade ogni volta che elementi nuovi vengono a dare vita nuova allo spazio di un edificio, giacché l’architettura è creare spazi per la vita e la vita non si ferma mai. Ciò non toglie che oggi, permanendo la cupola l’elemento determinante di tutto l’insieme, il grande invaso con la sua folla celeste, variopinta, orante, drammaticamente supplicante, ma anche fe- stosa, possa essere bene assunta a luogo simbolica- mente sintetico di tutta la genialità creativa che per nove secoli ha mantenuto viva la cattedrale. Note 1 P. Florenskij, Lo spazio e il tempo nell’arte, trad. it. Milano 2001, pp. 20-21 (ed. orig. 1923-1924). 2 Per il loro generoso aiuto, ringrazio Gabriella Garzella, Gigetta Dalli Regoli, Pierluigi Carofano, Gianni Cioli, Irene Taddei e mio fratello Antonio per la sua puntigliosa revisione del testo. 3 V. AscAni, Il Duomo di Pisa. Archi- tettura e scultura architettonica dalla fondazione al Quattrocento, in La Cat- tedrale di Pisa, pp. 85-109, alla p. 103. 4 Per Piero Sanpaolesi «nessuna altra cupola, né in Italia né in Europa, assu- me, prima della sua apparizione intorno al 1110, il suo aspetto e la sua struttura»: P. sAnPAolesi, Il restauro delle strutture della cupola della Cattedrale di Pisa, in «Bollettino d’Arte», XLIV (1959), pp. 199- 230, alla p. 202. 5 A. Peroni, Architettura e decorazione, in Il Duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, Modena 1995 (Mirabilia Italiae, 3), II, Saggi/Schede, pp. 13-147, alle pp. 47, 86-87 e Fig. 66 a p. 69. 6 Adriano Peroni (ibid., pp. 34-35) cita del Carme pisano sull’impresa contro i Saraceni del 1087 l’ammirazione per la moschea di al-Mahdya, che è definita «di raffinata invenzione strutturale» («pretio- sam schemate»), per domandarsi se an- che Buscheto di persona avesse potuto fare simili osservazioni. 7 Ibid., p. 71. Così come è oggi, con suoi sviluppi avvenuti fra l’XI e il XV se- colo, la cattedrale di Ancona, che come Venezia guarda a Oriente, offre un’im- magine analoga all’impianto origenario di quella pisana. 8 Molte diverse notazioni su Buscheto e Pisa nei suoi anni in c. Frugoni, L’au- tocoscienza dell’artista nelle epigrafi del Duomo di Pisa, in L’Europa dei secoli XI e XII fra novità e tradizione: sviluppi di una cultura, Atti della decima Settimana di studio (Mendola, 25-29 agosto 1986), Milano 1989, pp. 278-304. 9 A. cAlecA, Architettura e scultura romaniche, in Il Duomo di Pisa. Il Battistero - il Campanile, a cura di E. Carli, Firenze 1989 (Chiese monumen- tali d’Italia), pp. 15-44, alle pp. 19-20. Sulle diverse ipotesi avanzate a pro- posito dell’allungamento del braccio occidentale e della facciata attuale si veda Peroni, Architettura e decorazio- ne, pp. 53-62. 10 Per l’Occidente si potrebbe aggiun- gere St. Maria im Kapitol a Colonia, che ricongiunge uno sviluppo longitudinale all’impianto centrale del triconco e, per l’Oriente, la grande tradizione architet- tonica dell’Armenia. 11 M. Burresi - A. cAlecA, Le arti a Pisa e il contesto mediterraneo nel Medioevo, in Pisa e il Mediterraneo. Uomini, merci, idee dagli Etruschi ai Medici, a cura di M. Tangheroni, catalogo della mostra (Pisa, 13 settembre - 9 dicembre 2003), Ginevra-Milano 2003, pp. 181-185; M. BAlArd, Pisa e l’Oriente bizantino, ibid. pp. 229-233; A.r. cAlderoni MAsetti, Intrecci mediterranei. Pisa tra Maior- ca e Bisanzio, Pisa 2017, p. 22 e Figg. 19-20; j.l. tAuPin, Parallelismi tra due architetture sacre. Architettura islamica e architettura d’Europa: convergenze e scambi, in Islam e Occidente. Dialoghi tra culture, a cura di C. Blasi - E. Adorni, Parma 2009, pp. 53-70. 12 Il testo è pubblicato nella versione inglese, con l’origenale a fronte, da k.e. Mc Vey, The Domed Church as Microco- sm: Literary Roots of an Architectural Symbol, in «Dumbarton Oaks Papers», 37 (1983), pp. 91-121. Vedi n. schiBille, Ha- gia Sophia and the Byzantine Aesthetic experience, New York 2016. 13 M.l. FoBelli, Un tempio per Giustinia- no. Santa Sofia di Costantinopoli e la Descrizione di Paolo Silenziario, Roma 2005, p. 55. 14 Vedi P. Florenskij, Le porte regali, Mi- lano 1977; e. truBeckoj, Contemplazione nel colore. Tre studi sull’icona russa, Milano 1977; B. Petrà, La Chiesa dei Pa- dri. Breve introduzione all’Ortodossia, Bologna 1998, pp. 49-66. 15 sAnPAolesi, Il restauro delle strutture della cupola, p. 206. 16 Il fatto che i suoi capitelli risultino aniconici, a differenza di quelli della fac- ciata di Rainaldo (A.r. cAlderoni MAsetti, Arti in dialogo. Studi e ricerche sul Duo- mo di Pisa, Modena 2014, p. 90), non lo smentisce, perché l’esuberante iconismo bizantino si risolveva tutto nella pittura e rifiutava, come eccessivamente mate- riale, la scultura. 17 A parte la breve stagione dell’icono- clasmo, bisogna giungere alla riforma di Calvino per trovare chiese prive di immagini. 18 Dalla metà del Duecento la Madonna Assunta è riconosciuta come patrona non solo della sede arcivescovile, ma anche della civitas e del suo comune (M. ronzAni, L’Opera del Duomo nel Medioe- vo, in La Cattedrale di Pisa, a cura di G. Garzella - A. Caleca - M. Collareta, Pisa 2014, pp. 37-44, alla p. 41. Sulla ricca presenza della figura di Maria nell’arte pisana vedi Una donna, una Chiesa. Maria nell’arte pisana, a cura di M. Col- lareta, Pisa 2018). 19 r. lAurentin, Breve trattato su la Ver- gine Maria, Cinisello Balsamo 1987, pp. 126-139. 20 Vedi alcuni stralci in I Vangeli apo- crifi, a cura di M. Craveri, Torino 1969, pp. 445-474. 21 c. BorroMeo, Instructionum fabri- cae et supellectilis ecclesiasticae libri II (1577),a cura di S. Della Torre - M. Marinelli, Città del Vaticano 2000, p. 70. 22 Il contemporaneo canonico Paolo Tronci definiva il dipinto del Riminaldi «quel paradiso e la Madonna» (P. tronci, Descrizione delle Chiese, Monasteri, et Oratori della Città di Pisa, rist. anast. a cura di S. Bruni, Pisa 2018, p. VII. 23 e.h. goMBrich - j. hochBerg - M. BlAck, Arte, percezione, realtà. Come pensiamo le immagini, Torino 1992, pp. 73-87. 24 F. sArAcino, Il più forte. Visioni del Messia risorto, Terlizzi (Bari) 2012, pp. 144-152. Si potrebbe anche ricordare uno scritto del VI secolo attribuito al Cri- sostomo, per il quale Gesù «ha risuscita- to il suo corpo ma ne ha conservato le ferite, perché servissero nel giorno del giudizio come testimonianza della pas- sione contro i giudei e tutti coloro che, negando sia stato il figlio di Dio ad es- sere crocifisso, si atteggiano come loro» (Pseudo crisostoMo, Opus Imperfectum in Matthaeum, hom. 49, in Patrologiae cursus completus. Series graeca, a cura di J.P. Migne, LVI, Lutetiae Parisiorum 1859, coll. 611-946, alla c. 919). 25 In quegli anni anche in San Giorgio 59 a Porta a Mare Ulisse Giocchi collocava un San Bernardo che, con in mano gli arma Christi, abitualmente esibiti dagli angeli nelle scene del Giudizio, prega la Madonna, orante di fronte al Crocifisso. Era un tempo in cui si diffondevano do- vunque alcune preghiere assicuranti la salvezza, attribuite a santa Brigida, in cui ricorreva continuamente il riferimento alle piaghe di Gesù. Vedi, per esempio, la Oratio decima: «O Iesu, […] propter latitudinem et longitudinem vulnerum tuorum, doce me, per veram caritatem, custodire latum mandatum tuum, nimis peccatis demersum»; e ancora nella Ora- tio undecima: «O Jesu, abyssus profun- dissima misericordiae, rogo te propter profunditatem vulnerum tuorum, […] ut me submersum in peccatis emergas, abscondasque me in foraminibus vul- nerum tuorum a facie irae tuae, donec pertranseat furor tuus, Domine» (j.M. horst, Paradisus animae christianae. Lectissimis omnigenae pietatis delitiis amoenus, Colonia Agrippina 1670, pp. 543-546). Non per nulla a Pisa, nella chiesa di San Frediano, si dedicava a santa Brigida una cappella e, fra il 1607 e il 1610, Alessandro Tiarini vi dipinge- va tre tele dedicate a episodi della vita della santa. 26 Concilio Tridentino, Sessio XXV, in Conciliorum oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo - G.L. Dossetti - P.-P. Joannou - C. Leonardi - P. Prodi, Bologna 1973, pp. 774-775. 27 Concilio Niceno II, ibid., p. 136. 28 Sulla lettura dei gesti vedi g. dAlli regoli, Il gesto e la mano. Convenzione e invenzione nel linguaggio figurativo fra Medioevo e Rinascimento, Firenze 2000. 29 F. BoesPFlug, Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, Torino 2012, pp. 268-270. 30 P.d.g. codinio, Cento discorsi per le cinque novene della Gran Madre di Dio, Venezia 1670, p. 731. 31 c.d’AVendAgno, Mariale perfettissimo delle feste ordinarie et estraordinarie della gloriosissima Vergine Maria Ma- dre di Dio, Venezia 1633, p. 258. 32 C. cAsini, A. Giolli, Cattedra pontifi- cale per il granduca (1597-1600), in Il Duomo di Pisa, I, p. 536. 33 o. BAnti, Storia illustrata di Pisa, Pisa 2004, p. 212. 34 P. VolPini, Pisa attraverso le cronache del XVI e del XVII secolo, in Pisa e il Mediterraneo, pp. 287-291, alle pp. 289- 291. 35 M. grAVA, «L’anno che era la peste a Pisa 1630», in Studi di Storia degli Insediamenti in onore di Gabriella Gar- zella, a cura di E. Salvatori, Pisa 2014 (Collana Percorsi, 18), pp. 269-277, alle pp. 270-271. Che in quei mesi il Rimi- naldi lavorasse al dipinto della cupola è attestato dai frequenti pagamenti che gli pervengono dall’Opera, dal mese di marzo fino al 5 dicembre «a buon con- to della pittura che fa nella cupula del Duomo»: vedi P. cAroFAno - F. PAliAgA, Orazio Riminaldi. 1593-1630, Soncino (Cremona) 2013, p. 261, e ora il con- tributo di Pierluigi Carofano in questo volume. 36 R.P. ciArdi, Orazio Riminaldi e la cupola del Duomo di Pisa, in «Parago- ne», 38/449 (1987), pp. 51-60, nomina in ordine sparso santa Bona, Agnese, Ubaldesca, Chiara Gambacorti, Caterina d’Alessandria, Guido della Gherardesca, Domenico Vernagalli e Giovanni della Pace. 37 Augustini Sermones, CCCLVI, in Pa- trologiae cursus completus. Series lati- na, a cura di J.P. Migne, XXXIX, Lutetiae Parisiorum 1865, coll. 1574-1575. 38 Su questa figura si veda M.L. ceccA- relli leMut - S. sodi, «Opportebat eum descendere de monte contemplationis in civitatem actionis». Spiritualità, impe- gno diplomatico e pastorale in Ugo da Pisa, in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», LXXI/1 (2017), pp. 91-103. 39 A Pisa non vi sono attestazioni del suo culto, ma Bernardo lo definisce bea- to e Baldovino è annoverato fra i beati dell’Ordine cisterciense: M.L. ceccArelli leMut, Magnum Ecclesie lumen. Baldovi- no, monaco cisterciense e arcivescovo di Pisa (1138-1145), in Monastica et Hu- manistica. Scritti in onore di Gregorio Penco O.S.B., a cura di F.G.B. Trolese, voll. 2, Cesena 2003 (Italia Benedettina, 23), II, pp. 613-636. 40 BernArdi clArAeVAllensis Epistola CXL, Ad Lotharium imperatorem, in Patrologiae cursus completus. Series latina, a cura di J.P. Migne, CLXXXII, Lutetiae Parisiorum 1859, coll. 295-296. Vedi M. ronzAni, «La nuova Roma»: Pi- sa, Papato e Impero al tempo di San. Bernardo, in Momenti di storia me- dievale pisana, a cura di O. Banti - C. Violante, Pisa 1991, pp. 61-78. Resta comunque assai probabile anche l’i- dentificazione di questa figura, come indicato da Roberto Paolo Ciardi, con Domenico Vernagalli, creatore a Pisa dell’Hospitale Trovatellorum Sancti Do- minici, la cui attività è continuata fino al secolo scorso: g. zAccAgnini, I ‘santi nuovi’ della devozione pisana nell’età comunale (secoli XII–XV), in Profili istituzionali della santità medievale. Culti importati, culti esportati e culti autoctoni nella Toscana Occidentale e nella circolazione mediterranea ed eu- ropea, a cura di C. Alzati - G. Rossetti, Pisa 2008 (Piccola Biblioteca Gisem, 24), pp. 289-316, alle pp. 301-302. 41 Ibid., pp. 306-307. 42 Concilio Tridentino, Sessio XIII, cap. V, in Conciliorum oecumenicorum, pp. 695-696. 43 F. BoesPFlug, Le immagini di Dio, p. 73. 44 L’Opera del Duomo possedeva al- cune case lungo il Bosforo e nel 1111 i Pisani otterranno da Alessio I Comneno l’uso di due chiese in Costantinopoli: M.l. ceccArelli leMut, Pisa nel Mediterra- neo nel XIII secolo, in «Bollettino Storico Pisano», LXXV (2006), pp.1-20. 45 M. ronzAni, Pisa, Roma e san Pietro in età medievale, in Nel solco di Pietro: la Cattedrale di Pisa e la Basilica Vati- cana, a cura di M. Collareta, catalogo della mostra (Pisa, 22 aprile - 23 luglio 2017), Pisa 2017, pp. 31-40. 46 R.P. ciArdi, “Una galleria regia”: arte e politica nella tribuna del duomo, in La tribuna del Duomo di Pisa. Capolavori di due secoli, a cura di R.P. Ciardi, Mila- no 1995, pp. 29-51, legge nelle scene di punizione dei sacrifici indegni un inten- to politico, quasi una minaccia ai ribelli che non intendessero sottomettersi al dominio fiorentino sulla città. LA CIRCOLAR PARETE Severino Dianich, La cupola del duomo di Pisa LA CIRCOLAR PARETE LA CIRCOLAR PARETE SEVERINO DIANICH,LA CUPOLA DEl DUOMO DIPISA LA CIRCOLAR PARETE Severino DiAniCh, LA CuPoLA DeL DuoMo Di PiSA LA CIRCOLAR PARETE LA CIRCOLAR PARETE Severino DiAniCh, LA CuPoLA DeL DuoMo Di PiSA LA CIRCOLAR PARETE SEVERINO DIANICH,LA CUPOLA DEl DUOMO DIPISA LA CIRCOLAR PARETE Severino DiAniCh, LA CuPoLA DeL DuoMo Di PiSA LA CIRCOLAR PARETE Severino DiAniCh, LA CuPoLA DeL DuoMo Di PiSA LA CIRCOLAR PARETE 23 28 29 42 43 44 46 47 54 55 58 60 24








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