'Dante vivo', 1997-2022 © Julia Bolton Holloway, Carlo Poli, Società Dantesca Italiana, Federico Bardazzi, Ensemble San Felice
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Lettore, Antonio Crasi
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Girone V, Avarizia e Prodigalità
DANTE ALIGHIERI
ontra
miglior voler voler mal pugna;
onde contra 'l piacer mio, per piacerli,
trassi de l'acqua non sazia la spugna.
4 Mossimi;
e 'l duca mio si mosse per li
luoghi spediti pur lungo la roccia,
come si va per muro stretto a' merli;
7 ché la
gente che fonde a goccia a goccia
per li occhi il mal che tutto 'l mondo occupa,
da l'altra parte in fuor troppo s'approccia.
10 Maladetta sie
tu, antica lupa,
che più che tutte l'altre bestie hai preda
per la tua fame sanza fine cupa!
13 O ciel, nel
cui girar par che si creda
le condizion di qua giù trasmutarsi,
quando verrà per cui questa disceda?
16 Noi andavam
con passi lenti e scarsi,
e io attento a l'ombre, ch'i' sentia
pietosamente piangere e lagnarsi;
19 e per
ventura udi' «Dolce Maria!»
dinanzi a noi chiamar così nel pianto
come fa donna che in parturir sia;
22 e seguitar:
«Povera fosti tanto,
quanto veder si può per quello ospizio
dove sponesti il tuo portato santo».
25 Seguentemente
intesi: «O buon Fabrizio,
con povertà volesti anzi virtute
che gran ricchezza posseder con vizio».
28 Queste
parole m'eran sì piaciute,
ch'io mi trassi oltre per aver contezza
di quello spirto onde parean venute.
31 Esso parlava
ancor de la larghezza
che fece Niccolò a le pulcelle,
per condurre ad onor lor giovinezza.
34 «O anima che
tanto ben favelle,
dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola
tu queste degne lode rinovelle.
37 Non fia sanza
mercé la tua parola,
s'io ritorno a compiér lo cammin corto
di quella vita ch'al termine vola».
40 Ed elli: «Io
ti dirò, non per conforto
ch'io attenda di là, ma perché tanta
grazia in te luce prima che sie morto.
43 Io fui
radice de la mala pianta
che la terra cristiana tutta aduggia,
sì che buon frutto rado se ne schianta.
46 Ma se Doagio,
Lilla, Guanto e Bruggia
potesser, tosto ne saria vendetta;
e io la cheggio a lui che tutto giuggia.
49 Chiamato fui
di là Ugo Ciappetta;
di me son nati i Filippi e i Luigi
per cui novellamente è Francia retta.
52 Figliuol fu'
io d'un beccaio di Parigi:
quando li regi antichi venner meno
tutti, fuor ch'un renduto in panni bigi,
55 trova'mi
stretto ne le mani il freno
del governo del regno, e tanta possa
di nuovo acquisto, e sì d'amici pieno,
58 ch'a la
corona vedova promossa
la testa di mio figlio fu, dal quale
cominciar di costor le sacrate ossa.
61 Mentre che la
gran dota provenzale
al sangue mio non tolse la vergogna,
poco valea, ma pur non facea male.
64 Lì cominciò
con forza e con menzogna
la sua rapina; e poscia, per ammenda,
Pontì e Normandia prese e Guascogna.
67 Carlo venne
in Italia e, per ammenda,
vittima fé di Curradino; e poi
ripinse al ciel Tommaso, per ammenda.
70 Tempo vegg'
io, non molto dopo ancoi,
che tragge un altro Carlo fuor di Francia,
per far conoscer meglio e sé e ' suoi.
73 Sanz' arme
n'esce e solo con la lancia
con la qual giostrò Giuda, e quella ponta
sì, ch'a Fiorenza fa scoppiar la pancia.
76 Quindi non
terra, ma peccato e onta
guadagnerà, per sé tanto più grave,
quanto più lieve simil danno conta.
79 L'altro, che
già uscì preso di nave,
veggio vender sua figlia e patteggiarne
come fanno i corsar de l'altre schiave.
82 O avarizia,
che puoi tu più farne,
poscia c'ha' il mio sangue a te sì tratto,
che non si cura de la propria carne?
85 Perché men
paia il mal futuro e 'l fatto,
veggio in Alagna intrar lo fiordaliso,
e nel vicario suo Cristo esser catto.
88 Veggiolo
un'altra volta esser deriso;
veggio rinovellar l'aceto e 'l fiele,
e tra vivi ladroni esser anciso.
91 Veggio il
novo Pilato sì crudele,
che ciò nol sazia, ma sanza decreto
portar nel Tempio le cupide vele.
94 O Segnor
mio, quando sarò io lieto
a veder la vendetta che, nascosa,
fa dolce l'ira tua nel tuo secreto?
97 Ciò ch'io
dicea di quell' unica sposa
de lo Spirito Santo e che ti fece
verso me volger per alcuna chiosa,
100 tanto è
risposto a tutte nostre prece
quanto 'l dì dura; ma com' el s'annotta,
contrario suon prendemo in quella vece.
103 Noi
repetiam Pigmalïon allotta,
cui traditore e ladro e paricida
fece la voglia sua de l'oro ghiotta;
106 e la miseria
de l'avaro Mida,
che seguì a la sua dimanda gorda,
per la qual sempre convien che si rida.
109 Del folle
Acàn ciascun poi si ricorda,
come furò le spoglie, sì che l'ira
di Iosüè qui par ch'ancor lo morda.
112 Indi
accusiam col marito Saffira;
lodiam i calci ch'ebbe Elïodoro;
e in infamia tutto 'l monte gira
115 Polinestòr
ch'ancise Polidoro;
ultimamente ci si grida: ``Crasso,
dilci, che 'l sai: di che sapore è l'oro?".
118 Talor parla
l'uno alto e l'altro basso,
secondo l'affezion ch'ad ir ci sprona
ora a maggiore e ora a minor passo:
121 però al ben
che 'l dì ci si ragiona,
dianzi non era io sol; ma qui da presso
non alzava la voce altra persona».
124 Noi eravam
partiti già da esso,
e brigavam di soverchiar la strada
tanto quanto al poder n'era permesso,
127 quand' io
senti', come cosa che cada,
tremar lo monte; onde mi prese un gelo
qual prender suol colui ch'a morte vada.
130 Certo non
si scoteo sì forte Delo,
pria che Latona in lei facesse 'l nido
a parturir li due occhi del cielo.
133 Poi cominciò
da tutte parti un grido
tal, che 'l maestro inverso me si feo,
dicendo: «Non dubbiar, mentr' io ti guido».
136 `Glorïa
in excelsis' tutti `Deo'
dicean, per quel ch'io da' vicin compresi,
onde intender lo grido si poteo.
139 No'
istavamo immobili e sospesi
come i pastor che prima udir quel canto,
fin che 'l tremar cessò ed el compiési.
142 Poi
ripigliammo nostro cammin santo,
guardando l'ombre che giacean per terra,
tornate già in su l'usato pianto.
145 Nulla
ignoranza mai con tanta guerra
mi fé desideroso di sapere,
se la memoria mia in ciò non erra,
148 quanta
pareami allor, pensando, avere;
né per la fretta dimandare er' oso,
né per me lì potea cosa vedere:
151 così
m'andava timido e pensoso.
'DANTE VIVO'- LA COMMEDIA DI DANTE ALIGHIERI (Testo,
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