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Ota, una badessa di stirpe regia

2024, Ritratti di donne: una Storia di esperienze Saggi per Paola Guglielmotti raccolti da Tiziana Lazzari e Isabella Lazzarini

https://doi.org/10.5281/zenodo.13862766

Three documents, concentrated within just three months, testify to the activity of Ota, abbess of the Monastery of St. Salvatore in Brescia in the mid-10th century. In these documents, Ota claims to be of royal lineage, though few scholars have believed this to be true. This essay aims to restore an identity to this forgotten abbess by combining the study of these documents with an analysis of the traces she left in the monastery’s Memorial Codex and by attempting to reconstruct the specific historical and political context in which she lived and worked.

QUADERNI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA 16 Collana diretta da Stefano Gardini Ritratti di donne: una Storia di esperienze Saggi per Paola Guglielmotti raccolti da Tiziana Lazzari e Isabella Lazzarini GENOVA 2024 Referees: i nomi di coloro che hanno contribuito al processo di peer review sono inseriti nell’elenco, regolarmente aggiornato, leggibile all’indirizzo: http://www.storiapatriagenova.it/ref.asp Referees: the list of the peer reviewers http://www.storiapatriagenova.it/ref.asp is regularly updated at URL: I saggi pubblicati in questo volume sono stati sottoposti in forma anonima ad almeno un referente. All articles published in this volume have been anonymously submitted at least to one reviewer. INDICE Due parole di premessa pag. 7 Antonella Ghignoli, La coraggiosa Egenanda » 9 Giulia Zornetta, Le implicazioni politiche della sorellanza: Adelperga e Liutperga alla fine del regno longobardo » 25 Eleonora Destefanis, Tigre e le Dei famulae dell’Italia altomedievale: presenze femminili tra pratiche di ospitalità e spazi di accoglienza » 43 Tiziana Lazzari, Ota, una badessa di stirpe regia » 63 Maria Elena Cortese, Potens ac nobilis matrona. Gisla figlia di Rodolfo (Firenze, secolo XI) » 89 Sandra Macchiavello - Valentina Ruzzin, Alterixia di Pietro Malocello, vedova di Antonio de Castro » 109 Elisabetta Scarton, Venezia, 1324: quale giustizia per Marina Volpe? » 127 Roberta Braccia, Griselda sposa senza dote, ma con molte virtù. Una rilettura storico-giuridica » 143 Federica Cengarle, A proposito di Camiola e della ‘nuova’ moralità nel De mulieribus claris di Giovanni Boccaccio » 159 Denise Bezzina, Violante, vedova di Francesco Ultramarino » 173 Alma Poloni, Monna Lisa ad Avignone. Donne e commercio internazionale alla fine del medioevo » 189 Serena Morelli, Fedeltà angioine e politica internazionale all’epoca del grande scisma: Maria d’Enghien » 209 Isabelle Chabot, La serva-pellegrina. Storia di « monna Margherita [che] andò al Sipolchro e a San Iachopo e [a] Ascesi » (Firenze, 1426-1427) » 229 – 5 – Isabella Lazzarini, I conti di Paola. Registri contabili e governo di Paola Malatesta Gonzaga pag. 249 Giustina Olgiati, Antonina e le altre: il processo del 1447 contro le streghe di Sanremo » 267 Maria Nadia Covini, Margherita Cusani Maletta, la borghese gentildonna (Milano, XV secolo) » 289 Marta Calleri - Antonella Rovere, Clelia Jona, una pioniera nello studio dei protocolli notarili genovesi » 309 – 6 – Quaderni della Società Ligure di Storia Patria 16, 2024 ISBN 979-12-81845-04-6 (a stampa) / 979-12-81845-05-3 (digitale) ISSN 2421-2741 (a stampa) / 2464-9767 (digitale) DOI 10.5281/zenodo.13862766 Ota, una badessa di stirpe regia Tiziana Lazzari tiziana.lazzari@unibo.it Un piccolo pugno di carte, tre in tutto 1, testimoniano l’esistenza in vita e l’attività di una signora di nome Ota, che fu badessa del monastero di San Salvatore di Brescia alla metà del secolo X. Una badessa speciale, però, perché era ex regali progenie orta, e cioè nata da una progenie regia. I documenti ci sono giunti in originale 2, nessun dubbio sull’attestazione quindi, e sono datati tutti da Brescia, fra il 12 novembre 960 e il 4 febbraio 961, coprendo così insieme un periodo di appena tre mesi, l’unico lasso di tempo certo in cui la badessa Ota fu a capo del cenobio. 1. Una signora ignota Una badessa che si dichiarava di origine regia non poteva non attirare le attenzioni dell’erudizione locale: agli inizi del secolo XVIII, Giovanni Andrea Astezati nel suo monumentale lavoro sul monastero di S. Giulia, conservato manoscritto nella Biblioteca Queriniana di Brescia 3, incrociando le date delle attestazioni documentarie con il fatto che la donna si chiamava ——————— * Durante la stesura di questo pezzo ho perseguitato con le mie ipotesi alcune persone amiche che sono state molto generose nel dialogo e nei consigli: voglio allora ringraziare, in rigoroso ordine alfabetico Erika Cinello, Giovanni Isabella, Corinna Mezzetti, Lorenzo Tabarrini e Giacomo Vignodelli, preziosi compagni di lavoro e di vita quotidiana. Un ringraziamento speciale desidero esprimere ad Antonella Ghignoli, la cui lettura è stata per me molto preziosa. 1 Due sono edite in Carte di S. Giulia, nn. 53 e 54. La terza, datata 960 dicembre 31 (e sulla datazione torneremo), non è compresa nell’edizione online, e si legge ancora in Codex diplomaticus Langobardiae, n. DXCIV, coll. 1016-1017. 2 Rispettivamente, Milano, Archivio di Stato, Museo Diplomatico (da ora in poi Museo Diplomatico), D, cart. 6, n. 73 e Museo Diplomatico, cart. 7, n. 74. Per il terzo, nell’edizione ottocentesca dei Monumenta di storia patria si dice, come per entrambi gli altri documenti, che la trascrizione era stata fatta ex autographo monasterii Sancti Fidelis Mediolanensis, e quindi da un originale. 3 Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. G.I.4, G.A. ASTEZATI, Indice alfabetico istorico cronologico perpetuo dell’archivio dell’insigne e real monistero novo di S. Salvatore e S. Giulia di Brescia, sec. XVIII (da ora in poi ASTEZATI). – 63 – TIZIANA LAZZARI Ota e che era detta di stirpe regia, arrivava alla conclusione più immediata, e cioè che, probabilmente, era una figlia di Ottone I o forse di Ottone II, dimenticando – o non sapendo, forse – che però, alla data delle attestazioni, Ottone II era ancora un bambino di appena 7 anni. Federico Odorici, alla metà del secolo successivo, pubblicando due dei documenti che la vedevano attiva nel Codice diplomatico allegato alle sue Storie Bresciane, commentava sulle possibili diverse rese grafiche del nome e quindi sull’alternanza Ota/Ata e rilevava anch’egli che la badessa era stata ‘discendente da re’, ‘ma di quale non ci è dato conoscere’ 4. Pochi decenni dopo, Andrea Valentini, nella lista delle badesse del monastero che compilò nel commento alla sua trascrizione del Liber vitae di Santa Giulia, rilevava la fragilità dell’ipotesi di Astezati, senza però proporne altra 5. La storiografia contemporanea si è occupata solo marginalmente della nostra signora: nel 1963, Girolamo Arnaldi, studiando la storia bresciana del secolo X, interpretava la scarsità di documentazione di San Salvatore in quei decenni come segno di crisi del ruolo del cenobio in quel frangente politico e, di conseguenza, leggeva l’espressione volta a qualificare la badessa Ota quale discendente « ex regali progenie » – un’espressione che dava continuità alla rappresentazione propria di Berta, figlia di re Berengario, che l’aveva preceduta nel ruolo – non come una attestazione verosimile, ma piuttosto come un ‘riflesso psicologico’ volto a negare la perdita di importanza del cenobio 6. In seguito, anche Hartmut Becher, che nei primi anni Ottanta del secolo scorso ha studiato la tradizione memoriale di San Salvatore 7, osservava – come aveva fatto Arnaldi – che nel Liber vitae si trovano poche iscrizioni commemorative nei decenni successivi al regno di Berengario I e che anche la documentazione conservatasi per quel periodo è assai scarsa 8. Becher riteneva che ciò fosse la testimonianza di una perdita di importanza del monastero dopo la morte di Berengario e interpretava quindi in maniera riduttiva l’uso della formula ‘discendente da stirpe regia’ sia della badessa Berta, che ‘non era più figlia del re regnante’, sia di Ata (chiama sempre Ota in questa ——————— 4 ODORICI 1856, alle pp. 12-14. 5 Codice necrologico - liturgico, a p. 255. 6 ARNALDI 1963, alle pp. 507-508. 7 BECHER 1983, alle pp. 318-319. 8 Su questa scarsità ho avuto modo di riflettere recentemente in LAZZARI 2023. – 64 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA variante), che le succedette e della quale ‘si sa poco’ 9. Escludeva inoltre che potesse essere la stessa persona ricordata quale ‘Ata preposita’ al f. 36v del Liber vitae, poiché riteneva che quella iscrizione risalisse all’anno 900 circa. Uwe Ludwig, nell’introduzione alla nuova edizione MGH del Liber vitae 10, ha datato con maggior precisione l’iscrizione di ‘Ata preposita’ al 920 11, che la rende così un poco più compatibile con le attestazioni della badessa, ma poco significativa perché, come anche Ludwig conferma, dalla fine del secolo IX in avanti, scarse diventano le note di oblazione e la registrazione dei nomi delle monache e dei loro parenti, al punto che nel codice non si trova neppure il nome di Berengario I, né dei suoi congiunti, e neanche della figlia Berta 12, badessa del cenobio per un tempo lunghissimo, fino almeno al 952, quando ricevette un diploma da Ottone I, su cui torneremo 13. Anche nell’opinione di Ludwig, la fine del dominio di Berengario aveva segnato una svolta nelle vicende del cenobio, percepibile pure nella gestione del libro memoriale di San Salvatore: nonostante singole annotazioni minori, non chiaramente attribuibili, possono farsi risalire a questo periodo, non sono state tramandate però lunghe liste di nomi di comunità monastiche o ecclesiastiche, né di gruppi laici o di oblazioni 14. Ludwig segnala però una sola eccezione, molto significativa per i fini della mia ricostruzione, come vedremo: si tratta di una annotazione sul f. 7v, che rimanda al contesto della politica italiana di Ottone I. Vi sono registrati 114 nomi di uomini e donne, suddivisi in due sezioni, alla testa delle quali si trovano rispettivamente gli arcivescovi di Colonia Ermanno (889/890-924) e Wichfrid (924-953) e le forme dei nomi non lasciano dubbi all’editore sul fatto che le persone commemorate provenissero da nord delle Alpi. Ludwig ammette una grande incertezza rispetto alle loro possibili identificazioni, dato che dichiara non essergli chiari i criteri in base ai quali erano state compilate le liste di nomi e neppure il motivo specifico del loro inserimento nel Liber vitae delle monache bresciane 15. Oltre ai due arcivescovi di Colonia, però, l’unica ——————— 9 BECHER 1983, a p. 318. 10 LUDWIG 2000, pp. 89-129. 11 Ibidem, a p. 115. 12 Ibidem, a p. 120. 13 Su quel diploma v. LAZZARI 2020, alle pp. 197-198 e nota 14. 14 LUDWIG 2000, p. 116. 15 Ibidem, a p. 117. – 65 – TIZIANA LAZZARI identificazione certa che propone è quella di Reginlint abb(atissa), badessa di S. Felix et Regula a Zurigo nel 952 e, in precedenza, moglie dei duchi svevi Burcardo ed Ermanno e quindi, ed è importante, nonna materna della regina Adelaide, la moglie di Ottone I 16. E anche su questo torneremo. Da ultimo, è stato François Bougard a proporre, molto rapidamente, in una nota a carattere interrogativo, che Ota potesse essere una figlia di Berengario II 17. Bougard non scioglie i motivi della possibile identificazione, ma mi pare si possano bene intendere: Berengario II, alla morte della badessa Berta, la figlia di Berengario I, dopo il 952, poteva aver voluto segnare una continuità nella gestione regia del cenobio imponendovi una propria figlia e il nome della ragazza, di chiaro stampo liudolfingio, poteva essere dovuto a un omaggio del re italico a Ottone I, che era il suo senior dal 952, data della riconciliazione fra i due dopo la prima discesa in Italia del re di Germania 18 e del suo matrimonio con Adelaide. Anche un’altra sua figlia, infatti, sposata con il marchese Aleramo fra il 958 e il 961, si chiamava Gerberga, altro Leitname liudolfingio 19. 2. Ota, nel Liber vitae Per attribuire un’identità plausibile alla nostra Ota, occorre partire, a mio parere, proprio da quella iscrizione di secolo X nel Liber Vitae segnalata, come abbiamo visto, da Uwe Ludwig quale ‘eccezione’, e cioè l’elenco dei 114 nomi di uomini e donne di sicura provenienza germanica al f. 7v. Come si evince dall’edizione 20 in quel foglio scrissero sei mani diverse, anche se, dalla riproduzione fotografica 21, se ne identificano soltanto cinque. I 114 nomi cui si riferisce Ludwig furono scritti da una sola mano, in due diverse sequenze che contengono ciascuna i nomi di due arcivescovi di Colonia, Herimanni ——————— 16 Una ricostruzione completa della parentela liudolfingia e delle sue connessioni matrimoniali con le élite di rango marchionale si legge in KELLER, ALTHOFF 2008, di cui si segnalano le tavole genealogiche nelle controcopertine all’inizio (Die Liudolfinger) e alla fine (Die Ottonen) del volume. 17 BOUGARD 2022, a p. 212, nota 34. 18 Su questo v. KELLER 2007, p. 16 e KELLER 2012, pp. 41-42. 19 Ibidem, v. soprattutto tavole genealogiche alle pp. 32-33. 20 Memorial- und Liturgiecodex 2000, pp. 147-148. 21 Una riproduzione completa del manoscritto si trova online nel sito web Misinta dell’Associazione Bibliofili Bresciani Bernardino. – 66 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA arghiepi(scopi) (889/890-924) e Uuicfridi ahrghiepi(scopi) (924-953). È nella seconda sequenza che Ludwig riconosce anche Reginlint abb(atissa) nella badessa di S. Felix et Regula a Zurigo attestata nel 952, una donna che, in precedenza, era stata moglie dei duchi svevi Burcardo ed Ermanno, nell’ordine. L’insieme dei nomi di questa annotazione, nota sempre Ludwig 22, sembrano appartenere al patrimonio onomastico dei duchi di Svevia, ma, non risultandogli chiaro, come già detto, il contesto delle due liste e per quale motivo siano state inserite nel Liber vitae delle monache bresciane, non propone ulteriori identificazioni. Proviamo allora noi a procedere nell’analisi. Dell’arcivescovo Ermanno non sono note le origini familiari 23 e ciò rende difficile collegare alla sua persona gli uomini e le donne elencati nella prima parte dell’iscrizione, intestata con il suo nome. La reiterazione però di molti dei nomi di questa prima iscrizione con quelli presenti nella seconda (Liudahrd, Beretta, Uoda, Uuiburg, fra gli altri) fa pensare che si tratti del medesimo gruppo di persone legate indifferentemente da rapporti parentali, amicali e clientelari 24. L’indicazione di entrambi gli arcivescovi, Ermanno e Wichfrid, fra le persone per cui pregare, consente – ritenendo che la lista avesse finalità commemorativa e fosse pertanto una lista di defunti – di datare post quem l’iscrizione, che sarebbe successiva quindi al 953. L’arcivescovo Wichfrid, infatti, era nato dal conte Gerardo di Metz e da Oda di Sassonia, figlia del duca di Sassonia Ottone. Wichfrid era quindi nipote per parte di madre di Enrico I, il primo re sassone e, non per caso, vista la politica familiare degli Ottoni, fu nominato arcicappellano e arcicancelliere da Ottone I, di cui era cugino. Quando morì dopo una lunga malattia, il 9 luglio 953 Ottone I elesse sulla cattedra di Colonia il proprio fratello, Bruno, scelta che ci dà la misura dell’interesse al controllo familiare diretto di quella sede 25. La connessione con il gruppo parentale ottoniano non si limita a questa ascendenza comune, ma era stata rinnovata nella generazione successiva. E infatti Liudolfo, figlio di Ottone I e della sua prima moglie Edith, aveva sposato nel 947 Ida, figlia di Ermanno di Svevia e di Reginlint, la badessa sopra ricordata ——————— 22 LUDWIG 2000, p. 117. 23 WISPLINGHOFF 1969. 24 Su questo, oltre ai classici lavori di Gerd Althoff, ALTHOFF 2003 e ALTHOFF 2004, si vedano le più recenti analisi di Régine Le Jan, che proprio sulla scorta dei codici memoriali riflette sul concetto di amicizia che essi sottendono: LE JAN 2018 e LE JAN 2024, soprattutto alle pp. 81-110. 25 KELLER, ALTHOFF 2008, alle pp. 197-198. – 67 – TIZIANA LAZZARI e presente nell’iscrizione. Notiamo inoltre che il nome Ota, portato dalla nostra badessa, era lo stesso nome della mamma di Wichfrid (nata attorno all’875/80 e che morì dopo il 952), un Leitname femminile di grande rilevanza nella parentela liudolfingia, che era stato assegnato anche a una sorella di Wichfrid stesso, nota come Oda di Metz (per la funzione comitale del padre), che fu moglie del conte di Bidgau, Gozzelone 26. Rosvita di Gandersheim, quando negli anni sessanta del secolo X compose in esametri il poema che doveva narrare i Primordia del monastero di Gandersheim, fece di un’altra Ota, la prima della discendenza, la protagonista leggendaria di quella fondazione 27. Rosvita, come noto, scrisse i Primordia su ordine della sua badessa, Gerberga, figlia di Enrico duca di Baviera, il fratello di Ottone I. L’insieme di questi tasselli mi pare consenta di formulare l’ipotesi che l’iscrizione del Liber vitae si possa datare a un momento successivo al 953, e che fosse volta a inserire nella memoria liturgica del cenobio un largo gruppo parentale, che ruotava intorno al ducato di Svevia e alla cattedra arcivescovile di Colonia, connesso attraverso legami matrimoniali sia ai regnanti in Borgogna sia ai Liudolfingi. Fig. 1 - Liber vitae di Santa Giulia, f. 7v, particolare. ——————— 26 HLAWITCHKA 1969, alle pp. 154-156. 27 I Primordia coenobii Gandesheimensis si leggono in HROTSVIT, e in traduzione italiana in ROSVITA. – 68 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA Ma il f. 7v riserva un’altra sorpresa, se si provano a sciogliere le quattro lettere in alto a sinistra che un’altra mano aggiunse a fianco alle due iscrizioni appena descritte. È una mano che usa una scrittura elementare, evidente nel modulo grande e nella spaziatura, dato che ne rende difficile la datazione paleografica, ma che dimostra una buona istruzione, anche se del livello di base dell'apprendimento. La figura delle lettere, infatti, è realizzata correttamente ma evidenzia difficoltà nel mettere insieme i tratti che devono comporla che risultano così un po' distanziati. Oltre all'alfabeto minuscolo carolino, questa mano conosce anche l’alfabeto del registro distintivo, quello della capitale e conosce i segni di abbreviazione che usa almeno una volta, nella prima riga al mezzo di f. 7v. È una mano che cerca, sia pure con perizia limitata, di dare un rilievo formale solenne ai nomi che inserisce. Sono solo quattro in questo foglio 28, uno in alto a sinistra che Ludwig trascrive ‘Atao’, e tre inseriti fra i due gruppi con a capo gli arcivescovi di Colonia, e cioè Anselpertus prespiter 29, Gariuertus e Teuperga. Il nome ‘Atao’ non conosce altre attestazioni che questa, e non solo nel Liber Vitae. Se si osservano con attenzione le quattro lettere però, un’altra lettura è possibile. Intanto le a. La prima a ha forma maiuscola, mostra quindi un registro distintivo e, nella riproduzione fotografica, pare seguita da un puntino. La seconda a è invece minuscola, e pare preceduta da due punti sovrapposti. Inoltre, il segno che Ludwig scioglie con t è sicuramente una croce, perché non sono mai attestate nelle scritture del tempo, lettere t con l’asta verticale tagliata. E infine, l’ultimo segno che l’editore scioglie in o non trova riscontro in forma aperta nelle altre iscrizioni attribuibili alla stessa mano 30, dove le o sono sempre rotonde e chiuse. Io propongo di leggere questa forma quale una b aperta: purtroppo un confronto diretto non è possibile, dato che questa mano non usa mai la b negli altri nomi che inserisce, perché preferisce sempre la labiale sorda (p) quando sarebbe regolare la labiale sonora. L’asta della b minuscola non è dritta, come ci si attenderebbe da una mano elementare, ma esprime invece la precisa volontà di reclinare l’asta della lettera verso ——————— 28 La stessa mano, molto riconoscibile per la grafia elementare, aggiunge al margine destro del f. 11r, e quindi nello stesso fascicolo, altre due serie di nomi di cui diremo più avanti. 29 Ludwig trascrive ‘Anselpertus prespi’ (Memorial- und Liturgiecodex 2000, p. 147), ma l’abbreviazione sopra pi è molto chiara e consente senza difficoltà di sciogliere in ‘prespiter’. L’autore o autrice dell’iscrizione, che usa sempre p al posto di b, sembra denunciare una possibile origine transalpina. 30 A f. 11r. – 69 – TIZIANA LAZZARI destra, probabilmente avendo a modello la d di forma onciale di Domnus Ludvic(us) nel foglio accanto, di cui diremo. Lo sforzo grafico di impiegare un registro distintivo tratteggiando così la b sul modello del foglio a fianco si può percepire anche dall’impiego di un modulo più piccolo rispetto alle altre scritte che appose 31. Sulla base di queste considerazioni, traslitterando le quattro lettere si ottiene « A. † ab. », che si può sciogliere « Ata (S.C.) abbatissa ». Ata non è Ota, certamente, ma nelle tre carte che ci rimangono di lei è indicata con entrambe le forme: molto brevemente, seppure Ota, Otta e Oda siano varianti del tema onomastico ‘aud’, mentre Ata e Atta del tema ‘ath’ 32, nella traslitterazione scritta del secolo X, per nulla consapevole della filologia germanica e intenta invece a dare forma grafica a nomi germanici dalle numerose varianti, non mi paiono attestare nomi diversi, ma solo diverse versioni scritte del medesimo suono. Il f. 7v merita ancora attenzione, perché se osservato sul registro originale e non solo studiato nell’edizione, mostra una caratteristica molto rilevante, a mio parere. La lista ‘germanica’ e l’intestazione Ata abbatissa furono infatti inserite in un foglio rimasto bianco al centro (si vede il segno di corda) del primo fascicolo del Liber vitae 33 e che si affianca alla lista memoriale della metà di secolo IX che cominciava registrando in rosso e con scrittura solenne i nomi dell’imperatore Ludovico II e della moglie, detta qui Ingelberga imperatrix (una variante fra le altre di Angelberga, Engelberga) 34. Una scelta non casuale per una badessa che si dichiarava « ex regalis prosapiae orta »: la lista dei nomi germanici collegati alla nuova prosapia regia liudolfingia veniva accostata all’elenco dei nomi dei membri dell’alta aristocrazia del regno ai tempi di Ludovico II. Il tentativo molto goffo di imitare la scrittura distintiva, anche per modulo, raffinata e solenne con cui erano scritti in rosso i nomi dell’imperatore e della moglie per scrivere Ata ——————— 31 Ringrazio qui Antonella Ghignoli per la consulenza davvero preziosa sulla mia ipotesi, che mi ha permesso di argomentarla con maggiore precisione. 32 V. in proposito il Lemmatisiertes Personennamenregister in Memorial- und Liturgiecodex 2000, alle pp. 245-298. 33 I due fogli 7v e 8r sono così numerati da Ludwig sulla base della composizione del primo fascicolo del codice, che manca però delle prime pagine. 34 BOUGARD 1993. – 70 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA abbatissa in alto a sinistra del foglio, in posizione distintiva, si spiega meglio nel confronto con la pagina a fianco. Fig. 2 - Liber vitae di Santa Giulia, ff. 7v e 8r, particolare. La stessa mano, molto riconoscibile per la grafia elementare, aggiunse inoltre al margine destro del f. 11r, nello stesso fascicolo quindi, altre due serie di nomi. La prima « Anselpertus prespiter, Erlulfus, Imiltrud », riprende il nome di Anselperto già presente a f. 7v, associandolo a un uomo e una donna, per altro ignoti; nella seconda invece tutti e sette i nomi compaiono per la prima volta « Rigolf monachu, Pertro, Ratpurc, Ildeuuis, Engiltrud, Amelild, Liuttrat ». Impossibile, allo stato attuale delle mie conoscenze, identificare alcuna persona che portasse questi nomi e che avesse relazioni con il monastero bresciano. Si può chiaramente intendere che gli interventi sul Liber vitae di questa mano non possono essere il frutto di una volontà memoriale affidata a un (o a una) professionista della scrittura, ma siano invece l’esito di una iniziativa personale di chi aveva accesso al registro e volle lasciarvi una impronta propria, molto personale. Il nome di dieci persone da ricordare nelle preghiere, e la sigla « A. † ab. », che rischia a questo punto di apparire ai nostri occhi quasi una firma. 3. Ota, nelle carte di gestione patrimoniale Dall’analisi dei tre documenti rimasti a testimoniare la sua azione nella gestione del patrimonio monastico, si possono rilevare solo pochi elementi che comunque aiutano ulteriormente a definire il profilo di rappresentazione della badessa Ota. In tutte e tre le carte il monastero di cui era a capo è indicato nella stessa maniera, e cioè « monasterio Domini Salvatori, fundatum infra civitate Brixia, que dicitur Novo ». È la denominazione propria della piena età carolingia, quando a partire dal regno di Ludovico I, l’usufrutto dei suoi beni fu concesso dall’imperatore alla propria moglie (827) e – 71 – TIZIANA LAZZARI il monastero fu ‘rifondato’ in senso organizzativo e patrimoniale, non nelle strutture 35. Nei diplomi di Berengario I per il cenobio, invece, e soprattutto quando ne era badessa la figlia Berta, il monastero veniva intitolato a Santa Giulia 36. Ota riprese quindi la titolatura imperiale, in evidente discontinuità con la gestione precedente. La prima carta, datata novembre 960, è un contratto di livello con coltivatori, una delle rarissime carte di gestione diretta del patrimonio monastico di San Salvatore in quei tempi 37. In tale contesto, Ota viene detta semplicemente badessa e nessun cenno viene fatto alla sua prosapia di origine 38. Che viene menzionata invece nelle altre due carte, relative a negozi più impegnativi e cioè a due permute. La prima di queste permute, datata 31 dicembre 960, vede la badessa cedere un servo della corte Barbata 39, una corte di origine pubblica di proprietà del monastero 40 situata nel comitato di Bergamo, a tale Arialdo del fu Atto del medesimo comitato, che in cambio cede al monastero due grandi appezzamenti di terra a pascolo, confinanti con la corte monastica. La permuta fu redatta a Brescia, ma era stata preceduta da una valutazione sul posto della correttezza dello scambio, dove era intervenuto per la badessa quale suo incaricato, un sacerdote ordinario del monastero stesso, Boniverto. Nella seconda permuta, datata 4 febbraio 961, la badessa cede una pertinenza della corte di Nuvolera, nel Bresciano, ricevendo in cambio da Leoprando, habitator in vico et fundo Nuvellaria due terre nella medesima zona 41. Fra i quattro testimoni che sottoscrissero la permuta figura un Ioh(ann)i filius quondam Gariverti: Gariverto è l’unico nome che in queste carte si riesca ad associare con quelli presenti nell’iscrizione della mano incerta del f. 7v, senza, ovviamente, alcuna pretesa di identificazione. ——————— 35 Per questa interpretazione v. LAZZARI 2019b. Ritiene invece che l’età carolingia non sia stata significativa per il cenobio BROGIOLO 2014b, sulla base principalmente del fatto che in quell’epoca non riscontra interventi edilizi importanti, sui quali BROGIOLO 2014a. 36 Su tali attestazioni si veda LAZZARI 2020. 37 Carte di S. Giulia, n. 53. 38 Ibidem: « ego enim in Dei nomine Ota, abbatissa mon(a)sterio D(omi)ni Salvatori, fun|datum infra civitate Brixia, que dicitur Novo ». 39 Codex diplomaticus Langobardiae, n. DXCIV, coll. 1016-1017. 40 Sulla corte fiscale di Barbata, sono ora raccolte le informazioni disponibili e precisata la geolocalizzazione in Fiscus 2024, ad vocem. 41 Carte di S. Giulia, n. 54. – 72 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA 4. Ota, il contesto in cui visse Esaurita l’analisi delle poche testimonianze documentarie di cui disponiamo, cerchiamo di tirare le fila per poi provare a proporre una ipotesi plausibile sulla sua identità. Sappiamo dunque che questa donna portava un nome caratteristico del gruppo parentale dei Liudolfingi, che nel codice liturgico e memoriale del monastero di cui fu badessa furono inseriti alla metà del secolo decimo 114 nomi di uomini e donne della parentela ducale sveva in un foglio intestato con il suo nome, che si diceva ‘nata da stirpe regia’ nelle due permute di cui ci è giunta memoria. Proviamo ad aggiungere allora qualche elemento di contesto per arrivare alla sua identificazione. Il monastero di cui fu badessa, San Salvatore di Brescia, non era soltanto un luogo di preghiera ma una fondazione regia concepita, fin dalla sua fondazione a metà del secolo VIII a opera di re Desiderio e della regina Ansa, per raccogliere e gestire una quota imponente del patrimonio del fisco regio, distribuito su tutto il territorio del regno, a nord e a sud degli Appennini 42. Tale patrimonio fiscale era stato messo così al sicuro da appropriazioni indebite e, soprattutto, riservato a una gestione diretta regia, dato che a capo del cenobio stava una delle figlie del re, Anselperga. Anche i re carolingi, a partire da Ludovico il Pio in avanti, avevano affidato quel patrimonio alle loro mogli e alle loro figlie, accrescendo la riserva patrimoniale regia intestata al cenobio. La presenza nel monastero delle figlie di Lotario e poi di Ludovico II era stata accompagnata da numerose oblazioni di giovani donne, figlie o sorelle degli uomini che facevano parte dell’alta aristocrazia del regno legata da rapporti stretti di fedeltà ai sovrani 43. San Salvatore era diventato insomma un circolo femminile elitario, dove si intrecciavano relazioni importanti 44. Nelle ultime e complicate fasi del governo carolingio nel regno italico, il monastero aveva subito furti, rapimenti di giovani donne, sequestro di beni dalle diverse parti in lotta 45. Berengario I, diventato re, promosse anch’egli la nomina a badessa della figlia Berta, nomina che gli consentiva di porsi al vertice del quel circolo e di avere a propria disposizione ——————— 42 Su questo punto, dopo lo studio pionieristico LA ROCCA 2002, v. ora LAZZARI 2019a. 43 Sulle oblazioni legate alle clientele di Lotario I nel regno italico si vedano TOMEI 2023, alle pp.712-713 e LAZZARI cdsa. 44 Inserisce il monastero nella rete delle grandi fondazioni regie carolingie anche VANDERPUTTEN 2018, alle pp. 60-61, 207 e 212. 45 Ricostruisce questa fase JOYE 2012, alle pp. 466-470. – 73 – TIZIANA LAZZARI il patrimonio fiscale dell’ente. A Berta fu assegnato inoltre il monastero di San Sisto di Piacenza, altra imponente riserva di beni fiscali collocati lungo il corso del fiume Po, creata dall’imperatrice Angelberga con i beni del suo dotario 46. Berta, detta sempre « regalis prosapiae orta » nei documenti che la riguardano, visse a lungo, molto più a lungo del padre, fino a ricevere da Ottone I nel 952, per intercessione di Adelaide che aveva appena sposato, una conferma del patrimonio sistino 47. Non sappiamo quando morì, e neppure se fu Ota la prima a succederle. Certo però, non si sono conservate attestazioni di altre donne in quel ruolo prima di Ota. Anche per San Sisto di Piacenza non è possibile sapere chi fu a succedere a Berta, perché occorre attendere gli ultimi decenni del secolo X per trovare una carta che documenti il nome di una badessa di quel cenobio: Alchinda, nel 981 48 e poi Ita, nel 999 49. Quel che è chiaro, però, è che l’unione dei due monasteri sotto una sola badessa terminò con Berta, insieme con la politica di Berengario I che aveva voluto assegnare al controllo della figlia le due più imponenti ‘casseforti’ del fisco regio del settentrione del regno italico. Il contesto politico degli anni Cinquanta del secolo X nel regno italico è incentrato sull’ingresso in scena di Ottone I. Il titolo regio, dopo il colpo di stato del 945 e la morte precoce di Lotario, era stato assegnato a Berengario II che subito si associò al trono il figlio Adelberto 50. Ma la giovane vedova di Lotario, Adelaide, grazie all’imponente patrimonio fiscale del suo dotario e alle clientele che ne godevano i proventi, divenne una sorta di pivot attorno al quale ruotavano le élite del regno ostili a Berengario. Adelaide, come noto, fu imprigionata, proprio per il potenziale politico che ——————— 46 CIMINO 2012. 47 SERENO 2012 e LAZZARI 2020. 48 Entrambe le carte di secolo X di San Sisto sono conservate a Cremona, perché parte del patrimonio di San Sisto fu conteso al monastero dalla sede episcopale e poi dal comune cremonese. Sono state pubblicate pertanto da Ettore Falconi: Carte Cremonesi. La prima, I, n. 80, p. 210, 981 ottobre 15, è una notitia pro securitate emessa durante un placito presieduto dal giudice Astolfo, messo di Ottone II, nella quale il conte di palazzo Gisleberto e sua moglie Alsinda si impegnano con la badessa Alchinda del monastero di S. Sisto a non avere alcuna pretesa sui beni che lo stesso monastero possedeva in alcune località. 49 Ibidem, n. 101, pp. 276-279, 999 febbraio 4. Anche in questo caso una notitia pro securitate nella quale la badessa Ita rinuncia a ogni pretesa su quattro curtes contese con l’episcopio cremonese. 50 BOUGARD 2022, a p. 209. – 74 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA esprimeva. L’insieme di queste vicende offrì a Ottone I l’occasione per intervenire direttamente in Italia, nel settembre del 951, proponendosi come paladino non solo di Adelaide, ma di tutta la parte aristocratica ostile a Berengario e Adalberto 51. Ottone I si trovava in quel momento in una situazione di buona stabilità: dopo la pacificazione definitiva con il fratello Enrico, gli aveva assegnato nel 948 il ducato di Baviera, che – ed è importante – consentiva l’accesso ai passi alpini che conducevano in Italia 52. Enrico aveva già sposato, prima di ottenere il ducato, Giuditta, figlia del duca di Baviera Arnolfo e di una mamma sua omonima, Giuditta, sorella di re Berengario I 53. La politica matrimoniale voluta da Ottone I per i membri della sua famiglia aveva coinvolto anche il contermine ducato di Svevia, che dava accesso ai passi alpini più a Ovest: Liudolfo, il suo primogenito, come abbiamo ricordato sopra in merito all’iscrizione di secolo X del Liber vitae, nel 947 aveva sposato Ida, figlia di Ermanno di Svevia. Hagen Keller ha fatto rilevare l’importanza di tutti questi legami matrimoniale fra la famiglia regia e l’aristocrazia ducale, che divennero un dato strutturale del regno 54. L’intervento di Ottone nel regno italico e, soprattutto, il suo matrimonio con Adelaide nell’ottobre del 951, contribuirono a rompere l’armonia con il figlio Liudolfo, che avrebbe voluto un ruolo solo per sé in Italia. Adelaide, infatti, discendeva dal gruppo parentale svevo: la sorella di sua madre era Ida, la moglie di Liudolfo di cui, quindi, era nipote, e sua nonna era la potente Reginlind, di cui già abbiamo detto, dato che anche il suo nome era registrato nel Liber vitae. Liudolfo, che in quel momento era erede designato al trono regio 55, duca di Svevia e zio della giovane Adelaide, aveva ottimi motivi per intervenire da solo in Italia, ma ciò contrastava con i progetti propri del padre. E quindi Ottone, messosi in concorrenza diretta con il figlio, per avere un appoggio certo nella politica italiana si rivolse al fratello, da appena tre anni duca di Baviera. Quando nel 952 il re giunse a un accordo con Berengario II, lasciandogli la titolarità regia in Italia in cambio di un giuramento formale di fedeltà, non solo conservò per Adelaide la piena ——————— 51 Ibidem, pp. 210-212. 52 Sulla Baviera in età ottoniana v. ZOTZ 2001 e la bella sintesi di ALBERTONI 1996, alle pp. 132-137. 53 KELLER 2012, a p. 45. 54 Ibidem. 55 KELLER, ALTHOFF 2008, alle pp. 186-187. – 75 – TIZIANA LAZZARI disponibilità di tutti i beni del fisco che aveva ricevuto nel dotario, ma sottrasse anche la marca di Verona al controllo di Berengario II assegnandola al fratello Enrico, duca di Baviera 56. La via del Brennero rimaneva così costantemente aperta per un eventuale rapido ingresso nella penisola di Ottone e del suo esercito, ciò che rendeva evidentemente molto fragile il potere regio di Berengario II e Adalberto. Dal 952 e fino all’agosto del 961 quando Ottone entrò di nuovo in Italia e si fece incoronare re a Pavia, la parte nord orientale del regno era dunque nelle mani del duca di Baviera e, ancora più a est, la sede arcivescovile di Aquileia era retta dal patriarca Ingelfredo, di schieramento filo ottoniano 57. 5. Ota, chi era? Brescia, e con la città anche il monastero di San Salvatore, restavano comunque nel regno italico, e non a caso tutti e tre i documenti che ci rimangono di Ota sono datati secondo gli anni di regno di Berengario II e di Adelberto 58. Il territorio bresciano era però strettamente contermine alla marca veronese e il monastero di San Salvatore costituiva un centro di potere regio di enorme importanza, nel senso complesso che abbiamo provato a descrivere sopra. Alla morte della badessa Berta, abbatissa genis (sic!) regalis, che aveva retto il cenobio per quarant’anni, la carica abbaziale e con essa il controllo dell’enorme patrimonio e delle reti aristocratiche connesse diventavano estremamente importanti per il controllo effettivo del regno italico. Sulla base di tutti gli argomenti indiziari che ci hanno condotto fin qui, la mia proposta è di identificare la badessa Ota con una figlia, finora ignota, del duca di Baviera Enrico, il fratello di Ottone I. Senza essere figlia di un re, una donna nata da Enrico di Baviera poteva ben dirsi « regalis prosapiae orta », e ne abbiamo una prova testuale, completamente coeva: Rosvita di ——————— 56 Ibidem, alle p. 191-192 e BOUGARD 2022, alle pp. 224-225. 57 CINELLO 2024, alle pp. 34-36, che presume un suo diretto intervento nella copia di X secolo di un inventario del monastero. 58 Fatto che consente di datare con precisione anche il documento del 31 dicembre 960, non compreso nell’edizione online e neppure in quella uscita a stampa, e trascritto invece in Codex diplomaticus Langobardiae, senza datazione, attribuito genericamente « Ann. 950 circiter ». La pergamena è danneggiata nelle prima righe, ma si riescono a leggere le parole « anno regni eorum in Dei nomine decimo », espressione che permette di attribuire con sicurezza il documento al 960. – 76 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA Gandersheim, dedicando intorno al 960 i Poemetti agiografici alla sua badessa, Gerberga, figlia appunto del duca Enrico, la invocava scrivendo « Salve regalis proles clarissima stirpis, Gerbirg » 59. ‘Prosapia’ era un termine che non poteva allora identificare una famiglia ristretta, ma piuttosto un largo gruppo parentale, quello dei Liudolfingi, in questo caso. Vi propongo in allegato uno schema genealogico che ha lo scopo di chiarire i vari nessi parentali raccontati fin qui, ma anche di apprezzare la logica che seguirono il duca Enrico e la moglie Giuditta nell’assegnare i nomi all’unico figlio maschio noto, Enrico, e alle loro due figlie, Gerberga, che fu badessa a Gandersheim per tutta la seconda metà del secolo X e Hatwig, che sposò Burcardo, terzo duca di Svevia 60. I nomi dei figli di Enrico e Giuditta abbandonavano l’onomastica bavarese della donna per aderire a una coerente scelta liudolfingia, che recuperava la tradizione più remota del gruppo parentale, la stessa che Rosvita, sotto la guida della badessa Gerberga, inscriveva nei Primordia del monastero di Gansersheim, in una contrapposizione neppure troppo velata con la nuova fondazione femminile di Quedlimburg, promossa da Ottone I come nuovo centro della corte e del favore regio 61. La protagonista della fondazione di Gandersheim nei Primordia è, come già abbiamo ricordato Oda, la moglie del duca Liudolfo, prima figura nota del gruppo parentale. Ma nelle visioni e nei miracoli che accompagnano gli eventi, Oda è affiancata dalla madre Hatumoda (Hat è il tema di Hatwig) e dalla figlia Gerberga: Rosvita raccoglie così nella narrazione tutti i nomi femminili delle “origini” del gruppo, i nomi che erano portati dalle figlie di Enrico. Ottone I chiamò invece le sue figlie Liutgarda e Matilde, e i nomi femminili antichi della discendenza liudolfingia scompaiono nella sua progenie anche alle generazioni successive, dove Matilde (il nome della mamma di Ottone) diventa dominante, incrociato con nomi nuovi che derivavano dalla rete delle alleanze strette attorno al ramo regio della parentela. Se Ota era davvero una figlia di Enrico di Baviera, e, vista la cronologia, probabilmente la figlia primogenita, il matrimonio della sorella Hatwig con Burcardo di Svevia contribuirebbe a spiegare la presenza della iscrizione ‘sveva’ nel Liber vitae di San Salvatore, segno della rivendicazione di Enrico contro il ——————— 59 ROSVITA, a p. 19. La traduzione suona « Salve Gerberga, luminosa discendente di una stirpe regale ». 60 KELLER, ALTHOFF 2008, a p. 244. 61 Sul contrasto, v. ALTHOFF 1991. – 77 – TIZIANA LAZZARI nipote Liudolfo di quel ducato, oltre a costituire un segno dell’appoggio ad Adelaide, che per parte di madre apparteneva al gruppo svevo si è detto, che veniva dalla comunità monastica femminile più rilevante del regno italico. La forte conflittualità fra Enrico e il nipote era già emersa con chiarezza nei primi mesi del 951 62, quando Enrico era duca di Baviera ma non aveva ancora ricevuto da Ottone I la marca di Verona, ed era intervenuto presso i grandi del regno italico per ostacolare l’intervento di Liudolfo, ottenendo pieno ascolto: le porte delle città e delle fortezze rimasero chiuse per il figlio del re ed erede al trono, mentre durante l’intervento di Ottone I, pochi mesi dopo, furono aperte anche « ai panettieri e ai cuochi » 63. 6. Ota, quale prosapia regalis? Ota però, se l’identificazione proposta è corretta, poteva vantare in realtà l’ascendenza anche da un’altra prosapia regalis, la prosapia regalis per antonomasia e cioè quella dei carolingi. Sua madre, come abbiamo ricordato sopra, si chiamava Giuditta ed era nipote di Gisla, la figlia di Ludovico il Pio che aveva sposato il marchese Everardo del Friuli. La sua linea di ascendenza materna la poneva quindi a pieno titolo anche all’interno dell’ampia discendenza carolingia per via femminile, una realtà che nel secolo X era diventata centrale nelle elaborazioni della legittimità regia dei diversi regni europei 64. Osservando lo schema genealogico, incentrato proprio su questa identificazione, si può facilmente osservare che, proprio per ascendenza materna e femminile, la nascita stessa poneva Ota al centro di una rete aristocratica che già poteva vantare una presenza costante nel monastero di San Salvatore. Berta, la badessa che l’aveva preceduta, era sua cugina ‘seconda’, come diremmo noi oggi, e le donne legate al marchese Everardo e a suo figlio, re Berengario I, erano entrare numerose nel cenobio bresciano. Ed erano attestate in gran numero nel suo codice memoriale. Ota trovava quindi già in quel codice i nomi dei suoi antenati di parte materna per cui pregare, ma nessuno di parte paterna. Decise così, a mio parere, di farvi apporre quella iscrizione memoriale che abbiamo descritto sopra. Aggiungiamo ora, che meglio si può comprendere, un piccolo dettaglio: sotto i nomi dell’imperatore Ludovico e della moglie ——————— 62 ZOTZ 2001, pp. 94-96 e KELLER 2012, a p. 49. 63 Ibidem, dove si trova anche la citazione tratta dalla Continuatio Reginonis, all’anno 951. 64 Offre un quadro complessivo della questione VIGNODELLI cds. – 78 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA Angelberga, subito si trovano quelli di Everardo, Gisla, Unroch e Berengario, oltre che della badessa Berta, antenati che Ota non doveva avere difficoltà a riconoscere. Ella decise però di fare aggiungere a lato una iscrizione che, alla luce della ricostruzione del contesto politico che abbiamo delineato rapidamente sopra, andava a inserire nel codice memoriale del monastero di cui era a capo anche i nomi degli uomini e delle donne che, in quel momento, costituivano il gruppo di familiari e amici cui il duca Enrico, suo padre, doveva riferirsi per affermarsi anche in Svevia 65. 7. Dopo Ota Ota non ebbe una lunga vita. Se crediamo alla testimonianza di Andrea Valentini, era già morta il 10 agosto del 966 quando una nuova badessa, Berta, si trovava a capo del cenobio 66. La carta, che a fine Ottocento Valentini leggeva nella Biblioteca Queriniana di Brescia, non si trova nell’edizione più recente dei documenti del monastero, dove invece la prima attestazione di questa nuova Berta risale al giugno del 977 67, quando è detta « venerabilis abbatissa de abbacia Domini Salvatoris et Sancte Iulie, quod dicitur monasterium Novo et est fundatum infra civitatem Brissia ». Una badessa venerabile, ma nulla di più: nessun’altra badessa del monastero bresciano, infatti, sarà più detta di sangue regio. E neppure il monastero sarà più indicato soltanto con la dedicazione al Salvatore, la dedicazione regia per eccellenza, e il titolo di Santa Giulia, dopo un periodo di doppia denominazione alla fine del secolo X, finirà per prevalere. Con la nostra Ota era terminato dunque un lungo periodo, cominciato a metà del secolo IX, quando a capo del monastero stavano solo donne di sangue regio. Ma leggendo la cronotassi delle badesse compilata da Valentini, risulta evidente che, dal 966 e per un secolo intero, le badesse di Santa Giulia continuarono a chiamarsi sempre Berta e Ota, nomi ai quali si alternava soltanto un terzo, Rotlind. Nel 1060, l’ultima badessa di nome Ota ricevette un importante privilegio da papa Niccolò II, nel quale il cenobio rivendicava la propria origine regia e longobarda, oltre a un enorme patrimonio 68. Da quel momento in poi, però, non ci furono più ——————— 65 Su tale obiettivo del duca Enrico di Baviera si veda ZOTZ 2001, alle pp. 100-101. 66 Codice necrologico - liturgico, a p. 255 67 Carte di S Giulia, n. 56. 68 LAZZARI 2023. – 79 – TIZIANA LAZZARI né Berte né Ote e le badesse cominciarono a chiamarsi Ermengarda, Costantina, Alda, Richelda, Cecilia, nomi che sono segno di un cambiamento decisivo nella rappresentazione identitaria del cenobio e nel suo stesso ruolo politico, sempre più legato a un contesto certo elitario, ma soltanto se connesso a Brescia e al suo territorio. Erano nomi nuovi, legati all’élite bresciana, come aveva già notato, e studiato, Becher 69. Nel 1024 il palazzo regio di Pavia era stato raso al suolo, per sempre, e il sistema redistributivo del fisco regio basato sulla corte e sui grandi monasteri regi era entrato in una crisi irreversibile 70: terminata la necessità di presidiare le casseforti del regno, i circoli femminili elitari loro connessi si andarono trasformando in collegi per dame dalla rilevanza solo locale. FONTI BRESCIA, BIBLIOTECA QUERINIANA - G.A. ASTEZATI, Indice alfabetico istorico cronologico perpetuo dell’archivio dell’insigne e real monistero novo di S. Salvatore e S. Giulia di Brescia, sec. XVIII, ms. G.I.4. MILANO, ARCHIVIO DI STATO (ASSv) - Museo diplomatico, D, cartella 6, 7. BIBLIOGRAFIA ALBERTONI 1996 = G. ALBERTONI, Le terre del vescovo. Potere e società nel Tirolo medievale (secoli IX-XI), Torino 1996. ALTHOFF 1991 = G. ALTHOFF, Gandersheim und Quedlinburg: Ottonische Frauenklöster als Herrschafts- und Uberlieferungszentren, in « Frühmittelalterliche Studien », 25 (1991), pp. 123-144. 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VANDERPUTTEN 2018 = S. VANDERPUTTEN, Dark age nunneries: the ambiguous identity of female monasticism, 800-1050, Ithaca 2018. VIGNODELLI cds = G. VIGNODELLI, Per stemmata regum. Discendenza femminile e legittimazione nel regno italico post-carolingio (888-962), in Figli delle donne. Rappresentazioni di identità in un mondo senza cognomi (secoli IX-XI), a cura di T. LAZZARI, cds. WISPLINGHOFF 1969 = E. WISPLINGHOFF, Hermann I., in Neue Deutsche Biographie, 8 (1969), pp. 634-635 (https://www.deutsche-biographie.de/pnd137326173.html#ndbcontent). ZOTZ 2001 = T. ZOTZ, Die ottonischen Schwabenherzöge in Oberitalien, in Schwaben und Italien im Hochmittelalter, a cura di H. MAURER, H. SCHWARZMAIER, T. ZOTZ, in « Vorträge und Forschungen », 52 (2001), pp. 83-108. – 83 – TIZIANA LAZZARI – 84 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA – 85 – TIZIANA LAZZARI – 86 – OTA, UNA BADESSA DI STIRPE REGIA Sommario e parole significative - Abstract and keywords Tre sole carte, e concentrate in appena tre mesi, testimoniano l’attività di Ota, badessa del monastero di San Salvatore di Brescia alla metà del secolo X. In quelle carte Ota si dice nata da una progenie regia, ma nella tradizione degli studi pochi hanno creduto che ciò fosse vero. Il saggio si propone allora di restituire una identità a questa badessa dimenticata, accostando allo studio delle carte l’analisi delle tracce che ella lasciò nel Codice memoriale del monastero e provando a ricostruire lo specifico contesto storico politico in cui si trovò a vivere e a operare. Parole chiave: Regno italico; San Salvatore/Santa Giulia di Brescia; Ottoni; Libri memoriali; ducato di Baviera; ducato di Svevia. Three documents, concentrated within just three months, testify to the activity of Ota, abbess of the Monastery of St. Salvatore in Brescia in the mid-10th century. In these documents, Ota claims to be of royal lineage, though few scholars have believed this to be true. This essay aims to restore an identity to this forgotten abbess by combining the study of these documents with an analysis of the traces she left in the monastery’s Memorial Codex and by attempting to reconstruct the specific historical and political context in which she lived and worked. Keywords: Kingdom of Italy; St. Salvatore/St. Giulia in Brescia; Ottonians; Memorial Codices; Duchy of Bavaria; Duchy of Swabia. – 87 – QUADERNI DELLA SOCIETÀ LIGURE DI STORIA PATRIA DIRETTORE Stefano Gardini COMITATO SCIENTIFICO GIOVANNI ASSERETO - MICHEL BALARD - CARLO BITOSSI - MARCO BOLOGNA MARTA CALLERI - STEFANO GARDINI - BIANCA MARIA GIANNATTASIO - PAOLA GUGLIELMOTTI - PAOLA MASSA - GIOVANNA PETTI BALBI - VITO PIERGIOVANNI VALERIA POLONIO - ANTONELLA ROVERE - † FRANCESCO SURDICH Segretario di Redazione Fausto Amalberti redazione.slsp@yahoo.it Direzione e amministrazione: PIAZZA MATTEOTTI, 5 - 16123 GENOVA http://www.storiapatriagenova.it storiapatria.genova@libero.it Editing: Fausto Amalberti ISBN - 979-12-81845-04-6 (a stampa) ISSN 2421-2741 (a stampa) ISBN - 979-12-81845-05-3 (digitale) ISSN 2464-9767 (digitale) finito di stampare ottobre 2024 C.T.P. service s.a.s - Savona
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